Il reality show di culto che è
diventato un fenomeno di costume negli Stati Uniti, dando vita a
innumerevoli spin-off, arriva anche in Italia: da domani
suSky “LE KARDASHIAN”,
lo show che segue la vita di una delle famiglie più high-profile di
Hollywood.
Creatore e produttore esecutivo
della serie è Ryan Seacrest (conduttore di
American Idol e co-conduttore di LIVE with Kelly and
Ryan). Le star dello show sono le sorelle Kourtney
Kardashian, Kim Kardashian West e
Khloé Kardashian, insieme alle sorellastre
Kendall e Kylie Jenner e alla
loro “Momager” Kris Jenner. Kris, Kim, Kourtney e
Khloé sono anche produttrici esecutive della serie.
Dal 2007 il reality segue gli alti
e i bassi delle loro vite personali e professionali, i matrimoni e
le rotture, le nascite dei loro figli, tensioni familiari e momenti
felici. Uno sguardo senza filtri nelle loro vite che è il segreto
del loro impero mediatico. Le cinque sorelle sono diventate
celebrities, trendsetter, influencer, imprenditrici con le loro
linee di moda o di cosmetica, regine assolute del jet set
internazionale. Insieme raccolgono un totale di quasi 600 milioni
di followers su Instagram, 170 milioni su Twitter e 100 milioni su
Facebook.
Giunto alla 17° stagione negli
Stati Uniti, in Italia si comincia dalla 13. “Le
Kardashian” è da domani, 21 ottobre, tutti i giorni dal lunedì al
venerdì, alle 18:45 su Sky Uno(canale 108, digitale
terrestre canale 455). Disponibile on demand,
visibile su SkyGo – su
smartphone, tablet e PC, anche in viaggio nei Paesi dell’Unione
Europea – e in streaming su NOW TV.
“LE KARDASHIAN” È IN
ONDA A PARTIRE DAL 21 OTTOBRE DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ ALLE 18:45 SU
SKY UNO (CANALE 108, DIGITALE TERRESTRE CANALE 455), SEMPRE
DISPONIBILE ON DEMAND, VISIBILE SU SKY GO – SU SMARTPHONE, TABLET E
PC, ANCHE IN VIAGGIO NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA – E IN STREAMING
SU NOW TV.
Francis Ford
Coppola si unisce alla querelle che
vede “schierato” Martin Scorsese contro i
cinecomic della Marvel. Il regista di
Apocalypse Now ha supportato le
dichiarazioni del collega ed amico.
“Quando Martin Scorsese dice che
i film Marvel non sono cinema, ha ragione, perché ci aspettiamo di
imparare qualcosa dal cinema – ha spiegato Coppola – Ci
aspettiamo di ottenere qualcosa che sia illuminazione, conoscenza,
ispirazione. Non vedo in che modo qualcuno possa ottenere qualcosa
guardando e riguardando sempre lo stesso film. Martin è stato anche
gentile quando ha detto che non è
cinema.Non ha detto che sono spregevoli e lo dico
io”. Chiude, in maniera chiaramente provocatoria.
Francis Ford
Coppola vs cinecomic, dalla parte di Scorsese
A chiusura del suo intervento, a
Lione, dove è stato insignito di un riconoscimento per il suo
contributo al cinema, Coppola ha dichiarato di essere al lavoro sul
suo progetto più impegnativo,
Megalopolis, che ha in cantiere da circa
vent’anni.
“Vorrei fare un film
sull’espressione umana di quello che è il paradiso in terra –
ha detto – Direi che si tratta del mio film più ambizioso al
quale ho lavorato, più di Apocalypse Now. Credo che costerebbe più
di Apocalypse Now”.
Chissà cosa ne pensano i vertici
Marvel Studios di questa posizione così decisa di Francis
Ford Coppola nei confronti del genere cinema che ha
guadagnato di più nel corso degli ultimi dieci anni.
Celebre per il suo
Prima della pioggia, Leone d’Oro alla 51ª
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista
macedone Micho
Manchevski presenta ora alla Festa del Cinema
di Roma il suo nuovo film, intitolato
Willow. Girato tra la Macedonia del Nord
e l’Ungheria, la pellicola è suddivisa in tre storie, ognuna delle
quali con protagonista una donna. Tre storie agrodolci che
esplorano i temi dell’amore, della fiducia e della maternità.
La prima di queste è ambientata nel
Medioevo, dove un’anziana donna si offre di aiutare una giovane
coppia che non riesce a concepire. In cambio chiederà tuttavia il
loro primogenito. Nelle due storie successive, ambientate in epoca
contemporanea, si affronteranno invece le questioni riguardanti la
fecondazione assistita e l’interruzione della gravidanza, il tutto
attraverso gli occhi di due sorelle.
Willow, il desiderio di
maternità
“Willow” è il termine inglese per
la pianta salice, il cui significato più comune è quello di dolore
e lacrime. Non a caso, dunque, è un elemento così ricorrente
all’interno del film. Questo attraversa le storie messe in scena
nel film, le congiunge spazialmente e tematicamente. E numerosi
oltre a questo sono i richiami presenti tra i tre episodi, oggetti
o avvenimenti che ritornano e si ripresentano sotto differenti
declinazioni, ma tutti mirati a narrare della medisima cosa, ovvero
del desiderio di maternità, di come questo germogli e si sviluppi,
di cosa renda davvero “madri”.
Si parte da un primo episodio
ambientato in un indefinito periodo medievale, dove si parla di
maledizioni, rituali da eseguire e forte devozione nel divino. Un
episodio visivamente affascinante, che cattura inizialmente per i
suoi spazi e per i sentimenti primordiali che animano i personaggi,
capaci di macchiarsi di terribili peccati pur di preservare ciò
amano. Da qui si viene bruscamente catapultati per le strade di una
città di oggi, dove quei peccati sembrano ricadere sui discendenti
di chi li ha commessi. Sono cambiati i tempi, ma il desiderio di
maternità rimane invariato, costretto tuttavia ad affrontare nuove
sfide.
Ed è finalmente qui, con il secondo
e terzo episodio che il regista può spalancare le porte allo
spettatore, permettendogli di entrare nel suo mondo. Di scontrarsi
con le vite apparentemente normali di due donne, le quali portano
tuttavia su di loro i segni di quell’antico peccato, costrette a
vivere le incertezze date dal complesso mondo della fertilità
oggi.
Il regista cerca allora di
raffigurare nella maniera più semplice e fedele possibile i drammi
di chi si trova a vivere una tale situazione, e lo fa mettendosi al
servizio della storia, senza forzare la mano dell’autore ma
lasciando che siano i personaggi a lasciar trasparire la storia. Il
risultato è uno struggente ritratto che scava alle radici del
desiderio di essere madre, portando alla luce una verità
rintracciabile anche nel tematicamente simile Un affare di
famiglia, il film del regista giapponese
Hirokazu Kore’eda vincitore della Palma d’Oro al
Festival di Cannes 2018.
Willow: cosa fa di una donna una
madre?
Pur trattando temi attuali come la
fecondazione assistita, l’aborto, l’adozione e quant’altro sia
legato al fragile mondo della maternità, il film si concede il
piacere di non apportare un giudizio morale a tutto ciò. Al
contrario sempre più appare chiaro quello che sembra essere il
cuore del film, racchiuso nell’ultimo breve ma intenso episodio del
film. Il regista compie un lungo percorso per arrivarvi, talvolta
rischiando di depistare lo spettatore, ma arriva infine a porre,
senza pronunciarla esplicitamente, la domanda su cosa faccia di una
donna una madre. È sufficiente avere un figlio per diventare tale?
La risposta sembrerebbe negativa, ed è tutt’altro che scontata.
Quella che appare come l’unica vera
madre del film è anche l’unica che non lo è di sangue. L’essere
madre allora sembra derivare non esclusivamente dall’atto di
generare, ma anche dal rapporto che si costruisce con il proprio
figlio. Dal dolore e dagli affanni, dalle preoccupazioni e dai
sacrifici che si compiono in suo nome. È proprio per questo che nel
chiudersi con un campo e controcampo del sorriso reciproco di madre
e figlio, il film trova un suo compimento naturale, ed emotivamente
toccante.
