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Le migliori 20 interpretazioni del cinema recente di attori bambini

Sulla scia del bellissimo Room (qui la recensione) di Lenny Abrahamson e della straordinaria interpretazione del giovanissimo Jacob Tremblay, ecco le migliori 20 interpretazioni del cinema recente offerte da attori bambini:

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Le migliori 10 performance ricreate in CGI

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Le migliori 10 performance ricreate in CGI

#2 Brandon Lee Il Corvo 10 performance ricreate in CGILa CGI ha aperto nuovi orizzonti al cinema, soprattutto nella messa in scena. Ma cosa accade quando la CGI viene usata per far recitare i personaggi?

Come spesso è accaduto in passato, la CGI viene utilizzata ancora oggi per diversi motivi: ricreare un personaggio, farlo ringiovanire o invecchiare, e purtroppo anche in occasione di una tragica morte mentre le riprese del film non sono ancora terminate.

Ecco le migliori 10 performance ricreate in CGI secondo Mojo:

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Le mie ragazze di carta: al via le riprese del film di Luca Lucini

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Sono iniziate in questi giorni le riprese del film Le mie ragazze di carta, prodotto da 302 Original Content e Pepito Produzioni con Rai Cinema, per la regia di Luca Lucini che, con Mauro Spinelli, Marta e Ilaria Storti, ne firma la sceneggiatura, vincitrice del Premio Solinas Leo Benvenuti per la sceneggiatura di commedia. Nato da un soggetto di Mauro Spinelli e Luca Lucini, Le mie ragazze di carta racconta, attraverso il codice universale della commedia, due momenti decisivi della vita di tre adolescenti: il passaggio dalla pubertà alla preadolescenza vissuto tra primi amori e partite di rugby e quello dal mondo della campagna al mondo della città.

La trama

Siamo alla fine degli anni 70, nel trevigiano, in un periodo in cui la rapida espansione delle città investe anche la famiglia Bottacin, composta da Primo, Anna e Tiberio. Per loro, e in particolare per il giovane Tiberio, il cambiamento dalla vita contadina a un contesto urbano sarà piuttosto tumultuoso. Il racconto di un periodo storico di grandi trasformazioni sociali ed economiche, in cui anche le sale cinematografiche, luoghi tipici di fruizione comunitaria, dovettero ripiegare verso una programmazione a luci rosse per evitare il fallimento.

Ne sono protagonisti Maya Sansa, Andrea Pennacchi, Alvise Marascalchi, Cristiano Caccamo, Christian Mancin, Marta Guerrini, Alessandro Bressanello, con Giuseppe Zeno e con la partecipazione di Neri Marcorè.  Fanno parte del cast tecnico, il direttore della fotografia Luan Amelio Ujkaj, lo scenografo Silvio Di Monaco, la costumista Diamante Cavalli, la montatrice Carlotta Cristiani. Il film è realizzato con il sostegno della Veneto Film Commission e le riprese, che si svolgeranno tra Treviso e Roma, avranno una durata di 7 settimane.

Sono felice di accogliere in Veneto una produzione di livello nazionale come “Le mie ragazze di carta” di Luca Lucini per Pepito Produzioni e Rai Cinema – dichiara Jacopo Chessa, Direttore della Veneto Film Commission – Una produzione che la Veneto Film Commission ha seguito e segue passo passo e che valorizza Treviso e le zone limitrofe, un territorio meno battuto dal cinema rispetto ad altre zone della nostra regione. Questo film è inoltre una grande opportunità per il nostro sistema cinema per le sue ricadute occupazionali che, in un futuro prossimo, saranno ancora più intense”.

«L’arrivo di una produzione cinematografica a Treviso ci riempie d’orgoglio», le parole del sindaco di Treviso Mario Conte. «L’interesse nei confronti della nostra Città è in continua crescita e ne siamo particolarmente felici: Treviso è una città che ama il cinema e ha sempre accolto con entusiasmo iniziative legate al grande schermo, set, attori e troupe». «Mi piace particolarmente l’idea che “Le mie ragazze di Carta” vada a valorizzare i quartieri e le zone limitrofe, che raccontano una Treviso altrettanto storica e legata alla propria identità cogliendone anche dettagli inediti ma unici. Inoltre, riteniamo importantissima la spinta propulsiva che il cinema, insieme a produzioni e cast di livello assoluto, è in grado di dare al tessuto produttivo». 

«Ringraziamo la Veneto Film Commission per il grande lavoro», afferma l’assessore ai Beni Culturali e Turismo, Lavinia Colonna Preti. «L’arrivo di questa produzione in città sta portando non solo una grande occasione di valorizzazione delle eccellenze – anche sportive – del nostro territorio ma una nuova opportunità dal punto di vista sociale, vista la collaborazione con più di 300 comparse trevigiane. Siamo felici, come Comune di Treviso, di aver collaborato attivamente nell’organizzazione delle riprese, dalla logistica al supporto della troupe»

Le mie ragazze di carta, trailer e poster del film di Luca Lucini

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Ecco il trailer del nuovo film di Luca Lucini, Le mie ragazze di carta. Con Maya Sansa, Andrea Pennacchi, Alvise Marascalchi, Cristiano Caccamo, Raffaella Di Caprio, Alessandro Bressanello, Christian Mancin, Marta Guerrini e con Giuseppe Zeno e con la partecipazione di Neri Marcorè, al cinema dal 13 luglio distribuito da Adler Entertainment.

Le mie ragazze di carte, la trama

LE MIE RAGAZZE DI CARTA racconta, attraverso il codice universale della commedia, due momenti decisivi della vita di tre adolescenti: il passaggio dalla pubertà alla preadolescenza vissuto tra primi amori e partite di rugby e quello dal mondo della campagna al mondo della città. Siamo alla fine degli anni 70, nel trevigiano, in un periodo in cui la rapida espansione delle città

investe anche la famiglia Bottacin, composta da Primo, Anna e Tiberio. Per loro, e in particolare per il giovane Tiberio, il cambiamento dalla vita contadina a un contesto urbano sarà piuttosto tumultuoso. Il racconto di un periodo storico di grandi trasformazioni sociali ed economiche, in cui anche le sale cinematografiche, luoghi tipici di fruizione comunitaria, dovettero ripiegare verso una programmazione a luci rosse per evitare il fallimento.

Le mie ragazze di carta, la recensione del film di Luca Lucini

Le mie ragazze di carta, la recensione del film di Luca Lucini

A davvero poca distanza – tre mesi! – dall’arrivo sulla piattaforma di streaming di Amazon Prime Video del suo precedente Io e mio fratello, il milanese Luca Lucini torna a parlare al pubblico con Le mie ragazze di carta. E a presentare al cinema il film già annunciato come il suo più ‘personale’, una storia “cui sono particolarmente legato, – come dice lui stesso, – la prima che sento veramente mia da quando ho iniziato“. Prima ancora dell’esordio di Tre metri sopra il cielo del 2004, quando lavorava soprattutto con i videoclip (da Alexia a Carmen Consoli e Angelo Branduardi).

In sala a partire da giovedì 13 luglio, distribuito da Adler Entertainment, Le mie ragazze di carta è il racconto di una perdita dell’innocenza molto particolare, che si intreccia con l’amore per il cinema nell’Italia cattolica e conformista degli anni ’70, nella quale Maya Sansa, Andrea Pennacchi, Cristiano Caccamo, Giuseppe Zeno e Neri Marcorè hanno tutti dei ruoli fondamentali nella scoperta del mondo del giovane e interessante Alvise Marascalchi (già visto in Mamma o papà di Riccardo Milani).

Le mie ragazze di carta – Benvenuti nell’Italia degli anni ’70

E’ un momento importante nella vita della famiglia Bottacin, decisa a lasciare la campagna dove ancora vivono amici e parenti per trasferirsi in città, a Treviso. Primo (Pennacchi) ha vinto – faticosamente e non senza aiuti – il concorso per entrare alle Poste e un nuovo orizzonte si apre davanti a lui e la moglie Anna (Sansa). Forse meno complicato di quello che attende il giovane Tiberio, il figlio adolescente della coppia, che più di tutti finisce per subire il contraccolpo della nuova realtà.

Una cittadina in rapida espansione, e in trasformazione, sociale ed economica, ma dalle radici contadine e cattoliche molto profonde e radicate, che ancora condizionano il modo di pensare della gente della piccola e laboriosa provincia settentrionale. Le voci sull’esuberante parroco (Marcorè) o l’ipocrisia che circonda la locale sala cinematografica sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano il racconto di un periodo storico, ma soprattutto il cambiamento che scopriranno dentro di sé i nostri protagonisti, divisi da sentimenti, riflessioni e pregiudizi che non avevano mai conosciuto prima.

Solita provincia, insoliti protagonisti

Classe 1967, Luca Lucini aveva poco più di 10 anni all’epoca nella quale è ambientata quella che lui stesso definisce la “storia vera del mio passato, la storia di un cinema davanti a casa nel quale ad un tratto non potevo più entrare, senza capire il perché”, che lo scomparso Mauro Spinelli – sceneggiatore al quale Le mie ragazze di carta è dedicato – trasferì da Milano a Treviso aggiungendo la famiglia protagonista e vincendo il premio Solinas nel 2007. Una storia che viene da lontano, produttivamente, e che racconta un tempo ormai lontano, tanto da sembrare fantascienza, o documentario.

Qualcosa che ricorda molto cinema italiano già visto, come l’uso della voce narrante o la costruzione di una provincia conformista e ipocrita nella quale vediamo muoversi dei protagonisti avulsi e diversi. Per una volta, di area democratico-cristiana, nel senso della ‘Balena Bianca’ che la storia patria – anche culturale – sembra paradossalmente aver dimenticato, nonostante i tanti film su Aldo Moro.

Una connotazione esplicitata solo inizialmente, ma implicita nella fotografia di una società italiana marcata da un bigottismo che, per altro, non appartiene all’unico sacerdote che vediamo rappresentato. E ancora confusa sul concetto di modernità, per molti limitata alla tv a 99 canali e i sofficini, ma che i Bottacin hanno il coraggio di realizzare in una emancipazione naturale affrontata con l’ingenuità e il buon senso contadini di quegli anni. Non senza fatica o conflitti, ognuno a modo suo, eppure senza traumi, né per la scoperta della transessualità, né del porno, né di un possibile ruolo diverso della donna.

Proprio il sesso è un elemento che Lucini gestisce con garbo, eppure fondamentale, come innesco per una serie di riflessioni altre dei tre protagonisti. Inizialmente spaesati, nel tentativo di riconoscere una felicità ormai raggiunta al netto della nostalgia per quanto perso e dell’importanza di accettare la separazione come naturale in una vita che amplia i suoi confini.

Temi con i quali molti potranno identificarsi, ma che probabilmente mancano di dare alla vicenda quel quid di unicità, anche stilisticamente, nonostante l’incipit animato. L’intolleranza verso un progresso disumanizzante è ormai comune, come quella per il frustrante confronto con l’immagine che altri scelgono di dare di sé o di pretendere dai propri simili, come anche il finale scelto. Anticipato dalla divertente commistione di sacro e profano del ‘miracolo’ del sexy show e poi dallo scarto definitivo che rende Le mie ragazze di carta un ‘coming of age’ vero e proprio, sebbene con qualche disomogeneità nello sviluppo, e nel quale l’immagine dell’amore reale, puro, che vince su quello dedicato a delle ‘ragazze di carta’ rischia di prestarsi a interpretazioni non volute e diverse da quelle della iconica celebrazione del cinema come luogo del ricordo e delle emozioni.

