Prime
Video ha svelato oggi il trailer de Il secondo
miglior ospedale della galassia, la serie di
animazione sci-fi Original in arrivo in esclusiva dal 23 febbraio.
Prodotta da Amazon MGM Studios, Il secondo miglior ospedale
della galassia riflette con attenzione su tematiche poco
approfondite come la salute mentale, la transidentità, le non
monogamie etiche e le problematiche che si celano dietro le
infezioni sessualmente trasmissibili.
Grande attenzione anche al cast:
nella versione italiana della serie la voce dell’ambiziosa e
amorevole Klak è quella di Marta Filippi; quella
dellǝ chirurgǝ di successo Azel è di VladimirLuxuria; ed è invece Ariete
(Arianna Del Ghiaccio) che doppia lǝ insicurǝ
tirocinante Ovu.
Il secondo miglior ospedale della galassia – il trailer
Il secondo miglior ospedale
della galassia narra le vicende di personaggɜ trans* non
binary ed è per questo che per la prima volta in Italia, grazie
all’aiuto dellǝ consulente Isabella Borrelli, si è deciso di
utilizzare la schwa (ǝ nella forma singolare, ɜ nella forma
plurale) sia nella forma parlata che in quella scritta essendo la
soluzione più diffusa tra le persone trans* non binarie,
genderqueer e genderfluid per parlare del sé. Per massimizzare
l’esperienza del pubblico e permettergli di familiarizzare meglio
con questa formula, sono stati aggiunti dei sottotitoli
“rafforzativi” in corrispondenza delle battute di dialogo che
contengono le schwa.
Ambientato nell’anno 14002,
Il secondo miglior ospedale della
galassia racconta le vicende di Sleech e Klak –
aliene, migliori amiche e chirurghe di fama intergalattica – mentre
affrontano nello spazio la loro guerra contro i parassiti che si
nutrono di ansia, loop temporali illegali e malattie sessualmente
trasmissibili. Sleech e Klak decidono di affrontare questo caso
straordinario mettendo a rischio la loro carriera e la loro stessa
esistenza… anche se, considerando la loro triste vita personale,
l’oblio potrebbe essere la soluzione migliore. La serie in 8
episodi debutterà su Prime Video dal 23 febbraio.
Dopo solo alcuni mesi dalla seconda
stagione, arriva su Netflix il terzo, e sembrerebbe
ultimo, capitolo della serie turca Il
Sarto. La storia ha avuto il suo debutto il 2 maggio
scorso con i suoi
primi sette episodi, per poi continuare il 28 luglio con una
seconda stagione. Il sarto 3 è invece formato da altri 8
episodi, la cui lunghezza è di circa 40 minuti l’uno. Il cast,
diretto dal regista Cem Karcı, è formato da figure
note prevalentemente nel panorama cinematografico nazionale.
Çağatay
Ulusoy interpreta il protagonista Peyami Dokumaci,
mentre Şifanur Gül è nel ruolo di Esvet e
Salih Bademci è nei panni di Dimitri.
La trama di Il sarto: un
amore proibito
Le vicende di tutta la serie
Il sarto ruotano attorno alle tre figure
di Peyami, stilista e sarto di alta moda,
Dimitri, ricco giovane la cui famiglia detiene la
società per cui Peyami lavora, ed Esvet (nota
nella prima stagione sotto il falso nome di Firuse), moglie di
Dimitri ma innamorata di Peyami. Mentre la seconda stagione è più
incentrata sul giovane sarto e della sua rinascita dopo un periodo
di lutti e dolore, insieme all’entrata in scena di alcune figure
chiave come Kiraz, la terza stagione si concentra
maggiormente sull’amore impossibile tra Esvet e Peyami. Per quanto
la giovane provi a respingere il suo innamorato a favore del
marito, i sentimenti non accennano a svanire.
La terza stagione si apre con il
ritorno di Peyami da un lungo viaggio di lavoro presso i grandi
atelier del suo brand nel mondo. Tornato a Istanbul, scopre che
Dimitri ed Esvet partiranno a giorni per New York per stabilirsi li
per sempre. Mustafa e Kiraz riusciranno a
trattenere con una scusa la coppia qualche giorno in più, dando a
Peyami la possibilità di dimostrare un’ultima volta il suo amore ad
Esvet ed a convincerla a scegliere lui, contrastando l’ira di
Dimitri.
Fin dal primo episodio della nuova
stagione de Il sarto, la storia d’amore
impossibile tra Esvet e Peyami viene presentata come una fiaba. Lo
stilista, infatti, di ritorno dal suo lungo viaggio, porta con sé
un dono che gli è stato fatto: si tratta di un imponente orologio a
pendolo. La leggenda narra che questo appartenesse ad una duchessa,
innamorata di un uomo ma promessa in sposa ad un altro e che il
pendolo avrebbe continuato ad oscillare fin quanto il loro amore
impossibile sarebbe stato vivo.
Il paragone con Esvet e Peyami è
ovvio ed infatti l’orologio viene mostrato anche a seguire in
momenti importanti per il loro rapporto: nel momento in cui i due
si rivedono, quando Esvet sta partendo con Dimitri per l’America.
Il parallelismo con altre storie viene mantenuto anche nel volgersi
verso la fine delle vicende, nel settimo episodio: il paragone in
questo caso viene fatto con il tradimento di Giuda a Gesù.
Dimitri: un moderno antieroe
Dimitri è una figura focale ne
Il sarto: presentato come un uomo violento,
eccentrico e possessivo, con il susseguirsi degli episodi risulterà
essere molto di più. Si scoprirà, infatti, quanto molta della
cattiveria di Dimitri dipenda dall’opprimente rapporto con il padre
Ari. Quest’ultimo tratta da sempre il proprio figlio in maniera
troppo dura, ottenendo in risposta solamente disprezzo e ribellione
da parte di Dimitri fin dall’infanzia.
Da adulto però, egli è fortemente
influenzato dal comportamento paterno, tanto da interiorizzare
parte di quell’odio e sprigionarlo in possessività e violenza
domestica contro Esvet all’inizio. In questa terza stagione vediamo
all’inizio un Dimitri più tranquillo, che cerca di ottenere amore
dalla propria moglie; questo stato d’animo si modifica con
l’insinuarsi nuovamente di dubbi su una relazione tra Esvet e
Peyami, insinuatigli proprio dal padre.
Se in questa stagione, soprattutto
negli ultimi episodi, si può notare una crescita di Dimitri, lo
stesso non si può dire di Peyami ed Esvet. Questi, infatti, hanno
dimostrato un certo carattere rispettivamente nella seconda e prima
stagione: Peyami ha il coraggio di scrollarsi ogni dolore e
ripartire, mentre all’inizio della serie Esvet dimostra grande
coraggio nel prendere la propria vita in mano e cercare di fuggire
da Dimitri prima del matrimonio.
In questa terza stagione invece
Peyami non riesce neanche a trovare il coraggio di affrontare il
suo più caro amico rivelandogli i sentimenti ricambiati che provava
per la moglie: cosa che comunque aveva già confessato nella
precedente stagione. Esvet, dopo essersi rassegnata al matrimonio
con Dimitri, sembra essersi abbandonata agli avvenimenti, ed
aspetta soltanto di essere salvata da Peyami, a riprova del forte
sentimento d’amore che caratterizza tutta la nuova stagione.
In un fondersi di suspense ed
intrighi, Il sarto ( titolo originale Terzi) è la
nuova serie tv turca distribuita da Netflix. Creata da Rana Mamatlıoğlu
e Bekir Baran Sıtkı e prodotta da Onur
Guvenatam e dalla OGM Pictures, Il sarto è formata
al momento da una sola stagione di sette episodi, da circa trenta
minuti l’uno. Nel cast ritroviamo figure più note nel panorama
cinematografico nazionale: Cagatay
Ulusoy (The
protector) interpreta il protagonista Peyami Dokumaci, mentre
l’attrice turca Şifanur Gül qui è nel ruolo di
Esvet/Firuse. Salih Bademci è nei panni di
Dimitri, amico di vecchia data di Peyami e promesso sposo di
Esvet.
Il sarto: un intrigo di
menzogne
Peyami Dokumaci è uno stilista di
alta moda, proveniente da una ricca famiglia dell’alta società
turca. Il suo genio artistico lo porta a creare abiti bellissimi,
tra cui un semplice e delicato abito da sposa. Questo è stato
creato da Peyami appositamente per la futura sposa del suo unico
amico Dimitri, Esvet; per via di un’antica tradizione turca, nessun
uomo dovrebbe vedere una donna con l’abito da sposa indosso prima
del matrimonio, quindi il sarto non ha mai visto la sposa e, grazie
al suo talento, è riuscito a prendere le misure bendato.
L’attesa del matrimonio non è, però,
un periodo felice per Esvet: essendo Dimitri un uomo violento e
possessivo, lei sa che legarsi a lui in matrimonio significa
sopportare i soprusi e le aggressioni che già vive per tutta la
vita. Contro il volere dei genitori, favorevoli all’unione per
motivi economici, la ragazza scappa: cambia nome e si presenta a
casa di Peyami, proponendosi come nuova badante per il padre
disabile e con ritardi del sarto. Quest’ultimo, non avendola mai
realmente vista, non la riconosce.
Mentre Dimitri, folle di ira,
cercherà in goni modo di ritrovare la sua futura sposa, gli
intrighi che si nascondono dietro il matrimonio dei due verranno
allo scoperto e non mancheranno gli scontri.
Un intreccio interessante ma
prevedibile
Il sarto risulta
essere una serie alquanto breve, e quindi abbastanza scorrevole da
seguire. Tutta la trama è sviluppata attorno a diversi colpi di
scena che chiudono i vari episodi, rendendola mai noiosa per lo
spettatore. Ad ogni modo alcuni di questi risvolti nell’avanzare
delle vicende possono risultare un po’ prevedibili o già visti, ma
non per questo meno interessanti.
Un personaggio interessante attorno
a cui ruotano parte delle vicende è Mustafa, il padre di Peyami. Si
vede in alcuni flashback come il sarto di vergognasse del padre fin
da bambino, tanto poi da nasconderlo, dicendo a tutti, anche
all’amico d’infanzia Dimitri, che suo padre era morto. Mustafa
viene respinto dal proprio figlio e dalla propria madre e trattato
come fosse un pazzo. In realtà, Mustafa non è altro che un
uomo con la testa di un bambino, di conseguenza è puro ed innocente
in quello che fa, e non dovrebbe essere tenuto in catene. La stessa
Esvet si affeziona a lui, difendendolo dall’ira di Peyami e dal
freddo disinteresse della madre.
Il sarto presenta
degli intrighi complessi che riguardano specialmente i motivi reali
che si nascondono dietro al matrimonio tra Esvet e Dimitri,
formalmente cugini. Senza fare alcuno spoiler sulle vicende, ci si
limita a dire che questi sotterfugi e segreti del passato che
vedono come protagonisti i genitori di Dimitri non vengono
presentati allo spettatore in maniera troppo chiara e distesa.
Peyami e Dimitri: eroe ed
antieroe
Il sarto si
struttura anche attorno alla contrapposizione tra Peyami e Dimitri.
Mentre il sarto è figurato come una figura buona, con un passato
triste e difficile, Dimitri è dipinto come un vero e proprio
villain. Quest’ultimo ha infatti fin da piccolo un rapporto
contrastante con il padre, il quale lo cresce con la visione
tossica dell’uomo che deve essere forte e virile. Dimitri diviene
quindi un uomo forte, ma violento: vive la sua relazione
con Esvet in maniera aggressiva, cercando di
controllarla e dominarla. Ciò che prova per la sua promessa sposa
non è amore, ma semplice possessività. Dimitri cerca continuamente
di ribellarsi contro il padre e di sminuire ed attaccare i genitori
di Esvet, specialmente il padre della sposa Faruk.
Tra Dimitri, villain perfetto, e
Peyami, uomo buono e guidato da più solidi principi, non può che
instaurarsi un conflitto, che culminerà in un faccia a faccia
finale.
Nell’ultimo periodo, le serie tv
provenienti dalla Turchia hanno raggiunto un incredibile successo.
Prima erano i palinstesti Mediaset a ospitarle nei pomeriggi
d’estate o nelle serate d’autunno, ma adesso anche Netflix
e Disney+ stanno allargando la loro offerta
proponendo show di questo stampo. Fra gli ultimi prodotti vi è
Il Sarto,
dramma turco della piattaforma con la N rossa arrivato già alla
sua seconda stagione. La narrazione de Il Sarto
2 riprende tutti gli eventi lasciati in sospeso
nell’ultima puntata della prima statione, conclusasi con un
interessante cliffhanger, e torna seguire le storie di Peyami
(Cagatay Ulusoy), Esvet (Sifanur
Gul) e Dimitri (Salih Bademci). Ciò che
gli spettatori desideravano sapere in questo nuovo ciclo di episodi
riguardava la discendenza del protagonista, oltre a capire in che
direzione sarebbe andato il triangolo amoroso. Cerchiamo dunque di
comprendere cosa è successo con la spiegazione del finale.
