In attesa di conoscere i vincitori di
questa ottava edizione del Festival Internazionale del Film di
Roma, sono stati da poco annunciati i premi collaterali, assegnati
dagli sponsor e ai partners del Festival. Trai film in
Concorso sono stati premiati Dallas Buyers
Club e Tir, che portano
rispettivamente a casa il premio FARFALLA D’ORO – AGISCUOLA
e PREMIO AIC MIGLIOR FOTOGRAFIA e il PREMIO AMC MIGLIOR
MONTAGGIO.
Ecco di seguito la lista completa
dei vincitori:
PREMIO FARFALLA D’ORO –
AGISCUOLA: Dallas Buyers
Clubdi Jean-Marc Vallée;
L.A.R.A. (LIBERA ASSOCIAZIONE
RAPPRESENTANZA DI ARTISTI) AL MIGLIOR INTERPRETE
ITALIANO: Valeria
Golino perCome il
vento;
PREMIO SORRIDENDO
ONLUS: Anna Foglietta;
PREMIO AMC MIGLIOR
MONTAGGIO: Johannes Hiroshi
Nakajima per Tir;
PREMIO AIC MIGLIOR
FOTOGRAFIA: Yves
Belanger per Dallas Buyers
Club;
PREMIO AL MIGLIOR SUONO –
A.I.T.S: Borderdi
Alessio Cremonini
PREMIO CHIOMA DI BERENICE AL MIGLIOR
TRUCCO CINEMATOGRAFICO: Nadia
Ferrari per La luna su
Torino;
PREMIO CHIOMA DI BERENICE ALLE
MIGLIORI ACCONCIATURE CINEMATOGRAFICHE: Pablo J
Cabello per La luna su
Torino;
PREMIO MAURIZIO POGGIALI PER IL
MIGLIOR DOCUMENTARIO: The stone
riverdi Giovanni
Donfrancesco;
PREMIO AL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
STUDIO UNIVERSAL: Na pravakh
reklamy di Ivan
Vyrypaev;
PREMIO CENTENARIO BNL #100SEC PER IL
FUTURO:
Ex-aequo Premonizione di
Salvatore Centoducati
eFuturo di Accursio
Graffeo.
Arriva anche l’ultimo Daily News, o
video commento di questa ottava edizione del Festival di Roma 2013, a commentare
per Cinefilos.it il film presentato fuori
concorso Young
Detective Dee: Rise of the Sea Dragon 3D, Emanuele
Rauco, in attesa della cerimonia di premiazione.
CineFix ha realizzato un nuovo video,
disponibile online. Il film a cui è dedicato è Hunger Games.
Nel video è stato immaginato il videogioco a
8-bit del film, come sappiamo un adattamento del romanzo
di Suzanne Collins. Un video divertente
e verosimile, che ci mostrano come Katniss e gli altri tributi
possano essere reinterpretati nel mondo dei videogames.
Vi ricordiamo che il secondo capitolo della saga
è stato presentato, da fuori concorso, al Festival del Cinema di
Roma. Nel film Katniss Everdeen torna
a casa incolume dopo aver vinto la 74ª edizione degli
Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo” Peeta Mellark. La
vittoria però vuol dire cambiare vita e abbandonare familiari e
amici, per intraprendere il giro dei distretti, il cosiddetto “Tour
di Victor”. Lungo la strada Katniss percepisce che la
ribellione sta montando, ma che il Capitol cerca ancora a tutti i
costi di mantenere il controllo proprio mentre il Presidente Snow
sta preparando la 75ª edizione dei giochi (The Quarter
Quell), una gara che potrebbe cambiare per sempre le sorti della
nazione di Panem.
Questo pomeriggio presso la Sala
Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, si è tenuta la
conferenza stampa di Young Detective Dee: Rise of the Sea
Dragon 3D film Fuori Concorso al Festival del Film di
Roma 2013. Alla conferenza stampa ha partecipato il regista
Tsui Hark.
Il film ha una
spettacolarità altissima in tutti gli aspetti, molte
caratteristiche ricordano però altri film. C’è un rischio di
mescolarsi con il cinema hollywoodiano e perdere le caratteristiche
di quello cinese? T.H.: Si tratta di un progetto che
riguarda la mia spettacolarità non è gratuita, il personaggio del
detective Dee è profondamente radicato nella tradizione del mio
paese, viene dalla letteratura, il giudice Ti, quindi è basato su
un personaggio storico. Ho cercato di mettere insieme sia la
tradizione letteraria sia gli storici in contesto fantasy. Quindi
il lavoro che ho svolto sul personaggio è quello di creare una
sorta di mitologia autoctona originale rispetto a queste storie,
reinventate cinematograficamente nel rispetto di quello che c’era
già stato, inoltre sto già lavorando al terzo capitolo della saga
con un’idea più ampia e spettacolare.
Pensa che il 3D oltre ha dare un
plus a livello spettacolare, può influire sul piano
narrativo? T.H.: È una domanda che mi sono sempre posto, il 3D ha una
lunga storia, però qui viene utilizzata in quanto tecnica corrente
della produzione. È una tecnica che mi riporta alla mia infanzia,
io mi ricordo che utilizzavo delle particolari macchinette che ti
facevano vedere il paesaggio in 3D è mi ha sempre intrigato questa
tecnica, l’idea di applicarla nei racconti mi riporta all’inizio
del mio rapporto con l’immagine. Quindi non è una novità che il 3D
esiste già da diversi anni però si può dire che per il pubblico non
è un esperienza molto gradevole per via della tecnologia che ancora
non consentiva una visione comoda. Quindi soltanto da poco sono
state messe a punto le tecnologie necessarie per consentire una
visione per un pubblico molto conveniente e gradevole dei film in
3D. Ovviamente incominciando ad utilizzare la tecnologia 3D per
quanto riguarda anche la linea narrativa e lo sviluppo
cinematografico di una storia ci siamo resi conto della differenza
che esiste tra i due formati, 3D e 2D. C’è chi sottolinea che in
realtà ci sono poche differenze, invece quando cominci a lavorarci
ti rendi conto che proprio nel dettaglio della lavorazione e
dell’impostazione che bisogna dargli vi sono invece delle notevoli
differenze. Ovviamente parlo dal mio punto di vista personale
perché ci sono opinioni divergenti su questo aspetto però per
quanto riguarda le differenze principali lavorando in 3D dobbiamo
naturalmente sottolineare la differenza con la fotografia e il
montaggio. Nei film in 3D bisogna avere un controllo molto rigoroso
della percezione visiva del pubblico. E anche per quanto riguarda
il montaggio vi sono delle differenze poiché bisogna calcolare un
momento di transizione che può essere compreso tra 1 e 1,25 secondi
questo per permettere un accomodamento visivo nell’occhio del
pubblico per poter passare al livello successivo dell’immagine in
3D. E c’è una differenza anche volumetrica e di profondità che
caratterizza la visiona in 3D per il pubblico. Proprio per questo
il cervello di uno spettatore deve fare uno sforzo particolare per
riuscire a tradurre adeguatamente quello che vede sullo schermo ed
analizzare in maniera idonea l’immagini che compaiono. Quindi
apparentemente quando noi vediamo un film non ci rendiamo conto
della differenza tra le due tecnologie però quando poi cominciamo a
lavorarci dobbiamo raccontare una linea narrativa e ci rendiamo
conto che ci sono particolari che devono essere affrontati in
maniera diversa. E non dimentichiamoci un altro elemento in post
produzione, i sottotitoli.
C’è qualche influenza sullo scambio
delle battute? C’è anche questo fattore da tenere conto? T.H.: Nell’ambito dei sottotitoli è molto difficile dato che
c’è una grande varietà di dialetti. Mentre invece questo film non
ha dialetti e il problema non si è posto.
Gli attori vanno preparati in
modo diverso? T.H.: In realtà cerco di rendere la vita facile agli attori,
in maniera tale che non debbano fare troppi sforzi per adattare
quelle che sono le esigenze di un film in 3D che prevede macchinari
e tempi di lavorazione delle scene un po’ più lunghi.
