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Il Peggior Natale della mia vita con Fabio De Luigi in TV

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Il Peggior Natale della mia vita con Fabio De Luigi in TV

peggior natale della mia vita anteprimaSerata all’insegna della comicità made in Italy quel in programma su Canale 5, infatti, andrà in onda in prima serata Il Peggior Natale della mia vita, film del 2012 diretto da Alessandro Genovesi e interpretato, tra gli altri, da Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Cristiana Capotondi e Laura Chiatti. Girato a Gressoney, presso il Castel Savoia è il sequel de La peggior settimana della mia vita.

Paolo deve raggiungere il castello di Alberto Caccia, dove è stato invitato a trascorrere il Natale assieme alla famiglia di Margherita, al nono mese di gravidanza. Con loro ci sarà anche Benedetta, figlia di Alberto e amica d’infanzia di Margherita, anche lei incinta. Tra disavventure e goffaggini varie, Paolo ne combinerà un’altra delle sue, arrivando a far credere a tutti, per via di un malinteso, che Alberto sia morto per colpa sua

Il paziente inglese: libro, cast e premi del film con Ralph Fiennes

Ritenuto ancora oggi uno dei più importanti film degli anni Novanta, Il paziente inglese ha segnato il suo anno con una struggente storia di avventura e passione nel drammatico contesto della Seconda guerra mondiale. All’interno di questo si ripercorre infatti la vita del conte Laszlo Almasy, ricostruita grazie a racconti, ricordi e testimonianze. Un film epico che testimonia una volta di più la grandezza della vita e la necessità di viverla al pieno delle proprie possibilità, nonostante le possibili condizioni avverse.

Il film, distribuito nel 1996, è il capolavoro del regista Anthony Minghella, ed è tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore canadese Michael Ondaatje. Questi basò il racconto sul vero esploratore Lazlo Almasy, la cui vicenda si discosta però notevolmente da quella presente nel libro. Essendo divenuto un best seller nell’anno della sua pubblicazione, il 1992, i diritti di questo vennero acquistati ben presto per una trasposizione cinematografica, le cui riprese si svolsero principalmente in Italia, tra le città di Trieste, Arezzo, Marina di Massa, Ripafratta, Venezia e negli studi di Cinecittà di Roma.

Arrivato infine in sala, Il paziente inglese si affermò come un grandissimo successo, arrivando ad incassare circa 232 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 30. Per il film questo fu però solo uno dei primi, tanti successi. Si affermò infatti come uno dei più film amati e premiati del suo anno, incoronato con i massimi onori. Per scoprire ulteriori curiosità sul film, il suo cast e i premi vinti, sarà sufficiente proseguire nella lettura, entrando così a contatto con uno dei più grandi e intramontabili classici della storia del cinema.

Il paziente inglese: la trama del film

La vicenda si apre sul finire della Seconda Guerra mondiale, in un monastero caduto in rovina nella campagna italiana. Qui si trova Hana, un’infermiera della Royal Canadian Army, intenta a prendersi cura di un uomo in fin di vita, deturpato da gravi ustioni e quasi del tutto incapace di ricordare il proprio nome e il proprio passato. La donna lo chiama “il paziente inglese”, per via del marcato accento britannico che l’uomo sfoggia nelle poche cose che riesce a pronunciare. Desiderosa di scoprire qualcosa di più sull’uomo, la donna inizia a leggere il libro ritrovato nella borsa di lui, all’interno del quale si ritrovano fotografie, appunti scritti a mano, itinerari e molto altro. Tutti elementi che permettono di ricostruire la vita del morente paziente inglese.

I ricordi che si accinge a leggere per sé e per l’uomo, però, risultano essere particolarmente dolorosi, testimonianza di un trascorso turbolento e struggente. La donna arriva così a scoprire la vera identità dell’uomo, i suoi viaggi e il suo amore proibito con la bella Katharine. Accanto ai due, nel mentre, si avvicenderanno una serie di bizzarri personaggi, alcuni dei quali aiuteranno Hana a fare luce sugli ultimi aspetti del passato del paziente inglese. Le ultime pagine del racconto, però, si riveleranno le più inaspettate e drammatiche, portando alla luce ricordi che forse avrebbero dovuto rimanere sepolti nel passato.

Il paziente inglese cast

Il paziente inglese: il cast del film

Per dar vita ai personaggi del romanzo, i produttori si sono assicurati la partecipazione di alcuni tra i maggiori interpreti di quegli anni, affidandosi ad attori inglesi, francesi o americani. Protagonista assoluto nel ruolo del paziente inglese è Ralph Fiennes. Oggi noto per aver dato volto al malvagio Lord Voldemort di Harry Potter, l’attore si sottopose per il suo ruolo in Il paziente inglese a grandi trasformazioni fisiche. Per applicare il trucco delle ustioni sull’intero suo corpo, Fiennes sopportò un processo lungo oltre cinque ore, durante le quali si impegnò per entrare nello stato mentale richiesto per il suo personaggio. Ancora oggi la sua interpretazione in questo film è considerata una delle più belle della sua carriera.

Accanto a lui nel film si ritrova poi l’attrice Juliette Binoche nel ruolo dell’infermiera Hana. L’attrice raccontò di aver voluto far parte del film sin dalla prima lettura della sceneggiatura, rapita dalla bellezza struggente della storia. La celebre attrice Kristin Scott Thomas, invece, interpreta Katharine, ruolo per il quale si propose personalmente, riuscendo infine ad ottenerlo. Colin Firth è invece Goeffrey Clifton, amico del paziente inglese e marito di Katharine, mentre l’attore Naveen Andrews dà vita all’affascinante artificiere Kip. Particolarmente importante è infine il personaggio di David Caravaggio, misterioso agente dell’intelligence canadese che aiuta a far luce sul protagonista. Per interpretarlo, i produttori avevano preso in considerazione l’attore Sean Connery. Dopo il rifiuto di questi, la parte venne allora assegnata a Willem Dafoe.

Il paziente inglese: i premi, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Come accennato precedentemente, il film si rivelò essere il maggior vincitore di alcuni tra i più importanti riconoscimenti dell’industria hollywoodiana. Dopo aver vinto premi ai Satellite Award, agli European Film Awards, ai Bafta Awards e ai Golden Globe, Il paziente inglese conquistò ben 13 nomination ai prestigiosi premi Oscar. Qui finì poi con il vincere i maggiori onori, tra cui miglior film e miglior regia. La Binoche vinse il premio come miglior attrice non protagonista, mentre Fiennes e la Thomas dovettero accontentarsi rispettivamente della nomination come miglior attore e miglior attrice. Tali vittorie portarono naturalmente il film ad essere indicato come il più importante del suo anno e tra i più importanti del decennio.

Per gli appassionati del film è possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il paziente inglese è infatti disponibile nel catalogo di Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Tim Vision e Now TV. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno mercoledì 17 maggio alle ore 21:30 sul canale La7 D.

Fonte: IMDb

Il patto del silenzio: recensione del nuovo film al cinema

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Il patto del silenzio: recensione del nuovo film al cinema

Il patto del silenzio (titolo originale Un monde) è una nuova pellicola drammatica scritta e diretta dalla regista emergente belga Laura Wandel. La pellicola, presentata a diverse premiazioni cinematografiche, ha già ricevuto alcuni riconoscimenti: ha ottenuto il premio Magritte come miglior opera prima, miglior regista alla Wandel, miglior promessa maschile e femminile, miglior attrice non protagonista e miglior sonoro.  Inoltre, la pellicola era stata selezionata per rappresentare il Belgio agli Academy Awards 2022 per la categoria miglior film straniero. Nel cast ritroviamo tutte figure nuove e sconosciute al cinema internazionale: Maya Vanderbeque interpreta la piccola Nora, mentre Günter Duret è nei panni di Abel, fratello maggiore di Nora.

Il patto del silenzio: la scuola diventa incubo

Nora è una bambina timida di sei anni: Il patto del silenzio si apre al suo primo giorno di scuola. Nora si affaccia ad una nuova realtà fatta di regole, socialità e gioco. Abel è un bambino chiuso e triste, per lui la  scuola è diventata semplicemente un incubo, ma nessuno sembra notarlo. Durante la ricreazione in cortile Nora scopre il segreto del fratello: è giornalmente vittima di bullismo e di soprusi vari da parte di un gruppo di ragazzini più grandi. Nora cerca di aiutare il fratello per quanto possibile: avvisa le maestre per farle intervenire, ed alla fine, pur avendo promesso ad Abel di mantenere il segreto dei suoi problemi a scuola, racconta tutto al padre.

L’intervento del genitore, ignaro all’inizio di tutto, non sembra risolvere la situazione: le aggressioni ad Abel diventano sempre più umilianti. Nora, la quale inizialmente riuscì a fare amicizia con le altre bambine, viene esclusa per via di suo fratello. Così anche tra Abel e Nora, sempre uniti fino ad ora, inizieranno a crearsi dei contrasti.

Un dramma statico

Il patto del silenzio in se è caratterizzato da una trama molto semplice e lineare, senza particolari intrecci temporali o colpi di scena. Il film si incentra solo sull’aspetto emotivo: pur mantenendosi molto statico dal punto di vista narrativo, riesce comunque ad emozionare lo spettatore. La pellicola riesce a mantenere l’attenzione del pubblico anche grazie alla sua brevità: il patto del silenzio dura soli 72 minuti.

Gli elementi che favoriscono questa accentuata drammaticità sono le performance dei due piccoli attori che interpretano Nora ed Abel, e la curiosa scelta di una totale assenza di qualsiasi sottofondo musicale durante tutto il film. Nora, che all’inizio del film sembrerà solo una bambina timida e chiusa, mostra nell’evolversi delle vicende prima un particolare coraggio e senso della giustizia verso ciò che accadeva al fratello, e poi un odio per l’ingiustizia di essere esclusa solo per via di Abel. La bambina finirà per sfogare questa sua rabbia sullo stesso fratello.

La questione del background musicale risulta anche più interessante: solitamente in moltissimi film viene utilizzata una qualche forma di accompagnamento musicale, almeno nei momenti più importanti nelle vicende. In Il patto del silenzio sembra proprio prevalere la quiete; momenti di silenzio topico, come Nora nella piscina della scuola che osserva i suoi compagni, sembrano alternarsi a momenti di caos ed urla dei bambini, prevalentemente nei corridoi durante gli intervalli o nel cortile.

Il bullismo: una violenza senza fine

Tema focale di Il patto del silenzio è proprio il bullismo. Nella pellicola vengono mostrate due tipologie di comportamento differenti  dei bambini. Prima, attraverso le amicizie che in breve tempo fa Nora, si nota la bontà propria dei più piccoli: questi la invitano a giocare, le insegnano ad allacciarsi le scarpe. L’onesta propria dei bambini si manifesta però anche nelle critiche e prese in giro: dopo un piccolo umiliante incidente in mensa, Abel finirà per essere non più solo vittima delle angherie dei bulli, ma anche delle battute di tutti i bambini. Purtroppo, la sincerità dei bambini non ha limiti.

Analizzando più da vicino il tema del bullismo, si vede come la rabbia e  la violenza mostrata a questa così giovane età porti dei seri danni ai bambini, delle insicurezze poi difficili da estirpare. Abel è così rassegnato al fatto di essere una vittima che non reagisce in alcun  modo, ne direttamente contro i suoi aggressori, ne parlando con gli adulti. Ciononostante, il bambino coltiva dentro di se una rabbia ed un senso di umiliazione che si scatenerà alla fine anche qui in violenza contro i più deboli. Si genera così una catena di rabbia e violenza senza fine, e difficile da estirpare. Sarà Nora a salvare suo fratello dal diventare egli stesso carnefice.

Il patto del silenzio – Playground da 2 marzo al cinema

Il patto del silenzio – Playground da 2 marzo al cinema

In occasione della Giornata Mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo che si celebra annualmente il 7 febbraio – data simbolica che vuole rappresentare un’occasione per riflettere su un fenomeno ancora troppo diffuso e su quali  possano essere gli strumenti più idonei per impedire che episodi di prevaricazione continuino ad accadere e che possano aiutare ragazzi e ragazze nel riconoscere le forme di bullismo/cyberbullismo e scoprire come difendersi – Wanted Cinema ha rilasciato il trailer italiano de Il patto del silenzio – Playground. Il film è la sorprendente opera prima della regista belga Laura Wandel che racconta la realtà del bullismo scolastico con un tocco delicato e al contempo deciso, tutto femminile.

Dopo una calorosa accoglienza in numerosi festival internazionali, altrettanti riconoscimenti tra cui il Premio Fipresci come Miglior film a Cannes 2021 e la recente candidatura agli Academy Awards 2023 in rappresentanza del Belgio, Il patto del silenzio – Playground  è in arrivo nei cinema italiani a partire dal 2 marzo distribuito da WANTED CINEMA.

Il patto del silenzio – Playground è interpretato dall’esordiente Maya Vanderbeque, che nel film è Nora, una bambina di sette anni dall’indole introversa che assiste ad alcuni episodi di bullismo che si verificano nella sua scuola elementare, la cui è vittima è il fratello maggiore Abel (Günter Duret). La bambina cerca di attirare l’attenzione degli inseganti e del padre, ma Abel tiene tutto segreto per non subire le ritorsioni dei suoi compagni aguzzini. Il ragazzino troverà come unica via d’uscita quella di adottare gli stessi comportamenti dei suoi aguzzini, rischiando di trasformarsi da vittima in carnefice. Il patto del silenzio – Playground , nei cinema dal 2 marzo con Wanted Cinema, è un’indagine psicologica nel mondo del bullismo scolastico brillantemente interpretata da due giovanissimi esordienti. Un film prezioso per tutti, e, in particolare, per insegnanti, genitori e figli.