Il grande pubblico la conosce come
Lady Mary, l’aristocratica snob, figlia primogenita di Lord
Grantham, nella serie Downton Abbey. E proprio per
presentare il film, tratto dalla serie, che l’attrice inglese
Michelle Dockery è arrivata a Roma, alla Festa del
Cinema, in compagnia di Jim Carter e
Imelda Staunton, anche loro nel cast del film
scritto da Julian Fellows, ideatore della
serie.
Bella proprio come Lady Mary, ma
nient’affatto snob, la Dockery ha incantato il pubblico
dell’Auditorium con grazia e simpatia, indossando un magnifico
Valentino floreale. Ecco gli scatti dal red carpet:
“Meriti il premio anche solo per essere te stesso. Sei un
attore straordinario, potresti fare qualsiasi cosa caro
Bill motherfucker Murray”. Jim
Jarmush sintetizza in poche parole l’amico e interprete
dei suoi Coffee and Sigarettes, Broken Flowers e I morti non
muoiono premiato ieri alla Festa del Cinema di Roma
nientemeno che da Wes Anderson in persona. Sul
palco, insieme al regista che l’ha diretto nove volte, è
intervenuta anche Frances McDormand (“Sono qui
per te, Bill, perché tu ci sei sempre stato per me”), corsa ad
abbracciare Murray tra lo stupore del pubblico in quella che verrà
ricordata come una delle serate più anarchiche e fuori controllo
della manifestazione romana.
Il
pubblico borbotta per il ritardo (40 minuti) e la mancata
traduzione degli ospiti, Murray gigioneggia come sempre e Anderson
conduce l’incontro raccontando aneddoti divertenti sulla
lavorazione di Rushmore, Le avventure acquatiche di
Steve Zissou e Moonrise Kingdom, passando in rassegna
una carriera inaugurata nel 1979 da Polpette di Ivan
Reitman: “Ricordo che all’epoca Ivan era preoccupato per il
risultato finale…ci disse che in caso l’avremmo fatto vedere ai
turchi. Fortunatamente funzionò al botteghino, ma la sera ero così
stanco che mi mettevo un disco e mi addormentavo prima dell’ultimo
brano”, dice la star a proposito della sua prima
collaborazione con l’autore di
Ghostbusters.
Ancora
sul rapporto con Anderson l’attore spiega che “Una volta Wes mi
spiegava i personaggi che avrei interpretato. Ora non più.
Semplicemente ci sediamo a prendere un aperitivo, ci guardiamo e
pensiamo o di ordinarne un altro o di parlare del film. L’ultima
volta che mi hanno dato una sceneggiatura mi hanno chiesto se
volevo incontrare il regista…Ho risposto solo no“. C’è tempo
per ricordare colui a cui deve il successo, John
Belushi, e i registi che più hanno “fondato” l’ultima
parte della carriera, Sofia Coppola e Jim
Jarmusch.
La
cerimonia si chiude nel segno dei messaggi sociali, con Murray che
invita i romani a “prendersi cura della città, costruita grazie
al lavoro degli altri nell’antichità e da quelli che sono venuti
prima. Oggi non vi resta che amarla e io mi sento oggi così, come
loro, rispetto al cinema”.
In una stanza di Buckingham Palace,
una mano verga una missiva, è diretta a Downton
Abbey, a Casa Crawley, dove il conte e la contessa di
Grantham verranno informati che il Re e la Regina intendono passare
una notte nella grande casa.
È questo l’innesco che dà il via a
Downton Abbey – il Film, il ritorno, dopo
tre anni, della serie ideata e scritta da Julian
Fellows che ci catapulta nel mondo dell’aristocrazia
inglese di campagna all’inizio del nuovo secolo, mentre il mondo
nobiliare sta scomparendo in favore di quello borghese nel post
Prima Guerra Mondiale. È il 1927 e la modernità irrompe nella
grande casa sotto forma di elettrodomestici, di cameriere
repubblicane e di maggiordomi omosessuali. E mentre si diffonde la
notizia della visita reale, sia upstair trai padroni che
downstairs tra la servitù serpeggia l’eccitazione per
l’importante avvenimento a Downton
Abbey.
Tanta ironia per Lady Violet
Alla regia c’è Michael
Engler, che aveva già firmato l’ultimo Christmas Special e
alcune delle puntate conclusive dell’ultima stagione, mentre alla
sceneggiatura sempre l’affilatissima penna di Fellows, che per
questo passaggio al grande schermo conferma una grandissima ironia,
affidata principalmente al personaggio di Lady Violet, ma anche la
sopraffina capacità di introdurre personaggi e sottotrame che
portano tutte ad una quadratura del cerchio, nonostante la giostra
emotiva che si attraversa per arrivarci.
Questa esperienza cinematografica è
una sorta di speciale di Natale, per struttura e durata, ma anche
un proseguimento della serie. Chi non ha mai visto lo show può
godere della bellissima scrittura, dei costumi, delle location e
degli interpreti, in un divertissement di due ore. Ma chi
ha visto la serie e arriva alla visione preparato, può godere della
trasformazione e del compimento di ogni personaggio, soprattutto
alla luce di quello che è stato il suo percorso nel corse dei sei
anni di serie.
Il compimento dei protagonisti di Downton
Abbey
Vediamo dunque una Anna risoluta e
trascinatrice, un Mr. Bates sorridente, una Lady Edith, ora
marchesa, consapevole di se stessa e che sfoggia una femminilità
sempre mortificata, un Lord Grantham serenamente arreso al
progresso, un Tom Branson finalmente pronto a proseguire con la sua
vita, pacificato con se stesso. Il ritorno a Downton
Abbey, dunque, è sì un nostalgico tour per i fan, ma anche
un valido prodotto cinematografico che delizia lo spirito e concede
calde lacrime e rumorose risate. Julian Fellows è
riuscito a sublimare il fan service, regalando allo spettatore
affezionato tutto ciò che ha sempre desiderato (pur non sapendolo)
senza abbandonare l’abitudine di toccare argomenti delicati e
socialmente impegnati con leggerezza (e mai con
superficialità).
Downton Abbey – il
film racconta il valore del lascito, dell’eredità, e
dell’impegno necessario per portarla avanti senza combattere contro
il tempo ma assecondandone il fluire, e accomodando ciò che si
incrina lungo il cammino. Un vero e proprio gioiellino per i fan
della serie, Downton Abbey spicca per la
raffinatezza della scrittura e per uno stuolo di attori
straordinari, che conoscono a menadito i personaggi e si impegnano
ad offrire sempre il loro lato migliore, quasi fosse lo spettatore
il vero regnante da compiacere.
Michelle Dockery, Jim
Carter e Imelda Staunton hanno presentato
il film di Downton Abbey, presente nella
selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2019. Di seguito
le foto dal tappeto rosso “animato” da figuranti abbigliati in
pieno stile anni ’20.
Lady Mary e Mr. Carson portano l’eleganza di Downton
Abbey al #RomaFF14
Cosa succederebbe se l’essere umano
potesse clonarsi, dando vita ad una perfetta replica di sé, con
tanto di ricordi ed emozioni in comune? La serie Living
With Yourself, disponibile su Netflix
dal 18 ottobre, propone una propria riflessione a riguardo,
affrontando il tema da un punto di vista particolarmente
affascinante. Con protagonista assoluto Paul
Rudd, nel doppio ruolo del protagonista, la serie è
ideata e scritta da Timothy
Greenberg, e diretta dalla coppia Jonathan
Dayton e Valerie Faris, già autori di
Little Miss Sunshine e La
guerra dei sessi.
La serie ruota intorno a Miles
Elliot (Paul
Rudd), pubblicitario in crisi personale, lavorativa e
famigliare. La soluzione ai suoi problemi arriva nel momento in cui
un collega gli fa scoprire un misterioso centro benessere grazie al
quale è possibile ritrovare un equilibrio e la pace esistenziale.
Miles deciderà così di sottoporsi al trattamento, ma nel momento in
cui qualcosa non va come deve, i suoi problemi sembreranno
raddoppiarsi.