Infine vorrei sapere cosa pensa
della tecnologia a 48fps T.H.: Ho utilizzato il
sistema dei 48fps sto ancora aspettando di poter visionare i
risultati sul grande schermo. Molti colleghi ci stanno lavorando,
ma c’è da dire che già su 60 stiamo cercando di trovare un consenso
mentre per quanto riguarda il 48 c’è moltissima incertezza. Forse
l’anno prossimo quando si saranno affrontati e superati i problemi
tecnici si potrà dire. Inoltre c’è il problema dei finanziamenti,
ma è chiaro che se una volta che questo standard si diffonderà
allora sarà necessario convincere i gli investitori ad aggiungere
finanziamenti sufficienti per fare una lavorazione in questo modo.
In Cina non c’è ancora la possibilità di vedere film girati in
questo modo, non esistono sale cinematografiche in grado di
mostrare film del genere, nella Cina continentale.
Corpi da Reatoè stato uno
dei film rivelazione al botteghino statunitense di
quest’anno.Per sfruttare il successo i
produttori sono pronti a mettere in cantiere uno spin-off, che
rueterà intorno ai personaggi di Beth e Gina,
rispettivamente Jamie
Denbo e Jessica Chaffin. Scelta
insolita, visti i numerosissimi sequel che pellicole di questo
successo hanno prodotto negli ultimi anni.La
sceneggiatura sarà affidata a Tricia McAlpin
mentre alla regia ritroveremoPaul Feig.
Corpi da Reato vedeva
protagonista Sandra Bullock, nei panni di
un’agente speciale dell’FBI,
Sarah Washburn, investigatrice metodica con un’ottima reputazione e
un’estrema arroganza. Melissa McCarthy era invece un ufficiale di
polizia di Boston, Shannon Mullins, sboccata e senza mezze misure.
Nessuna di loro due aveva mai avuto un partner, o anche solo
un’amica. Quando questi due incompatibili agenti sono costretti a
unire le forze per fermare uno spietato boss della droga, si
trovano a dover combattere contro un pericoloso cartello criminale
e l’una contro l’altra.
Dal profilo Twitter ufficiale di
RoboCop arrivano nuove immagini del film
di José Padilha, remake del classico della
fantascienza diretto da Paul Verhoeven.
Le immagini riguardano il cast di attori e
alcuni dei personaggi che vedremo nel film: Jay
Baruchel interpreta Pope, Michael Keaton
è il volto di Raymond Sellars, Abbie
Cornish vestirà i panni di Clara
Murphy, Gary Oldman quelli dell’esperto di
biomeccanica.Dennett Norton.
RoboCop, il film
RoboCop è
ilremake del film datato
1987, Robocop – Il futuro della
leggeche inaugurò il successo del franchise
legato al poliziotto metà uomo e metà macchina. Il
nuovo RoboCop,
diretto da Josè Padilha, sarà invece
interpretato da Joel Kinnaman. Il film è al
momento in post-produzione, sarà prodotto dalla Strike
Entertainment, dalla MGM e dalla Columbia Pictures ed uscirà nelle
sale il 7 Febbraio 2014 con un cast di tutto
rilievo, composto, tra gli altri, da
Joel Kinnaman,
Gary Oldman,
Abbie Cornish,
Samuel L. Jackson, Jackie Earle Haley, Jay Baruchel,
Michael Keaton.
RoboCop è
ambientato nel 2028, anno in cui la multinazionale conglomerata
OmniCorp è leader nell’industria robotica. All’estero, i droni da
essa prodotti, vengono impiegati dalle forze militari da anni, ma
sono stati vietati come tutori della legge all’interno dei confini
americani. Ora la OmniCorp vorrebbe impiegare questa controversa
tecnologia anche sul fronte interno, considerando questa
opportunità un’occasione d’oro. Quando Alex Murphy
(Joel
Kinnaman) – marito affettuoso, padre, e buon
poliziotto, facendo del suo meglio per arginare l’ondata di
criminalità e corruzione a Detroit – resta gravemente ferito,
la OmniCorp intravede un’occasione unica per creare un poliziotto
ibrido, in parte uomo ed in parte robot. La OmniCorp immagina
un futuro in cui ogni città avrà il suo RoboCop, con conseguenti
ricavi miliardari per i propri azionisti; ma alla OmniCorp stanno
dimenticando una cosa fondamentale: che c’è pur sempre un uomo
all’interno della macchina.
Il quinto Mouse
d’Oro – il premio dei siti di cinema – assegnato al
Festival Internazionale del Film di Roma va
a Her di Spike Jonze, votato il miglior
film del Concorso dai collaboratori dei 78 sito di cinema che
compongono la giuria. Mouse d’argento al miglior film fuori dalla
competizione a Snowpiercer di Joon-ho
Bong. Nato nel 2009 su idea di Hideout.it,
il Mouse d’Oro è cresciuto nel corso degli anni,
arrivando a coinvolgere una giuria sempre più numerosa e variegata
per un totale di 78 siti italiani di cinema e oltre 100
giurati. Due i riconoscimenti assegnati: il Mouse
d’Oro al miglior film del concorso ufficiale e
il Mouse d’Argento alla migliore opera presentata al di
fuori della competizione.
Ricordiamo che
Her, diretto da Spike
Jonze, è stato presentato al Festival di Roma 2013 dal
regista accompagnato dai protagonisti Joaquin Phoenix,
Rooney Mara e la bella Scarlett Johansson, che nel film
da la voce a Samantha. Per Snowpiercer è
invece arrivato a Roma il grande John Hurt,
protagonista anche di una interessante chiacchierata con il
pubblico.
Il Direttore Artistico del Festival
Internazionale del Film di Roma, Marco Muller, ha
commentato insieme ai giornalisti questa ottava edizione
dell’evento, che questa sera con la cerimonia di premiazione vedrà
la sua conclusione ufficiale. “Era importante ragionare su un
sistema aperto e quindi avremmo potuto anche parlare di
‘festaval’ – ha detto provocatoriamente Muller ai giornalisti
in merito alla ridefinizione dell’identità dell’evento – E’
importante aprirsi perchè solo così ci possiamo mettere in gioco e
continuare a ripensare ad una filosofia in movimento. Inizia adesso
però il momento della verifica, quando sentiremo le opinioni dei
soci fondatori. Sono loro che devono, con il Presidente e il
consiglio di amministrazione, contribuire ad orientare il Festival.
Ma da parte mia, con tutto l’ufficio cinema, ci metteremo a
tempestare di e-mail registi, produttori, distributori, per sapere
secondo loro cosa ha funzionato e cosa no, che cosa c’era di buono
ma anche cosa mancava. Su questa base dobbiamo ridefinire. Questa
sera scopriremo i vincitori e noi siamo molto soddisfatti del
verdetto della giuria perché in qualche modo ha veramente ragione
nel mix di elementi. Bisognerà anche capire come verrà accolto
questo verdetto, perchè potrebbe essere una chiave per aprire delle
porte che fino ad ora erano rimaste
chiuse. Jon Kilik, produttore di
Hunger Games, è venuto a vedere la Sala Santa
Cecilia e mi ha detto chiaramente che con questa sala, e con il
periodo giusto per prendere quei film che comunque uscirebbero
prima della fine dell’anno, questo è l’evento metropolitano di cui
in tanti abbiamo bisogno. Poi quando Kilik ha fatto l’esperienza
del tappeto rosso di Hunger Games il giorno
seguente, ha detto ‘Credo di aver capito dove porteremo il
terzo episodio della saga’.“
Sono stati presentati nel primo pomeriggio anche i numeri
provvisori dell’ottava edizione del Festival Internazionale del
Film di Roma. Lamberto Mancini, direttore
generale, ha illustrato le percentuali di vendite e partecipazione
a questa edizione della manifestazione romana:
La
programmazione:
163 film da 30 Paesi
90 Delegazione
402 Proiezioni e il 70% della sale occupate
+20% (rispetto allo scorso anno) di biglietti emessi
MAXXI 46 proiezioni
5500 accreditati +20% di studenti
oltre 150000 presenze in 10 giorni
6 incontri
5 mostre
26 convegni e tavole rotonde
Copertura
mediatica:
1154 articoli sui quotidiani nazionali e locali (media
giornaliera 128)
5170 articoli sul web (media giornaliera 574)
254 lanci di agenzia
492 tra servizi tg nazionali e locali trasmissioni
cinematografiche e radiofoniche
752 articoli usciti sui media internazionali, da tutto il
mondo
L’imperatrice Wu Zetian ha inviato
il capitano delle guardie Yuchi a indagare su un minaccioso mostro
marino. Il giovane detective Dee e Yuchi si ritrovano a combattere
insieme quando la creatura attacca il corteo cerimoniale per il
sacrificio della bellissima Yin. Tra numerose peripezie e fortunati
indizi i due riescono a scoprire un complotto che coinvolge lo
stesso imperatore e tutti coloro che bevono regolarmente un tè
forse velenoso.
