Ormai sappiamo che è diventata una
moda quella di riproporre i grandi classici del cinema del passato
nelle sale attuali. Qualche volta tocca ai grandi lungometraggi
animati Disney, altre volte a capolavori come
C’era una volta in America o
Apocalypse Now e altre volta ancora le
proiezioni sono accompagnate da scie di polemiche, come nel caso di
Fear and Desire di Kubrick, il suo primo
film, che il regista, ancora giovanissimo, non avrebbe mai voluto
che uscisse.
Stavolta è il turno di
Alfred Hitchcock e in particolare del suo
film Dial M for Murder , meglio
conosciuto come Il Delitto Perfetto nel
nostro paese. Datato 1954, la vera chicca è che il
film verrà distribuito in 3D, così come
inizialmente era stato concepito dal maestro del brivido negli anni
’50, che infatti lo distribuì per un breve periodo in formato
stereoscopico.
Tutto questo porta la firma, come
spesso accade, della Cineteca di Bologna che
promette che in pentola bollono altri titoli pronti per la magica
ricomparsa al cinema, come La grande
Illusione, Hiroshima Mon
Amour, Roma Città Aperta e
molti altri.
Il Delitto
Perfetto torna nelle sale dal 23
Settembre. Restate su queste pagine per conoscere dove
sarà possibile (ri)goderselo.
Con Hit Man,
presentato
fuori concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia 2023, Richard
Linklater firma un’altra commedia brillante pronta a
consolidarsi come un vero e proprio cult. Rinnovando la
collaborazione con l’esilarante Glen Powell – dopo la partecipazione
a Tutti
vogliono qualcosa – il regista della Before
Trilogy propone una miscela frizzante di action comedy, meet
cute e screwball, tutta costruita attorno al mito dell’hit
man, elaborando al contempo una riflessione sulle maschere
dietro cui ci nascondiamo e la tendenza dell’animo umano a
migliorarsi sempre.
Hit Man: sicario per finta
Gary Johnson è il
killer professionista più richiesto di New Orleans. Per i suoi
clienti è come se fosse uscito da un film: il misterioso sicario
da ingaggiare. Ma se lo si assolda per fare fuori un marito
infedele o un boss violento, è bene stare in guardia, perché lui
lavora per la polizia. Quando infrange il protocollo per aiutare
una donna disperata che cerca di scappare da un fidanzato violento,
si ritrova ad assumere una delle sue false identità: si
innamorerà della donna e accarezzerà l’idea di diventare lui
stesso un criminale.
Tutti vogliono sbarazzarsi di
qualcosa: di questo, Gary Richards ne è pienamente
consapevole. La filosofia e lo studio dei comportamenti umani sono
il suo pane quotidiano, anche se è più bravo a impartirne i
concetti che a metterli in atto. Tuttavia, la continua esposizione
alle storie altrui, forse farà scattare anche in Gary il desiderio
di agire e, ancor prima di cambiare, capire che persona è.
L’urgenza conoscitiva del falso sicario verrà intercettata da un
personaggio femminile fortissimo, Madison, interpretata dalla
splendida Adria Arjona, che alzerà sempre più la posta in gioco per
il protagonista, eccitandolo sessualmente e intellettualmente,
mentendogli, innamorandosi dell’alter ego più cool di
Gary.
Meet Cute o Meet Dead
Hit Man costruisce
tutta la sua narrazione su due caposaldi tematici: invenzione e
parodia per elaborare, come spesso in Linklater,
una riflessione sul comportamento umano, trasferendo questa
ricerca di significato ad ogni reparto, senza mai farla
risultare stucchevole. La mitologia dell’hit man – figura
sostanzialmente inventata dal cinema – spinge Gary a voler
incarnare questa fantasia, non a distruggerne il significato.
Per Gary, fingere di essere un
sicario, significa fare ricerca sul campo per quello che definisce
“il lavoro che non mollerò mai“, le sue lezioni di
filosofia all’università. I suoi alter ego, molto più interessanti
rispetto a lui, diventano maschere da mettersi e togliersi a
piacimento, senza mai essere giudicati perchè ci si presenta come
in una posizione di potere, diventando depositario dei segreti più
folli e privati di persone che ha incontrato da appena cinque
minuti.
Con tempi comici perfetti,
Hit Man è l’ennesima conferma del talento di uno
dei registi contemporanei più apprezzati e riconosciuti. Il massimo
controllo di Linklater sull’immagine e sulla narrazione permette a
questa inedita comedia di svilupparsi senza mai scivolare,
piuttosto soprendendoci di continuo. Se il potenziale di
Glen Powell non era stato percepito ancora
chiaramente da qualcuno, Hit Man lo consacrerà
come grandissimo talento del cinema statunitense.
Netflix ha sborsato 20
milioni di dollari per i diritti globali di Hit
Man, la commedia true-crime del regista
Richard Linklater e della star Glen
Powell. Il film,
proiettato davanti a un pubblico entusiasta ai festival
cinematografici di Venezia e Toronto, segue Powell nei panni di
Gary Johnson, un insegnante part-time che lavora come misterioso
con il dipartimento della Polizia per scovare chi tenta di
assoldare serial killer. Tuttavia Powell infrange il
protocollo per aiutare una donna disperata che cerca di fuggire da
un marito violento, si ritrova a far finta di essere uno dei suoi
falsi personaggi, mentre si innamora della donna.
“Hit Man” riunisce Linklater e
Powell, che hanno lavorato insieme in “Everybody Wants
Some!!” e il film d’animazione fantascientifico di
Netflix “Apollo 10
1/2”. Oltre alla regia, Linklater ha adattato la
sceneggiatura con Glen Powell basata su un
articolo del Texas Monthly di Skip Hollandsworth.
Hit
Man è stato ben accolto dalla critica, con la nostra
Agnese Albertini che
ha scritto che “Hit Man costruisce tutta la
sua narrazione su due caposaldi tematici: invenzione e parodia per
elaborare, come spesso in Linklater, una
riflessione sul comportamento umano, trasferendo questa
ricerca di significato ad ogni reparto, senza mai farla
risultare stucchevole”.
Il cast comprende anche Adria
Arjona (“Morbius”, “6 Underground”), Austin Amelio (“Tutti
vogliono qualcuno”, “The Walking Dead” di AMC), Retta (“Parks and
Recreation”) e Molly Bernard (“Sully”, “Lo stagista”). I produttori
erano Mike Blizzard, Linklater, Powell, Jason Bateman e Michael
Costigan. I produttori esecutivi includono Stuart Ford, Zach
Garrett e Miguel A. Palos, Jr. di AGC, John Sloss di Cinetic Media,
Shivani Rawat e Julie Goldstein di ShivHans Pictures, Vicky Patel,
Steve Barnett e Alan Powell di Monarch Media e Scott Brown e Megan
di Texas Monthly. Creydt.
L’ultimo film di Richard
Linklater, Hit
Man (qui
la recensione), è uno dei titoli più attesi del calendario
cinematografico 2024. Ora al cinema, il film è destinato a
diventare una pietra miliare per una delle megastar emergenti di
Hollywood,
Glen Powell, che non è solo la star di Hit
Man, ma anche il co-sceneggiatore di Linklater. Powell
e Linklater hanno già collaborato all’adattamento di Fast Food
Nation, alla commedia Tutti vogliono qualcosa!!! e allo sguardo animato e
nostalgico sulla corsa allo spazio Apollo 10 1⁄2: A Space Age Childhood.
Senza nemmeno considerare il
talento che si concentra in questo progetto, il concetto di un
poliziotto sotto copertura che si finge un killer a pagamento per
arrestare chi lo vuole assumere è una premessa di per sé già
particolarmente allettante, che trova nelle capacità di Linklater
di bilanciare dramma e commedia il suo punto di forza. Tuttavia,
Hit
Man è tutt’altro che una semplice storia stravagante,
poiché si basa sulla storia vera di un finto assassino.
La trama di Hit Man
Il film Hit
Man, che ha ricevuto
recensioni entusiastiche dalla sua anteprima alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematograficadi
Venezia nel 2023, segue Gary Johnson (Glen
Powell), un professore di college diventato
specialista di tecnologia che conduce una seconda vita come agente
di polizia sotto copertura. Egli si finge infatti un killer su
commissione per arrestare coloro che cercano di assumerlo. Questo
finché non incontra una donna, Maddy Masters (Adria
Arjona), maltrattata dal marito. Johnson, che si sente
attratto da Maddy, si impegnerà dunque a liberarla da questa
relazione tossica.
Adria Arjona e Glen Powell in una scena di Hit Man. Foto di
Courtesy of Netflix
Richard Linklater e Glen Powell
adattano una storia vera
Hit
Man è tratto da una storia vera documentata dal
Texas Monthly nel 2001. L’articolo omonimo è stato scritto da
Skip Hollandsworth, il cui lavoro è servito come
base per un’altra commedia nera/docu-dramma di Linklater,
Bernie. Quel film, interpretato da Jack Black nel ruolo di un becchino condannato
per omicidio, adatta una storia assurda e la infonde con
l’umanesimo naturale di Linklater e con un commento acuto sulla
cultura texana.
Originario di Lone Star, Linklater
è per il Texas quello che Martin Scorsese e Spike Lee sono per New York.
Linklater ammira la sua educazione, ma i suoi film
esaminano attivamente i codici e le aspettative della società, che
sono stati portati avanti dalla sua gente. Hollandsworth,
giornalista ed editore texano, è perfettamente complementare al
regista, poiché entrambi si interessano alle stranezze della vita
quotidiana.
Adria Arjona e Glen Powell in una scena di Hit Man. Foto di
Courtesy of Netflix
Hit Man è basato sulla storia di
un killer a pagamento sotto copertura in Texas
Hit
Man racconta dunque la procedura di arresto di persone
che si rivolgono a killer a pagamento. Quando la polizia riceve una
soffiata su una persona che sta cercando di uccidere qualcuno,
invia Gary Johnson per incontrare questo “cliente”. Se riesce a
ottenere dal cliente la confessione di voler uccidere una persona
specifica, la polizia ha le basi per un arresto. L’ampia storia di
Hollandsworth è stata studiata e approfondita e attraverso
l’articolo il lettore comprende l’impenetrabile psicologia di Gary
Johnson, un vero e proprio “jack of all-trades“.
Può sembrare inverosimile che una
persona possa aver organizzato oltre 60 arresti di persone che
sollecitavano un assassino professionista senza che la sua
copertura fosse mai compromessa, ma Hollandsworth sottolinea il
carisma con cui Johnson si comportava durante ogni incontro con un
“cliente”. Johnson attendeva che le persone confermassero la loro
voglia di far colpire un determinato bersaglio, di solito un amante
infedele o un rivale invidioso. Una volta che il sospettato
ordinava il colpo, la polizia poteva procedere con l’arresto.
Johnson è dunque un uomo
imperscrutabile. La sua aura misteriosa lo rende il finto killer
ideale, un vero camaleonte umano in grado di adattarsi all’ambiente
circostante. Hollandsworth lo caratterizza come un individuo medio,
mite, che nessuno guarda in faccia, scrivendo che lo si potrebbe
scambiare per un semplice “impiegato di basso livello”
dell’ufficio del Procuratore Distrettuale. Vive uno stile di vita
preciso e rigoroso che lo porta a pranzare ogni giorno nello stesso
locale.
Glen Powell in Hit Man
Lo stile di vita sobrio e la
dicotomia tra gusto di alta classe e lavoro di bassa classe è
invocata dai più importanti killer professionisti fittizi, tra cui
il killer solitario di Le Samouraï di Jean-Pierre
Melville, il nichilista amante del jazz di Tom Cruise in Collateral e il cacciatore senza emozioni di Michael Fassbender in The Killer. Contrariamente a questi personaggi dotati
anche di quel carattere duro che ci si aspetta da un assassino,
Johnson ascolta musica classica e audiolibri in auto ed è in tutto
e per tutto ben distante dallo stereotipo del sicario.