Living With Yourself e la
difficoltà di essere sé stessi
Non è certamente un tema nuovo
quello proposto dalla serie. La clonazione è da sempre tra i
principali discorsi della fantascienza, e ha recentemente trovato
voce al cinema con il film GeminiMan. Tuttavia
la serie con Paul
Ruddnon è una storia di
fantascienza, bensì un delicato racconto su un desiderio recondito
di ognuno di noi, ovvero quello di delegare ad un “altro sé” tutto
ciò che non si ha voglia di fare, guadagnandone in tempo libero per
i propri piaceri. La serie si apre così presentando questa
struttura, alternando il punto di vista dei due Miles, quello
sfigato e quello di successo, ma è quando quest’equilibrio si rompe
che la serie acquista il suo vero fascino.
Si svela così il vero punto di
vista della serie, che ne è anche la forza, ovvero quello di
osservare la presenza del doppio protagonista con gli occhi di chi
gli è accanto. Ciò permette di arricchire la tematica e la storia
di nuovi elementi, che portano infine a parlare di ciò che
all’autore realmente sta a cuore. Perché nel momento in cui appare
chiaro che il focus non è tanto il difficile rapporto di convivenza
tra i due personaggi interpretati da Rudd, quanto quello con
colleghi, amici, e in particolar modo con la moglie, ad acquisire
importanza è l’amore per sé stessi e per gli altri.
Tutti infatti hanno desiderato
almeno una volta nella vita di poter essere migliori di come si è,
aspirando a modelli che il più delle volte sono soltanto semplici
distrazioni dal provare realmente ad essere la versione di sé che
si desidera. La difficoltà è infatti convivere con sé stessi, e la
serie propone questo aspetto sfruttando la metafora del clone, qui
utilizzato in chiave nuova e brillante.
Living With Yourself: tutt’altro
che una commedia
La presenza di Paul
Ruddpotrebbe certamente essere
fuorviante, facendo ipotizzare una nuova serie comedy con
protagonista un attore che in più occasioni ha provato le sue doti
in tal genere. Ma se anche non mancano momenti brillanti, ironici e
divertenti, Living With Yourself è ben
più di una semplice commedia, e acquista sempre più un sapore amaro
che facilmente sfocia in diverse occasioni in toni drammatici ed
emotivamente toccanti. Ed è così che Rudd svela anche nuove
sfumature, affermandosi come un attore dal buon potenziale
drammatico. Particolarmente efficace è poi la sua caratterizzazione
dei due identici ma diversi protagonisti. Rudd può confondere lo
spettatore riguardo a quale dei due dà vita in un dato momento, ma
sa anche rendere ben evidente le differenze per distinguerli.
Va inoltre la semplice eppur
efficace scrittura di Greenberg, che pur senza trovate estremamente
innovative sa plasmare la materia per dar vita ad un racconto
piccolo ma coinvolgente, scritto in modo tale da rendere chiaro in
poche scene chi sono i personaggi, quale è il loro atteggiamento e
quale il loro conflitto. Una serie di piccoli colpi di scena
conduce poi la serie fino alla sua risoluzione, che acquisterà
sempre più in emotività e fascino.
Quattro donne, due generazioni
diverse, una caratteristica: tutte e quattro bellissime. E la
bellezza è un mezzo per lavorare, per esistere, per riconoscersi,
attraverso gli occhi degli altri.
Nello stesso anno in cui ha
realizzato il documentario evento su Chiara
FerragniUnposted,
presentato alla Mostra del cinema di Venezia 76, Elisa
Amoruso realizza un secondo documentario sull’apparire, in
cui però l’avvenenza è l’unico mezzo di esistenza.
Bellissime
viene presentato nella selezione ufficiale della sezione parallela
della Festa del cinema di Roma, Alice nella città,
che come ogni anno seleziona pellicole attente ai giovani o a loro
dedicate, come appunto questo
documentario.
Nella vita delle tre sorelle
Giovanna, Valentina e Francesca, lunghi capelli biondi e una madre
esuberante e decisa esiste solo ciò che lo specchio rimanda
indietro, o che l’addetta al casting dice.
Il padre è una presenza fantasmatica
che è presente solo per fare andare avanti questa macchina, di cui
si scopre nello svolgimento del documentario, la madre è l’artefice
principale.
Foto, video, specchio. Poco altro
esiste. Non ci sono amici, scuole, attività che evadano dalla
continua e, agli occhi di chi guarda, soffocante ricerca di se
stesse attraverso l’occhio altrui.
Il riconoscimento, che la madre
delle tre ragazze non ha mai ricevuto da sua madre diventa un fuoco
che non si spegne, che le dà la forza per spostare ogni cosa per
fare in modo che le sue ragazze riescano, abbiano successo, vengano
notate.
Con una storia ordinaria di
provincia, la Amoruso parla di due generazioni: quella dei
millennial che sono nati e cresciuti nell’epoca del “video ergo
sum” e quella dei loro genitori, cresciuti nell’Italia del boom, ma
anche nell’Italia operaia e lavoratrice, fatta di persone che ora
hanno più forze e opportunità ma che si scoprono fragili e
affamate.
Questa è la distanza con il quasi
omonimo film di Luchino Visconti,
Bellissima, nel quale negli anni ’40 una
madre affamata ma di fame vera, spera che le qualità estetiche
della figlioletta possano aiutarla a portare il pane a casa,
letteralmente.
In questo caso, invece, la fame è
quella per l’identità, che è l’argomento di ricerca di questo
documentario, e non è una ricerca semplice, se non si hanno delle
basi forti.
Jim Carter e
Michelle Dockery, insieme ad Imelda
Staunton, sono stati i protagonisti del primo sabato di
Festa del Cinema di Roma 2019, dove hanno portato
Downton Abbey – Il Film. Gli attori, che
nella famosa e amata serie hanno interpretato il maggiordomo Carson
e Lady Mary Crawley, poi Talbot, sono stati accolti dai fan con
grande calore, dopo la proiezione del film per la stampa.
In merito al ritorno nei personaggi
di Carson e Lady Mary, Jim Carter e Michelle Dockery sono stati
concordi nel dire che è stato come ritrovare dei vecchi amici:
“Tornare dopo tre anni a Carson è stato emozionante ma anche
come tornare a casa, visto che per girare una stagione ci
impiegavamo sei mesi, e io rimanevo tutto questo tempo con il
personaggio. Sapevamo tutti quello che dovevamo fare, ed è stata
come una grande rimpatriata, come tornare a un momento molto felice
per molti di noi, il successo ha giocato un ruolo importante, voi
(ai fan) siete stati molto generosi. E tornare e constatare
l’accoglienza che è stata riservata al film, è stato
meraviglioso”.
“Ormai siamo una grande
famiglia, è stata come una rimpatriata – osserva Michelle
Dockery– ti sembra che non ti sia mai lasciato
indietro queste persone. E ripetere l’esperienza per il grande
schermo mi ha fatto sentire privilegiata. La reazione del pubblico
e della critica è stata calorosa, per noi.”
“È come a teatro – interviene
Carter – in cui si lavora con la stessa compagnia per un certo
tempo e si creano dei vincoli e dei rapporti. Era la versione
televisiva, e ora cinematografica, di una grande compagnia
teatrale. C’erano grande scene di gruppo, e tutti, da Sophie (la
cameriera Daisy, ndr) e Maggie Smith (Lady Violet, ndr), abbiamo
stretto amicizia. Questo nella tv non sempre si verifica.”
Imelda Staunton,
che nella vita reale è sposata con Jim Carter, ha
sempre visto lo show da vicino, tuttavia adesso ha avuto la
possibilità di entrare nella storia con un personaggio legato ai
Crawley. “Per me è stato un’enorme sorpresa essere invitata a
partecipare. Sapevo della serie per il mio rapporto personale con
Jim, ma è stato un piacere avere una linea narrativa così
importante. Ho lavorato con persone che conoscevo e con cui avevo
già lavorato, e questa è stata la ciliegina sulla torta. È stata
una bella sensazione uscire ed andare a lavorare con mio marito,
per tre giorni.”
La storia è stata costruita cercando
di coniugare l’esigenza di far “tornare a casa i fan” ma
anche quella di spettacolarizzazione, così la visita reale e lo
sfarzo che si sarebbe portata dietro sembravano la strada giusta da
intraprendere. Questo ha richiesto uno sforzo produttivo mai
affrontato prima, con la crew che si è avvalsa anche di un uomo che
aveva lavorato a Buckingham Palace come consulente.
“Credo che in un mondo in cui i
politici e la classe dirigente spesso manchi di dignità, è bello
fuggire in un mondo, quello di Downton Abbey, in cui gli uomini di
potere sono anche uomini di principio.” Ha concluso
Jim Carson.
