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Virgin River – Stagione 6, la spiegazione del finale: cosa è successo a Charmaine

Il finale sospeso della sesta stagione di Virgin River ha lasciato in sospeso il destino potenzialmente terribile di uno dei personaggi, concludendo però in modo soddisfacente alcune trame iniziate nelle stagioni precedenti. Le nozze di Jack e Mel sono state sempre al centro della sesta stagione di Virgin River, ma il dramma romantico ha anche introdotto nuove trame e ripreso quelle vecchie. Tra storie d’amore importanti che vanno a gonfie vele e altre che arrancano, l’amore è stato al centro della sesta stagione di Virgin River. Tuttavia, i frenetici momenti finali della sesta stagione di Virgin River hanno anche introdotto due importanti cattivi che potrebbero essere al centro della già confermata settima stagione di Virgin River.

Il finale della sesta stagione di Virgin River ha gettato un’ombra enorme sul benessere di Charmaine, dopo che lei non è arrivata alla baita di Mel per farsi acconciare e truccare per il matrimonio e non ha risposto ai messaggi di Mel. La settima stagione di Virgin River dovrà rivelare la verità sul suo destino, oltre a svelare se la percezione di Hope sui piani di espansione del Grace Valley Hospital era corretta, dato che minacciavano il futuro di Vernon limitando la sua capacità di esercitare la professione medica. Infine, il finale della sesta stagione di Virgin River ha definitivamente concluso la situazione di incertezza tra Jack e Mel con il loro matrimonio, mostrando davvero le qualità migliori della loro relazione.CorrelatiIl prequel di Virgin River presenta un ostacolo importante per i personaggi che la serie originale di Netflix non aveva mentre Virgin River è nota per le storie d’amore e la trama ben costruita, la premessa del prequel in uscita lo mette in una posizione scomoda.

Il destino di Charmaine dopo il finale sospeso della sesta stagione di Virgin River

Calvin ce l’aveva con Charmaine sin da quando lei aveva ottenuto un ordine restrittivo contro di lui

Con Jack e Mel felicemente decisi a sposarsi, Charmaine è passata leggermente in secondo piano nella sesta stagione, soprattutto dopo che la quinta stagione di Virgin River ha rivelato che Jack non era il padre dei gemelli, ma Calvin. La nascita dei gemelli le ha anche dato un buon motivo per non essere così coinvolta nella trama della sesta stagione di Virgin River, ma la sua battaglia legale contro Calvin e la sua scomparsa nella Virgin River stagione 6, episodio 9, hanno riportato la sua storia in primo piano dopo che l’entusiasmo per il matrimonio di Mel e Jack è diminuito il giorno dopo l’evento.

Jack che trova la casa di Charmaine saccheggiata nel finale della sesta stagione ha fatto scattare l’allarme sul suo potenziale destino straziante.

Le stagioni 1 e 2 di Virgin River hanno consacrato Calvin come antagonista, soprattutto di Jack, dopo che ha ordinato il rapimento di lui e Mel e ha incaricato uno dei suoi subordinati di sabotare il Jack’s Bar. L’incontro di Jack con Charmaine e Calvin che litigavano in tribunale ha preparato il terreno per il ritorno di Calvin come cattivo, ma le sue minacce dirette nella sesta stagione di Virgin River, episodio 6, lo hanno confermato. La scomparsa di Charmaine nella sesta stagione di Virgin River, episodio 9, è sembrata strana, ma il suo messaggio ha offerto una spiegazione parziale. Tuttavia, Jack che ha trovato la casa di Charmaine saccheggiata alla fine della sesta stagione ha fatto temere per il suo destino potenzialmente straziante.

Come il matrimonio di Mel e Jack rafforza la loro relazione

Pur essendo sempre stata tra le migliori storie d’amore di Virgin River, la relazione tra Mel e Jack ha attraversato diversi momenti drammatici nelle sei stagioni della serie, tra cui numerosi ostacoli al loro amore evidente e persino una rottura inaspettata. La sesta stagione di Virgin River ha comunque dimostrato più volte la stabilità del legame tra Mel e Jack, sia che si trattasse di Mel che sosteneva Jack durante il processo di Preacher, sia che Jack facesse lo stesso con Mel mentre lei cercava di conoscere Everett o doveva gestire con attenzione la faida tra Everett e Doc.

Sebbene possa sembrare controintuitivo, sono stati proprio i dubbi di Mel sul matrimonio a dimostrare quanto fosse stabile la sua relazione con Jack tra gli episodi 9 e 10 della sesta stagione di Virgin River. Infatti, la reazione di Jack al fatto che Mel non fosse pronta a sposarsi, portandola nel luogo in cui si era innamorato di lei e convincendola a rimanere a Virgin River, ha dimostrato come entrambi sapessero immediatamente di cosa aveva bisogno l’altro e come non avessero più dubbi sulla loro relazione. La fuga di Mel e Jack non è stata dettata dall’incertezza, ma dalla profonda conoscenza e dal sostegno reciproco.

I problemi del dottor Vernon Mullins con l’Ordine dei Medici e la minaccia a Grace Valley

La lettera che comunica al dottor Vernon la sua sospensione mentre l’Ordine dei Medici indaga sulle sue azioni ha reso le minacce del dottor Hayes molto più concrete nel finale della sesta stagione di Virgin River. Tuttavia, il fatto che il Grace Valley Hospital abbia chiamato Hope in veste ufficiale di sindaco e abbia ammesso di essere entusiasta dell’espansione a Virgin River ha confermato come l’indagine su Doc fosse un mezzo per raggiungere un fine per quelli del Grace Valley, minacciando il tessuto stesso di Virgin River perché avrebbe portato un’azienda impersonale e degli estranei a prendersi cura della salute dei suoi residenti.

La telefonata del Grace Valley Hospital a Hope per fornire una spiegazione sulle indagini sul Doc ha di fatto dato il via alla lotta contro l’ospedale principale della zona nella settima stagione di Virgin River. La minaccia spiega anche chiaramente il nuovo interesse per le pratiche non ortodosse del Doc. Dopotutto, Virgin River ha stabilito fin dal primo episodio che Doc ha scelto di trasferirsi a Virgin River per praticare la medicina di famiglia perché voleva essere libero dalla burocrazia, e questo non è mai sembrato essere un problema per quelli del Grace Valley Hospital nei 30 anni in cui la pratica di Doc ha prosperato, rendendo il loro interesse ora puramente commerciale.

Perché il nuovo legame tra Everett e Mel la ricollega alla sua defunta madre Sarah

Il fatto che Everett fosse il padre biologico di Mel è stata la grande rivelazione del finale della quinta stagione di Virgin River. Questo ha reso indispensabile l’esplorazione del legame tra lui e Mel nella sesta stagione di Virgin River, soprattutto perché ha dato a Mel la possibilità di riconnettersi con la sua defunta madre. I flashback di Mel si concentravano spesso sui suoi ultimi ricordi della madre. Mentre alcuni di essi mettevano in evidenza come Mel fosse stata ispirata a diventare infermiera seguendo l’esempio della straordinaria infermiera che si era presa cura di sua madre negli ultimi giorni e l’aveva aiutata a dirle addio, Mel non sapeva nulla di Sarah prima della sua malattia.

Virgin River ha sottolineato molto come Joey si è preso cura di Mel dopo la morte di Sarah, rendendo instabile il legame di Mel con Sarah, dato che Mel non riusciva a ricordare davvero sua madre.

Mel aiutando Everett ad aprirsi con lei ha così ricollegato Mel a chi era sua madre, e il pubblico ha anche avuto un assaggio di ciò su cui potrebbe concentrarsi il prequel di Virgin River se venisse ufficialmente scelto da Netflix. Conoscere la vita di Everett a Virgin River e, soprattutto, i momenti che ha condiviso con Sarah ha aiutato Mel a farsi un’idea di chi fosse sua madre, cosa che non aveva avuto modo di fare da quando Sarah era morta, dato che Mel era ancora piccola. Condividere questo con Everett lo ha aiutato a superare il dolore e ha rafforzato il loro legame, dando finalmente a Mel un genitore.

La faida tra Everett e Doc spiegata

Da quando si è saputo che Everett era il padre biologico di Mel, lei è stata avvertita che non era ben visto da molti. Tra coloro che nutrivano rancore nei confronti di Everett c’era Doc, che nel corso degli anni era diventato una figura paterna per Mel, nonostante all’inizio fosse contrario ad accogliere un’infermiera nel suo studio medico. Il motivo della faida tra Everett e Doc è rimasto un mistero fino alla stagione 6, episodio 8 di Virgin River, che ha finalmente spiegato come l’antipatia di Doc per Everett fosse profondamente legata al suo senso di colpa per la morte di un bambino che Doc non era riuscito a salvare mentre si prendeva cura di Everett.

[Doc scoprì la verità su ciò che aveva causato l’incidente di Everett] e questo lo rese empatico nei confronti della lotta di Everett, facendo così placare la loro faida.

L’incontro davanti alla tomba del bambino nella sesta stagione di Virgin River, episodio 8, spinse finalmente Everett e Doc a parlare del loro senso di colpa per la morte di Jordan. Everett confessando a Doc perché gli aveva detto che era meglio non salvarlo ha dimostrato a Doc che era stato un paziente bisognoso di cure proprio come Jordan, perché l’incidente di Everett non era stato causato da una corsa spericolata in stato di ebbrezza, ma dal suo desiderio di non voler più vivere dopo la morte di Sarah e dal fatto che il padre di Mel gli aveva detto che non avrebbe potuto conoscere Mel. Questo ha reso Doc empatico nei confronti della lotta di Everett, facendo così placare la loro faida.

Come il finale della sesta stagione di Virgin River prepara la settima

Le conseguenze più importanti del finale della sesta stagione di Virgin River preparano il terreno per due grandi scontri nella settima stagione. Infatti, con Charmaine e i suoi gemelli in pericolo, Calvin sarà senza dubbio uno dei principali cattivi della settima stagione di Virgin River, diventando la sfida più grande per Jack e Mel. Allo stesso modo, il Grace Valley Hospital, che vuole espandersi a Virgin River con l’inganno e facendo del male a Doc, diventa il cattivo principale della settima stagione di Virgin River, che l’intera città dovrà combattere se vuole aiutare lo studio medico di Doc.

Anche le rivelazioni minori della sesta stagione di Virgin River avranno enormi ripercussioni nella settima stagione. La proposta di matrimonio di Mike a Brie ha rivelato che lui sapeva da tempo della relazione tra Brie e Brady, e lo stesso Brady dovrà affrontare grandi sfide nella settima stagione dopo che Lark è scomparsa con Hazel e ha rubato tutti i soldi dell’assicurazione dopo l’incendio del deposito di legname. Infine, il problema di salute di Muriel si è rivelato essere un cancro al seno, rendendo anche la sua trama cruciale nella stagione 7 di Virgin River.

Conclave: perché il cardinale eletto Papa sceglie proprio quel nome

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Il regista di ConclaveEdward Berger, spiega perché il cardinale Benitez, eletto Papa alla fine del film, sceglie il nome di Innocenzo. Guidato da Ralph Fiennes, il film, basato sull’omonimo romanzo di Robert Harris, segue l’assemblea dei cardinali per l’elezione di un papa. Nel corso del film, diversi favoriti vengono esclusi alla corsa al soglio pontificio a causa di uno scandalo finché un outsider non vince la gara, il cardinale Benitez (Carlos Diehz), un misterioso cardinale che ha prestato servizio a Kabul.

Parlando con Vanity Fair, il regista premio Oscar spiega come mai Benitez ha scelto il nome di Innocenzo quando viene eletto come nuovo papa. Edward Berger dice che “è un nome che indica purezza senza preconcetti”, tipicamente quello che si vede nei bambini, che non hanno brutte esperienze, che sono aperti agli altri, che non hanno pregiudizi, proprio come Benitez.

È un nome che indica purezza senza preconcetti. Lo vedi nei bambini: non hanno brutte esperienze, sono teoricamente solo positivi, solo aperti verso gli altri. Non hanno pregiudizi. Sono innocenti. Poi la società li condiziona a essere in un certo modo, i loro genitori, la scuola, gli amici e le brutte esperienze lasciano un trauma. Quindi Benitez si presenta a noi con assoluta apertura, e penso che sia questo che significa.

Conclave aveva preparato questa svolta disseminando la storia di indizi

Anche se può sembrare strano o poco ortodosso, il nome non è poi così insolito. Finora, 13 Papi hanno scelto il nome Innocenzo per il papato, l’ultimo è Papa Innocenzo XIII, nato Michelangelo dei Conti e capo della Chiesa cattolica e governatore dello Stato Pontificio dall’8 maggio 1721 alla sua morte nel marzo 1724.

La spiegazione di Berger si adatta al comportamento e alle azioni di Benitez durante tutto il film. Circondato da cardinali con programmi politici e che nascondono scandali, Benitez è una presenza gentile, una boccata d’aria fresca. All’inizio di Conclave, il cardinale Lawrence di Fiennes dice: “Se ci fosse solo certezza e nessun dubbio, non ci sarebbe mistero e quindi non ci sarebbe bisogno di fede. Preghiamo affinché Dio ci conceda un papa che dubiti”. La supplica di Lawrence viene esaudita, poiché Benitez, considerando il suo segreto che viene rivelato in una delle scene finali del film, è qualcuno che vive tra certezza e dubbio e riesce ad accettarlo con grazia. Un atteggiamento che sarebbe adatto anche per i laici.

Mufasa: il Re Leone, recensione del film di Barry Jenkins

Nessuno lo avrebbe detto mai dalle premesse, eppure Mufasa: Il Re Leone è un prequel ambizioso e emozionante che amplia l’universo di uno dei film Disney più amati di sempre, offrendo una nuova prospettiva sulla storia del padre di Simba. Diretto da Barry Jenkins, premio Oscar per Moonlight, ma autore anche della potente serie La ferrovia sotterranea e del delicato Se la strada potesse parlare, il film si distingue per un approccio narrativo che unisce profondità emotiva, chiarezza di temi, un’estetica visiva elaborata, a una regia che sfrutta a pieno le potenzialità della computer grafica, il tutto mantenendo uno stretto legame con l’eredità del classico del 1994.

Qual è la storia di Mufasa: Il Re Leone?

La trama si svolge molto prima degli eventi de Il Re Leone originale e ci introduce a un giovane Mufasa (interpretato in italiano da Luca Marinelli). Cresciuto come orfano dopo una tragica alluvione che gli porta via i genitori, Mufasa è costretto a trovare il suo posto in un branco estraneo, dove viene visto come un outsider e una potenziale minaccia alla gerarchia esistente. Questo contesto iniziale è fondamentale per comprendere come il futuro re sviluppi la saggezza e l’umiltà che lo renderanno un leader unico e così rappresentativo. In questo nuovo contesto, Mufasa imparerà ad ascoltare la natura e a vivere secondo il suo ordine, stringendo un forte legame d’amicizia con il giovane Taka, principe del branco.

Jenkins e lo sceneggiatore Jeff Nathanson riescono a tessere abilmente una storia che approfondisce il personaggio di Mufasa, esplorando temi universali come l’identità, la resilienza e il destino. Con esso struttura e approfondisce anche altri personaggi, che saranno poi fondamentale per la vita del futuro re, tra cui ovviamente Taka/Scar e Sarabi (Elodie), ma anche l’enigmatico, saggio e buffo Rafiki (Toni Garrani), come al solito Most Valuable Player e narratore della storia. In netto contrasto con Simba, che in Il Re Leone canta con entusiasmo “Non vedo l’ora di essere re”, il giovane Mufasa sembra inizialmente riluttante ad abbracciare il suo futuro regale, soprattutto perché non si sente degno del posto che spetterebbe, per nascita, a suo fratello acquisito, Taka.

Mufasa e Taka: da fratelli a nemici

Uno degli aspetti più affascinanti del film è il rapporto tra Mufasa e Taka (interpretato da Alberto Boubakar Malanchino per l’Italia), che diventerà in seguito Scar. I due cuccioli, uniti da un desiderio condiviso di appartenenza, sviluppano un legame fraterno che viene messo alla prova da circostanze esterne e ambizioni divergenti. Questo legame è esplorato attraverso la canzone “I Always Wanted a Brother”, che offre un toccante momento di introspezione, ma trasmette anche la gioia incontenibile di essersi trovati. Tuttavia, l’ombra del tradimento futuro è sempre presente, creando una tensione emotiva che culmina in una rivelazione sorprendente.

Dal punto di vista visivo, Jenkins opta per uno stile che bilancia il fotorealismo de Il Re Leone del 2019 con una maggiore espressività nei volti degli animali e un respiro molto più epico e avventuroso, dato da una maggiore ambizione dello sguardo rispetto a Jon Favreau. Jenkins ha una visione impeccabile della storia che vuole mettere in scena, aggrappandosi forte ai temi che vuole portare avanti e imparando a gestire un linguaggio, quello dell’animazione in CGI, che prima di questo film non conosceva. Il risultato è un

Rimpiangendo Hans Zimmer

Le musiche rappresentano un altro elemento di discussione. Mentre le tracce originali di Hans Zimmer e Lebo M continuano a evocare un forte impatto emotivo, le nuove composizioni di Lin-Manuel Miranda si dimostrano meno memorabili e a tratti fuori luogo. “Hakuna Mufasa”, una variazione di “Hakuna Matata”, offre un momento di sollievo comico ma manca della magia delle canzoni originali. Tuttavia, il brano corale “We Go Together”, ispirato a un proverbio africano, si distingue come uno dei punti salienti della colonna sonora, sottolineando i temi della solidarietà e della comunità. Il vero problema è che Miranda è indissolubilmente legato alle sue origini sudamericane, che gli hanno permesso nel tempo di arricchire di sonorità tipiche molti film di grande pregio, nonché il gioiello della sua produzione, il musical Hamilton. Confrontarsi con musicalità e tradizioni africane lo ha però messo in difficoltà, con il risultato che gli unici momenti in cui la colonna sonora brilla, sono quelli in cui è Zimmer a riecheggiare ancora una volta con potenza e emozione.

La famiglia di elezione e la dignità del singolo

Mufasa: Il Re Leone si fa promotore di due temi estremamente contemporanei e potenti. Da una parte il film fa sua l’idea di una famiglia che va oltre i legami di sangue e si costruisce, nel corso della vita, come una comunità legata da affinità elettive emotive e di intenti, da una consonanza di sentimenti che nasce spontanea, e non fa riferimento a gerarchie o al diritto di nascita. Allo stesso modo, il film insegna, con una “morale” perfettamente integrata nel tessuto narrativo, partendo dall’archetipico contrasto tra natura e cultura, che non è scritto nel nostro DNA cosa diventeremo e cosa siamo destinati a essere perché tutto dipende dalle nostre capacità e da quello che apprendiamo nel nostro percorso personale. Sono queste le caratteristiche che fanno di noi leader, servitori, seguaci, compagni per la vita, fratelli e anche avversari. Questo è particolarmente evidente nella trasformazione di Mufasa, il cui viaggio personale lo conduce a riconoscere che un vero re è definito non dal potere, ma dalla capacità di servire il suo popolo.

La storia di Mufasa non è certo rivoluzionaria o estremamente originale, ma offre una nuova prospettiva a quello che è il racconto classico de Il Re Leone, ne arricchisce senza dubbio la loro e per certi versi ne rende più pesante l’eredità e il messaggio. In questo suo rimando continuo all’originale, il film riesce comunque a trovare una propria voce e, probabilmente, anche un proprio posto nella videoteca del classici Disney. È un’opera che celebra la forza dell’umiltà e della comunità, offrendo una lezione tempestiva per le nuove generazioni e un’esperienza nostalgica ed emozionante per i fan di lunga data.

The Madison, lo spin-off di Yellostone aggiunge quattro nuovi membri al cast (tra cui uno del 1923)

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L’imminente spin-off di Yellowstone The Madison ha aggiunto quattro nuovi membri del cast al suo crescente elenco, tra cui un attore che ha un ruolo in 1923. La storia di The Madison segue Stacy Clyburn (Michelle Pfeiffer), una donna che trasferisce la sua famiglia da New York al Montana dopo la tragica morte del marito in un incidente aereo. Tra gli altri membri del cast che interpretano vari personaggi importanti figurano Patrick J. Adams, Elle Chapman, Matthew Fox, Beau Garrett, Amiah Miller e Ben Schnetzer. Al momento non è chiaro quanto sarà diretto il collegamento dello show con Yellowstone .

Ora, Variety ha confermato che quattro nuovi attori si uniranno a The Madison : Kevin Zegers, Rebecca Spence, Alaina Pollack e Danielle Vasinova. Zegers interpreta Cade, vicino di casa di Stacy e precedente custode della sua casa nel Montana. Spence interpreta Liliana Weeks, un’altra donna di New York City amica della protagonista. Polloack è Macy, la figlia di Abigail (Garrett), che ha familiarità con la vita a New York. E Vasinova è Kestrel, moglie di un ranchero del Montana con origini indigene. Tra tutti gli attori, Vasinova ha già familiarità con l’universo della serie, avendo recitato anche nella seconda stagione di 1923 nel ruolo di Ata Waipa.

Cosa significa l’ampliamento del cast di Madison per lo spinoff di Yellowstone

Vengono introdotte molte nuove prospettive

Alla fine di Yellowstone non sono stati fatti accenni al modo in cui The Madison si inserirà nel più ampio franchise, segnalando che lo show contribuirà a inaugurare un nuovo inizio per il suo universo. I nuovi personaggi mostrano quanto saranno ampie le prospettive dello spinoff, dai vicini e amici di Stacy a personaggi il cui ruolo più ampio non è ancora chiaro. Tuttavia, proprio come il numero di personaggi introdotti nella serie principale, questo spinoff potrebbe essere destinato a raccontare una moltitudine di storie complesse con i suoi nuovi arrivati.