 La trama

Nora, al suo primo anno di scuola, inizia a frequentare lo stesso istituto di suo fratello maggiore Abel. Quando assiste a un atto di bullismo nei confronti di Abel da parte di altri bambini, Nora, scioccata, cerca di proteggerlo avvertendo il padre e le insegnanti. Ma Abel la costringe a rimanere in silenzio. Intrappolata in un conflitto di lealtà, Nora dovrà cercare con difficoltà di trovare il suo posto nel nuovo ambiente, divisa tra il mondo dei bambini e quello degli adulti.

Il patriota: trama e cast del film con Mel Gibson

Il patriota: trama e cast del film con Mel Gibson

Regista di alcuni tra i più celebri film catastrofici di sempre, Roland Emmerich ha diretto nel corso della sua carriera anche film non legati a tale genere. Tra questi, in particolare, spicca Il patriota, lungometraggio del 2000 che segna per Emmerich un incursione nel dramma storico dopo aver diretto Godzilla e prima di dar vita a The Day After Tomorrow. Scritto da Robert Rodat, già autore di Salvate il soldato Ryan e Kursk, questo presenta una storia originale ambientata però nel violento contesto della Guerra di indipendenza americana, toccando dunque tutte le principali tematiche relative a questo brutale scontro.

Per Rodat ed Emmerich, dunque, era fondamentale dar vita ad un racconto che fosse storicamente accurato, così da poter rendere più libero le vicende che invece seguivano sviluppi frutto di fantasia. Nonostante tale volontà, Il patriota divenne particolarmente noto per le numerose controversie circa la rappresentazione di alcuni eventi e personaggi, i quali sembrano avere poco a che fare con la realtà dei fatti. In particolare, il film sembra distorcere il delicato concetto di patriottismo, sfociando in una violenza spesso inaudita. Nonostante tali critiche, il film riuscì ad ottenere un buon risultato al box office.

Il patriota arrivò infatti a guadagnare 215 milioni di dollari, ottenendo anche tre nomination ai premi Oscar per la miglior fotografia, la miglior colonna sonora e il miglior sonoro. Se visto con la consapevolezza dei suoi limiti storici, il film rimane indubbiamente un titolo particolarmente affascinante e coinvolgente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il patriota: la trama del film

La vicenda narrata si svolge nel 1776, nella Carolina del Sud coloniale. Benjamin Martin, un eroe di guerra franco-indiano ossessionato dal suo passato, ora non vuole altro che vivere in pace nella sua piccola piantagione e non intende partecipare a una guerra con la nazione più potente del mondo, la Gran Bretagna. Nel frattempo, però, i suoi due figli maggiori, Gabriel e Thomas, non vedono l’ora di arruolarsi nel neonato Esercito Continentale. Quando la Carolina del Sud decide di unirsi alla ribellione contro l’Inghilterra, Gabriel si iscrive immediatamente per combattere, senza il permesso di suo padre.

Ma quando il colonnello William Tavington, famoso per le sue tattiche brutali, arriva e dà alle fiamme il loro villaggio, la tragedia colpisce duramente Benjamin. Più addolorato che arrabbiato, egli sembra non possedere più alcuno spirito combattivo, ma lasciare che gli inglesi conquistino la sua terra non è concepibile e con grande sforzo Benjamin decide di imbracciare le armi per un’ultima volta. Egli si ritrova dunque rapidamente combattuto tra il dover proteggere la sua famiglia e cercare vendetta, oltre a far parte della nascita di una nuova, giovane e ambiziosa nazione.

Il patriota: il cast del film

Mentre scriveva la sceneggiatura del film, Rodat aveva da subito pensato a Mel Gibson come interprete ideale di Benjamin Martin. Per sottolineare tale volontà, descrisse il personaggio come padre di sei figli, proprio quanti ne aveva realmente Gibson. Quando però all’attore nacque anche il settimo figlio, anche Benjamin ne guadagnò uno in più. Prima di proporre il ruolo al premio Oscar, però, i produttori contattarono Harrison Ford, il quale però rifiutò ritenendo il film troppo violento. Scelto dunque Gibson per il ruolo, egli fu pagato la cifra record di 25 milioni di dollari.

Accanto a lui, nel ruolo della moglie Charlotte, vi è l’attrice Joely Richardson, mentre Gregory Smith interpreta il figlio Thomas Martin. Heath Ledger, qui in uno dei suoi primissimi ruoli di rilievo, interpreta il figlio Gabriel. Tale personaggio ha segnato una svolta nella sua carriera, poiché fino a quel momento egli riceveva solo offerte per ruoli da adolescente. Tra gli altri figli di Benjamin si ritrovano anche Trevor Morgan come Nathan, Logan Lerman come William e Skye McCole Bartusiak come Susan. L’attore Jason Isaacs interpreta lo spietato colonnello William Tavington, mentre Chris Cooper è il colonnello Harry Burwell e Tom Wilkinson il generale Charles Cornwallis, realmente esistito.

Il patriota cast

Il patriota: la vera storia e gli errori presenti nel film

Come accennato, gli eventi principali del film sono frutto dell’immaginazione degli autori, mentre il contesto in cui questi avvengono è assolutamente veritiero, o quasi. Alcuni dei personaggi dell’esercito britannico sono infatti chiaramente ispirati a veri colonnelli e generali. Tavington, ad esempio, ricalca l’ufficiale Banastre Tarleton, tra i più valorosi della cavalleria inglese. Nel film, però, questi è rappresentato come un sadico criminale, mentre nella realtà non era più violento di Francis Marion, l’uomo a cui ci si è ispirati per il protagonista Benjamin. Quest’ultimo era tutt’altro che di animo nobile come il protagonista del film, bensì era noto come schiavista convinto, sempre pronto a terrorizzare la popolazione della Carolina.

Allo stesso modo, nel ritrarre Charles Cornwallis si è data un’immagine di lui quale arrogante ed egocentrico militare. In realtà, Cornwallis si era spesso espresso a favore dei coloni americani, servendo il suo paese in esercito solo per spirito di dovere. Infine, errori si ritrovano anche nella rappresentazione della battaglia finale, che ricalca quella celebre svoltasi a Cowpens. Nella realtà, però, non vi era Cornwallis al comando dei britannici, bensì lo stesso Tarleton, con circa mille uomini contro i quasi duemila rivoluzionari americani. Per l’esercito inglese si trattò di una disfatta particolarmente scottante, ma sul campo di battaglia non vi era traccia di Marion, né questi si scontrò apertamente con Tarleton come avviene nel film.

Il patriota: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il patriota è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple iTunes, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 12 gennaio alle ore 21:25 sul canale Nove.

Fonte: IMDb

Il pasticciere recensione del film con Antonio Catania

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il pasticciereIngenuo e sensibile pasticciere diabetico, Achille Franzi (Antonio Catania) ha passato l’esistenza chiuso in un laboratorio, cucinando dolci per gli altri e seguendo pedissequamente i consigli del defunto padre. Un manuale che egli applica in maniera rigorosa anche nella vita quotidiana, ricercando in essa l’ordine e la rassicurante prevedibilità tipiche delle ricette.

Ma un giorno si ritrova costretto ad affrontare il mondo esterno e i suoi pericoli, vestendo i panni di un finanziere spregiudicato coinvolto in una super truffa. Il viaggio che intraprende verso la vicina Croazia, desolata e spettrale “terra di nessuno”, lo farà entrare in un giro malavitoso dal quale non potrà più uscire, aiutato e al tempo stesso intralciato dalla sensuale Angela (Rosaria Russo), e da un falso avvocato (Ennio Fantastichini). Su di lui indaga una scrupolosa poliziotta (Sara D’amario), decisa ad identificare e far crollare il macchinoso gioco ordito ai danni dello stesso pasticciere.

Il regista Luigi Sardiello, qui anche autore del soggetto e della sceneggiatura, ha cercato con Il Pasticciere di unire generi diversi, facendo incontrare gli elementi tipici del noir con una commedia agro-dolce ai limiti del surreale. Ecco allora che le grigie ambientazioni notturne, le figure dei “cattivi” e il topos dell’omicidio vengono (forzatamente) accostati alla figura del “buono”, dell’individuo candido e ingenuo che sembra non avere la benché minima cognizione di come possa essere spietata la vita “reale”. Un’operazione che, seppur encomiabile nei suoi intenti e – in fondo – nella sua originalità, non ha dato i frutti sperati, quei frutti che ci si sarebbero potuti aspettare da un’idea di partenza niente affatto male, ma anche – diciamocelo – dalla presenza del solitamente bravo Antonio Catania.

E in effetti, l’interessante spunto iniziale soffre per la sceneggiatura mal sviluppata,  per una trama che mostra qua e là delle crepe, mancando spesso di credibilità nello sviluppo delle situazioni come dei personaggi (vedasi, ad esempio, la scena dei due poliziotti imbambolati dalle spiegazioni di Achille che ha appena sotterrato un pc).

Anche i dialoghi sono privi di ritmo, e peccano dell’ingenuità che dovrebbe appartenere unicamente al protagonista, ma che invece finisce per contagiare anche il resto dei personaggi. Un candore che risulta mal costruito a monte, nello script, e che porta anche un attore come Catania (sempre apprezzabile nelle sue precedenti e svariate performance) ad avere difficoltà nel trovare le giuste sfumature per il suo Achille. Il risultato è un calcare troppo la mano sulla purezza del personaggio, rendendola eccessiva e a tratti fuori luogo, quasi inverosimile.

Rosaria Russo, nei panni di Angela, interpreta una figura di donna stereotipata, la bella prostituta straniera alla mercè del criminale di turno, e lo stesso Fantastichini stenta nel dare al suo “avvocato” un volto ed una psicologia verosimili.

Insomma, forse ci si aspettava qualcosa in più dal “Pasticciere”, anche pensando a quel Premio Speciale “Cinebo Award” che il film si è portato a casa alla XIV edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce. Ed è un peccato, date le discrete potenzialità  di quello che, per il regista, è il secondo lungometraggio, preceduto dal “Piede di Dio” che nel 2009 gli valse diversi premi.

Sembra quasi che, nel suo tentativo di dare forma ad un <<film di confine>>, nella confusa ricerca del mix noir/commedia amara, Sardiello abbia fatto il passo un po’ più lungo della gamba. Come il suo protagonista.

Il Pasticciere la conferenza stampa con Antonio Catania

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il pasticciereAl cinema Barberini di Roma, Luigi Sardiello ha presentato alla stampa Il Pasticciere, suo secondo lungometraggio prodotto da Alessandro Contessa per la Bunker Lab. In sala, oltre al regista e alla produzione, erano presenti i protagonisti Antonio Catania e Rosaria Russo. Il film uscirà nelle sale il 31 ottobre.

Com’è nata l’idea di Il pasticciere?

L. S.: Ho voluto prendere un genere, quello del noir, e utilizzarne tutti i topoi – l’ambientazione del posto isolato, di una “terra di nessuno”, la figura del cattivo, quella della dark lady ecc – e mettere in mezzo un personaggio che in tutto ciò non c’entrava niente, un personaggio puro, candido. E questo genera poi delle situazioni che sono grottesche, ibride, sul filo dell’agro-dolce.

A. C.: Effettivamente il mio è un personaggio (Achille Franzi, ndr) candido, una sorta di foglio bianco. È difficile trovare un uomo così oggi. Ma forse rappresenta simbolicamente quello che in fondo ognuno di noi sente di avere dentro di sé. La nostra tendenza a chiuderci deriva infatti dalle difficoltà di affrontare il mondo, con la sua spietatezza ecc. Con la sua arte, lui riporta le “dosi” e l’ordine tipici della pasticceria, il suo candore e la sua perfezione, e le riporta solo agli altri (dato che, essendo diabetico, non può mangiare dolci). Questo cavaliere senza macchia sarà poi costretto a rapportarsi col mondo esterno, non potrà per sempre vivere in una campana di vetro.

Sei stato ispirato da film come Mine vaganti di Ozpetek per la scena finale, o magari da Hitchcok per le suggestività stile noir?

L. S. : No, anche perché il film è stato scritto prima di Mine vaganti, per quanto riguarda la scena finale mi sento di dire che Il pasticciere semplicemente andava in quella direzione. È chiaro invece che Hitchcock è un riferimento obbligato in questo tipo di film, in cui c’è un uomo alle prese con una situazione più grande di lui, un uomo “anormale” in un contesto purtroppo “normale”.

Ci sono dei momenti in cui la trama sembra mancare di credibilità, mostra delle crepe, degli intoppi, come per esempio il protagonista che ad un certo punto diventa un “cattivo”… Che ne pensa?

L. S. : Il problema della credibilità me lo sono posto, ma del resto è insito nella stessa trama del film. Per quanto riguarda la bontà del personaggio non sono riuscito a renderlo buono fino alla fine, ma volevo che optasse per una scelta comunque etica nel finale. Ed è lì che si riappropria della sua infanzia, che torna al se stesso da bambino… C’è un’escalation, ma io non credo che diventi del tutto un “cattivo”.

A. C.: Beh direi forse che il confine Achille lo oltrepassa quando uccide la vecchia, a quel punto c’è un bisogno di redenzione, deve in qualche modo pagare per quello che ha fatto – lì siamo di fronte ad un “vero” omicidio.

Perché ha scelto proprio la Croazia come “terra di nessuno”?

L.S.: A me serviva un luogo dove si mescolassero tante lingue diverse, tante identità diverse che portano poi ad una non-identità. Ho scelto la Croazia anche per motivi di copione, per la vicinanza, e poi perché mi ha sempre affascinato come Paese.

I caratteri femminili sembrano essere più forti rispetto a quelli maschili. Quanto questo è stato voluto e quanto è invece dipeso dalla performance delle attrici?