Le Meraviglie: recensione del film di Alice Rohrwacher

Le Meraviglie: recensione del film di Alice Rohrwacher

Le Meraviglie di Alice Rohrwacher è l’unico film italiano in concorso alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes. La regista trentenne porta sul grande schermo una storia insolita fatta di atmosfere discontinue e di generi che si mescolano tra il documentario e la fiaba nella quotidianità della piccola Gelsomina. Il punto di vista della bambina prende vita nella rigida struttura imposta da un padre autoritario, con una concezione idealista e anacronista sul mondo dell’agricoltura e che cerca di lasciare un’eredità culturale ad una figlia sfuggente che provata dal lavoro, dalle responsabilità verso la famiglia e dai paragoni con la sua amica, sogna di lasciare tutto ed andare via con l’aiuto di una bizzarra fata madrina-televisiva, incarnata da una “ciociara” Monica Bellucci.

Così vengono intrecciati i toni duri, sul mondo rurale minacciato da norme europee e da iniziative di cooperative, che sottolinea il decadimento di alcuni sistemi piccoli, semplici ma che conservavano in sé meravigliose libertà che l’era moderna ha cancellato. Per poi mostrare il suo rovescio, un duro scontro tra padre e figlia, fatto di desideri e doveri, di timore e di rispetto per degli archetipi ben sceneggiati e che hanno paura di perdersi con il passare del tempo. Il rapporto viene ulteriormente ostacolato con l’arrivo del “figlio maschio mai avuto” che segnerà in maniera irreversibile la vita della famiglia ma senza incidere nel leitmotiv favoloso ma anzi contribuendo alla sua matrice.

Le Meraviglie, il film

In Le Meraviglie l’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita, erede del piccolo e strano regno che suo padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui le regole che tengono insieme la famiglia si allentano: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, “il paese delle Meraviglie”, condotto dalla fata bianca Milly Catena.

Nel film cast riesce a bilanciare tutta la storia, in rilievo ci sono le due bambine, la magnetica e taciturna Maria Alexandra Lungu e il suo opposto Agnese Graziani, che conserva ancora i tratti simpatici e irriverenti dell’infanzia. Buona l’interpretazione di Sam Louwyck padre-padrone che riesce ad esprimersi esclusivamente nel suo mondo e l’insofferente Alba Rohwacher che assorbe i silenzi sofferti delle sue figlie.

Le Meraviglie è un film ben strutturato, caratterizzato da mirate allegorie e precisi riferimenti che la Rohwacher dimostra nella padronanza con la macchina da presa, utilizzando perlopiù carrelli laterali che ci trasportano dal mondo del reale a quello delle fiabe, così come le ombre e luci che compongono il piano dell’immaginario evidenti soprattutto nella parte finale del film. Ma seppur ci siano delle belle idee, la regista si confonde in un racconto che è fin troppo personale il cui eco del ricordo è visibile ma non empatico, inciampando così, nelle sfumature delle varie lingue e nei segreti non confessati delle bambine sottolineando più la malinconia di un tempo che la favola di una bambina.

Le Meraviglie: clip del film di Alice Rohrwacher

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Dopo la presentazione di ieri a al 67° Festival di Cannes,  Le Meraviglie di Alice Rohrwacher sarà al cinema dal 22 Maggio, distribuito da BiM arrivano le clip del film.

Le Meraviglie 3In attesa di vederlo nelle sale, vi inviamo in anteprima una clip del film dedicata alla fata bianca Milly Catena, interpretata da Monica Bellucci. Nel cast anche  Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani.

Il film è una produzione tempesta / Carlo Cresto – Dina con RAI CINEMA. Nel cast  Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani e con Monica Bellucci
 L’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita, l’erede del piccolo e strano regno che suo padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui le regole che tengono insieme la famiglia si allentano: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, “il paese delle Meraviglie”, condotto dalla fata bianca Milly Catena.

Le Meraviglie Trailer ufficiale del film di Alice Rohrwacher

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il trailer del film Le Meraviglie di Alice Rohrwacher,  in concorso al 67 Festival di Cannes al cinema dal 22 Maggio.

http://youtu.be/-AIHVBjHP_Y#aid=P-DUG2NWKJ8

LE MERAVIGLIE, un film scritto e diretto da Alice Rohrwacher con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani e con Monica Bellucci.

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Le Meraviglie 3L’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita, l’erede del piccolo e strano regno che suo padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui le regole che tengono insieme la famiglia si allentano: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, “il paese delle Meraviglie“, condotto dalla fata bianca Milly Catena. Uscita 22 maggio 2014.

 

Le Meraviglie di Alice Rohrwacher

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Il film di Alice Rohrwacher LE MERAVIGLIE è in concorso al 67° Festival di Cannes. Una produzione tempesta / Carlo Cresto – Dina con RAI CINEMA. 

LE MERAVIGLIE, un film scritto e diretto da Alice Rohrwacher con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani e con Monica Bellucci.

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Le Meraviglie 3L’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita, l’erede del piccolo e strano regno che suo padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui le regole che tengono insieme la famiglia si allentano: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, “il paese delle Meraviglie“, condotto dalla fata bianca Milly Catena. Uscita 22 maggio 2014.

 

Le Mans ’66 – la grande sfida, recensione del film con Christian Bale

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A sentire il titolo del nuovo film di James Mangold, gli appassionati di Formula 1 sanno già di cosa si andrà a parlare, tuttavia, per coloro a cui lo stesso titolo non fa risuonare nulla nella memoria, la recensione di Le Mans ’66 – la grande sfida può dare qualche possibilità di orientarsi meglio in questa pagina di storia sportiva a quattro ruote.

La storia che Mangold racconta è quella della Ford che, negli anni Sessanta, decide di provare a contrastare lo strapotere del cavallino rampante Ferrari nelle corse di Formula 1, affidandosi a Carrol Shelby, ex pilota che si è reinventato designer di auto da corsa, il quale a sua volta dà tutta la sua fiducia a Ken Miles, pilota collaudatore, anarchico impunito che, come da manuale, è l’uomo adatto al lavoro ma il più difficile da controllare secondo i canoni e le necessità dell’azienda.

Non solo. Le Mans ’66 racconta anche, soprattutto, la storia di un’amicizia, quella tra Carrol e Ken, due uomini che sono i migliori in quello che fanno, le cui doti sono complementari e si equilibrano alla perfezione, che insieme sono in grado di fare il lavoro al meglio, riuscendo a tenere testa ai capi dell’industria.

E ancora. Le Mans ’66 è il racconto di un uomo spaccato a metà tra le necessità della sua famiglia, che ama profondamente, e il proprio sogno selvaggio che mette a rischio proprio quella vita che vorrebbe dedicare a moglie e figlio. Ken Miles è il centro emotivo della storia, ma anche cuore rosso e pulsante è inutile senza un cervello affilato. E a questo serve Carrol.

Le Mans ’66 erede di Rush di Ron Howard

Tratto da una storia vera, il nuovo film di James Mangold si confronta con due ostacoli in partenza. Il primo è la difficoltà di ricezione che il pubblico ha verso film ambientati nel mondo delle corse e sulle piste di Formula 1. L’esempio recente migliore, e forse unico, è quel Rush di Ron Howard che poteva essere un ottimo apripista ma che è rimasto un caso isolato, dal 2013 a oggi. Il secondo ostacolo con cui si confronta Le Mans ’66 è il fatto che il suo regista è, per sua stessa ammissione, profondamente annoiato dalle gare automobilistiche. Questo aspetto lo ha spinto ad andare oltre la pista, fin dentro l’abitacolo, per raccontare l’adrenalina, l’emozione e la passione che vibra dentro chi è al volante della macchina, mettendo da parte il torpore, facilmente condivisibile, di chi le corse le guarda soltanto.

Le Mans ’66 – la grande sfida riesce con equilibrio ad evitare la noia e la maniera, rivelandosi prima di tutto una storia di amicizia. Il rapporto tra il ligio e scaltro Carrol e il fumantino e devoto Ken è il cuore del racconto, l’unico appiglio narrativo che davvero interessa al regista, che anzi, allontanandosi sempre più dall’aspetto sportivo, si addentra in quello umano, facendoci entrare nell’intimità di Ken e della sua famiglia.

La storia di una grande amicizia

Il resto del film, che pure serve a completare la struttura narrativa e a dare un contesto plausibile alla storia è tutto messo in secondo piano, dai leader delle due industrie chiamate in causa, Henry Ford II ed Enzo Ferrari, che sono delle figure bidimensionali e inserite esclusivamente perché necessarie alla trama, a tutta la serie di sottoposti e amministratori che da Ford II a Carrol Shelby formano la catena burocratica contro la quale lo stesso Shelby si è dovuto scontrare, per difendere la sua scelta di lavorare con la “scheggia impazzita” Ken Miles.

E se il titolo italiano ci invita a tendere la nostra attenzione alla gara che consacrerà la Ford e il lavoro di Shelby e Miles, quello americano, Ford vs Ferrari, è ancora più “incompleto” perché dà un’idea molto vaga di ciò che in realtà interessa raccontare a Mangold. Il quale non si tira certo indietro quando si tratta di inseguire e precedere bolidi sull’asfalto, ma lascia quasi andare la camera e dà spazio ai suoi attori quando è il momento, affidandosi completamente a Christian Bale e Matt Damon, che regalano una rara alchimia sullo schermo e restituiscono vizi, virtù e stranezze di due uomini tanto singolari quanto geniali.

Le Mans ’66 – la grande sfida è prima di tutto una profonda storia di amicizia, di fratellanza, di due uomini sconfitti che non hanno perso la dedizione e la gioia per ciò che li appassiona, nonostante i giganti contro cui hanno combattuto.

James Mangold presenta Le Mans ’66: “Solo il cinema può fotografare i pensieri”

Le Mans ’66 – La grande sfida: la storia vera dietro il film

Le Mans ’66 – La grande sfida: la storia vera dietro il film

La 24 ore di Le Mans è una delle gare più celebri dello sport automobilistico, dove i piloti vengono messi duramente alla prova per dimostrare il loro valore e quello delle auto che guidano. Ci sono numerosi celebri racconti legati alla storia di questa gara, ma con il film Le Mans ’66 – La grande sfida (qui la recensione) il regista James Mangold (Logan – The Wolverine, Indiana Jones e il Quadrante del Destino, A Complete Unknown) si concentra su una precisa edizione di essa, che ha riscritto il rapporto esistente tra due celebri scuderie: Ford e Ferrari (non a caso, il titolo originale del film è Ford vs. Ferrari). Uscito nel 2019, il film ha dunque ripercorso i retroscena che portarono all’edizione del 1966 e al suo valore nella storia dell’automobilismo.

Il progetto per un film su tale storia circolava ad Hollywood già dieci anni prima della realizzazione di tale film. Inizialmente, doveva essere il regista Michael Mann a dirigerlo, con protagonisti Brad Pitt e Tom Cruise. Il progetto però non partì mai e alla fine Mann decise di girare il suo film su Ferrari, intitolato appunto Ferrari, andando però a raccontare una storia diversa. Ad occuparsi della vicenda di Le Mans ’66 – La grande sfida è dunque arrivato Mangold, il quale ha dunque avuto l’occasione di mettersi nuovamente alla prova con quello che è poi stato uno dei film più apprezzati dell’anno. Ha poi rievuto quattro candidature ai Premi Oscar 2020 nelle categorie Miglior Film, Miglior Montaggio Sonoro, Miglior Montaggio e Miglior Sonoro, vincendo in queste ultime due.