L’aggiunta più curiosa resta comunque quella di Vasinova, il cui ruolo nella seconda stagione di 1923 sarà pienamente rivelato quando lo show tornerà nel febbraio 2025. Al momento non è chiaro se Kestrel e Ata Waipa abbiano un qualche tipo di legame l’una con l’altra, nonostante i 100 anni di distanza. Il suo personaggio potrebbe finire per essere il tessuto connettivo tra The Madison e Yellowstone, a seconda che la sua partecipazione a entrambi gli show sia stata pensata per evocare una connessione tra loro.

Barry Jenkins a Roma per Mufasa: “La leadership non è determinata dalla tua origine”

Dopo il travolgente successo del “live action” diretto da Jon Favreau nel 2019, la Disney torna nelle Terre del Branco con Mufasa: Il Re Leone, una storia prequel sul famoso papà di Simba che questa volta vede il coinvolgimento, sulla sedia di regia, del premio Oscar Barry Jenkins.

Cosa spinge un regista noto per il cinema indie a realizzare un costoso blockbuster per la Disney? Secondo Jenkins è stata la sceneggiatura. Ecco cosa ha raccontato alla stampa romana: “Non ho ancora capito come mai la Disney ha pensato a me, in che modo il regista di Moonlight poteva essere adatto a dirigere questo film. Quando sono venuti da me la prima volta ho risposto di no. Il mio agente mi ha chiamato, dicendomi che la Disney mi voleva per un film su Il Re Leone, e io ho risposto di no, senza neanche leggere la sceneggiatura. Ma lui mi ha risposto che non si poteva dire di no alla Disney, e così è passato del tempo. E visto che loro insistevano, io ho chiesto al mio agente di leggere la sceneggiatura per dirmi se fosse valida o meno, ma lui mi ha risposto che non poteva, era del materiale top secret a cui solo io potevo avere accesso. Dopo 8 giorni, mia moglie (la regista Lulu Wang, ndr) mi ha detto che ero stupido a rifiutarlo senza leggere, e così l’ho fatto. Avete visto i primi 39 minuti e 50 secondi di film perché è a questo punto che mi sono fermato, nella lettura, e ho pensato che ci fosse qualcosa di speciale in questa storia. La sceneggiatura mi ha convinto.”

Lui, come Greta Gerwig, Ryan Coogler, Chloe Zhao, ha parte di una generazione di registi indipendenti che hanno deciso di prestare il loro occhio al cinema mainstream. Come si spiega questo fenomeno?

Barry Jenkins – Foto Cortesia @Disney

“Negli anni ’70 e ’80 questi franchise non esistevano. E credo di far parte della prima generazione di registi che è cresciuta con quei franchise e che ora si trova ad avere la possibilità di dirigerne un pezzo. Quando la possibilità di dirigere questi film arriva a me non è come un elemento esterno che entra nella mia vita, ma è come una parte diversa della mia vita. Perché io divido la mia vita di spettatore in due fasi: i film che ho visto prima della scuola di cinema e i film che ho visto dopo la scuola di cinema.”

Scardinare una storia che tutti credono di conoscere da 30 anni

Come si racconta la storia di Mufasa, un personaggio che tutti credono di conoscere da 30 anni, ma che poi si rivela sorprendente?

“In tutto il mondo, chiunque sollevi in alto un pupazzetto di peluche sa che quel gesto fa riferimento a Rafiki che presenta Simba agli animali, è un gesto universale che da 30 anni tutto il mondo condivide e per questi 30 anni tutti abbiamo pensato che Mufasa è re perché è un leone saggio e giusto e discende dai re, che Scar è cattivo perché è nato cattivo. Eppure io ho sempre creduto alla differenza tra natura e cultura. All’inizio di questo film, Mufasa perde tutta la sua famiglia e viene trovato da Taka e dalla sua famiglia. Vediamo come il papà di Taka sia un pessimo padre e come invece sua madre, a cui viene affidato il piccolo Mufasa, insegni al giovane leone i segreti e gli equilibri della natura. Poteva succedere il contrario, è un caso che i due siano stati cresciuti con due modelli di genitorialità differenti. E diventano così degli adulti completamente diversi tra loro.”

Lo scontro tra natura e cultura, nel racconto di Barry Jenkins, si fonde anche con il giusto valore al merito a scapito della predestinazione di nascita, un tema che il regista sente molto suo.

“La leadership non è determinata dalla tua origine, in questo film. Questo è uno degli aspetti che ho amato di più, perché mi rispecchia. Io sono nato in un quartiere che ricorda molto la realtà di Moonlight, era difficile per me immaginare che avrei girato il mondo promuovendo un film de Il Re Leone che avrei diretto io, eppure eccomi qui, il film esiste e io sono qui. La vita che conduci e la comunità che costruisci intorno a te fanno la differenza.”

Mufasa è un film di Barry Jenkins

In che modo Mufasa è un film di Barry Jenkins?

“Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che poteva diventare un mio film, con tanto lavoro. Chi ha lavorato con me è stato molto paziente, dovevo capire bene come adattare questa  tecnologia al mio modo di lavorare, tenendo accanto a me il nucleo centrale della produzione, il direttore della fotografia e la montatrice. Chi ha lavorato agli effetti visivi del film è stato particolarmente paziente e gentile.”

Jenkins ha continuato spiegando come il lavoro con la motion capture non è stato possibile in questo processo di apprendimento. Mufasa: Il Re Leone infatti è stato realizzato a partire dalla colonna sonora, registrando tutte le voci dei personaggio, come fosse un radio dramma. Questa colonna è stata poi montata e storyboardata, e poi, alla fine, sui disegni, sono state realizzate le animazioni che non hanno coinvolto attori, ma animatori veri e propri che, con una tecnologia particolare hanno disegnato i personaggi con i loro movimenti. Barry Jenkins si è trovato quindi a dirigere il corpo degli animatori.

Moonlight (2016)In che modo Mufasa si connette ai suoi film precedenti?

“Credo che Mufasa e Chiron (protagonista di Moonlight, ndr) abbiamo moltissime cose in comune. Entrambi sono orfani e devono attraversare la vita da soli, per conoscere se stessi e il mondo in cui vivono, costruendosi intorno una realtà in cui sono degni di amore. Sto descrivendo sia l’uno che l’altro, e la cosa incredibile è che non l’ho scritto io Mufasa, ma è arrivato da me. La somiglianza più grande però la vedo nella sfera personale. Nel film, Mufasa incontra Taka, poi Rafiki, Sarabi e Zazu, e comincia a costruirsi una famiglia intorno con delle persone che lo amano e che lui ama. La sua vita diventa il risultato dei suoi incontri ed è quello che è successo a me, con i miei amici e i miei collaboratori che ormai sono la mia famiglia.”

Il film ha involontariamente rappresentato una preparazione a un lutto importante: “Mia madre è morta mentre facevo questo film. E non mi sono reso conto in che modo potente e folle questo film mi stava preparando al trauma della perdita di mia madre – ha raccontato Barry Jenkins – Mi è stato detto che i film che facciamo dovrebbero essere un riassunto delle nostre vite in quel momento, e guardandoli uno per uno dovresti sapere esattamente a che punto della vita eri quando lo hai girato. E con Mufasa posso farlo.”

Mufasa: Il Re Leone arriva al cinema il 19 dicembre, in tempo per le feste natalizie, e è distribuito da The Walt Disney Company Italia.

The Day Of The Jackal – stagione 1: spiegazione del finale

Il finale emozionante della prima stagione di The Day Of The Jackal ha concluso gran parte della trama della stagione, gettando le basi per la seconda stagione, già approvata. The Day of the Jackal è una rivisitazione moderna del film del 1973, a sua volta basato su un libro di Frederick Forsyth. La serie vede Eddie Redmayne nei panni del protagonista Jackal e Lashana Lynch in quelli della determinata agente dell’MI6 Bianca Pullman, che gli dà la caccia. Mentre le versioni precedenti sono ambientate in periodi molto precedenti alla serie TV, l’ultima versione offre una versione altamente contemporanea.

Nel corso della prima stagione, la serie ha creato una tensione incredibile, con il gioco del gatto e del topo tra lo Sciacallo e l’MI6 che si avvicinava sempre più alla conclusione. Nell’episodio 10, questa è arrivata e il destino dello Sciacallo è stato deciso, ma forse non nel modo in cui avrebbero immaginato coloro che conoscono le versioni precedenti della storia. In questo caso, The Day Of The Jackal ha un finale decisamente più luminoso, con spazio per il proseguimento della storia.

Come lo Sciacallo è sfuggito alla cattura nel finale della prima stagione

Nell’ultimo episodio della prima stagione di The Day Of The Jackal, il Sciacallo riesce a evitare la cattura. Nonostante la squadra di sicurezza di Ulle Dag Charles fosse proprio alle sue calcagna nel precedente episodio, la barca del Sciacallo riesce a seminare tutti e lui riesce a fuggire. Non è chiaro come o perché ciò sia accaduto, perché l’episodio 10 riprende con il Jackal già tornato sulla terraferma dopo aver evitato la cattura in mare.

Nonostante ciò, un superiore del capo dell’MI6 che stava dando ordini a Bianca arriva e dice loro di riaprire il caso. Con Bianca così vicina alla cattura dello Sciacallo, i potenti miliardari che lo hanno assunto per uccidere UDC stanno ora spingendo per catturarlo e ucciderlo, per evitare di dover pagare la ricompensa di 100 milioni di dollari per un lavoro ben fatto. Ma quando lo Sciacallo viene affrontato a casa sua, ha il vantaggio di giocare in casa e riesce a uccidere rapidamente ed efficacemente i suoi potenziali rapitori.

Perché la moglie dello Sciacallo è fuggita con il figlio

Tuttavia, il motivo per cui Jackal era tornato a casa era per prendere sua moglie Nuria e il loro figlio. Jackal aveva promesso che dopo questo lavoro avrebbe abbandonato la vita da assassino e avrebbe portato Nuria in qualsiasi parte del mondo. Nuria inizialmente voleva rimanere nella loro bella casa in Spagna, vicino a sua madre e suo fratello, ma quando Jackal la chiama, sente il panico nella sua voce. Non sono più al sicuro nella loro casa, il che probabilmente significa che tutti i suoi cari sono al sicuro.

Nuria ama suo marito, ma dopo la notizia bomba che Charles non era chi diceva di essere e che quello non era nemmeno il suo vero nome, ha deciso di tagliare i ponti e proteggere suo figlio. Ha preso i fondi di emergenza dalla sua cassaforte segreta e si è precipitata all’aeroporto prima che suo marito tornasse. Nonostante il suo affetto, la fiducia è andata perduta e la sicurezza di suo figlio doveva venire prima di tutto.

La spiegazione della morte di Bianca Pullman

Bianca Pullman ha lasciato il suo lavoro dopo che le è stato chiesto di rinunciare al caso Jackal. Dopo aver dedicato la sua vita a questa missione, al punto da rovinarsi la vita privata, le è stato detto di smettere. Poi è stata minacciata che, se avesse continuato, avrebbe perso il lavoro. Tuttavia, essendo testarda e ostinata, Bianca ha deciso di dimettersi prima che potessero mandarla via e cercare di ricostruire la sua vita familiare.

È riuscita a convincere il marito e la figlia a tornare a casa, ma quando il suo capo si è presentato alla sua porta dicendole che aveva ragione e che voleva rimandarla in missione, Bianca ha rifiutato. Nonostante ciò, suo marito ha capito quanto quell’offerta fosse importante per sua moglie e l’ha spinta ad andare comunque. Partì per la Spagna, cercando di seguire l’ultima pista, che la condusse proprio alla porta di casa dello Sciacallo. Dopo aver sorvegliato la casa, aver visto Nuria uscire con suo figlio e aver finalmente individuato lo Sciacallo, entrò in casa per catturarlo e affrontarlo. Tuttavia, lo Sciacallo aveva il sopravvento nella sua casa sicura e uccise Bianca rapidamente mentre lei era in piedi nella sua casa.

La vera identità dello Sciacallo svelata

Non è chiaro quanto sia sicura l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi eventi. Bianca ha espresso la sua teoria sul fatto che lui fosse in Spagna al suo capo, che poi si è rivelato lavorare sotto l’autorità del miliardario. Ma quando ha mandato Bianca a finire il Jackal, le ha detto di farlo in modo discreto. Ciò significa che le tracce potrebbero perdersi. Tuttavia, c’è una domanda sul corpo di Bianca lasciato nella sua casa. Il Jackal non era solitamente così negligente e avrebbe potuto dare fuoco alla casa, ma con l’avvicinarsi della fine della stagione, ha corso più rischi ed è diventato imprudente nel tentativo di agire rapidamente.

Non è chiaro quanto sia sicura l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi eventi.

Sebbene il suo nome e il suo volto siano ancora un mistero, ci sono più collegamenti che mai con lo Sciacallo, e i miliardari o l’MI6 potrebbero avere un’idea molto chiara di chi sia. Inoltre, l’MI6 ha interrogato le persone della piccola comunità di Cadice, in Spagna, dove viveva. Lo conoscevano con un nome diverso, e ora la morte e i guai sono arrivati nella loro comunità. Una potenziale fonte di informazioni è anche il fratello di Nuria, che crede che Charles sia il Sciacallo e ha accesso alle foto dell’uomo.

Come il finale della prima stagione prepara la trama della seconda stagione di The Day Of The Jackal

La seconda stagione de The Day Of The Jackal ha ancora molto da raccontare

La prima stagione di The Day Of The Jackal conclude molti dettagli, con la rivelazione della vera fedeltà dei vertici dell’MI6, l’uccisione dell’UDC e la sopravvivenza dello Sciacallo, ma c’è ancora molto da raccontare. Lo Sciacallo sta ora cercando di ritrovare sua moglie e suo figlio e ha reclutato Zina, la donna che ha fatto da intermediaria tra lui e i miliardari, per aiutarlo a trovarli. Anche Zina è ricercata, quindi collaborare è vantaggioso per entrambi.

Inoltre, lui ha un debito enorme con alcune élite aziendali disoneste che lo hanno messo in grave pericolo per il proprio tornaconto e ora stanno evitando di pagare il conto. E come se non bastasse, è più esposto che mai, con la sua identità segreta rivelata a diverse parti. Ci sono molti nodi da sciogliere e The Day of the Jackal – stagione 2 sarà sicuramente emozionante quanto la prima, se riusciranno ad affrontare bene questi elementi.

Come il finale della prima stagione di The Day Of The Jackal si confronta con il film e il libro

Tuttavia, il finale della serie The Day Of The Jackal è stato in realtà piuttosto diverso dal libro e dal film precedente. Mentre la storia è stata modernizzata, con armi, travestimenti, tecnologia e altro ancora, anche lo sciacallo è stato trasformato in un antieroe. I suoi metodi non giustificano necessariamente i mezzi, ma ci sono delle motivazioni e in generale sembra avere buone intenzioni.

Qui, i miliardari e i loro rapporti con i membri corrotti dell’MI6 sembrano essere i veri cattivi, mentre Bianca, la cui moralità era anch’essa ambigua, rimane coinvolta nella vicenda. Nelle storie originali, tuttavia, è lo Sciacallo a morire alla fine. Questo cambiamento significativo ha aperto la strada alla seconda stagione e fa sorgere la domanda: lo Sciacallo verrà ucciso nella seconda stagione di The Day Of The Jackal?

Conclave: guida al cast e ai personaggi, chi sono i Cardinali coinvolti?

Conclave è un mystery-thriller del 2024 che ruota attorno all’elezione di un nuovo Papa, e l’ensemble è completato da attori di immenso talento. Il nuovo film è diretto da Edward Berger, regista noto soprattutto per il film premio Oscar Tutto tranquillo sul fronte occidentale”. Conclave è il suo secondo adattamento di un denso testo di narrativa storica, basato sull’omonimo romanzo del 2016 dell’autore Robert Harris. Presentato in anteprima al Telluride Film Festival nell’agosto 2024, Conclave ha ricevuto recensioni positive, con un punteggio del 95% su Rotten Tomatoes e un 7,4/10 su IMDb.

Il film segue Thomas Lawrence, un cardinale incaricato di organizzare la successione di un nuovo papa dopo che il precedente è morto con misteri persistenti. Lawrence gioca un pericoloso gioco politico: i cardinali in lizza per il posto vacante cercano il suo favore, sapendo che la sua influenza sarà vitale per le loro possibilità di vincere l’elezione. Nel frattempo, continua a scoprire informazioni sui segreti del papa precedente, con conseguenti scoperte che riguardano i potenziali candidati. Conclave è nelle sale dal 19 Dicembre.

Ralph Fiennes nel ruolo del cardinale Thomas Lawrence

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Ralph Fiennes è un attore inglese che si è fatto notare per la prima volta per il ruolo dell’antagonista nel film drammatico di Steven Spielberg sulla Seconda Guerra Mondiale , Schindler’s List, che gli è valso la prima nomination all’Oscar. Poco dopo, ha recitato ne Il paziente inglese, un altro film che ha vinto come miglior film. Nel XXI secolo, Fiennes è diventato ampiamente riconoscibile per i suoi ruoli in vari film. I migliori film di Ralph Fiennes includono personaggi di franchising come Voldemort nella serie di Harry Potter e ruoli da protagonista in titoli acclamati dalla critica come Grand Budapest Hotel e Il menu.

Personaggio: Il cardinale Thomas Lawrence gestisce il processo di elezione del papa. È essenzialmente il capo dei cardinali, ma non si ritiene adatto a diventare il prossimo papa

Stanley Tucci nel ruolo del Cardinale Bellini

Stanley Tucci è un attore americano di Peekskill, New York, noto soprattutto per aver interpretato ruoli di supporto in un vasto assortimento di film e serie televisive, che gli sono valsi sei Emmy, due Golden Globe e nomination agli Oscar. Tra i suoi film più noti ricordiamo Il diavolo veste Prada, per il quale ha ricevuto una nomination all’Oscar, la serie Hunger Games , SpotlightJulie & Julia e altri ancora. Recentemente, ha condotto la popolarissima serie di documentari Stanley Tucci: Searching for Italy, che ha ricevuto ampi consensi e ammirazione.

Personaggio: Il cardinale Bellini è un amico intimo del cardinale Thomas che ha l’ambizione di diventare il nuovo papa.

John Lithgow nel ruolo del Cardinale Tremblay

Attore: John Lithgow è un attore americano di Rochester, New York, che ha costruito una carriera leggendaria nel cinema e nella televisione negli ultimi cinque decenni, interpretando numerosi personaggi iconici e apparendo in decine di opere acclamate dalla critica. All’inizio della sua carriera, Lithgow ha ricevuto consensi per essere apparso nei film di Brian De Palma, tra cui Obsession e Blow Out. In tempi più recenti, è noto per i suoi ruoli di supporto in film come Interstellar e Killers of the Flower Moon, oltre che in serie televisive come Perry Mason e The Crown.

Personaggio: Il cardinale Tremblay è uno dei contendenti per diventare il nuovo papa, ma possiede oscuri segreti.

Carlos Diehz: Cardinale Benitez

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Attore: Carlos Diehz è un attore messicano che si è cimentato nella recitazione solo di recente, il che significa che sarà un volto quasi del tutto originale per il pubblico che vedrà Conclave. Prima del film del 2024, i suoi unici crediti includevano due cortometraggi, The Vegan Vampire e It Gets Dark Too Early.

Personaggio: Il personaggio di Diehz è il Cardinale Benitez, un misterioso nuovo arrivato che continua a votare per Lawrence.

Cast e personaggi di supporto del Conclave

Isabella Rossellini nel ruolo di Suor Agnes: Isabella Rossellini ha contribuito con interpretazioni iconiche a film e spettacoli televisivi per oltre quattro decenni, tra cui un ruolo da protagonista in Velluto blu di David Lynch.

Sergio Castellitto nel ruolo del Cardinale Tedesco: Sergio Castellitto è un attore, regista e sceneggiatore italiano che ha lavorato a progetti nel suo paese d’origine per oltre quattro decenni, tra cui il film del 2004 Non ti muovere, che ha diretto e interpretato al fianco di Penelope Cruz.

Lucian Msamati nel ruolo del Cardinale Adeyemi: Lucian Msamati è un attore britannico-tanzaniano noto soprattutto per i ruoli in serie televisive come Gangs of London e Game of Thrones.

Brían F. O’Byrne nel ruolo di Monsignor Raymond O’Malley: Brían F. O’Byrne è un attore irlandese apparso in film e serie televisive come Million Dollar Baby, Before the Devil Knows You’re Dead e Mildred Pierce.

Merab Ninidze nel ruolo del Cardinale Sabbadin: Merab Ninidze è un attore georgiano noto soprattutto per aver lavorato in film e spettacoli europei, tra cui Nowhere in Africa e The Courier.

Conclave, la spiegazione del finale: cosa significa il segreto del nuovo Papa

Il finale di Conclave è memorabile e fa parlare di sé. Il film, diretto da Edward Berger su sceneggiatura di Peter Straughan, è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris. Le recensioni di Conclave sono state estremamente positive, con un punteggio elevato su Rotten Tomatoes e con un’attenzione particolare alla stagione dei premi. Il thriller politico si conclude con il conclave che ha votato un nuovo papa – il cardinale Vincent Benitez – dopo un lungo e arduo processo pieno di rivelazioni su intenzioni, etica e comportamento. Il cardinale Thomas Lawrence sembra un po’ deluso di non essere stato scelto come papa, nonostante in precedenza non fosse interessato alla posizione. Il libro di Robert Harris è uscito nel 2016 ed è diventato un best seller.

