Si chiama
kintsugi la tecnica di restauro giapponese
risalente al 1400 che prevede l’utilizzo della polvere d’oro per
riparare le stoviglie in ceramica usate per la cerimonia del te.
Oltre ad essere una tecnica che dà vita a oggetti unici e
splendidi, vere e proprie opere d’arte, ha anche un profondo
significato legato alla filosofia Zen: da una parte quelle vene di
rottura impreziosite con la polvere d’oro suggeriscono che
l’esistenza è transitoria, e questa consapevolezza rende sereno
l’approccio alla vita; dall’altra suggerisce empatia, la triste
malinconia dell’imperfezione delle cose, apprezzarle, nonostante
questo; infine, esprime la capacità di lasciar correre, di
dimenticare le preoccupazioni liberando la mente dal desiderio di
perfezione… la capacità di essere come un pesce rosso, proprio come
dice il nostro allenatore preferito: Ted
Lasso.
Ted Lasso, si è conclusa la
stagione finale
All’indomani della
conclusione della terza e (pare) ultima stagione della serie di
grande successo di Apple TV+,
possiamo decisamente dire che Ted
Lasso ha utilizzato la tecnica del
kintsugi sulle vite, imperfette e passeggere, di
tutte le persone che ha incrociato. E un po’ anche sulle nostre,
che lo abbiamo seguito dal divano di casa.
La terza stagione, in
particolare, come un lungo abbraccio, ha accompagnato ogni
personaggio alla sua personale risoluzione, con garbo e gentilezza,
la quale rappresenta a tutti gli effetti la polvere d’oro con cui
Ted aggiusta tutte le persone intorno a sé, dando agli altri, alla
fine, la possibilità di aggiustare se stessi. Perché siamo
imperfetti, siamo un continuo “mess in Progress” e la
consapevolezza di questa condizione di esistenza ci permette di
essere persone migliori, di imparare ad allenare una squadra di
calcio arrivando a capire cos’è il fuorigioco, di aprirsi a una
famiglia di tifosi che hanno colto il nostro lato migliore, di
riconoscere nell’altro un amico, oltre che un eterno rivale, di
essere parte di una squadra e di essere in grado di conservare un
pezzetto di quel messaggio che era stato seminato (leggi, appeso
alla parete dello spogliatoio) tanto tempo prima, in mezzo allo
scetticismo e allo scoramento.
La vita chiama
Il team di scrittura di
Ted Lasso (Brendan Hunt, Joe Kelly, Bill
Lawrence,
Jason Sudeikis,
Brett Goldstein, Phoebe Walsh, Jane Becker, Leann Bowen, Jamie
Lee, Bill Wrubel) si conferma una squadra incredibile, con
leggerezza e attenzione riesce sempre a trovare la lente apposita
attraverso cui raccontare un disagio, una rottura, un trauma, con
gli strumenti giusti, accarezzando i suoi personaggi e lo
spettatore, trasformando maschi tossici e vallette sgallettate in
uomini e donne consapevoli e gentili, senza mai forzare,
rispettando i caratteri costruiti sapientemente attraverso l’arco
della serie e dando loro il giusto spazio per crescere e trovare se
stessi.
Questa terza
stagione di Ted
Lasso ci racconta che “la vera partita è con se
stessi”, che la sfida vera da affrontare non è quella contro
la supremazia del Manchester City, o contro l’astioso West Hammer,
ma è con la vita stessa che sfreccia via, fuori dal campo e vuole
che saliamo a bordo per poterci trasportare nel suo flusso. Per
Ted, questo ha significato fare una pausa di tre anni dal suo
mondo, riprendere fiato, costruire una sua nuova famiglia,
tramandare un messaggio, sciorinare battute incredibili e dialoghi
brillanti, trovare un’amica per la vita e uno spogliatoio che può
chiamare casa, venire a patti con le sue crepe, i suoi dolori e la
sua inadeguatezza, e scoprire che tutte queste ferite erano state
riempite da una cascata di polvere dorata nelle sembianze di
Rebecca, di Coach Beard, di Trent, di Roy, di Nate, dei tifosi,
della barista Mae e di tutta la squadra che ha imparato ad amarlo.
E ora, forte di questo restauro, cambiato per sempre, bellissimo
con tutte le sue ferite, torna a casa, perché la vita chiama e suo
figlio è lì ad aspettarlo, a corrergli incontro felice, perché
adesso finalmente tutto è al suo posto e il puzzle è completo.
Scende in campo la
musica
Puzzle ricchissimo avanti
e dietro le quinte, Ted Lasso non è solo un gruppo
di geniali sceneggiatori che affidano brillanti battute a
telantuosi attori. È vetta della comicità in televisione
(Ziggy Stardust non sarà mai più lo stesso), è
ispirazione tecnica messa al servizio della storia, è una
fotografia accogliente e riconoscibile, e soprattutto è una colonna
sonora che impreziosisce e accompagna ogni momento, rendendolo
indimenticabile, accostando l’illuminazione del burbero Roy Kent
all’arcobaleno dei Rolling Stones nel quinto
episodio della seconda stagione; Adriano Celentano
e Jesus Christ Superstar come fossero stati creati
per stare insieme in quella sequenza spettacolare del terzo
episodio della terza stagione, oppure Cat Stevens e
i Flaming Lips nei commoventi minuti di commiato
dal AFC Richmond.
Non era facile dire addio
a questi personaggi, eppure il finale di Ted
Lasso lascia la sensazione che tutto sia andato al
posto giusto, che i personaggi siano adesso in grado di affrontare
la vita e le loro prossime sfide con gli strumenti giusti,
consapevoli che va bene anche rompersi, va bene anche sbagliare,
purché non si perda mai di vista la leggerezza, la capacità di
ricominciare, “senza avere macigni sul cuore”, come un pesce
rosso.