Elle è il nuovo
film diretto dal cineasta olandese – naturalizzato americano –
Paul Verhoeven che ha riscosso un certo successo
negli ambiti festivalieri più importanti: passando da Cannes ai
Golden Globes, fino ad approdare agli Oscar dove la sua
protagonista e mattatrice assoluta, Isabelle
Huppert, ha ottenuto perfino una candidatura come Miglior
Attrice Protagonista.
Arrivato a Roma per presentare il
film, in uscita nelle sale il prossimo 23 Marzo, Verhoeven ha
risposto ad alcune domande della stampa.
Nonostante la candidatura di
Isabelle Huppert agli Oscar,il film non è comunque
stato inserito nella rosa finale del Miglior Film Straniero. Forse
perché è troppo eversivo per il pubblico – e per il mercato –
americano?
«Posso solo provare a
formulare delle ipotesi, ma sicuramente il terzo atto del film e
stato il più difficile da accettare per gli americani, quello
cruciale in cui lei sviluppa un rapporto dal sapore sadomasochista
con il suo seviziatore. Adesso, o per questo motivo o per altro non
abbiamo trovato fondi americani o attrici statunitensi interessate
al ruolo, per cui la sua esclusione dall’Oscar come Miglior Film si
è rivelata una scelta orientata politicamente.»
Elle affronta il
tema molto difficile e complesso della violenza sulle donne e del
femminicidio, ma non esclude delle aperture a degli sprazzi di
caustica ironia. Com’è avvenuto questo processo, come si è svolto
ma soprattutto qual è l’eredità che ha verso il romanzo di partenza
di Philippe Djian dal titolo
oh…?
«L’elemento ironico
era già accennato nel romanzo, dove l’autore se n’era servito con
magistrale bravura spaziando da momenti di grandissima violenza ad
aspetti più legati alla critica sociale, legati ai rapporti umani
che intrattiene Michèle (la Huppert) con il resto dei personaggi
che popolano il suo mondo. Non volevo realizzare semplicemente un
thriller, volevo che il risultato fosse scevro ma con venature
noir, contaminate da una serie di relazioni, di rapporti sociali e
umani comunque importanti e fondamentali da orchestrare sul grande
schermo. Questo perché penso che la Vita non appartenga ad un
genere solo: oggi si tende troppo spesso a categorizzare tutto, io
invece non volevo realizzare un film incasellato in un genere
specifico perché questa è la Vita, sempre all’insegna della
varietà. A Michèle accadono cose terribili ambientate sia nel
passato che nel presente, e così lei stessa sviluppa dei rapporti
strani con le persone.»
Che ne pensa
delle figure di donne tormentate che popolano il suo
cinema?
«In genere non sono
attratto da donne tormentate nella vita; e nemmeno questo
personaggio è tormentato, in realtà agisce normalmente; mi ricorda,
ad esempio, la protagonista del mio film Black
Book dove ciò che spinge entrambe ad agire è il concetto
di necessità naturale. Michèle ha subito delle esperienze difficili
che l’hanno forgiata già nell’infanzia: la vedo come una
sopravvissuta, una donna che rifiuta di essere una vittima. Non e
una persona squilibrata o tormentata, la sua è solo una questione
caratteriale. Nel terzo atto di Elle, quando
instaura quel rapporto strano con il suo violentatore, la risposta
fornita diventa “ama il tuo nemico”.»
Elle è un film molto
femminista con forti figure femminili – appunto – e personaggi
maschili deprecabili: era già tutto nel libro?
«Era già tutto nel
libro, io mi sono soltanto limitato a modificare e ampliare degli
aspetti, non ho variato molto i personaggi.»
Qualche aneddoto legato
alle difficoltà nel trovare un’attrice interessata al ruolo ad
Hollywood, com’è stato poi lavorare con la Huppert e qualcosa di
significativo legato al suo viaggio A/R dall’Europa ad Hollywood e
ritorno?