Dopo che il cardinale Benitez viene rivelato come nuovo papa al conclave, ma non ancora al pubblico, il cardinale Lawrence gli fa visita dopo essere stato messo al corrente di una procedura che Benitez ha quasi subito. Interpellato, Benitez rivela di essersi quasi sottoposto a un’isterectomia, ma di aver deciso di non farlo perché voleva valorizzare la persona che Dio ha fatto di lui. Il cardinale Lawrence è stupito perché non ne aveva davvero idea, ma non dice nulla agli altri cardinali sulla situazione di Benitez. Il Conclave si conclude con una fumata bianca che rivela che il nuovo Papa è stato finalmente eletto dopo molti giorni di segregazione.

La spiegazione del colpo di scena del Conclave del cardinale Benitez

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Il colpo di scena del Conclave di Benitez è destinato a sorprendere, soprattutto perché il cardinale sarebbe ora il primo papa a non essere nato maschio. Benitez è una persona intersessuale che ha creduto di essere maschio fino all’età adulta. Il suo sesso non è mai stato messo in discussione ed è stato mandato in seminario molto presto. Tuttavia, solo quando è stato ferito da un’autobomba in Afghanistan, un esame medico ha rivelato la verità: Benitez aveva l’utero. Ritenendo che ciò lo squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi, ma il Papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a isterectomia.

Alla fine il cardinale Benitez ha deciso di non sottoporsi all’isterectomia, scegliendo di rimanere come Dio lo ha creato. Benitez non ne parlò a nessuno, tranne che al Papa e al medico che lo visitò. La sua cartella clinica fu secretata ed egli continuò a essere un sacerdote prima che il defunto papa lo nominasse cardinale. Probabilmente Benitez continuerà a tenere segreto il fatto di avere un utero al resto dei cardinali – almeno per il momento. Ma ora che Benitez è papa, potrebbero decidere di rivelare la verità al resto dei cardinali, alla Chiesa cattolica e al mondo.

Perché Lawrence tiene nascosto il segreto di Benitez agli altri cardinali

Il cast di Conclave è composto da otto cardinali principali e dalla sorella Agnes di Isabella Rossellini, che non ha alcuna voce in capitolo nel conclave. Nel corso del film, il cardinale Lawrence scopre tutti i loro segreti e li tiene in riga per poter avere un’elezione giusta. Pur volendo rivelare ciò che gli altri cardinali nascondono, il cardinale Lawrence non rivela la verità sulla situazione del cardinale Benitez. Probabilmente perché Benitez è già papa quando Lawrence ne viene a conoscenza. Lawrence ritiene inoltre che Benitez sia sincero nella sua fede e che rivelare Benitez agli altri cardinali sarebbe un tradimento.

Credendo che questo lo squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi, ma il papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a isterectomia.

Inoltre, non è un segreto di Lawrence da rivelare, e dirlo agli altri cardinali non cambierebbe l’esito dell’elezione. C’è anche il fatto che gli altri cardinali avevano a che fare con ricatti e segreti che erano altrimenti sinistri e dannosi per la loro moralità. L’intersessualità di Benitez non era un caso di etica, e aveva il potenziale per cambiare positivamente la Chiesa cattolica. E se al defunto Papa andava bene che Benitez fosse così com’era, probabilmente andava bene anche a Lawrence.

Perché le ambizioni del cardinale Lawrence di diventare Papa sono cambiate

Il cardinale Lawrence ha cercato di gestire il conclave con il massimo senso di correttezza. È per questo che non era disposto a rimanere in silenzio quando scoprì ciò che il cardinale Tremblay stava facendo, soprattutto perché non lo avrebbe ammesso. Allo stesso tempo, Lawrence non era convinto di diventare Papa, nonostante Benitez avesse sempre votato per lui. Aveva i suoi dubbi, ma il fatto di essere rimasto relativamente neutrale per tutto il tempo, a parte la sua spinta per Bellini come papa, lo metteva anche in corsa.

La fiducia di Benitez in lui e la sensazione che ha provato dopo il suo discorso ai cardinali hanno iniziato a fargli cambiare idea sulla possibilità di vedersi o meno come papa dopo aver scartato l’idea con tanto fervore in precedenza. Con i suoi continui sforzi per un’elezione giusta, volendo sempre fare ciò che è meglio, e dopo aver visto quanto gli altri cardinali avrebbero fatto per rubare l’elezione, il cardinale Lawrence si è convinto che, dopo tutto, potrebbe essere una buona scelta per il papa. Lawrence passa dall’essere uno che dubita ad essere un po’ più sicuro man mano che il Conclave va avanti.

Tutto ciò che il Papa sapeva sui cardinali prima di morire

Mentre il Papa muore all’inizio del Conclave, si scopre che sapeva molto di più sui cardinali di quanto avesse lasciato intendere. Il defunto papa sapeva che il cardinale Tremblay stava corrompendo altri cardinali nel tentativo di ottenere i loro voti. Per questo motivo chiese le dimissioni di Tremblay, che non avvennero mai perché morì poco dopo. Il Papa sapeva anche di Benitez, e lo ha nominato cardinale “in pectore” poco prima di morire, all’insaputa degli altri cardinali fino a quando Benitez non si è presentato poco prima dell’inizio del conclave. Di certo, il Papa sapeva molte cose che non aveva rivelato.

Cosa cambia il Conclave rispetto al libro

Uno dei maggiori cambiamenti riguarda il nome del cardinale Lawrence. Nel romanzo, egli è il cardinale Lomeli, ma poiché Ralph Fiennes interpreta il ruolo in Conclave, e non è italiano, è possibile che il cognome sia stato cambiato per riflettere questo fatto. Inoltre, l’arrivo di una suora dalla Nigeria mette in difficoltà il cardinale Adeyemi. Si tratta di una persona del suo passato, anche se si scopre che il cardinale Tremblay ha chiesto il trasferimento della suora in Vaticano per far arrabbiare Adeyemi e impedirgli di vincere. La suora è presente anche nel libro, ma gli eventi relativi a questa sottotrama si svolgono in modo leggermente diverso.

Per il resto, Conclave è un adattamento abbastanza fedele del libro di Harris. Dal ricatto del cardinale Tremblay all’esplorazione interiore del cardinale Lawrence sulle proprie ambizioni e al colpo di scena a sorpresa del cardinale Benitez alla fine, l’adattamento cinematografico di Berger è fedele alla storia e ai suoi dettagli. Ci sono molti adattamenti che apportano cambiamenti drastici o tralasciano molte cose, ma Conclave, come i cardinali Lawrence e Benitez, è fedele.

Il vero significato del Conclave

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Conclave parla molto di tradizioni, di cambiamenti e dell’intersezione di questi due aspetti. Concentrandosi sul conclave, il film sottolinea le usanze della Chiesa cattolica che sono state portate al presente, mentre i personaggi – i cardinali Lawrence, Benitez e Bellini – si interrogano e riflettono sulla strada da seguire e sui cambiamenti che la Chiesa cattolica deve fare per sopravvivere in un mondo in continua evoluzione. Si tratta anche del tumulto interiore e dell’inquietudine dei cardinali, che hanno tutti opinioni diverse, e di come possano essere un fronte unito per i loro parrocchiani.

Il conclave li vede a un bivio. L’isolamento dagli altri è una manifestazione fisica del loro non essere troppo coinvolti nel mondo circostante. Alcuni degli intrallazzi politici dei cardinali sono più legati alla vittoria che alla volontà di aiutare. I personaggi si interrogano sul loro ruolo, e Lawrence è particolarmente dubbioso: vorrebbe come papa qualcuno che non è sicuro delle cose, perché questo rende più disposti a cambiare e a tracciare un percorso in avanti piuttosto che rimanere rigidamente bloccati nei modi del passato. Il segreto di Benitez è forse il modo migliore e più inaspettato per far progredire completamente la Chiesa cattolica.

Siviglia 1992 di Netflix è basato su una storia vera?

La serie Siviglia 1992 di Netflix presenta molte trame realistiche e personaggi con cui è facile identificarsi, rendendo difficile non chiedersi se sia basata su una storia vera. Quando si tratta di thriller sui serial killer, alcuni sembrano adattare direttamente le storie di persone coinvolte in crimini violenti realmente accaduti. Ad esempio, la controversa serie Netflix Monster, in ogni stagione sceglie un serial killer realmente esistito e ripercorre la serie di crimini da lui commessi e le potenziali motivazioni che lo hanno spinto a uccidere. Ci sono poi altre serie che attingono solo da eventi reali che hanno coinvolto serial killer, ma adottano narrazioni originali.

Cross di Prime Video è l’esempio perfetto di questo approccio perché, anche se contiene molti riferimenti a serial killer reali, il personaggio centrale è fittizio. L’approccio adottato da Siviglia 1992 di Netflix sembra abbastanza simile all’adattamento di Alex Cross di Prime Video perché, nonostante i molti elementi fittizi nella narrazione, la serie cerca di includere una parvenza di realismo. Sebbene sia discutibile se l’approccio di 1992 funzioni efficacemente, riesce comunque a radicare la serie in un mondo che sembra allo stesso tempo familiare e terrificante.

Siviglia 1992 non è basato su una storia vera

Siviglia 1992

La serie offre retroscena realistici ai suoi personaggi

Per quanto alcuni elementi di Siviglia 1992 possano sembrare realistici, la serie TV non è basata su una storia vera. Molti aspetti dei metodi e delle motivazioni del killer del lanciafiamme, personaggio centrale della serie, sembrano anche un po’ esagerati nella serie spagnola di Netflix. Tuttavia, la serie riesce ad aggiungere molti livelli di realismo al personaggio, sostenendo le sue azioni con una solida storia di fondo. Anche per quanto riguarda gli altri personaggi della serie, Siviglia 1992 li rende più umani e riconoscibili, dando un assaggio di come sono le loro vite al di là dei misteri centrali e degli eventi che li circondano.

Ad esempio, 1992 descrive in modo realistico come un personaggio di nome Richi perda tutto, dal lavoro alla famiglia, a causa dell’alcolismo. La serie mette in evidenza come, nonostante abbia perso tutto, Richi lotti per rompere il circolo vizioso della sua dipendenza. Ci sono persino momenti in cui decide di smettere di colpo. Purtroppo, nonostante i suoi sforzi, Richi fatica a controllare il suo alcolismo, che gli impedisce di realizzare il suo vero potenziale come investigatore. Oltre a questo, 1992 adotta in modo interessante alcuni espedienti narrativi tratti dalla vita reale per coinvolgere efficacemente gli spettatori nel suo dramma poliziesco.

L’Expo di Siviglia del 1992 e la mascotte Curro sono reali

Siviglia 1992

Siviglia 1992 di Netflix adotta un’ambientazione reale nella sua linea temporale passata

Il titolo 1992 fa riferimento all’Expo di Siviglia del 1992, un evento reale che ha celebrato il 500° anniversario dell’arrivo di Cristoforo Colombo in America dopo essere salpato dal porto di Siviglia. Come mostrato nel film, Curro era la mascotte ufficiale della fiera, che rappresentava un uccello gigante bianco con le zampe di un elefante e un becco color arcobaleno. A differenza dell’Expo raffigurata in 1992 di Netflix, tuttavia, quella reale fu un successo e i suoi padiglioni furono smantellati solo dopo la sua conclusione.

Nessuno morì durante gli eventi che circondarono la fiera originale e nessun serial killer nella vita reale ha mai usato la mascotte della fiera come maschera mentre commetteva i suoi crimini. Nella serie, un gruppo di uomini potenti usa anche l’Expo di Siviglia del 1992 come piattaforma per chiedere illegalmente denaro al governo. Il racconto di Siviglia 1992 è interamente fittizio, poiché non ci sono prove che durante la fiera si siano svolte attività corrotte di questo tipo.

Kraven – Il Cacciatore, la spiegazione del finale: come il personaggio Marvel diventa il cattivo del fumetto

Kraven – Il Cacciatore si conclude come ci si aspetterebbe considerando il resto dei film dell’universo di Spider-Man della Sony. Con Aaron Taylor-Johnson nei panni del protagonista Sergei Kravinoff, la fine del film vede Kraven diventare pienamente il cattivo dell’Uomo Ragno che è conosciuto nei fumetti e presenta anche alcune divertenti rivelazioni secondarie. Detto questo, l’evoluzione malvagia di Kraven non è così soddisfacente come molti speravano.

In Kraven – Il Cacciatore (la nostra recensione)vengono esplorate la storia e le origini di Sergei Kravinoff con suo padre Nikolai (Russell Crowe) e la sua missione nel presente per salvare il fratellastro Dimitri (Fred Hechinger) da Rhino (Alessandro Nivola). Tuttavia, il finale presenta alcune strane scelte dei personaggi in base a quanto stabilito in precedenza nel nuovo film Marvel. Per questo motivo, ecco la spiegazione del finale di Kraven – Il cacciatore e cosa potrebbe significare per il futuro.

La spiegazione del finale di Kraven – Il Cacciatore 

Un anno dopo che Sergei ha salvato il fratello e ucciso sia il Rinoceronte che Nikolai, Kraven torna a casa del padre dopo che il fratello gli ha detto che il padre gli ha lasciato qualcosa. Aprendo una scatola, Sergei scopre che Nikolai ha preso la testa del leone che lo ha quasi ucciso da bambino e l’ha fatta diventare un gilet. Per questo motivo, il Sergei di Aaron Taylor-Johnson assomiglia al Kraven dei fumetti Marvel originali quando indossa il gilet con la testa di leone e si siede, appoggiando il mento su un braccio.

Kraven – Il Cacciatore termina con Sergei che rispecchia l’aspetto e la posa classica di Kraven dei fumetti. Questo significa la sua piena evoluzione nel cattivo di Spider-Man che è conosciuto nei fumetti, dandogli il look in costume, quasi richiesto dai fumetti, nel terzo atto, che il pubblico si aspetta dal genere dei film di supereroi.

Cosa significa che Kraven – Il Cacciatore indossa la giacca del leone

Al di là del significato fumettistico, il fatto che Kraven – Il Cacciatore indossi il giubbotto significa anche una svolta più oscura per il personaggio. Il biglietto di accompagnamento del defunto padre di Sergei conteneva le affermazioni di Nikolai secondo cui lui e Kraven erano uguali, cacciatori leggendari da temere. Nonostante l’odio di Sergei per il padre, sembra che questa lettera, unita alla precedente conversazione con Dimitri (che ha espresso sentimenti simili), abbia spinto Kraven ad abbracciare la strada che il padre voleva per lui, quella del Cacciatore. A tal fine, l’apparente accettazione da parte di Sergei di non essere un brav’uomo è l’unica ragione che ha senso per cui ha indossato il giubbotto, tanto per cominciare.

Come il finale prepara il ritorno di Kraven – Il Cacciatore di Aaron Taylor-Johnson

Ora che Sergei è diventato ufficialmente il Kraven dei fumetti, in teoria potrebbe tornare come cattivo di Spider-Man. Detto questo, è stato recentemente riportato che Kraven – Il Cacciatore è l’ultimo dei film SSU della Sony a non avere come protagonista l’iconico Webslinger. Le probabilità che il Kraven di Taylor-Johnson possa mai combattere contro Spider-Man sono molto scarse, a meno che non accada qualcosa di multiversale nel MCU in cui le sue strade si incrociano con lo Spider-Man di Tom Holland, o che qualcosa come l’universo della Sony finisca per combinarsi con il MCU in seguito a Secret Wars.

La spiegazione della morte di Nikolai Kravinoff: Kraven lo ha ucciso?

Prima di indossare il giubbotto e di saltare un anno, Kraven viene mostrato mentre incontra suo padre nella foresta dopo che Rhino è stato ucciso e Dimitri salvato. Non volendo diventare l’erede del padre e prendere il controllo del suo impero criminale, Sergei rimuove di nascosto i proiettili dal fucile di Nikolai. Allo stesso modo, è fortemente implicito che Sergei abbia influenzato l’orso grizzly ad attaccare e sbranare il padre, proprio come ha influenzato la mandria di bisonti ad attaccare il convoglio durante la lotta con Rhino e il lupo durante l’evasione dalla prigione di Sergei nelle scene iniziali di Kraven – Il Cacciatore.

Perché Kraven ha attaccato suo padre

Dopo aver appreso da Rhino che era stato Nikolai a incastrarlo e a metterlo nel mirino di Aleksei Sytsevich, Sergei ha finalmente inseguito il padre dopo anni di distanza. Questo perché Nikolai ha usato consapevolmente un figlio per uccidere una minaccia che non poteva, rischiando anche l’altro figlio come danno collaterale accettabile. Per questo motivo, Kraven non poteva più sopportare l’oscurità del padre e il dolore che portava nel mondo, da cui l’attacco dell’orso.

Come Dmitri è diventato camaleonte

L’incontro tra Sergei e Dimitri nelle scene finali di Kraven – Il cacciatore rivela che Dimitri ha rilevato sia l’impero del padre che i beni di Rhino. Allo stesso modo, Dimitri rivela di aver incontrato lo stesso medico di New York che ha dato a Sytsevich la forza, le corna e la pelle indurita. Avendo ora la capacità di assumere le sembianze di chiunque a proprio piacimento, Dimitri diventa ufficialmente il classico cattivo di Spider-Man noto come il Camaleonte, un maestro del travestimento che un tempo utilizzava maschere antiquate e tecnologie avanzate prima di acquisire l’abilità intrinseca di mutare forma, proprio come il nuovo Camaleonte della Marvel sullo schermo.

La classica testa completamente bianca del Camaleonte dei fumetti può essere vista anche mentre Dimitri cambia il suo volto a piacimento. Allo stesso modo, il medico newyorkese in questione non è altro che il genetista Miles Warren, alias lo Sciacallo. Warren è famoso soprattutto per aver istigato la Saga dei Cloni di Spider-Man nei fumetti con la creazione di diversi cloni, in particolare dei Ragni Scarlatti, conosciuti come Ben Reilly e Kaine Parker.

Perché Camaleonte ha preso il controllo dell’impero criminale del padre

È davvero una strana decisione quella di Dimitri di rilevare l’impero del padre alla fine di Kraven – Il Cacciatore. Nonostante abbia accusato Sergei di essere proprio come il padre, che entrambi odiavano, Dimitri sceglie comunque di diventare come lui. Ciò è ancora più sconcertante se si considera quanto volesse diventare qualcun altro prima, e soprattutto ora con i suoi nuovi poteri. L’unica spiegazione accettabile per questa scelta è che probabilmente c’è ancora un ciclo di abusi in corso, in cui Dimitri vuole ancora rendere orgoglioso Nikolai, anche dopo la sua morte (e nonostante tutto il dolore e il tormento che gli ha causato).

Che fine ha fatto Calypso?

Durante la battaglia con Rhino e i suoi uomini, Calipso (Ariana DeBose) uccide lo Straniero (Christopher Abbott) prima di dare a Sergei un’altra pozione della sua famiglia in vista dello scontro con Sytsevich. Tuttavia, Calypso non viene più vista, rendendo il suo futuro incerto. Detto questo, si può probabilmente ipotizzare che Calypso sia tornata a lavorare a Londra e che probabilmente collaborerà di nuovo con Kraven – Il Cacciatore per aiutarlo a scovare altri bersagli in futuro. È anche logico che Sergei voglia saperne di più sulla pozione che gli ha salvato la vita per ben due volte, soprattutto dopo la conferma che Calypso aveva un altro elisir.

Il vero significato del finale di Kraven – Il Cacciatore spiegato

In definitiva, il vero significato del finale di Kraven – Il Cacciatore è piuttosto difficile da decifrare completamente, considerando la natura generale del terzo atto, così come le decisioni probabilmente inusuali di Sergei e Dimitri dopo la morte del padre. Ciò è particolarmente vero per la decisione di Kraven di non solo indossare il dono del padre, ma anche di uccidere Nikolai. Per esempio, avrebbe avuto più senso per Kraven rompere il ciclo dell’oscurità risparmiando la vita del padre.

Inoltre, avrebbe potuto avere più senso che Sergei scartasse il giubbotto dopo averlo provato, invece di abbracciare troppo rapidamente la strada che suo padre gli ha tracciato negli ultimi due minuti di Kraven – Il Cacciatore. In ogni caso, sembra proprio che il finale del film sia troppo affrettato. Semplicemente, non sfrutta appieno il potenziale che era stato creato in precedenza nel nuovo film della Marvel.

Il trailer di Kraven – Il Cacciatore

The Day Of The Jackal – Stagione 2: la prossima missione dello sciacallo anticipata dai produttori esecutivi

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Gli EP di The Day Of The Jackal anticipano le missioni della seconda stagione dello Sciacallo (Eddie Redmayne) e le sue motivazioni dopo il colpo di scena della prima stagione, che ha portato il remake televisivo su una strada diversa rispetto al film di Fred Zinnemann del 1973 e al romanzo di Frederick Forsyth del 1971. Non solo lo Sciacallo riesce a portare a termine un altro colpo quasi impossibile, ma sopravvive anche all’incontro faccia a faccia con l’agente dell’MI6 Bianca Pullman (Lashana Lynch), che avrebbe dovuto catturarlo.