Downton
Abbey arriverà al cinema il prossimo 24 ottobre,
distribuito da Universal Pictures.
Lucasfilm e il
regista J.J. Abrams uniscono ancora una volta le
forze per condurre gli spettatori in un epico viaggio verso una
galassia lontana lontana con
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, l’avvincente
conclusione dell’iconica saga degli Skywalker, in cui nasceranno
nuove leggende e avrà luogo la battaglia finale per la libertà.
Star
Wars: L’Ascesa di Skywalker arriverà nelle sale italiane
il 18 dicembre.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker,
comprende Carrie Fisher, Mark Hamill, Adam Driver, Daisy
Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Anthony Daniels, Naomi Ackie,
Domhnall Gleeson, Richard E. Grant, Lupita Nyong’o,
Keri Russell, Joonas Suotamo, Kelly Marie Tran e
Billy Dee Williams.
Scritto da J.J.
Abrams e Chris Terrio, Star
Wars: L’Ascesa di Skywalker è diretto da J.J.
Abrams e prodotto da Kathleen Kennedy, Abrams e
Michelle Rejwan, mentre Callum Greene, Tommy Gormley e
Jason McGatlin sono i produttori esecutivi.
È passato più di un decennio da
quando Dwayne “The Rock” Johnson è stato associato
per la prima volta nel ruolo dell’antieroe DC Comics Black
Adam e mentre, da allora, non c’è stato molto
movimento nella sua introduzione live-action, sembra che il recente
successo al box office di Shazam! abbia convinto Warner
Bros. e New Line a fissare finalmente una data di inizio per la
produzione.
In una recente interazione su
Twitter, Johnson ha rivelato che il suo film da solista su
Black
Adam comincerà ufficialmente la produzione nel luglio del
prossimo anno, cosa che suggerisce una probabile data d’uscita
intorno entro il 2021.
Mentre, con l’eccezione del
protagonista, non ci sono ancora notizie in merito al cast del
film, sappiamo che Jaume Collet-Serra (Jungle
Cruise; The Shallows) è già stato confermato alla regia
dell’adattamento DC con una sceneggiatura firmata da Adam
Sztykiel (Rampage; Undateable).
Very cool man, thank you.
Amazing detail.
This project has been with me for over 10yrs🖤⚡️
Production begins this July.
Appreciate the support.
#blackadam#dchttps://t.co/h8TPXMbcTx
Durante un’esibizione alla Royal
Albert Hall di Londra, il compositore Michael
Giacchino è stato raggiunto sul palco dal regista
Matt Reeves, che successivamente ha chiesto al
vincitore dell’Oscar se avrebbe firmato la colonna sonora del suo
prossimo film, The Batman, un’offerta che
Giacchino ha accettato con entusiasmo.
Giacchino e Reeves sono amici e
collaboratori frequenti, avendo lavorato insieme in ciascuno dei
quattro film precedenti di Reeves: Cloverfield, Let Me
In, Dawn of the Planet of the Apes e War
for the Planet of the Apes.
The Batman, che ha come protagonista
Robert Pattinson (The Lighthouse)
nel ruolo dell’eroe del titolo, è attualmente nel bel mezzo del
casting e ha recentemente aggiunto Jeffrey Wright(Westworld) come il commissario James Gordon, Zoë
Kravitz (Big Little Lies) come Selina Kyle /
Catwoman e Paul Dano (Escape at
Dannemora) nel ruolo di Edward Nashton / The Riddler.
Giacchino ha partecipato ad una
vasta gamma di film di successo, tra cui Spider-Man:
Far From Home, Spider-Man:
Homecoming, Jurassic World,
Jurassic
World: Fallen Kingdom, Mission: Impossible – Ghost Protocol,
Gli Incredibili, Sky High, Ratatouille, Up, Cars 2, John Carter,
Tomorrowland, Inside Out, Zootropolis, Doctor Strange, Rogue One: A
Star
Wars Story, Coco, Incredibles 2, Alias, Star Trek, Lost, Super
8, 50/50, Fringe, Star Trek: Into Darkness e
Star Trek Beyond.
A breve lo sentiremo anche in Jojo
Rabbit di Taika Waititi e nel sequel di Doctor Strange di Scott
Derrickson. The Batman arriverà nei cinema il 25 giugno
2021.
Ron Howard è stato
l’ospite d’onore durante la serata di venerdì della Festa del
Cinema di Roma 2019, dove il regista premio Oscar ha presentato il
suo ultimo documentario, Pavarotti,
sulla leggenda della lirica italiana e mondiale.
La quattordicesima edizione della
Festa del Cinema di Roma assegnerà domani, sabato
19 ottobre alle ore 17.30 presso la sala Sinopoli dell’Auditorium
Parco della Musica, il Premio alla Carriera a Bill
Murray: il riconoscimento sarà consegnato da Wes Anderson, il
regista che più di ogni altro ha contribuito a renderlo un’icona
della contemporaneità.
Prima della cerimonia, Wes
Anderson dialogherà con il suo attore feticcio, nel corso
di un Incontro Ravvicinato durante il quale i due amici
ripercorreranno le tappe principali del variegato percorso
artistico di Murray e del magico sodalizio che li lega e che li ha
visti collaborare in numerosi film: da Rushmore a I
Tenenbaum, da Le avventure acquatiche di Steve Zissou a
Il treno per il Darjeeling, passando per Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, Grand Budapest
Hotel e il più recente L’isola dei cani. Dopo il folgorante inizio nel mondo
della televisione, come protagonista del “Saturday Night Live”, è
il cinema a consacrare Bill Murray, prima con
Ghostbusters di Ivan Reitman e poi con una
serie di pellicole divenute veri e propri cult grazie, soprattutto,
alla sua presenza: da Ricomincio da capo di Harold Ramis a
Ed Wood di Tim Burton, da Broken
Flowers di Jim Jarmusch a Lost in Translation – L’amore
tradotto di Sofia Coppola che gli è valso il Golden Globe, il
Bafta e una nomination all’Oscar.
La quattordicesima edizione della
Festa del
Cinema di Roma che si terrà fino al 27 ottobre
con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla
Fondazione Cinema per Roma, Presidente Laura Delli Colli, Direttore
Generale Francesca Via. L’Auditorium Parco della Musica sarà il
fulcro dell’evento, con le sue sale di proiezione e il red carpet.
Come ogni anno, la Festa coinvolgerà numerosi altri luoghi della
Capitale, dal centro alla periferia.
Si sono ufficialmente concluse le
riprese di Ghostbusters 2020, terzo
capitolo del franchise scritto e diretto da Jason Reitman che vedrà
il ritorno del cast originale (Dan Aykroyd,
Bill Murray, Ernie Hudson
e Sigourney Weaver) più le new entry McKenna
Grace, Finn Wolfhard, Carrie Coon, Paul Rudd, Bokeem Woodbine
e Celeste O’Connor ). A testimoniarlo è la foto che
trovate qui sotto pubblicata da una delle attrici su Twitter.
Vi ricordiamo che la pellicola sarà
il sequel diretto dei due Ghostbusters diretti da Ivan Reitman e
che non avrà nessun collegamento con il reboot al femminile di
Paul Feig del 2016 e che la trama dovrebbe ruotare
attorno alle vicende della giovane protagonista interpretata
dalla Grace, e della sua famiglia formata
dalla madre e dal fratello.
Il regista ha definito il progetto
come “una lettera d’amore ai fan, che sinceramente, fino a
qualche tempo, fa non credevo fosse possibile…d’altronde ero solo
un ragazzo che girava pellicole indipendenti per il Sundance.
E poi è arrivato questo personaggio, una ragazzina di dodici
anni. Non sapevo chi fosse, o perché mi fosse saltata in testa, ma
l’ho vista con un pacchetto di protoni e la storia ha cominciato a
formarsi“.
“Abbiamo contattato tutti gli
attori del cast originale, la troupe, insomma le persone che hanno
contribuito a realizzare Ghostbusters, proprio per conservare lo
spirito della saga.” ha spiegato il regista. “Non posso
dirvi niente, tranne che sarà una storia nuova, con nuovi
personaggi e una nuova location. Spero solo che i fan li
amino quanto me, perché sono straordinari, e non vedo l’ora di
presentarveli“.
