L’incontro con Alex De La
Iglesia prende vita dopo la proiezione di una serie di
sequenze tratte dai suoi film più famosi, Acciòn
Mutante, Perdida Durango, El Dia de la Bestia, La Comunidad, El
Crimen Perfecto, The Oxford Murders, La Chispa de la vida, Balada
Triste de Trumpeta e il nuovissimo Las
Brujas de Zugarramurdi.
Il regista catalano comincia la
chiacchierata raccontando la genesi del suo ultimo film parlando
della sequenza iniziale, nella quale un rapinatore, camuffato da
Cristo, con tanto di croce sulle spalle, assalta un banco dei pegni
trasformandosi in feroce assassino. De La Iglesia racconta che
aveva avuto questa idea vent’anni prima, per un film che poi non è
mai stato realizzato perché ritenuto troppo estremo e demenziale,
all’interno del quale trovavano spazio anche le figure di
alcune streghe, divenute poi il punto centrale del suo ultimo
film.
La scelta di ambientare
la storia nel piccolo paese di confine tra Spagna e Francia
chiamato Zagarramurdi è stata pressochè obbligata, poiché tale
luogo sembra essere l’equivalente della cittadina americana di
Salem, nota per le sue oscure vicende legate alla stregoneria. A
Zagarramurdi sembra prendere origine tutta la stregoneria del
vecchio continente ed in particolare, in una grotta limitrofa al
paesino, sembra che avvenissero sabba di dimensioni incredibili,
che coinvolgevano centinaia, forse migliaia di adoratrici del
demonio. De La Iglesia racconta divertito di aver girato la
sequenza finale del film proprio in quella grotta e di aver
scoperto durante le ricerche per sviluppare la storia del film le
vere origini di alcune abitudini stregonesche, come quella di
cavalcare le scope, pratica legata ad una forma di autoerotismo al
fine di assimilare una mistura a base di veleno di rospo e altre
sostanze allucinogene spalmate sul manico dell’utensile; il volare
altro non sarebbe che una visione metaforica dell’orgasmo
allucinatorio raggiunto attraverso tale pratica.
Poi si è lungamente soffermato su
uno dei temi principali del suo ultimo film, ma anche di tante
altre sue opere, ovvero il difficile, se non impossibile, rapporto
tra uomo e donna, ma anche sull’ipocrisia che a suo avviso è insita
nella convivenza quotidiana tra esseri umani, molte volte basata su
una subdola forma educazione superficiale quasi sempre malcelata. A
proposito di tali dichiarazioni non si può non pensare ai rapporti
degenerati tra condomini bellicosi de La
Comunidad, o quello che avveniva tra i commessi del
grande magazzino de El Crimen Perfecto.
Alex De la Iglesia definisce gli esseri umani
degli animali feroci, ma stupidamente intelligenti, che stentano a
convivere e faticano a non sbranarsi l’uno con l’altro.
Torna poi nuovamente a sottolineare
la dipendenza inconsapevole degli uomini dalle donne e il continuo
loro bisogno di fare ritorno a l’utero materno e sentenzia beffardo
che l’egoismo e la sopravvivenza sono la vera natura dell’amore e
ciò che di conseguenza alimenta l’animo di tutti i suoi personaggi
e motore di molte delle sue storie.
Alla domanda di come faccia ad avere
uno stile così particolare e riconoscibile, lui semplicemente
risponde che quello è il suo occhio e che naturalmente lui racconta
ciò che lo circonda. Afferma che quella che si vede nei suoi film è
la sua visione della vita, senza sforzarsi di voler costruire una
sua originalità autoriale. Un buon regista, sostiene, deve essere
come un barman, ovvero bravo a miscelare gli ingredienti già
esistenti, senza dover necessariamente inventare chissà cosa. E’
convinto che non esista l’innovazione, ma che tutto è ricordo del
futuro, che le idee differenti tra loro lottano, ma al tempo stesso
si sostengono. Dice che andare avanti, significa guardare
indietro.
In conclusione e in maniera
simpaticamente provocatoria si autodefinisce un immorale e
prostituto mentale, che farebbe di tutto per soldi, ma ride
sornione, e noi sappiamo bene che non è così.