Perché Kiraz ha lasciato
Peyami?
Nel finale de Il Sarto
2, Peyami inizia a riprendere il controllo di sé e
della sua situazione critica. Merito è in particolare di Kiraz, che
riesce a motivarlo trovando il tessuto appartenente a suo nonno,
incoraggiandolo così dedicarsi al suo mestiere di sarto al quale è
sempre stato legato. Ma il benessere di Peyami è destinato a durare
poco: ciò che minaccia il suo equilibrio è Esvet, la quale rivela
che Kamru è davvero sua madre (questa è stata una delle storie
cardine della prima stagione). Osman decide così di organizzare un
incontro improvviso tra Peyami e Kiraz (vero nome di sua madre)
affinché possano parlarsi e risolvere i loro problemi. All’inizio
però Peyami si infuria con lei per averlo abbandonato, ma Osman
riesce a convincerlo ad ascoltare la versione di Kiraz.
Quest’ultima ammette di essere stata codarda con lui e,
sorprendentemente, rivela che il suo amore nei confronti di Mustafa
era vero e sincero. Kiraz a quel punto racconta anche che all’epoca
era stata venduta alla sua famiglia per essere la badante di
Mustafa, venendo in seguito costretta a sposarlo. La nonna di
Peyami, Sülün, voleva che Kiraz avesse un figlio da Mustafa, ma non
essendo andata a buon fine la cosa venne cacciata di casa. Solo
dopo, Kiraz aveva scoperto di essere incinta. Peyami così
riesce finalmente a sapere la verità sulla sua
discendenza e risolve il suo problema dell’essere stato
abbandonato.
I genitori di Peyami si
riuniscono?
Ne Il Sarto
2 assistiamo a due momenti cruciali
nella vita di Peyami, entrambi causa del suo
malessere. Il primo è la separazione da Esvet, il
secondo è la morte della nonna. Ciò che può
risollevarlo da quello stato di degrado è risanare le vecchie
ferite. Di conseguenza, la seconda stagione pone lentamente le basi
per una riconciliazione di Peyami con il suo passato: nel finale,
Peyami decide di organizzare una sfilata di moda per annunciare il
suo ritorno, per dimostrare che i suoi detrattori si sbagliano.
Tuttavia, il vero motivo della sfilata è esprimere la sua
gratitudine al padre e riappacificarsi con lui. Il sarto riconosce
poi che le sue mancanze e i maltrattamenti subiti da Mustafa hanno
influito sul loro rapporto e sulla sua vita, e che fra le ragioni
dei suoi problemi emotivi vi era la sua incapacità di accettare la
condizione del padre, che si legava a doppio giro con l’abbandono
della madre. Nelle battute finali, Peyami porta Mustafa sul
palcoscenico, mostrando in quel modo a tutti chi è suo padre.
Quello è in fondo un momento simbolico, in cui Peyami dichiara
indirettamente di non vergognarsi più del genitore. Non solo:
riunisce anche Mustafa con Kiraz, completando la
riunione di famiglia. A differenza della prima stagione, la seconda
si conclude con una nota ottimistica e luminosa per Peyami, che
vede finalmente risolto il mistero della sua discendenza.
E Peyami, Esvet e Dimitri?
Il triangolo
amoroso tra Peyami, Esvet e Dimitri rimane la
colonna portante de Il Sarto e continua anche
nella seconda stagione. Fra i tre, però, le cose diventano più
complicate del solito a causa del matrimonio di Esvet con Dimitri,
soprattutto perché la donna sa che Peyami la ama ma non ha il
coraggio di parlarne. Inoltre, Dimitri percepisce la tensione che
c’è fra i due, che deriva anche dall’essere consapevole delle loro
dinamiche sentimentali. Ma a rendere le cose ancora più complesse
di quanto già non siano è l’arrivo di Cemre, poiché si dimostra nel
corso degli eventi degna di essere la compagna di Peyami. In
definitiva, la seconda stagione si conclude senza risolvere
adeguatamente il triangolo amoroso, che costituisce metà del
conflitto della storia.
“Umami”, oltre a essere il
titolo originale del nuovo film diretto da Slony
Sow, è un termine giapponese usato per denominare il
quinto elemento del gusto: dolce, salato, aspro, amaro e, infine,
umami. Ed è proprio in Giappone, alla ricerca di questo insolito
elemento che ci porterà WANTED CINEMA con il film Il
sapore della felicità. Protagonista di questo viaggio
culinario è un grande chef stellato francese, interpretato da
Gérard Depardieu. Quando la sua salute e la sua
vita familiare iniziano a sgretolarsi, il noto chef di fama
mondiale decide di recarsi in Giappone alla ricerca dell’uomo che
40 anni prima lo aveva battuto in una gara di cucina. Il viaggio
culturale e culinario tra i sapori del Giappone, lo costringerà a
riflettere su se stesso e a fare un bilancio della sua vita.
Prodotto in Francia, diretto da
Slony Sow (Grenouille d’Hiver) e
interpretato da Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Sandrine
Bonnaire, Pierre Richard e Bastien
Bouillon (recentemente vincitore del César come miglior
esordiente per La Nuit du 12), dopo aver aperto il
Festival internazionale del film di Friburgo 2023, Il
sapore della felicità sarà disponibile da luglio in
anteprima nelle arene estive e dal 31 agosto nei
cinema italiani.
La trama del film Il sapore della felicità
Dopo aver sfiorato la morte, lo
chef migliore di Francia (Gérard Depardieu) si lancia alla ricerca
del sapore massimo che ha confuso la sua vita dal momento in cui fu
battuto, da giovane, da una scodella di noodles di un cuoco
giapponese. Ambientato tra Francia e Giappone, Il sapore
della felicità è una gustosa avventura culinaria!
Il sapore della felicità è il secondo
lungometraggio di Slony Sow – titolo originale,
Umami. Arriva dopo una serie di corti e la buona
accoglienza ricevuta nel 2015 dal precedente film,
Parisiennes. Di questo nuovo lavoro Sow cura la regia, la
sceneggiatura, il montaggio e la produzione. Sceglie poi di
affidarsi a una coppia di attori coi quali ha già lavorato.
Gérard Depardieu ed Eriko Takeda
erano infatti stati protagonisti nel 2011 del corto Genouille
d’Hiver. L’attrice ha interpretato anche
Parisiennes.
La trama de Il sapore della
felicità
Gabriel Carvin, Gérard
Depardieu, è un famosissimo chef francese, che ha appena
ricevuto la sua terza stella. Il riconoscimento dovrebbe renderlo
felicissimo, ma lui non riesce ad esserlo. Alle soglie della
pensione, sente che alla sua esistenza manca più di qualcosa.
Amante dei piaceri della vita e del suo lavoro, ha sempre dato il
massimo in cucina. La salute, il matrimonio e i rapporti familiari
ne hanno risentito. Sua moglie, Sandrine Bonnaire,
frequenta un altro uomo. Il suo rapporto coi figli è quasi
inesistente. Jean, Bastien Bouillon, lavora al
ristorante con il padre, ma i rapporti tra i due sono tesi. Il
figlio minore, Nino, Rod
Paradot, non ha ancora deciso cosa fare del suo
futuro. Quando Gabriel rischia la morte, decide di rimettere ordine
nella sua vita. Così, inizia a cercare l’origine del suo malessere.
Sembra trovarla in un concorso culinario in cui, tanti anni prima,
un cuoco giapponese gli soffiò il podio con una zuppa di noodles
dal gusto inconfondibile quanto misterioso. Alla ricerca di questo
sapore, Gabriel viaggia verso il Giappone. Lì lo attendono incontri
e scoperte umane e culinarie che lasceranno il segno.
Giappone – Francia, andata e
ritorno
Se Parisiennes raccontava
il viaggio dal Giappone alla Francia di una giovane scrittrice, si
può dire che Il sapore della felicità
rappresenti in un certo senso un ritorno dalla Francia verso il
Giappone. Mentre il tema della scoperta di sé è una costante di
entrambi i lavori. Sow si trova dunque particolarmente a suo agio
nel muoversi tra questi due mondi, apparentemente così diversi,
distanti non solo geograficamente. Eppure, sembra dire il regista,
l’umanità è tale a tutte le latitudini, e pertanto mostra
inaspettate affinità. Visivamente. il Giappone del film non è certo
quello inatteso e nascosto. Corrisponde piuttosto a un immaginario
occidentale. Umanamente, però, si cerca di fare un lavoro che vada
oltre i cliché e approfondisca il lato umano. Il che riesce al
regista. Occorre dunque riconoscere a Sow la capacità di creare un
efficace mix Francia – Giappone. Il montaggio da lui curato, li
alterna senza confondere lo spettatore. Altrettanto ben orchestrato
l’intreccio tra le vicende della famiglia francese e di quella
giapponese. Tutto si compone agilmente.
Umami
La metafora portante del film è
quella dell’umami. Gabriel cerca il segreto di questo cosiddetto
quinto gusto, presente nella cucina giapponese, che rende alcuni
piatti particolarmente appetitosi. Capendo in cosa consista
veramente e facendo un viaggio anche umano, il protagonista verrà
illuminato sulla propria vita e su quale sia l’ingrediente che le
manca per essere davvero soddisfacente. Senza dubbio eccentrica e
originale, la metafora inizialmente può sembrare poco calzante, ma
al contrario si rivela efficace.
Depardieu e il cast
Immaginare come protagonista di un
film uno chef stellato francese bisbetico non è forse di grande
originalità e può rientrare in uno stereotipo, ma quando lo si fa
interpretare a un attore come Gérard Depardieu,
nulla è scontato. Depardieu è perfetto per il ruolo di Gabriel, un
uomo che ha bisogno di ritrovare sé stesso dopo aver rischiato di
morire. Il protagonista si accorge di ciò che ha trascurato e di
quanto non ha realizzato. Al di fuori del lavoro, Gabriel non ha
soddisfazioni, a parte il cibo e l’alcol. È un uomo disfatto.
Depardieu lo interpreta con maestria, non senza un’intelligente
tocco autoironico. L’attore francese si esprime al meglio anche
solo con gli strani versi che spesso produce a commento di ciò che
gli accade. Il suo mugugnare è più espressivo di tante parole.
Bravi anche gli altri interpreti del cast: da Kyozo
Nagatsuka, il rivale giapponese di Gabriel, a sua nipote,
interpretata da Eriko Takeda, a Rod
Paradot, nei panni di Nino, fino a Pierre
Richard, il migliore amico di Gabriel. Da notare poi
alcune caratterizzazioni particolari, all’interno del cast
giapponese.
Non solo commedia culinaria
Il sapore della
felicità è una commedia di intrattenimento godibile,
con metafora culinaria la si potrebbe definire gustosa. Adatta,
certo, per chi ama i film ambientati nel mondo della ristorazione.
Tuttavia, affronta anche temi seri, come revenge porn e
depressione. Vi è una critica all’eccessivo peso che oggi si dà
alla rete e ai social nella vita quotidiana, al ruolo degli
influencer, che acquisiscono sempre più spazio ed importanza. Ha un
finale a sorpresa, che non piacerà a tutti e potrà lasciare con
l’amaro in bocca, soprattutto i più romantici. Distribuito da
Wanted Cinema, Il sapore della felicità arriverà
nelle sale italiane dal 31 agosto.
A partire dal 2012 l’attore
Bradley Cooper ha vissuto un periodo
particolarmente fortunato, che lo ha visto protagonista di film
come Il lato positivo, American Hustle e American Sniper. Un
altro film dove ha potuto sfoggiare tutto il suo talento è stato
Il sapore del successo (qui la recensione), incentrato
sul mondo degli chef stellati e della loro gustosa attività. Uscito
in sala nel 2015, il titolo in questione è stato diretto da
John Wells, reduce dal successo di I segreti di Osage
County, e scritto da StevenKnight, sceneggiatore di film come La promessa
dell’assassino e Locke. Ad arricchirlo
vi è poi un cast corale di grandi interpreti internazionali.