Presentato Fuori
Concorso al Festival di Roma 2013 e vincitore del
premio Maverick Director Award, il film del maestro
Tsui Hark porta in scena il prequel del fortunato film del
2010 Detective Dee e il mistero della fiamma
fantasma. La storia è un giallo in stile Sherlock
Holmes con costumi colorati e le scenografie storiche della
Cina imperiale governata dalle varie dinastie. La sceneggiatura,
molto lineare, segue le avventure di questo giovane detective che
grazie alla sua grande capacità deduttiva riesce a far luce su due
storie parallele che nascondono un unico complotto che minaccia
l’impero. Ciò che caratterizza la storia è la forte componente
action, ma che purtroppo gioca con facili collegamenti a film quali
Matrix e I Pirati dei Caraibi e che si allaccia
sopratutto alla cultura dei più recenti film sul mondo delle arti
marziali quali La foresta dei pugnali volanti e La tigre
e il dragone. Questo però non minimizza la gran consapevolezza
e abilità con la macchina da presa del regista di Hong Kong,
difatti egli sfrutta rallenty e flashback al servizio della storia
e per il lavoro di post produzione in cui gli effetti speciali
risultano essere la caratteristica indiscussa del film. Inoltre il
maestro usa la maggior parte delle tecniche moderne per rendere
estremamente scorrevoli i 130 minuti del film che insieme alle
scenografie colorate e sontuose di Ken Mak riescono a creare
una buona contrapposizione tra regia moderna e stile
fantasy-storico.
In tutto questo caleidoscopio di colori e azione ciò che perde il
film è di credibilità, molte saranno le scene che eccedono nel loro
svolgimento tanto da suscitare lo scetticismo e il sorriso di chi
le guarda; Inoltre i numerosi “finali” che decide di intraprendere
la sceneggiatura, appesantisce tutta la seconda parte della storia,
facendo risultare il film più macchinoso delle sue premesse
iniziali.
Young Detective Dee: Rise of
the Sea Dragon 3D è un fantasy che riesce a trovare un buon
equilibrio visivo tra la cultura storica e l’ottica moderna il cui
solo scopo è di intrattenere, come dimostra l’ottimo 3D, piuttosto
che coinvolgere nella storia. La recitazione così come la
sceneggiatura sono funzionali alla componente action e quindi già
esplorati nel panorama cinematografico.
Fuori concorso è stato presentato
oggi al Festival del Film di Roma il film/documentario
La cour de Babel di Julie
Bertuccelli a seguito della premiazione della sezione
Alice nella Città.
La cour de Babel, tradotto come
La Scuola di Babele, inizia con il primo
giorno in una Classe d’Inserimento in una scuola media di un gruppo
di ragazzi dagli 11 ai 16 anni che sono appena arrivati in Francia.
La narrazione segue questa classe per tutto l’anno scolastico in
un’istituto di Parigi, dove gli alunni provenienti da Serbia, Cina,
Venezuela, Senegal e tanti altri paesi si ritrovano non solo ad
imparare il francese ma a cercare di essere dei francesi,
migliorando e imparando con la speranza di integrarsi con gli altri
che , in un età di pre-adolescenza, non sono per nulla aperti ad
accogliere “il nuovo”.
In questa classe multietnica gli
studenti ,che più diversi tra loro non potrebbero essere, si
ritrovano a fraternizzare e a darsi spalla, uniti dalle stesse
difficoltà di ricominciare una vita, che anche se in giovane età,
non è cosa semplice. Ognuno con i propri problemi, per i quali sono
scappati o sono stati attirati in Francia e tutti con un bagaglio
culturale e di classiche inquietudini adolescienziali, tra cui la
totale perdita di punti di riferimento, spessi dovuti all’assenza
dei genitori, la classe messa insieme da Julie Bertuccelli è un
perfetto ritratto dell’integrazione difficile dei giovani nelle
scuole e nella società.
Con tanto entusiasmo, pochi
preconcetti e un’infinità di domande sulla natura stessa della
vita, La Cour de Babel è un documentario
innocente e sincero che lancia un messaggio di speranza in un
periodo non proprio facile.
La cosa che più colpisce e stupisce
è la verità di questo racconto: Julie Bertuccelli
ha incontrato la classe dell’istituto Grange-aux-Belles di Parigi
mentre presiedeva la giuria di un concorso di cinema per ragazzi ed
è rimasta affascinata da questo microcosmo di emozioni e obbiettivi
comuni, che non poteva non raccontarlo.
Strutturato come un documentario,
con piani stretti sui volti dei ragazzi e piccole storie di vita
quotidiana, La Cour de Babel è il prodotto perfetto per concludere
la sezione Alice nella Città, che ha avuto una partecipazione
straordinaria da parte delle scuole anche quest’anno. Un messaggio
sull’importanza delle classi d’accoglienza , che ad esempio in
Italia sono molto poche, e sul ruolo fondamentale della scuola e
dell’educazione nell’integrazione.
Uno dei più grandi
buchi della trama di The Amazing Spider-man è
stato il non aver rivelato il destino del Dr. Rajit Ratha
della Oscorp (interpretato da Irrfan Khan). Oggi
arriva dal virale di The Amazing Spider-Man 2 una scena in
cui il suo destino viene svelato:
In The Amazing Spiderman 2, per Peter Parker (Andrew Garfield),
vive una vita molto la occupata – tra prendere i cattivi
come Spider-Man e passare il tempo con la persona che ama,
Gwen (Emma Stone); diplomato ormai ha lasciato le scuole superiore
e non ha dimenticato la promessa fatta al padre di Gwen di
proteggerla – ma questa è una promessa che semplicemente non
può mantenere sempre. Le cose cambieranno per Peter quando un nuovo
cattivo, Electro (Jamie Foxx), emerge dagli abissi della città, e
un vecchio amico, Harry Osborn (Dane DeHaan), ritorna, e fa
riemergere nuovi indizi sul suo passato.
Il regista Todd Field
porterà sul grande schermo una trasposizione del romanzo di Jess
Walter, Beautiful Ruins, storia ambientata in
Italia. Sul set vedremo l’attrice inglese Imogen Poots, già vista in Need for
Speed. Pubblicata nel Giugno 2012, la storia parla di
un americana che fa un viaggio in Italia nel 1962, precisamente in
Liguria, durante la produzione del film Cleopatra. La sua storia si
intreccerà a quella di altre tre persone, che girano ognuno intorno
alla realtà dell’altro. La Poots impersonerà la giovane
attrice Dee Moray. Il resto del cast è ancora sconosciuto.
Todd Field, conosciuto anche
per Little Children e In the Bedroom,
sta scrivendo la sceneggiatura proprio con l’autore del libro,
Jess Walter. Field Produrrà il film con la
Standard Film, con la Cross Creek di Brian
Oliver e Tyler Thompson e la Smuggler di Brian
Carmody e Patrick Milling Smith. Si dice che il film
inizierà le sue riprese in Italia a Maggio 2014.
Dopo il successo di Ender’s
Game, al fianco di Harrison Ford, e Hugo Cabret, il
giovanissimo Asa Butterfield non si ferma qui. Ormai
sull’onda del successo, il ragazzino sarebbe in trattative per uno
dei ruoli principali nella commedia Kings of
Kastle,
La pellicola è una commedia della
Benroya pictures, scritta da Brian Gatewood e
Alessandro Tanaka, che coopereranno per la prima volta anche
alla regia, dopo aver scritto la commedia The
Sitter.
Il film vedrà protagonista Clive
Owen e Jacki Weaver, ai quali Butterfield dovrà
affiancarsi nei panni di un teenager, che ossessionerà Owen,
sciupa femmine incallito, con lettere minatorie. Il ruolo di
Jackie Weaver è ancora incerto.