Gareth Neame e Nigel Marchant, i produttori esecutivi della serie, spiegano a The Hollywood Reporter cosa succederà allo sciacallo nella seconda stagione, che ha già ricevuto il via libera. Neame rivela che “c’è una questione importante in sospeso” per lo sciacallo , con la moglie e il figlio dispersi e un debito da saldare. Marchant aggiunge che “sanno qual è la sua priorità, in termini di quale sarà la sua prossima missione”, ovvero la sua famiglia, ma se lo sciacallo avrà successo lo scopriremo nella seconda stagione. Ecco cosa hanno detto:

Neame: C’è una questione importante in sospeso.

Marchant: In realtà sappiamo qual è la sua priorità, in termini di quale sarà la sua prossima missione. Sta cercando di trovare [la sua famiglia]. Se ci riuscirà o meno, staremo a vedere.

Cosa significa questo per The Day Of The Jackal – Stagione 2

Eddie Redmayne in The Day Of The Jackal

Lo sciacallo è impegnato in una missione diversa

Sembra che la seconda stagione riprenderà da dove si è conclusa la prima. Lo sciacallo ha dovuto lottare molto durante la sua ultima missione per eliminare un miliardario del settore tecnologico, Ulle Dag Charles, alias UDC (Khalid Abdalla). Assoldato dal concorrente Dance Timothy Winthrop (Charles Dance), l’assassino avrebbe dovuto impedire il lancio di River. Tuttavia, lo sciacallo non riesce a sparare al momento del lancio. Ci riprova nel finale di due episodi e porta a termine il lavoro.

La complicazione è seguita da un altro problema quando lo sciacallo incontra Zina (Eleanor Matsuura), che dovrebbe consegnargli il resto del compenso, ma Winthrop non ha intenzione di pagare per l’omicidio e ha messo entrambi nel mirino. C’è un debito da saldare, ma lo sciacallo lascia l’incontro, lasciando intendere che prima andrà a cercare sua moglie e suo figlio. Il commento dei produttori esecutivi conferma la destinazione del soldato d’élite diventato assassino di Redwayne e il diverso tipo di missione che condurrà nella seconda stagione.

Matt Murdock è sul caso nella nuova immagine di Daredevil: Born Again

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Il ritorno di Matt Murdock (Charlie Cox) è quasi vicino. TV Line ha pubblicato una nuova immagine di Daredevil: Rinascita, la prossima serie televisiva Disney+ che segnerà il ritorno dell’eroe introdotto nello show di Netflix. La nuova immagine mostra Charlie Cox nei panni di Matt Murdock e, sebbene il personaggio possa sembrare un innocente avvocato che cerca semplicemente di rendere il mondo un posto migliore, Murdock punisce segretamente i criminali di New York City come Daredevil. L’imminente serie televisiva porterà il protagonista lungo un percorso che lo ricongiungerà al suo più grande nemico, il Kingpin (Vincent D’Onofrio).

Daredevil: Born Again ha subito un complicato processo di sviluppo da parte di Disney+. Quando Netflix ha deciso di staccare la spina a Daredevil, molti fan in tutto il mondo volevano ancora vedere altre grintose avventure del vigilante. Fortunatamente, Charlie Cox è tornato a vestire i panni di Matt Murdock durante gli eventi di Spider-Man: No Way Home. Quella che era iniziata come una piccola apparizione nel sequel guidato da Tom Holland si è trasformata in un ritorno in She-Hulk: Attorney at Law e in Echo di quest’anno. Il palcoscenico è stato preparato perché Daredevil possa divertire ancora una volta il pubblico quando salverà la città in Daredevil: Born Again.

Alcuni vecchi amici tornano in Daredevil: Born Again

Matt Murdock e Wilson Fisk non saranno gli unici personaggi della serie Netflix a tornare in televisione dopo la prima di Daredevil: Born Again. Karen Page (Deborah Ann Woll) e Foggy Nelson (Elden Henson) torneranno per aiutare Matt Murdock nella sua vita da avvocato. Oltre a riunirsi con i suoi amici, Daredevil incrocerà ancora una volta il suo rivale di sempre, il Punitore (Jon Bernthal).

Daredevil: Born Again debutterà su Disney+ il 4 marzo 2025. Fino ad allora, le prime tre stagioni di Daredevil sono disponibili in streaming su Disney+.

Iscriviti a Disney+ per guardare Daredevil: Born Again e molto altro. Dove vuoi, quando vuoi.

Dream Productions: recensione della nuova serie nel mondo di Inside Out

Sulla scia del travolgente successo al box office di Inside Out 2, arriva Dream Productions (qui il trailer), la nuova serie animata ambientata nello stesso universo Pixar, che arricchisce il mondo di Riley. La serie, diretta da Mike Jones e prodotta da Jaclyn Simon, adotta lo stile del mockumentary per raccontare le vicende dello studio cinematografico all’interno della mente della giovane protagonista, dove i sogni prendono forma ogni notte, con un’attenzione maniacale ai dettagli ma sempre rispettando tempi e budget.

Un vero e proprio set, insomma, con tutti i pregi, i difetti, le situazioni di scontro e quelle irresistibilmente comiche. Disponibile dal 20 dicembre in esclusiva su Disney+, Dream Productions si fonda principalmente su un umorismo leggero indirizzato alla rappresentazione della vita di set, che riesce a virare su riflessioni più intime e profonde quando lo sguardo si allarga verso il mondo della protagonista.

Dream Productions propone una storia brillante e surreale

La trama si sviluppa tra gli eventi di Inside Out e Inside Out 2. Riley si sta affacciando all’adolescenza, un periodo cruciale in cui emozioni e ricordi vengono continuamente rielaborati. È qui che entra in scena la Dream Productions, il reparto che trasforma i ricordi e le emozioni in sogni: dai semplici episodi notturni alle narrazioni più elaborate che aiutano Riley a elaborare i momenti più complessi della sua vita, talvolta aiutandola a prendere delle decisioni. Al centro della serie troviamo la regista Paula Persimmon (doppiata in originale da Paula Pell), un’esperta professionista che deve affrontare una sfida impegnativa: creare un sogno di successo collaborando con Xeni (Richard Ayoade), un regista ambizioso e sperimentale proveniente dal reparto “sogni a occhi aperti”.

Questa dinamica tra Paula e Xeni rappresenta una parte importante della serie, a cui si unisce anche il viaggio personale di Janelle (Ally Maki) la brillante assistente di Paula che cerca la promozione e la sua possibilità di diventare regista dei sogni di Riley. La prima è una veterana pragmatica, abituata alle difficoltà di produzione, il secondo è un sognatore, pieno di idee stravaganti ma poco pratiche, la terza è il contraltare perfetto per Paula: giovane, aperta al cambiamento, l’ideale per accogliere i nuovi sogni da adolescente della loro bambina. L’interazione tra queste tre spinte differenti dà vita a momenti di grande comicità e rappresenta una metafora del contrasto tra creatività e realismo, tra passato e presente, un tema che risuona non solo nel mondo del cinema, ma anche nella vita quotidiana.

Il fascino dello stile mockumentary

L’approccio mockumentary permette di esplorare il mondo di Riley da un punto di vista ironico e metanarrativo. Gli spettatori sono introdotti ai dettagli dello studio di produzione, completo di dipendenti bizzarri, problemi tecnici, e pressioni lavorative che riflettono situazioni comuni nel mondo reale e nella vita di set. Questo stile dà alla serie freschezza e rende Dream Productions accessibile sia ai bambini, che apprezzeranno l’umorismo slapstick e le situazioni surreali, sia agli adulti, che coglieranno le sfumature più satiriche e riflessive.

I sogni: tra ordine e caos

Se Dream Productions soffre dello stesso “difetto” di Inside Out – ovvero il bisogno di razionalizzare qualcosa di intrinsecamente irrazionale – lo fa con una consapevolezza che rende questo limite quasi perdonabile. La narrazione non si perde mai completamente nella logica, lasciando spazio a momenti surreali e imprevedibili che mantengono viva la magia del mondo Pixar.

Uno dei punti più interessanti, ma anche più controversi, di Dream Productions è il modo in cui cerca di dare una struttura organizzata ai sogni. Questo approccio è coerente con il mondo di Inside Out, dove la mente umana è rappresentata come un sistema altamente ordinato, ma rischia di allontanarsi dall’essenza stessa del mondo onirico, che per definizione è caotico e destrutturato.

Nonostante ciò, la serie riesce a trovare una strada costruttiva, soprattutto per il pubblico più giovane. Dream Productions suggerisce che i sogni non sono solo una fuga dalla realtà, ma possono servire come strumento per affrontare e dipanare le difficoltà. Che si tratti di un’idea illuminante o di un conforto in un momento difficile, i sogni sembrano fornire un supporto che viene da dentro di noi, quasi a suggerire che abbiamo già tutte le risorse necessarie per affrontare le nostre sfide.

Il mondo di Iside Out si arricchisce

Dream Productions si inserisce con grazia nell’universo di Inside Out, arricchendolo con nuovi personaggi e un’ambientazione originale. Nonostante i design pigri dei personaggi protagonisti, persino più pigri di quelli delle “classiche” emozioni alla consolle di Riley, e qualche limite nella rappresentazione del mondo onirico, riesce a intrattenere con uno scopo costruttivo, perfetto per i più giovani ma in grado di parlare anche agli adulti. Se vi manca la mente di Riley, l’uscita su Disney+ di questa serie è provvidenziale.

Kraven – Il Cacciatore, recensione del film con Aaron Taylor-Johnson

Ultimo chiodo sulla bara del SSU (il Sony Spider-Man Universe) è stato affidato a Kraven – Il Cacciatore, in sala dall’11 dicembre e che vede protagonista Aaron Taylor-Johnson nell’antieroe/protagonista/villain/paladino della giustizia del titolo, un ruolo non meglio definito per un personaggio che nei fumetti è inequivocabilmente e splendidamente cattivo. Tra azione sanguinaria, performance altalenanti e una sceneggiatura che definire lacunosa è dire poco, il cacciatore perfetto arriva in sala ma finisce per essere l’unica vittima di un progetto perdente a monte. Perché se si vuole raccontare la nascita di un villain e se pure si vogliono trovare le ragioni della sua cattiveria nella sua Origin story, bisogna pur prendere una posizione e andare fino in fondo con la discesa nel lato oscuro del personaggio. Niente in tutto Kraven – Il Cacciatore ci fa pensare che Sergei possa mai diventare cattivo.

La storia di Kraven – Il Cacciatore

Il film si concentra sulla storia di Sergei Kravinoff, alias Kraven, interpretato da Aaron Taylor-Johnson, un uomo segnato dalla complessa e tormentata relazione con il padre spietato e ambizioso, Nikolai Kravinoff (Russell Crowe). Cresciuto sotto questa influenza, Sergei intraprende un cammino di vendetta che lo porterà a diventare il più grande cacciatore del mondo. La sua trasformazione in un predatore implacabile è scandita da eventi brutali e azioni che mettono in luce la sua natura bestiale. Almeno nelle intenzioni e nella (quella sì) splendida messa in scena dei movimenti ferini del personaggio.

Purtroppo, il film soffre di una scrittura goffa, talmente scombinata da risultare sorprendente per le svolte illogiche che prende la storia. Un peccato per Taylor-Johnson che offre una performance fisica notevole, nonostante sia sottoposto costantemente allo sguardo concupiscente della macchina da presa che non fa altro che inquadrarlo come un oggetto sexy, cosa che risulta oltremodo imbarazzante. Una cosa del genere, nel mondo dei cinecomics, non è mai avvenuta per una donna, con buona pace delle femministe che millantano film di supereroi con personaggi femminili oggettificati: il cinema di genere ha sempre reso i corpi maschili oggetti esposti allo sguardo (la schiera dei Chris della Marvel ne è un perfetto esempio).

Aaron Taylor-Johnson si difende come può

Certo Aaron Taylor-Johnson si difende come può, offrendo davvero una performance fisica accattivante, il che rende ancora più acuto il rammarico di averlo visto “sprecato” in un film in cui non può combattere contro il suo nemico naturale: Spider-Man. Non ci sono riferimenti diretti all’eroe anche se non si è resistito all’inserire nella storia una sequenza onirica in cui il più grande cacciatore di tutti i tempi fronteggia le sue paure, che, guarda caso, sono proprio dei ragnetti. L’attore è protagonista di un paio di sequenze d’azione ben congenite, segno che il regista J. C. Chandor non ha lasciato sempre guidar Neil pilota automatico ma che ogni tanto ha buttato un occhio in campo. Queste sequenze, insieme al citato protagonista e a Fred Hechinger, che nel film interpreta Dimitri, fratello minore di Sergei, costituiscono gli unici elementi di interesse in un film che sembra essere stato buttato via, senza interesse da parte di alcuno a realizzarlo con dignità.

Al disastro di Kraven – Il Cacciatore contribuisce anche, purtroppo, un doppiaggio italiano che trova nell’accento russo maccheronico di Russell Crowe il suo punto di maggiore imbarazzo, per non parlare del personaggio di Calipso, del premio Oscar Ariana De Bose, il cui irresistibile carisma sembra completamente sparire dietro a un personaggio insulso.

Non si può fare un film su un villain di Spider-Man senza Spider-Man

Non è possibile realizzare dei progetti convincenti se non si parte dalla storia, a maggior ragione se questa storia, di base, prevede uno scontro tra bene e male. Se si elimina una delle due componenti dall’equazione, la storia non sta in piedi ed è davvero complicato, a meno che non si opti per una soluzione à la Venom (un Buddy movie di serie B con un certo fascino), mettere insieme un film credibile. I villain di Spider-Man senza Spider-Man non sembrano avere senso di esistere, e così i film a loro dedicati. E no, non basta un divieto ai minori per rendere buono un film mediocre.

Cent’anni di solitudine è basata su una storia vera? Ecco tutto quello che sappiamo sulla serie Netflix

Netflix sta andando alla grande con i suoi adattamenti di fanzione. Certo, ha avuto la sua parte di successi e insuccessi quando si tratta di live-action, ma il catalogo continua a espandersi e a far crescere l’hype. Hanno trovato la salsa segreta per il successo, anche con qualche intoppo lungo la strada, e ora si stanno tuffando in uno degli adattamenti più interessanti di Cent’anni di solitudine. I topi di biblioteca potrebbero non aver bisogno di queste presentazioni, poiché il titolo è sufficiente a far salire l’attesa. 

Dolly Parton ha festeggiato il suo anniversario di matrimonio da McDonald’s

Per i non addetti ai lavori che si chiedono se questa storia sia basata sulla vita reale, ecco tutto quello che c’è da sapere sulla serie, la trama e molto altro ancora.

Cent’anni di solitudine su Netflix: Realtà o finzione?

Cent’anni di solitudine è un romanzo del 1967 di Gabriel García Marquez che racconta l’epopea della famiglia Buendía attraverso più generazioni. Al centro di questa storia c’è il patriarca della famiglia, José Arcadio Buendía, che ha fondato la città immaginaria di Macondo. Se da un lato offre una lente metaforica e critica sulla storia colombiana, dalle sue origini ai tempi moderni, dall’altro il libro è un brillante esempio di realismo magico, che intreccia il mito in una narrazione fittizia per riflettere gli eventi storici.

La serie prevede un totale di 16 episodi, divisi in due parti da otto episodi ciascuna. Netflix ha appena annunciato la data della prima parte, che debutterà l’11 dicembre 2024. Il progetto è co-diretto da Alex García López e Laura Mora, con la produzione curata dalla società colombiana Dynamo. Il team di sceneggiatori comprende José Rivera, Natalia Santa, Camila Brugés, María Camila Arias e Albatrós González.

Sebbene non sia basato su una storia vera, attinge a una storia straordinaria, rendendo il progetto una sfida emozionante per i registi.

I registi di Cent’anni di solitudine di Netflix raccontano la loro esperienza

Pablo Arellano—Netflix

Netflix può anche fare passi coraggiosi per aumentare la qualità dei suoi contenuti, ma quando si impegna a fondo in un progetto, è difficile non rimanere a bocca aperta. Alex García López ha recentemente condiviso con Netflix la sua esperienza alla regia degli episodi 1, 2, 3, 7 e 8 di Cent’anni di solitudine, descrivendo il processo come una “sfida e un’avventura”. Il suo obiettivo, ha sottolineato, era quello di creare qualcosa di autentico che fosse all’altezza della grandezza di una produzione internazionale.

Laura Mora, che ha diretto i restanti episodi, ha espresso un immenso orgoglio sia come regista che come colombiana, sottolineando il loro sforzo di onorare il materiale originale. La serie sarebbe stata girata interamente in Colombia, con il sostegno della famiglia di Gabriel García Marquez. Il cast comprende Claudio Cataño, Jerónimo Barón, Marco González, Leonardo Soto, Susana Morales, Ella Becerra, Carlos Suárez, Moreno Borja e Santiago Vásquez.

Willem Dafoe: intervista a uno dei protagonisti di Nosferatu di Robert Eggers

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Ecco la nostra intervista a Willem Dafoe, l’attore che interpreta il Professor Albin Eberhart Von Franz in Nosferatu, di Robert Eggers, che racconta di nuovo la fiaba oscura del Conte Orlock, come aveva fatto Murnau prima di lui, nel 1922, e Werner Herzog dopo, nel 1979.

Tutto quello che sappiamo su Nosferatu

Nosferatu è interpretato da Bill Skarsgård, che sostituisce il trucco da clown di Pennywise con le zanne affilate del Conte Orlock, nonché da Nicholas HoultAaron Taylor-JohnsonEmma Corrin e Lily-Rose Depp. Il film riunisce inoltre Eggers con Willem Dafoe, che ha interpretato in modo memorabile un ex marinaio irascibile in The Lighthouse e che è apparso anche nel precedente film del regista, The Northman. L’epopea vichinga vedeva protagonista il fratello di Skarsgård, Alexander Skarsgård, nel ruolo di un guerriero norreno con una massa grassa impressionante e addominali formidabilmente cesellati.

Nosferatu è basato sul capolavoro espressionista tedesco del 1922 diretto da F. W. Murnau – la realizzazione di quel film ha ispirato il film del 2000, completamente fittizio, L’ombra del vampiro, che ha visto protagonista Dafoe, candidato all’Oscar, nel ruolo di un succhiasangue realmente esistito, arruolato per interpretare il ruolo di Orlock. Qui l’attore interpreta invece un assassino di vampiri. Nosferatu è stato anche rifatto nel 1979 da Werner Herzog come Nosferatu il vampiro, con il suo frequente collaboratore Klaus KinskiNosferatu arriverà al cinema a partire dal 1 gennaio.

Secret Level: recensione della serie di Tim Miller

Secret Level, la nuova serie antologica animata di Prime Video, debutta il 10 dicembre con l’ambizioso obiettivo di omaggiare alcuni tra i videogiochi più iconici di sempre. Creata da Tim Miller (qui la nostra intervista) e prodotta dal suo Blur Studio, la serie porta in scena quindici racconti brevi, ognuno ambientato negli universi di franchise videoludici differenti, e vanta un cast stellare che include Arnold Schwarzenegger, Keanu Reeves, Temuera Morrison, e molti altri.

Secret Level propone un format familiare e un approccio variegato

Le serie antologiche si distinguono per la loro natura episodica: ogni puntata rappresenta una storia autonoma con narrazione verticale. Secret Level segue questa formula, proponendo episodi che spaziano tra generi e atmosfere, da fantasy a fantascienza, da azione ad horror, offrendo una celebrazione della varietà del medium videoludico. Tra gli universi rappresentati, troviamo Dungeons & Dragons, Warhammer 40K, Unreal Tournament, e persino un’interpretazione sorprendente e inquietante di Pac-Man. Tutto sotto la guida di Tim Miller, che ha selezionato e scelto personalmente gli universi da visitare, e affidando ognuno di essi a un gruppo di lavoro diverso e ricco di voci e punti di vista differenti.

Ciascun episodio riflette lo spirito del gioco di riferimento, grazie alla capacità del team di Miller di adattarsi alle specificità di ogni IP. Tuttavia, questa varietà è talvolta limitata da narrazioni troppo semplici e talvolta ripetitive, nel caso in cui si dovesse scegliere di fruire la serie in binge watching. La durata breve degli episodi (tra 10 e 30 minuti) non sempre consente di sviluppare trame complesse, e molte puntate si limitano a esplorare un’idea centrale senza andare oltre. Tuttavia questa carenza drammaturgica viene spesso equilibrata da uno sforzo tecnico ulteriore che arricchisce l’episodio e lo rende un’esperienza visiva impareggiabile. L’esempio perfetto è il segmento dedicato a Sifu: la breve storia ricalca il gioco originale, senza aggiungere nuove prospettive, ma visivamente presenta delle animazioni mozzafiato e una regia ricercata che fa invidia a buona parte degli action in circolazione.

L’eccellenza visiva di Blur Studio

Sul piano tecnico, Secret Level mostra tutta l’expertise di Blur Studio nella CGI. La maggior parte degli episodi utilizza animazione 3D classica, optando per il fotorealismo in diversi casi, sempre a seconda del mondo che si mette in scena. La scelta stilistica appare più cauta rispetto al precedente lavoro di Blur, Love, Death & Robots, che si spingeva più in là dal punto di vista della sperimentazione. E infatti, nei casi in cui Secret Level osa, i risultati sono notevoli: il riferimento è agli episodi dedicati a Pac-Man e Spelunky, in cui drammaturgia e linguaggio fanno un passo avanti per sviluppare la PI di partenza.

La regia, comunque, è efficace nel catturare momenti spettacolari e coreografie di combattimento mozzafiato. Le puntate con una concezione dell’azione più classica, come quelle ispirate a Unreal Tournament e Warhammer 40K, offrono un’esperienza visivamente appagante, grazie a sequenze fluide e dinamiche.