«Quello che è successo
riguardo il film è un aspetto legato al circuito cinematografico
statunitense: c’è molta meno libertà negli USA che in Europa – ne è
un sintomo evidente la situazione politica attuale – e le ragioni
principali riguardano la mia scelta di vita americana a Los
Angeles: la Huppert era già interessata al ruolo prima che entrassi
anch’io io nel progetto. Con il produttore Saïd
Ben Saïd, che ha lavorato negli USA con famosi
cineasti come Polanski o De Palma, abbiamo deciso di contattare uno
sceneggiatore inglese – David Birke – ma dopo aver
consegnato tutto alle attrici e ai loro agenti, per due o tre mesi
abbiamo assistito a dei rifiuti continui. A quel punto abbiamo
preso la difficile decisione di riportare il film in Europa,
richiamando la Huppert. Mettendo da parte l’orgoglio le abbiamo
chiesto se voleva rientrare nel progetto e lei ha accettato senza
dover discutere di aspetti freudiani e altri complessi elementi
legati all’analisi del personaggio di Michèle. Abbiamo poi adattato
la sceneggiatura dall’inglese al francese depurandola da alcuni
aspetti più macchinosi; a quel punto, tutto è andato liscio e lei
ha dato molto per al personaggio, mettendosi in gioco in prima
persona, senza cercare disperatamente la simpatia e la compassione
delle persone del pubblico.»
Come nasce l’idea di
ambientare la dinamica di Elle nel mondo dell’industria
videoludica?
«In realtà
inizialmente l’idea non era quella di rendere Michèle la rampante
manager CEO di una società di videogiochi. Nel libro lei è a capo
di un gruppo di sceneggiatori tv ed editor che correggono bozze,
così abbiamo puntato sull’apparente correlazione tra chi guarda – e
gioca – videogiochi violenti con la violenza stessa. Parlandone in
famiglia, e emersa questa possibilità di apportare tali modifiche:
lo sceneggiatore era d’accordo, e così abbiamo proceduto visitando
e contattando delle società già esistenti che si occupano di
videogiochi.»
Il personaggio di
Michèle è molto antiborghese nei suoi atteggiamenti: come si è
evoluta quindi, nella sua filmografia, la figura della
donna?
«Si potrebbe definire
Michèle amorale ma a me non importa poi molto, perché la moralità è
assente nei miei film la realtà è che uomini e donne hanno dei
rapporti anche fuori dal matrimonio, rompendo ogni convenzione. La
monogamia mi fa sorgere dei dubbi, anche se in questo caso ho
seguito lo sviluppo narrativo del romanzo. Non contesto nulla al
personaggio di Michèle e ciò si ricollega alla mia visione delle
donne; invecchiando sono, ovviamente, più interessato alle donne
che agli uomini: ecco perché sono protagoniste dei miei film, e col
tempo ho capito quanto sia stata importante, ad esempio, la figura
di mia moglie nel determinare ancora la mia ammirazione verso le
donne. Non è un caso se, il mio prossimo film, parlerà ancora una
volta di due donne, nello specifico due suore. Sarà ambientato in
Toscana, nel medioevo, e racconterà degli eventi accaduti a
Peschia, una località che sorge vicino Firenze, in un monastero. È
basato su un libro scritto da un professore americano, ma il titolo
provvisorio del progetto al momento è Blessed
Virgin.»
E per quanto riguarda i due biopic
su Gesù e Hitler, li riprenderà?
«Il film su Gesù è
tratto da un non fiction book, non un romanzo, un libro pseudo
accademico che ho scritto basato sul vangelo di Marco: non escludo
di recuperare questo progetto in futuro, come pure il film su
Hitler che non sarà assolutamente un biopic, in quanto basato su un
libro del 1928 scritto da un autore amico di Bertold
Brecht e incentrato sul personaggio di una donna, che si
ritrova coinvolta nei fatti del Putsch di Monaco del 1923
firmato, appunto, da Hitler.»
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