Sotto la sua facciata di professore
universitario senza pretese, Johnson ha inoltre profonde
meditazioni sullo stato della vita moderna all’inizio del secolo.
Nell’economia consumistica iperattiva dell’America, Johnson non è
affatto sorpreso che le persone cerchino rimedi rapidi ai loro
problemi. “Oggi le persone possono pagare per far riparare i
loro televisori e raccogliere la loro spazzatura, quindi perché non
possono pagare me, un sicario, per riparare le loro vite?“.
Rifletteva il vero Johnson. Il finto killer ha osservato che lo
stato precario dell’economia ha spinto a prendere misure drastiche.
“Quando le cose cominciano ad andare male… tutti diventano un
po’ più pazzi e cominciano a pensare di far fuori qualcun
altro“, ha detto.
L’assurdità riproposta
dall’articolo del Texas Monthly è un sottoprodotto dell’angoscia
della classe media prevalente all’inizio del secolo, ampiamente
espressa nei film del 1999, tra cui Fight Club e
Office Space. Nel film, persone con problemi relativamente
innocui ricorrono all’estremo assumendo un killer a pagamento.
Secondo Johnson, però, la maggior parte dei suoi clienti non erano
ex detenuti. Erano cittadini onesti che non avevano mai ricevuto
una multa per eccesso di velocità. La facilità con cui individui
appartenenti a un mondo civilizzato si spingono a misure così
drastiche racconta dunque del degrado dell’America idealista.
Come dice Hollandsworth, gli
incontri di Johnson con i clienti che ordinavano i colpi erano
“studi da manuale sulla banalità del male“. Le motivazioni
che spingevano i clienti a richiedere i servizi del sicario sotto
copertura non erano certo moralmente giustificabili, dato che la
maggior parte dei casi riguardava sospetti di adulterio,
frustrazioni con i datori di lavoro o dispute per la custodia. La
cosa più sconcertante è che, anche quando Johnson iniziò ad
attirare l’attenzione dei media a partire dallo Houston Chronicle,
con storie che stampavano il suo nome e citazioni di Johnson, i
clienti non diminuirono. La richiesta di assassini continuò ad
essere alta.
Glen Powell e Adria Arjona in Hit Man
Gary Johnson di Hit Man nella vita
reale era una star carismatica
Il tratto distintivo di Gary
Johnson, l’abilità che gli ha permesso di eccellere in questo ruolo
è stata la persuasione. Nonostante il suo atteggiamento mite, il
carisma di Johnson non conosceva limiti: la sua personalità
contagiosa portava i clienti a chiedere effettivamente l’assassinio
del rispettivo bersaglio senza mai far sospettare che fosse in atto
un inganno. L’astuta persuasione di Johnson flirtava a volte con la
palese manipolazione.
Un avvocato o un giudice avrebbero
potuto ragionevolmente criticare alcune delle sue astute tattiche
per ottenere una confessione. In definitiva, l’unica accusa che un
pubblico ministero potrebbe rivolgere a Johnson è quella di essere
l’attore più convincente del mondo. Nel mondo delle indagini sotto
copertura, Johnson è Laurence Olivier, come dice Hollandsworth. Un
supervisore di Johnson ha dichiarato: “Gary è davvero un grande
interprete che può trasformarsi in qualsiasi cosa abbia bisogno di
essere in qualsiasi situazione si trovi“. Si adatta alle
circostanze del cliente modificando il suo guardaroba o la sua
personalità.
L’attesa per Hit
Man va dunque oltre i principali talenti coinvolti nel
film. Non solo il film è basato su una surreale storia vera, ma la
vita di Gary Johnson è l’analogo perfetto del cinema. Ha vissuto
grazie all’inganno, che è il cuore del processo cinematografico.
L’articolo di Skip Hollandsworth sul Texas Monthly parla di un uomo
che usa il fascino per raggiungere i suoi obiettivi. Tra le star
del cinema in attività, quante sono più affascinanti di Glen Powell? L’attore è pronto a fare il salto
verso la superstar e questo film di Richard Linklater lo eleva
sicuramente ad un gradino più alto.
Esilarante, sexy, intelligente,
romantico, con una regia e una sceneggiatura che la critica ha
definito da applausi, Hit
Man ha sorpreso e conquistato l’ultima Mostra del
Cinema di Venezia e arriverà in Italia, in sala, dal 30 maggio con
BiM Distribuzione.
Diretta dal candidato
al Premio Oscar® e vincitore del Golden Globe
Richard Linklater con protagonista Glen
Powell (reduce dal successo al box office di Tutti
tranne te) e, al suo fianco, Adria Arjona
(True Detective, Pacific Rim: La rivolta), Hit
Man è una commedia esplosiva che segna il ritorno
sul grande schermo del regista cult della
trilogia Prima dell’alba, Before
Sunset – Prima del tramonto e Before
Midnight;School of Rock e
Boyhood.
Scritto a quattro mani da Linklater
e Powell, qui anche co-produttori, il film è ispirato
all’incredibile storia vera di Gary Johnson.
Hit Man, la trama del film
Gary Johnson (Glen
Powell) è un professore di psicologia un po’ impacciato,
che vive con i suoi gatti e collabora sotto copertura per il
dipartimento di polizia di New Orleans. Quando gli viene chiesto di
fingersi un killer per sventare possibili omicidi e incastrare i
mandanti, si rivela incredibilmente abile, grazie anche ai
camaleontici travestimenti di cui è capace. La sua doppia e solida
identità viene messa in crisi dall’affascinante Madison
(Adria Arjona), che gli commissiona l’uccisione
del marito. Tra i due nasce una relazione che ribalterà ruoli e
certezze in un travolgente e intenso mix di situazioni comiche,
bollenti e pericolose…
Dopo la grande accoglienza al
Festival di Venezia, dal regista cult Richard Linklater (Prima
dell’alba, School of Rock, Boyhood), uno film dei più attesi
del 2024, tratto da un’assurda storia vera, con protagonista la
star Glen Powell (Tutti tranne te, Top Gun: Maverick) –
qui anche sceneggiatore e co-produttore insieme a Linklater – e
Adria Arjona (True Detective, Pacific Rim: La
rivolta).
Il co-sceneggiatore e protagonista
di Hit
Man (qui
la recensione), Glen Powell, ha rivelato a ComicBook che, durante la
produzione del film di Richard Linklater, alcune
eccentricità e personalità alternative dei suoi personaggi sono
state aggiunte sul momento. Questo è stato possibile, ovviamente,
perché Linklater era il suo co-sceneggiatore, quindi entrambi gli
autori erano presenti per tutto il tempo in cui venivano apportate
le modifiche. Powell ha poi rivelato ulteriori retroscena, dalla
genesi dei personaggi a quale di questi era il preferito della sua
co-protagonista Adria Arjona.
Nel film Hit
Man, infatti, c’è una sequenza durante la quale si
mettono in mostra una serie di “hit man” in rapida
successione, tutti interpretati da Powell, che ha così dato prova
di grande versatilità. “Erano tutti così divertenti”, ha detto
l’attore. “La cosa assurda è che, a causa della fretta in
pre-produzione non ho mai avuto la possibilità di mostrare a
Richard nessuno di quei personaggi fino a quando non sono arrivato
sul set… Ricordo la conversazione perché stavamo
riscrivendo, stavamo provando con il cast”.
Glen Powell e Adria Arjona in Hit Man
“Adria Arjona ha aggiunto molto
a questa sceneggiatura, e abbiamo coinvolto tutti gli attori, e
tutti contribuiscono, quindi poi Richard e io riscrivevamo di
notte. Siamo arrivati alla sera prima e lui mi ha detto: “Ho
fiducia che tu abbia capito”. E io: “Sì, ce l’ho, troveremo una
soluzione”. Così ho lavorato su alcune cose, sono uscito dal mio
camerino e mi sono esibito per la troupe quel giorno, ed è stato
molto, molto divertente“. “So che il preferito di Adria è
Tanner”, ha aggiunto Powel. “È il ragazzo bifolco che
prende la legge nelle sue mani. C’è qualcosa di lui che la
divertiva molto“.
La trama di Hit Man
In Hit
Man, Gary Johnson (Glen
Powell) è un professore di psicologia un po’ impacciato, che
vive con i suoi gatti e collabora sotto copertura per il
dipartimento di polizia di New Orleans. Quando gli viene chiesto di
fingersi un killer per sventare possibili omicidi e incastrare i
mandanti, si rivela incredibilmente abile, grazie anche ai
camaleontici travestimenti di cui è capace. La sua doppia e solida
identità viene messa in crisi dall’affascinante Madison, che gli
commissiona l’uccisione del marito. Tra i due nasce una relazione
che ribalterà ruoli e certezze in un travolgente e intenso mix di
situazioni comiche, bollenti e pericolose.
«Partendo dai concetti di
“identità” e “ruolo”
Richard Linklater ne scardina l’essenza ricorrendo a una
commedia sfrenata che guarda dalle parti della screwball
dell’età dell’oro e si divincola dall’appartenenza a un unico
genere e alla sua prassi. Arrivando a una sintesi semplice
ed efficace: il desiderio è ciò che libera davvero l’essere
umano dalle pastoie della società», questa la motivazione
con cui il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici –
SNCCI ha designato Hit Man come Film della
Critica (qui
il trailer).
Dopo l’entusiasta accoglienza alla
Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato
presentato Fuori Concorso, il nuovo lungometraggio del
regista cult candidato al Premio Oscar® e
vincitore del Golden Globe Richard
Linklater (Prima dell’alba, Before
Sunset – Prima del tramonto e Before
Midnight;School of Rock e Boyhood), è uno
dei film più attesi dell’anno e arriverà solo al
cinema in Italia dal 27 giugno.
Scritto a quattro mani da Linklater
e Glen Powell, qui anche co-produttori, il film è
ispirato all’incredibile storia vera di Gary Johnson interpretato
proprio da Powell.
Nel film, Gary Johnson
(Glen
Powell) è un professore di psicologia un po’ impacciato, che
vive con i suoi gatti e collabora sotto copertura per il
dipartimento di polizia di New Orleans. Quando gli viene chiesto di
fingersi un killer per sventare possibili omicidi e incastrare i
mandanti, si rivela incredibilmente abile, grazie anche ai
camaleontici travestimenti di cui è capace. La sua doppia e solida
identità viene messa in crisi dall’affascinante Madison, che gli
commissiona l’uccisione del marito. Tra i due nasce una relazione
che ribalterà ruoli e certezze in un travolgente e intenso mix di
situazioni comiche, bollenti e pericolose…
Il ruolo di Madison è stato affidato
all’attrice Adria Arjona, nota per le sue
interpretazioni in True Detective e Pacific Rim:
La rivolta.
Qualche settimana fa era
stato riportato che Matthew Vaughn stava
lavorando per portare sul grande schermo un terzo capitolo
di Kick-Ass e uno spin-off dedicato al
personaggio di Hit Girl, ma le recenti
dichiarazioni della sua interprete originale sembrano scongiurare
ogni possibilità di rivederla di nuovo in azione.
Ecco cosa ha
detto Chloe Grace Moretz a Indiewire
durante il Provincetown Film Festival:
“Amo il
franchise e penso che il primo film sia stato davvero speciale.