Inizialmente intitolato
Chef, il film venne poi rinominato per non generare
confusione con Chef – La ricetta
perfetta, realizzato in quello stesso periodo da
Jon Favreau. Girato prevalentemente a Londra,
Il sapore del successo si distingue però dagli altri film
sul mondo della cucina per il suo desiderio di mettere in scena
desideri e frustrazioni del personaggio protagonista, uno chef
celebre quanto una rockstar, inserito in un contesto dove la
competizione è sempre ai massimi livelli e non esistono momenti di
pausa. Per garantire la realisticità dell’ambiente, sono inoltre
stati assunti alcuni dei cuochi più celebri al mondo, i quali
attraverso la loro consulenza hanno garantito il corretto
svolgimento della vita in cucina.
Costato circa 20 milioni di dollari,
il film mancò di ottenere un particolare favore di critica e
pubblico, ma ciò non toglie al suo fascino. Il poter vedere tanti
attori noti riuniti in un’opera tanto ricca di passioni e tensione
non è un’occasione da lasciarsi sfuggire. Prima di intraprendere
una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire
alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo
qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori
dettagli relativi alla trama, al cast di
attori e alle frasi più belle. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il sapore del successo: la
trama del film
Protagonista del film è il celebre
chef Adam Jones, il quale vanta una gloriosa
carriera nell’arte culinaria, tanto da arrivare anche a vincere ben
due prestigiose stele Michelin. Da sempre a caccia dell’ambita
terza stella, Jones si trova però a perdere tutto ciò che ha
costruito con fatica a causa del suo abuso di droghe e del suo
carattere presuntuoso. Nel desiderio di disintossicarsi e
recuperare la propria fama, egli capirà di avere bisogno di una
squadra di cui potersi fidare e che si fidi di lui. Insieme a
questa cercherà di dar vita al miglior ristorante di sempre, ma il
passato è sempre in agguato, e ricadere nei propri vizi è quanto
mai facile.
Il sapore del successo: il
cast del film
Ad interpretare il personaggio di
Adam Jones, come accennato, vi è il pluricandidato all’Oscar
Bradley Cooper.
Questi, noto per la sua dedizione ai ruoli interpretati, si è
cimentato a lungo nell’addestramento tipico degli chef, venendo
affiancato da note personalità del settore. Imparò così tanto a
cucinare quanto a gestire al meglio i rituali da avere in cucina.
Il suo modello di riferimento, però, specialmente per il carattere
irascibile, è stato il noto Gordon Ramsay. Accanto
a lui, nei panni della chef Helene vi è invece l’attrice Sienna Miller.
Anche lei si sottopose, come tutto il cast, a lezioni intensive di
cucina, e gli chef chiamati a tenere queste hanno poi indicato lei
come la migliore tra tutti.
Daniel Brühl,
noto per i film Rush e Bastardi senza gloria,
veste qui i panni di Tony Belardi, vecchio amico di Jones. L’attore
francese Omar Sy è qui lo chef Michel, mentre
Henry Goodman è Conti. Nei panni di un altro dei
membri della squadra di Jones si ritrova anche Max, interpretato
dal noto attore italiano Riccardo
Scamarcio. Questi ha in seguito raccontato di aver
lavorato a stretto contatto con Cooper per dar vita a quel rapporto
di competizione e rispetto che vige tra i loro personaggi. Al di
fuori della cucina, la premio Oscar Emma Thompson è
la psichiatra Rosshilde, che visita Jones, mentre Alicia Vikander è Anne
Marie, ex fidanzata del protagonista. Uma Thurman,
invece, è la severa critica culinaria Simone.
Le frasi di Il sapore del successo, il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Il
sapore del successo grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV,Google Play, Apple TV, Prime Video, Netflix, Now e Rai Play. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
mercoledì 12 luglio alle ore
21:25 sul canale Rai 1.
Qui di seguito si riportano invece
alcune delle frasi più belle e significative pronunciate dai
personaggi del film. Attraverso queste si potrà certamente
comprendere meglio il tono del film, i suoi temi e le variegate
personalità dei protagonisti. Ecco dunque le frasi più belle del
film:
La cucina è l’unico posto in cui mi sia mai sembrato di
appartenere davvero. Adoro ogni minuto, il calore, la pressione, la
violenza. (Adam Jones)
Si è forti a cercare aiuto negli altri. Non deboli.
(Rosshilde)
Ha mai visto il film “I Sette Samurai”? Io i miei chef li
voglio così. (Adam Jones)
Lo sai, quando la notte non dormo e faccio la lista dei
miei rimpianti, tu sei uno di quelli. Mi dico sempre “Simone, tu
sei lesbica… perché sei andata a letto con Adam Jones?”.
(Simone)
Jean-Luc, il mio mentore, colui che mi ha dato una chance
come chef, diceva che ostriche e mele erano una creazione di Dio, e
che ricette come quelle non si possono migliorare. Ma il nostro
compito è provarci. (Adam Jones)
Adam Jones è un cuoco che ha
distrutto la sua carriera facendo uso di droghe e comportamenti
eccentrici. Decide di rimettersi in riga e tornare a Londra per
riscattarsi guidando un ristorante di alto livello in grado di
fargli guadagnare tre stelle Michelin.
Sceneggiato da Steven
Knight (Locke), Burnt annovera
nel cast anche Emma Thompson, Daniel
Brühl (Il quinto potere,
Rush), Jamie Dornan (50
Sfumature di Grigio), Alicia
Vikander (Ex Machian, The Danish
Girl), Uma
Thurman e Lily
James (Cenerentola).
Burnt va
consumato fresco come un aperitivo in ottima- e caotica- compagnia,
con la musica giusta in sottofondo, in una location suggestiva.
Questa percezione restituisce il film di JohnWells (già regista di I segreti di Osage County)
ri-titolato in italiano Adam Jones – Il Sapore del
Successo, banalizzando quella che in realtà non è una
così scontata commedia ambientata tra i fornelli di un ristorante;
mattatore sulla scena è Bradley Cooper nei panni dell’omonimo chef del
titolo, un uomo che è riuscito a costruirsi un vero e proprio
impero in cucina, un nome, una fama incrementata dal suo
allure da bello e dannato tutto “genio e sregolatezza”,
incline ai vizi facili dell’alcol, della droga e delle donne.
All’improvviso decide di lasciare
tutto di punto in bianco e di ricominciare da zero: scappa da
Parigi e comincia a pulire ostriche a New Orleans per tre anni
consecutivi (durante i quali cerca di rimettersi in piedi e di
rigare dritto) prima di fare di nuovo la sua comparsa a Londra,
cercando di riunire i vecchi amici e di scovare nuovi, zelanti,
collaboratori per realizzare un sogno: aprire un nuovo ristorante e
conquistare la famosa terza stella Michelin.
A primo impatto il film sembra
ricadere in una scontata banalità, coadiuvata da una trama lontana
da qualunque tipo di guizzo d’originalità e da personaggi che non
sono altro che ombre, macchiette bidimensionali che si muovono tra
le vie di Londra e gli innumerevoli cliché del genere. Ma, colpo di
scena: incredibilmente Il sapore del
successo riesce a superare i suoi stessi limiti e a
catturare l’attenzione dello spettatore fin dai primi minuti,
immergendolo- letteralmente- nel flusso dei pensieri fitti e
caotici dell’ambizioso chef, uomo in bilico tra i suoi numerosi
desideri, pronto ad abbandonare il passato per abbracciare ciò che
gli propone il futuro ma allo stesso tempo perseguitato da quegli
spettri, da quel peso che ne influenza le azioni presenti,
determinate dalle scelte compiute in altri tempi e in altri
luoghi.
Affiancato da un pirotecnico cast
di comprimari (anche loro, sempre in biblico tra personaggi e
macchiette, ma in grado orchestrarsi armonicamente), Cooper diventa
– letteralmente- il suo personaggio bidimensionale accollandosi il
peso del film e duettando con spalle funzionali e taglienti, da
Emma Thompson ad una convincente Sienna Miller fino ad un irresistibile
Daniel Brühl nei panni del ricco maitre
d’hotel Tony.
Pur non aggiungendo nulla di nuovo
al ricco filone delle dramedy ambientate in cucina (tutte
“quattro cuori e due fornelli”), questa pellicola convince per la
forza e la persuasione del suo ritmo, per l’incessante percorso che
segue fino alla fine senza perdere mai un colpo, senza annoiare lo
spettatore risucchiandolo in inutili gorghi narrativi: è una
graziosa gioia per gli occhi e per lo spirito, rinfrescante e
leggera come uno Spritz in piena Estate.
Scoprite il film drammatico
americano del 2015 Il sapore del successo
(Burnt).
Diretto da John Wells e scritto da Steven
Knight, il film vanta un cast stellare:
Bradley Cooper,
Sienna Miller, Omar Sy e altri ancora. Distribuito il
30 ottobre 2015 da The Weinstein Company. Esplora le complessità
della scena finale di Il sapore del
successo (Burnt) e scopri la trama
avvincente.
Finale di film Il
sapore del successo (Burnt):Trionfo
in mezzo al tradimento
In Il sapore del
successo (Burnt), lo chef Adam Jones, un
tempo una star culinaria parigina con due stelle Michelin, cade in
disgrazia a causa dell’abuso di sostanze stupefacenti, con
conseguente perdita di lavoro e animosità. Deciso a reclamare il
suo antico splendore, Adam si dirige a Londra, convincendo Tony, il
maître d’hotel di Parigi, e il combattuto Michel a unirsi alla sua
cucina in un nuovo hotel.
Nel corso della storia, il severo
stile di leadership di Adam prepara il terreno per un ritorno,
anticipando l’arrivo di potenziali recensori Michelin. Un momento
cruciale si presenta quando due uomini, apparentemente recensori,
cenano nel ristorante. Nonostante i precedenti insuccessi, Adam,
malconcio ma resistente, prende il comando della cucina.
Il colpo di scena avviene quando si
scopre che i presunti recensori non erano della Michelin. Il
tradimento di Michel, che sabota un piatto con il pepe, sembra
inizialmente catastrofico. Tuttavia, i veri recensori della
Michelin non sono ancora arrivati. Michel esce di scena e Adam si
adatta, adottando un approccio più compassionevole.
Nel momento culminante del film,
appaiono finalmente gli autentici recensori Michelin. Adam, che
ostenta sicurezza, permette alla sua cucina di mostrare la propria
bravura. Lo scambio di sguardi tra Adam e Tony indica il loro
successo: l’ambita terza stella Michelin è assicurata. Il film si
conclude con un “pranzo di famiglia” celebrativo, che simboleggia
il ritrovato stile di leadership di Adam e il trionfo della
squadra.
Culmine del trionfo
Nel momento culminante di
Il sapore del successo (Burnt),
il momento atteso arriva con l’arrivo dei recensori della Michelin.
Adam, che irradia sicurezza, si affida al suo abile staff di
cucina, mostrando la fiducia che si è creata grazie alle esperienze
condivise. Un significativo scambio di sguardi tra Adam e Tony
segnala il compimento della loro missione: l’ambita terza stella
Michelin. Il team festeggia con un “pasto di famiglia”, che
simboleggia l’adozione da parte di Adam di uno stile di leadership
collaborativo.
Redenzione culinaria:cosa succede nel film
Adam Jones, un tempo chef di spicco
a Parigi, perde la carriera e il ristorante a causa dell’uso di
droghe e del suo comportamento irascibile. Dopo un periodo a New
Orleans per superare la dipendenza, intraprende un viaggio a
Londra, con l’obiettivo di riconquistare il successo e assicurarsi
l’ambita terza stella Michelin. Convinto da Tony Balerdi del
Langham Hotel, Adam deve affrontare sfide, tra cui rivali e rancori
del passato. Trasformando la cucina e creando legami, il ristorante
guadagna consensi, portando alla conquista delle tre stelle
Michelin. Lungo il percorso, Adam affronta i suoi demoni,
costruisce relazioni e si riconcilia con gli errori del passato,
raggiungendo infine la redenzione attraverso l’umiltà e la
compassione.
C’è un nuovo Santone a Centocelle…
ed è donna! Torna con la seconda stagione la serie RaiPlay
OriginalIl Santone 2 –
#lepiùbellefrasidioscio, una produzione Stand By
Me in collaborazione con Rai Fiction. Otto episodi da 30
minuti ciascuno disponibili in boxset da venerdì 19 aprile 2024 in
esclusiva su RaiPlay.
La brillante serie comedy diretta
da Laura Muscardin e ispirata a Oscio, il celebre personaggio
creato da Federico Palmaroli e fenomeno social da 2 milioni di
follower, vede diventare protagonista assoluta delle nuove puntate
Carlotta Natoli nei panni di Teresa Baroni. Nel cast anche la new
entry Francesco Paolantoni, accanto ai volti amati della prima
stagione: Rossella Brescia, Beatrice De Mei, Chiara Bassermann,
Alessandro Bertoncini, Fabrizio Giannini, Davide Devenuto,
Alessandro Riceci, Guia Jelo, Daniela Terreri, Alessio Sakara,
Claudio Segaluscio.