L.S.: Quelli femminili sono due personaggi per i quali avevo molta simpatia, e volevo vedere che sarebbe successo se alla fine le due donne si fossero incontrate, dopo aver seguito due percorsi diversi. Una è una donna che non ha mai potuto scegliere, e che ha quindi usato il suo corpo per sopravvivere come poteva. L’altra avrebbe voluto anche lei fare scelte diverse (la famiglia, ecc). Ma sono entrambe due donne, e riescono a cavarsela grazie alle loro capacità, al loro intuito.

R.R.: In realtà io non vedo Angela, il mio personaggio, come una donna forte, anzi secondo me è una donna molto fragile. Per me il vero personaggio forte è il pasticciere stesso. Comunque l’importante non è che il personaggio sia forte o meno, ma l’evoluzione che esso compie.

Il Passato trailer del film con Bérénice Bejo

Il Passato trailer del film con Bérénice Bejo

Il Passato, candidato all’Oscar per l’Iran, uscirà tra due giorni in Italia. Ecco il trailer del film di Asghar Farhadi che è valso alla protagonista Bérénice Bejo il premio come Migliore Attrice a Cannes.

Il passato recensione del film di Asghar Farhadi

Il passato recensione del film di Asghar Farhadi

il passato recensioneA distanza di due anni dal pluripremiato Una separazione, il regista iraniano Asghar Farhadi torna con Il passato, il primo film francese della sua carriera, in uscita il 21 novembre. La pellicola, presentata a Cannes nel 2013, ha consegnato il premio come migliore attrice alla protagonista Bérénice Bejo (l’eloquente volto di The Artist).

Cosa succede quando il passato bussa alla porta dopo un periodo di latitanza rivelando la sua intonsa forza di incidere ancora sui ricordi e i sentimenti? Sono passati quattro anni e, anche se Ahmad (Alì Mosaffa) torna a Parigi dall’ex moglie Marie (Bérénice Bejo) solo per formalizzare il divorzio e scrivere la parola fine al loro passato insieme, si ritroverà soffocato da un guazzabuglio di relazioni frammentarie, scomode verità e sibillini conflitti. Marie adesso sta con Samir (Tahar Rahim) ma la loro è una relazione che vive di fraintendimenti e sensi di colpa, frenata da un passato doloroso, in bilico tra la vita e la morte. E Lucie, la primogenita di Marie, divorata dall’angoscia del suo segreto, proprio non riesce a mandare giù la nuova vita che la madre ha scelto per loro.

il passato recensione poster originaleIl regista iraniano sceglie la casa di Marie come microcosmo in cui far muovere i personaggi, nuove generazioni che scalpitano e vecchie che stagnano, naufragate in relazioni intense e contraddittorie, appollaiate in una dimensione temporale in cui passato, presente e futuro compenetrano. Farhadi lascia sullo sfondo una Parigi periferica, lontana da quella turistica, per circoscrivere la sua storia tra le mura domestiche di una casa in restauro, che nasconde nelle pareti scrostate e nel cigolio dei polverosi infissi, il sapore di un passato di cui non riesce ancora a liberarsi. Un tempo quella casa era nido d’amore di Marie e Ahmad, ora è un focolare allargato, nutrito dallo sguardo innocente dei figli, testimoni critici dominati da una coscienza candida ma interagente.

Il passato, quindi, come via di mezzo tra un presente troppo complicato e un futuro in attesa di essere vissuto, prigioniero di una casa che lo induce a fare i conti con se stesso. La scelta di girare quasi completamente in interni ispessisce il ritratto psicologico della famiglia, consentendone una messa a fuoco accurata e claustrofobica. Ognuno di questi personaggi ha un rapporto ambivalente con il proprio passato: Marie cerca di scansarlo con veemenza per darsi un’altra possibilità, Lucie vi si aggrappa disperatamente provando gioia solo nell’atto di riassaporarlo e Samir lo osserva con sguardo interrogativo in attesa.

Attraverso lenti movimenti di macchina Farhadi ci accompagna nel pathos e nello strazio della casa dei ricordi dove (con grande abilità di scrittura e regia) ci dimostra come guardarsi dentro, ripescare il passato, interrogarlo e trovare il modo di conviverci, sia l’unica strada possibile per andare avanti.

Il parkinson di Michael J Fox diventa un “fun fact”

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Il canale E! è stato giustamente costretto a scusarsi con l’attore Michael J Fox per una mancanza di delicatezza durante il red carpet dei 71esimi Golden Globe. Il canale, che trasmetteva in diretta l’evento, ha intervallato le interviste ai vari ospiti presenti con i classici “fun fact”, ovvero aneddoti simpatici che coinvolgono proprio le star della serata. In merito a MJ Fox però E! ha mandato in onda un “fatto simpatico” non proprio delicato.

Ecco lo screenshot:

Michale J Fox Parkinson“A Michael J. Fox è stato diagnosticato il morbo di Parkinson nel 1991”.

Per quanto la malattia di Fox sia di dominio pubblico, e per quanto lui stesso ci ironizzi su, anche nel suo nuovo show tv, definire una tale diagnosi un “fun fact” è stato decisamente uno scivolone per il canale che si è così scusato:

“Rimpiangiamo di aver così classificato la diagnosi di Michael J. Fox durante la nostra diretta streaming del red carpet. Capiamo la serie natura della malattia e ci scusiamo sinceramente.”

Ricordiamo che dopo un lungo periodo di assenza, Michael J Fox è tornato a lavorare proprio all’inizio di questa stagione televisiva nel The Michael J Fox show.

Fonte: Variety

Il Pardo d’onore Manor 2021 a John Landis

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Il Pardo d’onore Manor 2021 a John Landis

Il Locarno Film Festival renderà omaggio all’irrefrenabile genio comico e creativo di John Landis, regista, sceneggiatore e attore statunitense, a cui verrà consegnato il Pardo d’onore Manor nella serata di venerdì 13 agosto, in Piazza Grande. Sabato 14 al Forum @Rotonda by la Mobiliare, Landis sarà al centro di una conversazione con il pubblico, che nel corso di Locarno74 potrà rivivere tre film indimenticabili della sua carriera: National Lampoon’s Animal House (1978), Trading Places (1983) e Innocent Blood (1992).

Dalla scuola di satira irriverente e corrosiva di National Lampoon e Saturday Night Live, fino alla consacrazione di autore di culto negli anni Ottanta e Novanta, con titoli come il road musical The Blues Brothers (1980), l’horror An American Werewolf in London (1981), ma anche incursioni leggendarie nella musica pop, con il videoclip per Thriller di Michael Jackson (1983) che, dopo essere rimasto incantato dalle ambientazioni horror del suo ultimo film, ha voluto Landis alla regia di quello che ad oggi è considerato uno dei primi video musicali “cinematografici”. La carriera di John Landis segna l’irruzione di un nuovo tipo di comicità nella storia della settima arte e una delle rielaborazioni dei generi classici più originali di tutti i tempi. Il Locarno Film Festival celebra questa figura con il Pardo d’onore Manor, assegnato ogni anno a una personalità straordinaria del cinema di sempre.

Il direttore artistico del Locarno Film Festival, Giona A. Nazzaro: “John Landis è un autentico genio americano. La totalizzante passione cinefila, la musicalità slapstick, l’irresistibile senso dell’umorismo, l’amore viscerale per il cinema di serie B, il senso critico e politico sempre vigile hanno fatto di lui il cineasta chiave del rinnovamento del cinema statunitense a cavallo fra gli anni Settanta e Novanta. Fautore di ibridazioni mai viste fra horror e comico, musical e noir, ha creato capolavori che hanno entusiasmato il pubblico di tutto il mondo, rinnovato il linguaggio cinematografico e sfidato convenzioni e perbenismi. Landis ha dimostrato che si poteva fare tutto, si poteva sognare tutto e lo ha fatto, rendendo il cinema migliore, più inclusivo, più giusto. Portatore delle inquietudini della generazione degli anni Sessanta, ha saputo offrirne una chiave di lettura diversa, creando un nuovo tipo di comicità e un’idea di fisicità mutante che – fra John Belushi e i lupi mannari – ha ricodificato l’estetica dominante. John Landis è tutto il cinema americano che abbiamo sempre amato e ameremo sempre.”

Il programma dell’omaggio

In occasione del premio consegnato a Landis la sera del 13 agosto, verranno proposti durante il Festival (4-14 agosto) tre titoli emblematici della sua filmografia, grandi classici da rivivere nell’atmosfera unica di Locarno:

  • National Lampoon’s Animal House, John Landis – Stati Uniti – 1978, presentato in Piazza Grande la sera di venerdì 13 agosto 
  • Trading Places, John Landis – Stati Uniti – 1983
  • Innocent Blood, John Landis – Stati Uniti – 1992

Sabato 14 agosto, inoltre, Landis incontrerà il pubblico del Festival durante una conversazione che si terrà al Forum @Rotonda by la Mobiliare, lo spazio di parola del Festival.

Landis sarà accompagnato dalla moglie, Deborah Nadoolman Landis, professoressa emerita e direttrice del David C. Copley Center for the study of Costume Design della UCLA School of Theater, Film & Television, che terrà una masterclass aperta al pubblico sul costume design nel pomeriggio di giovedì 12 agosto. Oltre ad aver contribuito come costumista a numerosi film, incluso Indiana Jones per Raiders of the Lost Ark (Steven Spielberg, 1981), Deborah Nadoolman Landis ha curato la mostra di grande successo “Hollywood Costume” (2012) al Victoria & Albert Museum. Autrice di sei volumi sul costume design, è stata presidente del Costume Designers Guild e membro del Board of Governors della Academy of Motion Pictures Arts & Sciences.

Il Pardo d’onore del Locarno Film Festival è stato attribuito a cineaste e cineasti del calibro di Manoel de Oliveira, Bernardo Bertolucci, Ken Loach, Jean-Luc Godard, Werner Herzog, Agnès Varda, Michael Cimino, Marco Bellocchio e, nel 2019, John Waters. A partire dal 2017, il Pardo d’onore è sostenuto da Manor, Main partner del Locarno Film Festival.

John Landis – Biografia

John Landis (Chicago, 1950) ha debuttato come sceneggiatore e regista a 21 anni, con il lungometraggio a basso costo Schlock (1973), un affettuoso omaggio ai film di mostri: vestito con una tuta da scimmia, Landis interpretava lo “Schlockthropus”, o “anello mancante” tra uomo e animale. Il successivo The Kentucky Fried Movie (1977) è stato il preludio ai grandi successi a venire: la commedia studentesca National Lampoon’s Animal House (1978); The Blues Brothers (1980), scritto insieme a Dan Aykroyd, protagonista del film accanto a John Belushi; Trading Places (1983), che ha dato avvio a una collaborazione con Eddie Murphy proseguita con Coming to America (1988) e Beverly Hills Cop III (1994); la parodia sul nucleare Spies Like Us (1985); Into the Night (1985); e Three Amigos! (1986).

Nel 1981 Landis ha realizzato An American Werewolf in London, contaminazione tra horror e commedia che ha talmente ispirato Michael Jackson da chiedere allo stesso Landis di realizzare il videoclip Michael Jackson: Thriller nel 1983. Nel 2009, il corto è stato inserito nel Library of Congress National Film Registry, che oggi include anche National Lampoon’s Animal House e The Blues Brothers. Landis ha diretto di nuovo Michael Jackson nel videoclip di Black Or White nel 1991, ed è stato il produttore esecutivo (e spesso regista) della serie televisiva Dream On (1990-1996), che ha fatto vincere alla HBO il suo primo Emmy.

Nel 2004 ha esplorato la forma del documentario con Slasher (2004), film verità su un venditore di auto usate. Dopo i mediometraggi Deer Woman (2005) e Family (2006), per la serie televisiva americana Masters of Horror creata dal regista Mick Garris, nel 2010 ha diretto la black comedy Burke & Hare. Nel 1985 è stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal governo francese. Retrospettive del suo lavoro sono state organizzate alla Cinémathèque française nel 2009 e in vari festival internazionali.

Il Pardo alla carriera Ascona-Locarno a Costa-Gavras

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Il Pardo alla carriera Ascona-Locarno a Costa-Gavras

Durante la 75esima edizione (3-13 agosto 2022), il Locarno Film Festival renderà omaggio a Costa-Gavras, maestro del cinema di impegno civile. Al regista greco-francese verrà consegnato il Pardo alla carriera Ascona-Locarno nella serata di giovedì 11 agosto, in Piazza Grande. Venerdì 12 agosto al Forum @Spazio Cinema, Costa-Gavras converserà con il pubblico, che nel corso di Locarno75 potrà rivedere i due titoli che hanno dato avvio alla sua carriera: Un homme de trop (Shock Troops, 1967) e Compartiment tueurs (The Sleeping Car Murders, 1965).

Dal 1946 il Locarno Film Festival è sinonimo di libertà: per questo motivo, nell’edizione in cui si celebra il 75esimo anniversario della manifestazione, il Pardo alla carriera Ascona-Locarno verrà assegnato a Costa-Gavras, un regista che con i suoi film ha saputo denunciare apertamente le ingiustizie, affrontando senza censure alcuni dei capitoli più oscuri della nostra storia. L’uso magistrale della suspense, l’aderenza a generi popolari come il thriller, il noir e il film processuale, la capacità di scoprire sfumature inedite in star europee e statunitensi – da Yves Montand a Jack Lemmon, Simone Signoret e Jill Clayburgh, John Travolta e Jessica Lange, Dustin Hoffman e Johnny Hallyday – hanno permesso ai suoi film di raggiungere il grande pubblico, coniugando l’intrattenimento più emozionante all’impegno civile.