Certo avrei voluto che il sequel fosse stato gestito in maniera
diversa e per quanto ami il personaggio di Hit-Girl, voglio pensare
che lei sia viva nell’universo di Kick-Ass, e in qualche modo
voglio tenerla lì. Inoltre non penso che ci sarà un terzo capitolo,
almeno non con Hit-Girl.“
Nel frattempo ScreenRant ha selezionato sei
candidate ideali che potrebbero sostituire l’attrice nei panni di
Hit Girl:
Isabella Sermon
La giovanissima attrice
britannica Isabella Sermon ha debuttato sul grande
schermo interpretando Maisie Lockwood in Jurassic World: Il
Regno Distrutto al fianco dei “veterani” Chris
Pratt e Bryce Dallas Howard. Da alcuni è
stata addirittura indicata come la vera protagonista del film e
motore dell’azione.
Di fatto nel film la piccola Sermon
sfoggia con grande facilità alcune caratteristiche fisiche che sono
il marchio di fabbrica di Hit Girl, e ha la stessa età della Moretz
quando venne scelta per il ruolo nel primo
Kick-Ass.
Bella Ramsey
Parlando
ancora di candidate britanniche, i fan di Game of
Thrones sarebbero felici di vedere la determinata
Bella Ramsey nei panni della nuova
Hit-Girl: l’attrice ha quattordici anni, un’età
ragionevole per il ruolo, ed è subito diventata uno dei personaggi
più amati della serie dopo aver debuttato come Lyanna
Mormont nella sesta stagione.
Mackenzie Foy
Dopo una serie di
apparizioni televisive, Mackenzie Foy ha raggiunto
l’apice della notorietà interpretando la figlia di Bella e Edward
Cullen in Twilight: Breaking Dawn Parte I e
II.
Subito dopo ha recitato al fianco
di Matthew McConaughey in
Interstellar di Christopher Nolan, e quest’anno la
vedremo nei panni di Clara nel nuovo live action de Lo
schiaccianoci targato Disney.
Certo, la Foy ha diciassette anni
ma la sua esperienza con i blockbuster potrebbe garantirle di
essere una Hit-Girl quasi perfetta, e sicuramente brillante.
McKenna Grace
A tredici
anni, McKenna Grace è una delle giovani attrici
più talentuose della sua generazione, e sembra aver in comune con
Chloe Grace Moretz qualcos’altro oltre al nome:
una carriera di successo.
Ha stregato il
cuore degli spettatori interpretando la nipotina di Chris
Evans in Gifted (per cui è stata nominata
ai Critic’s Choice Awards), è stata la versione giovane di
Margot Robbie in I, Tonya e
presto si unirà al Marvel Cinematic Universe nei panni
della giovane Carol Danvers in Captain Marvel.
Insomma, la candidata ideale per sostituire la Moretz.
Storm Reid
Il riavvio
del personaggio di Hit-Girl in versione afro-americana è una
possibilità per il futuro, e di certo Storm Reid
sarebbe un’eccellente soluzione.
L’attrice
quattordicenne Reid ha all’attivo diversi ruoli cinematografici e
televisivi, tra cui quello in 12 Anni Schiavo,
vincitore dell’Oscar, e quello da protagonista in Nelle
pieghe del tempo di Ava
DuVernay.
Potremmo
definire Hit-Girl come una sorta di
maschiaccio, e in questi termini
Sadie Sink potrebbe sicuramente interpretarla al
meglio dopo aver dato prova delle sue capacità in Stranger
Things, seconda stagione, nei panni di “Mad” Max
Mayfield.
La sedicenne texana
ha già recitato nelle serie Chuck, Blue
Bloods, Unbreakable Kimmy Schmidt e
The Americans, e al cinema in The Glass
Castle.
Si era già parlato di uno
spin off di Kick Ass dedicato tutto alla
fortissima Mindy, ma adesso che la protagonista, Chloe
Grace Moretz, ha compiuto 18 anni, sembra un po’ troppo
cresciuta per il ruolo, soprattutto se si tratterà di un
sequel.
La faccenda non sembra impressionare
i produttori, nè tantomeno Matthew Vaughn, che
sembra invece intenzionato a portare avanti il progetto.
Secondo Vaughn, nell’interesse del
franchise, un prequel su Hit Girl gli
consentirebbe di riconquistare i fan persi per colpa di un non
proprio brillante Kick Ass 2. Dopo aver
recuperato il fandom, Matthew si dice sicuro di riuscire a
persuadere Aaron Taylor Johnson e Chloe
Moretz a tornare nei panni di Kick Ass e di Hit Girl per
il terzo atto.
Mentre il suo ultimo film, Kingsman: The
Secret Service, ha da poco debuttato al cinema, il regista
Matthew Vaughn torna a parlare del prequel di
Kick-Ass, basato sulla storia di
Hit Girl, il personaggio interpretato da
Chloe Moretz.
“Abbiamo finito di idearlo.
Quello che dobbiamo fare è realizzare il First Class del mondo di
Kick-Ass. Abbiamo perso alcuni fan a causa di Kick-Ass 2. Non è
stato amato quanto avremmo sperato. Quindi abbiamo questa idea di
un prequel dedicato a Hit Girl. E’ un film veramente forte,
veramente semplice che penso possa riguadagnare l’amore e la
passione degli spettatori. Se tutto ciò accadesse sono piuttosto
convinto di riuscire a persuadere Aaron Taylor-Johnson e Chloe
affinché tornino per concludere la storia con Kick-Ass 3”.
Anche se poi conferma che vorrebbe
solo essere il produttore dell’eventuale Kick Ass 3:
‘No, non vorrei dirigerlo. Ho
parlato con Gareth Evans un paio di anni fa. Mi piacerebbe avere un
regista così, davvero audace e intelligente. La maggior parte si
trovano in Estremo Oriente’.
History of
Footbal La più grande storia mai giocata, un evento
televisivo mondiale targato History: 24 ore al giorno e due
settimane di programmazione in oltre 160 Paesi. E un ambasciatore
speciale: il campione del mondo spagnolo David Villa
Da Pelè a
Maradona, da Gascoigne a Zidane, da Cristiano Ronaldo a
Messi, passando per i trionfi della nazionale brasiliana
alla vittoria dell’Italia di Bearzot in Spagna
fino al dominio tedesco agli ultimi mondiali. In occasione della
Coppa del Mondo 2018, A+E Networks
International annuncia History of Football,
evento televisivo internazionale: dal 28 maggio al 10 giugno, 24
ore al giorno per due settimane, la programmazione dei canali
History di tutto il mondo sarà interamente dedicata alla storia del
calcio e ai suoi eroi.
History of
Footbal verrà trasmessa in oltre 160 Paesi, dall’Italia al
Brasile, dalla Germania al Giappone, dalla Spagna all’Argentina.
Ambasciatore speciale del canale sarà uno dei calciatori più famosi
degli ultimi anni, il campione mondiale spagnolo David Villa.
Tra le produzioni
internazionali proposte nei 14 giorni:
La grande storia dei
mondiali: Cinque documentari di un’ora ciascuno che raccontano
alcuni dei più importanti mondiali di calcio e i giocatori che ne
sono stati protagonisti, proponendo interviste esclusive, immagine
inedite e tantissime curiosità: Pelè e i ragazzi del Barsile
(il trionfo del Brasile a Messico ’70); Pavarotti, Gazza e i
leoni del Camerun (le notti magiche di Italia ’90); I tre
moschettieri (Zidane, Beckham e Ronaldo a Francia ’98); Portatemi
la testa di Diego Armando Maradona (l’incredibile carriera del
“Pibe de Oro”, culminata con la vittoria ai mondiali in Messico del
1986, quelli della “Mano de Dios” contro l’Inghilterra) e I sette
gol che hanno scioccato il mondo (la clamorosa goleada della
Germania contro il Brasile quattro anni fa).
I boss del calcio: Cinque
documentari di un’ora ciascuno dedicati agli allenatori che hanno
avuto un impatto determinante sulle squadre che hanno guidato, come
Josè Mourinho e Carlo Ancelotti.
I grandi del calcio:
testa a testa: il calcio non è solo una sfida tra due quadre. È un
duello tra campioni. O, anche, una serie di confronti tra giocatori
di epoche diverse, che appassionano e fanno litigare gli sportivi
di tutto il mondo. Si tratta di cinque documentari di 30 minuti
ciascuno che illustrano le carriere di alcuni campionissimi e le
loro prodezze: Cristiano Ronaldo contro Messi e David Villa contro
Thomas Müller. E ancora: Platini e Zidane, Beckham e Bale, Van
Basten e Klinsmann.
Oltre a questa
programmazione, che comprenderà anche i film ufficiali dei mondiali
di calcio voluti dalla FIFA, ogni Paese proporrà poi una serie di
produzioni locali che punteranno i riflettori sulla propria storia
calcistica. Ricca l’offerta di History in Italia (in esclusiva su
Sky al canale 407): dal rapporto tra fascismo e calcio alla
sconfitta contro la Nord Corea ai mondiali del ’66 alla biografia
su Vittorio Pozzo, uno degli allenatori più vincenti di sempre del
nostro calcio: due Coppe del Mondo e un’Olimpiade. Se History in
Gran Bretagna si occuperà dei principali allenatori inglesi,
l’Argentina racconterà la vita di Lionel Messi, dall’infanzia ai
successi con il Barcellona.
Infine, History of
Footbal presenterà pillole televisive dedicate alle persone che
ruotano intorno allo sport più amato al mondo: dai manager dei
calciatori agli arbitri ai tifosi. E metterà in piedi una serie di
iniziative che coinvolgeranno i social network tra cui sondaggi,
interviste con esperti e giochi.
“Come giocatore di calcio
– commenta David Villa – sono stato fortunato di vedere in
prima persona quanto il calcio influisca sulla vita di milioni di
persone. History of Football, trasmesso da un canale prestigioso
come History, è una significativa iniziativa che va incontro
proprio a tutti gli appassionati. Sono onorato di lavorare per
questo evento televisivo, perché dà anche la possibilità ai miei
colleghi non solo di parlare di quanto sia importante questo sport
ma di rivivere incredibili momenti”
“Abbiamo concepito
History of Football – spiega Patrick Vien, Executive Managing
Director di A+E Networks International – come un grande evento
televisivo dedicato ad uno dei pochi avvenimenti veramente globali
dei tempi moderni, i mondiali di calcio. History ha realizzato un
mix unico di contenuto internazionale e locale, per soddisfare ogni
richiesta e curiosità sportiva dei milioni di appassionati di
calcio”.
Il dolore è paralizzante, ossessivo,
crudele e profondo. Spesso, ci fa sentire terribilmente soli, anche
quando siamo circondati da chi amiamo. Tuttavia, se condiviso, il
dolore può diventare una possibilità di rinascita. Questo accade in
particolare quando quel dolore deriva da un abbandono, da
un’assenza o dall’imminenza di un lutto. Ed è proprio questo
dolore, così intenso e devastante, che il regista
e sceneggiatore statunitense Azazel Jacobs
(French Exit, The Lovers) ha voluto rappresentare
nel suo ultimo toccante, ironico e sincero dramma
familiare, His Three Daughters.
Presentato in anteprima al Toronto Film Festival nel 2023 e
disponibile dal 20 settembresu Netflix, il film racconta il drammatico e
frustrante incontro di tre sorelle – o meglio, tre figlie – che si
ritrovano nell’appartamento newyorkese del padre per dirgli
addio durante i suoi ultimi giorni di vita.
His Three Daughters è la storia di Katie, Christina e
Rachel
Katie (Carrie
Coon), Christina (Elizabeth
Olsen) e Rachel (Natasha Lyonne) sono
tre sorelle che sembrano non avere nulla in comune, se non il padre
che condividono e che sta per morire. Katie, la
primogenita, è una donna intransigente, autoritaria e fin troppo
pragmatica. Pur vivendo a Brooklyn, a pochi isolati dal padre, è
sempre troppo occupata per andarlo a trovare, dedicando le sue
giornate a gestire la propria famiglia e a fronteggiare le sfide di
una figlia adolescente ribelle e ostinata. Invece,
Christina, la più giovane, si distingue dalle sue
sorelle per il suo carattere maturo, pacifico, libero e allegro.