La seconda stagione – scritta da
Federico Palmaroli, Valerio Vestoso, Alessandro Bosi, Mary
Stella Brugiati, Serena Tateo e Simona Ercolani – inizia a
un anno dalla scomparsa del Santone: ad assumere inaspettatamente
la “guida spirituale” di Centocelle e a indossare il mundu di Enzo
sarà sua moglie Teresa (Carlotta Natoli), rimasta
sola con la figlia Novella (Beatrice De Mei) che
vorrebbe lasciare il quartiere e trasferirsi all’EUR ed è ancora
legata sentimentalmente a Mirko (Claudio
Segaluscio).
Donna, madre e ora Santona, Teresa
dovrà lottare per affermarsi nel quartiere contro the Only Oscio
(Francesco Paolantoni), uno pseudo santone di origine napoletana
che si spaccia per la reincarnazione di Enzo e che intende
sfruttare Centocelle per pagare i suoi debiti con una boss della
malavita, l’ex fidanzata Nocciolina (Antonella Stefanucci),
abbandonata all’altare e ora assetata di vendetta. In poco tempo,
the Only Oscio riuscirà a irretire gli abitanti del quartiere,
portando dalla sua parte anche vecchi amici di Enzo, come Carlo
Crack (Alessandro Bertoncini), Stefano (Fabrizio Giannini) e Pietro
(Davide Devenuto). A complicare la situazione, il ritorno a
Centocelle della pugliese Cosima (Rossella Brescia), pronta a
rivestire i panni del suo alter ego Jacqueline, agguerrita agente
dello showbusiness, dopo un’infelice parentesi agreste nelle sue
terre natali. Nel frattempo, Igor (Alessio Sakara) ha lasciato il
mondo criminale ed è diventato agente immobiliare, mentre la sua
compagna Fabiola (Chiara Bassermann) è pronta ad aprire una nuova
attività, prima un centro estetico e poi il “gin yoga”.
La trama dell seconda stagione di
Il Santone 2 – #lepiùbellefrasidioscio
La nuova stagione, che vede anche
un cameo del cantante neomelodico Antoine, continua a raccontare in
modo satirico con ironia e leggerezza gioie e dolori della
periferia italiana e in generale della società contemporanea,
toccando temi come il lato oscuro della popolarità, la potenza
della viralità, il senso di appartenenza alla comunità, la
necessità di una guida, le speranze per il futuro, attraverso un
linguaggio che introduce un melting pot di comicità tutte italiane,
da quella romana della Santona Carlotta Natoli, a quella pugliese,
inaspettata, di Rossella Brescia, fino a quella napoletana di
Francesco Paolantoni.
Il Santone 2 –
#lepiùbellefrasidioscio è una produzione Stand By Me in
collaborazione con Rai Fiction. Scritta da Federico Palmaroli,
Valerio Vestoso, Alessandro Bosi, Mary Stella Brugiati, Serena
Tateo e Simona Ercolani. Da un’idea di Giorgia Cardaci. Prodotta da
Simona Ercolani e Teresa Carducci. Produttori esecutivi Stand By Me
Grazia Assenza, Riccardo Chiattelli e Tommaso Vecchio. Produttori
RAI Leonardo Ferrara, Emanuele Cotumaccio e Laura Massacra. Regia
di Laura Muscardin.
Paramount sta sviluppando un reboot
del film The Saint (in Italia conosciuto
come Il Santo), due decenni dopo il
thriller di Val Kilmer e 50 anni dopo la serie TV
di Roger Moore.
Lo studio si è assicurata un accordo
per i diritti della serie di libri e sta chiudendo accordi di
produzione con Lorenzo di Bonaventura,
Brad Krevoy e Robert Evans, con
l’obiettivo di avviare un franchising azione.
Il Santo
si basa sulla serie di libri di Leslie Charteris,
che seguono il disinvolto personaggio di Simon Templar la prima
volta nel 1928, col romanzo Meet the
Tiger, seguito da Enter the
Saint nel 1930.
Il film del 1997 fu interpretato da
Val Kilmer e Elisabeth Shue, ed è
stato diretto da Phillip Noyce, a partire da una
sceneggiatura di Jonathan Hensleigh e
Wesley Strick.
Il sale della terra è uno
di quei film che ha dato nuova linfa al genere documentario,
raccontando il punto di vista di uno dei fotografi più rinomati,
Sebastião Salgado.
Win Wenders, che
ha scoperto questo fotografo per caso, è rimasto immediatamente
affascinato dal suo talento, riuscendo, con questo film, a
raccontare la storia della sua vita e la comunicazione messa in
atto dal suo lavoro.
Ecco, allora, dieci cose da
sapere sul film documentario Il sale della terra.
Il sale della terra film
1. Il regista ha raccontato
il punto di vista del fotografo. Con Il sale della
terra, Wim Wenders ha voluto
raccontare come viene data vita ad una vocazione, portando alla
luce l’umanità e la curiosità del mondo in un trotto intorno al
mondo, come un dialogo riconoscente alla visione risoluta del
fotografo.
2. Il montaggio è stato
difficile. Sia Wim Wenders che Juliano
Salgado (co-regista) hanno descritto il processo di
montaggio come estremamente difficile e dispendioso in termini di
tempo. C’erano false partenze e vicoli ciechi e i due hanno
combattuto per mesi con quello che il regista tedesco chiamava
“problemi dell’ego” su quello che sarebbe stato utilizzato o meno,
prima di stabilire un metodo e di avere un risultato che li
soddisfacesse.
Il sale della terra streaming
3. Il documentario è
dispobile in streaming digitale. Chi volesse vedere o
rivedere questo
documentario di Wim Wenders, è possibile farlo grazie alla sua
presenza sulle piattaforme digitali legali come Rakuten Tv e
Chili.
Il sale della terra trailer
4. Un trailer per
emozionarsi. Se non è chiaro di cosa parli il film Il
sale della terra, è possibile visionare per prima cosa il
trailer, rendendosi conto che se già esso riesce ad emozionare, non
si può non guardare subito il documentario per intero.
Il sale della terra Salgado
5. Salgado ha spiegato la
foto del gorilla. Per quanto riguarda la fotografia che
ritrae un gorilla con si mette un dito in bocca, Sebastião
Salgado ha dichiarato nel film che l’animale riconosce la
propria immagine per la prima volta dopo aver visto il suo riflesso
nella lente. Tuttavia, diversi studi hanno smentito questo fatto,
dimostrando che i gorilla non riescono a riconoscere il proprio
riflesso.
6. Wim Wenders ha
conosciuto l’arte di Salgado per caso. Il regista tedesco,
verso la fine degli anni ’80, stava camminando lungo La Brea Avenue
a Los Angeles quando, con la coda dell’occhio scorse alcune
fotografie nella finestra di una galleria. Entrò incuriosito e
conobbe il nome dell’artista, un fotografo brasiliano, tale
Sebastião Salgado, uscendo dalla galleria, dopo qualche ora, con
delle stampe in mano.
7. Wenders ha incontrato
Salgado a Parigi, nel suo studio. Dopo molti anni dalla
scoperta, il regista tedesco ha incontrato il fotografo solo nel
2009. Dal loro incontro è nato il progetto Il sale della
terra, con Salgado che ha portato il regista a concepire e ad
imparare dagli angoli più remoti del mondo, realizzando il film con
il figlio del signor Salgado, Juliano Ribeiro.
Il sale della terra
significato
8. Il titolo del film ha un
riferimento biblico. Il sale della terra, film
del regista Wim Wenders, si riferisce ad un passaggio biblico,
specialmente a Matteo 5:13: “Sei il sale della
terra. Ma se il sale perde la sua salinità, come può essere reso di
nuovo salato? Non è più buono a nulla, tranne che ad essere buttato
fuori e calpestato”.
9. Il titolo si riferisce
ad un fotografo. Salgado è un termine portoghese
utilizzato per definire una cosa salata. Se si aggiunge il sale a
qualcosa, questo diventa salgado. Ciò può essere interpretato, in
maniera più ampia, come un contributo che il fotografo Sebastião
Salgado ha dato al pianeta Terra o, in maniera più letterale, come
il cambiamento che lui e la sua famiglia hanno apportato alla loro
terra, riportando la foresta pluviale nativa all’Istituto della
Terra (The Earth Insitute).
10. Il riferimento è alle
persone di grande valore. Al di là della connotazioni
religiose, Il sale della terra è una frase che rappresenta la
positività. Infatti, le persone che vengono così descritte sono
quello che vengono considerate di grande valore e di grande
affidabilità.
Sebastiao Salgado è
uno dei fotografi più importanti degli ultimi 40 anni. Wim
Wenders, che 25 anni fa è rimasto colpito da alcuni suoi
ritratti visti a una mostra, ripercorre per decadi la sua vita e le
sue esperienze, che attraverso il doppio obiettivo, quello della
macchina da presa del regista tedesco e del figlio di
Salgado Juliano, e quello del fotografo stesso, ci
restituiscono un trascorso choccante degli ultimi decenni di storia
mondiale. Lasciando però aperta la porta alla speranza di
redenzione del genere umano.
Il sale della terra documentario di Wenders,
una biografia in realtà di Sebastiao Salgado è di
un’intensità e di una bellezza che solo la visione cinematografica
può descrivere. Lo stesso regista incontrerà il pubblico del
festival di Roma in occasione della presentazione in anteprima di
questo documentario, la prossima domenica 19 Ottobre.
Wenders si era già avventurato, con
grande successo, nel documentario. Il poetico
Pina, dedicato alla coreografa tedesca
Pina Bausch, in cui la messa in scena di alcune
coreografie dell’artista collegavano i capitoli e le interviste è
stato infatti accolto con premi e riconoscimenti.
In questo nuovo documentario, questa
volta un ritratto di un artista vivente, sperimenta un altra
modalità di messa in scena: posiziona Salgado davanti alle sue foto
e gliele fa raccontare. Quello che ne nasce è un racconto di vita e
uno spaccato di storia: dalle lotte per la terra in Brasile al
massacro del Darfur, fino ai ritratti dei lavoratori di tutto il
mondo che il fotografo brasiliano, fuggito negli anni ’60 dalla
dittatura che aveva preso il potere nel suo paese e rifugiato a
Parigi, ha realizzato negli anni.
Il tutto rivela quella che sembra
essere la maggiore passione di Sebastiao Salgado:
l’essere umano.
Le immagini di Salgado sono state
viste da tutti noi almeno una volta: spesso molto drammatiche,
tese, caratterizzate da una scala di grigi che segue le nuances
della luce, così come fa il bianco e nero che Wenders applica al
racconto del passato del fotografo.
Diviso in capitoli, o meglio, in
progetti, il documentario parte dagli anni ’80 in cui Salgado
realizzava i primi scatti per Medici Senza Frontiere fino al doppio
dramma del Rwanda per poi arrivare al presente, gli ultimi anni,
che lascia il bianco e nero per tornare al colore.
In questi anni Salgado e la sua
famiglia sono tornati in Brasile e si sono dedicati a ricreare la
vita. Come se fosse la propria anima, seccata dall’aver visto
l’abisso della perfidia dell’uomo, Salgado e l’inseparabile moglie
e partner Leila decidono di impegnarsi a rigenerare la flora della
tenuta di famiglia, rendendo nuovamente fertile ciò che sembrava
definitivamente essiccato.
La cura della terra cura anche lo
spirito dell’uomo, così Salgado parte per quello che per ora è il
suo ultimo progetto: un’ode alla Madre Terra, che prospera a volte
nonostante l’uomo.
Uscirà nelle sale italiane il prossimo 23
ottobre, distribuito da Officine
UBU, Il Sale della Terra,
il nuovo film documentario di Wim Wenders,
firmato insieme a Juliano Ribeiro
Salgado.
Il sale della terra sarà
presentato domenica 19
ottobre in anteprima
italiana da Wired Next
Cinema al 9° Festival Internazionale del
Film di Roma, che ospiterà anche un incontro
pubblico con Wim Wenders.
Dopo Buena Vista Social
Club e Pina, il grande regista tedesco
torna a raccontare l’universo poetico e creativo di un artista del
nostro tempo, il fotografo Sebastião
Salgado.