Secret Level vanta un cast stellare

Uno degli aspetti più pubblicizzati di Secret Level è il suo cast di voci, che include nomi di grande richiamo. Arnold Schwarzenegger, Keanu Reeves, Gabriel Luna sono solo alcune delle star che contribuiscono a dare vita ai personaggi della serie. Le performance sono generalmente convincenti, con momenti di spicco come la recitazione intensa di Ricky Whittle e Claudia Doumit in Crossfire. Certo, si tratta pur sempre di ruoli piccoli, quasi comparse, ma ogni dettaglio contribuisce a rendere ogni episodio un piccolo gioiello, un viaggio in un mondo affascinante che, in ogni caso, ci sembra di conoscere e che poi si rivela anche altro.

Un mosaico di proprietà intellettuali di diverso “livello”

Un aspetto molto interessante del progetto è come si è lavorato sulle diverse proprietà intellettuali a cui Miller ha avuto accesso. Secret Level sfrutta non solo titoli leggendari come Dungeons & Dragons e Warhammer 40K, ma anche franchise meno noti o che necessitano di promozione, come New World di Amazon Gaming o il cancellato Concord. Questa scelta da una parte potrebbe generare meno interesse verso gli episodi di universi più “deboli”, dall’altro però permette una maggiore libertà e creatività laddove i franchise scomodati sono meno canonizzati nelle menti degli spettatori. Il risultato è un’esperienza sempre stimolante e fresca.

Un atto d’amore verso i videogiochi

Secret Level è una serie ambiziosa che celebra il mondo dei videogiochi, e che si ingegna per sfruttare sempre al massimo il potenziale di quello che si sceglie di raccontare. Una seconda stagione potrebbe senza dubbio però spingere di più l’acceleratore sui limiti narrativi dei singoli episodi, rendendo lo show un’esperienza ancora più stimolante per lo spettatore. La serie rappresenta un punto di partenza solido, in cui si manifesta una forte volontà di sperimentazione che in questo periodo di ripetitività tecnica è un’oasi preziosa e da valorizzare.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta: recensione del finale di stagione e di serie

Volge al termine, con due episodi dolorosi e liberatori, la quarta e ultima stagione dell’adattamento della tetralogia scritta da Elena Ferrante e lette (e guardata) in tutto il mondo, L’Amica Geniale: Storia della bambina perduta. Gli ultimi due episodi”La Scomparsa” e “La Restituzione”, chiudono chiudono un quarto ciclo che, pur mantenendo alcuni dei temi centrali del romanzo, si discosta significativamente nella narrazione e nello sviluppo dei personaggi. Questo distacco, se da un lato apre nuove possibilità interpretative, dall’altro mina la coerenza emotiva e stilistica che ha caratterizzato l’opera letteraria, lasciando spesso un senso di incompiutezza.

La Scomparsa, il punto di non ritorno

Il titolo di questo quarto romanzo (e della rispettiva serie) dovrebbe aver messo gli spettatori condizione di non rimanere troppo sorpresi di fronte alla svolta drammatica che questo episodio porta al finale della serie. “La Scomparsa” si concentra su un evento tragico: la sparizione di Tina, la figlia di Lila e Enzo, che segna un punto di non ritorno per tutti i protagonisti. L’episodio inizia con una serie di tensioni familiari: la piccola Emma comincia a sentire con forza l’esigenza di avere anche lei una figura paterna, e Nino come da aspettativa non eccelle nell’essere presente per la figlia. Tuttavia, riesce a trovare il tempo di fare visita alla bambina al rione, in occasione del mercato domenicale. Mentre Lila tiene Imma in braccio e conversa rapita con Nino, Tina scompare. La bimba non si trova più: le ricerche si intensificano, ma si rivelano vane, lasciando un vuoto devastante. Che fine ha fatto la piccola e brillante Tina? 

L’episodio è così devastante per tutti i personaggi coinvolti che sembra che da quel momento le tragedie e i dolori non possano fare altro che aumentare. Gennaro, il fratello di Lila, viene trovato morto, sopraffatto dalla droga; Generino, il primogenito di Lila, anche lui preda della dipendenza, ripudia suo padre Stefano, ridotto all’ombra di se stesso, e rende complicatissima la vita della madre e di Enzo, ormai vero e proprio padre adottivo del giovane. Intanto Lila è quello che più di tutti subisce le devastanti conseguenze della scomparsa della bimba: convinta che Tina sia ancora viva, cede in una spirale di follia. Il monologo immaginato da Lenù, che tenta di ricostruire il pensiero di un’amica ormai irraggiungibile, è un tocco narrativo interessante ma poco incisivo. La serie sembra più interessata a raccontare il lento disfacimento della comunità che a soffermarsi sulle implicazioni psicologiche che non siano teatrali.

La vicinanza di Elena diventa salvifica per Lila, la mantiene ancorata alla realtà, ma l’omicidio dei fratelli Solara renderà l’ambiente del rione sempre più pericoloso e tossico per la donna che, con tre figlie, cercherà di mettersi al riparo da quella violenza, una volta per tutte.

La Restituzione (di Tina e Nu)

Arrivati all’ultimo episodio di L’Amica Geniale: Storia della bambina perduta, ci troviamo di fronte a una serie di scelte narrative che movimentano l’addio alla storia e allo stesso tempo ne viziano l’elegante fissità che aveva fatto dell’ultimo romanzo della tetralogia un piccolo capolavoro di riflessione sull’esistenza, sui dolori e le perdite, soprattutto sul tempo che passa e sui sentimenti, gli affetti che restano, pur nelle loro storture. Ebbene, per l’adattamento di un romanzo così potente si è pensato bene di abbassare il tono e di aggiungere alla storia svolte da soap opera che confondono le acque e il racconto dei personaggi. Nel decimo episodio torna alla ribalta Pasquale, che viene arrestato per aver assassinato Michele e Marcello Solara.

Parte dell’episodio è dedicato ai tentativi di Lenù di intercedere per lui tramite le conoscenze politiche di Nino, il quale, neanche a dirlo, si rivela poco utile. Più avanti nella storia, sembra che Generino e Dede, primogenita di Elena, si innamorino, tuttavia scopriamo poi che il figlio di Lila scapperà di casa con Elsa, la secondogenita di Lenù, una svolta del tutto inaspettata, sia per la madre in pena, che per gli spettatori a dir poco sorpresi. Elena parte allora con Enzo per recuperare i ragazzi a Bologna, ma scopre che sono dalla nonna. Questa importante deviazione rispetto al materiale originale da una parte genera perplessità, soprattutto per la superficialità con cui viene trattata sia la vicenda di Pasquale (lui, a differenza degli altri interpreti, non è “cresciuto” avendo sempre il volto di Eduardo Scarpetta) che quella di Gennarino e Elsa, dall’altra dà finalmente la possibilità a Enzo di emergere, con un toccante monologo che Pio Stellaccio ci regala con una grande autenticità e commozione.

L’addio al rione, che segue queste sgangherate vicende, è un momento cruciale per Lenù, come si può ben intuire, tuttavia anch’esso è poco valorizzato. Addirittura l’ultimo saluto tra lei e Lila appare freddo e convenzionale, due caratteristiche che non hanno niente a che vedere con nessuno dei due personaggi. Elena parte quindi per Torino, mentre le sue figlie maggiori prendono strade diverse: Dede va a New York dal padre, seguita anni dopo da Elsa, mentre Enzo, che capisce che non ha più un posto accanto a Lila, si trasferisce a Milano. Nino, nel frattempo, viene arrestato, per lui un epilogo che appare affrettato, ma che comunque ci regala una certa soddisfazione, qualunque siano le ragioni dell’arresto, che non vengono condivise.

L’ultima sequenza, ci riporta lì dove tutto era cominciato: un’anziana Elena viene svegliata dalla telefonata di Gennarino, spaventato perché da 48 ore “mammà non s’ trov’”. Lila decide così di sparire, disfarsi nel nulla, portando con sé tutte le fotografie, gli oggetti personali, tutto ciò che testimonia il suo passaggio nel mondo, sparisce per unirsi alla sua Tina, mai dimenticata, lasciando dietro di sé soltanto un figlio smarrito, e una vaga perplessità nella mente della sua amica. Alla quale però dedica il suo ultimo pensiero, prima di dissolversi: rientrando a casa, un giorno, Elena trova nella cassetta della posta Tina e Nu, le bambole di pezza che avevano perso da bambine.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta perduta rinuncia alla poesia in favore della televisione

Con un adattamento poco fedele principalmente nello spirito del racconto, la quarta stagione de L’Amica Geniale chiude in anti-climax una delle serie che a ragione verranno ricordate come uno dei migliori prodotti televisivi della produzione italiana. E nonostante questo, la quarta stagione è senza dubbio il momento più basso di questa trasposizione quasi sempre elegante e preziosa. La tendenza constante di questo quarto ciclo è stata quella di operare un abbassamento di tono costante, una trivializzazione del materiale di partenza che, come dote principale aveva quella di rendere alti e poetici anche i discorsi più volgari e carnali. Probabilmente perché la scrittura consente l’utilizzo di metafore e sottintesi che la serie, come linguaggio di comunicazione, pretende di mostrare con le immagini. La serie perde quella capacità di Ferrante di rendere sublimi anche gli eventi più violenti, sporchi e quotidiani, scadendo talvolta in una rappresentazione ruvida che suscita più ilarità che empatia.

Ma non è solo un “problema” di tono: i personaggi secondari, in particolare Generino, le figlie di Elena e Alfonso, sono trattati con superficialità, preferendo il cliché all’approfondimento psicologico, un difetto che si riscontra esclusivamente nelle scelte di scrittura, e non nelle interpretazioni degli attori che rimangono uno dei punti forti della serie, con la sola eccezione di Alba Rohrwacher, quasi condannata a una Elena che proprio non le calza. Nonostante questa forzatura, è lei la vera protagonista della serie, non solo voce narrante ma anche punto di vista dal quale percepiamo tutto e tutti, mentre il personaggio di Lila, interpretato splendidamente da Irene Maiorino, rimane un personaggio secondario, letto attraverso il filtro dell’amica e mai (più) centro vivo, selvaggio e propulsivo dell’azione.

Il potenziale emotivo dell’opera viene solo parzialmente sfruttato, rendendo questi ultimi episodi un’occasione mancata per onorare appieno il capolavoro letterario da cui traggono origine.

Scissione: trailer della seconda stagione dal 17 gennaio 2025 su Apple TV+

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Ieri dal Thunder Stage del CCXP24 di San Paolo, Brasile, Apple TV+ ha presentato il trailer dell’attesissima seconda stagione di Scissione, con il creatore, scrittore e produttore esecutivo della serie Dan Erickson, il protagonista e produttore esecutivo Adam Scott e le star Britt Lower e Tramell Tillman che si sono uniti ai fan per condividere un’esclusiva anticipazione di ciò che ci aspetta per gli innies e gli outies delle Lumon Industries. La seconda stagione di Scissione, composta da 10 episodi, farà il suo debutto su Apple TV+ il 17 gennaio 2025 con il primo episodio seguito da nuove puntate ogni venerdì fino al 21 marzo.

Il thriller ambientato sul posto di lavoro acclamato dalla critica e vincitrice di un Emmy e di un Peabody Award, è ideato dal produttore esecutivo e regista Ben Stiller ed è interpretato dal candidato all’Emmy Adam Scott, Britt Lower, Tramell Tillman, Zach Cherry, Jen Tullock, Michael Chernus, Dichen Lachman, il vincitore dell’Emmy John Turturro, il premio Oscar Christopher Walken e la vincitrice dell’Oscar e dell’Emmy Patricia Arquette e dà il benvenuto nella seconda stagione ai nuovi series regular Sarah Bock e Ólafur Darri Ólafsson.

La trama della seconda stagione di Scissione

In Scissione Mark Scout (Adam Scott) guida un team di lavoro della Lumon Industries i cui dipendenti sono stati sottoposti a una procedura di scissione, che divide chirurgicamente i loro ricordi professionali da quelli personali. Questo audace esperimento di “equilibrio tra lavoro e vita privata” viene messo in discussione quando Mark si ritrova al centro di un mistero da svelare che lo costringerà a confrontarsi con la vera natura del suo lavoro… e di se stesso. Nella seconda stagione, Mark e i suoi amici scoprono le terribili conseguenze derivanti dall’aver giocato con la barriera della separazione, che li trascinerà ulteriormente lungo un percorso di guai e dolore.

“Scissione” è prodotta esecutivamente da Ben Stiller, che dirige anche cinque episodi della nuova stagione, alternandosi alla regia con Uta Bresiewitz, Sam Donovan e Jessica Lee Gagné. La serie è scritta, creata e prodotta esecutivamente da Dan Erickson. La seconda stagione è prodotta anche da John Lesher, Jackie Cohn, Mark Friedman, Beau Willimon, Jordan Tappis, Sam Donovan, Caroline Baron, Richard Schwartz, Nicholas Weinstock. Oltre a essere protagonisti, Adam Scott e Patricia Arquette sono anche produttori esecutivi. Fifth Season è lo studio.

La prima stagione completa di Scissione, disponibile in streaming su Apple TV+, è stata acclamata dal pubblico e dalla critica internazionale e, oltre a vincere gli AFI Awards, ha ottenuto 14 nomination agli Emmy, tra cui Outstanding Drama Series, Outstanding Directing for a Drama Series (Ben Stiller), Outstanding Lead Actor in a Drama Series (Adam Scott) e Outstanding Writing for a Drama Series, aggiudicandosi i premi nelle categorie Outstanding Music Composition for a Series e Outstanding Main Title Design. La serie ha ottenuto anche due Writers Guild of America Awards come Miglior nuova serie e Miglior serie drammatica, oltre a due nomination agli Screen Actors Guild Awards e una nomination ai Producers Guild e ai Directors Guild Awards.

Il treno dei bambini, la spiegazione del finale: Cosa succede al violino di Amerigo?

Il treno dei bambini (la nostra recensione) di Netflix è il film italiano emotivamente avvincente che racconta una storia fondamentale dell’Unità d’Italia negli anni ’40. Il bambino Amerigo cresce a Napoli dopo la seconda guerra mondiale, mentre la città soffre la povertà e la fame. Amerigo, otto anni, cresce a Napoli dopo la Seconda Guerra Mondiale, mentre la città soffre di povertà e fame. Tuttavia, una prospettiva brillante si presenta quando ai genitori viene offerta l’opportunità di mandare i figli a Modena, dove una nuova famiglia si prenderà cura di loro per alcuni mesi. Per questo, nonostante la difficoltà di dire addio a suo figlio, Antonietta fa salire Amerigo sui Treni della Felicità per condurlo verso un futuro più luminoso.

Amerigo passa così sotto le cure di Derna e della sua famiglia, scoprendo una nuova prospettiva di vita. Alla fine, quando si avvicina il momento di lasciare il Nord e tornare a Napoli, Amerigo si trova di fronte a una scelta impossibile. L’avventura che Amerigo intraprende può sembrare sottovalutata, ma definisce la traiettoria della sua vita in modi sfumati e sottili! SPOILER IN ARRIVO.

La trama del film Il treno dei bambini

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale si conclude anche il bombardamento di Napoli. Tuttavia, ciò non pone fine alla povertà che affligge molte città del Sud Italia. Di conseguenza, Antonietta, una madre single in difficoltà, pensa di iscrivere suo figlio, Amerigo, all’iniziativa del Partito Comunista “Treni della felicità”. Tuttavia, molti dei suoi vicini credono che i comunisti del Nord vogliano sfruttare i loro figli – o peggio, mangiarli vivi. Tuttavia, lei – e molti altri genitori come lei – riconoscono che i loro figli possono trovare un futuro migliore lontano dalle loro fatiscenti città d’origine. Per questo motivo, Amerigo e molti dei suoi coetanei salgono sul treno che parte da Napoli quando è il momento.

Sul treno, i ragazzi ricevono vestiti caldi e molti gettano i loro cappotti alle famiglie sulla banchina, sapendo che ne hanno più bisogno. Il viaggio dura tutta la notte prima di arrivare finalmente a Modena. All’arrivo, i bambini sono inizialmente scettici nei confronti del cibo della mensa, perché non conoscono molti dei ricchi sapori disponibili. Tuttavia, la loro stanchezza svanisce presto. In seguito, Amerigo osserva che tutti vengono adottati dall’ufficio, uno dopo l’altro, ciascuno da una coppia o da una famiglia. Quando rimane solo, uno dei membri del gruppo, Derna Benvenuti, che non ha intenzione di adottare un bambino, accetta a malincuore di portarlo con sé.

Derna è una donna gentile che offre ad Amerigo una stanza, del buon cibo e dei vestiti di seconda mano. Tuttavia, non crede di avere un istinto genitoriale naturale. Il ragazzo è cresciuto con una madre che faticava a mostrare affetto, il che lo fa stare perfettamente al fianco della sua nuova tutrice. Allo stesso modo, quando incontra la famiglia allargata di lei – il fratello Alcide e i nipoti Revu, Lution e Nary – col tempo riesce a legare con loro. Il primo, che di mestiere fa il falegname, gli dà persino lezioni di violino quando il ragazzo dimostra una certa inclinazione per questa forma d’arte. Riesce anche a frequentare la scuola, un’opportunità che in precedenza gli era stata negata a causa della situazione della sua famiglia. Sebbene all’inizio abbia difficoltà a inserirsi, con il passare del tempo impara a destreggiarsi nella sua nuova vita.

Il rapporto genitori-figli tra Amerigo e Derna migliora e i due si avvicinano. In poco tempo, Amerigo diventa una presenza costante nella famiglia Benvenuti. Tuttavia, troppo presto, l’inverno passa e i raccolti ingialliscono, segnalando il momento in cui Amerigo e gli altri bambini devono tornare alle loro case. Derna prepara le valigie del ragazzo con cibo e vestiti e il violino che Alcide gli ha regalato per il suo compleanno. È un addio amaro, ma si promettono di incontrarsi di nuovo in futuro e di scambiarsi lettere. Tuttavia, una volta che Amerigo torna a casa da Antonietta, non arrivano lettere indirizzate a suo nome. Peggio ancora, i modi pessimistici della madre sembrano essere uno shock dopo il periodo trascorso al Nord.

Antonietta si aspetta che Amerigo dimentichi il periodo trascorso con i Benvenutis, compresa la sua educazione e i suoi sogni musicali. Vuole invece che il figlio impari un mestiere per mantenere la famiglia a galla. Passano mesi prima che il ragazzo si rechi personalmente all’ufficio del Partito Comunista, per poi rendersi conto che Derna gli ha inviato lettere e pacchi per tutto questo tempo. Di conseguenza, scopre che la madre gli ha mentito per un po’ per tenerlo lontano dalla sua nuova famiglia del Nord.

Il finale de Il treno dei bambini: Perché la madre di Amerigo mente sulle lettere di Derna?

Il ritorno a casa di Amerigo è destinato ad essere triste. I mesi che il ragazzo trascorre a Modena con Derna lo introducono in un mondo di nuove possibilità. Dalle opportunità educative alla scoperta della sua passione per la musica, si rende conto che il suo futuro ha molte più potenzialità di quanto avesse immaginato. Tuttavia, se la separazione dai Benvenutis è difficile, il ricongiungimento di Amerigo con la madre lo è ancora di più. Fin dall’inizio, Antonietta sembra quasi fredda e distaccata nei confronti delle esperienze del figlio nella città del Nord. Si allontana quando lui cerca di condividere il cibo confezionato di Derna e gli proibisce di perseguire i suoi sogni musicali. Anzi, gli sottrae il violino di Amerigo e lo ripone sotto il letto singolo del loro appartamento fatiscente.

In seguito, Antonietta spinge Amerigo a imparare il mestiere di calzolaio per iniziare a guadagnare e portare soldi a casa. Inizialmente, il ragazzo si arrabbia con la madre che lo tratta male. Tuttavia, l’anziana vicina cerca di fargli capire che la madre non ha mai imparato a dimostrare affetto perché non l’ha mai ricevuto da bambina. Tuttavia, Amerigo non può fare a meno di sentirsi soffocato dal suo perenne pessimismo. La sua situazione è aggravata dalla continua ignoranza di Derna e della sua famiglia sul suo benessere. Mentre gli altri ragazzi del Treno della Felicità ricevono regali e lettere dalle loro famiglie del Nord, Amerigo rimane privo di tali gesti. Per lo stesso motivo, crede che Derna si sia già dimenticata di lui.

Tuttavia, alla fine di Il treno dei bambini le cose si fermano. Anche se Amerigo resta lontano dalla musica per mesi, l’artista affamato che è in lui lo spinge a cercarla mesi dopo. Tuttavia, con sua grande sorpresa e orrore, il suo violino sembra essere scomparso dall’appartamento. Questo spinge il ragazzo a cercare il membro del partito comunitario che ha facilitato il suo viaggio a Modena. Di conseguenza, si rende conto che gli uffici hanno decine di lettere che i Benvenutis gli hanno inviato. Tuttavia, dopo che l’ufficio ha contattato Antonietta a questo proposito, lei ha scelto di tenerle nascoste al figlio.

Antonietta si è probabilmente sentita insicura del suo posto nella vita di Amerigo dopo il suo ritorno dal Nord. Sa di non poter dare al ragazzo le opportunità che avrebbe avuto con Derna e gli altri. La madre vuole nascondere l’intera vicenda sotto il tappeto nel tentativo di tornare alla loro vecchia vita. Per lo stesso motivo, mente ad Amerigo sulle lettere. Dopo la morte dell’altro figlio, Luigi, e l’abbandono del marito, Amerigo è l’unica persona cara che le è rimasta. Pertanto, teme di perderlo per affidarlo a un’altra famiglia che possa dargli una vita migliore. Pertanto, conclude che l’unico modo per evitare che ciò accada è tagliare i suoi legami con Derna.

