“C’è la mia vita e ci sono le
altre, quelle che prendo a prestito ogni volta che interpreto un
film, e che finiscono per diventare altrettanto reali della mia. Il
problema è che devo imparare a dare priorità alla mia vita, invece
che a quella dei miei personaggi”. A parlare è Daniel
Day-Lewis, straordinario attore che ha segnato il firmamento
hollywoodiano con le sue straordinarie performance e che dopo due
Oscar, quattro nomination e innumerevoli titoli di grande spessore,
non è ancora stanco della recitazione e si prepara a stregare il
suo pubblico con un altro eccezionale ruolo, quello di Abraham Lincoln, il Presidente USA per
eccellenza, nel film di Steven Spielberg
Lincoln, già designato come la pellicola
protagonista della prossima stagione dei premi.
La sua turbolenta vita, il suo
voler rimanere britannico senza rinunciare alle radici paterne che
affondano in terra d’Irlanda, la sua totale abnegazione al suo
lavoro e il suo innegabile fascino, conservato anche ora a 55 anni,
ne fanno uno degli attori più amati, rispettati e ammirati del
panorama mondiale, sia dal pubblico popolare sia da quello di
nicchia, più esigente e schizzinoso.
Daniel Day-Lewis, biografia
Daniel Day-Lewis è nato a
Londra, britannico DOC, il 29 aprile 1957, da padre con origini
irlandesi, il poeta Cecil Day-Lewis, e da madre attrice di teatro,
Jill Balcon, proveniente da una famiglia ebrea di origini lettoni e
polacche. La sua vocazione artistica si può dunque rintracciare
nella sua famiglia, e così il giovane Daniel cresce in un ambiente
stimolante e sembra quasi ovvio che la sua vocazione si rivelerà
essere altrettanto artistica. Si butta a capofitto nella
recitazione e, strano a dirsi, il suo debutto al cinema si rivela
essere un fiasco, si tratta del film Domenica, maledetta
domenica (1971) diretto da John Schlesinger, al
quale poi succederà un periodo piuttosto incerto, principalmente
vissuto sulle tavole del palcoscenico teatrale, dove Day-Lewis
affina la sua tecnica e dove, possiamo dire, nasce il vero
‘animale’ che il buon Daniel diventa ogni volta che ha a che fare
con un nuovo personaggio.
Daniel Day-Lewis, filmografia
Dopo una serie di piccole
partecipazioni a film più o meno importanti, tra cui citiamo
Il Bounty di Roger Donaldson accanto a Mel
Gibson e Anthony Hopkins, arriva il 1985 anno
chiave per la carriera dell’attore. È questo infatti l’anno di due
collaborazioni con registi di alto livello come Stephen
Frears e James Ivory: per il primo, My Beautifull
Laundrette, Day-Lewis si trasforma in un giovane e
squattrinato dipendente di una lavanderia, amante del proprietario
dell’esercizio, che deve affrontare insieme al compagno le
complicazioni di un rapporto interraziale, omosessuale e tra
dipendente e titolare, un ruolo complesso e controverso che mette
in luce da subito il talento istrionico di Daniel. Per l’Ivory di
Camera con Vista invece Day-Lewis è il freddo Cecil,
rampollo di rango che cerca di strappare dalle braccia del suo vero
amore una giovane Helena Bonahm-Carter. Per quanto diversi i
due ruoli mettono già in luce due sfumature importanti che
compongono il composito mosaico che costituisce l’istrionismo di
Daniel Day-Lewis.
Come poi ci ha abituati,
l’attore britannico ritorna al cinema dopo qualche anno ed è solo
la fine degli anni ’80 che lo rivede protagonista, prima nel 1988
con L’insostenibile leggerezza dell’essere, basato
sull’omonimo e complesso romanzo di Milan Kundera, diretto da
Philip Kaufman e interpretato insieme all’attrice francese
Juliette Binoche, poi con un paio di film di scarso spessore
(Un gentleman a New York del 1988 e Fergus
O’Connel, dentista in Patagonia del 1989).