L’annuncio arriva direttamente da
Dwayne “The Rock” Johnson su Twitter: l’inizio
della produzione di Black
Adam è fissato a Luglio 2020. Dunque in linea con
le dichiarazioni del produttore Hiram Garcia della
scorsa estate, sembrerebbe tutto pronto per le riprese del
cinecomic spin-off di Shazam! che vedrà protagonista l’attore nei
panni del supereroe.
“Questo è il progetto che
sognavo di realizzare da dieci anni”, scrive Johnson in
risposta ad un fan che aveva condiviso una meravigliosa fanart.
“La produzione inizierà il prossimo Luglio“. Vi ricordiamo
che la New Line Cinema ha scelto Jaume
Collet-Serra (Run all night, The Shallows) per
dirigere il film, nome caldamente consigliato dalla star.
“Jaume è un vero talento, e uno
dei registi migliori con cui abbia mai lavorato. Non solo ha
talento, ma è anche un collaboratore e un visionario incredibile. E
quello che abbiamo in serbo con Black
Adam per i fan mi rende entusiasta” aveva dichiarato
Garcia. Personalmente sono orgoglioso di essere un fan boy, ho
iniziato come appassionato e poi sono diventato un produttore,
quindi cerco di rimanere aggrappato a quel DNA. La sua visione di
ciò che vogliamo fare con Black Adam è fantastica e l’accordo è
quasi chiuso. È pronto a partire, e penso che i fan saranno davvero
felici.“
Very cool man, thank you.
Amazing detail.
This project has been with me for over 10yrs🖤⚡️
Production begins this July.
Appreciate the support.
#blackadam#dchttps://t.co/h8TPXMbcTx
Il progetto originale della Warner
Bros. su Shazam! aveva previsto l’epico scontro
tra il supereroe e la sua nemesi, Black
Adam, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura per
dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla sua origin
story. E come annunciato nei mesi scorsi, i piani per portare
al cinema uno standalone con Johnson sono ancora
vivi, e a quanto pare il film dovrebbe ispirarsi ai lavori
di Geoff Johns dei primi anni Duemila.
“Questo progetto ha comportato
dei rischi, ed è stato una sfida. Anni fa volevamo introdurre due
origin story in un’unica sceneggiatura, e chi conosce i fumetti e
la mitologia dei fumetti saprà che Shazam è collegato a Black
Adam.” aveva raccontato l’attore in un video. “Questo
personaggio è un antieroe, o villain, e non vedo l’ora di
interpretarlo. Stiamo sviluppando il progetto che è nel mio DNA da
oltre dieci anni. Dovremmo iniziare a girare in un anno e non
potrei essere più eccitato all’idea“.
Robert Zemeckis è
in trattative iniziali per dirigere il live action di Pinocchio
in produzione alla Disney.
Andrew Miano e Chris Weitz
produrranno il film con la loro compagnia Depth of
Field con Weitz che scriverà la sceneggiatura. Il regista
di Paddington, Paul King, era stato
inizialmente scelto per dirigere, ma all’inizio dell’anno ha dovuto
abbandonare il progetto per ragioni sconosciute. Anche
David Heyman, che era a bordo per la produzione,
non è più coinvolto nel film.
Sebbene l’accordo non sia ancora
concluso, Zemeckis si aggira intorno al progetto dalla scorsa
estate. Stava ancora lavorando al suo nuovo adattamento de
Le Streghe per la Warner Bros e non
voleva impegnarsi in un nuovo film fino a quando quel film non ha
fatto ulteriori progressi nella produzione.
Con Le Streghe in post-produzione,
Robert Zemeckis ha iniziato pensare che non è
prematuro approcciarsi a Pinocchio.
Il famoso regista ora cercherà di orientare il processo di casting,
in particolare cercando di trovare il suo Geppetto, ruolo per cui è
stato fatto il nome di Tom Hanks, ma alla fine ha passato.
Il film d’animazione originale
racconta la storia di un burattino vivente che, con l’aiuto di un
grillo parlante in qualità di coscienza, deve dimostrarsi degno di
diventare un ragazzo vero. Il film si aggiunge alla lunghissima
lista di live action prodotti e in produzione da Disney, basti
pensare che solo quest’anno sono usciti Dumbo, Il Re
Leone e Aladdin, e gli
ultimi due sono stati dei successi al box office.
Negli ultimi anni, Zemeckis è stato
più concentrato su film drammatici destinato ad un pubblico di
adulti, come Flight o Allied, o ancora il
bellissimo Benvenuti a Marwen, rispetto
ai grandi blockbuster per tutta la famiglia che ha firmato nel
corso della sua carriera. Il suo prossimo film sarà il nuovo
adattamento de Le Streghe con Anne Hathaway.
Per quanto riguarda invece
Pinocchio, a Natale arriverà al cinema,
in Italia, la versione di Matteo Garrone, mentre
negli Stati Uniti sono in produzione una versione in live action
con Robert Downey Jr. nei panni di
Geppetto, e un progetto guidato da Guillermo Del
Toro che forse troverà il suo spazio produttivo su
Netflix.
“Come vorresti essere ricordato
tra cent’anni? – Come un cantante che ha portato l’opera alle masse
– E invece come Pavarotti uomo?” È a partire da questa
fondamentale domanda che il regista premio Oscar Ron Howard costruisce il
suo nuovo film documentario, intitolato Pavarotti, e
dedicato al celebre tenore italiano. Il film, presentato
all’interno della selezione ufficiale dell’edizione 2019 della
Festa del Cinema di Roma, è un nuovo tassello
all’interno della variegata carriera del regista, che negli anni ha
affrontato ogni sorta di genere, dalla fantascienza al film
storico.
Il documentario ripercorre l’intera
vita di Luciano Pavarotti, dalle origini ai primi
successi e fino alle esibizioni sui palchi più importanti del
mondo. Attraverso un vasto repertorio di materiali d’archivio, il
regista ricostruisce tanto il percorso dell’artista quanto quello
dell’uomo. Importanti sono infatti anche le interviste alle due
mogli, alle tre figlie, e ai numerosi amici e collaboratori, i
quali raccontano lati nascosti, inaspettati e commoventi dell’amato
cantante.
Pavarotti, dalla nascita alla
consacrazione del mito
Luciano Pavarotti è uno dei cantanti
globalmente più popolari, il quale per buona parte della sua vita
ha perseguito il desiderio di portare l’opera, normalmente
considerato un genere difficile e di nicchia, alle grandi masse. Si
può dire che vi sia riuscito con successo, divenendo egli stesso
una vera e propria “rockstar”. Howard, dal canto suo, insegue il
desiderio di comporre il ritratto appassionato di un uomo buono,
premuroso, misterioso e non privo di lati oscuri.
Il regista non manipola le immagini,
non le utilizza per costruire la sua idea di Pavarotti, ma cerca di
riproporlo nel modo più naturale, tanto nei suoi giorni migliori
quanto in quelli in cui il tenore si sentiva più vulnerabile.
Perché è proprio dal dolore che può nascere l’arte, ed è per questo
che Howard scava per rintracciare quanto della vita privata abbia
influito su quella artistica e pubblica.
Un proposito interessante questo,
frenato soltanto dalla struttura stessa del documentario, che non
si distacca dall’agiografia e segue in modo piuttosto
pedagogico e lineare il percorso di vita di Pavarotti. Per
una personalità così popolare ciò appare tuttavia limitante,
permettendo di fare una scorpacciata di fatti e curiosità, senza
però soffermarsi in maniera approfondita su di essi. Ciò appare
ancor più forte nel momento in cui, ad esempio, viene raccontato
del celebre concerto di Pavarotti insieme a Placido Domingo e José
Carreras, avvenuto alle Terme di Caracalla nel 1990.
La storia di questo particolare
concerto, ciò che ha significato e il modo in cui i tre tenori si
sono misurati e sfidati l’un l’altro, è in grado di catturare
l’attenzione molto più di tante altre dispersive sequenze. Il
risultato finale del documentario non è tuttavia privo di un certo
fascino, ma ha quantomeno il pregio di permettere a tutti di
potersi avvicinare alla figura di Pavarotti, amanti dell’opera e
non.