Il successo di Le Mans ’66 – La grande sfida sta nell’aver raccontato una storia d’amicizia e rivalsa in grado di appassionare tutti, dimostrando che nessun obiettivo è irraggiungibile. Oltre a ciò, ovviamente, è anche un film magnificamente interpretato e diretto, con grandi colpi di scena ed entusiasmanti ricostruzioni storiche. In questo articolo approfondiamo alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Le Mans '66 - La grande sfida trama
Noah Jupe, Christian Bale e Matt Damon in Le Mans ’66 – La grande sfida

La trama e il cast di Le Mans ’66 – La grande sfida

Le Mans ’66 – La grande sfida racconta la storica battaglia tra le case automobilistiche Ford e Ferrari per vincere la famosa gara nota come 24 Ore di Le Mans. Dal 1958, le auto Ferrari si aggiudicano il primo posto in ogni gara, ecco perché Enzo Ferrari decide di opporsi fermamente ad un possibile acquisto della compagnia da parte di Henry Ford II. Quest’ultimo però non ci sta a farsi trattare così e incinta dunque il proprio team, composto da ingegneri e designer, a costruire un’automobile più veloce e in grado di sconfiggere la rivale nella corsa del ’66. A capo della squadra di ingegneri incaricati di realizzare il prototipo c’è il visionario Carroll Shelby, il quale decide di affidarsi al talentuoso pilota Ken Miles per ottenere il risultato richiesto.

Ken Miles è interpretato da Christian Bale, il quale in vista del ruolo ha preso lezioni di guida da corsa presso la Bondurant High Performance Driving School, il cui fondatore era un amico di Ken Miles. Così, oltre a guidare, Bale ha avuto modo di ascoltare le storie della scena delle corse degli anni ’60. L’istruttore di Bale e coordinatore degli stunt del film, Robert Nagle, ha dichiarato in seguito: “È senza dubbio il miglior attore che abbia mai addestrato“. Il ruolo è però stato per Bale una sfida anche dal punto di vista fisico, poiché ha dovuto perdere settanta chili prima dell’inizio delle riprese. Bale era infatti ingrassato molto per il suo ruolo in Vice – L’uomo nell’ombra e ha avuto circa sette mesi di tempo per perdere il peso necessario.

Nel ruolo Carroll Shelby vi è invece l’attore Matt Damon, che ha affermato di aver accettato il ruolo primariamente per poter lavorare con Bale, di cui si è detto un ammiratore. Nel film recitano poi Jon Bernthal nei panni di Lee Lacocca, vice presidente della Ford, e l’attrice Caitriona Balfe in quelli di Mollie, moglie di Ken. Noah Jupe, dopo essere stato il figlio di Matt Damon in Suburbicon, è qui Peter, il figlio del personaggio interpretato da Bale. Josh Lucas recita nel ruolo di Leo Beebe, vicepresidente della Ford, mentre Francesco Bauco ricopre il ruolo del pilota italiano Lorenzo Bandini. Si ritrovano poi Tracy Letts nel ruolo di Henry Ford II, amministratore delegato della Ford e l’italiano Remo Girone in quelli di Enzo Ferrari.

Le Mans '66 - La grande sfida cast
Christian Bale e Matt Damon in Le Mans ’66 – La grande sfida

La storia vera e le differenze con il film

All’inizio degli anni ’60, la Ferrari era imbattibile sulle piste ma si trovava in difficoltà economiche. Anziché cercare di battere le sue auto, Henry Ford II ritenne più facile proporre ad Enzo Ferrari di rilevare la sua azienda. Ci fù dunque realmente un tentativo di acquisto, proprio come mostrato nel film, per 10 milioni di dollari, che però non ebbe esito positivo. Ferrari, infatti, capendo che tutta la sua attività sportiva sarebbe a quel punto dipesa dall’approvazione dei vertici Ford, decise di rifiutare l’offerta. Per risollevare le sorti della sua azienda, Ford si affida allora al suggerimento del vice presidente Lee Lacocca, ovvero di puntare a vincere l’edizione del 1966 della prestigiosa gara 24 Ore di Le Mans. Ford, furioso dal rifiuto di Ferrari, decise dunque di indirizzare ampi finanziamenti allo sviluppo di una nuova imbattibile auto.

Le prime auto prodotte, le Ford GT40, che hanno gareggiato a Le Mans nel 1964 e nel 1965 erano però tutt’altro che perfette e in quelle occasioni le Ford non riuscirono a terminare la gara. Sebbene le auto fossero veloci, semplicemente si ruppero. I cambi si guastarono, le guarnizioni delle teste esplosero e i rotori dei freni anteriori raggiunsero i 1.500 gradi in pochi secondi, smettendo di funzionare. Anche l’aerodinamica era pericolosamente scadente. A oltre 200 miglia orarie, le auto sviluppavano una portanza tale da provocare un’impennata. Per migliorare questi aspetti, viene ingaggiato Carroll Shelby, ex pilota ritiratosi per via di un problema cardiaco e attivo ora come costruttore di automobili. Shelby accetta, ma a condizione di poter portare nel team il proprio pilota e meccanico: Ken Miles.

Per quanto i due abbiano effettivamente contribuito allo sviluppo delle nuove auto Ford, il film omette in gran parte il vasto gruppo di partecipanti che furono a loro volta responsabili del successo della GT40 alla 24 Ore di Le Mans. Oltre a Shelby e Miles, molti altri dipendenti e appaltatori di talento della Ford hanno infatti lavorato per risolvere la complessa serie di ostacoli ingegneristici in un lasso di tempo incredibilmente ristretto. Alla fine, in ogni caso, la Ford GT40 viene perfezionata a Le Mans sbaraglia la concorrenza della Ferrari, ricoprendo i primi tre posti della classifica, ma contrariamente a quanto mostrato dal film, Enzo Ferrari non era fisicamente lì presenta ad assistere alla sconfitta. Al traguardo giungono due, perfettamente allineate le tre Ford in gara, ma la vittoria viene assegnata solamente a quella guidata da Bruce McLaren.

Questo perché partendo più indietro in griglia ha percorso più chilometri rispetto alle altre due auto. Ken Miles viene dunque derubato della vittoria. Sfortunatamente, non avrà modo di rifarsi l’anno successivo, poiché morì due mesi dopo la Le Mans del 1966. Rimase infatti ucciso in un incidente mentre era alla guida della Ford J-car. In quell’occasione, Miles si stava avvicinando al rettilineo in discesa di 1 miglio del Riverside International Raceway, nel sud della California, superando le 200 miglia orarie. Il sollevamento del retrotreno fece sì che l’auto si girasse, si ribaltasse, si schiantasse e prendesse fuoco, andando in pezzi ed uccidendo Miles sul colpo. Fu poi inserito postumo nella Motorsports Hall of Fame of America nel 2001, mentre la Ford continuerà il suo duello con la Ferrari vincendo anche le edizioni 1967, 1968 e 1969.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire di Le Mans ’66 – La grande sfida grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple TV, Prime VideoTim Vision e Disney+. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di martedì 11 febbraio alle ore 21:20 sul canale Rai 4.

Fonte: HistoryvsHollywood

Le Mans ’66 – La grande sfida in home video

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Le Mans ’66 – La grande sfida in home video

Matt Damon e Christian Bale sono le star di Le Mans ’66 – La grande sfida, film basato sull’incredibile storia vera del visionario designer di automobili Carroll Shelby e dell’intrepido pilota britannico Ken Miles, che insieme si batterono contro l’interferenza delle corporation, le leggi della fisica e i loro demoni personali per costruire una rivoluzionaria auto da corsa per la Ford Motor Company e sfidare le imbattibili auto di Enzo Ferrari alla 24 Ore di Le Mans in Francia nel 1966.

Vincitore di due premi Oscar per il miglior montaggio e il miglior montaggio sonoro, il film ha conquistato in pieno sia il pubblico che la critica, raccontando con successo una storia realmente accaduta che farà battere il cuore dall’inizio ai titoli di coda. Le Mans 66 sarà disponibile dal 26 febbraio sulle piattaforme digitali (Itunes, Google Play, Chili, Rakuten.tv e TimVision) e dall’11 marzo nei migliori negozi fisici e online in formato 4K Ultra HD, Blu-Ray e DVD.

CONTENUTI EXTRA Blu-Ray, Le Mans ’66 – La grande sfida

  • Dare vita alla rivalità*: Documentario di 60 minuti in 8 parti che trasporta lo spettatore direttamente sul set del film
  • Prologo: il giro perfetto
  • Il vero Ken Miles
  • Il vero Carrol Shelby
  • La vera Ford GT40
4K UHD:
Durata: 2 ore e 32 minuti circa
Aspect Ratio: Widescreen 2.39:1
Audio: Inglese 7.1.4 Dolby Atmos; Italiano, Francese, Spagnolo, Tedesco DTS 5.1; Inglese DTS-HD MA 2.0; Inglese audio descrittivo, Ceco, Polacco Dolby Digital 5.1
Sottotitoli: Italiano, Inglese, Inglese audio descrittivo, Francese, Spagnolo, Danese, Olandese, Finlandese, Tedesco, Norvegese, Svedese, Ceco, Polacco
Rating: Film per tutti
BLU-RAY:
Durata: 2 ore e 32 minuti circa
Aspect Ratio: Widescreen 2.39:1
Audio: Italiano, Tedesco, Francese, Spagnolo DTS Digital Surround; Inglese DTS-HD MA 7.1; Inglese audio descrittivo Dolby Digital 5.1; Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: Inglese, Inglese per non udenti, Francese, Spagnolo, Danese, Olandese, Finlandese, Tedesco, Norvegese, Svedese (alcune lingue potrebbero non essere disponibili per I sottotito.i e l’audio dei contenuti speciali)
Rating: Film per tutti
DVD:
Durata: 2 ore e 26 minuti circa
Screen Format: Widescreen 2.39:1
Audio: Italiano, Inglese, Francese,Tedesco Dolby Digital 5.1; Inglese Dolby Digital 2.0
Sottotitoli: Italiano, Inglese, Inglese per non udenti, Francese, Olandese, Tedesco
Rating: Film per tutti

Le mani sulla città

Le mani sulle città è il film 1963 di Francesco Rosi con Rod Steiger, Carlo Fermariero.

Ne Le mani sulle città Napoli, primi anni ’60. Eduardo Nottola è un personaggio spregiudicato che ricopre un doppio ruolo: è infatti sia un costruttore edilizio che un consigliere comunale della città in questione, e porta avanti il suo piano di speculazione edilizia che cambierà per sempre il volto della città.

Tutto inizia quando un palazzo fatiscente, in fase di demolizione (con un solo muro in comune con un altro edificio ancora abitato), subisce un drammatico crollo. Due operai muoiono, un bambino resta ferito al punto che perderà le gambe. Scoppia lo scandalo, e i politici di sinistra subito accusano: dietro a tale tragedia non c’è il destino, ma Edoardo Nottola, consigliere comunale e costruttore edile, con il figlio che lavora all’ufficio comunale per le opere pubbliche.

Niente riesce a fermarlo. Né il crollo di un fabbricato provocato dai lavori di demolizione condotti dalla sua impresa che causerà morti e feriti, né l’impegno del consigliere dell’opposizione De Vita, né il suo stesso partito che comincia a provare qualche rimorso.

