Cosa è successo a Olaf dal momento
in cui Elsa lo ha creato mentre cantava “All’Alba Sorgerò” e
costruiva il suo palazzo di ghiaccio e quando Anna e Kristoff
l’hanno incontrato per la prima volta nella foresta? E come ha
imparato ad amare l’estate? Le inedite origini di Olaf, l’innocente
e profondo pupazzo di neve amante dell’estate che ha fatto
sciogliere i cuori nel film di animazione premio Oscar del 2013
Frozen – Il Regno di Ghiaccio e nel suo acclamato sequel
del 2019, vengono rivelate nel nuovissimo cortometraggio dei Walt
Disney Animation Studios, La Storia di Olaf.
Il corto segue i primi passi di vita
di Olaf, alla ricerca della sua identità sulle montagne innevate
nei pressi di Arendelle. La Storia di Olaf è diretto da
Trent Correy (animation supervisor di Olaf in Frozen 2 – Il
Segreto di Arendelle) e Dan Abraham (story artist veterano,
autore degli storyboard della sequenza musicale di “Da Grande” di
Olaf in Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle) e
prodotto da Nicole Hearon (associate producer di Frozen 2 – Il
Segreto di Arendelle e Oceania) con Peter Del Vecho
(produttore di Frozen – Il Regno di Ghiaccio, Frozen 2
– Il Segreto di Arendelle).
“È un’idea che ha iniziato a
prendere forma quando lavoravo come animatore del primo
Frozen”, ha detto il regista Trent Correy. “Io e Dan
Abraham siamo così grati ed entusiasti di aver avuto l’opportunità
di dirigere questo corto, lavorando con i nostri incredibili
colleghi dei Walt Disney Animation Studios”.
Nella versione italiana del corto
l’attore e regista Enrico Brignano presta ancora
una volta la propria voce a Olaf, mentre l’attrice
e cantante Serena Autieri e l’attrice, cantante e
conduttrice televisiva Serena Rossi tornano ad
interpretare rispettivamente le sorelle Elsa e
Anna.
Il corto animato dei Walt Disney
Animation Studios La Storia di Olaf arriva in esclusiva su
Disney+ dal 23 ottobre 2020.
Disney+ ha rilasciato il trailer de
La Storia di Olaf, il nuovissimo cortometraggio
dei Walt Disney Animation Studios che sarà disponibile in esclusiva
su Disney+ da venerdì 23 ottobre e
verrà proiettato ad Alice nella Città sabato 24 ottobre.
Cosa è successo a Olaf dal momento
in cui Elsa lo ha creato mentre cantava “All’Alba Sorgerò” e
costruiva il suo palazzo di ghiaccio e quando Anna e Kristoff
l’hanno incontrato per la prima volta nella foresta? E come ha
imparato ad amare l’estate? Le inedite origini di Olaf, l’innocente
e profondo pupazzo di neve amante dell’estate che ha fatto
sciogliere i cuori nel film di animazione premio Oscar del 2013
Frozen – Il Regno di Ghiaccio e nel suo acclamato sequel
del 2019, vengono rivelate nel nuovissimo cortometraggio dei Walt
Disney Animation Studios, La Storia di Olaf. Il corto
segue i primi passi di vita di Olaf, alla ricerca della sua
identità sulle montagne innevate nei pressi di Arendelle. La
Storia di Olaf è diretto da Trent Correy (animation supervisor
di Olaf in Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle) e Dan
Abraham (story artist veterano, autore degli storyboard della
sequenza musicale di “Da Grande” di Olaf in Frozen 2 – Il
Segreto di Arendelle) e prodotto da Nicole Hearon (associate
producer di Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle e
Oceania) con Peter Del Vecho (produttore di Frozen –
Il Regno di Ghiaccio, Frozen 2 – Il Segreto di
Arendelle).
Nella versione italiana del corto
l’attore e regista Enrico Brignano presta ancora
una volta la propria voce a Olaf, mentre l’attrice
e cantante Serena Autieri e l’attrice, cantante e
conduttrice televisiva Serena Rossi tornano ad
interpretare rispettivamente le sorelle Elsa e
Anna.
Mentre sta per uscire The Social Network di David Fincher che
vede protagonisti i fondatori di Facebook, un’altra coppia d’oro
del mondo del web starebbe per diventare oggetto di un film.
Sono disponibili due nuovissime
clip del film La storia della Principessa
Splendente, di Isao Takahata, nei
cinemaancora solo per oggi 5
Novembre.
Dopo il grande successo di Si alza il vento,
ultimo film del maestro Miyazaki, un altro capolavoro dello Studio
Ghibli arriva nelle sale distribuito da Lucky Red. Un evento
imperdibile per tutti gli appassionati dello Studio Ghibli che
potranno così vedere sul grande schermo l’attesissimo nuovo film
del regista culto de La Tomba delle Lucciole, di
ritorno alla regia dopo I miei vicini Yamada, che
risale al 1999.
Un vecchio tagliatore di bambù
scorge una luce insolita provenire da una gemma appena sbocciata.
Vi scoprirà una minuscola creatura, giunta sulla terra dalla luna,
che il vecchio tagliatore, insieme alla moglie, si preoccuperà di
far crescere ed accudire. Col passare degli anni questa bellissima
creatura, Kaguya, diventerà una splendida fanciulla dalle qualità
straordinarie. Portata nella capitale per essere introdotta
nell’alta società, Kaguya diviene immediatamente oggetto del
desiderio di tutti i principi del Giappone, sino ad arrivare
all’Imperatore stesso. Ma la vita in città, nel chiuso del suo
palazzo, intristisce la bella principessa che ogni giorno rimpiange
la vita libera e felice che aveva assaporato nei suoi primi anni di
vita tra le montagne. E intanto dalla luna…
Un vecchio tagliatore di bambù scorge una luce insolita
provenire da una gemma appena sbocciata. Vi scoprirà una minuscola
creatura, giunta sulla terra dalla luna, che il vecchio tagliatore,
insieme alla moglie, si preoccuperà di far crescere ed accudire.
Col passare degli anni questa bellissima creatura, Kaguya,
diventerà una splendida fanciulla dalle qualità straordinarie.
Portata nella capitale per essere introdotta nell’alta società,
Kaguya diviene immediatamente oggetto del desiderio di tutti i
principi del Giappone, sino ad arrivare all’Imperatore stesso. Ma
la vita in città, nel chiuso del suo palazzo, intristisce la bella
principessa che ogni giorno rimpiange la vita libera e felice che
aveva assaporato nei suoi primi anni di vita tra le montagne. E
intanto dalla luna…
La storia della
principessa splendente è un lungo racconto dal forte
carattere fiabesco
La storia della
principessa splendente è un lungo racconto dal forte
carattere fiabesco che trae le sue origini dall’antica tradizione
popolare giapponese. Il maestro Isao Takahata, guru
dell’animazione nipponica e autore e regista di grandissimi
successi del passato (Lupin
III e Heidi) ha deciso di sviluppare un
progetto artistico molto particolare per questo suo film in cui si
proponessero tecniche d’animazione nuove e all’avanguardia e che
riuscissero a conferire all’immagine una percezione di movimento
completamente nuova. Il risultato tecnico è eccellente;
La storia della principessa splendente
impressiona proprio per la bellezza dei suoi disegni, dai quali
trasuda talento e lavoro artigianale, e per il movimento stesso che
i personaggi hanno in relazione allo sfondo, proprio quello che il
maestro cercava. La storia di Kaguya ci permette di entrare
nell’antico e misterioso mondo della tradizione giapponese: nella
prima parte con i suoi meravigliosi boschi di bambù, i suoi ciliegi
in fiore, la semplice ed arcaica vita degli uomini di montagna,
mentre nella seconda con i suoi splendidi palazzi, gli abiti di
seta e dai colori sgargianti, i rigidi rituali a cui le donne
d’alto rango dovevano sottostare. La storia è quella di una fiaba
dai numerosissimi spunti di riflessione, dai profondi messaggi
intrinsechi. La breve vita della principessa sulla nostra terra è
rappresentata come il percorso riconducibile all’esistenza di
ognuno: la vita ha il dovere di essere vissuta e apprezzata, i
dolori e le lacrime sono parte della vita stessa così come le gioie
e i momenti felici.
La storia della principessa
splendente non è un film adatto ad un pubblico troppo
giovane, sia per la profondità dei suoi contenuti che per i ritmi
non certo tambureggianti della sua narrazione. Un film intenso sì,
ma eccessivamente lungo e dispersivo in alcuni frangenti, una fiaba
richiede tempi più concisi, un evolversi più dinamico ed
essenziale. Indubbiamente il film colpisce per la sua delicatezza,
poesia e raffinatezza stilistica ma non diremmo il vero se
negassimo che in più di qualche occasione strappa, ahinoi, qualche
sbadiglio di troppo.
La storia della
principessa splendente uscirà nelle sale come evento
unico, i prossimi 3-4-5 novembre.
La storia del Frank e della
Nina protagonisti - Cortesia di Fandango
Cinefilos.it offre
la possibilità di vedere al cinema gratis La storia del
Frank e della Nina di Paola Randi, con
Gabriele Monti,Ludovica Nasti, Samuele
Teneggi. Il film arriva in sala dal 3
ottobre distribuito da Fandango. Ecco di
seguito l’elenco delle città, dei cinema, dei giorni e degli orari
disponibili:
ROMA
CINEMA LUX
giovedì 3 ottobre – 10 biglietti
venerdì 4 ottobre – 10 biglietti
sabato 5 ottobre – 10 biglietti
domenica 6 ottobre – 10 biglietti
MILANO
ANTEO PALAZZO DEL CINEMA
giovedì 3 ottobre – 10 biglietti
venerdì 4 ottobre – 10 biglietti
sabato 5 ottobre – 10 biglietti
domenica 6 ottobre – 10 biglietti
Tutti i biglietti assegnati saranno validi per qualsiasi
spettacolo della giornata scelta.
Gli orari degli spettacoli saranno
consultabili esclusivamente
e direttamente sul
sito dei cinema a
partire da giovedì 3 ottobre.
I biglietti potranno essere richiesti inviando una email a [email protected] entro e non oltre il prossimo
martedì 2 ottobre. Non verranno, quindi, prese in considerazione le
richieste pervenute oltre tale data.
La conferma di assegnazione dei biglietti verrà data attraverso
email. Una volta ricevuta la conferma, non sarà più
possibile modificare la data di validità dei biglietti e non verrà
data risposta alle richieste che verranno effettuate in tal
senso.
Il trailer del film
La trama di La storia del Frank e della
Nina
Il film vede protagonisti tre
adolescenti che vivono una storia d’amore e di amicizia.