Butterfield non è
certo conosciuto per i ruoli comici, anzi l’abbiamo visto una delle
prime volte ne Il Bambino col pigiama a
righe in un personaggio a dir poco melodrammatico, in
uno scenario terribile come quello dell’Olocausto, e ancora in
Hugo Cabret nei panni di un bambino
rimasto orfano che ha una storia molto commovente. Per non parlare
del suo ultimo ruolo in Ender’s Game.
Sarà questa una svolta per il
giovane attore, che speriamo ci farà vedere la sua bravura anche in
un ruolo un po’ più frivolo.
Arrivano nuove speculazioni su cosa
bisognerà aspettarci dal Batman che vedremo nell’atteso
Batman vs Superman che sarà il sequel di
Man of Steel e ancora una
volta diretto da Zack Snyder. Oggi arriva un twett
interessantissimo dal produttore Daniel
Alter, assiduo collaboratore di Warner
Bros. e Relativity Media, che ha lanciato una vera
e propria bomba:
Follow Can’t wait
for #BatmanvsSuperman.. #batfleck semi-retired/not speaking to Robin
anymore.. Controlling drones from the batcave.
Pare che il Batman che vedremo
potrebbe essere un personaggio molto più cupo di quanto detto, un
personaggio ormai ritirato che non ha alcun legame fraterno con
Robin e che agisce controllando dei droni dalla Batcaverna.
Ovviamente queste informazioni se confermare daranno in la ad una
serie di speculazioni sulla possibile trama del film. Inoltre si
potrebbe capire su quale dei tanti volumi della DC Comics il film
trae ispirazione per la trama. Al momento però non ci sono conferme
per cui rimaniamo in attesa di ulteriori sviluppi.
È stata una lunga battaglia quella
tra Kevin McClory e la MGM per i diritti su
alcuni film di James
Bond. Nel 1958, infatti, Ian Fleming e Kevin
McClory lavorarono su una serie di sceneggiature per portare
sul grande schermo James Bond. Una di queste era
Thunderball che venne poi sviluppata in un film. Però
Fleming decise di tagliare fuori McClory, cosa che
bloccò la pellicola prima che iniziasse la pre-produzione.
Fleming decise di pubblicare un romanzo proprio su quella
sceneggiatura, senza però nominare McClory, che prontamente
gli fece causa.
Fleming pagò una cifra a
McClory e dovette cedere i diritti delle sceneggiature
sviluppate con lui. Nel 1965 uscì Thunderball, che
incluse McClory come produttore, che rese complicata la vita
della casa di produzione EON con il coinvolgimento della
MGM per difendere gli eredi di Fleming. Oggi, finalmente, è
arrivata una conclusione a questa infinita diatriba: la EON
e la Danjaq (compagnia che gestisce i diritti di
sfruttamento della saga di James Bond) hanno acquistato i diritti
che erano nelle mani degli eredi di McClory.
Il franchise, quindi, ha riavuto i
diritti per raccontare storie come SPECTRE ed
Ernst Stavro Blofeld, uno dei cattivi più importanti della
saga di Bond. Questa è una notizia molto importante per il futuro
del franchise di 007, nonostante non è sicuro che nella
sceneggiatura in corso del 24esimo episodio verranno inclusi questi
nuovi particolari. Sicuramente li vedremo in un futuro
prossimo.
Si conclude oggi la 10a
edizione di Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela
del Festival Internazionale del Film di Roma dedicata alle giovani
generazioni e alle famiglie, dove a trionfare è la Finlandia che
ottiene ben due Premi: Miglior film a “The Disciple” di
Ulrika Bengts e “Heart of a Lion” di Dome Karukoski.
Alle ore 11.30 nella Sala Petrassi
dell’Auditorium Parco della Musica di Roma la Direzione artistica
di Alice nella Città, alla presenza della Giuria composta da 25
ragazzi tra i 14 e i 18 anni, ha consegnato il Premio come
Miglior film del Concorso Young/Adult (che consiste in un
compenso economico di 10.000,00 euro) al film, già candidato
all’Oscar per la Finlandia, “The Disciple” di Ulrika
Bengts.
La motivazione della giuria:“per la sensibilità con la quale la regista ha affrontato le
complesse dinamiche familiari e l’introspezione dei personaggi. Il
film è capace di raccontare un ristretto lembo di terra, con pochi
personaggi, una storia emozionante che non incontra barriere
temporali. Interessante il capovolgimento dell’immagine del faro
che, da baluardo di luce e salvezza per i viaggiatori, si trasforma
in un luogo soffocante da cui fuggire. Straordinarie infine le
interpretazioni dei personaggi tra cui spicca per intensità la
figura del padre”.
Menzione speciale della
Giuria è stata attribuita a “Heart of a Lion” di Dome
Karukoski, ultimo lavoro di uno dei registi finlandesi più
conosciuti in patria, già passato al Festival di Toronto e a
Montreal.
La motivazione della giuria:“per la semplicità puntuale ed incisiva nel descrivere un tema
importante e pericolosamente attuale, quello del neonazismo. Per la
capacità del cast e la sceneggiatura efficace in grado di riportare
senza filtri e con tagliente comicità una realtà crudele quanto
folle”.
Ottimo il bilancio con cui si
chiude questa decima edizione di Alice nella Città che può vantare
oltre 23.000 presenze tra pubblico e accreditati: circa 19.000
per le proiezioni dei film (Concorso, Fuori Concorso ed Eventi
speciali) e 4.000 registrate per tutte le attività aperte al
pubblico a ingresso gratuito, legate al mondo del cinema e
parallele al programma ufficiale che hanno avuto luogo ogni giorno
a Casa Alice. Numerosissime anche le scuole coinvolte: 78 classi
di elementari, 61 di scuole medie e 259 classi di scuole
superiori.
Più di 80 gli ospitiitaliani ed internazionaliche hanno animato Casa Alice
dall’8 novembre ad oggi, considerando le delegazioni dei film
in Concorso, Fuori Concorso ed Eventi speciali e tutti gli
appuntamenti collaterali ad ingresso gratuito che si sono
susseguiti ogni giorno. Incontri con registi e attori accolti nella
Libreria del Cinema di Giuseppe Piccioni, lezioni di cinema in 4
step rivolte a giovani tra i 15 e i 22 anni, proiezioni serali
all’aperto per omaggiare i 90 anni dell’Istituto Luce Cinecittà,
gli ospiti della striscia quotidiana curata dal “critico”
irriverente Johnny Palomba con il coinvolgimento dei ragazzi della
Scuola di Cinema Rossellini, l’appuntamento con il Cinecocktail e
l’evento Film4Meeting – Show your talent, l’incontro con Rocco
Papaleo organizzato dalla Basilicata Film Commission, la
presentazione dei 6 canali web specializzzati di
Raicinemachannel.it, e molte altre occasioni per brindare ad alcune
opere che sono state presentate in questi giorni, come le feste per
i film “Tir”, “Take Five” e “Marina”.
Tutti avvenimenti che hanno
contribuito a trasformare Casa Alice in un’officina creativa,
grazie anche al supporto dei partner culturali, media e tecnici
della Manifestazione, come Rai Movie, My Movies.it, Radio Città
Futura, Cinemotore, Open Sky, Fred Radio e la Libreria del Cinema,
a cui si aggiungono Acea spa ed Ente dello Spettacolo che hanno
reso possibile l’omaggio all’Istituto Luce, Istituto Roberto
Rossellini, Fapav, RomaLazio Film Commission, Lucana Film
Commission, Trap Art, Cinemeccanica, MADE.COM che ha curato gli
arredi di Casa Alice, SUB-TI, Grandi Eventi Italia, Tailorsan.
È ufficiale la data d’uscita negli
Stati Uniti del film Passengers, il film
romantico-fantascientifico interpretato da Keanu Reeves e
Rachel Mc Adams. Questo film sembrava essere finito nel
dimenticatoio, dopo che il progetto venne perso dal regista
nostrano Gabriele Muccino diversi anni fa. La pellicola,
invece, tornerà sotto la direzione di Brian Kirk ,
regista di alcuni episodi di Games of thrones e di
molte altre serie tv, come The Tudors, con la
sceneggiatura di Jon Spaihts.