Con Z (1969), riconosciuto come il primo grande film politico della nostra epoca, e vincitore del Premio Oscar per il Miglior film straniero, Costa-Gavras ha fatto luce sulla Grecia dei colonnelli, senza mai smettere di interrogare la realtà, come dimostrano i successivi L’aveu (The Confession, 1970), sui processi staliniani, Missing (1982), sul coinvolgimento della CIA nel golpe cileno del 1973, Hanna K. (1983), sul conflitto israelo-palestinese e, in tempi più recenti, Le capital (Capital, 2012) sulla corruzione del sistema finanziario. La carriera di Costa-Gavras, segnata da due premi Oscar, un Orso d’oro, una Palma d’oro e un premio della giuria a Cannes, così come da molti altri riconoscimenti nei maggiori festival mondiali, è un coraggioso scandaglio dell’oppressione e delle logiche distorte del potere di ogni colore politico. Un richiamo alla responsabilità collettiva che in questo momento storico non può che suonare di estrema attualità.

Il paradosso del fuori campo

Il presente saggio analizza una figura tecnica e linguistica precipuamente cinematografica e l’uso particolare che ne hanno fatto alcuni registi: il fuori campo. Ho scritto precipuamente poiché di fuori campo si può parlare anche per la fotografia e, volendo, per la pittura, ma nel cinema la sua presenza è più forte, in correlazione alla specificità di quest’arte che è, diversamente dalle altre due, è basata sulle immagini in movimento.

Addentro, A  lato, Addietro, Altrove.
Il paradosso del fuori campo cinematografico

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella…

Leopardi, L’infinito

In generale, nel cinema esistono il fuori campo visivo e quello sonoro. Il fuori campo visivo è lo spazio diegetico escluso dal campo dell’inquadratura e suscettibile di entrare a farne parte, nonché lo spazio non diegetico che non potrà mai far parte dell’inquadratura. Più dettagliatamente, Noël Burch distingue sei tipi di fuori campo visivo-spaziale: quattro di essi corrispondono ai quattro margini dell’inquadratura (superiore, inferiore, sinistro, destro) costituendo gli ideali prolungamenti di questa; un quinto fuori campo è quello situato dietro un qualsiasi elemento posto all’interno del campo visivo (ad esempio: un personaggio dietro una porta chiusa è fuori campo); il sesto fuori campo è invece posizionato dalla parte della macchina da presa in una sezione di spazio che l’angolo di ripresa non include nell’inquadratura. Quest’ultimo fuori campo costituirebbe lo “spazio interdetto”, il “fuori campo tabù”, e cioè il luogo della produzione materiale del film posto sempre fuori dal quadro, in cui si trovano la troupe e le attrezzature.

I fuori campo sonori sono classificabili secondo due criteri: acusmantico (i suoni di cui non si individua visivamente la fonte) e diegetico/extradiegetico. Se include tutti quei suoni la cui fonte non è individuabile visivamente nell’inquadratura, ma che è udibile dai personaggi della diegesi, il fuoricampo sonoro è definito “off screen sound”. Esiste poi “la voice off” di un dispositivo sonoro (una radio, un televisore, etc.) udibile dai personaggi, che può essere o meno acusmantica (ad esempio, una radio visibile o meno nell’inquadratura) e comunque sempre diegetica.

Un fuoricampo sonoro sempre extradiegetico è quello costituito dalla musica in colonna sonora esterna al piano della narrazione, non udibile dai personaggi della narrazione ma solo dallo spettatore, nonché la “voice over” di un narratore onnisciente, anch’essa non udibile dai personaggi ma unicamente dallo spettatore. Tuttavia un fuori campo può sempre diventare, potenzialmente, un “in campo”, allo stesso modo che ciò che è in campo può trovarsi successivamente fuori campo. Una porzione di spazio inizialmente esclusa dall’inquadratura ma che viene poi, tramite un movimento della mdp o uno zoom, inclusa in essa costituisce il fuoricampo cataforico (inquadratura potenziale). Se invece la mdp restituirà alla visione dello spettatore una porzione di spazio già mostrata in precedenza e nuovamente inclusa nell’inquadratura avremo il fuori campo anaforico (inquadratura ripetuta).

Lo spettatore presuppone il fuoricampo. Egli integra, cioè, con l’immaginazione lo spazio della diegesi presupponendone la continuazione oltre i bordi del quadro. Ad esempio, se la mdp inquadra unicamente il dettaglio di piedi in movimento, lo spettatore è naturalmente portato a presupporre una persona che cammina e che successivamente potrà essere inquadrata dalla mdp. In tal senso, il fuori campo è cataforico, cioè costituisce la possibilità pura di una successiva inquadratura, nonché la possibilità stessa del progresso della narrazione per immagini.

Diceva André Bazin che “le cadre est un cache”, ovvero che l’inquadratura è una benda, un nascondiglio. Essa stabilisce il visibile e allo stesso tempo l’invisibile. Il confine tra i due, per lo meno cinematograficamente, non è mai netto, non solo perché l’uno trapassa o può trapassare nell’altro, ma perché ciascuno di essi è definito ontologicamente anche grazie all’altro, ed entrambi sono sempre narrativamente co-implicati, esistendo in un regime di iper-dialettica, per dirla con Merleau-Ponty (che al rapporto tra visibile e invisibile dedica uno dei suoi ultimi scritti), dove non esistono sintesi definitive né opposizioni unilineari, ma è possibile una molteplicità di rapporti con una polivalenza di significati.

Se è possibile per un regista decidere e realizzare un “cadre”, ciò implica che automaticamente (e/o accidentalmente) si realizzi con essa anche una “cache” sulla quale la capacità di manipolazione del visivo di un regista sembra venire meno proprio per il carattere di automaticità e accidentalità che il fuori campo possiede. Vi sono però nella storia del cinema degli autori che hanno fatto del fuori campo un uso consapevole dal punto di vista tecnico, narrativo ed espressivo, conferendogli un’importanza tale da riscattarlo in parte o del tutto dal suo carattere di (almeno apparente) automaticità e accidentalità e anzi stabilendola proprio come figura tecnica, linguistica, stilistica. Tra gli altri ne passerò in rassegna quattro: Renoir, Welles, Tarkovskij, Bresson.

Uno dei film dove sicuramente il fuori campo assume particolare rilievo narrativo,  è sicuramente La regola del gioco (1939) di Jean Renoir. Il film di Renoir, da sempre annoverato tra i capolavori della storia del cinema, è in anticipo di due anni su quella “bibbia” delle tecniche cinematografiche che è Quarto Potere (1941) di Orson Welles per l’uso del piano sequenza e per il recupero della profondità di campo. Renoir si avvale a questo scopo di obiettivi di fabbricazione Lumiére opportunamente adattati. È certo che i fuori campo siano messi in causa in maniera forte pressoché lungo tutta la durata del film, ambientato per gran parte in una villa in campagna dove un nutrito numero di aristocratici francesi tiene un festeggiamento, mentre la mdp, fissa o in movimento ne segue i dialoghi, le battute di caccia, i pranzi, le vicende amorose, gli intrighi, ora incorniciati nelle architetture, ora al buio di uno spettacolo di danza, o nei corridoi e nelle stanze da letto.

Passiamo ora ad analizzare più dettagliatamente una scena del film: quella del pranzo dei servi della villa. Mentre il pranzo procede, i servi si scambiano confidenze e pettegolezzi sui signori che di cui sono o sono stati a servizio. La mdp segue in carrellata laterale da sinistra a destra una cameriera mentre porta a tavola tre vassoi, seguita da un maggiordomo. Stacco. Campo medio di Lisette, serva della padrona di casa Christine, seduta a capotavola, e altri due servi seduti accanto a lei. Stacco. Due cuochi intenti a preparare il pasto dei signori e criticare le loro abitudini in fatto di diete e ossessioni alimentari. Dopo un’altra piccola carrellata in cui la stessa cameriera vista precedentemente porta ancora il suo vassoio attorno al tavolo, è la volta di un piano di insieme della tavolata con Lisette a capotavola e tutti gli altri servi seduti.

Seguono dei primi piani di Lisette che parla a due dei commensali, voltando il capo ora a sinistra e ora a destra della mdp, finchè un nuovo primo piano su un altro maggiordomo precede lo stacco sulla rampa di scale che conduce alla tavolata da cui scende Schumacher, il guardiacaccia marito di Lisette.

Mentre Schumacher scende le scale, la mdp si avvicina  a un lato della tavolata, dove il cuoco visto precedentemente scambia un alcune chiacchiere coi commensali “impallando” il marito di Lisette poco dietro di lui, che a passi lenti si dirige verso la moglie seduta a tavola uscendo di campo a destra. Mentre il cuoco esce di campo, la mdp panoramica a destra, inquadrando così il guardiacaccia appoggiato dietro la sedia di Lisette mentre parla con lei. La mdp compie poi un movimento inverso al precedente, panoramicando verso sinistra rimettendo così in campo il cuoco tornato al lato della tavolata come visto nell’inquadratura precedente. Nel frattempo, vediamo Schumacher di spalle, allontanatosi dalla sedia di Lisette, dirigersi dalla destra al centro dell’inquadratura.

La mdp compie poi un ulteriore movimento verso sinistra, lasciando la tavolata fuoricampo e inquadrando Schumacher mentre sale le scale e incrocia il bracconiere Marceau che scende per unirsi alla tavolata. Marceau siede a tavola e comincia a chiacchierare con Lisette con l’intenzione di iniziare un corteggiamento. Stacco. La mdp inquadra in primo piano due servi seduti alla sinistra di Lisette, poi, panoramicando a sinistra, la stessa donna che sorride a Marceau dapprima fuori campo e poi visto di profilo. Stacco. Primo piano di Marceau ammiccante e quinta in campo di Lisette. Stacco. Una radio nella sala dove si svolge il pranzo ci mostra la fonte della musica diegetica e acusmantica udita precedentemente.  La dissolvenza incrociata dell’immagine della radio con quella di un orologio da tavolo in un salotto della villa, marca la fine della scena.

Dalla descrizione appena fatta è evidente che qui, come altrove nello stesso film, Renoir conferisce al fuori campo una notevole importanza. In che modo il fuori campo entra in gioco nella scena appena descritta? Abbiamo qui sia fuori campo visivi cataforici e anaforici nonché dei fuori campo sonori. Il fuori campo sonoro, in particolare, è costantemente in gioco per tutta la durata della scena. Sono fuori campo le voci di alcuni commensali non inquadrati mentre parlano, i rumori delle posate, e la musica proveniente dalla radio che vedremo solo alla fine della scena.

Sembra quasi che la mdp arrivi con ritardo a scoprire i volti di chi parla, come se la vita e il gioco degli intrighi, dei pettegolezzi, degli amori, scorresse indipendentemente da ciò che è dato vedere e sentire, tanto a noi spettatori quanto agli stessi personaggi, che di volta in volta perdono o acquistano visibilità, perdono o acquistano terreno di gioco. È così per il marito di Lisette, Schumacher, la cui entrata in campo è quasi subito celata, la sua visibilità ostacolata dalla figura del cuoco che scambia pettegolezzi con i commensali. Anche quando la macchina si sposta su Schumacher alle spalle di Lisette, è solo per poco, poiché presto ritorna nuovamente sul cuoco, conferendo così, all’inquadratura precedente pressoché identica, il valore di fuori campo anaforico. Schumacher abbandona poi la sala del pranzo, risalendo le scale e incontrando il bracconiere Marceau che insidia giocosamente sua moglie Lisette. Marceau rimane invece a lungo in campo, siede a tavola, e lungo è il primo piano che lo riguarda mentre mangia lanciando occhiate complici a Lisette. Non è casuale che il guardiacaccia sia così spesso fuori campo durante questa scena in cui viene a delinearsi in maniera più precisa il personaggio di Lisette, serva civettuola che accoglie il corteggiamento di Marceau.

I pavimenti della villa dove si svolge il film sono a scacchiera, così come la tovaglia del tavolo nella scena presa in esame, e in effetti quasi tutti i personaggi (tanto gli aristocratici quanto i servi) sono ben consapevoli di condurre le proprie esistenze come un gioco in cui il calcolo, il cinismo, le buone apparenze, sono fondamentali, ma “la regola” è non prendersi e non prendere assolutamente nulla sul serio, meno che mai l’amore e i sentimenti. Chi non accetta questa “regola del gioco” è destinato a soccombere, come l’aviatore romantico Jurieaux, o a commettere errori fatali come il guardiacaccia Schumacher, che, convinto di sparare a Octave, altro giocoso “spasimante” della sua Lisette, colpirà invece proprio Jurieaux.

La scena descritta si svolge in una cantina-cucina ai piani inferiori della villa, mentre sopra ha luogo il rendez-vous degli aristocratici, ma anche l’ambiente dei servi, piccolo borghesi fagocitati dall’universo dei potenti, partecipa degli stessi giochi di questi ultimi. Ciò che accade qui (in basso), è influenzato da ciò che accade ai piani superiori, in alto, fuori campo e comunque condizionante. Lo spettatore è portato a seguire con gli occhi ciò che vede nelle inquadrature, ma a tenere viva la sua attenzione anche su ciò che non vede, su quel gioco sotterraneo, simulato e dissimulato svelato rivelato (nel senso di “ due volte velato”)  che esclude inevitabilmente i personaggi più sinceri come Schumacher e quelli appassionati come Jurieaux.

La mdp di Renoir, così abile a cogliere “il gioco dell’amore e del caso”, così attenta e lieve nel suo aggirarsi senza centro per i labirinti della villa dove lo sguardo si sperde, si soffermerà, nel finale, sulle ombre degli aristocratici che a sera faranno ritorno alla villa, del tutto passivi di fronte alla morte di Jurieaux, tagliati fuori dalla realtà eppure colpevoli (forse proprio per la loro indifferenza e il loro cinismo), così “fuori campo” rispetto alla disgrazia della storia (siamo nel 1939, e il secondo conflitto mondiale è alle porte) e così parte in causa, attori di una farsa che termina in tragedia.