Da quarant’anni Salgado attraversa i continenti sulle tracce di
un’umanità in pieno cambiamento e di un pianeta che a questo
cambiamento resiste. Dopo aver testimoniato alcuni tra i fatti più
sconvolgenti della nostra storia contemporanea – conflitti
internazionali, carestie, migrazioni di massa – si lancia adesso
alla scoperta di territori inesplorati e grandiosi, per incontrare
la fauna e la flora selvagge in un grande progetto fotografico,
omaggio alla bellezza del pianeta che abitiamo. La sua vita e il
suo lavoro ci vengono rivelati dallo sguardo del figlio Juliano
Ribeiro Salgado, che l’ha accompagnato nei suoi ultimi viaggi, e da
quello di Wenders, fotografo egli stesso.
«Dall’inizio – spiega Wenders – ci è
sembrato essenziale tenere in considerazione il fatto che i Salgado
hanno un’altra vita accanto alla fotografia: il loro impegno a
favore dell’ecologia. Sapevo che era necessario raccontare due
storie parallele. Si può dire che l’opera di rimboschimento che
hanno messo in atto in Brasile e i risultati quasi miracolosi che
hanno ottenuto, siano una specie di “happy end” per Sebastião, dopo
tutta la disperazione di cui è stato testimone e la depressione in
cui è precipitato al ritorno dall’ultimo viaggio in Rwanda. Salgado
non ha soltanto consacrato Genesis, la sua ultima monumentale
opera, alla natura, ma è proprio la natura ad avergli permesso di
non perdere la sua fede nell’uomo».
Il sale della terra è prodotto
da David Rosier per Decia
Films e Lèlia
Wanick per Amazonas Images, in
coproduzione con Andrea
Gambetta per Solares Fondazione delle Arti.
Sony Pictures
Italia ha diffuso il trailer del film horror Il Sacro
Male prodotto da Sam Raimi, Rob
Tapert e Evan Spiliotopoulos dal 20
Maggio 2021. Il film è basato sul libro “Shrine”, un bestseller di
James Herbert.
Il Sacro
Male, prodotto da Sam Raimi, Rob Tapert e Evan
Spiliotopoulos (anche regista e sceneggiatore del film), racconta
la storia di Alice, una ragazza non udente che, dopo una presunta
apparizione della Vergine Maria, riacquista la capacità di sentire
e di parlare ma soprattutto sembra essere in grado di guarire i
malati. Molte persone, sentendo la notizia, accorrono nella piccola
città del New England per assistere ai miracoli, tra cui un
giornalista (Jeffrey
Dean Morgan) che spera di rilanciare la propria
carriera indagando su ciò che accade ad Alice. Quest’ultimo però,
in seguito ad eventi terrificanti che riguardano le azioni della
giovane, inizia a domandarsi se dietro ai presunti miracoli non ci
sia qualcosa di più sinistro.
Il cinema ha più volte tratto
ispirazione dalle storie di possessioni ed esorcismi per i film
horror. Sono numerosi i celebri titoli a riguardo, da L’esorcista a The Prodigy – Il figlio del
male. Un altro titolo tanto affascinante quanto
controverso appartenente a questa tipologia di opere è
Il sacro male. Diretto nel 2021 dal greco
Evan Spiliotopoulos, qui al suo debutto come regista ma noto
come sceneggiatore di numerosi film animati della Disney, questo
lungometraggio non offre però la classica storia di possessione
demoniaca, bensì affronta la figura del falso profeta, guidato da
un’entità dalla dubbia natura.
Prodotto da Sam
Raimi, Il sacro male pone dunque l’accento su un
diverso aspetto di questo ambito molto gettonato al cinema. Il
risultato è un film che pone continuamente in dubbio lo spettatore
su cosa stia accadendo, suscitando poi un certo terrore nel momento
in cui subentra l’ipotesi che non ci siano entità buone a guidare
le azioni della protagonista femminile. Per tutti gli appassionati
di questa tipologia di film, si tratta dunque di un film da non
perdere, che può ora essere comodamente ritrovato su
Netflix. Continuando qui nella lettura,
invece, si potrà sapere qualcosa di più sulla
trama, il significato del finale
e la storia vera dietro il film.
La trama e il cast di Il sacro male
Il film racconta la storia di
Alice, una ragazza non udente che, dopo una
presunta apparizione della Vergine Maria, riacquista la capacità di
sentire e di parlare ma soprattutto sembra essere ora in grado di
guarire i malati. Molte persone, sentendo la notizia, accorrono
nella piccola città del New England per assistere ai miracoli, tra
cui il giornalista Gerry Fenn che spera di
rilanciare la propria carriera indagando su ciò che accade ad
Alice. Quest’ultimo però, in seguito ad eventi terrificanti che
riguardano le azioni della giovane, inizia a domandarsi se dietro
ai presunti miracoli non ci sia qualcosa di più sinistro.
Ad interpretare il protagonista,
Gerry Fenn, vi è l’attore Jeffrey Dean
Morgan, noto per aver ricoperto il ruolo di Negan in
The Walking Dead e John Winchester in
Supernatural. Accanto a lui, nel ruolo di Alice, vi è
invece Cricket Brown, qui al suo primo ruolo di
rilievo. Recitano poi nel film anche Christine
Adams nei panni di Monica Slade, William
Sadler in quelli di Monsignore Delgarde e Cary
Elwes nei panni del vescovo Gyles. Katie
Aselton ricopre invece il ruolo della dottoressa Natalie
Gates, originariamente affidato all’attrice Jordana
Brewster, la quale ha però poi dovuto rinunciare per via
di altri impegni.
Il sacro male: la spiegazione del finale
Alla luce della sinossi qui
riportata, esploriamo ora il finale del film. Verso la conclusione
di questo, il protagonista dimostra di nutrire sempre più dubbi
sulla natura dell’entità che Alice afferma di vedere. Fenn si
convince sempre di più che possa trattarsi di una presenza
tutt’altro che pacifica, ma anzi demoniaca. Accedendo ai documenti
del parroco, morto misteriosamente, il giornalista scopre infatti
che la Maria che appare ad Alice è in realtà una strega
dell’Ottocento, quella che si vede messa a fuoco nella prima scena
del film. La fattucchiera, inoltre, è un’antenata di Alice, il cui
scopo è quello di catalizzare la fede verso di lei per condannare
le anime dei suoi adepti alla dannazione eterna.
Il suo spirito era dunque rimasto
intrappolato per secoli nella bambola poi rotta da Fenn per
costruire il suo falso articolo, gesto che le ha permesso di
tornare in libertà. La strega, tuttavia, può vivere solo traendo
energia dai suo discendenti ed ha quindi bisogno di Alice per poter
dar vita ad una funzione religiosa durante la quale reclamare le
anime dei fedeli. Nel momento in cui però la strega uccide Alice,
rivoltatasi contro di lei, finisce per autodistruggersi e il suo
spirito di smaterializza, apparentemente per sempre. La giovane,
grazie ad un miracolo, torna però in vita e anche se di nuovo
sordomuta può tornare a vivere un’esistenza serena.
La vera storia dietro Il sacro male
Molto spesso capita che film basati
su eventi di questo tipo, con possessioni demoniache o profetti che
affermano di parlare in nome di entità divine, siano tratti più o
meno liberamente da storie vere. È il caso di alcuni film della
saga di The Conjuring, basata
sull’attività dei ricercatori del paranormale Ed e
Lorraine Warren, o ancora titoli come Il prodigio o Il rito. In molti, dopo
la visione di Il sacro male, si sono chiesti se anche la
storia proposta da questo film non fosse ispirata ad eventi reali.
Ebbene, no, Il sacro male non è basato su una storia
vera.
Il regista del film ha solamente
adattato il romanzo più venduto del 1983 di James
Herbert, Shrine, dando dunque vita ad un suo
adattamento. Shrine di Herbert è a sua volta un romanzo di
fantasia e l’autore non ha mai sostenuto che una persona o un
incidente reale sia stato d’ispirazione per la sua storia. Ne
consegue dunque che anche Il sacro male sia frutto
completo dell’immaginazione degli autori del film. Ciò non
significa, ovviamente, che alcuni aspetti ed elementi del film non
siano radicati nella realtà, come appunto dimostrano i tanti film
dedicati alle possessioni demoniache ispirati a casi di cui vi sono
effettive testimonianze, seppur controverse.
Il trailer di Il sacro male e come vederlo su
Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di Il sacro male grazie alla sua presenza
nel catologo di Netflix, dove attualmente, per via
dell’uscita del sequel, è al 4° posto
nella Top 10 dei film più visti in Italia. Per vederlo,
basterà dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla
piattaforma scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo
di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti
nel catalogo.
Guarda la nuova clip da
Il Sacrificio del Cervo Sacro, del nuovo film di
Yorgos Lanthimos, regista di The
Lobster, ed è stato presentato in Concorso al Festival di Cannes 2017, dove ha vinto il
Premio alla Miglior Sceneggiatura.
Interpretato da Colin Farrell e Nicole Kidman, vede sullo
schermo accanto a loro anche i giovani e talentuosi Barry Keoghan,
Raffey Cassidy e Sunny Suljic.
Il Sacrificio del Cervo Sacro, la
trama
Steven (Colin Farrell) è un famoso
chirurgo cardiotoracico. Insieme alla moglie Anna (Nicole Kidman) e
ai loro due figli, Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic), vive
una vita felice e ricca di soddisfazioni. Un giorno Steven stringe
amicizia con Martin (Barry Keoghan), un sedicenne solitario che ha
da poco perso il padre, e decide di prenderlo sotto la sua ala
protettrice. Quando il ragazzo viene presentato alla famiglia,
tutto ad un tratto, cominciano a verificarsi eventi sempre più
inquietanti, che progressivamente mettono in subbuglio tutto il
loro mondo, costringendo Steven a compiere un sacrificio
sconvolgente per non correre il rischio di perdere tutto. Il
Sacrificio del Cervo Sacro uscirà in Italia con Lucky Red il
prossimo 28 Giugno.
Indicato come il maggior esponente
della cinematografia greca, Yorgos Lanthimos ha
negli anni realizzato opere estremamente acclamate come
Dogtooth e Alps. Con The Lobster, invece, ha non solo esordito con un’opera
in lingua inglese, ma ha anche raggiunto una grandissima popolarità
internazionale. I suoi racconti, fortemente influenzati dalla
tragedia greca e da elementi distopici già intrinseci nell’odierna
società, rendono i suoi film quanto mai conturbanti e affascinanti.
Prima di dirigere La favorita, con cui si è consacrato, ha realizzato il
controverso Il sacrificio del cervo sacro
(qui
la recensione), film del 2017 a metà tra dramma e horror
psicologico, nonché sua seconda opera in lingua inglese.
La storia, scritta da Lanthimos
insieme a Efthymis Filippou, si basa sulla
tragedia greca di Euripide Ifigenia in
Aulide. Questa narra di Agamennone, condottiero
dell’armata greca contro la città di Troia, che, prima di partire
per la guerra, uccise involontariamente un cervo sacro alla dea
Artemide. Per riparare al torto, egli è così costretto a
sacrificare la sua figlia maggiore Ifigenia, invocando il perdono
della dea.
Adattando le tematiche e i rapporti
raccontati in tale opera, Lanthimos costruisce un film
particolarmente crudo, impegnato nel raccontare l’essere umano, i
suoi peccati e i suoi tentativi di redenzione. Presentato in
concorso al Festival di Cannes, Il sacrificio
del cervo sacro è poi stato premiato per la miglior
sceneggiatura.
Accolto in modo contrastante
dalla critica, questo ha comunque ribadito la grande capacità del
regista greco di confezionare racconti che, in un modo o
nell’altro, non lasceranno indifferenti gli spettatori, tanto a
livello tematico che visivo. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Il sacrificio del cervo
sacro: la trama del film
Il film racconta di Steven
Murphy, un formidabile chirurgo che nasconde però un
terribile segreto. A causa dei suoi problemi con l’abuso di alcol,
Steven ha infatti provocato involontariamente la morte di un uomo
sul tavolo operatorio. Colpito dal senso di colpa, egli decide di
sostenere il figlio della vittima, Martin Lang,
con il quale si incontra assiduamente presso un’anonima tavola
calda. Un giorno, Steven decide di invitare Martin a cena,
presentando il giovane alla moglie Anna e ai figli
Kim e Bob.
Mentre Kim si invaghisce del
ragazzo, Bob inizia ad accusare dei malori e non riesce più a
muovere i suoi arti inferiori. Martin avverte Steven di aver
scoperto la verità sulla morte di suo padre e di aver provocato la
paralisi di suo figlio, per vendicarsi di quanto accaduto. Il
ragazzo vuole costringere Steven a scegliere un membro della sua
famiglia come sacrificio riparatore. Martin, infatti, ha lanciato
una sorta di maledizione che condurrà inevitabilmente la famiglia
Murphy alla morte, se il dottore si rifiuterà di esaudire la sua
raccapricciante richiesta.