Amerigo torna a Derna?

Le azioni di Antonietta derivano dalla sua situazione avversa, dalle sue esperienze passate e dalle sue insicurezze. Tuttavia, non per questo fanno meno male ad Amerigo. La vita del ragazzo è stata stravolta più volte negli ultimi mesi. Eppure, si affida sempre all’amore della madre. Anche quando è a Modena, si aggrappa alla singola mela che la madre gli ha dato alla stazione ferroviaria come eterna fonte di conforto. Per questo motivo, è ferito e confuso quando la madre lo maltratta al suo ritorno. Antonietta ama suo figlio, ma i mesi trascorsi lontani hanno creato un cuneo tra loro. Si è persa alcune parti fondamentali del suo sviluppo e si rifiuta di recuperare. Vuole costringere Amerigo a tornare al suo passato, senza curarsi del dolore che questo sentimento gli provoca.

Alla fine di Il treno dei bambini, la goccia che fa traboccare il vaso arriva quando Antonietta ammette di aver impegnato il violino di Amerigo per denaro. L’azione è un tradimento insormontabile per il ragazzo, che ha difficoltà a perdonare la madre per aver mentito sulle lettere di Derna. Mentendogli e agendo alle sue spalle, Antonietta rompe la fiducia di Amerigo in modi che non possono essere riparati. E fa un ulteriore passo avanti schiaffeggiando il ragazzo quando lui la accusa di essere una bugiarda. In precedenza, Amerigo aveva detto a Derna che non avrebbe mai accettato uno schiaffo e si rifiuta di farlo anche questa volta.

La notte seguente, mentre Antonietta dorme, Amerigo si mette i vestiti e le scarpe e si lascia alle spalle la sua vecchia vita. Il mattino dopo, sale su un treno per Modena e individua la casa di Derna attraverso l’indirizzo di ritorno delle sue lettere. Derna, che non ha notizie del ragazzo da mesi, è sorpresa di vederlo ma lo accoglie a braccia aperte. Anche se in passato non si era mai considerata una figura materna, la presenza di Amerigo nella sua vita le conferisce un nuovo senso di sé. Di conseguenza, il ragazzo abbandona la sua vita a Napoli e ne adotta una nuova con i Benvenutis, dove può inseguire i suoi veri sogni. Alla fine, con il passare degli anni, diventa un celebre violinista, che si esibisce in concerti per sale piene di fan.

Antonietta vende il violino di Amerigo?

Dopo aver lasciato Napoli, in Il treno dei bambini Amerigo conclude un capitolo particolare della sua vita. Ciò diventa evidente durante il viaggio in treno verso Modena, quando racconta a un compagno di viaggio che sua madre è morta e che ora andrà a vivere con sua zia. La decisione di lasciare la casa della sua infanzia è una decisione importante, soprattutto per un giovane come Amerigo. Per lo stesso motivo, deve compartimentare il suo dolore per affrontarlo senza soccombere. Tuttavia, mentre questo lo aiuta ad arrivare all’età adulta, il passato torna a bussare alla sua porta. Nel 1994, quando Amerigo è un violinista di successo sulla cinquantina, riceve una telefonata per la morte di Antonietta.

Anche se Amerigo va avanti con il suo concerto sulla scia di questa notizia, il ricordo di Antonietta si blocca nella sua testa da quel momento in poi. Di conseguenza, non ha altra scelta che tornare a Napoli, occuparsi degli affari della madre e trovare una sorta di chiusura per se stesso. Di conseguenza, trova la custodia del suo vecchio violino infilata sotto il letto della madre. Si scopre che, negli anni trascorsi dalla partenza di Amerigo, la madre ha saldato il debito del violino in modo che un giorno potesse ricongiungersi al suo proprietario. Inoltre, ha lasciato una lettera nella custodia.

Nella lettera, Antonietta dice ad Amerigo che sapeva che era scappato a Modena quel fatidico giorno. Dopo il suo arrivo, Derna scrisse ad Antonietta per informarla della sorte del figlio. A sua volta, la madre disse all’altra donna di tenere Amerigo se lo voleva. Antonietta avrebbe potuto tentare di riavere il figlio, ma ha scelto di non farlo, rispettando la sua decisione. La lettera chiarisce che sapeva che Amerigo preferiva una vita lontana dal suo dolore e che non poteva dargli una vita ideale. Quindi, nonostante il dolore che le ha causato, è evidente che la madre di Amerigo lo amava abbastanza da lasciarlo andare.

Il treno dei bambini, la storia vera dietro al film: Amerigo Benvenuti è un vero violinista?

Il film di Netflix Il treno dei bambini trasporta gli spettatori in un periodo di crisi della storia italiana e racconta una storia edificante sull’unità di fronte alle avversità. Originariamente noto come Il treno dei bambini (la nostra recensione), il film storico ruota attorno ad Amerigo, un bambino di 8 anni che vive con la sua povera madre, Antonietta, nelle strade piene di conflitti della Napoli del dopoguerra. Per questo motivo, la madre lo iscrive al programma congiunto dell’Unione Donne Italiane e del Partito Comunista Italiano, che prevede il riaccoglimento momentaneo dei bambini del Sud presso le famiglie più ricche del Nord. Di conseguenza, Amerigo sale sul Treno della Felicità e arriva alle porte di Derna.

Nel corso dell’inverno, i due formano una propria famiglia che finisce per cambiare le loro vite per sempre. Questo film diretto da Cristina Comencini, traccia una storia commovente sulla famiglia e allo stesso tempo condivide la verità di un periodo epocale della storia italiana del secondo dopoguerra. Naturalmente, l’ambientazione del film negli anni ’40 sottolinea il viaggio di Amerigo e suscita curiosità per le affascinanti radici della storia nella realtà.

Il treno dei bambini è tratto dal romanzo storico di Viola Ardone

Il treno dei bambini è un adattamento per lo schermo dell’omonimo libro di narrativa storica del 2019, scritto da Viola Ardone con Clarissa Botsford come traduttrice per la traduzione inglese. La narrazione sullo schermo mantiene una base significativa nel romanzo, in quanto adatta la narrazione centrale dell’opera letteraria intorno ad Amerigo e al suo viaggio in treno. Anche se una certa dose di romanzatura permane intorno alla storia sia nelle istanze letterarie che in quelle cinematografiche, la premessa di base rimane radicata nella realtà.

Nel suo libro, Ardone affronta la storia di un giovane napoletano che cresce nell’immediato dopoguerra. Di conseguenza, i Treni Della Felicità, un’iniziativa reale intrapresa dal Partito Comunista Italiano e dall’Unione Donne Italiane tra il 1945 e il 1952, diventano una parte strumentale dell’infanzia del protagonista. All’epoca, l’Italia appena liberata era concentrata sulla ricostruzione dei suoi problemi economici e sociali. Tuttavia, Teresa Noce, dirigente del Partito Comunista Italiano di Milano, riconobbe le difficoltà dei bambini del Sud Italia, dove i postumi della guerra si manifestavano con un aumento della fame.

Di conseguenza, Noce collaborò con le donne del Partito Comunista di Reggio Emilia, città del Nord Italia, per istituire un programma in cui le famiglie del Nord avrebbero accolto i bambini del Sud per ospitarli per alcuni mesi. Questo ha portato alla formazione dell’Unione Donne Italiane e del programma Treni della Felicità. Il romanzo di Ardone mette al centro del suo racconto questa stessa iniziativa reale del dopoguerra, raccontando la storia di un bambino partecipante. Sebbene i dettagli narrativi che seguono rimangano inventati, cementando il romanzo come un’opera di finzione storica, il nucleo della storia è immerso nella storia reale dell’Italia.

Il treno dei bambini esplora la realtà dei treni della felicità

Poiché Il treno dei bambini è incentrato sulle esperienze di Amerigo come partecipante al programma Treni della felicità nel 1946, la storia finisce inevitabilmente per presentare una rappresentazione realistica del paesaggio sociale dell’epoca. Dopo la guerra, persistevano alcune differenze tra il Nord e il Sud Italia. La mancanza di comprensione di queste differenze creò alcuni attriti durante le prime fasi del programma Treni della felicità. All’epoca, a causa della forte propaganda, gli italiani del Sud sentivano storie diaboliche sui comunisti del Nord. Per lo stesso motivo, molte famiglie che iscrivevano i loro figli al programma inizialmente credevano che i nordisti mangiassero i bambini.

Tuttavia, una volta avviato il programma, migliaia di bambini del Sud Italia provenienti da Napoli, Lazio, Calabria, Sicilia e altre città trovarono nel Nord Italia nuove famiglie che si prendevano cura di loro. Ai bambini veniva fornito tutto, dai vestiti all’istruzione. L’iniziativa ha portato alla formazione di innumerevoli legami che sono rimasti anche dopo la fine del soggiorno dei bambini presso le loro famiglie del Nord. Attraverso la storia di Amerigo, il libro – e, per estensione, il film – presenta una comprensione sfumata degli stessi legami. Per questo motivo, anche se Il treno dei bambini non è un racconto biografico, rimane storicamente rilevante.

Amerigo Benvenuti de Il treno dei ragazzi esiste solo nel mondo della finzione

Quando si parla di allontanamento dalla storia documentabile, le esperienze personali di Amerigo Benvenuti (ex Speranza) ne Il treno dei bambini rimangono il contributo più significativo. Poiché Viola Ardone ha voluto presentare un racconto intimo e sentito del programma Treni della felicità, ne racconta la storia attraverso gli occhi di Amerigo, un partecipante di 8 anni. La sua storia inizia come quella di un giovane povero di Napoli che scopre la sua passione per la musica durante il periodo trascorso a Modena con Derna e la sua famiglia. Alla fine, dopo una serie di lotte e scelte di vita impossibili, Amerigo diventa un celebre violinista le cui esibizioni da solista richiamano grandi fanfare.

Sebbene il viaggio di Amerigo sia profondamente risonante ed emotivamente toccante, rimane una storia di fantasia. Nella vita reale, non esiste un solista di violino identico ad Amerigo Benvenuti. Pertanto, il personaggio diventa un’opera dell’immaginazione di Ardone adattata per lo schermo dagli sceneggiatori Furio Andreotti, Giulia Calenda, Cristina Comencini e Camille Duguay. Attraverso la sua storia fittizia, il film presenta una comprensione stratificata della famiglia, sia biologica che non. Inoltre, mette in evidenza il significato storico del programma “I treni della felicità”, attribuendo a questo concetto una narrazione riferibile. Per questo motivo, anche se il personaggio di Amerigo è fondamentale per la rappresentazione degli eventi storici su cui si basa Il treno dei bambini, il personaggio stesso rimane privo di una controparte nella vita reale.

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Black Doves, la spiegazione del finale: Chi ha ordinato l’omicidio di Jason?

Il thriller spionistico di NetflixBlack Doves (la nostra recensione), vede protagonista Keira Knightley nel ruolo di Helen Webb, la moglie del Segretario alla Difesa del Regno Unito che è segretamente una spia dell’omonima organizzazione. Lavora per loro da dieci anni ed è troppo radicata per essere ritirata. Per questo motivo, quando il funzionario pubblico con cui aveva una relazione viene ucciso, viene coinvolto un suo vecchio amico di nome Sam per tenerla al sicuro e capire chi ha ucciso il suo amante e ora sta cercando di ucciderla. Se da un lato Sam è felice di tornare per il bene dell’amico, dall’altro questo gli fa vivere momenti difficili. Alla fine di Black Doves, tutti i problemi si fondono insieme mentre Helen e Sam cercano di sopravvivere contro ogni previsione. Seguono SPOILER.

Chi ha ucciso l’ambasciatore cinese? Chi c’era dietro i colpi?

All’inizio di Black Doves, la morte dell’amante di Helen, Jason, sembra un incidente isolato. Ma poi si scopre che potrebbe avere a che fare con la morte dell’ambasciatore cinese, che si ritiene sia morto per overdose. Il governo cinese non crede a questa spiegazione e pensa che qualcuno abbia ucciso l’ambasciatore. Mentre Helen e Sam (Ben Whishaw) vanno a fondo della morte di Jason, scoprono che entrambi gli omicidi, compresi altri due, sono inestricabilmente collegati. Scoprono che esiste una famiglia criminale chiamata Clarks, che è diventata incredibilmente potente insinuandosi nel governo. Dopo essere diventati praticamente invincibili nel Regno Unito, hanno deciso di trasferirsi dall’altra parte dell’oceano, il che li ha portati sul radar dell’MI5. Ora, il giovane rampollo dei Clark, Trent, era amico di Kai Ming Chen, la figlia dell’ambasciatore cinese.

Non solo, ma era anche innamorato di lei. Tuttavia, poiché lei aveva già un fidanzato, Cole, che non sapeva lavorasse per la CIA, Trent non poteva fare una mossa. Invece, per stare vicino a Kai Ming, decise di portarle ciò che lei desiderava di più: la droga. L’idea di diventare il suo spacciatore poteva sembrare sana a Trent, ma il padre disapprovava. Un giorno affrontò Trent dicendogli di lasciare in pace sua figlia. Un Trent furioso spinse l’uomo così forte da fargli sbattere la testa su un tavolo, e fu la fine per lui. Se fosse stato chiunque altro, non avrebbe avuto importanza, ma Trent aveva ucciso l’ambasciatore cinese, il che significava che non poteva farla franca così facilmente. Così, chiese a sua madre di fare pulizia, la quale chiamò Stephen Yarrick, un ministro del governo britannico, per fare in modo che le cose venissero fatte.

In Black Doves Nessuno di loro sapeva che l’amica di Kai Ming, Maggie, la stava spiando. Aveva piazzato una telecamera nella stanza per ottenere informazioni sporche su Kai Ming, da vendere ai giornali scandalistici. Ma prima avrebbe dato le registrazioni all’MI5, nel caso in cui ci fosse stato qualcosa da sapere prima che gli altri avessero avuto tutti i pettegolezzi. La notte dell’omicidio, la telecamera era proprio lì e ha registrato tutto. Non si trattava solo dell’omicidio, ma di tutto ciò che era successo dopo, compreso Stephen Yarrick su nastro. Inoltre, la registrazione riportava anche una telefonata di Stephen al premier britannico per aggiornarlo sulla situazione, il che significava che anche il premier era coinvolto. Tutta questa storia era già enorme e la ragazza non sapeva se poteva condividerla con qualcuno. Per errore, però, la condivise con Phillip, il giornalista a cui si rivolgeva sempre per condividere uno scoop su Kai Ming.

Quando Phillip scoprì cosa c’era nella registrazione, la spinse a rendere pubblica l’intera faccenda, soprattutto dopo aver scoperto che il governo stava cercando di insabbiare l’intera faccenda. Allo stesso tempo, la donna ne parlò anche al suo contatto dell’MI5, che si dava il caso fosse Jason. Quando Trent scoprì i piani del trio, decise di toglierli di mezzo. Fu lui a ingaggiare Elmore Fitch per uccidere tutti e tre e Helen. Trent non aveva idea di chi fosse Helen e l’aveva scoperta solo seguendo Jason, che aveva incontrato Helen subito dopo l’incontro con Phillip e Maggie. Uccidendo Jason e mandando l’assassino a caccia di Helen, Trent non aveva idea dei problemi che si era creato.

Perché Sam spara a Trent? Chi lo chiama e lo minaccia?

Avendo lavorato a lungo come Colomba Nera, Helen sapeva bene che non avrebbe dovuto farsi coinvolgere da poteri che non erano alla sua portata. Tuttavia, si sentiva anche molto vicina alle persone che amava, per quanto poche fossero. Se qualcuno avesse fatto del male a chi amava, ne sarebbero seguite le conseguenze. Quando sua madre fu ferita dal patrigno, Helen lo uccise e andò avanti. Quando qualcuno uccise il suo amante e minacciò i suoi figli, non c’era modo che Helen li lasciasse andare così facilmente. Per questo motivo, fin dall’inizio, è completamente concentrata a trovare i responsabili della morte di Jason e a ucciderli con le sue mani.

Quando il coinvolgimento dei Clark entra in scena, Helen non si fa scrupoli a uccidere la loro testa perché sono già dei criminali e non deve lottare con la sua coscienza prima di ucciderli. Ma inaspettatamente si scopre che dietro i colpi c’è Trent, molto più giovane della persona che Helen pensava di uccidere; Helen rimane spiazzata per un attimo. Davanti a lei è solo un bambino, e una cosa è uccidere la madre, una mente criminale, e un’altra è uccidere lui, anche se ha già le mani sporche di sangue.

A peggiorare la situazione in Black Doves c’è il fatto che se Helen uccide Trent, sua madre e il resto della sua organizzazione la inseguiranno. Accecata dalla vendetta, non lo considera possibile, ma Sam sì. Cerca di dissuaderla dall’uccidere Trent, ma non ci riesce. Alla fine, vengono sparati dei proiettili ed è Sam a sparare a Trent. Lo fa per salvare il suo amico, sapendo esattamente cosa li aspetta. Ma uccidendo Trent, in un certo senso, si fa anche perdonare per non aver ucciso un giovane Hector tanti anni prima. Era stato perseguitato dall’immagine di quel ragazzo, che poi era tornato con un esercito per vendicarsi di lui. Questo ha fatto sentire Sam un po’ insufficiente nel suo lavoro di innescatore, soprattutto quando non è riuscito a uccidere Hector nemmeno quando non era più un ragazzo.

Helen è scioccata dal fatto che Sam le abbia tolto il sangue di Trent dalle mani, soprattutto quando sa quanto sia importante per lei uccidere il responsabile della morte di Jason. Prima che possano metabolizzare la cosa, ricevono una chiamata sul telefono della signora Clark. Una persona dall’altra parte dice che le loro azioni sono state registrate e che ci saranno delle conseguenze. Questo convalida le paure di Sam. Sapendo quanto sono potenti i Clark e quanti problemi possono causare ai loro nemici, Sam non voleva che Helen vivesse il resto della sua vita guardandosi le spalle. Ma ora lo stesso destino è toccato a lui, e deve prepararsi ad affrontarlo.

Cosa succede a Cole Atwood in Black Doves?

Prima che emergesse il video dal telefono di Maggie, gli investigatori privati inviati dal governo cinese si sono basati sulle telecamere a circuito chiuso dell’hotel per ricostruire l’ultima notte dell’ambasciatore cinese. Vedono il fidanzato della figlia, Cole, scappare dalla stanza poco dopo l’omicidio. Ciò che li insospettisce maggiormente è che si scopre che Cole lavorava per la CIA. Questo fa pensare ai cinesi che siano stati gli americani ad assassinare l’ambasciatore. Per ottenere giustizia, vogliono Cole.

Se da un lato gli americani negano completamente ogni coinvolgimento nella morte dell’ambasciatore, dall’altro non possono ignorare quanto sia delicata la situazione. Cercano di tenere Cole al sicuro nell’ambasciata, ma dietro le quinte lavorano altri poteri (come Helen e Sam) che sfuggono completamente al controllo della CIA. Alla fine, la registrazione è l’unico modo per dimostrare che gli americani non hanno assassinato nessuno e per evitare una potenziale guerra. Quando la parte relativa alla registrazione viene alla luce, si scopre anche il coinvolgimento dei Clark. Proprio quando Helen, Sam e i loro amici hanno finito di affrontare Trent, sua madre e la sua guardia del corpo, l’edificio viene circondato dalla CIA, portata lì da Cole, che vuole disperatamente dimostrare la sua innocenza.

Tuttavia, i Clark non sono contenti di vedere gli americani lì, e ha luogo una sparatoria in cui muoiono tutti gli uomini dei Clark e tutti gli uomini della CIA, tranne Cole. Alla fine, quando Helen esce dall’edificio e vede Cole, gli consegna la registrazione. Lui la ringrazia, ma accenna anche al fatto che sa chi è, perché sa che è una Colomba Nera. Si tratta solo di un riconoscimento e non di una minaccia, perché avendo visto tutto quello che è successo negli ultimi giorni, Cole sa bene che non deve mettersi contro Helen. Per ora ha la registrazione, che è una prova sufficiente per dimostrare che non ha ucciso nessuno e l’unico modo per evitare che i cinesi gli diano la caccia.

Jason era una spia? Perché Helen getta via le informazioni su Jason?

Pur essendo stata sposata con Wallace per dieci anni, Helen non lo amava veramente. Per lei, lui era il lavoro e non importava cosa provasse per lui. Con Jason le cose erano diverse. Nel corso della loro relazione, si innamorò di lui così tanto che finì per dirgli di essere una Colomba Nera. Era l’unica persona con cui poteva essere se stessa, ed è per questo che la sua perdita l’ha colpita così duramente. Era tutta una questione d’amore. O almeno così pensava. Una volta che il polverone si è diradato e Helen ha avuto la sua vendetta, incontra la signora Reed, che le dice che il legame tra Maggie e Jason era che entrambi lavoravano per l’MI5.