Ho scritto che La regola del gioco è in anticipo su Quarto potere per ciò che riguarda l’uso della profondità di campo e l’uso del piano sequenza. Tra le differenze linguistiche che esistono tra i due film, segnalerei proprio la diversa modalità dell’uso del fuori campo. A differenza di Renoir, Welles cerca di includere quanti più elementi possibili in una sola inquadratura in piano sequenza. A tal proposito cito la ben nota scena in cui viene deciso il destino di Kane bambino che gioca sulla neve inquadrato attraverso i bordi di una finestra, mentre la madre, all’interno della casa, discute la possibilità del suo affidamento con un banchiere.

La mdp di Welles crea spesso inquadrature centripete, in cui il fuori campo è progressivamente inglobato nell’inquadratura e viene dunque a trovarsi in campo, dando luogo quindi a dei fuori campo cataforici. Altre volte, il fuori campo realizza una sorta di “effetto eco” di personaggio uscito di campo. Un esempio in questo senso è costituito dalla scena in cui Susan abbandona Kane, passando attraverso delle porte e uscendo dalla reggia di Xanadu (e dalla vita di Kane), e venendosi così a trovare fuori campo. Di fatto, Susan esce dalla vita di Kane e questi sprofonderà sempre più nella propria monolitica solitudine su cui grava l’eco dell’abbandono da parte di sua moglie da lui stesso provocato.

Veniamo ora ad analizzare una scena in cui il fuori campo è usato come espediente tecnico e figura stilistica al contempo. La scena è tratta dal film Andrej Rublëv (1966), di Andrej Tarkovskij. Siamo poco dopo la metà del film, quando la città di Vladimir è stata saccheggiata da un esercito di tartari in complotto con dei russi, i quali hanno fatto irruzione nella cattedrale dell’Annunciazione. Tra i cadaveri nella chiesa semidistrutta, vi sono due superstiti: il pittore-monaco Andrej, e una donna sordomuta, che poco prima ha subito un tentativo di stupro da parte di un soldato russo, ucciso dal pittore.

Sconvolto, Andrej ha una visione di Teofane il Greco, anziano pittore suo maestro, morto alcuni anni prima. I due iniziano a parlare e Andrej palesa a Teofane il proprio turbamento circa gli episodi da poco accaduti, che lo hanno visto, tra l’altro, assassinare un uomo, e il pittore, colmo di sfiducia per gli uomini e sconvolto dalla loro crudeltà, matura il proposito di osservare un voto di silenzio e di non dipingere più.

Per tutto il dialogo tra i due personaggi, il fuori campo viene impiegato da Tarkovskij in maniera significativa come espediente tecnico volto ad connotare in senso espressivo lo sconforto di Andrej e il suo senso di smarrimento, nonché il suo dialogo “impossibile” con il morto Teofane in un’atmosfera oniroide.I due personaggi vengono a trovarsi di volta in volta in posizioni non plausibili rispetto alle loro uscite di campo. Mi spiego meglio: un personaggio lasciato fuori campo a sinistra dell’inquadratura, viene poi a trovarsi, senza stacchi e senza che egli passi davanti alla mdp, a destra, e viceversa. In pratica, Tarkovskij fa muovere il personaggio dietro la macchina da presa per poi farlo passare dal lato opposto nell’inquadratura successiva, quando tornerà in campo, raggiunto dal movimento della mdp, valorizzando così quel sesto fuori campo interdetto di cui parla Noel Burch.

Come è possibile notare dalle immagini, in oltre, i due personaggi sono illuminati in maniera differente: Andrej resta più spesso in ombra, mentre su Teofane scende una luce più intensa, che sembra connotarlo come visione onirica del pittore giovane. La scelta stilistica di Tarkovskij si rivela, seppure ardita, pienamente coerente con la situazione messa qui in scena e pertanto motivata dal punto di vista narrativo. Il fuori campo appare, nell’opera del regista sovietico, come uno degli elementi più rilevanti del suo stile registico.
Tornano utili, adesso le definizioni del fuori campo fatte da Gilles Deleuze. Egli distingue infatti un fuori campo relativo (a una singola inquadratura intesa come taglio parziale e prelievo da un ambiente più vasto) e uno assoluto (in cui l’inquadratura è taglio totale in rapporto a ogni campo possibile), da lui rinominati rispettivamente l’ “a-lato” e l’“altrove”. Scrive infatti il filosofo francese: “Ogni inquadratura determina un fuori campo. Non vi sono due tipi di quadro di cui uno soltanto rinvierebbe al fuori campo, ma due aspetti assai differenti del fuori campo di cui ognuno rinvia a un modo di inquadratura” .

Per avvalerci della terminologia deleuziana (qui, e in seguito a proposito del fuori campo in Bresson) potremmo dire che Tarkovskij oscilla tra l’ a-lato e l’altrove. Pur essendo Teofane visibile (a noi spettatori come ad Andrej), pur potendosi trovare “a-lato”, fuori campo rispetto allo spazio concreto degli interni della cattedrale di Vladimir, egli è al contempo presenza di un non specificato “altrove”, morto parlante di un aldilà non specificato, emanazione onirica della coscienza sconvolta di Andrej. Questo perchè i movimenti che compie fuori campo lo mostrano poi alternativamente ai due opposti lati del quadro, lo connotano come figura sospesa tra il reale e l’irreale, tra l’attuale e il virtuale, oscillante tra uno spazio immanente (a- lato) e concreto e un altro (altrove) trascendente e possibile, di cui Tarkovskij fa comunque sentire in qualche modo la presenza.

L’altro regista che mi propongo di analizzare a proposito del fuori campo è Robert Bresson. Accade più spesso che il fuori campo Bressoniano sia invece assoluto, sia cioè un altrove più che un a-lato. Nel cinema del regista francese sono frequenti le inquadrature di dettagli e particolari cui manca spesso un piano di insieme o un totale che connoti in maniera precisa l’ambientazione. Penso ad esempio al film Lancillotto e Ginevra (1974) in cui la sequenza del torneo dei cavalieri viene girata unicamente attraverso il succedersi di inquadrature di lance, dettagli di zoccoli e ventri di cavalli montati dai partecipanti.

Le inquadrature di Bresson innescano un tipo particolare di paradosso. Sono dettagli, dicevamo, il massimo cioè, dell’evidenza fotorealistica del mondo quotidiano, ma tale mondo non è rappresentato nelle sue proprietà spaziali concrete, bensì frammentato, rimandando a un Altrove assoluto, a un ambiente mai attuale e sempre virtuale perchè mai dato nelle inquadrature, che esiste unicamente e continuamente come spazio del possibile.
Dai casi presi in esame appare evidente come alcuni autori (ma se ne potrebbero citare anche altri, da Ophuls a Kubrick a Leone a Truffaut) abbiano conferito al fuori campo un valore di pratica (lo hanno cioè attivato consapevolmente) tecnica, narrativa, espressiva, stilistica, concettuale estremamente rilevante. Di più: essi hanno posto l’accento su ciò che nel cinema, fatto di immagini in movimento visibili, è invisibile in quanto non è immagine, non è in campo. Del resto, per il poeta citato in apertura del saggio, l’infinito non sarà visibile perché l’ultimo orizzonte è celato da una siepe, che invece è ben visibile, ma sedendo e mirando interminati spazi di là da quella….

Il Paradiso per Davvero Trailer italiano con Greg Kinnear e Kelly Reilly

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Guarda il Trailer italiano del film il del film Il Paradiso per Davvero, diretto da Randall Wallace. Tratto da un’incredibile storia vera, il film uscirà nelle sale il prossimo 10 luglio.

http://youtu.be/yStwRBbmxdw

Il Paradiso per DavveroTratto dall’omonimo best-seller che ha ottenuto la prima posizione nella classifica del New York Times , Il Paradiso per Davvero porta sullo schermo una storia vera che ha commosso milioni di persone in tutto il mondo: la straordinaria esperienza che ha cambiato la vita di un bambino e la decisione coraggiosa di suo padre di condividerla con tutti.

Candidato all’Oscar® e vincitore dell’Emmy ®Award, Greg Kinnear (Qualcosa è cambiatoLittle Miss Sunshine) interpreta Todd Burpo, imprenditore di una piccola città, vigile del fuoco volontario e pastore, che cerca di andare avanti in un anno difficile per la sua famiglia. Dopo che suo figlio Colton (interpretato da Connor Corum al suo debutto cinematografico) è stato ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico d’urgenza, Todd e sua moglie Sonja (Kelly Reilly, Volo, Sherlock Holmes) sono felici per la sua guarigione miracolosa.

Ma sono del tutto impreparati a ciò che succede dopo. Colton inizia a descrivere nei particolari il suo incredibile viaggio verso il cielo.

Mentre Colton racconta con innocenza dettagli che non poteva conoscere, il padre Todd si trova a scontrarsi contro un muro di mistero e dubbio, finché non riesce a ritrovare la speranza, la fede e la forza di andare avanti.

TriStar Pictures presenta Il Paradiso per Davvero, diretto da Randall Wallace, lo scrittore candidato all’Oscar ® per Braveheart- Cuore impavido. La sceneggiatura è di Randall Wallace e Christopher Parker, basata sul libro di Todd Burpo e Lynn Vincent. Il film è prodotto da Joe Roth e TD Jakes e i produttori esecutivi sono Sue Baden-Powell, Sam Mercer e Derrick Williams. Insieme a Kinnear, Reilly e Corum,fanno parte del cast Margo Martindale (Justified, I segreti di Osage County), Thomas Haden Church(Sideways – In viaggio con Jack, La mia vita è uno zoo) vincitore dell’Emmy ® Award e candidato all’Oscar ®. Le musiche sono di Nick Glennie-Smith. Fanno parte del team anche il direttore della fotografia Dean Semler (Balla coi lupi, Mad Max: The Road Warrior, Apocalypto) membro dell’Australian Cinematographers Society (ACS) e dell’American Society of Cinematographers (ASC), vincitore dell’Oscar®, lo scenografo Arv Greywal (Lars e una ragazza tutta sua), il montatore John Wright (Apocalypto, Speed), membro dell’ American Cinema Editors, due volte vincitore del BAFTA Award e il costumista Michael T. Boyd (Segreteria, We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo).
Durata del film: 100 minuti

Il Paradiso degli Orchi teaser trailer

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Il Paradiso degli Orchi teaser trailer

Il Paradiso degli Orchi teaser 2 Un primo assaggio dello strampalato universo di Benjamin Malaussène, protagonista de Il Paradiso degli Orchi, il nuovo film di Nicolas Bary tratto dal primo libro della fortunata saga di Monsieur Malaussène di Daniel Pennac.

Professione bizzarra quella di Malaussène: è il capro espiatorio dei grandi magazzini di Parigi. E quando il centro commerciale diventa oggetto di attentati dinamitardi, il sospettato numero 1 è proprio lui. Sarà questa la prima occasione in cui Benjamin cercherà di provare la sua innocenza e trovare il vero colpevole, supportato dall’amata zia Julie e dalla tribù di fratelli.

Nel cast Raphael Personnaz, Bérénice Bejo, Emir Kusturica, Guillaume De Tonquédec. L’uscita del film in Italia è prevista ad ottobre.

Il paradiso degli orchi recensione del film tratto da Pennac

Il paradiso degli orchi recensione del film tratto da Pennac

il paradiso degli orchi recensione

Il Paradiso degli orchi di Nicolas Bary è stato presentato al Festival Internazionale del Film di Roma 2013 nella categoria “fuori concorso”.

Benjamin Malaussène (Raphael Personnaz) di professione fa il capro espiatorio. Lavora ai grandi magazzini e si prende tutti i rimproveri dall’ufficio reclami, con la speranza che il cliente, dopo un acquisto non andato a buon fine, si impietosisca e non sporga denuncia. Vive con una bizzarra famiglia di fratellastri e sorellastre a cui deve badare. Una donna dai capelli rossi, zia Julia (Bérénice Bejo) e una serie di incidenti…esplosivi sul luogo di lavoro, lo porteranno ad essere l’indiziato numero 1 di una serie di omicidi, tanto per aggiungere un tocco in più ad una vita già abbastanza complicata.

Tratto dall’omonimo libro appartenente al cosiddetto ciclo di Malaussène, scritto da Daniel PennacIl Paradiso degli orchi si impegna a conservare le atmosfere del romanzo e lo fa parlare con le immagini. Pur con le dovute modifiche d’adattamento, specie nel numero dei personaggi, l’intenzione di voler rimanere fedeli all’alone generale che circonda il libro di Pennac è chiara.

È difficile non amare il personaggio di Malaussène. Un capro espiatorio sul lavoro e anche, non volendo, nella vita: per quanto possa impegnarsi, è sempre colpa sua. Il montaggio del film è frenetico, instancabile, come a sottolineare che per  il protagonista non c’è mai pace. Tranne in alcuni momenti, attimi di tregua dove tutto diventa diverso. I racconti inventati che offre ai suoi fratellastri ne sono un esempio, evasione dalla realtà per toccare le vette della fantasia. E in questi momenti si può essere qualunque cosa, dall’eroe senza macchia e senza paura, all’inventore di storie, fino ad arrivare a interloquire con una giraffa che prende vita.

Una commedia divertente e umoristica, tra dialoghi frizzanti e un ritmo rapidissimo. Il tutto rinchiuso in una cornice che avvolge uno scenario vivace e colorato. C’è un odore di leggerezza che permane durante tutto il film, appena un gradino sotto il confine tra realtà e fantasia.

Menzione speciale per il personaggio di Stojil, interpretato da Emir Kusturica. Esce domani 14 Novembre nelle sale italiane.