Pavarotti: un documentario
costruito sulla voce
Per quanto la scelta di fare un
excursus più o meno completo sulla vita del tenore non sia errata,
questa svela tuttavia l’attaccamento ad un canone che rivela i suoi
limiti non presentando particolari motivi di attrattiva, e offrendo
invece poco di aspetti che potevano da soli essere protagonisti del
film. Uno di questi è certamente la voce.
È difficile non riconoscere che la
voce di Pavarotti sia il vero intrattenimento del film. Così
precisa, pulita, capace davvero di risuonare nel cuore degli
spettatori che basterebbe quella a rendere superflua qualsiasi
altra divagazione. La voce, come affermava lo stesso tenore, era la
sua prima donna, il grande amore, ed è proprio questa a tenere alto
l’interesse nei confronti del film.
Quella voce che veniva influenzata
molto dagli eventi privati della vita del cantante, tanto da
risultare straziante nel brano Ridi pagliaccio e
invincibile in Nessun dorma. Quella voce che probabilmente
svela meglio di qualunque parola o immagine l’uomo che la emetteva,
che sapeva controllarla e utilizzarla come il suo strumento
privilegiato. Alla domanda all’inizio del film, dunque, Howard
lascia rispondere lo stesso Pavarotti, grato per molto, rammaricato
per tanto altro. Alla sua voce, dunque, affida lo svelamento di sé
stesso, lasciando così decadere il fazzoletto del cantante che
copriva il volto dell’uomo dietro di esso.
Naomie Harris è in
trattative per interpretare Shriek, il nuovo villain al fianco di
Carnage in Venom
2, che vedrà Tom Hardy nei panni
dell’eroe alternativo del titolo. Andy Serkis
dirigerà il film e sia Michelle Williams che
Woody Harrelson riprenderanno i loro ruoli.
Shriek è stata strettamente
associata a Carnage sin dalla sua introduzione in Spider-Man
Unlimited No. 1 (maggio 1993) come parte della saga di “Maximum
Carnage”. Al momento la produzione sta cercando l’interprete per
questo nuovo personaggio.
Venom,
diretto da Ruben Fleischer e interpretato da
Tom Hardy, è stata la sorpresa tra molti film di
supereroi del 2018. La produzione di $ 100 milioni ha accumulato $
856 milioni al botteghino globale, con tanto di ricchissimo weekend
di apertura di $ 111 milioni in Cina, tanto che il film detiene il
debutto più forte di tutti i tempi per un’uscita Sony nel più
grande mercato del mondo.
Fleischer, regista di
Zombieland: Doppio Colpo, ha passato la
mano del franchise e ora sarà Andy Serkis a girare
il sequel che non ha ancora un titolo ufficiale.
Hardy ritornerà nel ruolo di Eddie
Brock, un giornalista dai modi un po’ rudi che viene in contatto
con un organismo extraterrestre che si fonde con il suo corpo per
creare la superpotente bestia chiamata Venom. Nei fumetti, quello
stesso organismo dà anche a Kasaday la facoltà di tramutarsi in
Carnage.
Scary Stories to Tell in the Dark di
André Øvredal arriva in Italia il prossimo 24
ottobre, in tempo per la settimana di Halloween e il momento
migliore dell’anno per raccontare le storie spaventose del titolo.
Scritto e prodotto da Guillermo Del Toro, il film
è un perfetto mix tra avventura per ragazzi e cinema di genere
nella sua accezione più “rassicurante”, capace di giocare con gli
archetipi senza mai cadere nello stereotipo.
Corre l’anno 1968 negli Stati
Uniti, il Paese è in fermento, la guerra in Vietnam imperversa e le
elezioni di Nixon sono imminenti, ma e il vento del cambiamento
sembra non intaccare la cittadina di Mill Valley, sulla quale,
ormai da generazioni, incombe la lunga ombra della famiglia
Bellows. La loro dimora, ormai in rovina, sorge ai limiti della
città e si dice essere infestata dal fantasma di Sarah, la figlia
più piccola che in seguito a una misteriosa reclusione, si impiccò
dentro la casa stessa.
La leggenda narra che Sarah fosse
dedita alla magia nera e con le sue storie dell’orrore causasse la
morte dei bambini del villaggio. Niente di più invitante, dunque,
per Stella, Chuck, Auggie e Ramon che una visita alla casa stregata
durante la notte di Halloween, ma qualcosa va storto e i ragazzini
capiranno che non si scherza con le leggende e che certe storie
possono essere molto molto pericolose.
Scary
Stories è un horror per ragazzi con un grande
cuore
Scary Stories to Tell in the Dark è un
piatto innovativo ma con sapori conosciuti, un miscuglio di
archetipi del genere accostati, giustapposti, intrecciati con
grande maestria, grazie a una scrittura sapiente e una regia che si
diverte a giocare con lo spettatore e con i protagonisti, ragazzini
bellissimi con attaccate sul volto espressioni d’altri tempi.
Nell’essere un chiaro figlio del
cinema per ragazzi degli anni ’80, Scary Stories omaggia
anche il genere horror puro e classico, senza trascurare mai
l’aspetto emozionale della storia, principalmente veicolato dalla
protagonista, Stella, interpretata dalla giovane e promettente
Zoe Margaret Colletti.
Il film tenta anche un
approfondimento storico legato alla guerra in Vietnam, una specie
di film dell’orrore reale, dove a morire sono i giovani mandati in
guerra, cosa di cui ha paura Ramon, ragazzo che spera di sfuggire
al servizio di leva. Tuttavia questo aspetto viene soltanto
accennato, senza mai essere approfondito, mentre la scrittura
preferisce addentrarsi nel significato e nel valore delle
storie.
Il valore delle storie
“Una storia può ferire, una
storia può guarire, e se la ripeti più volte, una storia può
diventare vera”. Lo scoprono i ragazzini e ne pagheranno caro
il prezzo, e lo scopre Stella che si assume la responsabilità del
suo sogno di diventare narratrice di storie, liberando non solo
l’anima della sventurata Sarah, ma anche permettendo a se stessa di
sbocciare.
Dei ragazzini coraggiosi, un libro
incantato, una leggenda oscura, una casa stregata, la notte di
Halloween, sembrano esserci tutti gli elementi giusti in
Scary Stories to Tell in the Dark, il
nuovo film diretto da André Øvredal (Autopsy) e
scritto e prodotto da Guillermo Del Toro. Elementi
giusti per un horror per ragazzi che però non ha paura di diventare
davvero cattivo, nonostante i protagonisti siano dei
Goonies moderni a caccia di (o meglio, cacciati da)
fantasmi.
Il film è ambientato durante la
Guerra del Vietnam, e all’alba dell’elezione di Nixon. Era il 1968,
negli Stati Uniti, un periodo molto particolare, secondo il regista
Øvredal: “Senz’altro c’è un sotto testo
politico nella storia, ma non lega necessariamente i ragazzi al
Vietnam. Si tratta comunque di un’epoca molto politica nella storia
degli Stati Uniti e non solo. Ci sono anche questi elementi nel
film.”
Scary Stories to tell
in the Dark prende spunto da una omonima raccolta di
racconti che racchiude moltissime storie, alcune di esse sono state
prese e assemblate intorno a una struttura narrativa per creare la
macro racconto del film: “Le storie sono state scelte in
sceneggiatura prima del mio ingresso nel progetto – ha
spiegato il regista – chi ha scritto la sceneggiatura aveva
come riferimenti un certo contesto operando una scelta tra
centinaia di storie presenti nell’originale. Ci sono storie che
sono state scartate, altre che invece sono entrate dopo. Quelle che
sono rimaste sono state quelle che abbiamo pensato essere le
migliori per far emergere i caratteri dei personaggi, affinché la
storia fosse più coesa.”
Scary Stories to tell in the Dark è un omaggio ai film
per ragazzi degli anni ’80
Come accennato prima, il film
sembra una sorta di rilettura in chiave esplicitamente horror di
quei film, esplosi negli anni ’80, che raccontavano avventure per
ragazzi, l’ennesima declinazione di quei temi, che deve un po’ del
suo appeal a Stranger Things o anche al remake di
It: “Questi ragazzi vivono un’avventura e sono contento
che questo tipo di film sia tornato in auge, visto che un tempo era
molto di moda. Per Del Toro, questo è un horror umanistico, e io
sono d’accordo, perché l’intenzione era quella di raccontare una
storia che fosse umana, prima di tutto, volevamo che il pubblico si
innamorasse dei personaggi. Volevamo fare un film con un grande
cuore, cosa che unisce tutti i film di Guillermo.”