Questo film del 1963 diretto da Francesco Rosi è ambientato a Napoli, ma il suo tema permette di adattarlo a tutte le città d’Italia. Infatti, la selvaggia speculazione edilizia degli anni ’50-’60 (e anche quella dei due decenni successivi, sebbene in modo minore) è un’epidemia che investì tutto il Paese da Nord a Sud. Non a caso Napoli viene nominata solo dopo mezz’ora dall’inizio del film.

Ad inizio lungometraggio, una didascalia dice: «I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce». Quale modo migliore per sintetizzare l’essenza di questo lungometraggio, autentica denuncia alla politica che si arricchisce sulla pelle dei cittadini, soprattutto, dei più deboli e poco informati.

I due personaggi protagonisti, Nottola e De Vita, sono agli antipodi non solo per la parte politica che occupano – uno interessato a guadagnare, l’altro ad impedirglielo – ma anche per gli attori che li interpretano. I panni di Nottola sono infatti indossati da Rod Steiger, attore temprato di Hollywood che ha interpretato ruoli di cinico, spesso in modo debordante e sopra le righe. Otteneva spesso parti collaterali nelle quali dimostrò appieno quanto fosse vero l’assioma che “non esistono piccole parti ma solo piccoli attori”. in film leggendari come Fronte del porto, La calda notte dell’ispettore Tibbs (grazie al quale vinse anche l’Oscar), Lucky Luciano; ma anche un ruolo di eroe in Giù la testa di Sergio Leone o come interprete di personaggi storici carismatici quali Mussolini, Napoleone, Papa Giovanni XXIII, Ponzio Pilato e Al Capone.

Gli fa da contraltare l’altro protagonista, il deputato del Pci e sindacalista Carlo Fermariero, napoletano, il cui personaggio era ispirato a Luigi Cosenza, ingegnere e architetto, consigliere comunale comunista che si opponeva alla destra monarchica guidata dal sindaco Achille Lauro.

Sullo sfondo del loro scontro, una Napoli ferita dalla guerra, con tanti poveracci destinati a subire il danno e la beffa. Il finale è di quelli amari, nel quale a vincere è il Male. Come sovente è successo nel nostro Paese.

Pur se quarantennale (primo film del 1958, ultimo del 1997), la carriera di Francesco Rosi alla regia non è particolarmente ricca di film, avendone diretti “solo” 18. Un numero relativamente basso, ma qualitativamente elevato, se si considera il fatto che quasi tutti i suoi lungometraggi sono socialmente e politicamente impegnati, autentiche denunce di eventi italiani troppo spesso dimenticati o archiviati con estrema facilità. Malgrado la loro gravità.

Tra le note di fondo, va detto che il film ha vinto il Leone d’oro al Festival di Venezia; ma anche che Rod Steiger è stato doppiato da Aldo Giuffrè e che Le mani sulla città è il film proiettato da Peppino Impastato al circolo Musica e cultura ne I cento passi. Scelta azzeccatissima, aggiungiamo noi.

Le location delle dizi turche più famose

Le location delle dizi turche più famose

Le dizi turche sono oggi tra i prodotti televisivi più fruiti nel nostro Paese. Mediaset ne propone diverse, e ciascuna di esse registra ascolti elevati, confermando così il forte interesse del pubblico italiano. Anche i colossi streaming hanno puntato su queste serie: basti pensare a Netflix, che ha dedicato loro un’intera sezione del catalogo.

Le location delle dizi turche a Istanbul

Nel novanta per cento dei casi, le storie di queste serie sono ambientate a Istanbul, cuore pulsante della produzione televisiva turca. Di recente chi scrive ha visitato la città, andando alla scoperta di alcune delle location in cui sono state girate le dizi attualmente in onda su Canale 5 e disponibili su Mediaset Infinity. Scopriamo quali sono.

Torre di Galata – Endless Love

Endless Love Location
Foto di Valeria Maiolino © Cinefilos.it

Nella prima stagione di Endless Love, intorno al 12esimo episodio (versione turca), quando Nihan non ha ancora rivelato a Kemal il motivo del suo rifiuto, assistiamo a una scena di lei in un bar, seguita da un flashback che riporta a cinque anni prima. Nel ricordo di Nihan, la coppia arriva a Galata, nella parte europea della città, dove svetta la famosa Torre, uno dei simboli di Istanbul.

La scena mostra i due mentre scendono dalla scalinata del monumento, dove si forma la fila per salire, e si fermano a prendere un tè in un bar sotto di esso. In quel momento speciale, i due incidono le iniziali sui tavoli di legno per suggellare il momento pieno di amore. Il bar in questione è l’Otantik Cafe, che conserva ancora oggi il tavolo usato sul set e una foto degli attori in scena, Neslihan Atagül e Burak Özçivit.

Ponte di Galata – Daydreamer – Le ali del sogno

Daydreamer location
Foto di Valeria Maiolino © Cinefilos.it

Dalla Torre di Galata, proseguendo in tram, si raggiunge il Ponte di Galata, un punto d’incontro famoso a Istanbul, frequentato da pescatori giorno e notte. Sotto il ponte, che collega Galata a Eminönü (dove si trova il porto), si trovano numerosi ristoranti di pesce.

Questa zona è stata set del 29esimo episodio turco di Daydreamer – Le ali del sogno, nella prima stagione, quando Can porta Sanem a scattare foto per una campagna pubblicitaria della Fikri Harika. I due passeggiano e si scattano foto sul ponte, coinvolgendo anche i pescatori, simbolo della zona.

Balat – My Home My Destiny

My Home My Destiny set
Foto di Valeria Maiolino © Cinefilos.it

Attraversato il ponte e giunti a Eminönü, con un breve tragitto in autobus si arriva a Balat, quartiere ebraico di Istanbul e tra i più poveri della città. Balat è famoso per le case colorate e le ripide salite, ed è qui che si svolge gran parte della dizi My Home My Destiny. Tutta la zona, in realtà, è set della serie, ma in particolare, una scalinata caratteristica, divisa a metà da una ringhiera rossa, è protagonista dell’introduzione e della storia d’amore tra Zeynep e Mehdi.

Dopo il primo incontro nell’officina di Mehdi, che avviene nel primo episodio sia italiano che turco, i due si rivedono su queste scale, ancora inconsapevoli del destino che li lega. Queste scale si trovano in Cennet Mahallesi e sono un luogo ricorrente nella serie, a cui i protagonisti fanno spesso ritorno, sia da soli che insieme.

Pierre Loti – My Home My Destiny

My Home My Destiny location
Foto di Valeria Maiolino © Cinefilos.it

Lasciando le zone centrali e più frequentate come Galata, ci si sposta verso la collina di Pierre Loti, nel quartiere di Eyüp, sempre situato nella parte europea di Istanbul. Costeggiando il cimitero di Pierre Loti si giunge al Pierre Loti Café, che si affaccia sul Corno d’Oro, ed è un altro set importante di My Home My Destiny.

Qui Zeynep e Mehdi si conoscono meglio nelle prime puntate (qui si presenteranno ufficialmente), gettando le basi della loro storia d’amore. Il locale riappare nella seconda stagione, quando Zeynep è ormai separata da Mehdi: porta lì l’amica Emine, e incontra anche il suo ex marito. Successivamente andrà anche con la sorella Gulbin, di cui ancora non conosce la vera identità.

Le livre d’image: recensione del film di Jean-Luc Godard

Le livre d’image: recensione del film di Jean-Luc Godard

Torna in concorso al Festival di Cannes 2018 il celebre autore della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard con il suo nuovo film dal titolo Le livre d’image. Dopo aver vinto il Premio della Giuria al medesimo Festival nel 2014 con Adieu au Langage, Godard prosegue con la sua ricerca sul linguaggio cinematografico, cercando come sempre di stupire per i suoi tentativi di innovazione e allo stesso tempo di fornire uno sguardo nuovo sul mondo e sull’umanità.

Difficile ridurre Le livre d’image ad una trama esplicativa dell’idea dell’autore. Il film non è altro che un costante found footage con immagini, spezzoni di video presi dall’internet o di celebri film del passato. Un libro di immagini, appunto, che tenta attraverso un filo logico di evidenziare la morte del linguaggio, come già teorizzato nel precedente film, e la morte di un’umanità che soccombe sempre più alla guerra e al terrorismo.

È un discorso fortemente politico quello che porta avanti Godard, criticando e domandando in forma retorica dove sia finita l’umanità, in tutte le sue forme. Attacca i testi sacri delle principali religioni, attacca la morte del pensiero, attacca tutto ciò che sta portando sempre più ad una spersonalizzazione dell’essere umano dal suo contesto naturale. Attraverso la giustapposizione di numerose immagini, è il montaggio il vero protagonista, che ci conduce attraverso un percorso criptico che tenta di stimolare riflessioni e fornire domande alle quali non sembra avere risposta neanche l’autore stesso.

Le livre d'image

Le immagini, i suoni, le parole, tutto viene da Godard decontestualizzato per essere riadattato a nuova forma, per ricercare sempre nuovi e infiniti significati al materiale su cui lavora. Egli tenta di dar vita ad una storia globale che possa colpire lo spettatore su più punti facendo risvegliare la sua coscienza.

Nel suo perseguire un linguaggio di questo tipo, così provocatorio così anti narrativo, Godard ottiene però l’effetto di rimaner bloccato nel passato. In un passato in cui il linguaggio da lui inventato poteva essere novità di estrema attrattiva, ma che oggi si rivela essere un modo di comunicare stanco e affatto innovativo. Il messaggio che ne deriva è privato di una reale forza, e sembra in ogni caso aver ben poco da comunicare realmente.

Il risultato finale di questo Le livre d’image è così quello di frastornare lo spettatore, di infastidirlo, con la conseguenza che si arriva a chiedersi quale sia il valore, oggi, di un’opera e di un linguaggio di questo tipo. Il nuovo film di Godard appare così come un’opera dall’indiscussa complessità di ideazione e realizzazione, ma che suscita nello spettatore numerose perplessità.

Le linci selvagge: recensione del docufilm di Laurent Geslin

Le linci selvagge: recensione del docufilm di Laurent Geslin

Laurent Geslin è un fotografo naturalista di fama mondiale che per nove anni ha monitorato immergendosi nella natura, le linci euroasiatiche. La lince, per chi non lo sa, è un predatore fondamentale per l’ecosistema forestale, poiché la sua presenza aiuta a mantenere l’equilibrio naturale, minacciata sempre di più da fattori come i cambiamenti climatici e l’attività umana. Il documentarista alla fine ha realizzato un film intitolato Le linci selvagge che è stato presentato in anteprima durante il Locarno Film Festival 2021.

Cosa racconta Le linci selvagge

Nel corso del 19° secolo, la lince euroasiatica è stata sterminata ed è scomparsa dall’Europa occidentale. Cinquant’anni fa, il predatore però è stato reintrodotto nelle montagne della Svizzera. La lince è un animale fiero, bellissimo, con indole schiva, solitario, ma nonostante la protezione garantita a livello nazionale ed europeo, la specie resta comunque a rischio. Le sue peculiarità fisiche sono i ciuffi di peli sulle punte delle orecchie e il manto che assume varie gradazioni di colore a seconda del territorio di appartenenza. Il pelo delle linci per esempio è più chiaro nei paesi del nord e diventa più scuro man mano che si procede verso sud. Anche se è un felino usa il mimetismo per difendersi dai pericoli dell’ambiente circostante, ma anche per ingannare le sue prede, come caprioli o camosci.