La Weinstein Company ha
comprato i diritti di distribuzione del film e ora ha scelto la
data d’uscita ufficiale che sarà il 3 Aprile 2015.
La storia è ambientata nel futuro,
ed è una rivisitazione della storia di Adamo ed Eva. Il
protagonista Jim Preston ( Reeves), è un meccanico che
affronta un viaggio lungo 120 anni verso una lontana galassia.
Durante questo tragitto non tutto va come dovrebbe, e l’uomo si
sveglia solo e abbandonato su una nave popolata da robot. Jim
deciderà di interrompere l’ipersonno della bella Aurora per
condividere il percorso con lei. Così i due si troveranno ad
affrontare l’amore l’uno per l’altra, costretti poi a vivere
insieme l’avaria della nave e le tragiche conseguenze che ne
verranno.
Pochi giorni fa vi abbiamo parlato
di 47 Ronin, film diretto da Carl Rinsch con
Keanu Reeves, riportandovi proprio l’opinione dell’attore
sul film.
Ora, è stata diffusa dalla
Universal Pictures on-line la prima clip ufficiale
del film, film d’azione fantasy, che uscirà a Natale negli
Stati Uniti. Potete vedere la clip qui:
47 Ronin è basato su
fatti realmente accaduti in Giappone nel 18° secolo e diventati poi
leggenda, infatti nel film ci saranno molti elementi fantasy e
fiabeschi. Reeves interpreta Kai, personaggio creato
appositamente per questa versione cinematografica della storia, che
è per metà inglese e per metà giapponese. Egli si unirà ai samurai,
i 47 Ronin, nella loro impresa per vendicare il loro maestro ucciso
dal tiranno Signore. I guerrieri si troveranno ad affrontare dure
prove per raggiungere il loro obiettivo. Kai, però finirà per
innamorarsi della figlia del maestro.
La storia è stata riscritta da
Chris Morgan e Hossein Amini, e uscirà in Italia a
Marzo 2014.
Il cast del film comprende anche
Rinko Kikuchi, Hiroyuki Sanada, Cary-Hiroyuki Tagawa, Tadanobu
Asano e Rick Genest.
Vi avevamo già anticipato di un
nuovo progetto su Peter Pan da parte della Warner
Bros, film intitolato Pan che sarà diretto da
Joe Wright. Anche se ancora non è stato confermato il
coinvolgimento del regista in questa nuova avventura, già si parla
di ipotetici componenti del cast.
Variety riporta la notizia che la Warner Bros
sembrerebbe interessata al premio Oscar Javier Bardem per il
ruolo di Barbanera, pirata brutale contro il quale il giovane Peter
dovrà combattere e guiderà una vera e propria rivolta, salvando i
nativi dell’ Isola che non c’è. Infatti , nella nuova
sceneggiatura, Pan sarà un orfano portato sull’isola che non c’è
dove ricoprirà proprio il ruolo il salvatore dei nativi. L’attore
sarebbe già stato contattato dalla Warner per questo
ipotetico ruolo.
Questo nuovo Peter Pan sarà un
progetto innovativo, nel quale vedremo il personaggio che tutti
amiamo in altre vesti, scopriremo il suo passato più intimo
nonostante la storia sia sempre basata sulle avventure scritte da
J.M. Barrie.
La produzione del film è affidata a
Greg Berlanti ( serie tv Arrow), la
sceneggiatura sarà scritta da Jason Fuchts, sceneggiatore de
Continenti alla Deriva, e tutto sarà supervisionato
da Sarah Schechter.
La vittoria di Katniss Evergreen e
Peeta Mellark ci aveva lasciato una strana malinconia. Come noi,
neanche loro riescono a gioire dopo gli spietati eventi a cui sono
sopravvissuti. Gli Hunger Games, preziosa creazione
letteraria di Suzanne Collins, sono la massima
espressione di un governo dispotico che, per mantenere lo status
quo, indice una lotteria i cui vincitori si contendono la
sopravvivenza. I tributi, così si chiamano i partecipanti,
si aggrappano alle loro vite chiamando in causa gli istinti
primordiali di hobbesiana memoria.
Homo homini lupus, è
la morale di fondo e il successo della saga è dovuto al declinare
tale lezione nel mondo dei giovani. Lo ha fatto nel primo film del
2011, diretto da Gay Ross, senza risultare banale, al
contrario, non lesinando nel mostrare particolari
agghiaccianti.
Per Hunger Games – La ragazza di fuoco, in
uscita il 27 novembre in Italia, al timone c’è Francis
Lawrence confermato per dirigere anche l’adattamento
de Il canto della rivolta che
verrà diviso in due film. Nato come regista di clip musicali
e spot pubblicitari, ha poi trovato il successo grazie a
Constantine (2005), trasposizione del fumetto
Hellblazer, proseguendo con Io sono leggenda
(2007) e Come l’acqua per gli elefanti (2011).
La ragazza di fuoco rappresenta
un’opportunità per mettere alla prova la sua consolidata abilità
nella trasposizione di romanzi e magari mostrarci capacità di
personalizzazione registica.
In questo secondo capitolo i due
vincitori sono il simbolo di una rivolta che il governo non potrà
ignorare. Costretti a lasciare gli affetti più cari per
intraprendere il “Tour dei Vincitori”, diventeranno consci delle
loro responsabilità ma si vedranno opporre, oltre al presidente
Snow (DonaldSutherland), anche il suo braccio destro
Plutarch Heavensbee (Philip Seymour Hoffman).
Jennifer
Lawrence, ormai a suo agio nei panni della protagonista, ha
ammesso la sua lontananza dal personaggio interpretato: lei a
confronto è “una fortunata viziata”. Da quando ha intrapreso
l’avventura di Hunger Games la sua agenda è ormai piena di impegni
fino al 2015: tra i film figurano American Hustle,
X-Men Giorni di un futuro passato e
Hunger Games Il canto della rivolta.
Tuttavia esprime profondo riconoscimento per il ruolo di Katniss
senza il quale non ci sarebbe stato Il lato positivo
(2012), la pellicola con Bradley Cooper che l’ha
vista trionfare agli Oscar come Miglior attrice protagonista.
Con La ragazza di
fuoco, avremo l’occasione di approfondire il
personaggio Peeta Mellark, interpretato da Josh Hutcherson,
che prima di Hunger Games era confinato in ruoli meno impegnativi e
secondari come in Viaggio al centro della Terra 3D,
Aiuto vampiroe I ragazzi stanno
bene. Al cast del primo film che comprendeva Liam
Hemsworth, Woody Harrelson, Stanley Tucci,
Elizabeth Banks e Lenny Kravitz, si aggiungono Sam
Claflin, nel film Finnick Odair, Jena Malone, nei panni
di Johanna Mason e Philip Seymour Hoffman, che interpreta lo
stratega Plutarc.
La saga di Hunger Games ha
risollevato le sorti del romanzo young adult e così sta facendo
anche al cinema prendendo le distanze da Twilight e
presentando un prodotto diverso rispetto da Harry Potter. Un
successo per poter catturare l’attenzione di giovani non più
ingenui.
La trama del film:
Katniss Everdeen torna a casa incolume dopo aver vinto la 74ª
edizione degli Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo”
Peeta Mellark. La vittoria però vuol dire cambiare vita e
abbandonare familiari e amici, per intraprendere il giro dei
distretti, il cosiddetto “Tour di Victor”. Lungo la strada Katniss
percepisce che la ribellione sta montando, ma che il Capitol cerca
ancora a tutti i costi di mantenere il controllo proprio mentre il
Presidente Snow sta preparando la 75ª edizione dei giochi (The
Quarter Quell), una gara che potrebbe cambiare per sempre le sorti
della nazione di Panem.
Ha un fratellino, Jake, che fa
l’attore famoso, e un marito, Peter Sarsgaard, che fa
l’attore famoso pure lui (e ha un cognome ugualmente
impronunciabile). A dire il vero, è il fratello che fa conoscere a
Maggie Gyllenhaal il futuro sposo, incontrato sul set di
Jarhead. Dopo 7 anni insieme, nel 2009 i due si
sposano a Brindisi: hanno già una bimba e presto ne sfornano una
seconda. C’è da scommettere che le due pupe finiranno nello
showbiz, con la famiglia che si ritrovano.