Carlo è un graffitista sotto il nome di
“Gollum”. La sua vita e quella del suo
amico Frank cambia all’improvviso quando
i due si imbattono in Nina, mamma a soli 15
anni che sta fuggendo da un matrimonio forzato. Per stare vicino a
Nina, Frank si unisce alla gang dell’ex marito della ragazza, alla
fine, però, i tre ragazzi decidono di scappare tutti insieme da
Milano per formare un nuova famiglia fuori dal comune.
La storia del Frank e della Nina protagonisti – Cortesia di
Fandango
Si è appena concluso il mio
workshop di primo livello di animazione stop-motion presso la sede
romana dello IED Istituto Europeo del Design, inserito nell’ambito
di “CRew – IED Factory” un laboratorio di idee e progetti, una
settimana intensiva di workshop trasversali aperti agli studenti
IED Roma del secondo anno con artisti, fotografi, designer, registi
ed esperti della comunicazione.
La stop-motion è una particolare
tecnica di animazione che consiste di riprendere oggetti inanimati
o burattini un fotogramma alla volta, conferendogli così un
illusione di vita alla normale velocità di proiezione.
Questa disciplina, antica quanto
l’invenzione del cinema stesso, è rimasta relegata a misconosciuta
tecnica espressiva o a supporto nel campo degli effetti speciali
fino alla metà degli anni novanta, quando grazie a Tim Burton,
inizia una vera e propria rinascita.
Oggi la stop-motion non è
semplicemente un modo di raccontare al cinema storie fantastiche,
al pari dell’animazione tradizionale o della più moderna animazione
3D, ma diviene un valido strumento espressivo ampiamente
utilizzato nella pubblicità, nei videoclip, nella comunicazione
sociale, nel web, nella realizzazione di contenuti educativi o
multimediali.
La Stoffa dei Sogni
è l’imponente – ed elegante – opera scritta (insieme a Ugo
Chiti e Salvatore De Mola) e diretta dal regista
Gianfranco Cabiddu, che ha deciso di imbarcarsi –
con uno sparuto gruppo di fidati collaboratori, colleghi, attori e
non solo – nella titanica impresa di adattare, per il grande
schermo, La Tempesta di William
Shakespeare, l’adattamento in napoletano antico ed aulico
che ne fece Eduardo De Filippo e la pièce teatrale
di quest’ultimo L’Arte della Commedia: la
presentano alla stampa il regista, gli attori Sergio
Rubini, Ennio Fantastichini, Renato Carpentieri, Teresa
Saponangelo, I due produttori Isabella Cocuzza e
Arturo Paglia per la Paco Cinematografica
(in collaborazione con Rai Cinema) e il delegato
di Microcinema Distribuzione.
La prima domanda viene rivolta
proprio a Cabiddu, per scrutare un po’ nell’oscuro iter produttivo
e distributivo intrapreso da questo film presentato durante la
Festa del Cinema di Roma 2015 e che approderà solo
adesso in sala, il prossimo 1 Dicembre.
Il regista conferma che la sua più
grande fortuna è stata quella di collaborare, in gioventù, proprio
con De Filippo mentre stave traducendo ed adattando La
Tempesta: si occupava delle riprese, mentre un già malato
Eduardo cercava di rendere al meglio le mille sfaccettature dei
singoli personaggi coinvolti nella pièce e tutti interpretati da
lui stesso. Solo anni dopo quest’evento, scoprendo che l’isola
dell’Asinara era diventata un parco protetto, si è reso
effettivamente conto della magnifica bellezza incantata del luogo e
delle sue infinite possibilità per ospitare I fatti narrati
all’interno dell’opera shakespeariana.
Come incipit si è orientato, invece,
verso un’altra opera scritta da De Filippo: la commedia
L’Arte della Commedia, che vede proprio in scena –
fin dall’incipit – un gruppo di guitti (attori girovaghi) che
perdono il loro teatro, andato a fuoco: il prefetto al quale si
rivolgono si rifiuta di aiutarli, ma da quel momento in poi perde
completamente il senso del confine tra realtà e finzione, con
personaggi che si avvicendano sulle scena e che sembrano tutti
attori, incarnazione di una finzione.
L’intento di Cabiddu, insieme
soprattutto a Chiti, era quello di restitutire – attraverso la
scrittura – quella leggerezza tipica del teatro trasferendola sul
grande schermo, muovendosi in bilico tra la lievità e la soavità
che appartiene tipicamente al linguaggio teatrale. Ovviamente,
trattandosi di un adattamento tratto anche da De Filippo, non
poteva mancare un piccolo cameo, all’inizio del film, del figlio
Luca De Filippo (nei panni del capitano del
traghetto diretto verso l’Asinara) e morto un anno dopo la fine
delle riprese: l’esperienza di questo grande maestro e uomo di
teatro ha insegnato a tutti (soprattutto a Cabiddu stesso) a
concentrarsi su un messaggio più ampio che fosse veicolato dal
film, ovvero che bisogna sempre riferirsi e dialogare con le nostre
tradizioni senza perdere la nostra natura, concentrandosi
soprattutto sulle nostre tradizioni culturali e, nello specifico,
teatrali.
Una nuova domanda riguarda, invece,
lo stretto rapporto tra la parola e lo spazio (entrambe
protagoniste assolute ne La Stoffa dei Sogni):
quale dialogo si è creato tra queste due “entità”, in particolare
in relazione allo spazio fisico del paesaggio?
A prendere la parola è sempre
Cabiddu, che conferma ancora una volta come l’isola dell’Asinara
sia già, di per sé, un personaggio vero è proprio: si tratta
infatti di un luogo dal sapore incantato dove può avvenire davvero
tutto, un posto dove il turismo non è la risorsa principale,
permettendo in tal modo agli attori di restare lontani da alcune
comodità della vita moderna (acqua calda, cellulari etc.) e
facendoli immergere in una simbiosi totale tra uomo e natura,
regalando un’esperienza di andata, ritorno ma soprattutto approdo.
Inoltre, sempre parlando dell’apporto fondamentale che ha avuto la
precisa scelta della location, nessun membro della crew si può
esimere dal considerare l’isola come un luogo che ha conferito loro
concentrazione durante il periodo delle riprese, restituendo uno
spazio dall’ampio respiro. Ogni luogo, ogni set naturale era
assolutamente lontano dal concetto stesso di claustrofobia: la
caratteristica era l’ampiezza sconfinata, evocate dal mare, dal
palco ricostruito nel carcere, dalla natura incontaminata della
vegetazione selvaggia, evocando una natural “empatia
scenografica”.
Dopo il regista, a prendere la
parola, sono i due protagonisti e mattatori, gli attori
Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini: entrambi
riconfermano il clima incline al cameratismo che si era creato sul
set e il forte legame creato con la natura incontaminata e
pericolosa che li circondava: quest’ultima ha regalato a tutto il
cast la possibilità di maturare un nuovo impatto con lo spazio,
riflettendo sulla sua natura intrinseca che lo rende unico, puro ed
incontaminato, fedele solo a sé stesso.
Anche gli altri due membri del cast,
Teresa Saponangelo e Renato Carpentieri,
condividono il pensiero dei colleghi e sottolineano – ancora una
volta – quelle che sono state le caratteristiche chiave della loro
avventura shakespeariana: il cameratismo e il ruolo portante della
natura, vera “mattatrice” sulla scena, che ha permesso di definire
lo spazio della narrazione conferendo un nuovo respiro al film.
La Stoffa dei Sogni: Gianfranco
Cabiddu presenta il film a Roma
Dopo aver parlato strettamente del
film e della sua essenza, alcune domande spostano il discorso
intavolato durante la conferenza dal piano del “realismo magico” de
La Stoffa dei Sogni alla realtà effettiva, nuda e
cruda: qual è la condizione del cinema italiano oggi e cosa ne
pensano I protagonisti del film, regista, produttori e distributore
incluso?
Ognuno di loro ha in cantiere nuovi
progetti: alcuni ambiziosi (come il film che sta girando
Fantastichini, il biopic The Music of Silence su
Andrea Bocelli diretto da Michael
Radford), altri indipendenti e rischiosi, altri
“multitasking” (come Rubini che approderà a teatro, in TV e al
cinema) oppure più nel solco della tradizione (una fiction targata
Rai per la Saponangelo oppure esperienze di ricerca ed insegnamento
teatrale per Carpentieri), ma non sono comunque esenti dalla
polemica nei confronti dell’industria del cinema italiano: secondo
Ennio Fantastichini, il più coinvolto, oggi tutto
si è trasformato, focalizzando l’attenzione non sulla qualità di un
film quanto sul numero di copie distribuite, vendute o sul totale
degli incassi durante la prima settimana. Più si cerca di piacere a
tutti – aggiunge – più ci si limita, puntando in basso. Il rapporto
conflittuale tra produzione e distribuzione è così complesso solo
in Italia: perfino gli esercenti sono concentrate soprattutto
sull’incasso e non sulla bontà della poesia, una caratteristica che
invece va difesa a qualunque costo; e questo istinto dovrebbe
partire proprio dalle istituzioni, che dovrebbero fornire il buon
esempio non solo dimostrando “simpatia” per l’industria
dell’audiovisivo ma procedendo con una serie di azioni concrete per
migliorare proprio gli aspetti più difficili, sostenendo tutti
coloro che, nel settore, cercano di «combattere il sistema, non di
assecondarlo».
Sergio Rubini,
invece, è pronto a lanciare una nuova polemica rivolta proprio alla
stampa e al rapporto conflittuale che spesso intercorre tra gli
organi di comunicazione e l’industria della quale dovrebbero
parlare: dopo aver citato il commediografo Aristofane con la sua
opera Le Rane, concentra la sua attenzione sul
problema della percezione collettiva che si ha di un film come
La Stoffa dei Sogni che “scomoda” due icone del
teatro mondiale come William Shakespeare ed Eduardo De
Filippo: «non sono loro il vero problema» , sottolinea
Rubini.
Anche il produttore Arturo
Paglia ricorda le varie difficoltà incontrate: il
montaggio complesso, la ricerca degli sponsor, la partecipazione di
Rai Cinema e la regione Sardegna che si sono
impegnate a livello produttivo, oltre a Microcinema
Distribuzione per la diffusione in sala.