Questo fiero predatore, conosciuto anche con il nome di gattopardo o lupo del Cerviere, ha un comportamento che ricorda un po’ quello di altri animali notturni delle foreste europee, preferendo prevalentemente uscire nelle ore serali e dedicarsi alla vita sociale solo durante il periodo degli accoppiamenti. Il fotografo francese ha seguito, per un lungo periodo, il ciclo della vita di una famiglia di linci euroasiatiche, documentando gli eventi cruciali come la nascita dei cuccioli, l’apprendimento della caccia e la difesa del territorio ma anche quella dagli uomini. Questo documentario, girato tra le montagne della Giura e commentato da Geslin stesso, si apre a fine Inverno dove due linci che si incontrano per riprodursi.

Le linci selvagge – ©Geslin Laurent

Il film inizia durante la stagione degli amori, quando il maschio della specie “canta” per attirare la femmina, che risponde ad essa. Proseguendo passano alcuni mesi e arriva la Primavera con il risveglio degli animali dal letargo, la rinascita con i suoi primi germogli sulle piante e l’apparizione della lince femmina in dolce attesa alla ricerca di una tana per partorire. Passa un’altra stagione e si rivede la lince madre con ben tre piccoli gattini,  ovviamente questo è un docufilm con animali selvaggi in cui è facile trovare la morte quando sei un cucciolo. Purtroppo durante il racconto due membri della famiglia delle linci vanno incontro a un triste destino. Uno dei tre cuccioli viene ucciso da un bracconiere e l’altro a sette mesi muore investito da una macchina. Il documentario si conclude con la femmina piccola cresciuta, l’unica sopravvissuta, pronta per trovare un compagno e continuare la specie.

Un film che contribuisce alla ricerca

Guardando quest’opera prima di Laurent Geslin si nota fin da subito che chi c’è dietro la telecamera è una persona esperta e appassionata di questo straordinario animale. Uno degli aspetti che meglio lo mostra è quando c’è proprio l’impressione, che la lince stia guardando dritto nell’obiettivo e questo è merito del regista che ormai li conosce bene questi straordinari predatori europei. Il regista comunque non si concentra solo sulla lince ma mostra anche tutti gli altri animali che in qualche modo diventeranno, forse, possibili prede o semplicemente abitano nello stesso habitat naturale.

Le linci selvagge si racchiude benissimo nel genere dei documentari dedicati alla natura incontaminata e alla difficile convivenza tra esseri umani e animali selvaggi. Per concludere questo docufilm è tutt’ora il primo dedicato interamente alle linci, ci sono quelli sui leoni, ghepardi, giaguari e altri grandi felini, ma niente sui gattopardi.

Le linci selvagge, una clip dal film: “Volpi, cinghiali e caprioli”

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Arriverà dall’11 al 13 al cinema con WANTED Le linci selvagge, il nuovo film documentario di Laurent Geslin, che esordisce alla regia con questo ispirato documentario – frutto di un lungo lavoro di 9 anni di osservazioni ravvicinate immerso nella natura più selvaggia – girato tra le montagne della Giura, in Svizzera, dove vive un animale superbo, la lince euroasiatica. Ecco una clip dal film:

https://www.youtube.com/watch?v=0YlZIiyA7wk

Leggi la recensione de Le linci selvagge

Predatore importantissimo per l’ecosistema in cui vive, la presenza della lince risulta infatti indispensabile per mantenere stabile il delicato equilibrio della foresta, minacciata dal cambiamento (anche climatico) e dalla presenza dell’uomo.

La lince è una specie protetta a livello nazionale ed europeo, tanto che nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) in Francia è classificata come “in pericolo”, altamente vulnerabile a causa delle sue piccole dimensioni e della frammentazione delle colonie sul territorio europeo. Il documentario LE LINCI SELVAGGE segue una famiglia di linci, la cui vita scorre al ritmo delle stagioni. Tanti gli eventi che si susseguono nel corso della loro esistenza: la nascita dei piccoli, l’apprendimento delle tecniche di caccia, la conquista del territorio e tutti le difficoltà e i pericoli che comporta. Il loro è un universo tanto vicino a noi quanto sconosciuto.

Le Lezioni di cioccolato secondo Federici e il suo cast

Si è svolta nella suggestiva cornice dell’Hotel Bernini Bristol di Piazza Barberini la presentazione alla  stampa di Lezioni di cioccolato 2, che sarà nelle sale da venerdì 11 novembre in 300 copie. Presenti il regista Alessio Maria Federici, al suo esordio, lo sceneggiatore Fabio Bonifacci, gli interpreti principali Luca Argentero, Hassani Shapi, Nabiha Akkari, assieme ad Angela Finocchiaro e Vincenzo Salemme. A rappresentare Cattleya, Marco Chimenz e Francesca Longardi.

Le Leggi del Desiderio: Silvio Muccino presenta il film a Roma

Le Leggi del Desiderio: Silvio Muccino presenta il film a Roma

Silvio Muccino torna al cinema. A cinque anni di distanza da Un altro mondo, arriva Le Leggi del Desiderio, da lui scritto (in collaborazione con Carla Vangelista), diretto e interpretato. Presentato questa mattina alla stampa italiana presso il Cinema Adriano, il film annovera nel cast anche Nicole Grimaudo, Maurizio Mattioli e Carla Signoris. Ecco cosa Silvio ci ha raccontato della sua nuova creatura:

“Sono giunto a questa storia in maniera molto graduale, lentamente. Volevo realizzare una storia romantica, ma sentivo di aver bisogno di un forte radicamento nel presente. Così, attraverso internet, mi sono imbattuto nel fenomeno dei life coach. Abbiamo visto tantissimo materiale, tra cui i video del famosissimo Anthony Robbins. Si tratta di figure carismatiche, figure che sono figlie del nostro tempo, di questo periodo. Un periodo carico di smarrimento. In un momento di profonda crisi, in cui ci sembra impossibile riuscire a realizzare i nostri desideri, queste figure si propongono come capaci di liberarci dalle nostre frustrazioni. Si tratta di personaggi che non sono mai stati trattati nel nostro cinema. Di cosa parla questo film? Di maschere. Di maschere che tutti noi come esseri umani ci siamo costruiti. Ma quando finisce la maschera e inizia davvero l’essere umano? Ecco di cosa parla il film”.

Sempre parlando del film e del life coaching, Muccino continua: “Volevo fare un film che fosse romantico, positivo e insieme pieno di speranza. Per me la speranza è nel sentimento, al di là di ogni possibile maschera. Quello del life coaching è un fenomeno americano molto diffuso anche in Italia. Non esistono sono persone che ti “insegnano a vivere, ad avere successo”. Esistono tanti tipi di life coach. Credo che le persone al giorno d’oggi vogliano questo: qualcuno che le indichi la strada”.

In riferimento alla sua carriera e alla sua ultima esperienza dietro la macchina da presa con Un altro mondo, dichiara: “Il mio desiderio era tornare al cinema con un film in cui credevo fortemente. Il mio unico e solo desiderio è fare film in cui credo e circondarmi di attori straordinari. Dopo Un altro mondo sentivo il bisogno di prendermi una pausa e di cambiare, di mettermi in gioco. Non sempre si è pronti, non sempre si ha qualcosa da dire. Bisogna saper aspettare e trovare la storia ed il ruolo giusto”.

Interviene poi Nicole Grimaudo, co-protagonista femminile del film, che in merito al suo personaggio e alla collaborazione con Silvio Muccino si è così espressa: “È stata un’esperienza straordinaria. Silvio e Carla mi hanno dato la possibilità di interpretare un ruolo femminile straordinario, come non sempre se ne vedono nel cinema italiano. Mi sono messa in gioco e ho interpretato un ruolo molto lontano da me. Un personaggio che cambia nel corso della storia, e questo per un’attrice è il massimo. Devo confessare che grazie a Silvio ho riscoperto la gioia della recitazione: è un regista che ama i suoi attori, e lavorare con lui è veramente un qualcosa di incredibile”.

La parola torna al regista del film, che in merito al lavoro sul set ha rivelato: “La regia e la scrittura sono qualcosa di estremamente stimolante per me. Mi permettono di creare, di trovare dei personaggi che veramente mi entusiasmano. Da regista, poi, posso concedermi il lusso di passare la palla ad altri colleghi ed è questo uno dei motivi per cui adoro fare il regista. Io amo i bravi attori e amo lavorare con loro. Soprattutto, amo imparare da loro e dal loro lavoro nel mio film. Per realizzare questo film diciamo che ho avuto a disposizione tantissimo tempo. È un film che nasce nelle mie intenzioni come spettacolare. Volevo creare un grande show. Abbiamo fatto davvero un lavoro capillare. L’elemento fondamentale in questo grandissimo gioco è stato usare la luce in macchina, e per questo ringrazio il direttore della fotografia Federico Schlatter, che ha davvero fatto un lavoro incredibile”.

Sull’esplicito riferimento al fenomeno 50 sfumature di grigio presente all’interno del film, attraverso il personaggio interpretato da Carla Signoris, Muccino ha commentato: “È un fenomeno di costume e per quanto mi riguarda un fenomeno di costume molto divertente. Sì, quello del film è un chiaro ammiccamento”.

Le Leggi del Desiderio uscirà al cinema il 26 febbrio distribuito, in 400 copie, da Medusa Film.

Le Leggi del Desiderio: recensione del film di e con Silvio Muccino

A quattro anni di distanza da Un altro mondo, Silvio Muccino torna dietro la macchina da presa per raccontarci un fenomeno attuale, il life coaching, senza tralasciare quella componente sentimentale così candida e schietta che da sempre caratterizza i suoi lavori da regista. Di cosa parla Le Leggi del Desiderio? Di Giovanni Canton (interpretato dallo stesso Muccino), carismatico trainer motivazionale che decide di dimostrare la veridicità delle sue teorie organizzando un concorso per la selezione di tre fortunate persone che verranno da lui stesso portate, in sei mesi, al raggiungimento dei loro più sfrenati desideri. Ben presto, però, il life coach dovrà fare i conti con gli effetti che l’intenso rapporto con il terzetto prescelto avrà nella vita di tutti, soprattutto nella sua…

La cosa che più colpisce de Le Leggi del Desiderio è una notevole crescita che Muccino regista dimostra nella direzione degli attori. In diversi momenti il suo Canton viene messo da parte, quasi eclissato, per lasciare maggiore spazio alle storie e alle dinamiche che coinvolgono i tre concorrenti, intepretati dai bravissimi Nicole Grimaudo, Maurizio Mattioli e Carla Signoris. Il trio di attori dà vita a dei personaggi ben caratterizzati, che spingono alla riflessione nel loro emergere come esempi lampanti e ben radicati di una società disposta a tutto pur di realizzare i suoi sogni, e che proprio per questo spaventa. Eppure, troppo spesso il Muccino sceneggiatore eccede nello stereotipo e nella prevedibilità, ed è qui che viene fuori il problema più grande della terza esperienza da regista dell’attore romano.

Se Muccino dimostra di aver raggiunto una maggiore consapevolezza dal punto di vista tecnico, impreziosendo il suo lavoro con una regia molta più acuta e scorrevole (aiutato anche dalla fotografia di Federico Schlatter), non si può dire lo stesso in merito alla sue capacità narrative: scritto da Silvio in collaborazione con la storica Carla Vangelista (che aveva già firmato con lui Parlami d’amore e Un altro mondo), Le Leggi del Desiderio, pur affrontando un tema mai esplorato dal cinema italiano, insegue l’innovazione filmica senza mai raggiungerla veramente, restando come intrappolato in se stesso e nella visione sognante del suo regista, incapace di liberarsi dalle catene della retorica che spianano la strada ad un finale smorfioso e romantico che si fa specchio di uno spirito idealista attecchito, ma che, al giorno d’oggi, sempre più fatica a trovare un riscontro nella realtà.