Jason sospettava già che Helen fosse una Colomba Nera ed era stato incaricato di attirarla nella sua trappola e di ottenere informazioni da lei. Lei era il suo lavoro. Questa rivelazione riscrive completamente il rapporto tra Helen e Jason, poiché sembra che tutto ciò che c’è tra loro sia una menzogna. Lui fingeva di essere innamorato di lei quando, in realtà, stava cercando di ottenere informazioni da lei. Reed avrebbe potuto lasciar correre e far credere a Helen che Jason non la amava. Ma non è così crudele come sembra. Rivela che quando Jason è venuto a consegnare il suo rapporto su Helen, l’ha scagionata dai sospetti. Anche quando era già sospettata, l’ha scagionata. Questo dimostra che lui amava davvero Helen e che, anche se all’inizio poteva essere una bugia, alla fine non lo era.

Per dare a Helen un’idea più precisa di chi fosse veramente Jason, Reed le consegna un disco con tutte le informazioni necessarie su Jason. Si tratta del background completo dell’uomo, che fornisce a Helen le cose che molto probabilmente le ha tenuto nascoste per mantenere la sua copertura. Il disco è l’unica possibilità per Helen di scoprire la vera identità di Jason. Invece di indagare immediatamente, la getta nel fiume. Potrebbe sembrare illogico per una persona curiosa, soprattutto se si considera che questo potrebbe essere l’unico legame che aveva con Jason ora che era morto. Tuttavia, Helen non era pronta per questo. Guardare nel disco e scoprire tutte le informazioni sul vero passato di Jason le avrebbe fatto pensare a tutte le bugie che lui aveva inventato su di sé per avvicinarsi a lei. Le avrebbe fatto mettere in dubbio ogni sua parola, intenzione e sentimento, e questo non era qualcosa con cui Helen voleva convivere. L’unica cosa che voleva di Jason nella sua mente erano i bei ricordi che avevano fatto e il fatto che, nonostante tutto, alla fine lui la amava e lei lo amava. Quello che c’è stato prima e dopo non ha più importanza.

Perché Sam non uccide Hector in Black Doves? Accetta l’offerta di Hector?

Sette anni prima della morte dell’ambasciatore cinese e dell’omicidio di Jason, Sam era stato ingaggiato per uccidere una banda di strada che si stava facendo strada molto rapidamente. Le altre bande volevano che questa banda di fratelli fosse eliminata, ed è per questo che Sam è stato assunto. Doveva uccidere tutti i fratelli, ma ne lasciò uno: Hector. Quando Sam accettò il lavoro, pensava che sarebbe stato solo un altro omicidio. Ma poi vide un ragazzo seduto sul sedile posteriore, coperto dal sangue del fratello a cui Sam aveva appena sparato, e non riuscì a premere il grilletto. È l’immagine di questo ragazzo che rimane con Sam nel corso degli anni, soprattutto quando questo ragazzo diventa il motivo per cui Sam scappa da Londra e si lascia alle spalle l’amore della sua vita.

L’immagine persiste quando Sam viene ingaggiato per uccidere nuovamente Hector. Non riesce a farlo, anche se Hector è ormai un uomo adulto rispetto al ragazzo di sette anni prima. È anche più criminale, assetato di sangue e spietato. Nonostante tutto questo, Sam non è ancora in grado di premere il grilletto. Anche Hector prova sentimenti contrastanti nei confronti di Sam. Se fosse stato un altro assassino, Hector sarebbe morto sette anni fa. Ma Sam lo ha lasciato vivere e questo ha reso Hector un po’ grato della sua esistenza. Tuttavia, allo stesso tempo, Sam aveva ucciso i suoi fratelli, ed era stata la cosa più traumatica che Hector avesse vissuto. Per questo motivo, Sam è stato sia l’angelo custode che il diavolo per Hector. Il ragazzo propende più per il primo quando Sam continua a non ucciderlo e, alla fine, l’intera banda di Hector è scomparsa e lui è l’unico rimasto.

Per quanto giovane, Hector è estremamente ambizioso. Quando scopre che i Clark hanno subito un duro colpo, vede il vuoto di potere che si crea nella malavita londinese. Potrebbe riempire quel vuoto, ma è un’impresa enorme che richiede muscoli, che Hector non ha più. A causa della sua organizzazione criminale, ha già molte persone che lo vogliono morto e, con tutti i suoi uomini morti, non sa di chi fidarsi. A questo punto pensa a Sam. Essendo sfuggito all’assassino più di due volte, Hector sa che Sam non lo ucciderà. Inoltre, trova un terreno comune tra loro quando scopre che è stato Sam a uccidere Trent Clark e sua madre. Ciò significa che gli altri Clark daranno la caccia a Sam e lui avrà bisogno di qualcuno che lo sostenga. Hector potrebbe essere questo per Sam, il che li mette entrambi sullo stesso piano.

L’offerta di Hector è un po’ strana, ma Sam ne comprende l’importanza. Ha perso la buona volontà delle Colombe Nere e, con i Clark alle calcagna, ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Tuttavia, questo significherebbe entrare ancora di più nell’attività che sperava di lasciare per sempre. Desidera tornare da Michael, che è pronto ad accettarlo, solo se riesce a lasciar andare completamente il suo passato. Anche se Sam fosse rimasto con lui, sapeva che un giorno il suo passato sarebbe tornato a chiamarlo, e questa volta la posta in gioco era molto più alta. L’ultima volta aveva salvato Michael per un pelo. Questa volta sarebbe stato in grado di farlo se i Clark avessero chiamato. Così, con il cuore spezzato, dice addio a Michael, che comprende la sua decisione, soprattutto ora che ha davanti a sé l’intero quadro.

Wallace diventa premier?

In Black Doves l’obiettivo di far sì che Helen rimanesse accanto a Wallace in tutti i momenti difficili era la consapevolezza che Wallace era destinato a cose più grandi. Quando Helen è stata mandata a sedurlo per la prima volta, doveva essere una cosa di una notte. Ma poi è tornata indietro e ha mantenuto vivo il legame. Poi, Wallace si è rivelato un pesce che è diventato sempre più grande. Nel giro di un paio d’anni, era chiaro che Wallace stava per arrivare al numero 10 di Buckingham Street. Quando ciò accadde, le Colombe Nere avevano bisogno di uno dei loro nella sua cerchia interna, e chi meglio di una moglie poteva ricoprire questo ruolo? Sebbene la sua organizzazione fosse contenta di avere Helen con Wallace, lei diventava sempre più sconfortata a ogni promozione che lui riceveva. Ma alla fine della prima stagione, le cose sono cambiate radicalmente.

Il fiasco della registrazione della morte dell’ambasciatore cinese porta l’attuale premier in una situazione molto difficile. A causa della sua colpevolezza nel coprire l’omicidio, sa che dovrà dimettersi presto. Per la gioia assoluta delle Colombe Nere, la persona che tutti concordano debba assumere il ruolo è Wallace. Il mandato è così chiaro che nessuno ha dubbi al riguardo. La possibilità diventa ancora più forte quando la corruzione del precedente premier mette in discussione anche la castità di altri ministri. Gli americani ritengono che Wallace possa essere l’unico uomo pulito del governo britannico e sono pronti a sostenerlo. Alla luce di tutto ciò, sembra che la strada di Wallace verso la carica di Primo Ministro sia spianata. Ma soprattutto, questo significa che le Colombe Nere hanno finalmente quello che volevano: una Colomba Nera al vertice del governo. Non c’è niente di meglio per loro. Ma questo significa anche che il vero compito di Helen inizia ora.

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Black Doves è una storia vera e un’organizzazione segreta reale? Helen Webb è basata su una vera spia?

Creata da Joe Barton, la serie thriller di spionaggio di Netflix Black Doves ha come protagonista Keira Knightley nel ruolo di Helen Webb, sposata con un parlamentare conservatore. All’esterno, il suo matrimonio sembra una storia di successo, ma solo poche persone sanno che il matrimonio è il suo lavoro. È una spia di un servizio di intelligence internazionale chiamato Black Doves e da un decennio fornisce loro segreti di Stato.

Le cose prendono una piega inaspettata quando un uomo con cui Helen aveva una relazione viene ucciso. Con il pericolo che incombe su di lei, viene coinvolto un vecchio amico, Sam, per tenerla al sicuro e aiutarla a scoprire chi ha ucciso il suo amante. La serie offre molti colpi di scena, mentre Helen scopre alcuni segreti sconvolgenti. Allo stesso tempo, deve affrontare problemi familiari realistici con cui molti spettatori possono entrare in contatto, rendendo la sua storia ancora più avvincente.

L’immaginario di Black Doves ha interessanti collegamenti con la realtà

Black Doves (la nostra recensione) è una storia interamente inventata, scritta da Joe Barton durante le vacanze di Natale del 2022. Era sempre stato affascinato dal genere spionistico e voleva scrivere una storia ambientata a Londra. In quel periodo, uno dei suoi amici aveva lavorato al film di Guy Pearce e Damian Lewis, “Una spia tra amici”, e questo ha incoraggiato Barton a esplorare il genere per conto suo. Parallelamente, lesse un articolo di giornale su una donna che non era in grado di condividere il proprio dolore con nessuno dopo la morte improvvisa del suo amante segreto.

Lo scrittore fu motivato a seguire questo filone di relazioni clandestine nella sua ricerca, rivelando di aver letto di un gruppo di spie che si erano infiltrate in un gruppo sposandosi con esso. Finirono per avere dei figli e rimasero nei loro ruoli inventati per anni, così quando la verità venne fuori, tutti intorno a loro rimasero scioccati. Ciò che colpì Barton del suo racconto fu la doppiezza di una persona che deve fingere di avere una relazione felice per tutti questi anni, anche se è estremamente infelice. Da qui è nata l’idea del personaggio di Helen e del suo ruolo di moglie di un deputato mentre ha una relazione con un altro uomo.

In realtà, non esiste un’organizzazione segreta chiamata Colombe Nere (che noi conosciamo!). Barton avrebbe preso il nome da un pub locale che frequenta. Per rendere le cose più interessanti, ha voluto ambientare la storia nel periodo natalizio. Gli piaceva l’idea di ambientare una storia cupa di omicidi, tradimenti e spargimenti di sangue in un periodo in cui tutto dovrebbe essere allegro e pieno di speranza. Questo contrasto non si limita a fare da sfondo, ma diventa più evidente nelle vite dei personaggi e nelle bugie che vivono nel corso della stagione.

La maternità ha aiutato Keira Knightley a relazionarsi con la finzione di Helen Webb

Keira Knightley era alla ricerca di un progetto interessante che la mettesse alla prova quando le è stato proposto Black Doves. Si è subito innamorata del personaggio di Helen e si è immedesimata nelle sfide che la spia immaginaria deve affrontare come madre. Riferendosi alla propria esperienza di madre, la Knightley ha parlato dei diversi volti che le persone hanno in diversi momenti della loro vita. Da un lato, si ha a che fare con tutto il caos dell’avere figli, ma quando si va al lavoro, si deve tirare fuori la propria “faccia da lavoro” e affrontare i problemi. Allo stesso modo, si può avere avuto una brutta giornata al lavoro, ma quando si torna a casa si deve essere una persona diversa per i propri figli e la propria famiglia.

Questo lato del carattere di Helen emerge in una scena in cui si trova nel mezzo di una situazione molto pericolosa e riceve una telefonata dalla figlia, che vuole sapere dove si trova. La Knightley ha sfruttato questa duplicità per far emergere diverse sfaccettature del carattere di Helen. Il fatto che fosse anche a bordo come produttrice esecutiva le ha permesso di apportare la sua prospettiva al personaggio durante la stesura della serie. Allo stesso tempo, ha dovuto lavorare sulla fisicità del personaggio. Per prepararsi al ruolo ha imparato il jiu-jitsu e il combattimento con i coltelli, oltre a saper maneggiare le armi. In fin dei conti, l’attrice vuole che Helen appaia come una persona che, con tutti i suoi difetti e le sue follie, sia comprensibile per il pubblico, pur rimanendo un personaggio di fantasia.

LEGGI ANCHE: Black Doves, la spiegazione del finale: Chi ha ordinato l’omicidio di Jason?

Black Doves: gli eventi reali che hanno ispirato la serie di Netflix e Keira Knightley

Il creatore di Black Doves di Netflix spiega l’ispirazione reale alla base della serie. In uscita il 5 dicembre, Black Doves è una serie Netflix che racconta la storia di una donna di nome Helen che intraprende una relazione appassionata. L’unico problema è che Helen ha un’identità segreta che mette in grave pericolo il suo nuovo amante. Black Doves vanta un cast di tutto rispetto, tra cui Keira Knightley, Ben Whishaw, Andrew Koji, Tracey Ullman, Sarah Lancashire e Andrew Buchan. È stata creata da Joe Barton e avrà sei episodi nella sua prima stagione.

In un’intervista a RadioTimes, il creatore Barton spiega l’ispirazione reale dietro Black Doves. Il creatore racconta che stava “leggendo anche di quei poliziotti spia” che “si erano infiltrati in quel gruppo ambientalista.” Da lì ha tratto ispirazione per scrivere una storia su “quella doppiezza di avere un matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi scompare.” Sono stati questi eventi reali a diventare l’ispirazione per Black Doves. Ecco la citazione completa di Barton:

Stavo leggendo anche di quei poliziotti spia, quei tizi che si erano infiltrati in quel gruppo ambientalista e avevano finito per avere dei figli con loro. Insomma, una storia davvero orribile, molto più oscura di questa.

Ma ho pensato: OK, questa idea, questa doppiezza di un matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi scompare. Credo che anche questo abbia contribuito a ispirarmi.

Cosa significa questa ispirazione per Black Doves

In questa intervista, Barton fa riferimento allo scandalo dei “poliziotti spia”. Questo evento reale ha coinvolto membri della polizia britannica sotto copertura che hanno iniziato relazioni intime con gruppi di protesta. Questi scandali hanno avuto luogo principalmente nel 2010 e nel 2011 e hanno portato ad azioni legali contro questi agenti, alcuni dei quali hanno sposato o avuto figli con le persone che volevano ingannare. I principali gruppi presi di mira da questo scandalo dei poliziotti spia erano gruppi di difesa della giustizia sociale e ambientale.

Questo collegamento con la realtà potrebbe aiutare Black Doves a sembrare ancora più credibile agli occhi dei britannici o di chiunque sia a conoscenza della storia degli “spy cops”. Nella serie, la protagonista Helen è una spia nel vero senso della parola, poiché lavora per un’organizzazione di super spie chiamata Black Doves. Sarà affascinante vedere cosa succederà a Helen nella sua storia romanzata in Black Doves e come questa potrà rispecchiare o meno gli eventi reali.

Black Doves: recensione della serie tv con Keira Knightley

L’abbondanza di serie tv di stampo spy-action sulle piattaforme non è una cosa nuova: per definizione, la narrazioni che si muovono nel territorio dello spionaggio e contano su una marcata componente action sono tra i prodotti che più chiamano visualizzazioni. In un panorama ormai saturo all’inverosimile di queste proposte, è cosa rara incappare in un esperimento seriale che lasci, effettivamente, la sensazione di qualcosa di “fresco” allo spettatore. Per fortuna, questo è il caso di Black Doves, disponibile su Netflix dal 5 dicembre, sviluppata da Sister e Noisy Bear e con due noti attori britannici protagonisti: Keira Knightley e Ben Wishaw. 

Black Doves: mia moglie è una spia

Tutto ha inizio una notte in cui tre persone vengono assassinate quasi contemporaneamente mentre parlano al telefono: chi sono e cosa stavano progettando? La serie parte da questo interrogativo concentrandosi nello specifico sulla morte di uno di loro, un certo Jason (Andrew Koji), che era l’amante di Helen (Knightley), la moglie del Ministro della Difesa (Andrew Buchan). Apprendiamo subito che Helen è in realtà una spia di un’organizzazione chiamata “Black Doves”, che risponde agli ordini di Reed (Sarah Lancashire), per cui è una sorta di insider a cui rivela tutti i segreti del marito politico.

La donna continua a ribadire che la sua relazione con Jason non nascondeva alcun sotterfugio compromettente per il suo lavoro, tutt’altro: era veramente innamorata del ragazzo, ed è per questo che decide di mettersi a indagare sulla sua morte. Lo fa con l’aiuto di un vecchio amico dell’organizzazione, Sam (Whishaw), che torna in Gran Bretagna dopo sette anni di clandestinità a causa di una storia precedente che ha avuto un impatto sulle vite di tutti e che verrà raccontata in flashback. Queste tre morti saranno l’iniziale “innesco” di un complicato conflitto internazionale poiché, in concomitanza con questi eventi, l’ambasciatore cinese in Gran Bretagna viene trovato morto: non tarda troppo tempo per capire che tutti questi eventi potrebbero essere collegati tra loro.

In Black Doves c’è tutto quello che ci aspetteremmo di trovare in una serie del genere: un’investigazione dall’assoluto grado di segretezza; una donna che, dietro la facciata della moglie perfetta, nasconde un’indole decisamente più dinamica; l’ampio respiro internazionale, con le nostre superspie in continuo movimento e, nel caso del personaggio di Whishaw, che non sembrano appartenere davvero a nessun luogo.

Una serie che sorprende

Grazie soprattutto a interpreti decisamente calati nella parte e alla scelta di incorporare un po’ di sano humor british, Black Doves regala al pubblico un’esperienza di visione soddisfacente. La serie cerca di caratterizzare al meglio i suoi volti di punta, tanto che la vita privata di questi assume un ruolo di primo piano nello sviluppo degli eventi. Anche se potrebbe sembrare che aderiscano alla fredda regola del non portare sul lavoro i conflitti casalinghi, qui non c’è intrigo internazionale in cui questi aspetti emotivi non siano almeno in parte coinvolti.

L’aspetto più problematico di Black Doves emerge a partire dalla metà della serie: i suoi personaggi di contorno sono così tanti e così poco definiti, che è molto difficile mantenere il livello di credibilità di cui questo tipo di show ha bisogno. Fortunatamente, come dicevamo, i due personaggi principali colmano le lacune, dando corpo e anima alla serie.

Il connubio tra action e comedy

Knightley, che torna sulla piattaforma dopo il film Lo strangolatore di Boston (2023), si afferma come baricentro drammatico di tutto ciò che accade, gestendo molto bene il classico conflitto dell’infiltrata che vive una doppia vita al punto da non riuscire più a distinguere chi è e di chi deve veramente fidarsi. D’altra parte, Whishaw si mette alla prova portando in scena un forte dramma emotivo personale: Sam è gay, aveva un compagno che ha dovuto lasciare per motivi di lavoro, e di cui sente ancora la mancanza. Questo profondo conflitto interiore deve coesistere con una sottotrama che coinvolge una coppia di assassini professionisti e il loro capo, un’accoppiata che sembra uscita direttamente da un film di Guy Ritchie.

Tra battute taglienti e una spiccata ironia, Knightley non vi farà mai perdere di vista la sua Helen, mentre Whishaw conferisce al suo Sam una vulnerabilità irresistibile, che vi farà pensare di non avere mai incontrato un sicario del genere nell’audiovisivo. Tra di loro, la componente comedy funziona egregiamente, ma l’incantesimo non si applica a tutti i personaggi e alle storyline secondarie che incontriamo strada facendo. Effettivamente, forse questa dispersione tonale potrebbe respingere qualche spettatore ma, per chi saprà comprendere che è parte del gioco, Black Doves promette di riservare le giuste sorprese.

LEGGI ANCHE: Black Doves è una storia vera e un’organizzazione segreta reale? Helen Webb è basata su una vera spia?

L’orchestra stonata: recensione del film di Emmanuel Courcol

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Nel 2020, quando la pandemia paralizzò il mondo e indusse gli organizzatori a cancellare il Festival di Cannes, una selezione speciale permise ad alcuni film di uscire nelle sale con l’etichetta “Cannes 2020”. È il caso di Un triomphe, il precedente film di Emmanuel Courcol con Kad Mérad. Quattro anni dopo, il regista ha avuto l’onore di presentare in anteprima sulla Croisette il suo nuovo film, L’orchestra stonata, in passaggio alla Festa del Cinema di Roma 2024 nella sezione Best Of.

L’orchestra stonata: una scoperta che rivoluziona la vita

Tutto inizia con una brutta notizia: Thibault (Benjamin Lavernhe), rinomato direttore d’orchestra, crolla nel bel mezzo di una prova. Subito dopo, comunica alla sorella di essere affetto da leucemia e di aver bisogno di trovare un donatore di midollo osseo compatibile: la sua migliore possibilità è un parente stretto con cui condivide i geni. Proprio quando è costretto a mettere da parte la sua carriera, questa ricerca porta alla luce segreti sepolti: Thibault scopre di essere stato adottato e di avere un fratello minore, Jimmy (Pierre Lottin), da cui è stato separato quando era più giovane.

L’incontro con questo parente inaspettato, che ha vissuto una vita completamente diversa dalla sua, è un vero e proprio shock: Jimmy ha infatti avuto un’infanzia modesta ed è cresciuto nella loro città natale, accolto da una donna amorevole e umile. Forse condividono gli stessi geni, ma sulla carta non hanno nulla in comune. Così, quando il fratello minore viene a conoscenza delle ragioni del loro incontro, accetta di fargli da donatore, permettendogli di guarire e, nel giro di pochi mesi, di godere di una remissione inaspettata.

Il destino e la malattia li hanno fatti incontrare e Thibault attraversa una crisi esistenziale: vuole scoprire da dove viene e cercare di creare un legame con questo fratello che non ha avuto le sue stesse opportunità. Si sente quasi in debito, al di là del gesto altruistico di Jimmy, per il quale si sente in colpa. Perché non è cresciuto con loro? Perché lui ha potuto godere di un’infanzia comoda e agiata, studiare e vivere della sua passione e suo fratello no? In mezzo a tutte queste domande, si staglia un forte terreno comune: un amore innato per la musica. Thibault ne è convinto: suo fratello ha un orecchio perfetto. Così, quando il leader della banda di ottoni in cui Jimmy ha militato per anni si dimette, Thibault ne prende il posto, con l’obiettivo di aiutare il fratello minore a prendere il suo posto e a diventare il direttore della banda, anche se lui rimane timido e non ha fiducia in se stesso.