Mamma Maggie esordisce col fratello
in alcuni film diretti dal padre (di origine svedese, da qui il
cognome assurdo) per poi dedicarsi alla laurea in letteratura e
religioni orientali alla Columbia. Ma studia anche recitazione a
Londra e nel tempo libero fa la cameriera nel Massachussets, finché
nel 2001 ottiene una particina in Donnie Darko, dove
è la sorella del protagonista, cioè suo fratello Jake, la cui
carriera decollerà grazie a questo inquietante indie. L’anno dopo
però è la volta di Maggie, che conquista finalmente la scena in
Secretary: la sua timida segretaria asservita al
sadico James Spader cattura l’attenzione e pure una
nomination al Golden Globe. Nel 2003 è una delle allieve di
JuliaRoberts in Mona Lisa smile: nel
cast c’è anche Kirsten Dunst, e Maggie ricambia il favore a
Jake presentandogli la collega, ma la relazione fra i due non
durerà. Miss Gyllenhaal ormai è un’attrice affermata e i progetti
successivi sono assai variegati: dalla commedia Vero come la
finzione, al drammone World Trade Center,
fino al blockbuster campione d’incassi Il cavaliere
oscuro, dove sostituisce Katie Holmes nei panni di
Rachel Dawes, l’amata di Batman. Nel 2009 la sua performance in
Crazy Heart al fianco di Jeff Bridges le fa
quasi vincere l’Oscar, ma Maggie riscuote successi anche a teatro,
dove si esibisce in diverse pièce (con un debole per
Checov).
La fanciulla vanta anche un passato
da modella (per Miu Miu e Agent Provocateur) e un
presente da attivista impegnata in svariate cause. Noi le rubiamo
solo qualche minuto per farle spegnere le 36 candeline. HAPPY
BIRTHDAY MAGGIE!
Ottavo giorno del
Festival di Roma 2013 e sono stati
presentati ben tre film in concorso, il primo è
Tir dell’italiano Alberto
Fasulo con Branko Završan, Lučka Počkja e Marijan
Šestak. Mentre il secondo è l’anglo-spagnolo Another
Me di Isabel Coixet con la ex Sansa
Stark di Game of Thrones Sophie Turner, Rhys Ifans, Claire
Forlani, Gregg Sulkin, Leonor Watling, Jonathan Rhys Meyers e
Geraldine Chaplin. Ed infine il film giapponese di Takashi
Miike, The Mole Song – Undercover Agent
Reiji con Toma Ikuta, Shinichi Tsutsumi, Riisa Naka,
Takayuki Yamada, Takashi Okamura, Yusuke Kamiji, Mitsuru Fukikoshi,
Kenichi Endou, Sarutoki Minagawa, Ren Ohsugi e Koichi Iwaki.
Guarda il trailer di
Justin Bieber’s Believe, il film sulla
giovane star diretto da Jon M. Chu, già regista
di Never Say Never, GI Joe:
Retaliation. La pellicola ripercorre il successo del
cantante noto in tutto il mondo che fa impazzire migliaia di
giovani, ed è ricco di filmati di concerti mai visti prima e
corredato di dietro le quinte mai pubblicati. Nel film inoltre le
apparizioni speciali di Scooter Braun, Patti Mallette,
Usher, Ludacris e molti altri.
Continua a tenere banco il reboot di
The Fantastic Four, che la 20th
Century Fox ha intenzione di rilanciare al cinema entro il
19 Giugno 2015. Dopo la notizia che il film si girerà in Louisiana,
oggi arriva la conferma da Comingsoon.net che parte di alcune
riprese potrebbero essere fatte a Baton Rouge, nel
periodo di Marzo 2014. Al momento queste sono solo rumors ma se
confermate a breve potrebbe chiudersi anche il casting del film al
momento ancora non ufficializzato, anche se diverse rumors sono
stati diffusi nell’ultimo periodo (LEGGI QUI e QUI) Sappiamo invece che alla
regia del film ci sarà il talentuoso regista di
ChronicleJosh Trank,
per una release prevista per Giugno 2015.
Mancano ancora due
giornate alla conclusione dell’ottava edizione del Festival
Internazionale del film di Roma, ma oggi si è conclusa la
presentazione alla stampa dei film presenti nella selezione
ufficiale per il Concorso, i 18 film che gareggiano per portare a
casa il Marc’Aurelio d’Oro. Lo scorso anno, lo ricordiamo, portò a
casa il premio il regista Larry Clarke, che con
Marfa Girl mise a dura prova le critiche
degli addetti ai lavori. Per non parlare poi del putiferio
scoppiato quando il premio alla migliore regia e alla migliore
interpretazione femminile andarono a Paolo Franchi
e alla sua attrice Isabella Ferrari per
E la chiamano estate.
Il Concorso in generale ha rivelato
poche sorprese, presentandoci un tipo di film che (in più di un
caso) prediligono una regia statica, ‘a seguire’ rispetto
ai personaggi del racconto, e con pochissimo spazio per l’azione.
Altro tema ricorrente del Concorso è stata la famiglia e le
dinamiche domestiche, con tutte le variazioni del caso.
Interessantissimi i tre film provenienti dall’Oriente, che si sono
distinti per una vena sperimentale comune che ne ha fatto tre belle
sorprese: The Mole Song, Seventh Code e
Blue Sky Bones. Sufficienza piena per
l’Italia: Tir, I Corpi Estranei e
Take Five si sono discretamente difesi,
riuscendo a colmare i reciproci limiti e presentandoci opere molto
diverse tra loro. Divide un po’ a metà il grande cinema di lingua
inglese/americana poiché dei quattro film attesi, con tanto di
star, solo due di questi si possono definire dei veri e propri
gioielli. Dallas Buyers Club e
Her sono senza dubbio i film
migliori visti al Festival (in molti anni di Festival), mentre
Out of the Furnace si rivela un film già
visto e Another Me una pellicola
dall’identità incerta e dal risultato deludente.
Il Concorso di
quest’anno ha visto dunque protagonisti dei film abbastanza
omogenei, con almeno un paio di picchi, verso l’alto e verso il
basso. Another Me, come accennato, e
A Vida Invisivel saranno certamente
considerati i protagonisti negativi di questa edizione, mentre per
Her e Dallas Buyers
Club si presenta il problema opposto. La
constatazione che le due pellicole sono così superiori rispetto al
resto del materiale mostrato in Concorso da essere quasi troppo
facile assegnare ad una di loro il nostro virtuale Marco Aurelio ad
uno dei due, dando automaticamente all’altro il premio per la
regia. Entrambi i film si giocano quindi la possibilità di portarsi
a casa l’ambito premio a pieno diritto, e si giocano anche un altro
premio importante, quello alla migliore interpretazione maschile.
Matthew McConaughey (Dallas
Buyers
Club)è
stato un protagonista straordinario, confermando la sua inaspettata
e sorprendente maturazione artistica, ma Joaquin
Phoenix ha dato prova, in Her,
di una profondità emotiva talmente forte da far male allo
spettatore, assolutamente al di sopra di ogni altra cosa vista in
questi giorni al Festival di Roma, e forse anche nelle passate
edizioni. Per quanto riguarda la migliore interpretazione
femminile, il verdetto è decisamente incerto, anche se un premio
collettivo al cast di Acrid, film
iraniano di Kiarash Asadizadeh, sembra un
premio inevitabile ad un film davvero interessante e dalla
struttura abbagliante. Il film, nel parere di chi scrive, potrebbe
ambire anche ad un premio per la migliore sceneggiatura. Premio
della Giuria potrebbe essere, secondo le nostre previsioni, tutto
per quel folle viaggio colorato, violento e rutilante che è
The Mole Song di Takashi
Miike. Il regista giapponese ha davvero fatto breccia nel
cuore del pubblico dell’Auditorium, e forse è riuscito a far bella
mostra di sé anche agli occhi della giuria di James
Grey. Il miglior contributo tecnico potrebbe essere
riconosciuto al rumeno Quod Erat
Demonstrandum, film complesso e forse con qualche
falla nei criteri di racconto, che però avvolge i suoi personaggi
in un bianco e nero da manuale.