Proprio come Katie, è profondamente dedita alla sua famiglia,
indossando con orgoglio il ruolo di madre apprensiva e presente per
la sua bambina treenne, Mirabelle, che ama tanto quanto la rock
band Grateful Dead. E poi c’è Rachel, la
secondogenita, considerata la pecora nera della famiglia: inquieta
e avventata, con problemi di ludopatia (è convinta che il suo
lavoro sia scommettere sulle partite di football) e dipendenza da
droghe, è l’unica delle tre a non aver mai lasciato il nido
paterno. È, infatti, l’unica ad esser rimasta accanto al padre,
Vincent (interpretato da Jay O. Sanders),
durante la sua dura battaglia contro il cancro, vivendo nel loro
piccolo appartamento a New York City.
Quando Vincent è oramai a un passo
dalla morte, le tre sorelle si trovano costrette a partecipare a
una disastrosa riunione di famiglia che riaccende
vecchi ricordi, incomprensioni, rancori e profonde ferite.
Un attimo dopo i titoli di testa, lo
spettatore viene immediatamente proiettato nel vivo di una
discussione a tavolino tra le tre sorelle. La prima a
essere presentata è Katie che, con le braccia conserte e un tono
autoritario, incarna perfettamente il ruolo di chi si sente
investita della responsabilità di gestire la situazione. Da brava
sorella maggiore, Katie cerca di mantenere tutto sotto controllo,
tentando di preparare la famiglia all’inevitabile, con
l’atteggiamento di chi è abituata a risolvere i problemi e a
mettere ordine nelle vite degli altri, piuttosto che nella sua.
Dalla parte opposta del tavolo si trova la silenziosa e
impenetrabile Rachel, che agli occhi di Katie appare come
l’esempio perfetto di sconsideratezza e irresponsabilità. Al
centro, invece, quasi come un fragile punto d’equilibrio tra le
due, c’è Christina, che si distingue per la sua calma apparente e
il desiderio di vivere, almeno per questi ultimi giorni, in armonia
familiare. A differenza di Katie, che tenta di dominare la
situazione, e di Rachel, che si rifugia nella sua apparente
immaturità, Christina cerca di lasciarsi il passato alle spalle,
concentrandosi sul presente e sui sentimenti di affetto che ancora
la legano alla sua famiglia.
Jacobs presenta così queste
tre sorelle che sembrano distanti anni luce l’una
dall’altra. Tre donne tanto diverse che il regista
introduce fin dai primi minuti come figure opposte e individuali
attraverso una serie di inquadrature singole e brevi
monologhi, che isolano ogni personaggio e ne evidenziano i
tratti distintivi. È così che da subito, dunque, l’autore
traduce il titolo in immagini: non tanto tre
sorelle, quanto tre figlie, distanti sia caratterialmente che
emotivamente, accomunate non dall’affetto reciproco, ma dal
profondo dolore condiviso.
La storia si sviluppa nell’arco di
pochi giorni, scanditi da cambiamenti sottili, come il mutare degli
abiti delle protagoniste o l’andirivieni degli infermieri. Le
quattro mura che racchiudono la scena diventano la metafora
di una prigione emotiva, dove il tempo sembra dilatarsi
insieme alla sofferenza delle tre donne. In questa
atmosfera soffocante, in cui Katie, Rachel e
Christina appaiono bloccate in un limbo di attesa e
rassegnazione, l’assenza del padre si fa sempre più
tangibile e assordante. Infatti, fino a poco prima della fine del
film, Vincent non viene mai mostrato, al punto che
lo spettatore arriva quasi a dubitare della sua esistenza. Il
motivo di questa scelta si svela quando Christina si trova ad
aiutare le due sorelle maggiori a scrivere il necrologio.
“L’unico modo di comunicare cosa si prova davvero con
la morte – spiega Christina – è con
l’assenza. Tutto il resto è… fantasia.” È proprio ciò
che non viene detto, ciò che non viene mostrato, a rendere questo
dramma così universalmente comprensibile ed emozionante. Tutti
abbiamo vissuto la perdita di una persona amata, tutti ci siamo
sentiti incompresi e soli nella nostra stessa casa, e tutti abbiamo
sofferto in silenzio, incapaci di chiedere aiuto.
Con estrema semplicità, tenerezza e
ironia, Jacobs racconta quindi una storia
universale e senza tempo, in cui tutti possono facilmente
identificarsi, giocando abilmente con silenzi e dettagli
impercettibili ma essenziali per la costruzione di un
dramma forte e incisivo. Il pubblico è accompagnato in
un intenso viaggio emotivo che, non solo
attraverso i dialoghi ma soprattutto tramite ciò che non viene
detto, fa rivivere l’estrema solitudine e l’angoscia di tre
donne prossime a perdere l’unico legame che le ha tenute
unite.
Jacobs, con maestria e delicatezza,
crea uno spazio di riflessione intimo, in cui abbigliamento,
acconciature, gesti quotidiani – ciò che le sorelle fanno e ciò che
non riescono a fare – diventano lo specchio del loro stato
interiore. Ogni dettaglio visivo si trasforma dunque in un
linguaggio silenzioso che riflette la loro incapacità di
essere ciò che vorrebbero e ciò che non sono state. In questo modo,
il regista costruisce un microcosmo intimo e
claustrofobico, dove persino il dolore trova espressione solo nel
silenzio e nell’isolamento.
Per quanto rappresenti un grande
valore aggiunto all’immenso catalogo di Netflix, è
davvero un peccato che His Three Daughters non abbia
debuttato prima nelle sale italiane. Nonostante il ritmo
eccessivamente lento di alcune scene, che interrompe in maniera
poco fluida il climax di tensione, quest’ultima opera di Jacobs
vanta una regia e una fotografia a dir poco
poetiche. Carrie Coon, Natasha Lyonne ed Elizabeth Olsen
interpretano magistralmente, con un approccio quasi teatrale, i
ruoli di tre figlie disperate, dando voce a un racconto
corale che esplora le diverse sfaccettature dell’elaborazione del
lutto e dei traumi familiari. All’alchimia delle tre
attrici si aggiunge la performance di Jay O. Sanders, che in
una sola scena di 10 minuti porta sullo schermo
tutto l’amore non espresso di un padre e un uomo che ha cercato di
fare del suo meglio per le donne della sua vita.
Definito dalla critica americana
come uno dei migliori film dello scorso anno, His Three
Daughters si rivela essere un dramma dolceamaro che, mentre
sembra parlare di morte, finisce per celebrare la
straziante bellezza della vita, ricordando inoltre al
pubblico che “la famiglia è famiglia”… anche
quando è disfunzionale.
Il colosso dello streaming
Netflix
ha acquisito da New Regency i diritti in tutto il mondo di
His House, il nuovo atteso horror che è
stato presentato il 27 gennaio alla Midnight section del
Sundance Film Festival 2020.
His
House segna il debutto di Weekes alla regia di un
lungometraggio. Weekes è stato tra i fondatori di Tell No One,
squadra di produzione specializzata in brevi video sperimentali. I
suoi cortometraggi e le sue campagne promozionali hanno raccolto
milioni di visualizzazioni, vincendo numerosi riconoscimenti, tra
cui un premio al Leone di Cannes, arrivando fino a proiezioni in
festival cinematografici e prestigiose gallerie d’arte in tutto il
mondo, come il Guggenheim di New York e la National Gallery di
Londra. A fianco dell’attività con Tell No One, Weekes ha diretto
il suo primo cortometraggio, Tickle Monster,
commissionato da Film4 per Channel4. Negli USA questa pellicola ha
debuttato al SXSW Film Festival, dove è stata accolta con
recensioni entusiaste.
Il film è stato
scritto da Felicity Evans, Toby Venables e Remi Weekes e prodotto
da Arnon Milchan per New Regency; Roy Lee per Vertigo
Entertainment; Martin Gentles ed Edward King per Starchild
Pictures; Aidan Elliott; in collaborazione con BBC.
Produttori esecutivi sono Yariv Milchan, Michael
Schaefer e Natalie Lehmann per New
Regency;Eva Yates per BBC Films;
Stuart Manashil e Steven Schneider.
His House: trama e cast
Protagonisti di His
House sono Wunmi Mosaku (Animalifantasticiedovetrovarli) e
Sope Dirisu(Il
cacciatore e la regina di ghiaccio). Nel film dopo una
difficile fuga dal Sudan del Sud in guerra, una giovane coppia di
profughi cerca con fatica di adattarsi a una nuova vita in una
cittadina inglese dove si nasconde un male indicibile.
Arriva anche in Italia
la seconda stagione di His Dark Materials – Queste oscure
materie, la serie fantasy targata HBO e BBC e basata
sull’omonima trilogia di Philip Pullman. L’appuntamento è per il 21
dicembre su Sky Atlantic e NOW TV.
Adattamento del secondo
romanzo della trilogia, La lama sottile, la seconda stagione di
His Dark Materials – Queste oscure materie vede la
protagonista Lyra – Linguargentina – Belacqua alle
prese con nuovi incontri, trai quali, in particolare, ci sono
Will Parry e la dottoressa Mary
Malone. La ragazzina non lo sa ancora, ma questi due
incontri saranno fondamentali per il suo viaggio, nonché possessori
di altri due oggetti che, insieme all’Aletiometro in suo possesso,
serviranno a sventare i piani del Magisterium e a mettere
sottosopra l’ordine mondiale (almeno del suo mondo). Intanto,
l’affascinante e senza scrupoli signora Marisa
Coulter, trama con il Magisterium stesso per scovare Lyra,
sfruttando e manipolando a suo piacimento uomini di chiesa che non
riescono a resistere al suo fascino. Contemporaneamente, la streghe
guidate da Serafina Pekkala prenderanno per la
prima volta parte a una disputa tra gli uomini, perché conoscono
una profezia e hanno visto la bambina che la compirà.
His Dark Materials – Queste oscure materie è
epica ed emozionate
Anche solo dopo la
visione dei primi due episodi della seconda stagione di His
Dark Materials – Queste oscure materie, ci rendiamo conto
che siamo di fronte ad un sontuoso adattamento, un lavoro forse
anche migliore di quello portato avanti con il primo ciclo, forse
perché per ora ci si muove in un mondo che è fondamentalmente il
nostro, e la componente fantastica è per ora meno presente.
L’incontro tra Will e
Lyra ha il giusto sapore, ci troviamo di fronte a due ragazzini in
fuga, due anime sole ma non solitarie che, con le dovute e
necessarie precauzioni, si riconoscono e trovano l’uno casa
nell’altra. E sicuramente il merito di questo incontro così felice
va ai direttori del casting della serie, che hanno messo accanto a
Dafne Keen il giovanissimo ma già affascinante Amir Wilson.
Magnetica è anche Ruth Wilson, che torna nei panni della signora
Coulter. Abbandonato il sorriso lezioso con il quale aveva tentato
e in parte riuscito ad abbindolare Lyra nella prima stagione,
Marisa cambia look, adotta per il suo abbigliamento sempre
impeccabile colori più scuri rispetto a prima, ma la cosa che
davvero si fa oscura è la sua mente, il suo intento di perseguire
la sua missione, rintracciando Lyra per uno scopo che per adesso
non ci è dato sapere.
Tutti contro il Magisterium
Il suo conflitto
interiore che mette l’una contro l’altra la madre e la seguace del
Magisterium sono in profondo contrasto, ma lei segue imperterrita
un piano preciso, con lo spettro di Lord Asriel che continua ad
aleggiare sul suo cammino e su tutta la vicenda.