Scary Stories to tell in the Dark
arriva al cinema il prossimo 24 ottobre distribuito da Notorius
Pictures.
Ospite alla Festa del cinema
di Roma 2019, Edward Norton ha commentato
le dichiarazioni di Martin Scorsese in merito ai
cinecomic. Norton ha fatto parte del genere cinematografico prima
che fosse di moda ed ha portato sul grande schermo l’Incredibile
Hulk, ma rispetto a ciò che ha detto Scorsese sembra avere le idee
molto chiare.
“Lui è immerso nel cinema più di
chiunque altro. Credo che Martin Scorsese sia uno degli essere più
addentro alla propria materia che esista sul Pianeta. Ha guadagnato
sul campo il diritto di avere tutte le opinioni che vuole sul
cinema. Ma penso anche che le sue parole non vadano prese fuori
contesto. Lui faceva riferimento a un concetto più complesso e il
rischio di estrapolare una sola frase è quello di offendere
qualcuno. Lui invece parlava di ciò che in lui crea emozione, tutti
noi abbiamo un modo di rapportarci alle storie e alla mitologia e
alcuni vedono certe cose che altri non vedono. Non può esserci una
formula o una quantificazione per questa magia.”
Ricordiamo che Martin
Scorsese, che sarà a Roma allo stesso evento lunedì
prossimo, ha dichiarato che i cinecomic non sono cinema ma adottano
un linguaggio più simile a quello dei parchi a tema. Ha poi detto
che quel genere di film non lo emoziona, scatenando le ire non solo
dei colleghi che invece lavorano in quel business ma anche di
moltissimi fan che difendono a spada tratta i propri eroi.
Pavarotti è il
secondo documentario che il regista premio Oscar Ron
Howard dedica a grandi miti della musica. Nel 2016 era
toccato ai Beatles, con The Beatles: Eight Days a Week –
The Touring Years, mentre viene ora presentato
alla quattordicesima edizione della Festa del Cinema di
Roma il film sulla vita del celebre tenore italiano.
Giunto a Roma per presentare il
film, Howard apre la conferenza stampa raccontando proprio di come
nasce l’idea di dedicare un documentario proprio a Luciano
Pavarotti. “Dopo il documentario sui Beatles, io e il
produttore Brian Grazer volevamo realizzare un
nuovo progetto di questo tipo. – afferma Ron
Howard – La scelta è ricaduta su Pavarotti, perché è
una delle personalità più straordinarie degli ultimi decenni, ma
per quanto sia noto in tutto il mondo, non tutti sono a conoscenza
di molti aspetti della sua vita privata e artistica, di come ha
iniziato, delle gioie, dei dolori. La sua intera vita è stata come
un’opera lirica, ricca di passioni e drammi, e da un certo punto di
vista ciò che cantava sembrava sempre essere adeguato a quanto
accadeva nella sua vita privata.”
“Lavorare ad un progetto simile
è una sfida immane. – prosegue il regista – C’è stato un
team di collaboratori che ha speso più di un anno a raccogliere,
revisionare e classificare tutto il materiale. Parliamo di migliaia
di foto, interviste, filmati di repertorio, testimonianze. Il mio
obiettivo tuttavia era riuscire a consegnare un ritratto dell’uomo
dietro il cantante, raccontarlo nei suoi giorni migliori e in
quelli in cui è stato più vulnerabile. La selezione dei materiali
si è dunque orientata in quella direzione.”
Tra i temi centrali del film vi è
quello della famiglia, grande e insostituibile valore nella vita di
Pavarotti, che nel film appare ricorrente attraverso interviste
alle due mogli e alle tre figlie. “La storia della famiglia è
la chiave del film, quella con cui è possibile identificarsi di
più. Questa gli ha dato tutto, e lui si è sempre speso molto per i
suoi cari. Era un uomo generoso, ma portava negli occhi anche il
dolore per la convinzione di non essere stato il padre che avrebbe
voluto essere. Credo che da simili sofferenze possa nascere la vera
arte, e Pavarotti ne è un esempio perfetto.”
Il documentario di Howard persegue
inoltre nell’intento sempre rincorso da Pavarotti, ovvero quello di
portare l’opera alla massa. Stando alle parole del regista,
infatti, “il desiderio era realizzare un film che potesse
arrivare a tutti. Non solo agli amanti dell’opera, ma anche a chi
desidera approcciarsi per la prima volta a Pavarotti e alla sua
musica.”
Per concludere l’incontro, Howard
ripercorre brevemente la sua fortunata carriera, iniziata come
attore e proseguita poi come regista di successo. “Quando
decisi di passare dietro la macchina da presa, sapevo di non
volermi specializzare in un genere e rimanere ancorato a questo.
Desideravo provare un po’ di tutto, e ho avuto l’opportunità di
farlo. La mia è stata una crescita creativa, e ho sempre cercato di
fare affinché fosse tale. Oggi esistono tecnologie che rendono il
cinema estremamente entusiasmante. Ci sono costantemente cose nuove
da provare e sperimentare ed è ciò che voglio fare, grato per
l’esperienza fatta fino ad oggi e con ancora la forza e la
curiosità di scoprire cosa ci sarà dopo. I miei figli sono grandi e
autonomi ormai, non ho hobby, e l’unica cosa che voglio fare è
passare del tempo con la mia famiglia e lavorare a nuovi progetti
già in cantiere. Tutto qui.”
La Sony Pictures Italia ha diffuso
il teaser trailer di Peter Rabbit 2: un birbante in
fuga, il sequel del film di successo Peter Rabbit.
Peter Rabbit 2: un birbante
in fuga arriverà al cinema il 09 Aprile.
Il flm è un adattamento cinematografico della serie televisiva
Peter coniglio (Peter Rabbit), basata a sua volta
sul racconto di Beatrix Potter.
In Peter Rabbit 2: un
birbante in fuga L’amabile canaglia è tornata. Bea, Thomas
e i conigli sono ora una famiglia ma Peter, nonostante i suoi
sforzi, non riesce a togliersi di dosso la sua reputazione di
birbante. La vita fuori dal giardino lo aspetta e una fuga in città
lo catapulterà in un mondo ricco di sorprese e avventure dove il
suo carattere dispettoso verrà messo alla prova. Dovrà scegliere
che tipo di coniglio vorrà diventare da grande.
Halloween non è mai stato
così “Spaventastico” grazie
aVampirina! Per celebrare
la festa più paurosa di sempre dal 21
ottobre al 1° novembre Disney Junior (Sky, canale 611) trasmetterà
i nuovi episodi della seconda stagione della serie più
amata dal pubblico del canale. L’appuntamento con le puntate
inedite della seconda stagione di Vampirina sarà dal lunedì
al venerdì alle 17.30.
Vampirina
segue le avventure di Vi, piccola vampira appena
trasferita dalla Transilvania alla Pennsylvania e pronta a mostrare
a tutti cosa significa vivere ogni giorno in un mondo
“spettracolare”! Entusiasmanti episodi a tema Halloween andranno in
onda proprio ad ottobre per celebrare insieme a Vi la ricorrenza
più “mostroversa” di sempre.
Disney Junior è pronto ad offrire
un Halloween davvero “spettracolare” con i nuovi episodi
della seconda stagione di Vampirina in onda dal 21 ottobre
al 1° novembre, dal lunedì al venerdì alle 17.30.
Disney
Channel è rivolto ai bambini dai 6 ai 12 anni, con
grandi storie piene di divertimento, amicizia e musica. La
programmazione comprende celebri produzioni animate
come Miraculous – Le Storie di Ladybug e Chat Noir, I
Greens in Città, DuckTales e l’attesissima nuova
serie 101 Dalmatian Street, lanciata nel 2019. Il
canale è inoltre la casa di numerose serie live-action di
grande successo come Harley In Mezzo, A Casa di
Raven e di produzioni locali come Sara e Marti
#LaNostraStoria e Penny on M.A.R.S.. Disney
Channel è anche celebre per i suoi emozionanti film
originali tra cui la saga Descendants,il cui nuovo
capitolo verrà lanciato alla fine del 2019 e Kim
Possible, remake dell’iconica serie TV animata. L’App
Disney Channel ha già dimostrato di essere la preferita dai bambini
e dai fan in EMEA che sono in grado di accedere ai migliori
contenuti Disney Channel su più dispositivi.