Il sacrificio del cervo sacro: il
cast del film
Dopo il successo di The Lobster, il regista greco ha nuovamente voluto
l’attore Colin Farrell per il ruolo del protagonista
Steven Murphy, il medico chirurgo. Farrell era tuttavia
inizialmente titubante sull’accettare o meno il ruolo, avendo
avvertito un forte senso di nausea in seguito alla lettura della
sceneggiatura.
A disturbarlo, in particolare,
erano diverse scene dalla profonda carica emotiva. Accanto a lui,
nei panni di sua moglie Anna Murphy si ritrova invece l’attrice
premio Oscar Nicole Kidman, la quale ha raccontato di aver
da subito espresso interesse a lavorare con Lanthimos, ottenendo il
ruolo. Sia lei che Farrell iniziarono le riprese di questo film
dopo aver recitato in L’inganno di Sofia Coppola.
Nei panni della loro figlia
maggiore, Kim Murphy, vi è la giovane e promettente attrice
Raffey Cassidy, distintasi in particolare grazie
al suo ruolo da protagonista nel film Vox Lux. Bob Murphy,
il figlio minore, è invece interpretato da Sunny
Sulijc, attore di origini russe già visto anche nei film
Il mistero della casa del tempo e Mid90s.
Grande scoperta del film è l’attore
Barry Keoghan,
presente nel ruolo del giovane Martin Lang. Grazie a questo film
egli è diventato particolarmente popolare,
ottenendo ruoli da protagonista in Dunkirk e American Animals. Nel film, infine,
è presente anche l’attrice Alicia Silvestone, nei
panni della signora Lang, la madre di Martin.
Il sacrificio del cervo sacro:
spiegazione del finale del film, il destino trova un modo
Per certi versi, Il
sacrificio del cervo sacro è la narrazione più diretta ed
esplicitamente dichiarata di Yorgos Lanthimos, portata al suo
finale più diretto ed esplicitamente chiaro. Martin (Barry
Keoghan) dice al dottor Steven Murphy (Colin Farrell) che, dopo che Steven ha
sbagliato l’operazione del padre di Martin causandone la morte, la
famiglia di Steven (Nicole Kidman, Raffey Cassidy, Sunny
Suljic) morirà a causa di una misteriosa malattia dai
sintomi misteriosi, a meno che Steven stesso non ne scelga uno da
uccidere.
La famiglia inizia ad accusare
tutti questi sintomi (paralisi, mancanza di appetito, occhi che
sanguinano), indipendentemente da ciò che Steven fa. Così, Steven
gira in cerchio con un cappello sugli occhi e spara a caso
uccidendo il figlio Bob (Suljic). Nella scena finale, vediamo la
famiglia Murphy senza Bob in una tavola calda. Martin entra, li
guarda senza il loro piccolo. E, soddisfatto, lascia la tavola
calda e li abbandona.
Ha perfettamente senso, no? Ah…
Sì, dal punto di vista della
narrazione, la sceneggiatura di Lanthimos e del co-sceneggiatore
Efthymis Filippou fa sì che i personaggi dicano esattamente cosa
accadrà e poi proceda a lasciarlo accadere. E fortunatamente, il
film non è interessato a capire come Martin possa misticamente
costringere questa povera famiglia a subire questi orrori: mentre
il film aumenta il ritmo mentre Steven cerca di fermare le azioni
di Martin, ricorrendo anche al rapimento e alla tortura, non c’è
mai una trama per scoprire il “come” delle sue azioni. Nessuna
grande cospirazione, nessun esame del passato di Martin, nessuna
rivelazione di superpoteri mitologici.
Il momento più vicino a questo tipo
di lavoro investigativo viene dalla moglie di Steven, Anna
(Kidman), che scopre attraverso il partner di Steven, Matthew (Bill
Camp), che Steven era probabilmente ubriaco durante l’intervento
chirurgico del padre di Martin, rivelando non la fonte dei “poteri”
di Martin, ma un ulteriore “motivo” per cui Steven merita di essere
punito.
Tuttavia, c’è ancora molto da
discutere sul finale di Sacred Deer, al di fuori dell’irrilevante
“come” la presa di Martin sulla famiglia Murphy. Vale a dire,
“perché?”. Una domanda che tutti i membri della famiglia Murphy
sembrano interessati a porsi e ad accettare, dall’esame da parte di
Anna dei peccati passati di Steven alla completa disponibilità dei
bambini a prendere per buono ciò che sta accadendo. La persona che
impiega più tempo a porsi la domanda e ad accettare la risposta?
Steven. E questo potrebbe spiegare il suo destino.
Il sacrificio del cervo
sacro ha radici mitologiche
“Destino” non è una parola scelta
con leggerezza. Il sacrificio del cervo sacro si
occupa direttamente del destino, della punizione cosmica
dell’arroganza umana, del nostro cosiddetto libero arbitrio che si
sgretola sotto la crudele banalità dell’universo. Esplorando questi
temi, il film ricorda un aggiornamento moderno di una tragedia
greca. E non si sa mai, il Cervo Sacro è ispirato a un’antica
tragedia greca: “Ifigenia in Aulis” di Euripide (richiamata
direttamente da Lanthimos e Filippou, nel rivelare che la Kim di
Cassidy ha scritto un saggio su Ifigenia per la sua classe di
liceo).
Nell’opera, che fa parte di una
trilogia scritta da Euripide nei suoi ultimi anni di vita,
Agamennone riflette sull’opportunità di sacrificare sua figlia
Ifigenia alla dea Artemide, che sta fermando di proposito i venti
giusti per permettere alla flotta di Agamennone di completare con
successo l’invasione di Troia. Purtroppo, il peccato fatale di
Agamennone è la vanità: dopo la prima ondata di battaglie contro
Troia, si vantava di essere un combattente abile come Artemide
stessa.
Come si può immaginare, Artemide
non gradì molto la cosa e chiese il sacrificio di sangue per
riportare Agamennone sulla terra. Dopo un furioso dibattito tra la
sua famiglia e i suoi colleghi generali, Agamennone decide di
sottoporsi al sacrificio, ritenendo che i greci inferociti e
desiderosi di vittoria avrebbero ucciso tutta la sua famiglia se
non l’avesse fatto.
Il sacrificio del cervo
sacro migliora la sua fonte
In alcuni manoscritti e traduzioni
dell’opera, anche se è discutibile che faccia parte dei testi
originali di Euripide, Agamennone decide sorprendentemente di
mettere in atto un ultimo trucco su questo piano, sostituendo la
figlia Ifigenia con una cerva sacra. L’applicazione di questa
storia antica all’opera di Lanthimos sembra una traduzione 1:1,
tanto per cominciare. Steven è Agamennone.
Il suo peccato di arroganza si
traduce nel bere sconsiderato e nelle ostentazioni di ricchezza di
Steven. Martin è sia Artemide, che desidera il sacrificio che
ristabilisce l’equilibrio, sia la minaccia dei Greci di uccidere la
famiglia di Steven se non lo farà. Ma Lanthimos e Filippou non sono
interessati solo ad adattare questo mito greco. Anzi, sono
interessati a correggerlo. Nei momenti finali di Sacred Deer non
c’è alcuno scambio per un cervo sacro. Nessun trucco, nessuna
scappatoia.
Dopo aver trascorso quasi due ore
ad agonizzare su come contrastare la mano incrollabile del destino,
su come rendere ineguale la forza sempre uguale del castigo
universale e ignorare le voci della “ragione” che lo circondano (ad
esempio, la figlia che si innamora di Martin e implora di essere
sacrificata e la moglie che aiuta Martin a fuggire), Steven si
arrende al destino più puro che possa trovare. In particolare,
indossa un dannato cappello e gira in un dannato cerchio per
decidere chi uccidere. Questo è quanto di più casuale, privo di
significato e di ammettere la propria sottomissione a controllori
al di fuori del nostro controllo. Artemis vince.
In diversi momenti del film, la
famiglia di Steven cerca di riaffermare Steven come uomo al
comando, piuttosto che Martin, per cercare di passare a un altro
metodo per sfuggire al destino. Anna fa notare “logicamente” che
uccidere uno dei figli è una scelta migliore perché possono averne
un altro.
Bob si taglia i capelli, placando i
brontolii di Steven che all’inizio del film sosteneva che i suoi
capelli sono troppo lunghi. Anche di fronte a un Dio che non
ammicca, noi esseri umani cerchiamo qualsiasi fonte di sollievo
terrestre che ci dica che è giusto sbattere le palpebre. Dalla
prima all’ultima inquadratura, Il sacrificio del cervo
sacro di Lanthimos è qui per ricordarci che l’universo
verrà a riscuotere, e i suoi occhi sono sempre spalancati.
Il sacrificio del cervo
sacro: dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Il sacrificio del
cervo sacro in streaming<è disponibile sulle
seguenti piattaforme:
Arriva al cinema il 28 giugno 2018,
Il Sacrificio del Cervo
Sacro, il nuovo film
di Yorgos Lanthimos che torna a dirigere
Colin Farrell dopo The Lobster.
Affrontare un’operazione a cuore
aperto non è mai facile per un paziente, anche dall’altro lato
della barricata però non è certo uno scherzo. Anestesista e
chirurgo dividono parte delle responsabilità totali, la percentuale
più grande però è dominata dal caos, dal fato o dal destino, come
chiamarlo si voglia. Yorgos Lanthimos per spiegare
questo concetto decide di operare egli stesso a cuore aperto, e di
scrivere un’opera dai tratti tanto folli quanto geniali chiamata
simbolicamente Il Sacrificio del Cervo
Sacro – l’assassinio del cervo sacro.
In Il Sacrificio del Cervo
Sacro Steven Murphy è un chirurgo di successo con una
bellissima moglie e due figli, vive una vita apparentemente
perfetta, nel suo passato però c’è un’operazione andata male, un
paziente perso e un senso di colpa che non accenna a svanire.
Quest’ultimo aspetto lo ha spinto a creare un particolare feeling
con Martin, ragazzo adolescente figlio della vittima, con cui si
vede spesso, a cui fa regali costosi, a cui bada come un padre
adottivo – nei ritagli del suo tempo.
Il Sacrificio del Cervo Sacro, il film
Il loro rapporto però
diventa presto strano e ambiguo, il ragazzo richiede sempre più
attenzioni, diventa sempre più un’ossessione, quando Steven decide
di staccarsi però è troppo tardi e i piani macabri del ragazzo sono
già avviati. Il suo obiettivo è far provare al chirurgo lo stesso
dolore, lo stesso vuoto che ha sentito lui perdendo il padre, vuole
che almeno un membro della famiglia Murphy muoia. Quello che può
sembrare lineare e diretto, in realtà sullo schermo è completamente
onirico e surreale. Il giovane Martin si muove come un’entità
sovrannaturale, capace di controllare i corpi altrui a piacimento.
elementi che fanno letteralmente impazzire Steven e con lui gli
spettatori – che osservano tutto dallo stesso punto di vista.
Non c’è un solo istante di Il Sacrificio del Cervo Sacro che passa
senza la giusta tensione, un racconto serrato che non lascia
respiro e genera dubbi, paure e incertezze – sentimenti e
sensazioni amplificati da una colonna sonora dai toni bassi e
oscuri e una fotografia impeccabile, cupa e claustrofobica. Il
regista greco, che in Italia abbiamo conosciuto soprattutto grazie
a The Lobster, ha ulteriormente perfezionato la sua già
ottima tecnica e la forma, creando un’opera maestosa dal punto di
vista visivo. Sul fronte dei temi invece la questione è più
complessa, si discute di vendetta, di senso di colpa, ma
soprattutto ci spiega per filo e per segno il funzionamento del
caos.
Spesso, in quanto uomini
che si credono onnipotenti, investiamo tutte le nostre forze per
cambiare il corso di uno o più eventi, invece è il fato che
gestisce la partita, sempre e comunque. Gli strumenti del mestiere
nelle mani dell’autore non sono ovviamente i ferri chirurgici,
bensì degli attori di talento che fanno in modo eccezionale il loro
lavoro. Colin Farrell nei panni del protagonista è
riuscito a raccogliere una tale intensità come non faceva da tempo,
al suo fianco una Nicole Kidman passionale e carnale, di una
bellezza senza tempo. Buona parte del lavoro però è svolta dai
piccoli membri del cast, che recitano come adulti maturi e
pienamente formati. Le immagini che passano su schermo non sono
certo per chi ha lo stomaco debole, e lo si capisce sin dal torace
aperto con un cuore battente a vista in apertura, neppure per chi
soffre di attacchi di ansia e claustrofobia, tutti gli altri invece
hanno la possibilità di godere di un’esperienza emozionante e
visivamente sublime. 100 minuti in balia del caos e della follia
umana, indimenticabili.