Un sapore alla “commedia degli equivoci”

Il cinema francese ha una lunga e illustre tradizione nel fondere la commedia con la riflessione sociale, combinando il riso per l’assurdità della vita con un tono più profondo e malinconico. Un genere, quello della commedia francese, che è fiorito negli ultimi tempi, basandosi sul concetto di “dramedy” per creare personaggi tanto fragili quanto divertenti. L’orchestra stonata si inserisce perfettamente in questo filone, offrendoci una sentita esplorazione dei legami familiari attraverso una narrazione carica di umorismo e ottimismo.

Nonostante la gravitas della sua premessa, il film di Emmanuel Courcol non cade mai nel sensazionalismo a buon mercato; in questo senso, la regia è estremamente abile nel sovrapporre momenti di leggerezza tonale ad altri di autentica emozione. La scoperta che rivoluziona la vita di Thibaut, quando il suo mondo si scontra con quello di Jimmy, ha il sapore di una vera e propria commedia degli equivoci.

Uno degli elementi più interessanti è proprio la dinamica che si instaura progressivamente tra Lavernhe e Lottin: il ritratto di Thibaut come uomo raffinato e perfezionista che ha affinato la sua arte ci appare piuttosto vivido e comprensibile. In contrapposizione, troviamo Lottin come un Jimmy che irradia un’energia mondana e imprevedibile. Un contrasto che crea un tempo comico che colpisce nel segno, dando vita a un umorismo che ricorda per certi versi, come dicevamo, la screwball comedy degli anni Quaranta, anche se qui la componente romantica viene sostituita dall’amore fraterno.

Unirsi nelle differenze

Dramma dall’innegabile fascino grazie alla coppia di attori protagonisti (Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin), L’orchestra stonata ha tutti gli ingredienti di una commedia popolare nel senso più nobile del termine: tenerezza, umorismo e ritmo. Sullo sfondo di complessità di classe, fratelli ritrovati e solidarietà operaia, il film di Emmanuel Courcol evita una serie di trappole, tra cui il moralismo e un illusorio lieto fine, senza paura di scendere anche nel grotteso.

Nulla di ciò che ci viene raccontato è assolutamente plausibile, ma tutto funziona con grazia: checché se ne pensi, crescere in un ambiente benestante della regione parigina non fa presagire lo stesso destino di chi è cresciuto in un ambiente molto modesto, lontano dai luoghi di cultura. Emmanuel Courcol non ha intenzione di giudicare questa situazione sociologica di fatto: al contrario, dimostra che, quando si tratta di vita e di amore, le differenze sociali possono sempre annullarsi.

The Bad Guy 2: la recensione della serie Prime Video

È bene dirlo senza mezzi termini: la seconda stagione di The Bad Guy, disponibile su Prime Video dal 5 dicembre e ancora una volta diretta dal duo Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana, conferma e supera le aspettative, offrendo un’avvincente seguito della storia di Nino Scotellaro, ex magistrato diventato spietato malavitoso. Con il suo mix di riferimenti al cinema d’azione anni ’90 e un profondo radicamento nella realtà italiana, la serie si impone come uno dei prodotti più interessanti del panorama televisivo contemporaneo.

Un omaggio al grande cinema e alla cultura pop

Era chiaro dall’inizio che The Bad Guy fosse un prodotto creato da chi ama il cinema. La passione dei registi per maestri come Tony Scott, Michael Bay, John Woo e Quentin Tarantino permea ogni episodio, donando alla serie una dimensione cinematografica che la rende unica. A questi riferimenti si aggiungono influenze pop e più contemporanee che danno alla serie il suo tono così specifico: c’è dramma e emozioni forti, ma anche ironia, gusto per il grottesco e commedia. Nino Scotellaro è proprio un Walter White che affronta una sua discesa del suo personale inferno per trasformarsi in Balduccio Remora, senza via di ritorno.

Un protagonista sempre più complesso

La seconda stagione riparte esattamente dal punto in cui si era conclusa la prima: Nino (Luigi Lo Cascio) si trova faccia a faccia con il suo nemico giurato, Mariano Suro (Antonio Catania). Ma la vendetta deve attendere. L’archivio, una cassetta contenente prove scottanti di rapporti tra Stato e mafia, diventa il fulcro della trama. Nino è sempre più combattuto tra il richiamo della sua vita precedente, rappresentata principalmente da Lui e Leo, e la crescente attrazione per il potere e il controllo che il suo nuovo ruolo gli offre. Questa evoluzione è esplorata con grande attenzione e consapevolezza: vediamo un uomo che, nonostante tutto, sembra ancora lottare per qualcosa di giusto, anche quando le sue azioni raccontano il contrario.

The Bad Guy (s): Stefano Accorsi è la grande novità

Tra le tante sorprese di questa stagione, spicca Stefano Accorsi nel ruolo di Stefano Testanuda, agente segreto dalla moralità ambigua e dall’aspetto fuori dagli schemi. Con capelli biondi e un’aria glaciale, Accorsi si diverte e diverte, rendendo il suo personaggio una scheggia impazzita: la sua entrata in scena è già un momento iconico. Si è forse sempre detto troppo poco della bravura di Accorsi, relegato per chiari meriti estetici troppo spesso al “bello della storia”: Stefano Accorsi è versatile e talentoso e soprattutto ha dimostrato che quando non si prende troppo sul serio è in grado di regalare personaggi e interpretazioni memorabili.

the bad guy 2
_LugiLoCascio_ClaudiaPandolfi_TheBadGuy2_foto di Kimberley Ross

Un mondo di donne

Ma si sa che un personaggio, per quanto caratterizzato bene, non funziona mai da solo. Deve avere delle controparti all’altezza. Il cast di The Bad Guy 2 si arricchisce di nuovi volti che aggiungono dinamismo alla storia. Ma se Lo Cascio e Accorsi sono due pilastri di questa seconda stagione, sono le donne che fanno davvero il bello e il cattivo tempo. Claudia Pandolfi è ancora una volta convincente nel ruolo di Luvi Bray, moglie di Nino e avvocata divisa tra dovere e sentimenti contrastanti, la sua interpretazione è il cuore romantico della storia che mostra in quanti modi di possa amare un uomo totalmente. Selene Caramazza, nei panni della sorella di Nino e maresciallo dei carabinieri Leonarda Scotellaro, occupa un maggiore spazio narrativo, ed è il centro emotivo, viscerale, passionale della storia, perché è tutta istinto e non comprende l’aspetto calcolatore e compromissorio che invece appartiene a Luvi. Giulia Maenza (Teresa Suro) continua a sorprendere con un’interpretazione carismatica di una donna di potere che dribbla ogni cliché e offre un ritratto fresco e autentico. La passione dei registi per la cultura pop si svela anche nella scelta di alcuni precisi volti per comparse e piccoli ruoli: Aldo Baglio, in un’inedita parte drammatica, e Carolina Crescentini, che invece compare in un piccolo ruolo, sono veramente un regalo per lo spettatore.

Un racconto che non si concede distrazioni

Una delle caratteristiche distintive di The Bad Guy è la fiducia che i suoi creatori ripongono nello spettatore. Non c’è spazio per “spiegoni” o riassunti: tutto è lasciato all’azione e ai dettagli disseminati lungo la trama. Ogni inquadratura, ogni espressione e ogni oggetto di scena raccontano qualcosa, invitando chi guarda a non distrarsi nemmeno per un secondo. Questo approccio, in un’epoca dominata dal binge-watching bulimico, premia il pubblico con una narrazione densa e avvincente, che soprattutto basa la sua fidelizzazione sul tono specifico e inconfondibile che aveva già fatto la fortuna della prima stagione.

The Bad Guy 2 conferma i motivi del successo della prima stagione, riesce a tenere alta la tensione, approfondendo al contempo la psicologia dei personaggi e offrendo momenti di grande spettacolarità e divertimento. In attesa di un (inevitabile?) terzo capitolo che concluda la storia, questa seconda stagione è uno degli appuntamenti imperdibili di dicembre su Prime Video.

Uonderbois: recensione del primo episodio della serie Disney+

Il 6 dicembre debutta su Disney+ Uonderbois, la nuova serie originale italiana prodotta per la piattaforma che si prefigge di portare lo spettatore in un viaggio straordinario tra le strade e i sotterranei di Napoli. Ideata da Barbara Petronio e Gabriele Galli, e diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano, la serie si presenta come un mix avvincente di folklore, avventura e un pizzico di magia. La prima puntata, che apre le porte al mondo unico e vibrante di Uonderbois, è un’introduzione affascinante e ricca di spunti e influenze.

La trama di Uonderbois, tra leggenda e realtà

La storia segue cinque ragazzi di dodici anni che vivono nei vasci di Napoli, stretti da un legame d’amicizia e da una fervida immaginazione alimentata dalle leggende popolari. I protagonisti sono accomunati dalla convinzione che la loro città sia abitata da Uonderboi, una figura mitologica che unisce la tradizione del Munaciello a un moderno supereroe, un Robin Hood dei vicoli napoletani. Questo mito diventa il punto di partenza per un’avventura epica che intreccia realtà e fantasia.

La puntata introduce rapidamente il conflitto principale: la Vecchia, la proprietaria dei vasci, sta per vendere le case dei ragazzi in cambio di una statuetta di Maradona all’interno della quale, si dice, sia nascosta la mappa di un tesoro. Questo innesco scatena una serie di eventi che porteranno i protagonisti a immergersi nei misteri della Napoli sotterranea, alla ricerca di un tesoro leggendario. L’elemento magico si mescola a un toccante senso di comunità e appartenenza, offrendo uno spaccato emozionante della vita nei quartieri popolari napoletani, ma soprattutto di un’infanzia che non ha ancora ceduto il passo all’adolescenza e cavalca ancora l’immaginazione con spirito d’avventura.

Un cast brillante in una Napoli al suo meglio

La prima puntata di Uonderbois presenta da subito il suo cast corale che include giovani talenti e volti noti del panorama italiano. Serena Rossi (quasi irriconoscibile nel trucco della Vecchia), Massimiliano Caiazzo e Francesco Di Leva spiccano per notorietà e carisma, ma chi brilla davvero sono i giovani protagonisti: nonostante la giovinezza, offrono performance credibili e appassionate, incarnando con naturalezza lo spirito vivace e ingenuo dell’infanzia, la totalizzante dedizione all’amicizia e all’avventura.

Napoli, degradata eppure bellissima, è un personaggio a sé stante. La regia di Andrea De Sica e Giorgio Romano valorizza la città in tutta la sua complessità: dai vicoli affollati ai misteriosi cunicoli sotterranei, indugiando presso gli affacci ariosi sul golfo, ogni scena è un omaggio visivo alla cultura partenopea. L’attenta alternanza di spazi chiusi e vedute aperte permette alle immagini di alternate luci e ombre, sottolineando con equilibrio il segreto di questa storia: la magia e la realtà convivono nello stesso spazio.

Una scrittura traballante

Un equilibrio ricercato anche nella scrittura, dove però fa più fatica a emergere, nonostante le fonti di ispirazione della serie siano evidenti. La premessa di Uonderbois ricalca esattamente quella de I Goonies, affaticandosi a rintracciarne la stessa naturalezza e ingenuità. Quello che invece la serie riesce a incorporare nella sua narrazione con naturalezza e efficacia è tutto il magmatico universo di leggende e credenze della tradizione napoletana, uno scrigno ricco e vivo da cui attingere.

La colonna sonora, arricchita da due brani inediti di Geolier – Ferrari e Parl’ cu mme –, aggiunge un tocco contemporaneo al sapore tradizionale del folklore locale, e si sposa perfettamente con l’atmosfera della serie.

Un debutto promettente

Esperienza insolita nel nostro panorama ma consapevole di maneggiare dei tropi che hanno caratterizzato la struttura del cinema d’intrattenimento statunitense con una enorme influenza sulla cultura pop, Uonderbois parla principalmente a un pubblico giovane, godendo di un felice connubio tra specificità locale e linguaggio universale. La prima puntata dà effettivamente solo un’idea di quello che sarà la serie, ma gli elementi per una grande avventura ci sono tutti.

Piece by Piece: recensione della biografia musicale animata di Pharrell Williams

Piece by Piece è una biografia musicale narrata attraverso l’animazione LEGO, un’esperienza che sfida il cinismo e abbraccia una vibrante originalità. Presentato al Toronto Film Festival, il film, che nasce dalla collaborazione tra il regista Morgan Neville e il genio creativo di Pharrell Williams, reinventa il genere documentario mescolando vivacità visiva e narrativa pop.

Piece by Piece è un connubio inaspettato

L’idea di raccontare la vita di Pharrell tramite i LEGO è insolita, ma si rivela sorprendentemente azzeccata. La carriera del musicista e produttore si distingue per la capacità di mescolare elementi incongruenti in creazioni straordinarie. È facile immaginare un giovane Pharrell costruire mondi magici con pezzi presi da set LEGO diversi, proprio come mescolava hip-hop, disco e rock per creare il suo sound unico.

Neville sfrutta questo connubio per creare un’opera visiva che trasforma episodi della vita di Pharrell in scene animate piene di colori e fantasia. Non vediamo il progetto di edilizia popolare di Virginia Beach come un quartiere grigio e difficile, ma come una realtà solare e comunitaria. La scuola che Pharrell frequentava insieme a Timbaland e Missy Elliott diventa un’esplosione di luci e musica, una capsula di creatività pronta a scoppiare. Ogni nuovo beat prodotto dai Neptunes prende forma come sfere luminose e pulsanti, che sembrano emergere direttamente dalla sinestesia di Pharrell.

Una narrazione vivace

La scelta di un approccio LEGO permette a Piece by Piece di esprimere la gioia che è al centro della musica e della personalità di Pharrell. La sua ascesa da Virginia Beach al successo globale è una storia familiare, ma Neville la racconta con un tocco così giocoso che sembra nuova e insolita. I contributi di Pharrell a brani iconici come Superthug di NORE, Drop It Like It’s Hot di Snoop Dogg e l’inno Alright di Kendrick Lamar vengono visualizzati con un brio che rende giustizia alla loro importanza culturale.

Le interviste con Missy Elliott, Jay-Z, Gwen Stefani e Pusha T arricchiscono la narrazione, creando un ritratto collettivo che celebra l’impatto di Pharrell sul mondo della musica. Ma questa componente allegra e positiva è bilanciata da aspetti più emotivi che certo non mancano in un racconto biografico: le riflessioni su sua nonna, che lo ha incoraggiato fin dall’inizio, e le difficoltà creative che ha affrontato nel bilanciare l’arte con le pressioni del business, aggiungono profondità emotiva.

Un trionfo visivo con qualche limite

Visivamente, Piece by Piece è un trionfo. L’animazione LEGO non è solo un espediente, ma una scelta narrativa che amplifica la creatività del soggetto. Tuttavia, questo approccio ha i suoi limiti. La rappresentazione LEGO, per quanto brillante, manca della capacità di catturare le espressioni umane con la stessa profondità di un documentario tradizionale. Le teste di plastica e i sorrisi stampati non riescono sempre a trasmettere le sfumature delle emozioni reali.

Inoltre, la natura profondamente giocosa del film a volte riduce il dramma intrinseco della storia di Pharrell. Sebbene le sue sfide creative e personali vengano affrontate, il tono rimane ottimistico al punto che i conflitti sembrano appena accennati.

Il peso di un successo chiamato Happy

Un capitolo interessante e ambivalente è quello dedicato a Happy, la canzone che ha definito la carriera di Pharrell. Creata per un progetto commerciale, Happy ha avuto un impatto universale in un periodo segnato dall’ascesa del movimento Black Lives Matter e dalle proteste contro la brutalità della polizia. Il film esplora questo contrasto con delicatezza, mostrando come il successo della canzone sia stato allo stesso tempo una benedizione e una fonte di riflessione.

Un esercizio di branding che funziona

Piece by Piece è un esercizio di branding mascherato da biografia, con tutto ciò che questo implica. È un branding fatto bene. Pharrell Williams emerge come un artista che vede il mondo attraverso una lente di infinita creatività e positività. Il film, con la sua estetica giocosa e i suoi ritmi coinvolgenti, prova a essere una celebrazione di quella visione. Siamo quindi di fronte a un’agiografia, più che a una biografia. E se da un lato questo punto di vista risulta poco interessante, dall’altro nulla ci impedisce di godere del film anche solo per la sua positiva e giocosa esplosione di colori. Dopotutto il “trattamento LEGO” ha il potere di rendere tutto migliore.

Black Doves: recensione della serie tv con Keira Knightley

L’abbondanza di serie tv di stampo spy-action sulle piattaforme non è una cosa nuova: per definizione, la narrazioni che si muovono nel territorio dello spionaggio e contano su una marcata componente action sono tra i prodotti che più chiamano visualizzazioni. In un panorama ormai saturo all’inverosimile di queste proposte, è cosa rara incappare in un esperimento seriale che lasci, effettivamente, la sensazione di qualcosa di “fresco” allo spettatore. Per fortuna, questo è il caso di Black Doves, disponibile su Netflix dal 5 dicembre, sviluppata da Sister e Noisy Bear e con due noti attori britannici protagonisti: Keira Knightley e Ben Wishaw.

Black Doves: mia moglie è una spia

Tutto ha inizio una notte in cui tre persone vengono assassinate quasi contemporaneamente mentre parlano al telefono: chi sono e cosa stavano progettando? La serie parte da questo interrogativo concentrandosi nello specifico sulla morte di uno di loro, un certo Jason (Andrew Koji), che era l’amante di Helen (Knightley), la moglie del Ministro della Difesa (Andrew Buchan). Apprendiamo subito che Helen è in realtà una spia di un’organizzazione chiamata “Black Doves”, che risponde agli ordini di Reed (Sarah Lancashire), per cui è una sorta di insider a cui rivela tutti i segreti del marito politico.

La donna continua a ribadire che la sua relazione con Jason non nascondeva alcun sotterfugio compromettente per il suo lavoro, tutt’altro: era veramente innamorata del ragazzo, ed è per questo che decide di mettersi a indagare sulla sua morte. Lo fa con l’aiuto di un vecchio amico dell’organizzazione, Sam (Whishaw), che torna in Gran Bretagna dopo sette anni di clandestinità a causa di una storia precedente che ha avuto un impatto sulle vite di tutti e che verrà raccontata in flashback. Queste tre morti saranno l’iniziale “innesco” di un complicato conflitto internazionale poiché, in concomitanza con questi eventi, l’ambasciatore cinese in Gran Bretagna viene trovato morto: non tarda troppo tempo per capire che tutti questi eventi potrebbero essere collegati tra loro.

In Black Doves c’è tutto quello che ci aspetteremmo di trovare in una serie del genere: un’investigazione dall’assoluto grado di segretezza; una donna che, dietro la facciata della moglie perfetta, nasconde un’indole decisamente più dinamica; l’ampio respiro internazionale, con le nostre superspie in continuo movimento e, nel caso del personaggio di Whishaw, che non sembrano appartenere davvero a nessun luogo.

Una serie che sorprende

Grazie soprattutto a interpreti decisamente calati nella parte e alla scelta di incorporare un po’ di sano humor british, Black Doves regala al pubblico un’esperienza di visione soddisfacente. La serie cerca di caratterizzare al meglio i suoi volti di punta, tanto che la vita privata di questi assume un ruolo di primo piano nello sviluppo degli eventi. Anche se potrebbe sembrare che aderiscano alla fredda regola del non portare sul lavoro i conflitti casalinghi, qui non c’è intrigo internazionale in cui questi aspetti emotivi non siano almeno in parte coinvolti.

L’aspetto più problematico di Black Doves emerge a partire dalla metà della serie: i suoi personaggi di contorno sono così tanti e così poco definiti, che è molto difficile mantenere il livello di credibilità di cui questo tipo di show ha bisogno. Fortunatamente, come dicevamo, i due personaggi principali colmano le lacune, dando corpo e anima alla serie.

Il connubio tra action e comedy

Knightley, che torna sulla piattaforma dopo il film Lo strangolatore di Boston (2023), si afferma come baricentro drammatico di tutto ciò che accade, gestendo molto bene il classico conflitto dell’infiltrata che vive una doppia vita al punto da non riuscire più a distinguere chi è e di chi deve veramente fidarsi. D’altra parte, Whishaw si mette alla prova portando in scena un forte dramma emotivo personale: Sam è gay, aveva un compagno che ha dovuto lasciare per motivi di lavoro, e di cui sente ancora la mancanza. Questo profondo conflitto interiore deve coesistere con una sottotrama che coinvolge una coppia di assassini professionisti e il loro capo, un’accoppiata che sembra uscita direttamente da un film di Guy Ritchie.

Tra battute taglienti e una spiccata ironia, Knightley non vi farà mai perdere di vista la sua Helen, mentre Whishaw conferisce al suo Sam una vulnerabilità irresistibile, che vi farà pensare di non avere mai incontrato un sicario del genere nell’audiovisivo. Tra di loro, la componente comedy funziona egregiamente, ma l’incantesimo non si applica a tutti i personaggi e alle storyline secondarie che incontriamo strada facendo. Effettivamente, forse questa dispersione tonale potrebbe respingere qualche spettatore ma, per chi saprà comprendere che è parte del gioco, Black Doves promette di riservare le giuste sorprese.

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