Arriva nelle sale il 12 Maggio Il Pericle il
Nero, nuovo film con Riccardo Scamarcio
per la regia di Stefano Mordini, basato sul
romanzo di Giuseppe Ferrandino.
Per la gioia del cast il film è stato scelto al Festival di Cannes 2016 nella
sezione “Un Certain Regard”.
Con grande orgoglio stamane il
regista, l’attore principale Scamarcio – che è anche produttore – e
le sceneggiatrici hanno presentato la pellicola.
Come è nato questo
progetto?
STEFANO MORDINI (regista): La scelta
nasce da Riccardo (Scamarcio) che mi ha proposto di leggere il
libro di Ferradino. Il racconto ricorda un po’quelli della beat
generation, seguendo il flusso dei pensieri di Pericle, il
protagonista.
Abbiamo deciso di spostare
l’ambientazione in Belgio, in quanto l’originale collocazione
napoletana richiedeva un approfondimento particolare sulle logiche
relazionali tra le persone che, non essendo io di Napoli, non
conoscevo. Trasportando il tutto invece in Nord Europa mi ha
permesso di parlare di immigrati e quindi di azzerare il contesto
originale del film.
Scamarcio come si è
avvicinato ad un personaggio così ambiguo?
SCAMARCIO: Inizialmente la
presentazione del personaggio è fuorviante. Poi invece il resto del
film si incentra sul divagare e sulla fragilità di quest’uomo,
quasi un adolescente candido. C’è un paradosso racchiuso in questo
personaggio, cosa che mi ha colpito fin dalla prima lettura del
romanzo. Pericle è un reietto della società, sgradevole agli occhi
di tutti che lo considerano un cretino. Ma entrandovi dentro se ne
capisce la grande sensibilità e il talento.
Tuttavia nell’interpretarlo ci siamo
distaccati dal libro, dove il protagonista è descritto grasso e
pelato, facendo con il regista anche un lavoro di caratterizzazione
estetica. Abbiamo anche avuto una specie di crisi iniziale per
cercare di trovare la giusta rappresentazione del personaggio,
pettinatura particolare compresa. La lunga gestazione del film (due
anni e passa) mi ha permesso di prepararmi al meglio, anche grazie
all’integrazione con la lettura del romanzo e all’aiuto delle
sceneggiatrici.
Alle sceneggiatrici chiedo:
che libertà vi siete prese nella trasposizione da libro a
film?
FRANCESCA MARCIANO: Il primo
entusiasmante stravolgimento è stato traslare la storia in Belgio,
luogo grigio così diverso e contrastante rispetto a Napoli. Pericle
è un orfano alla ricerca di una famiglia, ma essendone privo, è
anche senza una patria. Quindi spogliarlo di Napoli ci è sembrata
una scelta azzeccata. Il film da una parte è molto fedele al libro.
Dall’altra se ne distacca molto. Il cinema richiede un po’meno
precisione rispetto allo scritto, ma lo si può suddividere in tre
parti. Un inizio noir che poi si apre, anche coi colori, a un
intimismo caratterizzato dal rapporto tra Pericle e Anastasia, per
poi chiudere con un finale drammatico e più sincopato, pieno di
dialoghi.
VALIA SANTELLA: Abbiamo costruito un
passato a Pericle, allontanandoci dal libro, dandogli una storia.
D’altro canto abbiamo seguito il flusso di pensieri di Pericle,
così presente nel romanzo.
Quale è stato l’aspetto più
difficile del tuo lavoro di interpretazione?
SCAMARCIO: in realtà il lavoro più
difficile è stato quello di produzione, non interpretare il
personaggio! Il protagonista è stato costruito giorno dopo giorno
sul set, prima tramite la sceneggiatura poi, in via pratica, con
Stefano (il regista), col quale però ci siamo intesi fin da subito.
Siamo stati sempre d’accordo.
Più che un film sulla
criminalità sembra un film sulla solitudine di un uomo,
giusto?
MORDINI (regista): Esattamente.
L’approccio alla storia e ai personaggi non guarda tanto alla
violenza, vista al giorno d’oggi quasi in chiave eroistica, ma
piuttosto alla miseria.
Abbiamo fatto un percorso di studio
durante la stesura della sceneggiatura, sulla storia della camorra.
Abbiamo ricostruito delle storie vere, cose che non ci sono nel
libro, per esempio la storia della madre di Pericle riprende le
vicende reali di Mario Iovine.
In generale ci sono tanti
riferimenti alla realtà ma estrapolati dal loro contesto di
violenza per far vedere la miseria della criminalità. Questo è un
racconto sulla solitudine. Un uomo che di solito” fa il culo alla
gente” e sente il calore di una famiglia che poi lo vuole
morto.
Il film è coprodotto dai
fratelli Dardenne: vi è un nesso tra lo stile del film e il loro
approccio. Hanno riconosciuto la loro secchezza di stile? O voi
avete preso da loro?
SCAMARCIO: In realtà questo non è
esattamente un film nelle corde dei Dardenne, i quali comunque ne
hanno riconosciuto il valore artistico, appoggiando anzitutto la
sceneggiatura e poi hanno vedendo la pellicola finita, capendo che
è a metà tra il film di genere e il film d’autore.