Daniel Day-Lewis chiude
infine gli anni ’80 con uno straordinario, eccezionale e commovente
ritratto di Christy Brown, scrittore e pittore irlandese,
condannato all’immobilità totale del suo corpo, fatta eccezione per
il suo piede sinistro. Il film in questione è appunto Il Mio
Piede Sinistro, è diretto da Jim Sheridan e consegna
definitivamente Daniel Day-Lewis all’Olimpo dorato di
Hollywood. Per impersonare al meglio il suo personaggio, Day-Lewis
ha passato tantissimo tempo alla scuola di Gene Lambert, fotografo
e pittore a sua volta paralizzato, imparando a sua volta a scrivere
con le dita del piede sinistro.
Pauline Kael del New Yorker
ha scritto della performance (facendo riferimento alla scena
chiave del film: “Puo’ essere il momento più emotivamente
devastante che io abbia mai vissuto al cinema. La grandezza della
performance di Daniel Day-Lewis è questa: ci trascina
all’interno della frustrazione e della rabbia di Christy, e della
sua sete infinita”. Il lavoro di simbiosi con il personaggio
diventa così una caratteristica fondamentale del suo lavoro
d’attore, riconoscibile e apprezzabile in tutti i suoi ruoli a
seguire. Lui stesso dichiarerà: “Ho un’unica ossessione, quella
di rendere giustizia a personaggi che mi affascinano, proprio
perché attraversano esperienze molto diverse dalle mie. Per questo
quando mi trovo sul set faccio il possibile per rimanere in
carattere anche fra una ripresa e l’altra. D’altra parte, penso che
la mia capacità di concentrazione sia la mia, principale
virtù”. Ma la performance di Daniel Day-Lewis in
Il Mio Piede Sinistro non gli valse solo le lodi
della critica, suoi sono stati quell’anno anche i riconoscimenti
più importanti del mondo del cinema internazionale, a partire dal
Bafta per la migliore interpretazione, fino
all’Oscar al miglior attore protagonista, dove Daniel concorreva
con Tom
Cruise (per
Nato il 4 luglio), Robin Williams (per
L’attimo fuggente), Morgan Freeman (per
A spasso con Daisy) e Kenneth Branagh (per
Enrico V).
Dopo un tale successo si ci
aspetterebbe ingaggi e titoli a profusione, invece Daniel
Day-Lewis si ritira dalle scene fino al 1992, quando guidato da
Michael Mann da vita al suo personaggio che più di tutti è
entrato nel cuore dei fan, e soprattutto delle sue fan. Infatti se
fino ad ora l’attore aveva mostrato abilità straordinarie di
mimetismo e dedizione al ruolo, con L’ultimo dei
Mohicani Daniel sfodera uno straordinario sex appeal
che aiuta a costruire la sua giganteggiante figura di mohicano
bianco di grande statura morale e fisica, completamente integrato
con il suo ambiente, appassionato, feroce e combattivo.
Anche per interpretare
questo ruolo l’attore si è dato anima e corpo al personaggio,
Hawkeye, e per diversi mesi prima delle riprese ha vissuto nella
natura, nutrendosi esclusivamente di ciò che riusciva a cacciare.
Il film è un epico affresco di scontro tra razze che aumenta di
spessore anche grazie alla colonna sonora, divenuta leggendaria,
realizzata da Randy Edelman e Trevor Jones.