Jack
Thorne e la sua squadra realizzano un lavoro che tiene
fede all’opera originale, non tanto nelle svolte narrative, che
pure sono coincidenti con i romanzi, ma nello spirito. Siamo di
fronte ad una storia epica, ad un viaggio pericoloso, ce ne
accorgiamo in ogni momento, siamo costantemente consci del fatto
che quella che stiamo vivendo è un’avventura irripetibile,
importante, il destino nel mondo è nelle nostre mani come in quelle
di Lyra e Will. Basta questa sensazione potente e costante per
risvegliare nello spettatore il bruciante desiderio di vedere tutto
lo show, per sapere come va a finire, per avere coscienza di ciò
che accadrà, per scoprire se Will troverà suo padre e se Lyra
riuscirà ad avere la possibilità di chiedere perdono a
Roger.
Si conclude con gli ultimi otto
nuovi episodi della stagione finale di His Dark Materials –
Queste Oscure Materie l’avventura fra i mondi di Lyra
Belacqua, predestinata eroina protagonista della serie fantasy
tratta dalla trilogia best seller di Philip Pullman edita da Salani
Editore. I primi due dei nuovi episodi debutteranno in
esclusiva su Sky e in streaming su NOW il 21 dicembre,
data a partire dalla quale due nuovi episodi andranno tutti i
mercoledì su Sky Atlantic in prima serata e saranno disponibili
ovviamente anche on demand.
Sempre ambientati in una dimensione
diversa del pianeta Terra in cui si intrecciano scienza, tecnologia
e magia e in cui le persone camminano con al loro fianco
un daimon, ovvero un animale che ne incarna
l’anima, i nuovi episodi di His Dark Materials –
Queste Oscure Materie adattano «Il cannocchiale
d’ambra», terzo volume della trilogia letteraria, ripartendo dal
finale della seconda stagione, con Lyra e Will, il nuovo possessore
della Lama Sottile in grado di squarciare il velo fra i vari mondi,
che si ritrovano.
His Dark Materials –
Queste Oscure Materie, cast e trama della terza
stagione
A interpretare i protagonisti
tornano tutte le star delle prime due stagioni, da Dafne Keen(Logan
– The Wolverine), che torna protagonista nei panni di Lyra
ad Amir Wilson (Lettera al re, The
Magic Flute) che è di nuovo il ragazzo della profezia Will
Parry, Ruth Wilson (The
Affair) ancora nel ruolo di Mrs. Coulter e James McAvoy (Split,
Espiazione, X-Men) in quello di Lord Asriel, il
padre di Lyra.
Nella terza stagione Lyra e Will,
il nuovo possessore della Lama Sottile, dovranno spingersi in
luoghi oscuri da cui nessuno ha mai fatto ritorno, alla scoperta
della verità sull’onnipotente Magisterium. Intanto la guerra contro
l’Autorità messa in piedi da Lord Asriel, il padre di Lyra, è
sempre più vicina, e la salvezza dei mondi richiederà un prezzo
terribile.
È nato il 6 giugno 1962 a Tokyo.
Dopo la laurea alla Waseda University nel 1987, Hirokazu
Kore’eda è entrato nella TV Man Union dove ha diretto
diversi programmi di documentari vincitori di vari premi. Nel 2014
ha lanciato la sua casa di produzione BUN-BUKU.
Del 1995 è il suo debutto come
regista di lm con Maborosi – tratto dal romanzo di Miyamoto Teru,
vincitore del Premio Osella al 52° Festival di Venezia – una storia
dalle tinte fosche e inquietanti che vedeva nel cast l’allora
emergente attore Asano Tadanobu. Segue un altro racconto dalla
cornice fantastica, After Life (1998), ambientato in una sorta di
limbo tra cielo e terra. Il lm viene distribuito in oltre 30
nazioni e porta Hirokazu Kore’eda all’attenzione
internazionale.
Nel 2001, Distance, imperniato
sull’elaborazione del lutto da parte di un gruppo di persone
divenute loro malgrado conoscenti, è stato selezionato in
competizio- ne al Festival di Cannes. Il protagonista del suo
quarto lavoro Nessuno lo sa (2004), il tredicenne Yagira Yūya, ha
raccolto grande attenzione come il più giovane attore ad aver
ricevuto il premio per la miglior interpretazione nella storia del
Festival di
Cannes. Il lm è ispirato a un fatto di cronaca (una madre che
abbandona improv- visamente i propri gli per scappare con un uomo)
che scosse il Giappone negli anni ‘90.
Hirokazu Kore’eda: tutti i suoi film
Nel 2006, Hana, un lm di samurai sul
tema della vendetta, è stato il suo primo lm in costume. Nel 2008,
Kore-eda ha presentato Still Walking; il lm, in parte autobiogra
co, vede la partecipazione della star giapponese Abe Hiroshi, con
cui formerà un sodalizio artistico, e verte su una riunione di
famiglia nella provincia giapponese. Nel 2009, con Air Doll,
presentato a Un Certain Regard al 62°
Festival di Cannes, Kore-eda opera la sua prima incursione nel
mondo dei manga trattan- do il tema della solitudine e delle
fantasie sessuali dei giapponesi. Nel 2011, con I Wish, il regista
torna a dirigere, dopo Nessuno lo sa, un gruppo di attori bambini,
questa volta con una storia più solare che ruota attorno ai fuochi
d’arti cio. Il lm ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura
al 59° Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián.
Nel 2012, ha debuttato come regista
di una serie tv in Going Home che vede ancora una volta nel cast il
dato Abe Hiroshi.
Father and Son (2013), vincitore del Premio della
Giuria al Festival di Cannes, ha ricevuto il Premio del Pubblico ai
festival di San Sebastián, Vancouver e San Paolo e ha segnato un
nuovo record di incassi, nella lmogra a del regista, in diverse
nazioni. La vicenda ruota attorno a due famiglie che vengono a
contatto quando si scopre che i rispettivi gli sono sta- ti
scambiati per errore alla nascita. Nel 2015 è nuovamente in
concorso al Festival di Cannes con Little Sister, nuovamente tratto
da un manga, che ha ricevuto vari Japan Academy Award tra cui
quello per Miglior Film e Miglior Regia, così come il
Premio del Pubblico al Festival di
San Sebastián. Nel 2016, Ritratto di famiglia con tempesta, di
nuovo con Abe Hiroshi questa volta nella parte di un detective
priva- to, ha esordito nella sezione Un Certain Regard al 69°
Festival di Cannes. Nel 2017 il regista collabora per la prima
volta col celebre attore Yakusho Kōji nel dramma processuale Il
terzo omicidio, presentato in concorso al Festival di Venezia. A
Can- nes, Kore-eda è stato insignito della Palma d’oro con il lm
Un affare di famiglia, mentre nel 2019 ha aperto il Festival di
Venezia con la sua prima co-produzione internazionale,
Le verità, girato in Francia e con un cast che vanta
Catherine De- neuve, Juliette Binoche ed Ethan Hawke. La storia
verte sul rapporto altalenante tra una madre, diva del cinema, e la
glia sceneggiatrice.
Hirokazu Kore’eda
è stato anche produttore per giovani registi giapponesi. Kakuto,
diret- to da Iseya Yūsuke, ha debuttato all’International Film
Festival Rotterdam nel 2003. Wild Berries, dello stesso anno, è
stato scritto e diretto da Nishikawa Miwa, il cui se- condo
lungometraggio, Sway, è stato mostrato alla Semaine de la critique
di Can- nes nel 2006. Il documentario Ending Note: Death Of
Japanese Salesman (2011), rmato da Sunada Mami, ha raccolto
consensi di pubblico a livello internazionale. Kore-eda Hirokazu è
stato recentemente insignito del premio Cineasta Asiatico dell’Anno
al Busan International Film Festival del 2019.
Un popolo che guarda a se
stesso con estrema lucidità, ma con inesorabile e sconcertato
pessimismo. Il Giappone che Sion Sono presenta nel suo Himizu è
quello del day after, dopo l’11 marzo.
È stato presentato a Roma
Hill of Vision, il nuovo film di Roberto
Faenza, prolifico regista, sceneggiatore e professore
italiano che ha girato spesso anche negli Stati Uniti e che questa
volta sceglie di raccontare «una storia incredibile, se non
fosse accaduta davvero», come dice lui stesso: il racconto
dell’infanzia del genetista premio Nobel per la scienza
Mario Capecchi.
Hill of
Vision è stato proiettato quest’anno in apertura al Bifest
(Bari International Film Festival), prodotto da Elda
Ferri e Milena Canonero, costumista che
si è aggiudicata l’Oscar per quattro volte, è nato praticamente per
caso, come racconta Ferri: «Sono stata io ad instillare in
Roberto l’idea di girare questa storia. Ero in una sala d’attesa e
leggendo una rivista mi sono imbattuta nella notizia che diceva che
lo scienziato Mario Capecchi aveva regalato al museo di Kyoto un
cappello. Il fatto mi ha talmente incuriosita che abbiamo deciso di
partire, intervistarlo e conoscere cosa ci fosse dietro».
Prende la parola il
regista, a cui stanno particolarmente a cuore le tematiche sulla
formazione, anche e soprattutto quando attingono dalla storia:
«Il punto focale che mi ha interessato di più e che ho voluto
trasmettere ai miei giovani attori, è la fortuna che Mario ha
avutoad incontrare i suoi zii quaccheri, scienziati, che capiscono
che lui non è affatto stupido, come invece gli viene detto da tutti
a scuola. Il fatto che i suoi adulti di riferimento credano in lui,
gli dà la spinta per riprendere a vivere e diventare chi poi è
diventato. Trovo che sia una storia talmente incoraggiante che
debba essere per forza portata al cinema, e anche nelle scuole.
Jona che visse nella balena è stato visto da un milione e mezzo di
studenti, con Hill of Vision arriverò a due! », sorride
soddisfatto Roberto
Faenza che nella sua carriera può vantare una grande
affinità nella direzione di giovani talenti: «De Sica sosteneva
che fosse difficilissimo lavorare con i ragazzini, io invece penso
che sia la cosa più semplice del mondo. Basta, però, trovare il
bambino giusto. Sanno essere disponibilissimi, a meno che tu non
vada contro qualcosa che proprio non vogliono fare. Con Lorenzo
Ciamei e Sofia D’Elia non ho dovuto praticamente far nulla,
andavano avanti da soli, non mi chiedevano nessun chiarimento, a
differenza degli adulti che hanno sempre bisogno di capire
tutto», spiega ridendo il regista.
Viene poi rivolta una
domanda a Milena Canonero, che racconta la propria
esperienza anche attraverso il rapporto con Faenza e Elda
Ferri, che risale agli anni ’90 con Mio caro dottor
Gräsler: «Non si tratta mai di fare solo dei “vestitini”,
si comincia sempre col capire innanzitutto quale sia il film che
vuole fare il regista. Quando scelgo di lavorare ad un progetto è
perché è il soggetto a incuriosirmi. In questo caso l’amicizia che
mi lega a Elda e Roberto non mi ha influenzata, perché era la
storia stessa di Mario Capecchi a essere entusiasmante. Quando lo
abbiamo conosciuto ci ha raccontato tanti aneddoti che non è stato
possibile inserire nel film, ci vorrebbe quasi un seguito»,
dice scherzando Canonero, che rivela, tra l’altro, il suo
importante coinvolgimento nella scrittura e lavorazione del film:
«Non guardo mai se la produzione del film sia grande o piccola.
Se trovassi qualcosa d’interessante in un Marvel potrei anche collaborare in
uno di quei film», scherza Canonero con la sua proverbiale
eleganza.