Protagonisti del thriller sono
Colin Farrell, che torna a lavorare
con Lanthimos dopo The Lobster,
Nicole Kidman, Barry Keoghan, Raffey
Cassidy e Sunny Suljic.
Il Sacrificio del Cervo
Sacro, recensione del film
con Colin Farrell
Steven (Colin Farrell) è un famoso
chirurgo cardiotoracico. Insieme alla moglie Anna (Nicole Kidman) e
ai loro due figli, Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic), vive
una vita felice e ricca di soddisfazioni. Un giorno Steven stringe
amicizia con Martin (Barry Keoghan), un sedicenne solitario che ha
da poco perso il padre, e decide di prenderlo sotto la sua ala
protettrice. Quando il ragazzo viene presentato alla famiglia,
tutto ad un tratto, cominciano a verificarsi eventi sempre più
inquietanti, che progressivamente mettono in subbuglio tutto il
loro mondo, costringendo Steven a compiere un sacrificio
sconvolgente per non correre il rischio di perdere tutto.
Il Sacrificio del Cervo
Sacro verrà distribuito nelle sale italiane a partire dal
28 giugno prossimo.
Guarda due clip del nuovo
film di Yorgos Lanthimos,
Il Sacrificio del Cervo Sacro regista di The
Lobster, ed è stato presentato in Concorso al Festival di Cannes 2017, dove ha vinto il
Premio alla Miglior Sceneggiatura.
Interpretato da Colin Farrell e Nicole Kidman, vede sullo
schermo accanto a loro anche i giovani e talentuosi Barry Keoghan,
Raffey Cassidy e Sunny Suljic.
Il Sacrificio del Cervo Sacro, la
trama
Steven (Colin Farrell) è un famoso
chirurgo cardiotoracico. Insieme alla moglie Anna (Nicole Kidman) e
ai loro due figli, Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic), vive
una vita felice e ricca di soddisfazioni. Un giorno Steven stringe
amicizia con Martin (Barry Keoghan), un sedicenne solitario che ha
da poco perso il padre, e decide di prenderlo sotto la sua ala
protettrice. Quando il ragazzo viene presentato alla famiglia,
tutto ad un tratto, cominciano a verificarsi eventi sempre più
inquietanti, che progressivamente mettono in subbuglio tutto il
loro mondo, costringendo Steven a compiere un sacrificio
sconvolgente per non correre il rischio di perdere tutto. Il
Sacrificio del Cervo Sacro uscirà in Italia con Lucky Red il
prossimo 28 Giugno.
Dopo lo speciale appuntamento di
pre-apertura domenica 7 marzo con una giornata interamente dedicata
al cinema italiano di genere, lunedì 8 marzo si alza il sipario
sulla 30° edizione di Noir in Festival, in
programma fino al 13 marzo in streaming gratuito su tutto il
territorio nazionale sulla piattaforma MYmovies.it e sui canali social del
festival (Facebook, YouTube, Instagram).
Per celebrare questo importante anniversario in un’edizione che
non potrà godere del calore del pubblico ma che avrà un ricco
programma di proiezioni, talk e masterclass tutte disponibili
online, il Noir in Festival non rinuncia a presentare in cartellone
grandi nomi internazionali del cinema e della letteratura a tinte
noir.
Nel segno della donna, cui è idealmente dedicata questa edizione
che prende il via proprio l’8 marzo, saranno tra le protagoniste di
questa edizione: Jennifer Kent, regista
australiana che con Babadook e The
Nightingale è riuscita ad imporsi come una delle voci più
interessanti del panorama cinematografico attuale (8 marzo ore
17.00, Mymovies/ Facebook/ Youtube); la scrittrice
svedese Camilla Läckberg (9
marzo ore 17.00, Mymovies/ Facebook/ Youtube), indiscussa regina
del giallo scandinavo, qui in veste di autrice della serie
tv Hammarvick di cui il Noir ospiterà in
anteprima le prime due puntate prima della messa in onda a maggio
su laF; accanto a lei altre due straordinarie autrici
ovvero Alicia Giménez-Bartlett (11 marzo
ore 18.00, Facebook/ Youtube) e Charlotte
Link con il suo nuovo best seller Senza
Colpa (12 marzo ore 11.00, Facebook/ Youtube). Il
parterre internazionale si completa con il vincitore del Premio
Chandler John Banville (12 marzo ore
12.00, Facebook/ Youtube), l’autore best
seller Anthony Horowitz noto anche per
il suo grande successo con la serie tv Alex
Rider (11 marzo ore 19.00, Facebook/ Youtube), l’Honorary
Award di questa edizione Kurosawa
Kiyoshi (10 marzo ore 17.00, Mymovies/ Facebook/
Youtube) e il regista Brian Yuzna, che
riceverà invece il Premio Luca Svizzeretto (11 marzo ore 17.00,
Mymovies/ Facebook/ Youtube).
Ma si daranno appuntamento sul palco
virtuale del festival anche i protagonisti italiani tra cinema e
letteratura noir. I Manetti Bros., veterani
del Noir in Festival, che nella serata di chiusura saranno
protagonisti di un incontro dedicato al loro cinema con alcune
immagini inedite del nuovo attesissimo Diabolik,
grazie alla collaborazione con Rai Cinema e 01 Distribution (12
marzo ore 19.30, Mymovies/ Facebook/ Youtube); l’incontro con le
tre menti creative delle factory Groenlandia e Ascent
Films, Matteo Rovere, Andrea
Paris e Sydney Sibilia, che
riceveranno il Premio Speciale Caligari (12 marzo ore 16.00,
Mymovies/ Facebook/ Youtube); Antonietta De
Lillo che sarà tra i protagonisti del focus dedicato
a Lucio Fulci (9 marzo ore 11.00, Facebook/ Youtube) e presenterà
in anteprima il suo Fulci Talks, conversazione
omaggio al maestro del cinema di genere Lucio Fulci cui è dedicata
la retrospettiva di quest’anno; Luca
Miniero e Lunetta Savino,
regista e interprete della fortunata serie targata Rai
1 Lolita Lobosco, che dialogheranno insieme
all’autrice dei romanzi Gabriella
Genisi (8 marzo ore 11.00, Youtube/ Facebook); le
protagoniste del panel tutto al femminile sulle “donne in
nero” Margherita Oggero, Grazia Verasani, Rosa
Teruzzi, Antonella Lattanzi e Francesca
Serafini (8 marzo ore 18.00, Facebook/ Youtube). E
poi ancora, tre maestri del genere come Roberto
Costantini (9 marzo ore 18.00, Facebook/
Youtube), Gianrico Carofiglio (12 marzo ore
18.00, Mymovies/ Facebook/ Youtube), Maurizio De
Giovanni (10 marzo ore 18.00, Facebook/
Youtube); Nicola Lagioia, autore
de La città dei vivi, uno dei casi letterari
dell’anno (11 marzo ore 11.00, Facebook/
Youtube); Chiara
Lalli e Cecilia Sala, autrici
dell’acclamato podcast Polvere, in una conversazione
con Gaetano Savatteri (10 marzo ore 11.00, Facebook/ Youtube); i
nuovi romanzi di Paolo Roversi (12 marzo
ore 19.00, Mymovies/ Facebook/ Youtube), Silvio
Danese (8 marzo ore 18.00, Facebook/
Youtube), Livia Sambrotta, l’esordio
letterario
di RobertoCimpanelli (8
marzo ore 19.00, Facebook/ Youtube) e il focus
di Federico
Greco sull’universo Star
Wars in dialogo con Elisabetta
Sgarbi (11 marzo ore 12.00, Facebook/ Youtube).
Infine le masterclass di Adrian
Wotton su John Ford (9 marzo ore 12.00, Facebook/
Youtube) e di Mario Serenellini sulle
sedute di sceneggiatura di Marnie di Alfred
Hitchcock (10 marzo ore 11.00, Facebook/ Youtube).
Accanto alle conversazioni e alle masterclass, il programma del
Noir in Festival si completa con il vasto palinsesto
cinematografico: i 6 titoli del Premio
Caligari per il miglior noir italiano dell’anno
assegnato da una giuria presieduta da Claudio
Giovannesi (presentati in una speciale maratona
domenica 7 marzo e disponibili per 24 ore dalla mezzanotte di
sabato fino alla mezzanotte di domenica), la proiezione dei film di
apertura e chiusura, Bastardi a mano armata di
Gabriele Albanesi (7 marzo ore 21.00) e Les
Apparances di Marc Fitoussi (12 marzo ore 21.00), gli
eventi speciali, la retrospettiva dedicata a Lucio Fulci e,
ovviamente, i film del Concorso Internazionale in lizza per
il Black Panther Award assegnato da una
giuria composta da Carlo Degli Esposti, Camilla
Filippi e Gianluca Maria
Tavarelli, tutti disponibili in streaming gratuito su
Mymovies solo per 24 ore dal momento di programmazione.
La storica
trasmissione di Radio 2 Rai Il Ruggito del
Coniglio parteciperà alla 29. Edizione del Bellaria
Film Festival. Gli intramontabili Antonello Dose e Marco Presta
condurranno le puntate del 2 e del 3 giugno in diretta da Bellaria
come ogni mattina dalle 8.00 alle 10.00. Protagonista assoluto sarà
il pubblico del festival che parteciperà in studio alla diretta
radiofonica.
Uscirà nelle sale il 21 settembre
Il rosso e il blu l’ultima fatica di
Giuseppe Piccioni prodotta e patrocinata dal
Ministero per i beni e le attività culturali in compartecipazione
con la Bianca Film.
In Il rosso e il
blu Roma, giorni nostri. In un liceo della periferia
romana si intrecciano le storie personali e professionali di vari
personaggi: la preside dell’istituto (Margherita
Buy) vive con estrema freddezza e distacco il suo lavoro e
ogni suo rapporto interpersonale, un anziano ed erudito professore
di storia dell’arte (Roberto Herlitzka) si trascina stanco e
svuotato nel pieno e più sarcastico disprezzo di ogni suo alunno
mentre un giovane supplente di lettere (Riccardo
Scamarcio) cerca di trasmettere interesse ai
suoi studenti forte di un entusiasmo ancora intatto.
Una commedia sentimental-scolastica
la potremmo definire in quanto la scuola è indubbiamente al centro
della trama narrativa, la scuola inquadrata e affrontata da diverse
angolazioni e prendendo in considerazione tematiche e aspetti
diversi. In primo piano il rapporto professori-alunni, eterno
conflitto generazionale, sociale e culturale che qui viene
descritto e rappresentato nelle sue varie forme: nel confronto
glaciale e sordo tra un vecchio professore completamente sfiduciato
e giunto alla conclusione dell’inutilità dell’insegnamento; nel
generoso e volitivo impegno con cui un giovane e motivato supplente
si arma per infondere anche il minimo interesse nei ragazzi.
Roberto Herlitzka è semplicemente
straordinario nel vestire i panni del vecchio, forse troppo per la
parte, e colto professore ormai prossimo alla pensione. Stanco non
solo dell’insegnamento ma anche della vita, vive solo in una grande
casa sommersa di libri e saggi di ogni genere in cui ospita
settimanalmente giovani e belle avventrici “occasionali”. La sua
vastissima conoscenza lo isola al mondo e al prossimo da cui si
tiene lontano attraverso meravigliosi e divertentissimi dialoghi
carichi di sarcasmo e sagacia. Nutre propositi suicidi ma una
vecchia alunna gli farà capire che non tutto è stato inutile, che
non tutto è perduto.
Forse non solo per esigenze di
copione il buon Scamarcio si approccia e si accosta con timidezza e
ossequioso rispetto di fronte all’anziano e bravissimo collega,
interpretando con discreta credibilità il ruolo del giovane
supplente ancora carico di buoni propositi.
Non certo meno importante la
terza storia che vede protagonista Margherita Buy
la quale da preside e donna algida e insensibile si scioglie e apre
il proprio cuore grazie allo strano e casuale rapporto con un
alunno problematico. La Buy, che sino a tutti gli anni ’90 è stata
una vera e propria musa ispiratrice per il regista ( ricordiamo tra
i tantissimi Fuori dal mondo, ’98), non riesce a
sorprenderci nemmeno questa volta, offrendo un’interpretazione
assolutamente in linea con il suo solito, e a nostro avviso,
limitatissimo canovaccio artistico.