Il 1993 è un anno molto particolare
per Daniel Day-Lewis, infatti l’attore ottiene la doppia
cittadinanza, britannica e irlandese, quasi a simboleggiare la sua
natura elegante e ribelle allo stesso tempo. Dal punto di vista
professionale è questo l’anno di due pellicole di diversa natura:
la prima sigla la collaborazione di Daniel con Martin
Scorsese, regista che rincontrerà poi nella sua carriera, con
L’Età dell’innocenza, in cui recita con Michelle
Pfeiffer e
Winona Ryder; la seconda invece replica la sua
collaborazione con Sheridan che gli affida un ruolo da protagonista
ne Nel Nome del Padre, film in cui il nostro
interpreta un ribelle irlandese, Gerry Conlon, ruolo che gli vale
la sua seconda nomination all’Oscar che però va a
Tom Hanks per Philadelphia.
Altro periodo sabbatico per
Daniel Day-Lewis e poi rieccolo ancora dopo tre anni, nel
1996, a lavorare accanto ad Arthur Miller che curò la
sceneggiatura de La seduzione del male, tratto
proprio da un suo racconto. Nel film Day-Lewis interpreta un uomo
felicemente sposato oggetto delle attenzioni insistenti e più volte
respinte dell’adolescente Winona
Ryder, che ritrova qui dopo L’Età
dell’innocenza. Fu Arthur Miller in persona, sul set
del film a presentargli la figlia, Rebecca Miller, che
diventò alla fine di quell’anno sua moglie. Un bel passo per
Daniel, che fino ad allora aveva mostrato una tendenziale reticenza
a stringere legami sentimentali duraturi (lasciò infatti l’attrice
Isabelle Adjani alla notizia della gravidanza di lei e gli
sono stati attribuiti flirt conWinona
Ryder e Julia Roberts).
Dopo la sua partecipazione nel 1997
a The Boxer, film che chiude la trilogia della sua
collaborazione con Jim Sheridan, arriva l’ennesimo periodo
di riposo durante il quale l’attore anglo-irlandese decide di
trasferirsi in Italia, a Firenze, e di diventare apprendista
calzolaio. Sarà nella sua bottega nei pressi di piazza Santo
Spirito che Martin Scorsese lo andrà a pescare per
convincerlo a partecipare al suo nuovo film. È anche questo il
periodo in cui Daniel Day-Lewis rifiuta il ruolo di Aragorn
ne
Il Signore degli Anelli per portare avanti il suo
progetto da artigiano. Dove Peter Jackson fallì, riuscì
Scorsese, che coinvolse l’attore nel suo film sulle origini di New
York. È il 2002 e esce al cinema Gang of New York. Il
film, che vede protagonista
Leonardo DiCaprio, da a Daniel un’altra possibilità di
mostrare il suo enorme talento, tanto da conferirgli la sua terza
nomination agli Oscar (vinto poi da
Adrien Brody per Il Pianista) e da
regalare ai suoi fan una bellissima interpretazione di Bill il
macellaio, personaggio divenuto celeberrimo trai fan dell’attore e
del regista.
Moltissime sono le curiosità
relative alle riprese del film che coinvolgono in prima persona
l’attore: durante una scazzottata, DiCaprio ruppe
realmente il naso a Daniel, che però continuò a recitare noncurante
del dolore; anche tra un ciak e l’altro Day-Lewis
continuava a parlare con lo strano accento che usava durante le
riprese per interpretare il suo Bill, confermando, qualora ce ne
fosse stato bisogna, anche la sua abilità con gli accenti e le
lingue; l’attore si ammalò gravemente durante le riprese per
essersi rifiutato di indossare come costume una giacca più calda,
adducendo come scusa il fatto che giacche di quel materiale non
esistevano ancora all’epoca dei fatti raccontati nel film. Dopo tre
anni, nel 2005, recita, diretto dalla moglie Rebecca Miller,
in La storia di Jack & Rose accanto a Camilla
Belle, da noi uscito direttamente in home video.