Le Leggi del Desiderio, in uscita il 26 febbraio, non è certamente l’opera della maturità. Nel suo impellente, pressante bisogno di dimostrare che quella strada (la strada dell’amore, in qualunque forma esso si manifesti) è l’unica via percorribile, Silvio Muccino confenziona un prodotto che scivola a poco a poco nella mediocrità e nella prevedibilità di una conclusione stantia, impedendo al film stesso di rimanere anche lontanamente impresso nelle mente o nell’animo dello spettatore.

Le ladre: tutto quello che c’è da sapere sul film con Adele Exarchopoulos

Dalla Francia arriva su Netflix un heist movie tutto al femminile, ricco d’azione, adrenalina e che attraverso la propria cornice di genere affronta tematiche come l’amicizia tra donne, l’amore e la sorellanza. Si tratta di Le ladre, nuovo lungometraggio diretto da Mélanie Laurent (meglio nota come attrice), che offre ai suoi spettatori un irresistibile trio di ladre professioniste che basano il proprio successo sul legame che le unisce. Divenuto disponibile sulla piattaforma il 1° novembre, il film è già diventato uno dei titoli più visti del momento, scalando in breve tempo le classifiche.

Questo per via del suo essere in grado di rivolgersi ad un pubblico molto ampio, dagli appassionati di heist movie (ovvero quei film incentrati su una grossa rapina) fino a chi invece apprezza le storie con protagoniste femminili e il rapporto esistente tra esse. Le ladre riesce infatti ad offrire azione, dramma, comicità e romanticismo, affermandosi dunque come un ottima pellicola di genere. Non meno importante, il film, le cui riprese si sono svolte a Parigi e in Corsica, sfoggia alcune location mozzafiato, che con la loro bellezza contribuiscono a rendere Le ladre un titolo da non perdere.

Descritto come un Mission: Impossible al femminile o come un Charlie’s Angels ma senza Charlie, Le ladre è sì tutto questo ma possedendo anche una propria ben distinta identità, che si svela chiaramente lungo il corso della visione. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le procedure da seguire per poter vedere Locked In in streaming su Netflix.

Le Ladre Adele Exarchopoulos

Le ladre: il fumetto da cui è tratto

Il film è l’adattamento cinematografico del fumetto dal titolo La grande odalisca, realizzato da Bastien Vivès insieme alla coppia Florent Ruppert e Jérôme Mulot, i quali hanno tratto il titolo da un dipinto a olio di Jean Auguste Dominique Ingres conservato al Louvre di Parigi. La grande odalisca dà il titolo al fumetto in quanto è proprio il dipinto che le protagoniste aspirano a rubare. Pubblicato in Francia nel 2012 da Dupuis, questo è stato tradotto in Italia da Bao Publishing nel 2014. Nel 2015 è stato poi pubblicato un seguito, Olympia (anch’esso con un titolo basato su un celebre dipinto, quello di Édouard Manet), il quale è però ancora inedito in Italia.

La trama di Le ladre

Protagoniste del film sono due ladre e migliori amiche, Carole e Alex. La coppia, anche per via della complicità che le lega, non fallisce un colpo e la loro specialità sono le opere d’arte di altissimo valore. Stanche di vivere perennemente in fuga, però, hanno ora deciso di cambiare vita. Prima di dire addio alla loro gloriosa carriera, vogliono tuttavia compiere un ultimo clamoroso furto che, idealmente, rimarrà nella storia. Per riuscirci reclutano una terza ragazza, Sam, esperta di motocross e si preparano così per una missione che sarà diversa da tutte le altre e che si preannuncia una straordinaria avventura finale, ma non priva di rischi.

Le ladre Netflix

Il cast di Le ladre

Mélanie Laurent, oltre a firmare la regia del film, si è ritagliata per sé anche il ruolo di Carole. L’attrice è nota per aver recitato in film come Now You See Me, By the Sea e 6 Underground. Il ruolo che l’ha consacrata a livello internazionale è però quello di Shosanna in Bastardi senza gloria. Ad interpretare la sua amica Alex vi è invece l’attrice Adèle Exarchopoulos, divenuta celebre grazie a La vita di Adele ma distintasi anche in Generazione Low Cost e Passages. A completare il terzetto vi è Manon Bresch nei panni di Sam, attrice già vista nel film italiano Maledetta primavera. Completano il film Philippe Katerine nei panni di Abner, Félix Moati in quelli di Clarence e Isabelle Adjani in quelli di Morraine.

Il trailer di Le ladre e come vedere il film in streaming su Netflix

È possibile fruire di Le ladre unicamente grazie alla sua presenza nel catalogo di Netflix, dove attualmente è al 1° posto della Top 10 dei film più visti sulla piattaforma in Italia. Per vederlo, basterà dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo di accedere al catalogo e di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti nella piattaforma.

https://www.youtube.com/watch?v=6Lw04GW2HOc&pp=ygUUbGUgbGFkcmUgdHJhaWxlciBpdGE%3D

Le Kardashian, da domani su Sky Uno

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Le Kardashian, da domani su Sky Uno

Il reality show di culto che è diventato un fenomeno di costume negli Stati Uniti, dando vita a innumerevoli spin-off, arriva anche in Italia: da domani su SkyLE KARDASHIAN”, lo show che segue la vita di una delle famiglie più high-profile di Hollywood.

Creatore e produttore esecutivo della serie è Ryan Seacrest (conduttore di American Idol e co-conduttore di LIVE with Kelly and Ryan). Le star dello show sono le sorelle Kourtney Kardashian, Kim Kardashian West e Khloé Kardashian, insieme alle sorellastre Kendall e Kylie Jenner e alla loro “Momager” Kris Jenner. Kris, Kim, Kourtney e Khloé sono anche produttrici esecutive della serie.

Dal 2007 il reality segue gli alti e i bassi delle loro vite personali e professionali, i matrimoni e le rotture, le nascite dei loro figli, tensioni familiari e momenti felici. Uno sguardo senza filtri nelle loro vite che è il segreto del loro impero mediatico. Le cinque sorelle sono diventate celebrities, trendsetter, influencer, imprenditrici con le loro linee di moda o di cosmetica, regine assolute del jet set internazionale. Insieme raccolgono un totale di quasi 600 milioni di followers su Instagram, 170 milioni su Twitter e 100 milioni su Facebook.

Giunto alla 17° stagione negli Stati Uniti, in Italia si comincia dalla 13. “Le Kardashian” è da domani, 21 ottobre, tutti i giorni dal lunedì al venerdì, alle 18:45 su Sky Uno(canale 108, digitale terrestre canale 455). Disponibile on demand, visibile su Sky Go – su smartphone, tablet e PC, anche in viaggio nei Paesi dell’Unione Europea – e in streaming su NOW TV.

“LE KARDASHIAN” È IN ONDA A PARTIRE DAL 21 OTTOBRE DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ ALLE 18:45 SU SKY UNO (CANALE 108, DIGITALE TERRESTRE CANALE 455), SEMPRE DISPONIBILE ON DEMAND, VISIBILE SU SKY GO – SU SMARTPHONE, TABLET E PC, ANCHE IN VIAGGIO NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA – E IN STREAMING SU NOW TV.

Le jeune Ahmed: recensione del film dei fratelli Dardenne – #Cannes72

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Ancora una volta, i fratelli Dardenne portano a Cannes i ritratti dei loro giovani protagonisti, quei ragazzi e ragazze che hanno sempre scelto come centro delle loro storie, ai quali consacravano il loro sguardo, la loro ormai celebre macchina a mano a seguire i loro movimenti, e con Le jeune Ahmed continuano a portare avanti questa tradizione nel loro cinema.

La differenza di questo Le jeune Ahmed rispetto alla loro produzione precedente e costituita dal fatto che questa volta i registi si spostano dal proletariato bianco, ai margini della società, e si concentrano su una questione sociale più specifica, la radicalizzazione delle famiglie di origine araba nel Vecchio Continente, quel fenomeno sociale che si identifica nel terrorismo islamico di origine europea. La questione è stata centrale nella cronaca recente del centro Europa, in particolare nel Belgio dei registi, tuttavia, staccandosi dalle loro tematiche più consuete.

Ne Le jeune Ahmed, il giovane Ahmed viene da una famiglia laica, in cui la madre beve vino e la sorella veste come le pare, una famiglia europea ordinaria, e pure lui sembra essere completamente adeguato ai costumi europei. Il suo incontro con un imam però comincia a cambiare il suo comportamento e il suo modo di vedere la realtà che lo circonda. A partire dal cambiamento del suo atteggiamento nei confronti della sua maestra, che le è sempre stata molto vicina a causa dei suoi problemi di dislessia, cominciamo a capire che la dottrina islamica radicale sta entrando nel modo di vedere la realtà di Ahmed: la maestra è una donna, e lui non la può toccare, secondo quanto dice il Corano, nemmeno tenerle la mano. L’imam inculca nel ragazzo le credenze più radicali dell’islamismo, fino a portare alla luce la storia di un cugino martire.

In un ambiente estraneo, i due registi sembrano però smarriti in Le jeune Ahmed, non riescono ad entrare in empatia con il protagonista, che è un ragazzino sempre con il broncio che adotta una visione estrema della religione. Lo ritraggono senza trasporto, mancando la profondità del personaggio e lasciandolo in balia di un cliché abusato. Di fronte alla necessità di non potere o riuscire a raccontare con tenerezza il loro protagonista, i registi finiscono per semplificare l’argomento banalizzando le sue scelte di vita.

Le indagini di Lolita Lobosco: in arrivo la seconda stagione con Luisa Ranieri

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Debutterà in prima visione su RAI 1 dall’8 gennaio 2023 la seconda stagione de Le indagini di Lolita Lobosco, la fiction Rai con protagonista Luisa Ranieri e diretta da Luca Miniero e liberamente tratto dai romanzi di GABRIELLA GENISI editi da Sonzogno e Marsilio Editori. La fiction è prodotto da ANGELO BARBAGALLO e LUCA ZINGARETTI per BIBI FILM TV e ZOCOTOCO.

Le indagini di Lolita Lobosco, la trama

Lolita Lobosco è una donna del Sud, mediterranea, vivace, empatica, in carriera; vicequestore del commissariato di polizia a Bari, a capo di una squadra di soli uomini. In un mondo ostinatamente maschile, come quello dell’investigazione e della giustizia, Lolita sceglie di rimanere se stessa, un prezioso mix di esplosiva bellezza e intelligenza emotiva che le permette non solo di affermarsi, ma anche di combattere alcuni pregiudizi ancora esistenti nei confronti delle donne al comando. In questa seconda stagione Lolita è alle prese con nuovi casi di omicidio che saprà risolvere con acume e creatività, anche grazie alla collaborazione preziosa dei fidi Forte ed Esposito. Parallelamente, la vicequestore cerca di tener fede alla promessa fatta a suo padre alla fine della prima stagione, ossia quella di trovare il suo assassino.