Disney Junior, il
canale dedicato altarget dai 3 ai 6 anni,
accompagna i bambini insieme ai loro genitori alla scoperta delle
magiche storie Disney con i personaggi più amati. La programmazione
comprende serie animate come quella d’avventura sulle corse
automobilistiche Topolino e gli Amici del Rally, il
grandissimo successo Vampirina, PJ Masks – Super
Pigiamini, Puppy Dog Pals, Lion Guard, Fancy Nancy Clancy e
Dottoressa Peluche.
Joonas Suotamo,
l’attore finlandese che torna a interpretare Chewbacca nel film
Star
Wars: L’Ascesa di Skywalker, sarà protagonista della
giornata di apertura di Lucca Comics & Games 2019,
il festival internazionale del fumetto, del cinema d’animazione,
dell’illustrazione, del gioco e delle serie tv, che si svolgerà dal
30 ottobre al 3 novembre.
Mercoledì 30 ottobre, alle ore 12.00 presso il
cinema Astra, i fan potranno partecipare a una masterclass con
Joonas Suotamo per celebrare l’uscita del film Star
Wars: L’scesa di Skywalker, che arriverà nelle sale
italiane il 18 dicembre, portando avanti le vicende che hanno
conquistato il pubblico nei precedenti capitoli Star
Wars: Il Risveglio della Forza e Star
Wars: Gli Ultimi Jedi.
Lucasfilm e il
regista J.J. Abrams uniscono ancora una volta le
forze per condurre gli spettatori in un epico viaggio verso una
galassia lontana lontana con Star Wars: L’Ascesa di
Skywalker, l’avvincente conclusione dell’iconica saga degli
Skywalker, in cui nasceranno nuove leggende e avrà luogo la
battaglia finale per la libertà.
Oltre a Joonas Suotamo nei panni di
Chewbacca, il cast del film comprende Carrie Fisher, Mark
Hamill, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac,
Anthony Daniels, Naomi Ackie, Domhnall Gleeson, Richard E. Grant,
Lupita Nyong’o,
Keri Russell, Kelly Marie Tran e Billy Dee
Williams.
Scritto da J.J. Abrams e Chris
Terrio, Star Wars: L’Ascesa di Skywalker è diretto da
J.J. Abrams e prodotto da Kathleen
Kennedy, Abrams e Michelle Rejwan, mentre Callum Greene,
Tommy Gormley e Jason McGatlin sono i produttori esecutivi.
Ora che la saga delle gemme
dell’infinito si è ufficialmente conclusa e Thanos
è stato sconfitto dai Vendicatori, il MCU ha il dovere di
offrire al pubblico un antagonista altrettanto carismatico e
pericoloso che possa affrontare i nostri eroi nelle prossime fasi.
Ma chi ha le caratteristiche giuste per sostituire il Titano
Pazzo?
Ecco 10 possibili candidati:
1X-Men
Abbiamo già menzionato la Fenice Nera, ma un
altro colpo di scena sarebbe introdurre finalmente gli
X-Men nel MCU non come eroi, ma come villain. I
Mutanti potrebbero arrivare in forma di minaccia che i governi
federali non sanno gestire, un’impresa che richiederà l’intervento
degli Avengers…e di Scarlet
Witch.
Il
gender swap colpisce ancora nel modo più innocuo ma funzionale in
The Aeronauts, film che racconta
l’impresa del meteorologo James Glaisher e dell’aviatore Henry
Coxwell, capaci nel 1862 di raggiungere quota 11.887 metri di
altitudine a bordo di una mongolfiera; sfortunatamente, in questo
adattamento di Tom Harper (Peaky
Blinders, Guerra e Pace) e Jack
Thorne (Wonder, Harry Potter e la maledizione
dell’erede) Coxwell viene “sostituito” da un personaggio di
fiction, tale Amelia Wren, arbitraria fusione tra la prima
aeronauta professionista della storia Sophie Blanchchard e Margaret
Graham, sacrificando la verità in nome di una dinamica
cinematografia più appetibile per i tempi.
Ghostubusters di Paul
Feig, Ocean’s 8,
What Men Want, The Hustle con Anne Hathaway e
Rebel Wilson ci insegnano che il cambio di prospettiva
è diventata un’urgenza per gli studi hollywoodiani dopo lo scoppio
del movimento Me Too, proprio per un miglior posizionamento del
target e un riequilibrio dei sessi al cinema come specchio della
società.
Eddie Redmayne e Felicity Jones di
nuovo insieme per The Aeronauts
E se in
alcuni dei casi citati sopra il capovolgimento di sguardo aveva
funzionato benissimo (vedi la lettura al femminile degli
acchiappafantasmi), in altri si era scontrato con un fallimento
pressoché totale (il
sequel di Ocean’s Eleven con
Sandra Bullock e Cate Blanchett), The
Aeronauts almeno ci risparmia le guerre tra sessi, il
finale romantico e certe forzature tipiche del film biografico
condannato a far commuovere ad ogni costo. Amelia è effettivamente
l’eroina nella versione di Harper e Thorne, una donna moderna che
non conosce limiti, ma la sua controparte maschile non viene
trattata con un senso di inferiorità dichiarata, anzi, sospesi nel
cielo i bisogni di entrambi hanno lo stesso peso e il lutto di lei
è approfondito come l’insofferenza di lui.
Torna
in scena la coppia di La teoria del
tutto formata da
Eddie Redmayne e Felicity Jones, ma niente a che vedere con
quella smielata drammatizzazione della vita di Stephen Hawking e
della ex-moglie Jane Wilde e quel sensazionalismo di serie b con
fotografia agghiacciante; c’è invece il rispetto del canone
classico del survival movie con incongruenze perdonabili (tipo
l’equipaggiamento dei due viaggiatori per niente adatto, o le
rocambolesche imprese dei personaggi sul pallone aerostatico),
spaziando dalla tensione di Gravity
all’umanesimo di First Man
tra memoria e perdita, con omaggi più o meno espliciti
all’immaginazione di J.M. Barrie e un’invidiabile
chimica – già apprezzata in passato – tra gli attori. Un’esperienza
da vivere sospendendo l’incredulità e la fiducia nella scienza,
ricordandoci di non perdere quella nella felicità che spesso
troviamo lontano dalle nostre dimensioni abituali. Un po’ più in
alto, oltre i limiti, senza protezione e salvagenti.
Jade Bartlett è
stato assunto per lavorare alla sceneggiatura di Doctor
Strange nel Multiverso della Pazzia. Ora che hanno la
Fase 3 alle spalle, i Marvel Studios sono impegnati nella
produzione dei vari film della Fase 4. E, terminate le riprese di
Vedova Nera, sono nel bel mezzo della
produzione del film su Gli Eterni, che
si concluderà nel 2020. Ciò ha spostato l’attenzione verso il 2021,
anno in cui è stato programmata l’uscita del sequel del film del
2016 con Benedict Cumberbatch.
Annunciato ufficialmente questa
estate al Comic-Con di San Diego, Doctor Strange
2 vedrà Benedict Cumberbatch tornare
nel ruolo di Stephen Strange. Diretto da Scott
Derrickson, il sequel vedrà anche Wanda Maximoff alias
Scarlet Witch (Elizabeth Olsen) assumere un ruolo
da co-protagonista dopo WandaVision. Con una data
di uscita prevista per maggio 2021 già annunciata, le riprese
dovrebbero cominciare nella prima metà del 2020.
Secondo Collider, la
produzione ha fatto già un passo in avanti assumendo lo
sceneggiatore Jade Bartlett. Il suo ruolo non è
stato ancora chiarito, visto che lo script dovrebbe essere firmato
da Derrickson in persona e quindi Bartlett dovrebbe intervenire
solo a limare il testo o magari a scrivere a quattro mani con il
regista.
Il primo film su Doctor
Strange è uscito nel 2016 e ha raccontato la nascita
dell’eroe, dall’incidente di Stepehn Strange fino al confronto con
Dormammu. Nel film c’erano anche Benedict Wong, Tilda
Swinton e Chiwetel Ejiofor. Abbiamo
rivisto Strange in Infinity War e in
Endgame.