La nostra foto gallery del Festival:
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Il Paradiso Amaro di Payne

Il Paradiso Amaro di Payne

Le combinazioni vincenti non sono dettate dalla loro natura di affinità e questo Alexander Payne lo ha capito da sempre. La bellezza non è data dalla felicità, e forse la perfezione dei suoi film scaturisce da abbinamenti opposti e complementari: la spensieratezza della California con la consapevolezza amara vissuta da Paul Giamatti, e ancora l’esotismo delle Hawaii con il dramma di George Clooney.

Il panel di Dark Shadow al Comic-Con

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Il panel di Dark Shadow al Comic-Con

Tim Burton torna con la sua squadra, ovvero Johnny Depp e Helena Bonham Carter, con l’aggiunta di Michelle Pfeiffer, Eva Green e Jackie Earle Haley e porta al Comic-Con

Il Palm Springs IFF aprirà con i salmoni di Lasse Hallstrom

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Il Palm Springs IFF aprirà con i salmoni di Lasse Hallstrom

La 23esima edizione del Palm Springs International Film Festival aprirà i battenti il prossimo 5 gennaio con la proiezione

Il Paese delle Spose Infelici: recensione del film

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Il Paese delle Spose Infelici: recensione del film

In Il Paese delle Spose Infelici Zazà e Veleno sono due ragazzini, amici per la pelle, ma molto diversi per famiglia e condizione. Figlio di medio borghesi Veleno, con un futuro e prospettive, e soprattutto dei genitori che lo seguono, figlio della strada invece Zazà, orfano che vive con un fratello delinquente e con una sola via di fuga dal degrado della periferia tarantina: il calcio. L’arrivo di Annalisa nelle loro vite crea aspettative e tensioni, ma anche attimi di pura estasi in cui i due maldestri amici riesacono ad assaporare un po’ di felicità, riuscendo a sfuggire per poco al loro destino segnato.

Il Paese delle Spose Infelici si rivela un prodotto strana, atipico e difficile da classificare. Sembra il classico film italiano che racconta il malessere giovanile, ma la presenza di questa figura femminile, sorta di Malena alla Tornatore, ma meno patinata, introduce un velo di mistero, quasi un’evasione dalla realtà per rifugiarsi in un sogno di bellezza e dolcezza, cose che per i due ragazzini sembrano impossibili da trovare nella vita vera.

Il Paese delle Spose Infelici, il film

Il racconto procede da lontano, senza creare una vera e propria empatia con lo spettatore, mostrando il calore e l’arsuro, la vittoria e la violenza, la possibilità di riscatto da una vita dura e ingiusta, possibilità che puntualmente sfugge a chi, come Zazà, è cresciuto in un ambiente malato. I giovani protagonisti Luca Schipani e Nicolas Orzella hanno quell’aspetto ruvido, di chi vuole atteggiarsi a uomo, ma con gli occhi colmi di stupore e dolcezza. I loro personaggi sono avidi di immagini e di corpi e la bella Annalisa (Aylin Prandi), l’apparizione volante che piomba nelle loro vite, rappresenta l’incarnazione dei loro desideri, la sposa infelici che loro in qualche modo desiderano curare.

Il titolo stesso del film Il Paese delle Spose Infelici, rimanda però a qualcosa di più del singolo caso di Annalisa, non è solo lei la sposa infelice, ma forse tutte quelle donne la cui vita si svolge in quell’ambiente ricco solo di miseria droga e inquinamento. La sposa infelice diventa quindi una metafora del malessere di una terra che non riesce a guarire, malata dalle fondamenta, incapace di accogliere nel sue grembo speranze e sogni di giovani uomini.

Il Paese dei Jeans d’agosto: finite le riprese del film

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Il Paese dei Jeans d’agosto: finite le riprese del film

Il sono concluse oggi le riprese del film “Il Paese dei Jeans d’agosto”, opera prima di Simona Bosco Ruggeri.  Il lungometraggio, girato interamente in Campania – precisamente nel Vallo di Diano e a Montesano  – è prodotto da Akita Film con Maremosso, Adler Entertainment e Minerva Pictures.

L’opera indaga la quotidianità di una piccola provincia italiana dove ha luogo la super “postata”, quanto chiacchierata, storia tra il sedicente influencer @IlCarlito e @LaRossetti, in perenne attesa di un cambiamento che svolti in positivo la vita. Carlo e Luisa sono disposti a tutto pur di perseguire i propri obiettivi, e non avranno scrupoli nell’utilizzare a proprio vantaggio la realtà fittizia dei social per raggiungerli.

Lina Siciliano (Luisa Rossetti), dopo i premi e i riconoscimenti ottenuti con il ruolo drammatico interpretato in “Una Femmina”, è la protagonista di questa commedia con un personaggio originale e divertente.  Pasquale Risiti (IlCarlito), conosciuto per le interpretazioni nelle serie di successo come “Gomorra”, “Un medico in famiglia”, “La Squadra”,  e nel film “Non tutto è perduto”, esordisce in questa occasione con un ruolo da protagonista. Il cast si completa con attori amati dal pubblico come Enzo Decaro (Guglielmo Rosetti), Rosalia Porcaro (Agata Maria Rosaria Landolfi), Nunzia Schiano (Pinuccia Callegari), Ninni Bruschetta (Faluccio Arato), Valerio Santoro (Don Martino), Ludovica Coscione (Elena Rosetti), Mimma Lovoi (La Venezuelana), Franca Abategiovanni (Tanina), Adriano Occulto (Marvin) e Manuela Morabito (Gloria).

Un pesce grosso nell’acquario è piccolo nell’oceano e l’Oceano ora è a portata di click – racconta con ironia la regista, Simona Bosco Ruggeri – Facebook, Instagram, TikTok, Twitter: arene in cui gareggiare all’ultimo selfie. Like, followers, trending, hashtags sono indici per misurare la propria vita e il proprio valore. E se sei l’ultimo in classifica, è crisi. E’questo il punto di vista della storia che racconteremo”.

“Crediamo molto in questo progetto- spiegano i produttori Luca Lucini e Paolo Zaninello – siamo sicuri che ha gli ingredienti giusti per regalare un gran bel film ad un pubblico trasversale. La sceneggiatura ha il pregio di utilizzare un linguaggio naturale, spontaneo e contemporaneo. Un film coinvolgente, capace di parlare il linguaggio di generazioni lontane fra loro e raccontare così una storia vicina a tutti noi, al nostro mondo che cambia”.

La trama

Nel cortocircuito fra i Social e la socialità di una piccola provincia un tempo isolata, adesso fortemente “connessa”, ha luogo la tanto postata quanto chiacchierata storia tra @IlCarlito e @LaRosetti. Il ventiseienne Carlo, un tempo V.I.P., è ora un sedicente Influencer alla perenne ricerca di soldi da trasformare in likes. La ventottenne Luisa, un tempo promessa laureanda, è ora alla mercé del Paese in perenne attesa che qualcosa le capiti. A Luisa capita Carlo, a @IlCarlito, @LaRosetti: Lui piace ma non ha soldi, Lei ha soldi ma non piace. Insieme puntano a tutto.

Il Padrino: per la Paramount un quarto capitolo è una possibilità

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La Paramount ha affermato che un quarto film della saga de Il Padrino è una possibilità. Negli ultimi mesi si è tornato a parlare della celebre trilogia in seguito alla notizia della distribuzione della Director’s Cut de Il Padrino – Parte III, che uscirà alla fine del mese di dicembre con il titolo “Mario Puzo’s The Godfather, Coda: The Death of Michael Corleone”. Secondo Diane Keaton, a cui non era piaciuta la conclusione originale della trilogia, il nuovo taglio ha migliorato notevolmente il film.

Nel 1990, all’epoca della sua uscita in sala, Il Padrino – Parte III è stato accolto in maniera negativa rispetto ai primi due capitoli, da sempre considerati due dei migliori film della storia del cienma. Francis Ford Coppola ha iniziato a lavorare sulla Director’s Cut all’inizio di quest’anno, un lavoro più o meno simile a quanto già fatto in passarto con Apocalypse Now Redux. Secondo quanto riportato, la nuova versione del film sarà corredata da un nuovo inizio, un nuovo finale e anche da una serie di riprese alternative di alcune scene, oltre a nuovi spunti musicali.

Adesso, in una dichiarazione ufficialmente rilasciata al New York Times, la Paramount Pictures ha affermato che un quarto capitolo de Il Padrino è una possibilità. Lo studio ha specificato che la decisione di dare o meno il via libera ad un nuovo film dipenderà dall’arrivo nelle loro mani della “storia giusta”. In passato, Coppola si era sempre dichiarato contrario ad un nuovo eventuale capitolo. Tuttavia, la decisione finale spetta comunque alla Paramount, in possesso dei diritti sulla saga.

“Sebbene non ci siano piani imminenti per un altro film nella saga de Il Padrino, dato il potere duraturo della sua eredità, rimane una possibilità qualora venisse fuori la storia giusta”, questa la dichiarazione ufficiale della Paramount.

I progetti in cantiere legati alla saga de Il Padrino

Attualmente, ci sono diversi progetti in lavorazione incentrati sul making of de Il Padrino. Tra questi, figura anche Francis and The Godfather con Oscar Isaac e Jake Gyllenhaal, che racconterà proprio della realizzazione del film e del conflittuale rapporto tra Coppola e il produttore Robert Evans. Il film, che sarà diretto da Barry Levinson, si concentrerà infatti sulle battaglie leggendarie e selvagge che hanno portato alla realizzazione del classico del 1972.

Il Padrino: Parte III director’s cut, il poster conferma il titolo

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L’account Twitter di The Film Stage ha diffuso un nuovo poster per Il Padrino: Parte III director’s cut che rivela il nuovo titolo del film. Si tratta di The Godfather Coda: The Death of Michael Corleone. La trilogia del Padrino di Francis Ford Coppola è considerata uno dei più straordinari risultati cinematografici di sempre, tanto che è in lavorazione un film sul suo making of, anche se molti ritengono che il terzo capitolo della serie sia il suo punto più basso.

Nonostante le recensioni negative e un’accoglienza molto tiepida da parte dei fan della serie, Il Padrino: Parte III ha ricevuto 7 nomination agli Oscar (ma non è riuscita a vincerne nessuno). Ora, 30 anni dopo il suo primo arrivo, Coppola e Paramount Pictures pubblicheranno una versione del film tutta decisa dal regista. Tramite l’account Twitter di The Film Stage, è stato rivelato un primo sguardo al poster del film e al suo nuovo titolo. The Godfather Coda: The Death of Michael Corleone presenterà un inizio e una fine completamente nuovi, che secondo Coppola rappresentano una conclusione più appropriata per la serie. Il film uscirà nelle sale USA a dicembre, seguita da una versione VOD e Blu-Ray.

https://twitter.com/TheFilmStage/status/1311344824612794373?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1311344824612794373%7Ctwgr%5Eshare_3&ref_url=https%3A%2F%2Fscreenrant.com%2Fgodfather-3-directors-cut-poster-new-title-release%2F

Il padrino: la spiegazione del finale del film di Francis Ford Coppola

Il finale de Il Padrino è uno dei più iconici della storia del cinema e ha cementato la reputazione di Francis Ford Coppola come regista, oltre a preparare gli eventi de Il Padrino – Parte II. Basato sul romanzo originale del 1969 di Mario Puzo, Il Padrino è incentrato sulla famigerata famiglia criminale newyorkese dei Corleone ed inizia con il Don Vito Carleone di Marlon Brando e il Michael Corleone di Al Pacino come figlio integerrimo e disinteressato agli affari del padre. Tuttavia, nel finale, Michael è profondamente cambiato, diventando – volente o nolente – il capo dell’impero Corleone e dimostrandosi altrettanto spietato del padre.

La trasformazione di Michael si completa nell’atto finale, con un’esplosione di sangue, fotografia mozzafiato, violenza e dialoghi iconici. Un finale dunque in grado di soddisfare ogni esigenza e, a distanza di quasi 50 anni dal suo debutto nelle sale, è ancora un punto di riferimento intramontabile. A testimonianza della sottigliezza della regia di Coppola e della profondità della sceneggiatura di Puzo, il finale de Il Padrino viene infatti ancora oggi studiato e analizzato a distanza di decenni dalla sua uscita nelle sale. Soprattutto i suoi istanti finali dove, come anticipato, si afferma pienamente Michael come il nuovo Padrino. In questo articolo, andiamo dunque ad esplorare questa drammatica conclusione.

Cosa succede alla fine de Il Padrino

Il finale de Il Padrino inizia dopo che Vito Corleone si è spento nel comfort del suo giardino. Prima della sua morte, tuttavia, Vito e Michael – ora Don indiscusso della famiglia – avevano architettato un grande piano per eliminare tutti i loro nemici e consolidare l’eredità dei Corleone per gli anni a venire. Il piano inizia proprio il giorno del battesimo del nipote e figlioccio di Michael. Michael Corleone fa in modo che diversi rivali della famiglia vengano eliminati in quel momento, assicurando le prospettive future dell’impero dei Corleone e inviando un chiaro messaggio ai loro rivali.

Il padrino cast
Al Pacino e Marlon Brando in Il padrino. © 1972 Paramount Pictures

Il primo a morire è Victor Stracci, capo della famiglia Stracci, a cui Clemenza spara in un ascensore. Sebbene non sia la principale minaccia per la famiglia Corleone, Stracci è in combutta con Barzini, il principale rivale di Vito. La figura intrappolata e uccisa nella porta girevole è un altro capo meno importante delle Cinque Famiglie, Carmine Cueno. Tuttavia, non sono solo i gangster rivali che Michael elimina alla fine de Il Padrino. Si assicura anche che chiunque abbia fatto un torto alla famiglia Corleone venga rapidamente eliminato. Oltre a Victor Stracci, Moe Greene viene ucciso con un colpo di pistola in un salone di massaggi.