Ed è proprio il delegato
della Microcinema a raccontare, dal punto di
vista della distribuzione, la sua avventura sia umana ma
soprattutto lavorativa: il problema nei confronti dell’industria
audiovisiva è ben più ramificato, e si “infittisce” soprattutto
nelle aree provinciali dove manca, alla base, una sorta di
“educazione al gusto” verso prodotti diversi, ricercati e raffinati
del mercato; ovviamente questo problema non è preso in
considerazione dalle istituzioni che se ne dovrebbero occupare. A
livello umano, invece, il suo percorso è coinciso con quello di
Cabiddu sovrapponendosi in più punti: da ragazzo di provincia in
cerca di fortuna a Roma a giovane assistente di Ferruccio
Marotti, diviso tra dipartimenti vari incentrati sullo
spettacolo, questo iter è sembrato riemergere solo davanti alla
lettura del copione di La Stoffa dei Sogni,
spingendolo in tal modo a percepire che quello era davvero il
momento giusto per investire su questo ambizioso progetto, visto
che «se possiamo sognare, perché non farlo dopo aver letto la
poesia?»
È Rubini a chiudere il discorso
prima di approfondirne un altro, sottolineando il fatto che, oggi
come oggi, è impossibile pensare al “Cinema d’Autore” vincolandolo
solo al circuito delle sale: oggi il vero luogo promettente è la TV
(nonostante le discussioni in merito), come mostrano spesso I
risultati oltreoceano è l’ultimo avamposto dov’è ancora possibile
pensare alla qualità della scrittura, in modo tale da preservare
gli autori; si tratta di una scrittura vicina alla modernità che
può raccogliere più soldi permettendo anche di allargare lo spettro
degli ipotetici supporti di distribuzione e fruizione di un’opera.
E sempre l’attore pugliese viene accostato, nella domanda
successive, alla figura immortale di Eduardo De
Filippo: quanto il suo personaggio nel film, il capocomico
Oreste Campese, è un omaggio alle tante maschere del grande
Maestro, come ha interpretato il ruolo meta – teatrale di Prospero
(se sempre con questo modello in mente), e come ha reagito di
fronte al ruolo?
L’attore si è definite
subito entusiasta nei confronti del film: voleva farne parte, per
cui ha aspettato con pazienza le innumerevoli difficoltà superate
dalla produzione e da Cabiddu. Per quanto riguarda il confronto con
De Filippo, oltre ad una vaga (e velata) somiglianza fisica ha
cercato di staccarsi assolutamente da quel modello di partenza e da
qualunque suggestione in merito, lavorando piuttosto sull’empatia
immediata che ha provato, leggendo, nei confronti del personaggio,
liberandosi da ogni tipo di cliché che aveva in mente.
E Fantastichini, invece, come ha
visto e percepito il personaggio del direttore del carcere, il vero
Prospero del film?
Il film – commenta l’attore – è una
sorta di doppio racconto incrociato, che procede lungo due binari
paralleli tra la vita, le situazioni che accadono e nel quale si
ritrovano coinvolti I personaggi: sono queste circostanze che
spingono il direttore del carcere ad identificarsi con Prospero,
uno dei protagonisti de La Tempesta di
Shakespeare. Il copione l’ha coinvolto da subito, spingendolo a
prendere parte al progetto nonostante le innumerevoli difficoltà
che sapeva avrebbe incontrato lungo il percorso; un ulteriore
elemento che l’ha spinto a decidere è stato proprio il fattore
determinante del rapporto tra il direttore e sua figlia, Miranda:
anche Fantastichini nella vita è un padre e gli sta a cuore il tema
della libertà, che è la forma più alta d’amore, la semplice
possibilità di poter lasciar andare I propri figli per vederli
crescere liberi e felici, alla ricerca del loro posto nel
mondo.
Anche la Saponangelo e Carpentieri
intervengono nella questione: la prima era emozionata di fronte
alla sola possibilità di poter adattare un testo di Shakespeare in
una lingua così nobile come il napoletano antico, un dialetto così
aulico: questa opportunità, insieme a quella di aver condiviso il
set con altri attori del genere, l’ha fatta sentire orgogliosa di
essersi lasciata coinvolgere; Carpentieri, invece, è rimasto
positivamente colpito dalla delicatezza di certi momenti narrate da
Cabiddu nel corso del film (come il legame tra i giovani Miranda e
Ferdinando), dove ogni piccolo gesto si trasforma in un grane atto
d’amore o di libertà nonostante la nostra società sia immerse
nell’epoca della velocità, dove tutto è così rapido: qui in questa
storia, al contrario, il tempo e il respiro rallentano recuperando
il loro ritmo natural e la dimensione del sogno. L’attore confessa
inoltre di sognare da sempre di interpretare La
Tempesta nella rilettura di Eduardo: quando, sul set, lo
confesso al figlio Luca De Filippo, la sua replica
fu lapidaria e, ironicamente, basata su un discorso di incassi e
ritorno economico: «ma quella non fa soldi!»
A chiudere la ricca conversazione è,
ancora una volta, Cabiddu stesso che parafrasa Eduardo per parlare
del lavoro sul set: “Nel tetro vero, se non ascolti gli altri non
ascolti te stesso”, e infatti la forza de La Stoffa dei
Sogni sono stati anche i suoi attori che sono stati in
grado di collaborare tra loro ascoltandosi ed escludendo le
suggestioni del mondo esterno dal processo creative (complice anche
al natura impervia del luogo) realizzando, alla fine, un prodotto
collettivo dove ognuno di loro ha trovato qualcosa di sé nel testo
e ha contribuito con un proprio, forte, apporto personale.
L’ultimo pensiero va proprio a
Luca De Filippo, e al ricordo che Cabiddu ha del
suo coinvolgimento nelle riprese: avevano collaborato insieme, a
teatro, innumerevoli volte, e per entrambi questo film
rappresentava la possibilità di rendere omaggio ad un modo
tradizionale di fare – e vedere – il teatro: a maggior ragione
nell’ultimo periodo (prima della sua prematura scomparsa), le
preoccupazioni maggiori che aveva erano legate alla sorte della
propria compagnia una volta che non ci sarebbe stato più. Ma, come
accade sulla scena, anche nella vita è la tradizione che permette
al tempo di aggiustare tutto e di poter continuare, incessante, a
scorrere.
Arriva il primo dicembre al cinema
La Stoffa dei Sogni, film diretto da
Gianfranco Cabiddu con Sergio Rubini e Ennio
Fantastichini.
Un naufragio. Un’isola splendida ma
selvaggia, inospitale e struggente nella sua crudele bellezza; i
destini incrociati di vari personaggi che si incontrano, si
perdono, si confondono e scontrano definitivamente restando sempre
in bilico in una dimensione onirica sospesa tra reale e
immaginario.
Inizia con queste premesse
La Tempesta di William
Shakespeare; ma sono anche le stesse che muovono
l’adattamento in napoletano aulico curato da Eduardo De
Filippo, e sempre quest’ultime muovono il meccanismo
narrativo alla base de La Stoffa dei Sogni,
l’ultima fatica firmata dal regista Gianfranco
Cabiddu che ha esordito durante la decima edizione della
Festa di Roma 2015 e che adesso, finalmente,
debutta nelle sale italiane con il suo delicato connubio tra stili
diversi, influenze culturali e letterarie (nello specifico),
citazioni e giochi di specchi meta – teatrali che si rincorrono tra
loro per creare un ricamo unico e prezioso, raro nella sua
unicità.
La Stoffa dei Sogni recensione
Oreste Campese (Sergio
Rubini), sua moglie Maria (Teresa
Saponangelo), la figlioletta e il suggeritore della loro
piccola compagnia teatrale, dopo il naufragio di un traghetto,
approdano su una misteriosa isola selvaggia e – apparentemente –
disabitata. Qui incontrano i tre camorristi Don Vincenzo
(Renato Carpentieri), Andrea e Saverio che avevano
ucciso il capitano del traghetto, e adesso vogliono copertura dalla
compagnia Campese. Ricattati, i sette vengono trovati dalle guardie
carcerarie che lavorano lì sull’isola al servizio del direttore De
Caro (Ennio Fantastichini), integerrimo tutore
della legge che vuole scovare i tre evasi ad ogni costo e tutelare
la figlia Miranda (Gaia Bellugi) che, nel
frattempo, vive una storia d’amor fou con un giovane naufrago
trovato sulla spiaggia, che non ricorda nulla del suo passato e
della sua identità, nemmeno il fatto di essere il figlio di Don
Vincenzo, Ferdinando.
La Stoffa dei Sogni
riesce in un’impresa solitamente difficile ai più, ovvero rendere
Shakespeare fruibile per tutti, permettere alle immortali parole
lasciate dal Bardo di raggiungere le sottili corde degli animi
degli spettatori facendole vibrare: è De Filippo il mago che ha
reso possibile questo gioco di prestigio, valicando gli inviolabili
confini della sterile traduzione e regalando ulteriori tocchi di
poesia alla Poesia stessa; Cabiddu riesce a cogliere queste trame
sottili nascoste tra le pieghe delle parole e, con sapienza e
maestria (con la collaborazione di Ugo Chiti e Salvatore De
Mola) orchestra questa sinfonia onirica e visiva, dove il
sogno procede di pari passo con la realtà in un luogo – l’ex
carcere dell’Asinara – dove i comuni concetti di spazio tempo sono
aboliti, e proprio l’isola assurge al ruolo di protagonista
maestosa ed incontrastata: misteriosa e remota, lontana dal mondo,
sembra osservare in silenzio le vite dei suoi abitanti (temporanei)
coinvolte in un gioco di riferimenti meta – teatrali: la vita
stessa è una finzione perché tutti siamo portati a mentire, e solo
la menzogna sulle assi di un palcoscenico sembra riportare un po’
d’ordine nel caotico valzer degli addii, delle partenze e degli
approdi orchestrati in scena.
Quello del falso documentario è un
sottogenere particolarmente popolare all’interno del cinema horror.
Questo permette infatti di conferire alla storia raccontata l’idea
che ciò che si vede si avvenuto realmente, che sia un documento
veritiero intorno a determinati eventi. E quando ad essere
realistico è l’orrore, questo fa naturalmente ancor più paura.
Titoli come Rec o l’iconico The Blair Witch Project
sono esempi perfetti di tale filone, in cui si colloca anche il
recente La stirpe del male (qui la recensione). Questo è
stato diretto nel 2014 dai registi Matt
Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, che
avrebbero poi nuovamente collaborato anche per il loro successivo
horror, Finché morte non ci separi.
Oltre all’essere realizzato come
falso documentario, La stirpe del male utilizza anche
l’artificio narrativo del found footage, ovvero del “video
ritrovato”. I protagonisti sono infatti soliti riprendere tutto ciò
che avviene con la loro videocamera a mano, la cui registrazione
sarebbe poi idealmente ritrovata soltanto in seguito e diffusa come
film. Si tratta dunque di un espediente che mira a rendere ancor
più spaventoso ciò che si sta guardando, rimuovendo quanto più
possibile l’esplicitazione della finzione cinematografica. Se anche
l’orrore può appropriarsi del reale, diventa sempre più labile il
confine tra ciò che è vero e ciò che non lo è, e questo è davvero
spaventoso.
