Ouija è il film del 2014 diretto da
Stiles White e scritto da Juliet Snowden e
Stiles White.
La trama di Ouija
In seguito all’inaspettato suicidio
della cara amica Debbie, avvenuto in circostanze poco chiare, la
giovane Laine tenta di trovare un modo per comunicare con le anime
dei defunti. Decide così di ricorre alla tavola Ouija, il quadrante
medianico usato per l’invocazione degli spiriti, e durante una di
queste sedute qualcuno sembra risponderle.
Ben presto però Laine e i suoi
amici incominciano ad essere perseguitati da eventi oscuri e
soprannaturali, eventi che fanno capire loro che forse non è
l’anima di Debbie ad essere stata evocata dall’aldilà. Fantasmi,
spiritelli e demoni intasano ormai da tempo le nostre pellicole di
genere, a volte regalandoci gradite sorprese ed altre sfornando
opere discutibili e dedite al riciclo di materiali ormai stantii ed
abusati.
Ouija, la
pellicola che segna l’esordio alla regia di Stiles
White, già sceneggiatore avvezzo a creare spavento con
Boogyman e The
Possession, sembra rientrare appieno nella seconda
categoria, dimostrando scarsa capacità narrativa e di messa in
scena all’interno di un film che vuole spaventare nelle intenzioni
ma che nella pratica strappa solo sbadigli e molte perplessità.
In primo luogo c’è da chiedersi se
la storia non avesse potuto quantomeno osare in un minimo di
originalità, piuttosto che accomodarsi all’interno di migliaia di
luoghi comuni e di schemi che il genere della ghost-story
ha di fatto già ingurgitato e digerito da secoli, dando vita ad un
racconto dal ritmo sincopato in cui ogni cosa accade al momento
giusto e seguendo uno schema didattico che fa a dir poco sorridere
per la sua ingenuità. In seconda analisi poi, quello che lascia
interdetti anche gli afecionados più accaniti è il cercare
di capire dove stiano (e se ci siano veramente) dei momenti di
paura, dato che la narrazione appare fin dall’epilogo affossata da
una staticità che è essa stessa a fare spavento e a disorientare
chi si aspetterebbe un sincero ed onesto film di fantasmi.
Olivia
Cooke, volto nuovo con alle spalle un’eccellente
partecipazione nella serie Bates Motel,
assieme ad un cast di volti giovani e quasi tutti anonimi, regge
praticamente da sola l’intera durata di una pellicola in cui i
personaggi rispecchiano appieno la piattezza generale, incapaci
loro stessi di provare alcuno spavento sincero per quanto gli
accade attorno.
Calcando troppo la mano su certe
atmosfere ed iconografie da manuale di regia per principianti
(angoli oscuri, luci intermittenti, evocazioni al buio attorno ad
un tavolo), White ci presenta un ennesimo insipido racconto di
presenze senza pace che tornano dal passato attraverso il canale
offerto da una seduta spiritica, il tutto però senza nemmeno
tentare di rinfrescare e rinvigorire un tòpos che appare vecchio,
stanco e cadaverico quanto le anime evocate dalla tavola che dà il
titolo al film.
Tutto appare confezionato come in
una ricetta di cucina in cui vengano usati sempre gli stessi
ingredienti, con qualche sporadico guizzo di regia e flebili
tentativi di far paura con ciò che già si è visto, condito da
inutili e grezzi supporti di effetti speciali. Tutto il resto è
noia.
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