Previsioni a parte, tra poco meno di
24 ore sapremo chi sono i vincitori di questa VIII edizione del
Festival di Roma, e allora ci ritroveremo sempre su Cinefilos.it a
leggerne i nomi e a discuterne insieme. Intanto ecco a seguire la
nostra gallery di questo Festival:
E’ uno dei veri maestri
del cinema orientale, riconosciuto in tutto il mondo per il suo
talento, la sua linea autoriale e soprattutto per la grande
prolificità artistica, è Takashi Miike che dopo
aver partecipato lo scorso anno al Festival di Roma come ospite
d’onore, quest’anno si presenta alla stessa manifestazione con un
film in concorso che ha letteralmente folgorato la platea di
spettatori. Stiamo parlando di The Mole Song Undercover
Agent Reiji, straordinario ed eclettico viaggio di
Miike nel mondo della yakuza giapponese. Il protagonista della
storia è Reiji, un agente di polizia senza nessuna qualità, che
viene scelto per diventare un agente sotto copertura per cercare di
stanare un noto boss dell’organizzazione mafiosa. Il ragazzo,
pasticcione, rumoroso e molto lontano dall’ideale di agente
infiltrato, riesce in qualche modo ad entrare nelle grazie dei boss
minori, sviluppando un certo legame con Crazy Papillon, un uomo
particolarmente pericoloso che ha una passione smodata per la
farfalle. Presto però il suo legame con questo personaggio losco lo
metterà davanti a scelte difficili che il nostro dovrà compiere
mentre su di lui pende la minaccia di una sanguinosa guerra tra
clan.
A prima vista la trama
del film fa pensare ad un ‘classico’ di Miike, che da sempre nei
suoi film si cimenta con storie di mafia e di faide, caratterizzate
da una violenza chiara e manifesta, senza mezzi termini. Questa
volta però i fan del regista giapponese devono prepararsi ad una
sorpresa, perchè The Mole Song Undercover Agent Reiji è
un viaggio delirante a metà tra cinema e fumetto, o meglio manga.
Infatti la storia è tratta dal manga di Noboru
Takahashi, che ha supervisionato la storia, e racconta le
vicende del protagonista in toni decisamente comici e grotteschi,
senza badare alla credibilità. La violenza, raccontata qui
attraverso scenografie colorate e costumi fuori dall’ordinario,
assume contorni comici e il protagonista (Toma
Ikuta) è un rutilante vulcano di invenzioni. Strizzando
l’occhio a noti personaggi provenienti dallo stesso mezzo di
comunicazione, il film si divide in due parti: all’inizio
prevalgono i toni grotteschi, pieni di inserti animati e di trovate
registiche straordinarie e innovative; poi il registro, senza
perdere il suo tono beffardo, si fa più serio e il film diventa un
(quasi) tradizionale film sulla mafia.
Con The Mole Song
Undercover Agent Reiji, Takashi Miike si conferma un
vero e proprio maestro del cinema, capace di spaziare trai generi e
gli stili senza perdere mai la sua verve creativa e ammaliando, e
in questo caso in particolare facendo molto ridere, un pubblico che
sempre più numeroso si avvicina alla sua arte.
Dopo Rumore
Bianco, Alberto Fasulo, regista italiano con la
vocazione per il documentario, torna al cinema con
Tir, avventura on the road di un
camionista che cerca di dividersi tra un lavoro stressante, una
moglie lontana e le difficoltà quotidiane di chi lavora tutti i
giorni, e le notti, sulla strada.
Branko è un camionista. La sua vita
si svolge scandita tristemente dalle ore di guida e le ore di
sosta. la strada è la sua compagna, mentre gira per tutta l’Europa
facendo ogni tipo di consegna. La sua vita però e caratterizzata
anche dalla difficoltà di coltivare il rapporto con la moglie, con
la quale lui si sente al telefono in lunghe e laconiche
conversazioni che sembrano ogni volta di più assottigliare il loro
legame.
Alberto Fasulo ci accompagna per
mano sulla strada, la vera vita di Branko (Branko
Zavrsan), nelle sue notti insonni al volante, nei suoi
pasti solitari cucinati a bordo del suo tir/casa, nelle sue lotte
contro il tempo per effettuare una consegna improvvisa o un carico
richiesto con poco anticipo. E’ una vita solitaria e forse triste,
che Fasulo ci racconta mettendoci in condizioni di capire a fondo
il personaggio: siamo nell’abitacolo con Branko, così vicino a lui
da sentire il suo respiro e allo stesso modo gli stiamo vicino
mentre cerca di dormire. La regia ci inserisce nella sua vita e la
fa anche un po’ nostra, grazie anche alla grande naturalezza di
Zavrsan, che sembra essere nato per questo ruolo. Niente orpelli,
niente grande recitazione ostentata, solo la fotografia di una
vita, la messa in scena di una fatica e di una condizione davvero
pesante da sostenere e che però si rende necessaria nel momento in
cui rende (da un punto di vista economico) molto meglio di un
lavoro qualsiasi che lo faccia rimanere a casa con la famiglia.
Alberto Fasulo
realizza un vero e proprio omaggio a questo mondo così poco
conosciuto, che vediamo di sfuggita in autostrada, dalle nostre
automobili, e lo fa con tocco delicato e oggettivo, confermando un
vero talento documentaristico.
Tir è
stato presentato in Concorso all’ottava edizione del Festival
Internazionale del Film di Roma.
Il
regista Alberto Fasulo si cimento al cinema
con Tir, film ambientato nel mondo un po’
nomade dei camionisti. Il film, distribuito da Taker Film, è stato
presentato al Festival Internazionale del Film di Roma 2013
gareggia in Concorso.
– Aspettavamo questo film
con ansia, dopo il Rumore Bianco. Quel film parlava di un fiume che
portava delle storie, qui c’è la strada che racconta una storia.
C’è un legame tra le due cose? E’ un tuo gusto personale o è un
caso?
“Non ci ho mai pensato.
Sicuramente nella storia influisce il fatto che ci metta molto
tempo a fare un film e che quindi intanto io mi muovo e procedo con
la mia vita. Nel Rumore Bianco ho raccontato il rapporto tra il
fiume e le persone e qui ho parlato di un rapporto tra il
protagonista e il suo lavoro e una moglie lontana.”
– E’ possibile che la
sceneggiatura in questo film abbia bloccato il tuo respiro più
documentaristico?
“Non credo. Anzi lavorare al
progetto è stata una sfida, soprattutto per l’empatia che si è
creata dopo qualche giorno con il protagonista (Branko Zavrsan). E’
stato molto interessante lavorare sul confine tra la realtà e la
finzione, e per me è stato fondamentale raccontare una storia
immersa nella realtà. Ho fatto quattro anni di ricerche e quando
poi ho incontrato Branko, è stato importantissimo non perdere il
mio rapporto con la realtà.”
– Quanto tempo sono durate
le riprese?
“Ci sono stati cinque anni di
scrittura e di ricerca sul campo per cercare di capire cosa valesse
a pena raccontare, cosa volesse dire crisi e cosa potesse essere
funzionale a dire ciò che volevo far passare nel film. Cinque anni
di riflessioni, ricerca e messa in scena.”
– Quanto è importante essere
in prima persona dietro la macchina da presa e effettuare le
riprese senza l’intermediazione di un operatore?
“Il fatto di dover stare dentro
una cabina e di filmare io è preferibile per me perchè così non
devo spiegare niente a nessuno. Mostro semplicemente quello che mi
interessa. E’ un motivo fisico e etico: il posto dove mi pongo crea
una connessione. Cerco di trovare la giusta distanza dalle cose che
sto raccontando.”
Il festival del cinema accoglie nel
suo spazio dedicato alle ‘chiacchierate’ cinematografiche
Checco Zalone. Il comico pugliese, giunto al
suo terzo film con Sole a Catinelle, ha diviso pubblico e
critica, arrivando ad un strepitoso successo al
botteghino. Zalone arriva sul palco della sala Petrassi
con l’aria di chi, essendo capitato per caso in una situazione che
non conosce o conosce comunque molto poco, esordisce con un “in
che consiste ‘sta cosa che facciamo?”, conquistandosi (come se
ne avesse bisogno) seduta stante il pubblico presente, compresa la
critica che ha tanto disprezzato il suo successo. Poi, è
cominciata l’intervista, o meglio, la chiacchierata tra due amici
e, anche solo rispondendo a delle semplici domande, Zalone è stato
l’esilarante showman al quale siamo abituati.