Allo stesso tempo, i due registi
hanno scelto di infrangere molte delle regole del found
footage, poiché il vero focus del film si ritrova nel
deteriorarsi della relazione tra i due protagonisti, nel loro
essere costretti a guardarsi e amarsi anche attraverso il
deterioramento fisico e psicologico. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La stirpe del male: la
trama del film
La storia del film ha per
protagonisti Samantha e Zach
McCall, coppia di neo sposi. I due, pronti a partire per
la loro luna di miele, decidono di riprendere il tutto attraverso
una videocamera a mano, con l’intento di realizzare un piccolo
documentario personale di quel viaggio speciale ricco d’amore.
Recatisi nella Repubblica Dominicana, dove si stanno celebrando le
festività del Carnevale, gli sposi si imbattono su una veggente che
fa loro delle dichiarazioni particolarmente inquietanti sul futuro
di Samantha. Turbati dalla cosa, i due decidono di rivolgersi ad
alcuni sciamani del luogo per saperne di più. La loro decisione,
però, si rivelerà profondamente sbagliata.
Dopo essere stati condotti in uno
strano e angusto locale, con indecifrabili simboli sulle pareti,
Zach e Samantha si ritrovano drogati e storditi. Si risveglieranno
però nella loro camera da letto, senza alcuna memoria di ciò che è
successo loro. A sostituire tale preoccupazione vi è però la
scoperta da parte della donna di essere incinta. La notizia si
sparge in fretta tra amici e parenti e tutti sembrano entusiasti
per la dolce attesa. Questa, però, si rivelerà meno piacevole del
previsto. Nel momento in cui il bambino inizia a crescere nella sua
pancia, Samantha sviluppa una serie di strani comportamenti, che
lasciano intravedere l’arrivo di qualcosa di mostruoso.
La stirpe del male: il cast del film
Per conferire ulteriore sensazione
di realtà a quanto si mostrava nel film, i due registi hanno scelto
di ricorre ad una serie di attori poco noti. La presenza di
celebrità, infatti, avrebbe finito con il distogliere l’attenzione
degli spettatori. Allo stesso tempo, era importante avere attori
che potessero passare come personalità qualunque, permettendo così
una maggior identificazione in loro. Per questi motivi, per il
ruolo di Samantha McCall è stata scelta l’attrice Allison
Miller, ritrovabile in serie come Kings, Terra Nova,
Tredici e A Million Little Things. Nei panni di suo
marito Zach McCall, invece, vi è Zach Gilford,
principalmente conosciuto per essere stato uno dei protagonisti
della serie Friday Night Lights.
Accanto a loro, si ritrovano alcuni
attori noti principalmente per ruoli televisivi. Anche se la loro
presenza nel film è ridotta, vantano comunque diversi momenti
memorabili. Il primo tra questi è l’attore Sam
Anderson nei panni di Padre Thomas. Questi è
principalmente noto per aver interpretato il medico Jack Kayson in
E.R. – Medici in prima linea e Bernard Nadler in
Lost. Madison Wolfe, vista in True
Detective e nel film horror The Conjuring 2,
interpreta qui Brittany, mentre Aimee Carrero è
Emily. Michael Papajohn, noto per aver
interpretato Dennis Carradine nella trilogia di
Spider-Man, è invece l’ufficiale di polizia.
Robert Belushi, figlio dell’attore James,
interpreta infine il personaggio di Mason.
La stirpe del male: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film
grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. La stirpe del
male è infatti disponibile nel catalogo di
Rakuten TV, Google Play, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma in questione
o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in
totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che
in caso di noleggio si avrà a disposizione soltanto un dato periodo
temporale entro cui vedere il titolo. In alternativa, il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 3
agosto alle ore 21:20 sul canale
Rai 4.
In La stirpe del
male Zac e Samantha sono due novelli sposini che decidono
di regalarsi un viaggio di nozze nella Repubblica Domenicana,
documentando ogni istante della con l’ausilio di una videocamera.
La coppia viene improvvisamente catapultata in un misterioso party,
del quale al mattino non rammentano nulla, ma tornati a casa
scoprono inaspettatamente che Samantha, malgrado le precauzioni, e’
rimasta incinta. Zac pero’ trova uno strano cambiamento nella
moglie, che oltre ad improvvisi sbalzi d’umore sembra modificare
totalmente le proprie abitudini. Pensando inizialmente che si
tratti dello stress dovuto alla gravidanza, Zac ben presto si rende
conto che qualcosa di terribile e demoniaco sembra aver sconvolto
la loro esistenza.
L’inflazione di genere sembra
essere diventato una moda tipica di un cinema recente ormai stanco
e dedito soprattuto alla pratica della “minestra riscaldata” che
nei generi viscerali come l’horror pare aver trovato terreno
fertile. Se poi a questo agiungiamo l’ormai abusato tema demoniaco
e la pratica casereccia del found footage, La
stirpe del male è l’ennesima pellicola che, muovendo
dai capisaldi del genere come L’esorcista e Omen, crede erroneamente di avere
qualcosa di originale da aggiungere a un piatto ormai freddo ed
insipido. La coppia di esordienti Tyler Gillet e
Matt Bettinelli-Olpin, gia’ avvezzi al mokumentary
con l’opera collettiva V/H/S, decidono di
partire da una vera amalgama metacinematografica debitrice
dell’immenso Rosmary’s Baby, muovendosi su un
terreno narrativo accidentato che attinge a piene mani ai topoi del
genere, compresi alcuni ammiccamenti ai più recenti esperimenti de
L’ultimo esorcismo. Una trama tutto
sommato solida, lineare e prevedibile, senza particolare dispendio
di energie creative, come si nota fin dall’accademica prima
mezzora, dedicata a narrare le tenerezze di coppia che dovrebbero
preludere alla catastrofe che tarda ad arrivare.
Interessante e ben studiata la
modalità stilistica che abbandona il reportage in piano sequenza in
favore di riprese da diversi dispositivi, replicando un montaggio
cinematografico canonico (già sperimentato abilmente in Chronicle). A fare da contrappunto
alla sterilita’ del plot, al quale va comunque riconoscuta una
sufficente progressione nell’arco di suspance, vi e’ la piu’ che
credibile prova attoriale della coppia Allison
Miller (giovane veterana della tv gia’ vista in
The Last Vampire ) e Zach
Gilford (reduce dal recente The Purge), capacissimi di reggere ad
una genuina a crescente tensione, fino alla cruenta scena finale
del parto demoniaco degna di Brood di
Cronemberg. Un uso parco e mai invasivo degli
effetti speciali, di fatto credibili ma comunque incapaci di
nobilitare una pellicola che insiste troppo sul fattore
psico-sentimentale e troppo poco su una sana dose di gore, forse
temendo di essere troppo originale e rinunciando ad essere
quantomeno onesta con se stessa.
ShockTillYouDrop.com ci da la
possibilità di dare uno sguardo al prossimo film horror a tema
satanico Devil’s Due, che da noi in
Italia uscirà l’8 maggio 2014 con il titolo de La
stirpe del male. Nel film ci sono Allison
Miller e Zach Gilford.
Nel film, dopo una misteriosa notte della quale non ricordano
nulla durante la luna di miele, due sposini si trovano a farei
conti con una gravidanza inaspettata, così presto subito dopo le
nozze. Accolta la notiza con sorpresa ma con gioia cominciano a
registrare per il futuro tutti i cambiamenti che la futura mamma
subirà fino a quando il bambino non nascerà. Tuttavia, il marito si
accorge ben presto che questi cambiamenti, nel corpo e nello
spirito della moglie, vanno al di là delle normali reazioni alla
gravianza, e nascondono qualcosa di molto più sinistro.Ecco la clip
di seguito:
Ha suscitato profonda commozione la
proiezione in anteprima di La stella di Andra e
Tati, film d’animazione prodotto da Rai Ragazzi
assieme al Miur e a Larcadarte e diretto da Rosalba
Vitellaro. Il prodotto, primo del genere in Europa a
trattare il tema delicato della Shoah, è stato presentato
nell’ambito del Cartoons on the Bay, proiettato al
cinema Ambrosio di Torino alla presenza di bambini, ma anche
di Andra e Tati Bucci, protagonista reali del
film.
La storia è quella delle due donne,
all’epoca bambine, sopravvissute allo sterminio di
Auschwitz: “Non ci aspettavamo tutto questo, davvero e non
abbiamo provato questa commozione mai, nemmeno il giorno che siamo
rientrate nel campo” (fonte ANSA).
Il tema del film si sposa
perfettamente con l’apertura della ventiduesima edizione del
festival del crossmediale e dell’animazione televisiva
promosso da Rai e organizzato da Rai Com a Torino. Cartoons on the
Bay si è infatti aperto con l’inaugurazione della
mostra 1938-2018. Ottant’anni dalle leggi razziali in
Italia’ e prosegue a reiterare il tema delicato. Ancora
più importante è che l’ente pubblico si sia speso, con questo film
d’animazione, a raccontare la Storia ai giovani, in maniera diretta
e non troppo edulcorata, anche se rasserenante nel finale,
un’intenzione che vedrà la luce a ottobre, quando il film andrà in
onda su Rai Gulp.
Andra e Tati Bucci
sono state trai 50 bambini su 200 che si sono salvati dal lager e
che hanno ritrovato i propri genitori.
C’è ancora qualcuno che non
riconosce Iron Man? A Manchester sì! Vedendo la
statua del
supereroe dalla finestra di un appartamento, i vicini hanno
pensato che si trattasse di una persona appesa per il collo. Nel
panico, hanno chiamato la polizia che, irrompendo in piena notte
nella casa del proprietario della statua, ha trovato una sorpresa.
La possibile emergenza si è presto trasformata in aneddoto.
Come riportato dal
Manchester Evening News, un equipaggio di 10 poliziotti e
paramedici è stato chiamato alla West Tower di Deansgate Square a
Manchester da vicini preoccupati. Temevano di aver visto una
persona appesa alla finestra. Le forze dell’ordine hanno svegliato
il proprietario della casa nel cuore della notte. Una volta entrate
hanno scoperto che alla finestra c’era Iron Man,
non una persona.
