La vicenda umana e sportiva di
Lance Armstrong ha scosso non solo uno sport che
lui stesso aveva contribuito a crescere e prosperare, ma tutta una
generazione che credendo in un simbolo della lotta contro il
cancro, un campione dello sport e un personaggio pubblico dedito
all’impegno e alla fatica, si è poi trovata di fronte un impostore,
una manzogna.
Con la regia di Stephen
Frears, questa incredibile storia diventa un film,
The Program, con protagonista Ben
Foster in una straordinaria interpretazione mimetica per
diventare il campione della truffa più grande mai perpetrata nel
mondo dello sport.
Ripercorrendo la
carriera, la malattia e poi il fulgido percorso trionfale che portò
Armstrong a vincere sette Tour de France in sette anni, il film
racconta con precisione non solo la storia del “programma” seguito
dall’atleta che aveva sconfitto il cancro, ma anche la lotta
continua di un uomo, il giornalista David Walsh, che intervistò
Lance prima che prendesse parte al suo primo giro e prima della sua
malattia, e che da subito sospettò che qualcosa in quell’arrogante
e sicuro ciclista americano non quadrasse.
Il racconto di Frears non elogia e
non denuncia, espone i fatti ponendo l’accento sulle relazioni tra
Armstrong e i media, ma soprattutto evidenziando il suo rapporto
con i compagni di squadra, quel team che con lui aveva il compito
di portare avanti il “programma” per la vittoria del singolo. In
questo frangente diventa infatti importante la figura di Floid
Landis (Jesse Plemons), componente della squadra
che vuole a tutti i costi essere come Lance e che ci riesce solo
quando il primo si ritira, scontrandosi poi con i controlli
antidoping e risultando successivamente positivo al testosterone.
Perché nessuno aveva la volontà e la sistematicità di Armstrong,
nessuno riusciva a seguire il programma come lui, nessuno aveva il
possente scudo del cancro dietro cui si nascondeva e,
paradossalmente, grazie al quale ha anche realizzato qualcosa di
giusto e buono per chi, come lui, era affetto da questo grande
male.
Nonostante le grandi
epopee cinematografiche raccontate da Frears negli ultimi anni, il
film si riduce a essere una cronistoria, un racconto piuttosto
fedele e documentaristico di ciò che accadde tra il 1993 e il 2013,
quando in un’intervista con Oprah Winfrey, il
corridore ex campione iridato ha confessato che la sua è stata una
storia perfetta, magnifica, ma completamente falsa.
Quello che resta della storia vera,
e anche del film di Frears, è un personaggio complesso, menzognero
eppure per certi perversi aspetti positivo, per quello che riguarda
il suo impegno contro il cancro, quello forse genuino e unica vera
battaglia che Armstrong abbia vinto in tutta la sua vita.