Faenza
svela poi che il protagonista di Hill of Vision ha
guardato il film in anteprima: «Mario Capecchi non ha
commentato nulla perché ha pianto per due ore mezza. Dopo un po’ ha solo
detto che quella fosse la prima volta che qualcuno gli stava
restituendo qualcosa. È rimasto molto colpito. Credo che sia stato
il rapporto con la mamma ad averlo toccato di più. Lui a casa
conserva ancora il baule con delle lettere appartenute a lei che ha
scelto di non leggere, dopo tutti questi anni. L’aspetto più
drammatico per lui riguarda il ricordo del padre. Ne ha memoria
come se fosse un demonio, non ne vuol sentire parlare. È forse
anche un tantino esagerato. Quello che lui ci ha sempre detto
quando lo abbiamo intervistato, è che l’unica cosa della sua vita
che veramente merita di essere raccontata è la sua infanzia. E
credo che sia un insegnamento di grande conforto per i ragazzi di
oggi, che spesso oggi sono totalmente abbandonati dalla società e i
genitori non se ne occupano».
Quasi in chiusura, la
costumista e produttrice Milena Canonero si lascia
scappare la rivelazione di una nuova idea che sta prendendo forma
nel cantiere del regista: «La nuova direttrice di Rai Cinema ci
ha proposto di fare un film su Alda Merini, siamo stati seguiti nel
progetto da Arnoldo Mondadori Jr che l’ha conosciuta. A luglio
inizieremo con il set».
Il nuovo film di
Roberto Faenza esce in sala il 16 giugno. Si
tratta di Hill of Vision, la
storia pazzesca di un bimbo italiano analfabeta e scampato alle
bombe della Seconda Guerra Mondiale che diventa un genetista e nel
2007 riceve il premio Nobel per la medicina.
Il regista, che è anche
sceneggiatore e insegnante, ha una carriera cinematografica che
affonda le sue radici nei suoi primi vent’anni di vita, e che gli
ha fatto aggiudicare riconoscimenti di ogni sorta, tra cui diversi
David di Donatello, Nastri d’argento e Globo d’oro.
Lo sguardo verso i più
giovani, specialmente per le storie che partono dalle situazioni
più drammatiche, lo hanno interessato più di una volta
(Jona che visse nella balena, Un giorno questo dolore
ti sarà utile), per quanto, a onor del vero, la
varietà di tematiche e di tipologie di racconti affrontati da
Roberto Faenza, siano decisamente eclettici.
Hill of Vision, la storia di Mario Capecchi
La storia di Hill
of Vision nasce per caso. Un giorno, la produttrice
Elda Ferri legge una notizia riguardante lo
scienziato Mario Capecchi:
avrebbe donato a un museo di Kyoto il suo amato cappello. Cosa
significava un cappello per un uomo tanto famoso, colto e geniale?
La decisione di approfondire il fatto e di intervistare il premio
Nobel vengono da sé.
Così nasce il film
sull’infanzia di Mario Capecchi diviso in due
parti, in cui nella prima si racconta come è sopravvissuto ai
bombardamenti in Italia, dove ad interpretare il piccolo
protagonista è Lorenzo Ciamei, con
Francesco Montanari che fa il papà Luciano
Capecchi e Rosa Diletta Rossi nei panni di Anna,
sua compagna. La seconda parte inizia quando incredibilmente sua
madre (Laura Haddock), sopravvissuta ai campi di
concentramento, lo viene a prendere in orfanotrofio per portarlo
negli Stati Uniti e stare lì insieme agli zii (Edward
Holcroft ed Elisa Lasowski) che vivono in
una comunità di quaccheri.
Una fiaba assurda, per
molti aspetti, quella di Mario Capecchi, che
Roberto Faenza riporta per immagini con slancio e
un sacco di ammirazione, costruendo scenari, ambientazioni e il
susseguirsi degli eventi con affettuosa cura e parecchia ingenuità.
La storia è sufficiente di per sé a destare le coscienze e
soprattutto le speranze, ma il modo in cui viene riprodotta la
indebolisce e, a tratti, banalizza.
Nella seconda metà del
film ci trasferiamo negli Stati Uniti, Mario è cresciutello ed è il
giovane Jake Donald-Crookes a calarsi nel ruolo.
Un senso di avventura e di voglia di scoperta dà un po’ di colore
alla narrazione, ma resta sempre tutto ben posizionato come in una
dolce cartolina anni ’50 ed è necessario uno sforzo in più per
focalizzarsi sulla parte importante: i sensazionali fatti storici
nella vita di questo preadolescente. Tutti gli attori, durante
tutta la durata della pellicola, si spostano come piccole
marionette tirate da dei fili (con le sole eccezioni dei genitori
di Capecchi, Haddock e Montanari, e Rossi, l’amante del padre) e,
purtroppo, la stessa scrittura di alcune scene pare non tenere
conto dell’atmosfera e la profondità che sarebbe fondamentale
trasmettere.
Un’importante eredità pedagogica
Al netto, dunque, di una
scarsa consistenza di carattere di tutto il film, resta l’eredità
pedagogica della storia di questo ragazzo, e l’ennesima conferma di
quanto sia in grado di fare un giovane quando gli viene trasmesso
che è in gamba a prescindere da tutto. Oltre al fatto che, quando
nessuno ti capisce, devi trovare qualcuno che finalmente riesca a
farlo, e farti guidare da questi nei meandri delle strategie su
come stare al mondo.
La cosa bellissima della
storia di Mario Capecchi – ed è ammirevole che il
regista lo voglia trasmettere nelle scuole – è quanto semplicemente
faccia vedere che genio non nasce nessuno, anzi. Ma, a piccoli
passi, e anche con la possibilità di cadere più volte, lo si può
diventare eccome.
Celebre e apprezzata attrice,
Hilary Swank ha negli anni recitato in celebri
film hollywoodiani, affermandosi per la devozione riposta nel dar
vita ai personaggi a lei affidati. Grazie al suo talento l’attrice
ha inoltre potuto ottenere alcuni dei premi più prestigiosi
dell’industria, continuando ancora oggi a distinguersi per la sua
versatilità e la ricerca di progetti sempre diversi tra loro.
Ecco 10 cose che non sai di Hilary Swank.
Hilary Swank: i suoi film
1. Ha recitato in celebri
lungometraggi. La Swank debutta con un ruolo da
co-protagonista nel film Buffy – L’Ammazza Vampiri (1992),
per poi ottenere una prima celebrità grazie al film Karate Kid
4 (1994). Successivamente recita nei film A volte
ritornano ancora (1996), Lolita – I peccati di
Hollywood (1997) e Boys Don’t Cry (1999), che ne
consacra la carriera. Qui la Swank recita accanto all’attrice
Chlöe
Sevigny. Negli anni seguenti prende parte ai film
The Gift (2000), Insomnia (2002), The
Core (2003), Ore 11:14 – Destino fatale (2003), e
Million Dollar
Baby (2004), di Clint Eastwood, dove dà vita ad una delle
interpretazioni migliori della sua carriera. In seguito recita nei
film Black Dahlia (2006), PS. I Love You (2007),
Amelia (2009), Capodanno a New
York (2011), The Homesman
(2014), La truffa dei
Logan (2017), I Am Mother (2019) e The Hunt
(2020).
2. Ha preso parte a
produzioni televisive. All’inizio della sua carriera la
Swank recita in alcune puntate di serie TV come Evening
Shade (1991-1992), Genitori in blue jeans
(1991-1992), Camp Wilder (1992) e Beverly Hills
90210 (1997-1998). Reciterà poi anche nei film televisivi
Victim of Rage (1994), Terror in the Family
(1996), Prove mortali (1997), Delitto senza
movente (1997) e MAry e Martha (2013). Nel 2018 è tra
i protagonisti della serie Trust – Il rapimento Getty,
mentre prossimamente è attesa nella serie Away.
3. Si è affermata come
produttrice. Nel corso degli anni l’attrice ha svolto
anche il ruolo di produttrice, in particolare per alcuni
lungometraggi da lei anche interpretati. Tra questi si annoverano i
film Ore 11:14 – Destino fatale, Beautiful Ohio (2006),
Amelia, The Resident (2011), Something Borrowed –
L’amore non ha regole (2011), Qualcosa di
buono (2014) e What They Had (2018).
4. Ha partecipato al
doppiaggio di una nota serie. Tra il 2019 e il 2020 la
Swank presta la voce al personaggio di Joey Pogo, famosa pop star
presente in alcuni episodi dell’ultima stagione della celebre serie
animata BoJack Horseman, distribuita su Netflix.
Hilary Swank: chi è il marito
5. Conobbe il primo marito
sul set di un film. Nel 1997 la Swank sposa l’attore e
regista Chad Lowe, conosciuto sul set del film Lolita – I
peccati di Hollywood, dove entrambi recitavano. Un divertente
aneddoto riguardante la coppia è quello che vede l’attrice
dimenticarsi di ringraziare Lowe durante il suo discorso per
l’Oscar vinto nel 2000. L’attrice avrà tuttavia modo di rimediare
alla dimenticanza nel 2005, quando ritirerà il suo secondo Oscar.
Tuttavia, nel 2006, la coppia annuncia la separazione e in seguito
il divorzio.
6. Si è sposata una seconda
volta. Dopo alcune relazioni di diversi anni, l’attrice ha
annunciato nel giugno del 2018 le nozze con Philip Schneider,
produttore conosciuto tramite amici comuni. I due hanno celebrato
l’evento in un ranch in California, circondati da sequoie e alberi
secolari.
Hilary Swank e gli Oscar
7. Ha vinto l’ambito
premio. L’attrice vanta due nomination ai premi Oscar come
miglior attrice protagonista, ed in entrambe le occasioni ha poi
riportato la vittoria, facendo di lei una delle poche interpreti ad
aver vinto per ogni volta in cui è stata nominata. L’Oscar vinto
per Million Dollar Baby di Clint Eastwood ha poi fatto di lei la prima
interprete a vincere tale premio per il ruolo di un pugile
donna.
Hilary Swank in Karate Kid 4
8. È il ruolo che l’ha resa
celebre. Dopo il successo della trilogia
di Karate Kid, la produzione decise di realizzare un
quarto capitolo. Tuttavia l’attore Ralph Macchio
annunciò che non avrebbe ripreso il ruolo di Daniel LaRusso. Per
sostituirlo, fu indetto un casting per una protagonista femminile.
La Swank vinse la parte battendo oltre 500 candidate, e grazie a
quel ruolo avrebbe poi ottenuto grande popolarità.
Hilary Swank e il suo fisico
9. È da sempre una
sportiva. Sin da giovane la Swank si è dichiarata un
amante dello sport, partecipando anche come nuotatrice alle
Olimpiadi giovanili e ai campionati dello Stato di Washington.
Questa sua passione la caratterizza ancora oggi, e grazie anche ai
ruoli da lei ricoperti, da Karate Kid 4 a Million
Dollar Baby, ha avuto in più occasioni di sfoggiare un fisico
particolarmente allenato.
Hilary Swank: età e altezza
10. Hilary Swank è nata a
Lincoln, nel Nebraska, Stati Uniti, il 30 luglio 1974.
Hilary Swank
(Million Dollar Baby, Boys don’t cry, Logan Lucky), dopo il film di
Danny Bayle Trust, sarà nel cast nel nuovo sci-fi thriller
I’m a Mother.
Il personaggio interpretato da
Clara Rugaard ha progettato una nuova generazione
di umani generati da un robot chiamato Mother, creato per
ripopolare la Terra. Mentre la giovane donna è chiusa nel suo
device, la sua visione del mondo è scossa quando una donna con
sangue nelle vene arriva e rivendica che niente è come sembra.
Grant Sputore è
alla regia e la sceneggiatura è scritta da Michael Lloyd
Green.