Pagata 14.000 sterline e a grandezza
naturale, la statua del supereroe era stata messa bene in mostra di
fronte ad una vetrata. L’immobile Iron Man, con la
sua postura rigida e nella penombra aveva fatto pensare ai vicini i
peggiori scenari. Dopo che la polizia ha scattato alcuni selfie con
la statua illuminata, ha consigliato al proprietario di spostarla
per evitare future chiamate allarmanti. Purtroppo però,
l’installazione, costruita su misura, era troppo pesante per essere
mossa.
Iron Man tra cosplay e statue
Interpretato per più di un decennio
da Robert Downey Jr., il personaggio
Marvel ha conosciuto un
forte aumento di popolarità da quando è partito il MCU
con Iron Man del 2008. Successivamente l’Iron
Man del miliardario playboy Tony Stark si è rapidamente guadagnato il suo
posto nel cuore del pubblico in tutto il mondo.
Il personaggio di Iron
Man ha ispirato molti
fan a ricreare le
armature dell’eroe nella vita reale, dal cosplay di
corazze mandaloriane a quello completo delle tute del film. Non
mancano le statue in onore anche di altri eroi Marvel: una statua
di bronzo che celebra il 75º anniversario di Capitan
America, inaugurata al Comic-Con di San Diego
nel 2016, si trova ora nel Prospect Park di Brooklyn a New
York.
X-Men
’97 è stato caratterizzato da una manciata di camei
memorabili di alcuni personaggi Marvel di alto profilo, tra cui
Spider-Man e Capitan America.
Quest’ultimo è noto soprattutto per aver guidato i Vendicatori, e
con tutto quello che stanno passando i mutanti di questo mondo –
tra cui Magneto che sembra aver dichiarato guerra all’umanità –
potrebbe essere all’orizzonte uno scontro tra loro e gli X-Men?
Parlando con ComicBook.com, il doppiatore del
Professor X, Ross Marquand, ha condiviso la sua
convinzione che ci sia “una reale possibilità” che le due
squadre si scontrino in un adattamento animato di Avengers
vs. X-Men. “Avete visto cosa è successo nell’ultimo
episodio [con] Rogue e Capitan America”, ha esordito Marquand.
“C’è una reale possibilità che questo accada. Lui non può
volare. Il Capitano non può volare. L’ha lanciato sul fianco di una
montagna innevata”.
“Sono sicuro che è conficcato lì
dentro a 15 metri di profondità. Non troverà quello scudo“,
scherza l’attore. “Non è come il Mjolnir che si può tirare
indietro, è incastrato in quella cosa. Sarà incazzato con Rogue per
un po’”. Sarebbe indubbiamente epico vedere gli X-Men e i
Vendicatori darsi battaglia in X-Men
’97, soprattutto perché ci sono accenni al fatto che i
mutanti si radicalizzeranno in seguito all’attacco a Genosha (il
che seguirebbe in qualche modo i fumetti).
Sebbene Marquand sia ottimista sulla
possibilità che ciò accada, per il momento è solo felice di essere
coinvolto nel revival di X-Men: The Animated
Series. “Lo dico sempre al mio manager… se questa
fosse l’ultima cosa che faccio nella mia carriera, morirei felice.
Lo farei davvero”. Non resta dunque che attendere per scoprire
se questo scontro si concretizzerà davvero, portando così i due
celebri gruppi di supereroi ad incrociare le armi.
La nuovissima serie X-Men
’97, composta da 10 episodi, è arrivata in streaming a
partire dal 20 marzo. La serie rivisita l’epoca iconica degli anni
‘90, con il gruppo di mutanti che usa i propri poteri straordinari
per proteggere un mondo che li odia e li teme, vengono messi alla
prova come mai prima d’ora, costretti ad affrontare un nuovo futuro
pericoloso e inaspettato.
Il cast delle voci nella versione
originale include Ray Chase (Ciclope),
Jennifer Hale (Jean Grey), Alison
Sealy-Smith (Tempesta), Cal Dodd
(Wolverine), JP Karliak nel ruolo di Morph,
Lenore Zann nel ruolo di Rogue, George
Buza nel ruolo di Bestia, AJ LoCascio
(Gambit), Holly Chou (Jubilee), Isaac
Robinson-Smith (Alfiere), Matthew
Waterson (Magneto) e Adrian Hough
(Nightcrawler).
Shōgun,
il dramma storico di FX acclamato dalla critica, ha concluso la
scorsa settimana il suo ciclo di 10 episodi e Anna
Sawai è stata universalmente elogiata per la sua
interpretazione della tragica Toda Mariko. Tra le voci di
nomination agli Emmy, la star vista anche
Monarch: Legacy of Monsters sarà ora sicuramente sommersa
di offerte cinematografiche e non ci sarebbe da sorprendersi se
prima o poi le venisse proposto un ruolo da supereroe.
Sawai ha dunque parlato della sua
carriera e del suo potenziale trasferimento a Hollywood a
THR, rivelando che la sua grande occasione sarebbe potuta
arrivare molto prima, ma l’impegno con la sua band J-Pop, le FAKY,
l’ha costretta a perdere l’occasione di fare il provino per il
ruolo di Katana in Suicide
Squad del 2016. “Dopo la formazione – più anni di
formazione – o sei fortunato e ti unisci a un gruppo, o debutti
come cantante solista, o te ne vai“, ha spiegato Sawai.
“Mi sono detta: “Questa è la mia
occasione!”. Poi sono andata dal mio manager e mi ha detto: ‘Non
puoi fare l’audizione’. In pratica mi hanno detto che se fossi
stata via per più di un mese, le ragazze [gli altri membri delle
FAKY] non avrebbero avuto nulla da fare. Sembrava che mi stessero
davvero vincolando e, a causa del mio contratto, non potevo
andarmene fino al momento in cui me ne sono effettivamente andata
[nel 2018]“.
Naturalmente, non è detto che la
Sawai avrebbe effettivamente ottenuto la parte, e anche se l’avesse
ottenuta, potrebbe non aver fatto molto per il suo status. Katana è
stata infine interpretata da Karen Fukuhara, star
di The
Boys, e sebbene abbia fatto un buon lavoro, il personaggio
non era esattamente posizionato per essere un punto di riferimento,
tant’è che Fukuhara ha poi ottenuto una buona popolarità solo
grazie alla serie di Prime Video.
Nonostante l’amore diffuso che lo
show ha ricevuto negli ultimi mesi, la risposta al rinnovo o meno
di Shōgun
per una seconda stagione sembra un secco no. Questo è supportato
dai recenti commenti dei creatori dello show, Rachel
Kondo e Justin Marks, che hanno entrambi
ribadito che lo show è sempre stato pensato come una serie limitata
a una sola stagione. Kondo e Marks sembrano più che soddisfatti del
punto in cui la serie è stata lasciata, e lo ribadiscono
ulteriormente nella dichiarazione che segue:
“Abbiamo portato la storia alla
fine del libro e abbiamo messo un punto alla fine della frase.
Amiamo il modo in cui finisce il libro; è stata una delle ragioni
per cui entrambi sapevamo di volerlo fare, e abbiamo concluso
esattamente in quel punto. In passato mi è capitato di assistere a
episodi come questo, in cui si costruisce un’intera fabbrica che
produce solo 10 auto e chiude i battenti. È una rottura. Uno dei
nostri produttori ha scritto un manuale di istruzioni di quasi 900
pagine su come realizzare questo show, lungo quasi quanto il libro
Shogun.
C’era dentro tutta questa conoscenza infrastrutturale. Spero solo
che qualcun altro, magari un amico, abbia bisogno di un manuale di
produzione sul Giappone feudale, così potrò dire: “Ecco, usa questo
libro. Ti farà risparmiare 11 mesi‘”.
È chiaro che Rachel Kondo e
Justin Marks tengono in grande considerazione il romanzo
originale di James Clavell e hanno voluto raccontare la storia nel
modo più accurato possibile, aggiornandola per il pubblico moderno.
Hanno certamente ragione sul fatto che il libro originale ha un
finale potente e chiaro, quindi ha senso che Kondo
e Marks non vogliano stravolgerlo troppo. Terminare una serie nel
suo momento migliore e abbandonarla finché si è in vantaggio ha
certamente i suoi vantaggi. Dopotutto, Shōgun
è stato ripetutamente paragonato a Game of
Thrones, uno show che ha infamemente cercato di adattare
materiale al di là dei libri, con una conclusione disastrosa.
La star
cinese Wang Xuequi si è unito al cast del
prossimo Iron Man 3 nel ruolo del Dottor
Lu. La notizia è stata annunciata da
Deadline, secondo il quale il film
diretto da Shane Black è nella sua fase
finale di riprese a Pechino. Xuequi è noto per aver interpretato
Warriors of Heaven and
Earth e Bodyguards and
Assassins. Nel casti ritorna il protagonista Robert
Downey Jr. nei panni di Tony Stark. Fanno parte del cast
anche Ben Kingsley, Don
Cheadle, Guy
Pearce, Gwyneth
Paltrow, Jon
Favreau, Paul
Bettany, Rebecca
Hall e Scarlett Johansson. Iron Man 3 uscirà in Nord America 3D e 2D il 3
maggio 2013. Per tutte le notizie sul film vi segnaliamo il nostro
speciale: Iron Man 3.
La casa da sempre è uno dei teatri
principali dei racconti di genere. In particolare di quelli
famigliari. Psycho, Shininge The
Others, sono solo alcuni degli esempi più importanti del
racconto in interno, del dramma da camera. Tale ambiente diventa il
luogo naturale del confronto, e dello scontro, tra chi vi abita. E
in uno spazio ben delimitato è ovviamente più difficile nascondersi
e sfuggire al proprio destino. Su questa idea si fonda anche
La stanza, il nuovo film di Stefano Ludovichi, già
autore dell’acclamato In fondo al bosco. In uscita
su Amazon Prime Video a partire dal
4 gennaio, la pellicola fa così di quest’unica
location il teatro per una vicenda che trascende lo spazio e il
tempo, trovando il proprio cuore nei delicati rapporti tra gli
umani protagonisti.
La vicenda è quella di Stella
(Camilla Filippi) una giovane donna dai sentimenti
feriti e pronta a lanciarsi dalla finestra. A interrompere il suo
tentativo di suicidio arriva però il suono del campanello. Alla
porta tuttavia non c’è chi lei desiderava, bensì uno straniero che
dice di chiamarsi Giulio (Guido Caprino).
In un’altra situazione o condizione Stella lo avrebbe mandato via,
ma quando questi le dice che sta aspettando Sandro (Edoardo
Pesce), il marito di Stella, di colpo una speranza si
riaccende in lei. Lo straniero viene così fatto entrare e portato
nella camera degli ospiti. Ma chi è Giulio? A chi Stella avrà
spalancato le porte della propria casa? E quali segreti nasconde
quel luogo? Giulio sembra intenzionato proprio a portare alla luce
tutto ciò una volta per tutte.