Marco Giusti: Perché non sei
andato da Vespa?
Checco Zalone: Perché ho
troppa visibilità in questo momento. Non voglio nemmeno più
guardarmi allo specchio, non ce la faccio più a vedermi. Mi
chiuderò a Capurzo, ho pure chiamato Mina. Mi riposo, sto a casa,
c’ho la bambina… non faccio niente. Poi questo lavoro è fatto anche
da momenti di pausa in cui uno pensa se vuole fare ancora cinema.
Anzi non è cinema quello faccio io, così hanno detto i critici
colleghi tuoi, però i cinema erano pieni. Ho letto molte
polemiche per l’uso che si farà di questi soldi perché non verranno
investiti nel cinema, cioè quello vero. Però il mio cinema fa
bene ai locali intorno al cinema, tipo le pizzerie, praticamente…
fa bene anche alla pirateria a Capurzo.
MG: Che ti hanno scritto i
critici?
CZ: Penso di aver diviso la
critica… Tu sei corrotto, sei amico quindi hai scritto bene.
Meneghetti mi ha dato due palle, però era una recensione ben
scritta, puntuale… non sto scherzando. Va bene per uno che si
sta avvicinando al mondo del cinema.
MG: Ma a te piace il
film?
CZ: No, bruttissimo. Quando
uno fa un film passa quattro mesi a vedere il prodotto, a fare il
montaggio ecc.. c’era roba inguardabile che avrebbe dato da
mangiare a voi critici.. ma col cavolo che l’ho messa, l’ho
tagliata. Alla fine vedi e rivedi ormai mi fa schifo, non
sono neanche andato al cinema a vederlo. Però la critica, quella
istituzionale, adesso purtroppo sta venendo soppiantata dai social
network, leggi pure la recensione del gommista sotto casa.
MG: Però in questo film c’è
un salto di classe, è anche un film politico.
CZ: non è un film ideologico,
non è un film politico..c’è questo personaggio che è un
anticomunista che però non sa neanche perché odia il comunismo,
l’idea me l’ha data mio fratello.
MG: Parliamo di comici: chi
ti piace di più?
CZ: Beppe Grillo.
MG: Tra i classici?
CZ: Sordi è stato il più
grande attore italiano, inarrivabile. Ho rivisto con grandissimo
piacere Il vigile ed ho trovato delle scene straordinarie. Guardo a
lui come riferimento, era una spanna sopra tutti gli altri.
MG: A chi credi di
somigliare? Hanno detto totò..
CZ: Non penso di
somigliargli, tendo a Sordi ma è troppo grande, poi qui devo
fingere di essere umile, dentro c’ho un ego grosso come te!
MG: Quanto ti ispira la tua
famiglia?
CZ: Tantissimo. Per esempio
nel film il personaggio che prende tutto a rate esiste davvero a
Capurzo. Vedi stipendiati a 1000 euro al mese che prendono
l’Audi con 27 anni di mutuo. Le zie tirchie di Capurzo pure.. poi
io non vivo a Roma, che secondo me fa bene a quelli che fanno ‘sto
mestiere..
MG: Sei sempre il ragazzo
semplice di una volta?
CZ: No, me la tiro..
MG: sembri un ragazzo
semplice e stupidotto e di provincia, ma in realtà affronti temi
come l’omosessualità.
CZ: nel primo film l’ho
affrontato: quello nella mia filmografia è stato il pezzo più
bello che doveva secondo me essere premiato, ma niente—quindi non
accetterò nessun premio.
Nel bel mezzo dell’intervista, poi
Zalone si fa suggerire dalle domande che gli vengono poste i
pretesti per cantare le sue canzoni. Canta, infatti “Gli uomini
sessuali” e “Samba senza u culo” per poi
tornare “serio” con un “BASTA, BASTA VOLGARITA’! PARLIAMO DI
CINEMA!”
MG: Ma tu lo faresti un film
di un autore italiano, quelli considerati quattro stelle?
CZ: Quattro stelle
Meneghetti? Non mi incassa un cazzo! Sinceramente non sono un
attore, non sono capace di mettermi in un altro personaggio. Quindi
per pietà della platea direi che non è il caso.
MG: I vostri film cercano di
essere sempre nuovi.
CZ: Ora non per fare il
presuntuoso, però noi guardiamo come riferimento alla commedia
italiana e, a parte Fantozzi, non è mai stata grottesca.
MG: Invece io trovo che state
sempre attenti a mettere le cose sul livello della realtà
italiana.
CZ: Sì, muoviamo dalla
realtà. In generale prendiamo i temi forti in quel momento storico,
i musulmani, l’integrazione razziale. Però non è che facciamo dei
saggi, non li spieghiamo, li prendiamo strumentalmente… per
ancorare alla realtà una storia, per renderla più efficace e
realistica..senza profondità, perché le cose brutte le conosciamo
già.
MG: E dei comici americani
che mi dici?
CZ: Mi piace Ben Stiller,
Sasha Baron Cohen. Non so se può essere proposto in Italia, però,
perché arriva a livelli di scorrettezza politica forse
inaccettabili per il nostro paese.
Si presenta al Festival
di Roma di quest’anno, ancora una volta con un film straordinario,
il maestro Takashi Miike, che spiazza tutti i suoi
fedelissimi fan con The Mole Song Undercover Agent
Reiji, storia di un poliziotto infiltrato nella
yakuza basato su un manga di Noboru
Takahashi, Mogura no Uta.
“Volevo ringraziarvi perché
avete visto il film proprio come io volevo – ha esordito il maestro
Miike – In Giappone le storie intorno alla yakuza sono sotterranee,
e le giovani generazioni guardano questo tipo di storia come se si
trattasse di cose passate, perciò raccogliamo pochi spettatori. Ma
facendo questo film ho cercato di far divertire gli spettatori
anche guardando alla nuova generazione, con riguardo verso il
passato. Ho affrontato così anche momenti molto seri.”
– Nel film si sente molto
l’influenza del manga e dell’anima giapponese, in particolare
sembra che ci siano riferimenti al personaggio di Naruto, ideato da
Masashi Kishimoto.
“Non direttamente, forse però
quando si tratta di manga c’è qualcosa che attira e scuote le
persone. avrei voluto farlo ma non è possibile. Il manga
rappresenta tutto ciò che vorremmo fare ma non possiamo, e per
questo che avendo come protagonista un personaggio tratto dal
manga, probabilmente abbiamo qualcosa in comune con Naruto, però
ovviamente il riferimento diretto è il manga di Noboru
Takahashi, Mogura no Uta. Takahashi è il mio primo spettatore
e così ho scelto di seguire le sue direttive. In ogni modo è
probabile che ci sia qualche punto di contatto con Naruto, manga
che amo molto.”
– Non è la prima volta che
lei ha a che fare con il mondo della yakuza in un suo film. Cosa la
attira di questo argomento? Come sono percepiti al giorno d’oggi i
film sulla yakuza in Giappone?
“Avevo valutato in modo organico
la storia del cinema giapponese, cercando di imparare qualcosa dal
passato del cinema, per cercare di essere più vicino agli
spettatori. Credo di essere un po’ fuori dal sentito comune dei
registi giapponesi, molte mie tematiche si incentrano sulla mafia,
ma alcune persone non ne parlano per ragioni etiche.”
– Come ha scelto di fare
questo film?
“Tutte le opere hanno qualcosa
in comune e io come regista mi rendo conto di ciò che devo fare nel
mio quotidiano. Man mano cerco di compiere tutti gli obblighi di un
regista. Cerco di non avere una tematica specifica. In
collaborazione con l’attore e i produttori ho cercato di dare vita
ad un film che potesse essere anche un riferimento alla società
attuale.”
– Ci sarà un sequel per
questo film?
“Se ci saranno spettatori che
guarderanno questo primo film, ovviamente lo farò, anche in fretta.
Però si tratta di un film basato su un manga che sta ancora
uscendo, quindi aspetterò prima che esca la storia del manga e poi
dopo un anno farò il film.”