Dichiara il regista:
“È un privilegio avere
Hilary Swank nel cast. E’ un’attrice notevole che porta sempre a
termine grandi impegni e onestà. Sono contento di lavorare con lei
e con la talentuosa Clara Rugaard”
Affermatasi come una delle celebrità
più influenti dal Duemila ad oggi, Hilary Duff si
è occupata negli anni di cinema, televisione, musica e attività
imprenditoriali. In ognuno di questi campi ha ottenuto grandi
successi, ma oltre allo spettacolo si è distinta anche come una
donna molto attenta al sociale, sostenendo diverse cause e
operazioni umanitarie. Ora che è pronta a tornare da protagonista
nel mondo della serialità, sarà meglio conoscere qualcosa di più su
di lei.
Ecco 10 cose che non sai di Hilary Duff.
Hilary Duff, i fidanzati e figli
Luca Cruz Comrie, Violet e James Bair
1. Ha avuto numerosi celebri
fidanzati. Il primo fidanzato pubblico della Duff, avuto a
14 anni, è stato il cantante Aaron Carter, con il
quale rimane in coppia fino al 2004. Di quel periodo è celebre la
lite avuta con l’attrice Lindsay Lohan, con
il quale Carter tradì la Duff. Si trattò di una delle vicende di
gossip più seguite dei primi anni Duemila. In seguito, negli anni
ha avuto relazioni con il cantante Joel Madden,
dal 2004 al 2006, con il suo personal trainer
JasonWalsh, dal 2016 al 2017, e
con l’impreditore Ely Sandvik, durata soltanto
pochi mesi del 2017.
2. Ha sposato un giocatore
di hockey. La Duff sembrò aver trovato una stabilità nel
momento in cui, nel 2007, inizia a frequentare il giocatore di
hockey dei Pittsburgh Penguins Mike Comrie. Nel
2010 i due annunciano il fidanzamento, per poi sposarsi il 14
agosto di quello stesso anno a Santa Barbara. Nel 2012 è poi nato
l’unico figlio della coppia, Luca Cruz Comrie.
Purtroppo, due anni più tardi, nel 2014, la Duff annuncia tramite
il proprio profilo Twitter della separazione consensuale tra lei e
Mike, citando differenze inconciliabili. I due divorziano
ufficialmente nel 2016.
3. Si è sposata una seconda
volta. Nel 2015 la Duff intraprende una relazione con il
musicista e cantautore Matthew Koma, il quale ha
prodotto l’album di lei Breathe In Breathe Out. I due
debuttano come coppia però soltanto nel 2017 in occasione dei SAG
Awards. Nel marzo di quell’anno si separano poi per alcuni mesi,
per poi tornare insieme a settembre. I due si sono poi fidanzati e
sposati nel 2019, documentando il tutto tramite i rispettivi
social. Hanno poi avuto due figli, Banks Violet
Bair, nata nel 2018, e Mae James Bair,
nato nel 2021.
Hilary duff: la sua filmografia
4. Ha recitato in note serie
TV. Dopo alcuni film televisivi come Casper e Wendy –
Una magica amicizia (1998) e Il rumore degli angeli
(1999), la Duff diventa celebre come protagonista delle serie
Lizzie McGuire, in cui recita dal 2001 al 2004.
Successivamente è comparsa in alcuni episodi di serie come
Ghost Whisperer (2009), Law & Order – Unità vittime
speciali (2009), The Chase (2009) e
Gossip Girl (2009), dove interpreta Olivia Burke accanto a
Blake Lively e
Chace Crawford.
Dal 2015 al 2021 ha invece recitato nella serie
Younger.
5. Ha partecipato anche a
celebri film. La Duff ha debuttato al cinema nel 1999 con
il film Scherzi del cuore, conAngelina
Jolie, per poi recitare in Human Nature
(2001), Lizzie McGuire – Da liceale a popstar (2003),
Una scatenata dozzina (2003), Nata per vincere
(2004), Il ritorno della scatenata dozzina (2005),
Material Girls (2006), War, Inc. (2008), con
John Cusack,
Stay Cool (2009), Greta (2009). Dopo alcuni film
minori, torna poi al cinema nel 2019 con Sharon Tate – Tra
incubo e realtà, dove interpreta proprio la protagonista,
l’attrice Sharon
Tate.
Hilary Duff: oggi
6. Sarà la protagonista di
un’attesa serie. Nell’aprile del 2021 viene annunciato che
la Duff ha trovato un nuovo ruolo da protagonista in una serie
particolarmente attesa. Questa è How I Met Your Father,
spin-off della celebre How I Met Your Mother, solo con un
punto di vista rovesciato. La Duff, oltre a recitare nei panni di
Sophie, intenta a raccontare ai suoi figli come ha conosciuto il
loro padre, produrrà anche la serie, attualmente attesa per il 2022
e di cui è recentemente stato pubblicato il trailer ufficiale.
7. Tornerà ad interpretare
Lizzie McGuire. Nel 2019 l’attrice ha annunciato che
tornerà ad interpretare il personaggio che l’ha resa celebre,
ovvero Lizzie McGuire, in un prossimo rilancio
della serie sulla piattaforma di streaming Disney+. Non ci sono ancora molti
dettagli su questo nuovo progetto, che dovrebbe però configurarsi
come un sequel della serie originale. Nel 2020, tuttavia, le
riprese sono state momentaneamente fermate per alcuni contrasti tra
l’attrice e il produttore creativo con la Disney. La serie dovrebbe
comunque uscire nel corso del 2022.
Hilary Duff in Gossip Girl
8. Ha recitato nella celebre
serie. Uno dei ruoli più conosciuti della Duff, oltre a
quello di Lizzie McGuire, è quello di Olivia Kate Burke nella serie
Gossip Girl. Il personaggio compare in diversi episodi
della terza stagione, sviluppando una relazione con Dan Humphrey.
Tra le tante guest star comparse nel corso della serie, la Duff si
è affermata come una delle più apprezzate dai fan. La stessa
attrice ha raccontato di ricordare l’esperienza sul set come
estremamente piacevole.
Hilary Duff: chi è sua sorella
9. Anche sua sorella lavora
nel mondo dello spettacolo. Come alcuni sapranno, Hilary
ha una sorella maggiore di nome Haylie Duff.
Entrambe vennero incoraggiate dalla madre ad intraprende una
carriera nel mondo dello spettacolo e una delle prime produzioni
che le vide recitare insieme fu lo spettacolo teatrale Lo
schiaccianoci. In seguito hanno intrapreso percorsi
differenti, ottenendo però di recitare ancora insieme in Lizzie
McGuire e Material Girls. Hanno anche collaborato
insieme per diversi progetti musicali.
Hilary Duff: età e altezza dell’attrice
10. Hilary Duff è nata il 28
settembre del 1987 a Houston, in Texas, Stati Uniti.
L’attrice è alta complessivamente 1.57 metri.
Apple TV+
ha rilasciato il trailer di “Hijack”, una serie thriller in sette
episodi interpretata e prodotta esecutivamente dal vincitore del
SAG Award e candidato all’Emmy Award Idris Elba (“Luther”). Creata da George Kay
(“Lupin”, “Criminal”) e Jim Field Smith (“Criminal” “Truth
Seekers”), il primo sceneggiatore e il secondo regista principale
della serie, “Hijack” è interpretata anche dal vincitore dell’Emmy
Award e del NAACP Image Award Archie Panjabi (“The Good Wife”,
“Snowpiercer”, “Blindspot”). “Hijack” farà il suo debutto mondiale
su Apple
TV+ con i primi due episodi mercoledì 28 giugno, seguiti da un
nuovo episodio ogni mercoledì fino al 2 agosto.
Hijack è stato
prodotto da 60Forty Films, la società di produzione fondata dai
produttori esecutivi vincitori dell’Emmy Award Jamie Laurenson e
Hakan Kousetta (“Slow
Horses“, “Il
serpente dell’Essex“) nell’ambito del suo accordo con Apple
TV+, insieme a George Kay e alla società di produzione di Jim FIeld
Smith, Idiotlamp Productions, segna anche la prima serie
dell’accordo tra Idris Elba e la sua Green Door Pictures e Apple
TV+. George Kay e Jim Field Smith sono entrambi produttori
esecutivi insieme a Elba, Jamie Laurenson, Hakan Kousetta e Kris
Thykier.
Apple
TV+ ha annunciato oggi la produzione di
Hijack, un nuovo thriller in sette parti con
protagonista Idris Elba (“Sonic – Il film 2“,
“Luther“),
vincitore del SAG e candidato all’Emmy, che sarà anche produttore
esecutivo. La serie segna il primo progetto che deriverà
dall’accordo siglato dalla Green Door Pictures di Elba con
Apple TV+.
La serie è scritta da George Kay (“Lupin”, “Criminal“)
e sarà diretta da Jim Field Smith (“Criminal”,
“The Wrong Mans”), che saranno anche produttori esecutivi insieme
allo stesso Elba, a Jamie Laurenson, Hakan Kousetta e Kris Thykier.
“Hijack” sarà prodotta da 60Forty Films e Idiotlamp Productions in
associazione con Green Door Pictures.
Hijack, la trama
Ambientato ai giorni nostri,
Hijack è un thriller teso che segue il viaggio di
un aereo destinato a Londra e dirottato durante un volo lungo più
di sette ore, mentre le autorità a terra si affrettano a cercare
risposte. Idris Elba interpreterà Sam Nelson, un
abile negoziatore nel mondo degli affari che deve farsi avanti e
usare tutta la sua astuzia per cercare di salvare la vita dei
passeggeri; la sua strategia ad alto rischio, però, potrebbe essere
la sua stessa rovina.
La serie sarà presentata in
anteprima e andrà ad aggiungersi ai titoli di Apple Originals
degli storytellers più creativi di oggi, tra cui “Scissione”
del regista e produttore esecutivo Ben Stiller,
acclamato dalla critica e recentemente rinnovato per un seconda
stagione; “Shining
Girls”, il nuovo thriller metafisico basato sul bestseller del
2013; “Disclaimer,” una nuova serie di thriller psicologici del
regista, scrittore, produttore, direttore della fotografia e
montatore, pluripremiato ai Golden Globe e BAFTA Alfonso
Cuarón e altro ancora.
Oggi Apple TV+ ha annunciato la
seconda stagione di Hijack, il thriller interpretato e prodotto
dal vincitore del SAG Award e candidato all’Emmy Idris Elba
(“Luther”). La serie è stata creata da George Kay
(“Lupin”, “Criminal”) e Jim Field Smith
(“Criminal”, “Litvinenko”) e la prima stagione completa è
disponibile su Apple
TV+.
Fin dal suo debutto, Hijack è diventata una delle serie drammatiche
più seguite su Apple
TV+, ricevendo ampi consensi da pubblico e critica; ha ottenuto
rapidamente il Certified Fresh nel punteggio assegnato dalla
critica su Rotten Tomatoes ed è entrato nella Top 10 della
classifica Nielsen Streaming Originals. La serie, con Elba
protagonista come “uomo di punta”, è stata definita “immediatamente
coinvolgente”, “un’iniezione di pura adrenalina”, una dramedy
“nitida e tesa”, “piena di tensione e avvincente, che spesso spinge
lo spettatore sull’orlo della poltrona”.
«Il pubblico di tutto il mondo è
rimasto col fiato sospeso guardando l’avvincente performance di
Idris in “Hijack” e siamo entusiasti di lavorare di nuovo con
60Forty e Idiotlamp per una seconda stagione altrettanto
coinvolgente», ha dichiarato Jay Hunt, direttore creativo di
Apple
TV+ per l’Europa. «Sono rimasto sbalordito dalla risposta
travolgente del pubblico dopo la prima stagione. Non posso svelare
nulla di ciò che si prospetta per Sam Nelson in questa nuova
stagione, ma posso assicurarvi che ci sarà tanta adrenalina!»,
ha dichiarato il produttore esecutivo e protagonista Idris
Elba.