Il non luogo della Stanza
Quello di Ludovichi è un altro film
che può essere osservato anche in relazione all’attuale situazione
mondiale, dove si intima di rimanere a casa per la propria e altrui
salvaguardia. Non per tutti, però, rimanere in casa è sintomo di
tranquillità. La convivenza forzata porta infatti a riesumare
vecchi scheletri dagli armadi, che rischiano di minare la
tranquillità e l’equilibrio stabilito. È ciò che avviene anche in
La stanza, con una casa che assume sempre più la natura di
un non luogo, lontano dal tempo e dallo spazio comunemente intesi.
Una qualità che accosta tale ambiente alla casa protagonista del
film Madre!. Se nel film di
Aronofski questa diveniva metafora della Terra e della vita, nel
film di Ludovichi è invece il cuore di un nucleo famigliare
avvelenato da reciproci segreti.
Ci sono ambienti che volutamente non
vengono mostrati, lasciando così che la casa mantenga fino
all’ultimo un velo di mistero capace di generare un certo timore.
Le stanze sono come i segreti, e non tutte sono facili da rivelare.
Il regista gioca così con un ambiente che diventa protagonista, e
segue attivamente i personaggi nel loro scontro. Uno scontro che è
favorito dall’ingresso in scena dell’estraneo. Egli è l’elemento
grazie al quale il film assume un tono di tensione che sembra
richiamare Funny Games di Haneke. Diventa a questo punto
evidente che La stanza vanta non solo evidenti omaggi ad
un certo cinema d’autore, ma che soprattutto aspira ad utilizzare
un genere che si muove tra il fantastico e il thriller per
raccontare una tematica particolarmente umana e concreta.
Procedendo nella visione, infatti,
ogni domanda sembra trovare risposta. Ognuno dei personaggi si
colloca in un ruolo definito, attraverso cui emerge la necessità di
parlare del rapporto tra genitori e figli. Un rapporto complesso,
ricco di errori apparentemente banali ma che possono generare
mostri. Nessuno è vittima, tutti sono carnefici involontari di un
amore che spesso assume forme tali da non renderlo più quel
sentimento positivo che dovrebbe essere. Mantenendo sempre viva la
possibilità di una redenzione, Ludovichi conduce così verso una
risoluzione dove, ammesse le rispettive colpe, si può infine
trovare la forza di perdonarsi.
Gli attori nella stanza
È un oggetto ambiguo La
stanza, che attrae con delle premesse per poi condurre verso
territori inaspettati. Si tratta di un notevole, e ulteriore,
esperimento in direzione di un cinema di genere che sembra trovare
sempre più spazio nella cinematografia nazionale. È per tanto
avvincente il modo in cui il regista aspiri a parlare di tematiche
complesse ma ricche di sentimento, attraverso una cornice
particolarmente cupa e brutale. Ciò che convince meno sono una
serie di risvolti narrativi che, seppur velatamente introdotti per
tempo, conducono in modo brusco lì dove è necessario che lo
spettatore venga portato. Che più di qualcosa non sia come sembri è
evidente da subito, ma un gradino meno netto tra il prima e il dopo
avrebbe probabilmente giovato tanto allo storia quanto alla
visione.
Ma per un film di questo tipo, molta
della sua forza è da ricercare negli interpreti protagonisti.
Consapevole di ciò, Ludovichi si affida a tre splendidi attori,
capitanati da un Guido Caprino particolarmente
inquietante. Egli dà vita ad una nuova trasformazione fisica,
dimostrandosi attore capace di scendere nella psicologia del
personaggio per renderlo vivo e vero. Difficile non venire
catturati dalla sua performance, capace tanto di sedurre con i suoi
modi di fare quanto disturbare con la sua violenza. Egli diventa il
corpo attraverso cui possono confluire i principali sentimenti del
film. Giulio incarna così quel processo di catarsi grazie al quale
ognuno ha la possibilità di confrontarsi con i propri errori,
ponendovi rimedio.
La stanza è un thriller psicologico che va a
scandagliare l’animo e i segreti di tre personaggi: Giulio
(Guido Caprino), Stella (Camilla
Filippi) e Sandro (Edoardo Pesce).
Una storia tesa e affilata come una
lama in cui la posta in gioco non potrebbe essere più alta. La
mattina in cui Stella decide di togliersi la vita, alla sua porta
bussa uno sconosciuto che sembra conoscerla fin troppo bene. Quando
poi in casa arriva anche Sandro, l’uomo che ha spezzato il cuore di
Stella, una situazione già complicata si trasforma rapidamente in
caos: Giulio, lo sconosciuto, sembra intenzionato a portare alla
luce tutti i segreti della casa. Chi è Giulio? Cosa nascondono
Stella e Sandro?
La Stanza di
Stefano Lodovichi con protagonisti Guido Caprino, Camilla
Filippi, Edoardo Pesce debutterà in anteprima esclusiva su Amazon Prime
Video a partire dal 4 gennaio 2021.
Un thriller psicologico che va a
scandagliare l’animo e i segreti di tre personaggi: Giulio (Guido
Caprino), Stella (Camilla Filippi) e Sandro (Edoardo Pesce).
Una storia tesa e affilata come una lama in cui la posta in gioco
non potrebbe essere più alta. La pellicola è prodotta da Andrea
Occhipinti con la sua Lucky Red.
La Stanza: la trama
La mattina in cui Stella decide di
togliersi la vita, alla sua porta bussa uno sconosciuto che sembra
conoscerla fin troppo bene. Quando poi in casa arriva anche Sandro,
l’uomo che ha spezzato il cuore di Stella, una situazione già
complicata si trasforma rapidamente in caos: Giulio, lo
sconosciuto, sembra intenzionato a portare alla luce tutti i
segreti della casa. Chi è Giulio? Cosa nascondono Stella e
Sandro?
Regista di struggenti melodrammi
come Lontano dal paradiso e Carol, Todd
Haynes ha nel 2017 portato sul grande un film che è tanto
un omaggio al cinema quanto un intrigante racconto sul mistero che
lega epoche e personaggi apparentemente privi di ogni collegamento
tra loro. Si tratta di La stanza delle
meraviglie (qui la recensione), il cui
titolo originale è Wonderstruck. Il film è basato
sull’omonimo romanzo di Brian Selznick, già
celebre per il libro da cui è stato tratto Hugo Cabret, e che firma
qui anche la sceneggiatura. Insieme lui e Haynes hanno lavorato per
tenere vivi gli elementi primari del racconto, tra i quali ciò a
cui il titolo fa riferimento.
La stanza delle meraviglie, anche
note come Wunderkammer, erano una sorta di museo dove
veniva accumulata senza ordine prestabilito qualsiasi cosa che
potesse destare stupore. Haynes pone così al centro del film un
qualcosa che diviene anche metafora stessa del cinema, ovvero quel
luogo che sembra poter contenere tutte le meraviglie possibili e
impossibili. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film
ha poi ottenuto una buona accoglienza di critica e pubblico. Merito
anche della natura del film, costruito sì come un toccante dramma
ma anche come un avvincente film per famiglie, pensato
appositamente per un pubblico di grandi e piccoli.
Composto da un cast di celebri
attori e alcuni sorprendenti esordienti, ricostruzioni
scenografiche strabilianti ed una fotografia stupefance, il film di
Haynes è davvero un titolo da non lasciarsi sfuggire, capace di
regalare la meraviglia che promette. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al libro e
al cast di attori. Infine, si elencheranno anche
le principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
La stanza delle
meraviglie: la trama del film e il libro
Protagonisti del film sono
Ben e Rose, due bambini sordi
nati e vissuti in epoche diverse, a distanza di cinquant’anni l’uno
dall’altro. La storia di Rose si svolge infatti nel New Jersey del
1927, districandosi tra l’assenza di amici, un padre eccessivamente
protettivo e il sogno di incontrare una celebre attrice del cinema
muto, di cui raccoglie foto e ritagli di giornale. Ben, al
contrario, abita nel Minnesota del 1977 e sogna di incontrare il
padre che non ha mai conosciuto. Le loro storie scorrono parallele,
fino a quando una serie di coincidenze li porterà ad avvicinarsi
sempre di più.
Entrambi, infatti, intraprendono una
ricerca che li porta a New York. Lì Rose spera di incontrare
finalmente l’attrice Lillian Mayhew, mentre Ben, a
partire da un indizio lasciatogli dalla defunta madre
Elaine, va alla ricerca del padre e delle sue
origini. Le loro rispettive avventure, caratterizzate da speranze,
pericoli e dalla difficoltà nel comunicare e nel farsi capire, li
porteranno sempre più lontani da casa, alla ricerca del proprio
posto nel mondo. Più si spingeranno oltre, più le loro storie si
legheranno e influenzeranno in modi tanto inaspettati quanto
sorprendenti.
Per quanto riguarda il libro di
Selznick, egli porta avanti con La stanza delle meraviglie
quanto già realizzato per La straordinaria invenzione di Hugo
Cabret. In questo, infatti, lo scrittore combinava testo
scritto ad illustrazioni. Ciò avviene anche per La stanza delle
meraviglie, ma in modo diverso. Egli ha infatti qui alternato
la storia scritta con quella illustrata, facendole intrecciare
soltanto alla fine. Ciò permette ai lettori di vivere la storia dei
due protagonisti attraverso i loro occhi, sperimentando quello
stesso silenzio che è una costante della loro vita.
La stanza delle
meraviglie: il cast di attori del film
Per il ruolo di Rose, Haynes ha
espressamente chiesto di avere una bambina realmente non udente,
che potesse pertanto dare più sincerità e credibilità al suo
personaggio. Dopo aver incontrato la comunità di non udenti e aver
valutato oltre 200 bambini, il regista decise di affidare il ruolo
a Millicent Simmonds, oggi nota anche per A Quiet Place. Pur non
avendo esperienze pregresse nella recitazione, la giovane convinse
da subito tutti con il suo videoprovino, dove si raccontava
utilizzando la lingua dei segni. Per il ruolo di Ben, invece, è
stato scelto Oakes Fegley, visto anche in Il drago invisibile e Il
cardellino.