Chiarito infatti che l’omicidio di Petresine è opera della malavita organizzata che agiva nel porto di Bari, rimane da scoprire chi sia stato l’esecutore materiale del delitto. L’indagine si rivela tuttavia molto complessa, anche perché qualcuno sembra avere interesse a non far avvicinare Lolita alla verità. Se sul lavoro le difficoltà sono molte, la vita privata della nostra protagonista non è meno complessa: alla gestione del fidanzamento con un uomo molto più giovane, Danilo, si aggiungono le preoccupazioni per Nunzia e il suo speciale rapporto d’amicizia con Trifone, i dissidi di Forte con la moglie Porzia e la nuova sfida di Esposito con la fidanzata Caterina, per non parlare dei disastri sentimentali dell’amica del cuore Marietta. Come se non bastasse, nella vita di Lolita si affaccia una vecchia conoscenza, la sua prima cotta, l’affascinante Angelo Spatafora.

Le indagini di Lolita Lobosco ospite del Noir in Festival XXX

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Le indagini di Lolita Lobosco ospite del Noir in Festival XXX

Lunedì 8 marzo, nella giornata inaugurale della XXX edizione del Noir in Festival (in programma fino al 13 marzo), il festival rende omaggio al personaggio iconico creato dalla penna di Gabriella Genisi, Lolita Lobosco

La commissaria, interpretata da Luisa Ranieri, sarà la protagonista  della serie tv Le indagini di Lolita Lobosco in prima visione in 4 serate su Rai 1 dal 21 febbraio.

Nel segno della giornata internazionale della donna il Noir in Festival dedicherà alla serie uno speciale focus, che aprirà gli incontri del festival, in cui interverranno l’autrice dei romanzi Gabriella Genisi, il regista Luca Miniero e le interpreti.

L’appuntamento è per lunedì 8 marzo alle ore 11.00 sui canali social del Noir in Festival.

Le Iene, citazionismo e cinefilia: o come cominciò il mito di Quentin Tarantino

Precisamente vent’anni fa veniva presentata al Sundance Film Festival la pellicola di un anonimo regista del Tennessee con alle spalle una lunga gavetta come correttore di bozze e sceneggiatore. Dopotutto, non è da sottovalutare un quasi-trentenne che vanta già nel suo curriculum una collaborazione con Tony Scott e un’altra con Oliver Stone, due grandi nomi di Hollywood.

Il film presentato ha un nome particolare: Reservoir Dogs, titolo probabilmente ispirato dalla difficoltà del regista- dovuta a dislessia- nel pronunciare il titolo della pellicola francese Au revoir, les enfants, che aveva ribattezzato The Reservoir film. Dopo una prima visione, il pubblico è sconvolto, spiazzato: c’è chi sghignazza e chi grida allo scandalo, perché il film presenta delle scene di una violenza inaudita. Non è, infatti, un successo al botteghino ma la critica osanna il nuovo genio che è nato, presentando al prestigioso Festival di Cannes non tanto l’opera quanto il regista, che finalmente ha un nome e un cognome e che, a partire da quell’anno, si ritaglia la propria nicchia di lusso nel dorato mondo della celluloide: Quentin Tarantino.

E proprio lui dichiara durante la celebre “Proiezione Faye Dunaway” all’Egyptian theater: “Non so voi, ma io adoro la violenza al cinema. Quello che mi sconvolge è tutta quella merda alla Merchant/Ivory!” dove l’accusa non era rivolta tanto contro i singoli tirati in ballo, bensì contro un certo tipo di cinema dall’impianto stantio e datato.

Il suo background non è quello delle scuole di cinema, ma quello delle videoteche e della cinefilia compulsiva, che lo spinge a “saccheggiare” letteralmente più elementi stilistici e registici che può dalle pellicole più disparate, spaziando dai film d’azione e wuxia di Honh Kong ai film francesi della Nouvelle Vague firmati da Godard o Melville, senza tralasciare i sottogeneri italiani anni ’70-’80 come il poliziottesco, lo spaghetti western e l’horror splatter d’autore. Cita tra i suoi maestri gli italiani Leone, Argento, Fulci, Soavi, Lenzi, Di Leo, Bava, G. Castellari ma non disdegna nemmeno Howard Hawks, figura paterna e nume tutelare per il cineasta. Tarantino arriva comunque in un momento particolare per il cinema e per la cultura in generale. Assistiamo, infatti, alle soglie degli anni ’90 ad una vera e propria “crisi dei valori” e della cultura monolitica: se le pellicole degli anni ’80 vedono protagonisti eroi fissi, senza sfaccettature, e personaggi manichei che si muovono in una dimensione divisa tra bene e male, alle soglie invece dei ’90 si assiste ad un cambiamento; nelle pellicole i ruoli si confondono, si assiste ad un gioco continuo delle parti e si perdono i punti fissi di riferimento: gli eroi non sono poi così buoni e i cattivi non sono esclusivamente perfidi e malvagi fino al midollo. Il cinema comincia a popolarsi di antieroi, personaggi ambigui portatori di valori relativi e di una loro sinistra morale. Ed è proprio in questo solco che si innesta il germe del pulp, iperrealistico e pop, specchio dell’assurda violenza grottesca che popola il quotidiano.

Le uniche scuole di formazione professionale che frequenta il giovane cineasta americano sono quelle di recitazione (dove comincia a farsi conoscere per i suoi fitti dialoghi logorroici, costante dei suoi futuri film) e Il Sundance Institute, tappa fondamentale perché è proprio qui che presenta la sua opera, il suo primo prodotto definitivo: Reservoir Dogs, da noi Le Iene.

le_iene_gruppoLa pellicola crea scandalo, divide la critica, scuote gli animi e dà lo slancio alla nascita di un nuovo genere (o forse alla sua rinascita in chiave pop): il Pulp, quel “pasticcio” di cui già aveva parlato Charles Bukowski nel 1995 con il suo romanzo omonimo. Secondo il dizionario, il termine “pulp” può avere un duplice significato: può indicare sia un “pasticcio”, ovvero una massa informe di materia, quanto una serie di riviste di basso costo e scarsa qualità, diffuse prevalentemente nell’America degli anni ’50, costituite da una serie di racconti brevi (spesso scritti da nomi noti della letteratura “di genere” come Cornell Woolrich o Raymond Chandler) a base di sesso, violenza e azione. Le pellicole di Tarantino probabilmente si avvicinano ad entrambe le definizioni e, cavalcando l’onda del successo dei suoi film, si crea così un fenomeno “pulp” globale che riporta in auge anche il già citato capolavoro di Bukowski scritto nel 1964 e dedicato alla “cattiva scrittura” ma edito da Feltrinelli solo nel 1995, ovvero un anno dopo il successo di Pulp Fiction e la morte dello scrittore.

Alcuni Paesi impongono pesanti tagli al film (come gli Stati Uniti, con il discorso sulla censura e il divieto per i minori di 18 anni o l’Italia, dove tutt’ora viene trasmesso dalle tv “epurato” da alcune scene), addirittura la Gran Bretagna arriva a ritirare le copie disponibili in vhs. Ma di lì a breve nascerà un vero e proprio fenomeno mondiale che lancerà il film nell’empireo della cinematografia mondiale facendolo assurge a “cult”.

Tarantino cominciò a girare nel 1990, con a disposizione un budget esiguo di 30.000 dollari, “prestati” dal produttore Lawrence Bender che avrebbe dovuto ricoprire, inizialmente, il ruolo di Eddie il Bello. Ma tutto cambiò quando una copia della sceneggiatura originale venne fornita dalla moglie del suo insegnante di recitazione direttamente al noto attore Harvey Keitel (che proprio nel 1992 fu presente a Cannes con due film: Le Iene e Il cattivo tenente di Abel Ferrara). L’attore non solo rimase colpito dal copione, ma decise addirittura di co-produrlo: così il budget lievitò fino a 1.200.000 dollari, investiti quasi tutti per gli abiti di scena. Tarantino abbandonò definitivamente l’idea di girare il film con pellicola da 16mm, ma decise di mantenere lo stesso alcuni elementi della sceneggiatura originale, come l’integrità spaziale (il film, infatti, è girato principalmente in un garage, in realtà un’impresa di pompe funebri in costruzione) riducendo al minimo perfino le inquadrature elaborate, lasciando libero spazio ai piani sequenza senza apparentemente nessuno stacco (il che ricorda da vicino l’Alfred Hitchcock di Nodo alla Gola) liberamente ispirati al capolavoro di Godard Fino all’ultimo respiro (citato apertamente nella celebre sequenza dove Mr. Orange e Mr. White ripassano i dettagli del colpo in auto).

le_iene_a_tavolaLa storia è semplice e lineare: una banda composta da sei uomini viene formata da Joe Cabot (Lawrence Tierney) per realizzare un colpo in una gioielleria di Los Angeles. Gli uomini, senza nome ma contraddistinti da nomignoli (che richiamano il film Il colpo della metropolitana di Joseph Sargent) sono Mr. Blue (Edward Bunker), Mr. Brown (Quentin Tarantino), Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Orange (Tim Roth), Mr. Blonde (Michael Madsen) e Mr. Pink (Steve Buscemi), tutti avanzi di galera e fidati sgherri di Cabot. Ma il giorno del colpo qualcosa va storto: la polizia è già sul posto, Mr. Blonde apre il fuoco e si scatena una carneficina. Brown e Blue muoiono sul colpo, Orange viene ferito durante la fuga e ha i minuti contati. I superstiti si ritrovano in un garage abbandonato, il luogo dove Joe ha detto di aspettare sue indicazioni… Mr. White vorrebbe aiutare Orange, suo pupillo; Mr. Pink è riuscito a scappare con i diamanti e Mr. Blonde (ruolo per il quale, in un primo momento, si era pensato a nomi del calibro di Edward Norton, James Woods e George Clooney) mostra tutto il suo sadismo e la lucida follia nel momento in cui sequestra un poliziotto legandolo nel portabagagli della sua auto. Ma il dubbio si insinua nelle loro menti, un atroce sospetto che li porta a diffidare l’uno dell’altro: c’è una talpa nel gruppo, un infiltrato della polizia, ma chi?

Su questa trama lineare che ricorda da vicino la tradizione del noir-gangsteristico americano della migliore tradizione, Tarantino compone la propria personale sinfonia giocando con la cultura pop, l’American Way, il teatro dell’assurdo pinteriano e addirittura quello shakespeariano. I protagonisti sono  davvero “cani da rapina”, iene, animali sanguinari, sadici e individualisti pronti a sacrificare il loro prossimo pur di salvarsi la pelle. Non è un caso, forse, che l’unico dei sei a salvarsi, alla fine (anche se arrestato dalla polizia) sia proprio Mr. Pink, il più individualista del gruppo, colui che fin dall’inizio dichiara le sue vere intenzioni nel momento in cui rifiuta di dare la mancia alla cameriera.

Il film può essere inteso come una cinica apologia della nostra società contemporanea: siamo animali pronti a sbranare il nostro prossimo pur di preservarci, come recitava il vecchio motto del filosofo Hobbes “Homo Homini Lupus”. I sei uomini sono spietati e pronti a tutto, ma  a loro modo ognuno ha un’etica, una sorta di “codice morale dei ladri” che li porta a seguire un determinato modello di comportamento: Mr. Blonde non tradirebbe mai Joe ed Eddie, è solo un pazzo sadico che vuole divertirsi, un “cane pazzo”; Mr. White si lascia letteralmente “fregare” dal sentimento di amicizia e protezione che lo spinge verso Mr. Orange, tant’è che arriva addirittura a soppiantare la propria etica, anche se nel finale viene punito cinicamente dagli eventi (o dal Destino?) che gli mostrano  inesorabilmente l’errore di valutazione compiuto quando  ormai è troppo tardi.