La sceneggiatura non originale si
basa sull’omonimo romanzo scritto dallo scrittore ed editorialista
di Repubblica Marco Lodoli, a suo tempo professore
di Lettere in un Istituto professionale di Roma. Il rosso e
il blu è indubbiamente interessante e ben diretto e
soprattutto cerca di presentare la questione “scuola” senza voler
demonizzare o esaltare in modo retorico insegnanti o alunni;
l’introspezione dei personaggi e i loro risvolti interiori
prevalgono su una trama narrativa non particolarmente intricata o
ricca di svolte e colpi di scena e questo permette al film,
soprattutto nel finale, di eludere saggiamente il pericolo di
prevedibilità.
Un plauso particolare ai giovani
ragazzi che ben si comportano al cospetto dei tre attori
professionisti con cui si confrontano in un’alternanza di
complicità, distacco e affetto. Il rosso e il blu
è un film sulla scuola e su coloro che la popolano ogni giorno; un
mondo chiuso all’esterno e che l’esterno osserva con diffidenza e
quasi fastidio, sicuramente scetticismo. Ed invece sia Lodoli che
Piccioni vogliono dirci quanto la classe, l’istituto ed i suoi
professori siano solo una componente nella crescita dei ragazzi; le
famiglie, spesso assenti o distratte, devono fare la loro parte,
devono collaborare e unirsi in quella ardua quanto nobile crociata
per far si che i propri figli diventino un giorno…brave
persone.
Franco Zeffirelli, una delle più
grandi personalità italiane nel mondo, geniale, colto e
raffinatissimo, ha celebrato, sul palcoscenico come in pellicola,
il mondo dei sentimenti e quello dell’arte.
Uscirà nelle nostre sale a giugno Rock
of Ages, adattamento cinematografico dell’omonimo musical di
Broadway.
La protagonista della storia é una
giovane ragazza di una cittadina del Kansas che per realizzare i
propri sogni si trasferisce a Los Angeles. Nel Bourbon Room,
celeberrimo locale destinato alla demolizione, incontra un ragazzo
che sogna di diventare una rock star. La loro storia viene vissuta
sulle note dei grandi successi musicali che hanno caratterizzato la
fine degli anni ’80.
Dalla DreamWorks Animation arriva Il Robot
Selvaggio, il nuovo adattamento di una straordinaria opera
letteraria, l’amato e pluripremiato bestseller del New York Times
n. 1 di Peter Brown, Il Robot
Selvatico.
L’epica avventura segue il viaggio
di un robot – l’unità ROZZUM 7134, abbreviato “Roz” – che dopo un
naufragio si ritrova su un’isola disabitata dove dovrà imparare ad
adattarsi all’ostile ambiente circostante, costruendo gradualmente
relazioni con gli altri animali dell’isola e adottando un’ochetta
orfana.
Il Robot Selvaggio, il poster
Il Robot Selvaggio ha per
protagonisti la vincitrice del premio Oscar® Lupita Nyong’o (Noi,
Black Panther) nel ruolo del robot Roz; il candidato agli Emmy e al
Golden Globe Pedro Pascal (The Last of Us, The Mandalorian) nel ruolo
della volpe Fink; la vincitrice dell’Emmy Catherine O’Hara
(Schitt’s Creek, Campioni di razza) nel ruolo dell’opossum
Pinktail; il candidato al premio Oscar® Bill Nighy (Living, Love
Actually – L’amore davvero) nel ruolo dell’oca Longneck; Kit Connor
(Heartstopper, Rocketman) nel ruolo dell’oca Brightbill e la
candidata al premio Oscar® Stephanie Hsu (Everything Everywhere All
at Once, The Fall Guy in uscita quest’estate) nel ruolo di Vontra,
un robot che si unirà a Roz sull’isola.
Il film si avvale anche delle voci
di Mark Hamill, icona della cultura pop e vincitore dell’Emmy Award
(Star
Wars, Il ragazzo e l’airone), di Matt Berry (What We Do in the
Shadows, SpongeBob – Il Film) e di Ving Rhames (Mission:
Impossible, Pulp Fiction), vincitore di un Golden Globe e candidato
agli Emmy.
Una storia emozionante sulla
scoperta di sé stessi, un’emozionante analisi sul legame tra
tecnologia e natura, una commovente esplorazione di cosa significhi
essere vivi e connessi a tutti gli esseri viventi.
Il Robot Selvaggio è scritto e
diretto dal pluricandidato all’Oscar® Chris Sanders – sceneggiatore
e regista di Dragon Trainer, I Croods e Lilo & Stitch di
Disney Animation Studios – ed è prodotto da Jeff Hermann (Baby Boss
2 – Affari di famiglia della DreamWorks Animation; co-produttore
del franchise Kung Fu Panda).
Il robot selvatico di Peter Brown,
romanzo illustrato per ragazzi pubblicato per la prima volta nel
2016, è diventato un fenomeno, balzando al primo posto della
classifica dei bestseller del New York Times. Il libro ha poi
ispirato una trilogia che ora comprende La fuga del robot selvatico
e The Wild Robot Protects. Il lavoro di Brown sulla serie Il robot
selvatico e sugli altri suoi bestseller gli è valso un Caldecott
Honor, un Horn Book Award, due E.B. White Awards, due E.B. White
Honors, un Children’s Choice Award come illustratore dell’anno, due
Irma Black Honors, un Golden Kite Award e un New York Times Best
Illustrated Book Award.
Arriva in sala dal 10
ottobre con Universal Pictures International Italy Il Robot
Selvaggio, la nuova produzione della DreamWorks Animation che vanta la firma, alla
regia e alla sceneggiatura, di Chris Sanders, vero
e proprio guru dell’animazione che ha firmato negli anni, tra gli
altri, Lilo & Stitch e Dragon Trainer. Adattando il best seller
omonimo di Peter Brown, Sanders si lancia in
un’opera ambiziosa, sia per stile che per contenuti, che potrebbe
essere uno di quei titoli d’animazione, ormai rari, che mantengono
alta l’attenzione sia dei piccoli che degli spettatori più grandi e
smaliziati.
La storia de Il Robot
Selvaggio
Siamo in un futuro non
meglio precisato, che fine abbia fatto l’uomo, lo scopriremo solo
molto avanti nel film (come era già accaduto in Wall-E). La storia
ha infatti per protagonista Roz, un robot della serie ROZZUM,
creato per aiutare l’uomo in ogni tipo di faccenda casalinga, che
però finisce per errore su un’isola abbandonata, dove a farla da
padrona è la natura selvaggia: foreste incontaminate, animali
grandi e piccoli, niente che possa effettivamente dargli un compito
da svolgere. Fino a che il suo cammino non si incrocia con quello
di una piccola oca rimasta orfana del suo branco. Roz decide che il
suo compito è quello di accompagnare l’uovo all’età adulta,
insegnargli a mangiare, camminare e infine volare, solo in quel
momento il suo compito sarà concluso. Ad aiutare Roz in questo
compito improbabile si unisce alla coppia anche Fink, una volpe
solitaria e affamata, che in qualche modo trova il modo di
convivere con un robot e un’oca.
(from left) Brightbill (Kit Connor) and Roz (Lupita N’yongo) in
DreamWorks Animation’s Wild Robot, directed by Chris
Sanders.
Abbondanza di temi
Il Robot
Selvaggio è un’ottimo film d’animazione che però pecca di
“ingordigia” potremmo dire, dal momento che sembra voler dire tutto
contemporaneamente, facendosi portatore di tantissimi temi
edificanti e sui quali certamente vale la pena di riflettere anche
tramite le metafore che la narrazione per bambini offre, tuttavia
sembra voler far troppo, come uno studente troppo volenteroso di
far bene che rischia di risultare pedante. Ma andiamo con
ordine.
Adattarsi per sopravvivere e
scoprire la propria vera natura
Il primo blocco
narrativo del film è un piccolo gioiellino d’animazione: in questa
fase seguiamo Roz che impara ad accudire il
piccolo di oca, battezzato Becco Lustro. Così come
lei (un robot dovrebbe essere asessuato, ma il doppiaggio lo rende
inequivocabilmente femmina!) Impara a fare da madre al piccolo
Becco Lustro, Fink la volpe impara a diventare una
specie di fratello maggiore e amico per l’animaletto in difficoltà.
Insomma, tutta la prima parte del film racconta una fiaba di
adattamento e di istinto, in cui tre entità sole e uniche nel loro
genere imparano a formare una famiglia, andando oltre la loro
“programmazione”. Roz impara ad adattare il suo programma
all’essere madre a tutti gli effetti, con tutto l’amore, la
responsabilità e la paura che ne consegue; Fink dal canto suo
supera l’istinto di mangiare l’uovo di oca e trova un posto in cui
stare da chiamare casa, altre creature (un pennuto e un robot) con
cui condividere un concetto nuovo di famiglia; Becco Lustro dal
canto suo, che cresce in questa coppia di fatto, scoprirà solo dopo
di essere un’eccezione e il suo viaggio consisterà nell’imparare a
gestire e a difendere questa sua particolarità, pur inserendola in
un contesto sociale.
(from left) Roz (Lupita Nyong’o) and Brightbill (Kit Connor) in
DreamWorks Animation’s The Wild Robot, directed by Chris
Sanders.
Una storia trasformista
A questo racconto
toccante e allo stesso tempo molto divertente in cui si riflette
con una certa profondità sulla genitorialità e sull’identità
personale, segue una seconda parte della storia in cui si perde il
fuoco narrativo e mentre la storia procede con un ritmo decisamente
diverso e più sincopato rispetto alla chiarezza e alla solidità
della prima parte, Il Robot Selvaggio diventa di volta in volta
qualcosa di diverso, toccando temi quali l’ecologia, l’importanza
della gentilezza come metodo per sopravvivere in un mondo avverso,
la cooperazione, l’amore come motore del mondo. Tutto proposto in
rapidissimi cambi di scenario che riescono a trovare una quadra nel
finale ma che allontanano il film da quel nucleo narrativo che si
sviluppa per tre quarti di storia e riesce davvero con grazia e
efficacia a coinvolgere e a far sciogliere di tenerezza il
pubblico.
Complice un’animazione
formidabile e una sottile ironia appannaggio dei più grandi,
Il Robot Selvaggio è davvero un’esperienza di
condivisione per tutte le età, da gustare rigorosamente in sala.
Dal 10 ottobre.
DreamWorks Animation’s The Wild Robot, directed by Chris
Sanders.
Dalla DreamWorks Animation arriva Il Robot Selvaggio, il nuovo adattamento di
una straordinaria opera letteraria, l’amato e pluripremiato
bestseller del New York Times n. 1 di Peter Brown, Il Robot
Selvatico.
L’epica avventura segue il viaggio
di un robot – l’unità ROZZUM 7134, abbreviato “Roz” – che dopo un
naufragio si ritrova su un’isola disabitata dove dovrà imparare ad
adattarsi all’ostile ambiente circostante, costruendo gradualmente
relazioni con gli altri animali dell’isola e adottando un’ochetta
orfana.
Il Robot Selvaggio ha per
protagonisti la vincitrice del premio Oscar® Lupita Nyong’o (Noi,
Black Panther) nel ruolo del robot Roz; il candidato agli Emmy e al
Golden Globe Pedro Pascal (The Last of Us, The Mandalorian) nel ruolo
della volpe Fink; la vincitrice dell’Emmy Catherine O’Hara
(Schitt’s Creek, Campioni di razza) nel ruolo dell’opossum
Pinktail; il candidato al premio Oscar® Bill Nighy (Living, Love
Actually – L’amore davvero) nel ruolo dell’oca Longneck; Kit Connor
(Heartstopper, Rocketman) nel ruolo dell’oca Brightbill e la
candidata al premio Oscar® Stephanie Hsu (Everything Everywhere All
at Once, The Fall Guy in uscita quest’estate) nel ruolo di Vontra,
un robot che si unirà a Roz sull’isola.
Il film si avvale anche delle voci di Mark Hamill, icona della
cultura pop e vincitore dell’Emmy Award (Star
Wars, Il ragazzo e l’airone), di Matt Berry (What We Do in the
Shadows, SpongeBob – Il Film) e di Ving Rhames (Mission:
Impossible, Pulp Fiction), vincitore di un Golden Globe e candidato
agli Emmy.
Una storia emozionante sulla
scoperta di sé stessi, un’emozionante analisi sul legame tra
tecnologia e natura, una commovente esplorazione di cosa significhi
essere vivi e connessi a tutti gli esseri viventi.
Il Robot Selvaggio è scritto e
diretto dal pluricandidato all’Oscar® Chris Sanders – sceneggiatore
e regista di Dragon Trainer, I Croods e Lilo & Stitch di
Disney Animation Studios – ed è prodotto da Jeff Hermann (Baby Boss
2 – Affari di famiglia della DreamWorks Animation; co-produttore
del franchise Kung Fu Panda).