L’attrice premio Oscar Julianne Moore
interpreta il doppio ruolo di Lillian Mayhew e della Rose ormai
adulta. Michelle
Williams, invece, è Elaine, la madre di Ben. Nel film
sono poi presenti gli attori Jaden Michael nei
panni di Jamie e Raul Torres in quelli di suo
padre. Cory Michael
Smith interpreta Walter, mentre Tom
Noonan è la versione di Walter da anziano. James
Urbaniak è il dottor Kincaid, mentre Amy
Hargreaves è la zia Jenny. A tutti gli attori principali,
il regista ha inoltre chiesto di passeggiare per New York
indossando degli speciali auricolari che isolavano ogni rumore. Ciò
ha permesso agli attori di mettersi nei panni di Ben e Rose,
comprendendo meglio la loro situazione.
La stanza delle
meraviglie: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire di La
stanza delle meraviglie grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di martedì 29 marzo alle ore
21:10 sul canale Rai Movie.
01Distribution ha
diffuso il primo trailer italiano di La stanza delle Meraviglie
(Wonderstruck), il film di Todd
Haynes con Julianne Moore presentato al
Festival di Cannes 2017. Eccolo di seguito:
Il romanzo racconta dei sogni e
delle speranze di due bambini sordi, Ben e Rose, che vivono uno del
1927 e l’altro nel 1977, e che scappano entrambi da New York.
Nonostante le differenti epoche, però, i due ragazzini saranno
legati da un grande mistero che aspetta solo di essere risolto.
Ricordiamo che
Wonderstruck rappresenta la quarta
collaborazione tra Julianne Moore e Todd
Haynes: l’attrice e il regista, infatti avevano già
lavorato insieme in Safe del 1995, in
Lontano dal paradiso del 2002 e in
Io non sono qui del 2007, in cui peraltro
recitava anche Michelle Williams.
Torna al cinema con La stanza delle Meraviglie la regista
Liza Azuelos, che in questo film come in alcuni
dei suoi precedenti racconta del rapporto genitori-figli, della
difficoltà di essere madre e delle prove che la vita ci porta ad
affrontare. Il film distribuito da Notorious
Pictures sarà nelle sale da giovedì 12 luglio, nel ruolo
della madre la bravissima Alexandra Lamy, Muriel Robin e
Xavier Lacaille.
La trama del film La
stanza delle Meraviglie
Thelma è sconvolta quando suo
figlio dodicenne Louis viene investito da un tir e entra in coma.
Trova poi la lista dei desideri che il bambino aveva scritto sul
suo diario e scopre così il suo lato avventuroso e creativo. Nella
speranza di aiutare il figlio a uscire dal coma, Thelma decide di
esaudire tutti i suoi desideri. Dal Giappone al Portogallo, Thelma
intraprende un percorso che le dà nuovi motivi per cui vivere e per
ricongiungersi a suo figlio.
L’estate cinematografica del 2023
si sta rivelando ricca di novità. Fra blockbuster in prossima
uscita come l’atteso Barbie
di Greta
Gerwig e Oppenheimer
di
Christopher Nolan, commedie italiane e film minori
europei, ci si aspetta sale che pullulano e il botteghino che
respira. Il mese di luglio in particolar modo si presenta davvero
molto pieno, e tra i film da vedere al cinema per staccare la spina
dall’afa urbana vi è La stanza delle
meraviglie, ottavo
lavoro di Liza Azuelos, che torna dietro la
macchina da presa, dopo il suo autobiografico I love
America, per seguire la storia di una donna che ritrova se
stessa in seguito all’incidente del figlio.
Un viaggio on the
road quello che compie la protagonista, Thelma, la
quale cercherà di far risvegliare il figlio esaudendo tutti i
desideri appuntati sul suo diario. La stanza delle meraviglie,
scritto a sei mani da Juliette Sales, Fabien Suarez e Julien
Sandrel, quest’ultimo autore del libro da cui è tratto. Il
film è al cinema dal 13 luglio distribuito da Notorious
Pictures.
La stanza delle meraviglie, la
trama
Thelma (Alexandra
Lamy) è una madre single che si occupa da sola del figlio
Louis (Hugo Questel), dopo aver chiuso i rapporti
con il padre da diverso tempo. Un giorno, mentre i due si stanno
incamminando verso casa, Louis va in strada con il suo skateboard,
e in un momento di distrazione della donna, viene investito da
un’auto e finisce in coma. Dopo qualche mese, Thelma scopre nella
stanza del figlio un diario, dentro al quale il bambino aveva
scritto le dieci cose da fare prima della fine del mondo. Credendo
che quella sia la strada per salvarlo, Thelma decide di realizzare
tutti i desideri scritti da Louis, iniziando così a viaggiare per
il mondo. Dal Giappone al Portogallo, passando per Edimburgo, la
donna affronterà un percorso di rinascita ed accettazione, che la
porterà anche ad affrontare un passato che, volutamente, ha voluto
dimenticare.
Un simbolismo preponderante
Il cinema di Luisa Azuelos è fatto
di sguardi femminili. Di storie di donne alla
ricerca della felicità e del loro posto nel mondo, alle prese con
amori tormentati o difficili, il cui compito è dare loro una spinta
che possa farle ricongiungere con se stesse. Sposando quasi
completamente il punto di vista delle sue protagoniste, a volte
rendendolo autobiografico come accade per l’appunto in I love
America, la regista traccia racconti di vita comuni ma dal
sapore magico, dentro ai quali è possibile riflettersi e
ritrovarsi. In La stanza delle
meraviglie, Azuelos cerca di dare più spazio
alla componente onirica e simbolica – la presenza costante
del lupo come rappresentazione della determinazione vuole elevare
il livello drammaturgico – per portare avanti il processo di
consapevolezza e crescita di Thelma.
Decidendo di puntare l’occhio della
cinepresa solo sulla sua Alexandra Lamy, per enfatizzare quanto può
l’intensità emotiva di ogni scena (nonostante non ci riesca
sempre), la regista vuole mettere in scena il percorso di una donna
che, nella disgrazia di avere un figlio in coma, riscopre il gusto
della vita e rinasce. L’incidente di Louis, infatti, è solo un
pretesto che mette in moto il viaggio itinerante di
Thelma, vero carburante del film, grazie al quale la
protagonista riesce a trovare un punto di contatto con se stessa.
Il diario da cui parte la narrazione in fondo non è che Mcguffin,
il quale aiuta la donna ad esplorare culture e scorci di mondo
paradisiaci, che serviranno per darle la forza di affrontare le
proprie paure, fare pace con se stessa e incoraggiarla a
ricongiungersi con un passato volutamente dimenticato. Oltre ad
offrire delle fotografie da cartolina di paesaggi naturalistici
suggestivi, come le isole della Scozia o il mare della Costa
Azzurra.
Un film che funziona a metà
Per quanto il racconto così
impostato possa funzionare, Azuelos si smarrisce nel suo stesso
discorso. Nel tentativo di trattare il processo di rifioritura di
una donna, come accade spesso nelle sue opere, la regista perde
l’occasione di investigare, come sembrava voler fare all’inizio,
sulla psicologia di una madre che affronta la possibile perdita del
figlio lanciandosi – per lui – in un’avventura indimenticabile e
sorprendente. La causa va ricercata innanzitutto in una certa
frettolosità nella messa in esposizione: ogni tappa che Thelma
raggiunge e spunta sul dario scorre in maniera troppo frenetica,
non dando modo allo spettatore di assorbirla emotivamente al cento
per cento.
In secondo luogo, c‘è una
evidente carenza di dettagli nella sceneggiatura, la quale
non approfondisce il personaggio di Lamy, dando alla donna solo una
superficiale caratterizzazione. In La stanza delle
meraviglie manca perciò quel tassello necessario per
rendere veramente significativa la storia, l’esplorare per
l’appunto meglio la figura materna di Thelma, che avrebbe dovuto
procedere in parallelo alla sua storia di riscatto. Che, in questo
caso, sarebbe servito per rendere il film ancora più impattante,
mettendo in luce al contempo un coraggio, da parte della regista,
di lavorare su altri costrutti narrativi, valorizzando l’intera
opera e mostrando – di conseguenza – una bravura che invece, con
questa scelta, rimane assopita.
L’ultimo appuntamento con
Todd Haynes su grande schermo, esattamente due
anni fa al Festival di Cannes, ci aveva riportato
negli Stati Uniti negli anni ’50. Un’epoca tanto patinata quanto
piena di preconcetti, un’atmosfera in cui due donne scoprivano il
loro amore reciproco e carnale facendo scandalo e anticipando di
molto i tempi. Oggi il regista di Carol fa un passo indietro e
mette da parte quel cinema adulto, passionale, in favore di un
racconto per ragazzi dall’alto valore sociale. Un avventuroso
viaggio alla ricerca della “stanza delle meraviglie”, una
La stanza delle meraviglie per l’appunto, in
compagnia di Ben e Rose, due ragazzini cresciuti in epoche diverse
che condividono una particolare condizione: l’essere sordi. Il
primo è un bimbo degli anni ’70, la seconda una ragazza di fine
anni ’20, le cui storie hanno certamente un filo rosso da spartire
– ma lasciamo che sia lo stesso Todd Haynes a farvi scoprire
come.
Al di là delle due storie montate in
modo alternato, a colori e in bianco e nero, e raccontate come una
favola della buonanotte prima di dormire, il regista lavora con
minuzia con le scenografie e con il sonoro, per metterci quanto più
nei panni dei due ragazzi. Le vicende di Rose diventano un vero e
proprio film muto, il viaggio di Ben invece risuona come un disco
Rhythm and blues, mescolando tutto si ottiene un’esperienza
sensoriale da provare nel buio della sala. La stanza delle
meraviglie gode infatti di una sensibilità fuori dal
comune, è capace di far provare al suo pubblico ciò che i suoi
giovani protagonisti provano, senza voci e suoni d’ambiente.
Proprio per questo motivo il valore sociale del film è
inestimabile, spiega in modo aggraziato la sordità a chi non sa
minimamente cosa si prova, inoltre lo fa con un comparto tecnico
impeccabile.
Chi conosce Todd
Haynes del resto sa bene con quale eleganza sia solito
confezionare i suoi lavori, all’interno dei quali ogni inquadratura
si trasforma in diamante – anche grazie al talento di
Edward Lachman, storico direttore della fotografia
dello stesso Haynes. Formalmente La stanza delle
meraviglie è forte di un linguaggio semplice,
lineare, che va sempre al sodo delle questioni, probabilmente anche
per colpire un target giovanissimo. Forse questo è l’unico vero
problema dell’opera, che nella sua seconda ora diventa
eccessivamente didascalica e si affida alla voce off (e alle parole
scritte) per snocciolare i nodi della storia. Questo però rende
accessibile il film a tutti, una favola della buonanotte – come
dicevamo sopra – da raccontare ai più piccoli prima di andare
a letto, utile a insegnare i valori dell’uguaglianza e del
rispetto, ad accettare la diversità e a comprenderla fino in fondo.