Greene era un ostacolo agli interessi dei Corleone a Las Vegas e, soprattutto, si era macchiato di aver aggredito fisicamente il fratello di Michael, Fredo Corleone, in pubblico. Un membro della cerchia ristretta di Michael, Rocco Lampone, spara poi a Philip Tattaglia, la cui famiglia era responsabile dell’attentato alla vita di Vito all’inizio del film e Michael si assicura che la vendetta sia così servita. Il futuro braccio destro di Michael, Al Neri, indossa la sua vecchia uniforme da poliziotto e fa fuori Emilio Barzini, l’arcinemico della famiglia Corleone e la forza trainante della morte di Sonny. Al termine dei festeggiamenti, Michael fa uccidere anche Tessio e Carlo, suo cognato, per i rispettivi tradimenti.

Il finale mostra le differenze tra don Vito e Michael

Il finale de Il Padrino è dunque indiscutibilmente iconico. Tuttavia, il motivo per cui è così apprezzato non è la violenza delle bande o l’intricato schema machiavellico di Michael Corleone, ma il pesante immaginario e simbolismo che lo caratterizza. I frequenti tagli tra scene che presentano immagini religiose e passi biblici e atti di violenza brutale e mortale fanno sì che il famigerato montaggio del “Battesimo di sangue” sia volutamente stridente, e cementa il tipo di capo che Michael sarà, senza lasciare spazio a dubbi. Ad esempio, il figlio minore di Vito rinuncia al diavolo sull’altare e promette di proteggere il nipote in nome di Cristo.

Al Pacino e Diane Keaton in Il padrino
Al Pacino e Diane Keaton in Il padrino © 1972 Paramount Pictures

Contemporaneamente, però, una serie di omicidi viene compiuta in suo nome. Questa giustapposizione crea uno sfondo di ipocrisia che si chiuderà nell’ultima inquadratura de Il Padrino. Mentre Vito e Michael assumono esattamente lo stesso ruolo di capo dell’organizzazione criminale dei Corleone, la sequenza del battesimo getta il personaggio di Pacino in una luce molto diversa da quella del padre. Nel suo atto iniziale, il film ritrae Don Vito come un uomo di famiglia dedito al lavoro. Balla al matrimonio della figlia, vuole che la fotografia di famiglia sia perfetta e si prende cura di coloro che gli chiedono aiuto e lo chiamano padrino.

Il pubblico conosce le attività criminali di Vito e il suo uso di violenza letale, ma la sua presentazione iniziale come padre di famiglia attenua la sua reale natura. Quando Michael mette in atto il suo grande disegno il giorno del battesimo del figlio di Connie e completa la sua trasformazione nel nuovo Padrino, viene invece presentato sotto una luce molto più cupa. Michael viene messo a nudo come un uomo che mente di fronte al suo Dio, un uomo che non si fa scrupoli a presenziare a un evento familiare mentre i suoi uomini commettono omicidi per suo volere. Anche Vito era tutte queste cose, ma l’oscurità intrinseca che avvolge la posizione di don diventa pienamente chiara solo quando Michael assume il ruolo.

In tutto Il Padrino, il sound design viene poi utilizzato per rappresentare lo stato d’animo di Michael. Ad esempio, i rumori sempre più forti del treno che precedono la prima uccisione di Michael. Mentre i corpi si accumulano e Michael continua a guardare sempre più lontano, la musica dell’organo e i pianti dei bambini raggiungono un crescendo, stabilendo che questo momento è in realtà il suo di battesimo, come nuovo don Corleone. Questo uso del suono durante il finale mostra il conflitto al centro del personaggio: la guerra tra la persona che era e il don che deve diventare, ed è chiaro quale parte vince sull’altra.

Diane Keaton e Al Pacino in Il padrino
Diane Keaton e Al Pacino in Il padrino © 1972 Paramount Pictures

La spiegazione dell’inquadratura della porta che si chiude nel finale di Il Padrino

Nella scena finale de Il Padrino, Connie affronta istericamente Michael sulla morte di Carlo, supponendo correttamente che suo marito sia stato ucciso per ordine del fratello. Michael non conferma né nega le accuse di Connie e si limita a trattenerla, prima di mandare la sorella al piano di sotto a farsi visitare da un medico. Il confronto avviene sotto gli occhi della moglie di Michael, Kay (Diane Keaton), che da quando il marito ha assunto il controllo ha ricevuto precise istruzioni di non fare mai domande sugli affari di famiglia. Incapace di trattenersi, Kay chiede se Michael sia davvero coinvolto nella morte di Carlo. Questa scena rappresenta la vera fase finale dell’evoluzione di Michael in boss mafioso.

La bugia a volto scoperto alla moglie è il segno che il loro rapporto è diventato molto più distante da quelle prime scene di shopping natalizio ed è un segno premonitore delle cose che verranno, dato che Michael continua ad adottare una doppia vita, di boss criminale e di onesto padre di famiglia. Chiudendo la porta a Kay, il finale de Il Padrino evidenzia sia la decisione di Michael di escludere la moglie dai suoi affari, sia l’atteggiamento generale della mafia nei confronti del ruolo della donna. Mentre all’inizio del film Michael trattava Kay con dignità e rispetto, ora Michael è l’archetipo del don, che gestisce gli affari di famiglia con i suoi capi in un ufficio chiuso, mentre le donne di casa si occupano dei loro doveri materni e domestici, due mondi che non possono mai collidere.

Kay, naturalmente, è una donna colta e professionale e non è disposta a chiudere gli occhi sulle attività di Michael come potrebbero fare altre mogli di mafiosi. L’espressione sul volto di Diane Keaton che funge da vera inquadratura finale de Il Padrino indica che, nonostante sia inizialmente sollevata da quanto Michael le ha detto, la sua fiducia nei suoi confronti è stata irrimediabilmente danneggiata. Kay sente di non sapere più veramente che tipo di uomo sia suo marito, né di cosa sia capace, e vede il mondo tra le mura di quell’ufficio come la divisione tra lei e l’uomo di cui si è innamorata. Una chiusura dunque quantomai cupa, per un film dai sottotesti agghiaccianti.

Il Padrino: in produzione un film sulla lavorazione del film

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Il Padrino: in produzione un film sulla lavorazione del film

La HBO sta lavorando a un film dal titolo Francis and The Godfather, uno show tv che seguirà le vicende produttive de Il Padrino. Chiaramente il Francis del titolo è chiaramente Ford Coppola.

Si tratterà di un film che, come è stato per l’Hitchcock con Anthony Hopkins, che raccontava la produzione di Psycho, racconterà la produzione di uno dei capolavori del maestro italo americano Francis Ford Coppola.

Il Padrino: in produzione un film sulla lavorazione del film

Il film sarà basato su una sceneggiatura di Andrew Farotte, inserita nella Black List del 2015. La Black List, ricordiamo, è una lista dei migliori script registrati a Hollywood che non sono ancora stati trasformati in film.

Francis and The Godfather sarà prodotto da Mike Marcus (The Ward), Doug Mankoff (Nebraska) e Andrew Spaulding (The Young Messiah). La consulenza produttiva sarà affidata a Paul Bart, l’executive che per primo opzionò Il Padrino.

Film che ha lanciato la folgorante carriera di Al Pacino nel 1972, Il Padrino rimane a oggi uno dei migliori esempi di cinema offerti da Coppola. Nel cast originale, al fianco di Pacino, ci sono Marlon Brando, James Caan, Robert Duvall, John Cazale, Richard S. Castellano, Gianni Russo, Talia Shire e Diane Keaton.

Come ben sanno gli appassionati di cinema, il film ha avuto due sequel, la Parte II che ha brillato per la superba interpretazione di Robert De Niro nei panni del giovane Vito Corleone, e la Parte III che resta il progetto più debole della trilogia, realizzata a molti anni di distanza e su commissione.

Fonte: Variety

Il Padrino: ecco quando Al Pacino ha capito che si stava realizzando un capolavoro

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Nel corso di un’intervista con NYTAl Pacino ha ricordato alcuni dei momenti migliori sul set de Il Padrino, del quale quest’anno ricorre il 50° anniversario. Uno dei più grandi film della storia del cinema non lo è di certo in fase di realizzazione, nel senso che solo l’accoglienza e il tempo concedono questo tipo di investiture, eppure, Pacino ricorda l’esatto momento in cui ha pensato che stava contribuendo a realizzare un capolavoro.

Il suo ricordo risale al giorno in cui stavano girando la scena del funerale di Don Vito Corleone, Marlon Brando, e di quando vide Francis Ford Coppola piangere perché voleva il tempo di una ripresa in più:

“Ricordi la scena del funerale di Marlon, quando l’hanno stroncato? Era finita per la sera, il sole stava tramontando. Quindi, naturalmente, sono felice perché posso andare a casa e bere qualcosa. Stavo andando al mio camper, dicendo, beh, sono stato abbastanza bene oggi. Non avevo battute, né obblighi, andava bene. Ogni giorno senza battute è un buon giorno. Quindi torno al mio camper. E lì, seduto su una lapide, c’è Francis Ford Coppola, che piange come un bambino. Piangeva a profusione. E sono andato da lui e gli ho detto, Francis, cosa c’è che non va? Cosa è successo? Dice: “Non mi daranno un’altra possibilità”. Ciò significa che non gli avrebbero permesso di filmare un’altra inquadratura. E ho pensato: va bene. Immagino di essere in un buon film qui. Perché lui aveva questo tipo di passione ed eccola lì.”

La sensazione di Al Pacino, di essere in buone mani, si è poi trasformata in una certezza, dal momento che Il Padrino, a oggi, è uno dei più grandi prodotti cinematografici della storia.

Il padrino: dal libro al cast, tutte le curiosità sul film

Il padrino: dal libro al cast, tutte le curiosità sul film

Quella di Il padrino è una delle trilogie cinematografiche più conosciute e amate di sempre, vero e proprio simbolo di un genere. Con tre film, questa affronta un arco temporale di circa 96 anni, raccontando ascesa e declino della famiglia Corleone, tra le più potenti in assoluto nella malavita di New York. Il primo film, intitolato semplicemente Il padrino, uscì al cinema nel 1972 per la regia di Francis Ford Coppola, qui alle prese con il suo primo grande lungometraggio dopo averne diretti alcuni a basso costo. Nonostante i numerosi problemi produttivi, legati principalmente a divergenze con i produttori sulla scelta del cast, il film riuscì infine a prendere vita.

Il padrino si affermò da subito come un successo straordinario, incassando nei soli Stati Uniti ben 86 milioni di dollari, battendo dunque il record di Via col vento che durava da oltre trent’anni. Anche la critica lodò il film, definendolo il più bello incentrato sulle losche attività della mafia e l’impatto culturale lasciato dal film nell’immaginario collettivo rimarrà nella storia, con i numerosi modi di dire e alcune scene chiave (come quella della testa di cavallo, o la morte di Sonny) rimaste indelebili ancora oggi, a tal punto da essere citate in numerose altre pellicole di successo negli anni a venire.

Candidato a 10 premi Oscar, Il padrino finì con il vincerne tre: Miglior film, Miglior sceneggiatura non originale e Miglior attore protagonista a Marlon Brando, il quale però come noto rifiutò il premio. Oltre a quelle fin qui riportate, in questo articolo approfondiamo alcune delle principali curiosità relative al film. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al libro e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il padrino cast
Al Pacino e Marlon Brando in Il padrino. © 1972 Paramount Pictures

La trama di Il padrino

La vicenda del film si svolge nella New York a metà tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta ed ha per protagonista la famiglia di origine italo-americana Corleone, la più potente nell’ambiente mafioso della città. Questa è specializzata in attività come gioco d’azzardo, racket e prostituzione e il tutto viene gestito dal patriarca Don Vito. Grazie ai numerosi debitori di cui è circondato, egli vanta un potere immenso, che gli ha permesso di ottenere amicizie importanti tra i personaggi di spicco della società newyorkese. Ormai anziano, però, Don Vito si sente in dovere di scegliere un proprio successore.

Tra i pretendenti al suo posto vi sono naturalmente i suoi figli, dall’iracondo Sonny all’ingenuo Fredo, dal figliastro Tom Hagen fino al riluttante Michael. Quest’ultimo, mantenutosi sempre estraneo alle attività criminali della famiglia, finisce a poco a poco per esserne coinvolto in modo sempre più personale. Mentre la famiglia cerca dunque di riassestarsi per confermare il proprio dominio, una serie di scontri con altri clan mafiosi renderanno sempre più delicata la situazione, sino a portare alla necessità di attuare delle vendette non prive di ovvie conseguenze. Per i Corleone si presentano dunque momenti molto difficili.

Il libro da cui è tratto il film

Come noto, il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Mario Puzo e pubblicato nel 1969. All’interno di questo si narrano le vicende di una famiglia mafiosa di origini italiane. Il libro godé da subito di una grandissima popolarità e introdusse una serie di terminologie tipiche di quell’ambiente all’epoca ancora poco note. Nel testo, per esempio, si può leggere la parola omertà lasciata in italiano, divenuta da quel momento estremamente popolare. Diviso in nove parti, il libro contiene una grande quantità di eventi e personaggi, non tutti finiti nel primo film della trilogia.

Molto di quanto non inserito in questo, però, è stato poi ripreso per i successivi due sequel. In particolare, i contenuti del romanzo formarono la base per i primi due film, integrati da nuovo materiale, sceneggiato dall’autore stesso, per parte del secondo e del terzo. Con il completamento della trilogia, dunque, Puzo poté vedere compiersi il suo appassionato racconto della famiglia Corleone. Nel 1984, infine, Puzo pubblicò anche quello che è giudicato uno “spin-off” de Il padrino, ovvero Il siciliano, dedicato al bandito Salvatore Giuliano.