La seconda stagione di Hijack sarà prodotta esecutivamente da Jamie
Laurenson, Hakan Kousetta e Tom Nash della 60Forty Films, oltre ai
produttori esecutivi Kay e Field Smith della Idiotlamp Productions.
Field Smith è anche il regista principale della serie.
Il proverbio ci insegna che non
bisogna giudicare un libro dalla copertina. Volendo trasporre tale
concetto nel campo seriale potremmo adattarlo scrivendo che non si
dovrebbe giudicare uno show dal pilot. L’accostamento non è
totalmente calzante ma rende l’idea. Tale incipit si presta
perfettamente per introdurre Hijack,
serie di matrice britannica che vede protagonista Idris Elba.
Il titolo lascia chiaramente
intendere che la produzione Apple
TV+ vede al centro della storia un dirottamento aereo,
precisamente quello di un volo diretto da Dubai a Londra. Tra i
passeggeri diventati ostaggi del gruppo di dirottatori si trova
anche Sam Nelson, che di professione fa il negoziatore. Toccherà
principalmente a lui il tentativo di salvaguardare la vita dei
passeggeri a bordo.
L’umanità e il realismo prima dello spettacolo
Come lasciato intuire in precedenza,
se andrete oltre il pilot di Hijack non ve ne pentirete.
Il setting della narrazione e del personaggio principale non sono
certamente originali, né la messa in scena garantisce quel plus di
tensione tale da attrarre l’attenzione dello spettatore
maggiormente smaliziato. Il fatto è che solo procedendo con gli
episodi si comprende che questo non era fin dal principio l’intento
dei creatori George Kay e Jim Field
Smith.
L’approccio dello show si rivela
infatti molto più acuto di quanto il primo episodio non lasci
intendere: invece di puntare alla spettacolarità che un genere come
il thriller può offrire, Hijack preferisce raccontare in
maniera precisa le azioni di coloro che devono affrontare una tale
crisi, sia dentro che fuori l’aeroplano. La narrazione dei vari
episodi si fonde con efficacia in un crescendo drammatico che pian
piano cattura, irretisce il pubblico senza necessariamente
spiattellare lo spettacolo action preconfezionato.
C’è infatti pochissima azione in
Hijack, almeno nelle prime puntate, sostituita da uno
studio avvincente delle dinamiche che si sviluppano nel dover
fronteggiare il dirottamento. La storia rimbalza infatti dalle
dinamiche che si sviluppano tra passeggeri e dirottatori alle
decisioni che devono essere prese nella sala di controllo voli a
quelle invece dettate dalle ragioni di stato. Le tre diverse
ambientazioni interagiscono con sorprendente efficacia, incastrate
tra loro da un montaggio sapiente nel saper restituire il dramma
senza necessariamente confezionarlo in uno spettacolo inutilmente
forzato dentro il genere.
Hijack, tra spettacolo e dramma umano
In questo modo Hijack
diventa un dramma orchestrato con cura, che mira al realismo molto
più che all’effetto. Unico difetto è quello di presentare un gruppo
di dirottatori non particolarmente convincente, il quale esplicita
le motivazioni dell’atto troppo tardi e quando questo succede
l’idea diventa leggermente troppo “larger than life” rispetto alla
verosimiglianza con cui il tutto era stato settato in precedenza. A
parte questo però lo show continua senza troppi sobbalzi a tenere
lo spettatore incollato alla poltrona, gli permette di entrare in
contatto emotivo con i personaggi e parteggiare o meno per
loro.
Altro punto a favore sta nella
precisione con cui viene sviluppata la figura di Sam, il quale
adopera la sua saggezza e gli strumenti della professione senza mai
diventare veramente un “eroe”, anzi condividendo la scena con gli
altri passeggeri del volo. Idris Elba si dimostra ancora una volta
carismatico quanto basta per esporre anche le debolezze, le paure e
la verità del proprio ruolo.
Puntata dopo puntata infatti
Hijack diventa sempre più una serie corale, che si
avvicina – con le dovute proporzioni, sia ben chiaro – a quello che
Paul Greengrass aveva
straordinariamente saputo realizzare al tempo di United
93, che gli valse la nomination all’Oscar per la
miglior regia. Ecco, la produzione Apple TV+ si dirige verso quella
direzione, costruendo dinamiche narrative ed emozionali mai
“urlate” quanto piuttosto tangibili, veritiere. Tra spettacolo e
attenzione al dramma umano, Hijack colpisce nel segno e
offre agli spettatori uno spettacolo più che degno.
È stato diffuso il trailer di
Highwaymen – L’Ultima Imboscata, il nuovo film di
John Lee Hancock, con protagonisti Kevin
Costner e Woody Harrelson, disponibile su
Netflix dal 29 marzo prossimo.
I fuorilegge fanno notizia. I
poliziotti fanno la storia. Dal regista John Lee Hancock (The Blind
Side), HIGHWAYMEN – L’ULTIMA IMBOSCATA segue la storia
mai raccontata dei detective leggendari che hanno fermato
definitivamente Bonnie e Clyde. Quando l’intero FBI e le ultime
tecnologie forensi non sono sufficienti per catturare i criminali
più noti della nazione, due ex-Texas Rangers (Kevin Costner e Woody
Harrelson) devono fare affidamento sul loro istinto e sulle loro
abilità per portare a termine la missione.
Diretto da John Lee Hancock e
scritto da John Fusco,
Highwaymen – L’Ultima Imboscata vede protagonisti
Kevin Costner, Woody Harrelson, Kathy Bates, Kim Dickens.
Quello del road thriller è
un sottogenere particolarmente apprezzato e ricorrente, che porta
ad esplorare situazioni estreme che si svolgono sulla straada e
tengono alta la tensione fino alla fine. Titoli come Duel,
Vanishing Point e The Hitcher sono solo
alcuni dei più classici di questo filone, seguendone fedelmente i
canoni e le caratteristiche. Il film del 2004
Highwaymen – I banditi della strada è
invece un’opera anomala, che ingloba al suo interno elementi
diversi dando vita ad un ibrido di particolare fascino. Scritto da
Craig Mitchell e Hans Bauer, il
film è diretto da Robert Harmon, già regista di un
titolo simile come The Hitcher – La lunga strada della
paura.
Prodotto dalla indipendente New Line
Cinema e realizzato con mezzi ridotti, il film non fa affidamento
su particolari effetti speciali o caratteristiche hollywoodiane. Il
lungometraggio riesce però a fare di necessità virtù, affidandosi
ad una serie di elementi che diventano anche il suo tratto
distintivo. In particolare, Highwaymen è costruito come un
western automobilistico, che per molti aspetti ricorda Mad Max – Interceptor.
La stessa interpretazione degli attori protagonisti è vicina a
questo genere, con poche battute ed eloquenti silenzi. A farla da
padrone, però, sono le automobili, estensioni corporee dei
personaggi attraverso le quali si propone l’elemento della fusione
tra uomo e macchina.
Highwaymen è dunque un film
molto particolare, che pur con i suoi limiti è in grado di
sfoggiare elementi di fascino. Negli anni si è costruito la fama di
cult, uscendo dal suo iniziale anonimato per guadagnare sempre più
popolarità. Ad oggi, è un titolo decisamente imperdibile. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Highwaymen – I banditi della
strada: la trama del film
La storia del film ha inizio quando
la giovane Molly e la sua amica
Alex vengono tamponate e aggredite da uno
psicopatico a bordo di una Cadillac Fleetwood Eldorado del 1972. Il
conducente di questa, che si fa
chiamare Fargo e non scende mai dal veicolo,
si diverte infatti ad uccidere le sue vittime investendole con il
suo mezzo. Questa è la fine che tocca anche ad Alex, mentre Molly
riesce a sfuggire all’aggressore riportando però un profondo trauma
psicologico. Inizia così a frequentare un gruppo di supporto per
persone vittime di incidenti stradali e qui conosce Rennie
Cray, un uomo che ha perduto la moglie per mano dello
stesso psicopatico.
Venuto a sapere che Fargo è ancora
in circolazione, Rennie si offre di aiutare Molly ad ottenere
vendetta per la sua amica. I due iniziano così a ricercare l’uomo,
nel tentativo di attirarlo in una trappola. A complicare la
situazione vi sarà però la presenza dell’agente Will
Macklin, desideroso di fare giustizia secondo la legge. Il
desiderio di vendetta di Rennie non può però essere ostacolato e
potrà risolversi solo con la morte di Fargo. In attesa di
scontrarsi con l’uomo, avvalendosi di un auto altrettanto
resistente, egli dovrà anche fare i conti con il suo traumatico
passato.
Highwaymen – I banditi della
strada: il cast del film
Ad interpretare il protagonista del
film, Rennie Cray, vi è l’attore Jim Caviezel.
Questi è particolarmente noto per pellicole come La sottile linea rossa
e La passione di Cristo, dove interpreta Gesù. Accanto a
lui, nel ruolo di Molly, si ritrova invece Rhona
Mitra, attrice celebre per aver dato le sembianze al
personaggio videoludico di Lara Croft. La sua amica Alex è
invece interpretata da Andrea Roth, principalmente
nota per il ruolo di Janet Gavin nella serie Rescue Me.
L’attrice Guylaine St-Onge, qui al suo ultimo
film, compare nel ruolo di Olivia Cray, moglie di Rennie. L’attore
Frankie Faison, noto per Il silenzio degli
innocenti e la serie The Wire, è l’agente Will
Macklin. ColmFeore, infine, ora
noto per essere Reginald Hargreeves in The Umbrella
Academy, è lo psicopatico Fargo.
Highwaymen – I banditi della
strada: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Highwaymen – I banditi
della strada è infatti disponibile nei cataloghi di
Google Play e Rai Play. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È
bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite
temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente
nel palinsesto televisivo di sabato 7maggio alle ore 21:20 sul canale
Rai 4.
Starz ha
pubblicato il trailer ufficiale della terza stagione di
Hightown, il prossimo episodio finale della serie
crime drama con protagonista Monica Raymund.
Il video anticipa il caso più
importante di cui si occuperà la Jackie Quiñones
interpretata da Monica Raymund. Il video evidenzia
anche il suo difficile percorso verso la sobrietà. Il ritorno della
serie è previsto per il 6 gennaio.
Cosa aspettarsi dalla terza stagione di Hightown?
“L’agente del Servizio Pesca
Jackie Quiñones è fuori servizio e fuori dalle forze dell’ordine
nell’ultima stagione, ma questo non le impedisce di lanciarsi nel
ventre oscuro della perfetta Cape Cod per salvare una donna
scomparsa e una prostituta assassinata“, si legge nella
logline. “Nel frattempo, i suoi ex colleghi Ray Abruzzo e Alan
Santille si concentrano sull’eliminazione dei sindacati della
droga, ma nonostante i loro sforzi, la droga continua a circolare.
Questo attira Shane Frawley, un gangster di Boston che vuole
inserirsi nel traffico di droga di Cape e che nel frattempo si fa
nemico Osito. Si stringono alleanze e si mettono in discussione
vecchie lealtà in questo luogo bellissimo ma corrotto, dove nulla è
come sembra“.
Hightown è creata
e prodotta esecutivamente da Rebecca Cutter. Oltre a Raymund, la
serie è interpretata anche da James Badge Dale, Riley
Voelkel, Amaury Nolasco, Atkins Estimond, Dohn Norwood, Imani
Lewis, Mark Boone Junior e Mike Pniewski. La stagione
finale vedrà anche la partecipazione di Ana Nogueira, Taja
V. Simpson, Michael Drayer, Garret Dillahunt, Jeanine Serralles e
Kate Miller.