Da molti critici il film è stato paragonato (o comunque confrontato) con l’opera di Stanley Kubrick Rapina a Mano Armata, ma le diversità tra le due pellicole sono profonde e significative: prima fra tutte, la frammentazione del tempo della storia, di cui Tarantino è un esperto, totalmente assente nel film di Kubrick che invece sceglie di raccontare cronologicamente la preparazione di un colpo in un ippodromo, destinato a finire tragicamente; inoltre, un’altra particolarità che distingue Le Iene è l’assenza della pianificazione, lo spettatore viene coinvolto fin dalle prime inquadrature nella banale quotidianità di un gruppo di uomini rozzi, nevrotici, sboccati che discutono di donne, sesso, canzoni di Madonna, mance e cameriere. Improvvisamente, dopo i titoli di testa (rigorosamente in giallo su fondo nero) ci troviamo a rapina compiuta: non vediamo cosa accade nella gioielleria, il massacro, possiamo solo intuirlo e ricostruirlo dai racconti dei sopravvissuti e dai flashback che ricostruiscono i frenetici eventi e le personalità complesse di questi loschi individui.

le_iene_mr_orange_morteProprio come in un dramma del Bardo, è la parola ad avere la meglio su complesse scenografie e perfino sul potere immaginifico del cinema stesso; la parola, i dialoghi costruiscono la struttura della narrazione proprio dove i personaggi “fanno”, letteralmente, la storia. Fin dalla carrellata iniziale, con il dolly che gira intorno ai personaggi prima prendendone le distanze poi avvicinandosi cautamente, dai loro dialoghi intrisi di cultura popolare e apparentemente senza senso capiamo in realtà la loro psicologia: Mr. Pink è un egoista, individualista che si rifiuta di dare un dollaro di mancia alla cameriera; Mr. Orange è pronto a fare la spia a Joe, svelando subito il suo gioco pericoloso su due fronti; Mr. Blonde è ciecamente fedele al capo Joe, pronto ad ubbidire a qualunque ordine; Mr. White tiene testa al capo, lo conosce bene e ha grinta da vendere, ma il suo lato debole è proprio l’istinto di protezione paterna verso Orange, che siede al suo fianco perfino a tavola;

Mr. Blue è schivo e taciturno; Mr. Brown è assurdo e logorroico come Tarantino stesso, che realizza con questo film il suo sogno di scrivere, dirigere e interpretare una sua opera. Un’ultima attenta analisi riguarda il personaggio di Mr. Orange e il suo aspetto meta- cinematografico: il personaggio interpretato magistralmente da Tim Roth è la quintessenza dell’attore, poiché in realtà il poliziotto Freddy Newandyke è costretto ad interpretare un ruolo, si cala in esso, lo studia attentamente vivisezionandolo al microscopio e finisce non solo per crederci totalmente, per abbandonarsi ad esso, ma per modellarlo su sé stesso e per viverlo fino in fondo, perdendo il labile confine tra finzione e realtà: si sente un gangster, acquisisce il loro linguaggio e il loro modo di pensare; uccide una donna a sangue freddo, e quando l’atto è ormai compiuto lo spettatore non si sente nemmeno più in grado di giudicarlo in alcun modo.

Il gusto di Tarantino per la citazione cinefila si vede già a partire da quest’opera prima: per esempio, l’uso del cosiddetto “Mexican Standoff” nel finale del film, ovvero un “triello” (duello a tre) dove i personaggi di Eddie il bello, suo padre Joe e Mr. White si tengono sotto tiro contemporaneamente; il cineasta usa una tipica inquadratura cara allo spaghetti western italiano e in particolare a Sergio Leone, che ne introduce uno ormai famosissimo nel finale del cult Il buono, il brutto e il cattivo dove i tre protagonisti si affrontano, faccia a faccia, in un cimitero. Allo stesso modo, un’altra scena ad alto tasso di cinefilia può essere considerata la memorabile sequenza della tortura, una delle più censurate della storia del cinema, dove il sadico Mr. Blonde si diverte a torture e tagliuzzare il povero poliziotto sequestrato. La scena ha un gusto fortemente grottesco, e la violenza che la pervade scivola in un’assurda atmosfera ironica ed eccessiva riconfermando quelle tesi che leggono il mondo descritto da Tarantino come chiuso in sé stesso, autistico insomma, fumettistico ed eccessivo quindi per questo totalmente avulso e lontano dalla realtà stessa. L’azione di Mr. Blonde è sottolineata dal sapiente uso di un pezzo rock degli anni ’70, “Stuck In The Middle With You” dei Stealers Wheel, una scelta particolare che ricorda da vicino quella compiuta da Lucio Fulci nel lontano 1972 nel film Non si sevizia un Paperino.

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Eppure, nemmeno il genio di Tarantino è riuscito ad evitare le accuse di plagio che sono state rivolte al film, e a nulla è servito il suo intervento con la famosa frase “i grandi artisti non copiano: rubano” a sua volta “rubata” dal compositore Igor’ Stravinskij. Un fan lo accusò di aver copiato in modo imbarazzante un film di Ringo Lam datato 1987 ed intitolato City on Fire. Le analogie più evidenti sono nella sinossi, nella sparatoria finale (il “triello”) e nella scelta stilistica in base alla quale la scuola di Hong Kong mette in scena un mix letale di realismo, pessimismo, crudeltà, durezza nelle immagini e perdita di qualunque distinzione tra buoni e cattivi, ma alla fine anche queste critiche accese decadono, nel momento in cui Tarantino dichiara di essere un fan del regista Lam e di avere un poster del suo film in casa; ma molti altri sono i film che il regista cita e saccheggia, a partire da Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah fino al cultissimo The Blues Brothers di John Landis. Ma forse è proprio questa una delle abilità maggiori del cineasta del Tennessee: saper rielaborare, secondo una sensibilità e un gusto assolutamente personali, elementi disparati tratti dalla cultura e dall’immaginario pop.

Tarantino modella i suoi personaggi giocando sul labile confine del bene e del male; essi non subiscono un giudizio manicheo da parte del loro demiurgo “creatore”, vivono indipendentemente cogliendo tutte le infinite sfumature della realtà. E la loro forza è proprio in questo: nel riuscire ad essere assurdamente normali, pur essendo calati in un contesto di genere che rafforza l’aspetto fittizio della messinscena cinematografica; i dialoghi riproducono fedelmente il linguaggio della quotidianità, come nel teatro di Harold Pinter o nelle sceneggiature di David Mamet: il linguaggio forte, decisamente “politicamente scorretto”, serve per riprodurre l’alienazione umana nella realtà contemporanea, ormai svuotata di significato. Il cinema di Quentin Tarantino è un’overdose cinefila per gli occhi e per i palati degli spettatori più attenti, un tripudio di immagini e citazioni che celano, però, un significato molto più profondo e stratificato di quanto può apparire, semplicemente, in superficie.

Le Iene di Quentin Tarantino, oggi in tv

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Le Iene di Quentin Tarantino, oggi in tv

le_iene_posterOggi, in onda su Rai 4 in seconda serata, ritornano sul piccolo schermo i Cani da Rapina di Quentin Tarantino, Le Iene, il primo film del regista cult che lasciò sbalordita la platea del Sundance Film Festival nel 1992.

LEGGI IL NOSTRO APPROFONDIMENTO SUL FILM

Nel cast del film Harvey Keitel è Mr. White/Larry Dimmick, Tim Roth è Mr. Orange/Freddy Newandyke, Steve Buscemi è Mr. Pink/Mark Nussy, Michael Madsen è Mr. Blonde/Vic “Sorriso” Vega, Chris Penn è Eddie “il Bello” Cabot, Lawrence Tierney è Joe Cabot, Quentin Tarantino è Mr. Brown/Dennis Koonstock, Edward Bunker è Mr. Blue/Roy Spafucci e Kirk Baltz è Marvin Nash.

Il film è stato fonte di nuemrosissim citazioni e omaggi e a sua volta è il risultato di uno studio attento e cinefilo da parte del regista che sin dal suo primo lungometraggio ha farcito il suo cinema di riferimenti alla cultura cinematografica passata.

Le Idi di Marzo: recensione del film di George Clooney

Le Idi di Marzo: recensione del film di George Clooney

Arriva finalmente nelle sale Le idi di marzo, ultimo film da regista di George Clooney, dopo essersi già imposto alla scorsa Mostra d’Arte Cinematografico di Venezia.  Il ritorno alla regia dell’attore segna anche il ritorno a temi a lui molto cari come la politica e le istituzioni, dopo la breve parentesi costituita da In amore niente regole, commedia più leggera e sentimentale.

Il film racconta la vicenda di un giovane e idealista addetto stampa (Ryan Gosling) che lavora per un candidato alla Presidenza, il governatore Mike Morris (George Clooney), e che si trova suo malgrado pericolosamente coinvolto negli inganni e nella corruzione che pervadono il mondo della politica. Le idi di marzo si colloca nel filone del thriller politico che fiorisce negli anni 60’-70’ grazie a registi del calibro di Elio Petri, o Sidney Lumet. La splendida sceneggiatura, tratta da Farragut North di Beau Willimon e scritta a quattro mani da Grant Heslov e dallo stesso Clooney, supporta mirabilmente l’opera elevandone la caratura artistica e sociale, impreziosita da un brillante uso di dialoghi, che aiuta la narrazione a non cadere in un immobilismo tipico di una messa in scena teatrale. In questo fa la sua parte Clooney che serve la storia con una regia lucida ed elegante, stilisticamente classica e funzionale al racconto in atto.

Le idi di marzo, il film

Al servizio della storia c’è anche un formidabile cast di confermatissime personalità attoriali, che regalano interpretazioni ad altissimi livello e all’altezza delle aspettative. Su tutti spicca come al solito un Paul Giamatti stratosferico, accompagnato da una sorprendentemente brava Evan Rachel Wood, una certezza come Philip Seymour Hoffman e un prezioso Ryan Gosling, ormai definitivamente lanciato nell’Olimpo dei performer di alto livello. Proprio il suo personaggio è il fulcro centrale della storia: un giovane idealista che crede in qualcosa di giusto ma che non necessariamente rappresenta la soluzione migliore per sopravvivere nel mondo che lo circonda.

L’allegoria del film di Clooney è quella propria di una “iniziazione”: il giovane idealista si addentra nel mondo della politica con il proprio bagaglio di valori, lontanissimo  dalle concrete dinamiche politiche e governative, e suo malgrado dovrà imparare a conviverci, sottostando a compromessi e imparando a scoprire il proprio lato oscuro. Il sistema dipinto dal regista è un malato inguaribile, in un perenne stato di dialisi, e nemmeno il recente cambiamento avvenuto sembra rappresentare quel vento di speranza tanto osannato. All’interno del racconto George Clooney ritrova un equilibrio solido che gli consente di raccontare attraverso una lucida e profonda (auto)critica, un mondo che lo sta tradendo (o forse lo ha già tradito). Alla fine il lato oscuro rappresenta sempre l’unica scelta percorribile e con una sorta di velato pessimismo, ma con netto distacco, il suo sguardo accompagna all’epilogo la storia.

Le Idi di Marzo: Clooney porta al cinema il cinismo della politica

Il prossimo 16 di dicembre uscirà nelle sale cinematografiche italiane il nuovo film diretto da George Clooney, Le idi di marzo, quarto lavoro alla regia dell’attore statunitense che del film è anche interprete co-protagonista. Le idi di marzo è un emozionante quanto amaro thriller politico ambientato in Ohio durante  le primarie del Partito Democratico. Mike Morris (George Clooney) è il candidato sfidante e meno accreditato ma che conquista progressivamente consensi grazie alla sua idealista e onesta interpretazione dei valori costituzionali.

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