Al Pacino e Diane Keaton in Il padrino
Al Pacino e Diane Keaton in Il padrino © 1972 Paramount Pictures

Il cast del film, da Marlon Brando ad Al Pacino

La composizione del cast di Il padrino fu uno degli aspetti più complessi del film. Molti attori non considerati desideravano infatti avere una parte, mentre alcuni di quelli indicati da regista e produttori non volevano assolutamente saperne nulla. Per il ruolo di Don Vito Corleone, ad esempio, è noto che Orson Welles fece grande pressione pur di ottenere la parte. Francis Ford Coppola, grande fan di Welles, ha però dovuto rifiutare l’offerta perché aveva già in mente Marlon Brando per il ruolo e sentiva che Welles non sarebbe stato adatto. Brando, però, notoriamente problematico, era visto con grande preoccupazione dai produttori, che richiesero che l’attore firmasse un contratto ricco di clausole da rispettare.

L’interpretazione di Brando è ancora oggi considerata una delle migliori nella storia del cinema. Egli si dedicò personalmente anche alla caratterizzazione del personaggio, richiedendo di poter indossare uno speciale apparecchio dentale che gli gonfiasse le guance, donandogli l’aspetto di un bulldog. Per il personaggio di Michael Corleone, invece, Coppola scelse l’allora quasi sconosciuto Al Pacino, in quanto egli possedeva l’aspetto di un vero siciliano, possedendo inoltre tali origini grazie ai nonni. Pacino, tuttavia, inizialmente non era interessato alla parte e durante le riprese arrivò a considerare Il padrino come il peggior film mai realizzato. In seguito, si ricredette.

Vi sono poi James Caan nei panni di Sonny Corleone e Robert Duvall in quelli dell’avvocato Tom Hagen, mentre Diane Keaton è Kay Adams, fidanzata di Michael. L’attrice ha rivelato di aver basato gran parte della sua interpretazione di Kay Adams sulla moglie di Francis Ford Coppola, Eleanor Coppola. Recitano poi nel film John Cazale nel ruolo di Fredo, Richard S. Castellano in quelli di Clemenza, Lenny Montana nel ruolo di Luca Brasi, Talia Shire in quelli di Connie, figlia di don Vito, Al Lettieri nel ruolo di Sollozzo, Gianni Russo nel ruolo di Carlo, John Marley nel ruolo di Jack Woltz e Richard Conte nel ruolo di Barzini.

Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

È possibile fruire di Il padrino grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes, Now, Prime Video, Tim Vision, Paramount+ e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 13 gennaio alle ore 21:00 sul canale Iris.

Il Padrino: dal 28 febbraio al 2 marzo evento al cinema per i 50 anni del capolavoro di Coppola

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“Sono molto orgoglioso de Il Padrino, che ha certamente definito la prima parte della mia vita creativa”, ha detto Francis Ford Coppola. “In questo tributo per il 50° anniversario, è gratificante celebrare questa pietra miliare con la Paramount insieme ai meravigliosi fan che lo hanno amato per decenni, alle giovani generazioni che lo trovano ancora attuale e a coloro che lo scopriranno per la prima volta.”

Il trailer de Il Padrino in versione restaurata

Il magistrale adattamento cinematografico di Coppola del romanzo di Mario Puzo racconta l’ascesa e la caduta della famiglia Corleone e la trilogia cinematografica è giustamente considerata come una delle più grandi della storia del cinema.  In preparazione del 50° anniversario dell’uscita originale del primo film, il 24 marzo 1972, la Paramount e la casa di produzione di Coppola, la American Zoetrope, hanno intrapreso un restauro scrupoloso di tutti e tre i film nel corso di tre anni.

Ogni sforzo è stato fatto per creare la migliore presentazione possibile per il pubblico di oggi, che può guardare i film usando una tecnologia che è progredita enormemente dal 2007, quando l’ultimo restauro è stato completato dall’eminente storico del cinema e conservatore Robert Harris.  Usando quel lavoro come modello, il team ha speso migliaia di ore per assicurarsi che ogni fotogramma fosse valutato per creare la presentazione più incontaminata rimanendo fedele all’aspetto originale dei film.

“Ci siamo sentiti privilegiati nel restaurare questi film e un po’ in soggezione ogni giorno che ci abbiamo lavorato”, ha detto Andrea Kalas, Vicepresidente Senior della Paramount Archives.

DETTAGLI DEL RESTAURO
– Oltre 300 cartoni di pellicola sono stati esaminati per trovare la migliore risoluzione possibile per ogni fotogramma di tutti e tre i film.
– Più di 4.000 ore sono state spese per riparare macchie di pellicola, strappi e altre anomalie nei negativi.
– Oltre 1.000 ore sono state spese per una rigorosa correzione del colore per assicurare che gli strumenti ad alta gamma dinamica fossero rispettosi della visione originale di Coppola e del direttore della fotografia Gordon Willis.
– Oltre all’audio 5.1 approvato da Walter Murch nel 2007, le tracce mono originali de Il padrino e Il padrino: Parte II sono state restaurate.
– Tutto il lavoro è stato supervisionato da Coppola.

Il Padrino: 10 cose che non sai sulla trilogia più famosa del cinema

Il Padrino è una delle trilogie più amate della storia del cinema, firmata da Francis Ford Coppola e incentrata sulle attività della Famiglia Corleone, una delle famiglie mafiose più potenti di New York. basati sul romanzo Il Padrino di Mario Puzo, la trilogia si svolge in un arco di 96 anni. Con questi tre film, Coppola ha segnato una e più generazioni, consacrando gli attori che ne hanno fatto parte

Ecco dieci cose che, forse, non sapevate sulla trilogia de Il Padrino.

Il Padrino – Parte 1

1. Il Padrino è arrivato in Italia il 21 settembre 1972. In questo film, Marlon Brando voleva far sì che il suo Don Vito Corleone assomigliasse a un bulldog, quindi ha deciso di inserire del cotone nella zona delle guance durante il provino. Durante il film, ha invece indossato un tipo di apparecchio speciale creato appositamente da un dentista. Un gesto inaspettato quello Brando, come il bacio che Vito da a Johnny Fontana e come lo è stato quello di tenere in braccio il gattino che, inizialmente, non era previsto nel copione.

2. Ne Il Padrino Orson Welles avrebbe voluto interpretare Don Vito Corleone. Welles cercò di fare pressione per avere la parte di Don Vito Corleone, offrendosi anche di perdere un certo quantitativo di peso per ottenere la parte. Francis Ford Coppola, grande fan di Welles, ha dovuto rifiutare l’offerta perché aveva già in mente Marlon Brando per il ruolo e sentiva che Welles non sarebbe stato adatto.

3. Il Padrino ha reso famosa Savoca. Grazie a Il Padrino, nei primi anni ’70 la Sicilia vide un grande aumento del turismo, soprattutto nella città di Savoca, appena fuori Taormina, che fu usata per girare le scene in cui Michael è in esilio in Italia.

Il Padrino – Parte 2

4. Il Padrino – Parte 2 è uscito il 25 settembre 1975. Per poter interpretare Vito Corleone, Robert De Niro ci ha messo ben 4 mesi per poter imparare a parlare in perfetto dialetto siciliano. Quasi tutti i dialoghi del suo personaggio nel film sono parlati in siciliano. Inoltre, De Niro e Brando sono gli unici due attori ad aver vinto, in maniera separata, degli Oscar per aver interpretato uno stesso ruolo. Brando vinse l’Oscar al Miglior Attore per Il Padrino, mentre De Niro ha vinto l’Oscar come Miglior Attore non Protagonista per Il Padrino – Parte 2, sempre per il ruolo di Don Vito Corleone.

5. Coppola avrebbe voluto abbandonare Il Padrino – Parte 2. Francis Ford Coppola aveva avuto un’orribile esperienza come regista per il primo capitolo de Il Padrino e chiese di poter scegliere un regista differente per il seguito, mentre avrebbe prodotto il film. Scelse Martin Scorsese, ma i suoi dirigenti rifiutarono la proposta. Così, Coppola accettò di dirigere il film, ma con determinate condizioni.

6. Coppola cercò di riportare Brando in Il Padrino – Parte 2. Francis Ford Coppola considerò di riprendere Marlon Brando per il ruolo di Vito Corleone da giovane, convinto che lui avrebbe potuto interpretarlo a qualsiasi età. Ma come si mise a lavorare alla sceneggiatura, si ricordò della fenomenale audizione di Robert De Niro per Il Padrino del 1972 e decise di scritturare lui senza offrire la parte a Brando. Tuttavia, Brando fu considerato per essere introdotto nel film mediante un suo cameo in un flashback alla fine del film ma, siccome a Brando non era piaciuto il modo in cui la Paramount Pictures lo aveva trattato durante Il Padrino, decise di non girare il giorno in cui la scena era prevista. Coppola, allora, riscrisse la scena senza Vito ed essa fu filmata il giorno successivo.

Il Padrino – Parte 3

7. Sofia Coppola ha partecipato a Il Padrino. Sofia Coppola (figlia di Francis Ford Coppola), ha interpretato la figlia di Michael Corleone in Il Padrino – Parte 3, nonostante abbia vestito i panni della nipote ne Il Padrino del ’72 e di una bambina senza nome su una nave de Il Padrino – Parte 2. Originariamente fu considerata per il ruolo Winona Ryder, ma non vi poteva prendere parte visto il suo impegno in Edward mani di forbice di Tim Burton.

8. Coppola non è stato contento del risultato. Francis Ford Coppola ha ammesso che non è molto contento del risultato finale del film, in quando non ha avuto molto tempo per lavorare al copione. Coppola avrebbe voluto sei milioni di dollari per la sceneggiatura, produzione e regia, con sei mesi di tempo per lavorare alla sceneggiatura. Lo studio, invece, gli diede l’opportunità di ricevere un milione e di avere sei settimane per lavorare alla sceneggiatura, per poter uscire nel periodo natalizio del 1990. Coppola si è pentito di non aver potuto inserire il personaggio di Tom Hagen nella sceneggiatura perché lo studio rifiutò di venire incontro alle richieste monetarie di Robert Duvall. Senza il personaggio di Hagen, si è buttato via un personaggio essenziale e un’altrettanta essenziale controparte per Michael Corleone.

9. Frank Sinatra avrebbe potuto far parte di Il Padrino – Parte 3. Data la popolarità dei primi due capitoli de Il Padrino, Frank Sinatra ritirò le sue antipatie verso i primi due film, ed ebbe modo di esprimere il proprio interesse per il personaggio di Don Altobello. Perse poi interesse quando ritenne che non sarebbe stato, secondo lui, adeguatamente pagato per ruolo; ruolo che poi andò a Eli Wallach. Paradossalmente, per il film Da qui all’eternità, Wallach si ritirò dal progetto per la paga troppo bassa e il suo ruolo andò proprio a Sinatra.

Il Padrino: streaming

10. La trilogia de Il Padrino è disponibile in streaming. Per chi desidera rivedere una delle trilogie più famose della storia del cinema, può appellarsi allo streaming, trovando tutti e tre i film su Infnity.

Fonte: IMDb

Il Padrino Trilogy: Omertà edition [unboxing]

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Il Padrino Trilogy: Omertà edition [unboxing]

Debutta in occasione per il 45° Anniversario l’edizione speciale Il Padrino Trilogy: Omertà edition, la saga culto diretta da Francis Ford Coppola e con protagonisti Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Robert Duvall, John Cazale, Richard S. Castellano, Gianni Russo, Talia Shire e Diane Keaton.

Il film come molti di voi già sapranno si basa su una sceneggiatura  scritta dallo stesso Coppola insieme a Mario Puzo, è liberamente ispirata al romanzo omonimo scritto dallo stesso Puzo.

Il primo film Il Padrino fu acclamato dal pubblico in tutto il mondo e ottenne un forte impatto culturale. Alla sua uscita negli Stati Uniti il film incassò 135 milioni di dollari, frantumando il record del kolossal Via col vento. La pellicola fece riemergere la Paramount Pictures da una difficile situazione economica, oltre a ridare linfa alla carriera di Marlon Brando.

The Godfather TrilogyLa Omertà Edition de Il Padrino Trilogy è un’autentica chicca per collezionisti e degna edizione per festeggiare il quarantacinquesimo compleanno dall’uscita del primo film. Infatti, l’edizione non contiene solo i consueti contenuti speciali e ben quattro dischi ma soprattutto un elegante packaging che richiama le fattezze di un libro antico.

Inoltre le sorprese non finiscono qui, perché la bellezza di questa edizione sta nel scoprire lentamente tutti i contenuti presenti. A partire da Anatomia di una scena, ovvero alcune delle scene più memorabili dallo schermo agli estratti di sceneggiatura abbinati alle istantanee del film.

Il padrinoMa le sorprese non finiscono qui, perché ci sono anche le carte con tanto di citazioni, così possiamo ripercorrere le celebri battute dei personaggi più celebri della saga, che decorano il retro delle eleganti carte del film.

Inoltre sono presenti nell’edizione anche le schede quiz per divertirsi tra cinefili e mettersi alla prova con altri fan della saga per scoprire quanto sappiamo su Il Padrino, così da riuscire a distingue i Don dai Capiregime.

Ciliegina sulla torta è invece la poesia magnetica con il quale creare ex novo frasi illuminate partendo dalle parole dei dialoghi che amiamo e conosciamo.

Il padrino

La trilogia de Il Padrino: edizione Omertà, il film senza tempo di Francis Ford Coppola è una collezione che raccoglie il meritato consenso del pubblico ed oltre alla versione restaurata del Il Padrino, Il Padrino parte II e all’edizione rimasterizzata del Il Padrino Parte III, contiene anche scene esclusive e inedite da collezione.

Tra i contenuti speciali, meritano una menzione Il Mondo de Il Padrino, Il capolavoro che quasi no esisteva, Emulsione Rescue e Quattro cortometraggi su Il Padrimo.

Il Padrino Edizione Omertà

Il Padrino Edizione Omertà

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