Una piccola stanza della meraviglie all’interno della quale sono
raccolte le bellezze della nostra umanità interiore, il nostro
smisurato amore, l’affetto dell’amicizia profonda – da attraversare
in punta di piedi.
In merito al film il regista ha
dichiarato: “The Room Next Door è il mio primo lungometraggio in
inglese. La mia insicurezza è scomparsa dopo la prima lettura a
tavolino con le attrici, alle prime indicazioni di regia. La lingua
non sarebbe stata un problema, e non perché io padroneggi
l’inglese, ma perché tutto il cast era pronto a venirmi incontro
per capirmi e farsi capire. I miei film sono pieni di dialoghi. Tra
tutti gli elementi narrativi (tutti importanti e in cui sono
coinvolto al 100%), sono gli attori a raccontare davvero la storia.
In The Room Next Door
Tilda Swinton e
Julianne Moore sostengono da sole tutto il peso del
film e sono incredibili. Sono stato fortunato perché entrambe hanno
dato vita a un vero e proprio recital. A volte, durante le riprese,
sia io che la troupe eravamo sull’orlo delle lacrime. È stato un
lavoro molto commovente e benedetto, in un certo senso.”ù
La Stanza
Accanto (The room next door) segue la storia di
una madre imperfetta e di una figlia rancorosa, separate da un
grave malinteso. Tra di loro, un’altra donna, Ingrid (Julianne
Moore), amica della madre, è la custode del loro dolore e della
loro amarezza. Martha, la madre (interpretata da Tilda Swinton), è
una reporter di guerra e Ingrid è una romanziera autobiografica. Il
film affronta la crudeltà infinita della guerra, i modi molto
diversi in cui le due autrici femminili si avvicinano e scrivono
della realtà, della morte, dell’amicizia e del piacere sessuale
come i migliori alleati nella lotta contro l’orrore. Ma evoca anche
i dolci risvegli con il cinguettio degli uccelli, in una casa
costruita nel mezzo di una riserva naturale nel New England, dove
le due amiche vivono in una estrema e stranamente amabile
situazione.
Quando il 23 luglio Alberto Barbera
ha presentato il programma della 81esima edizione della
Mostra
del Cinema di Venezia, La stanza
accanto (The Room Next Door), il nuovo film di
Pedro Almodóvar che concorre per il Leone
d’oro, ha immediatamente suscitato grandi aspettative e un’enorme
curiosità. Il motivo principale? È la prima opera del
regista spagnolo realizzata interamente in lingua inglese.
Almodóvar si è avventurato nel cuore di Hollywood, ma con
ammirevole coerenza ha mantenuto intatti gli stilemi che
caratterizzano la sua filmografia.
Quindi, alla domanda se La
stanza accanto (The Room Next Door) deluda
le attese, la risposta è no. Almodóvar ci conquista ancora una
volta, non solo per il suo talento e l’attenzione costante alle
figure femminili, ma anche per la fedeltà alla sua cifra
stilistica, consegnandoci uno dei prodotti più affascinanti di
questa edizione del Festival. A impreziosire la scena, troviamo due
stelle eteree del cinema hollywoodiano: Tilda Swinton e Julianne Moore. Sceneggiata dallo stesso
regista, la pellicola sarà distribuita da Warner Bros.
La trama di La stanza accanto (The Room
Next Door)
New York. Martha è una reporter di
guerra che vive un rapporto conflittuale con la figlia Michelle. La
ragione è il padre di quest’ultima il quale dopo essersi trasferito
a San Diego quando la madre era ancora incinta, non si è più
interessato a loro. Ingrid, invece, è autrice di romanzi
semi-biografici, nei quali racconta spesso la sua paura delle
morte. Ed è proprio questa che bussa alla sua porta quando scopre
che Martha, sua cara amica, è ricoverata in ospedale per via di un
tumore. Per la donna non ci sono speranze di vita e, dopo aver
riflettuto, fa una richiesta particolare a Ingrid: nel Dark Web ha
acquistato una pillola che la aiuterà a morire, ma vuole farlo in
un contesto che non le è familiare e soprattutto con qualcuno che
le stia nella stanza accanto. Dopo diverse titubanze, Ingrid decide
di accettare e si trasferisce con lei in una casa di campagna a due
ore dalla Grande Mela. Ma il pensiero di sapere che l’amica le
morirà vicino è qualcosa di assolutamente atroce e spaventoso.
Fra dramma e ironia
Nonostante l’essere andato
oltreoceano, con La stanza accanto (The Room
Next Door) Almodóvar rimane ancorato alla sua
estetica e al suo inconfondibile stile narrativo,
confermandosi un autore maturo e consapevole. Nessun compromesso
per un regista che ha una visione chiara del cinema che intende
fare, mantenendo quei tratti distintivi che lo rendono
immediatamente riconoscibile anche in un diverso contesto
produttivo. Al centro della storia ci sono due donne,
apparentemente molto diverse ma profondamente simili, unite da
un’amicizia sincera e disposte ad affrontare insieme persino la
morte, che è uno dei temi portanti del film. Sono i sorrisi di
Martha e Ingrid, le loro lacrime, le speranze e i turbamenti, a
bucare lo schermo e a catturare l’attenzione dello spettatore sin
dalla prima scena. La macchina da presa aderisce alle protagoniste
con intimità, restituendoci due figure fragili ma determinate, che
trovano nel loro legame la forza per far fronte al momento più
doloroso della vita: il calare definitivo del sipario.
I dialoghi, ricchi di
sentimenti ed emozioni, compongono una narrazione che, pur partendo
da un contesto drammatico, non scivola mai nel melodramma.
Il regista infatti inserisce con intelligenza sprazzi di ironia che
stemperano la tensione, mantenendo un equilibrio perfetto,
affrontando così il tema delicato dell’eutanasia ma senza mai
cadere nell’enfasi o nella tragedia. Almodóvar trova dunque il
giusto linguaggio per trattare la morte e la scelta di morire,
senza appesantire il tono o risultare ridondante. Il risultato? Una
leggerezza che non è mai superficiale, ma che, al contrario, sa
cogliere la profondità delle emozioni senza rinunciare a un tocco
di umanità.
Swinton e Moore: che coppia!
Tilda Swinton e
Julianne Mooreoffrono due interpretazioni
straordinarie, calibrate e intense, senza mai scadere nel
teatrale o nell’eccessivo. La Swinton, in particolare, riesce a
catturare tutte le sfumature del suo personaggio, spesso senza
nemmeno bisogno di pronunciare una battuta. Basta uno sguardo,
un’espressione, per rimanere affascinati dalla sua performance.
Ecco perché ci viene da dire questo: insieme Swinton e Moore
formano una delle coppie più memorabili viste recentemente sul
grande schermo, dando vita a personaggi che rimarranno impressi nel
cuore del pubblico.
In merito al film ha commentato:
“The Room Next Door è il mio primo lungometraggio in
inglese. La mia insicurezza è scomparsa dopo la prima lettura a
tavolino con le attrici, alle prime indicazioni di regia. La lingua
non sarebbe stata un problema, e non perché io padroneggi
l’inglese, ma perché tutto il cast era pronto a venirmi incontro
per capirmi e farsi capire. I miei film sono pieni di dialoghi. Tra
tutti gli elementi narrativi (tutti importanti e in cui sono
coinvolto al 100%), sono gli attori a raccontare davvero la storia.
In The Room Next Door
Tilda Swinton e
Julianne Moore sostengono da sole tutto il peso del
film e sono incredibili. Sono stato fortunato perché entrambe hanno
dato vita a un vero e proprio recital. A volte, durante le riprese,
sia io che la troupe eravamo sull’orlo delle lacrime. È stato un
lavoro molto commovente e benedetto, in un certo senso.”
La trama di La Stanza Accanto (The room next door)
Nel film Ingrid e Martha erano care
amiche da giovani, quando lavoravano per la stessa rivista. Ingrid
è poi diventata una scrittrice di romanzi semiautobiografici mentre
Martha è una reporter di guerra e, come spesso accade nella vita,
si sono perse di vista. Non si sentono ormai da anni quando si
rivedono in una circostanza estrema ma stranamente dolce.
L’attore Deric Augustine, che
interpreta Miles Penn nella serie poliziesca della ABC The
Rookie, ha pubblicato un’immagine dal dietro le quinte che
conferma che la
stagione 8 è ufficialmente in produzione. Augustine è entrato a
far parte del cast di The Rookie nella
stagione 7, quando il suo personaggio Miles è stato addestrato
dal personaggio fisso della serie Tim Bradford. Nonostante Miles
abbia avuto un inizio difficile sia con Tim che con la sua
fidanzata Lucy Chen, alla fine riesce a guadagnarsi il rispetto di
entrambi. Con il rinnovo della stagione 8 di The Rookie,
Miles è pronto a tornare, e Augustine ha rivelato che la stagione è
ora in produzione.
Sul suo account X, Augustine
ha pubblicato un’immagine senza didascalia che mostra la
sceneggiatura della stagione 8, episodio 1, di The Rookie,
completa di un pennarello evidenziatore, indicando che la stagione
è ora ufficialmente entrata in produzione. Il titolo dell’episodio
deve ancora essere confermato e sulla pagina del copione è indicato
come “TBD”, mentre l’immagine si interrompe prima che venga
rivelato il nome dello sceneggiatore.
Cosa significa questo per la
stagione 8 di The Rookie
L’episodio finale della settima
stagione di The Rookie è andato in onda il 13 maggio e
l’ottava stagione è già entrata in pre-produzione, il che
suggerisce che lo showrunner Alexi Hawley abbia un piano molto
preciso su dove vuole portare la stagione. Con oltre 100 episodi
andati in onda, The Rookie è uno dei programmi più
importanti e di successo della televisione, ma potrebbe essere
necessario un periodo di evoluzione o di reinvenzione per mantenere
l’interesse e il coinvolgimento del pubblico. Il fatto che la
sceneggiatura della premiere stia già circolando tra il cast
suggerisce che diverse sceneggiature siano già state scritte e che
le riprese della nuova stagione potrebbero iniziare molto
presto.
Le serie televisive hanno spesso
calendari di riprese molto intensi e, dato che le stagioni
terminano solitamente a maggio e quelle nuove iniziano a settembre,
c’è un periodo di pochi mesi per girare più episodi. Secondo
Deadline, l’ottava stagione di The Rookie
dovrebbe avere 18 episodi e, di conseguenza, le riprese inizieranno
probabilmente a breve, con il primo episodio già confermato come
già scritto.