Il 2007 è per Daniel
Day-Lewis un anno di trionfi e riconoscimenti. È sua, per la
seconda volta, la statuetta dorata dell’Academy per la migliore
interpretazione maschile da protagonista battendo la concorrenza di
George Clooney (per Michael
Clayton),
Johnny Depp (per Sweeney Todd),
Viggo Mortensen (per La promessa
dell’assassino) e
Tommy Lee Jones (per Nella valle di Elah)
e il primo Golden Globe in carriera. Il film è Il
Petroliere e il regista che dirige il nostro è Paul
Thomas Anderson. Day-Lewis ha rilasciato dichiarazioni
totalizzanti relativamente a questo ruolo, dichiarando di essersi
letteralmente abbrutito per interpretare il Daniel Plainview
scritto da Anderson in sceneggiatura: “Non è stato facile
calarsi in quei panni. Perché Plainview è un uomo violento,
ambizioso. Ho cercato di capire le dinamiche del lavoro nelle
miniere, lo stato d’animo dei minatori che scavano nel buio come
dannati, vivendo come animali. È stato faticoso. Io sono convinto
che per recitare la vita di un altro bisogna sporcarsi le mani,
bisogna viverla. Così mi sono trasformato in un essere
brutale”. Anche su questo set Daniel si ha messo tutto se
stesso, letteralmente, arrivando a rompersi una costola durante le
riprese per la ferma volontà di non avere controfigure. La sua
interpretazione straordinaria probabilmente va al di là dei premi e
dei riconoscimenti ricevuti. Daniel Day-Lewis ha dimostrato
ancora una volta di essere un attore di rara natura, dedito al
ruolo, completamente preso dalla parte, con i risultati inevitabili
di offrire performance fuori dalla norma.
Quando un attore è così grande è
difficile incappare in brutte performance, capita però che l’attore
in questione reciti in film di discutibile riuscita. È il caso di
Nine, film del 2009 diretto da Rob Marshall,
basato sull’omonimo musical a sua volta tratto dall’
8½ di Federico Fellini. Nel film Daniel è
Guido Contini, regista di successo, nevrotico e insicuro,
circondato da tutte le sue donne, un parterre di attrici di
prim’ordine: Sophia Loren, Marion Cotillard, Nicole Kidman,
Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Stacy Ferguson.
Arriviamo però all’attualità, al
2012, anno in cui l’America tutta ha già acclamato la grandissima
performance di Daniel Day-Lewis nei rispettabili e
impegnativi abiti di Abraham Lincoln negli ultimi quattro mesi del
suo mandato. A dirigere il film, intitolato Lincoln,
Steven Spielberg, forse il regista statunitense più atteso
per questo suo progetto che va avanti da diversi anni e che insieme
a Daniel Day-Lewis vede protagonisti Sally Field,
David Strathairn,
Tommy Lee Jones, David Strathairn e
Joseph Gordon-Levitt. Anche per questo ruolo la
dedizione di Daniel è stata totale, tanto che l’attore ha passato
ore intere con il trucco e la barba che ogni giorno lo trasformava
nel Presidente, appoggiato nel suo lavoro di trasformismo anche da
Spielberg stesso che sul set lo ha chiamato per tutto il periodo
delle riprese Signor Presidente, chiamando di conseguenza l’attrice
Sally Field, che interpreta la consorte del Presidente,
Signora Lincoln e adeguandosi alla situazione indossando sul set
sempre un abito elegante. Il film si annuncia come protagonista dei
prossimi mesi cinematografici, e mentre ha già raccolto lodi
oltreoceano noi dovremmo aspettare il 24 gennaio per vederlo in
Italia.
Con
Lincoln, siamo sicuri, Daniel Day-Lewis ha
aggiunto un altro capolavoro alla sua collezione di grandi
interpretazioni, e confermando, così come altri pochi colleghi, che
a 55 anni un attore del suo calibro ha appena cominciato. Sembra
quindi che il coperchio del suo vaso di Pandora sia stato appena
smosso e che la sua grande abilità, la sua dedizione, il suo
trasformismo intimo e efficace, la sua grande passione possano
regalarci ancora tanti ritratti di uomini indimenticabili.