In In Trance Simon
(James
Mc Avoy) è un giocatore d’azzardo patologico che
lavora in una prestigiosa casa d’aste specializzata in quadri
d’autore. Indebitato fino all’inverosimile stringe un patto con
Franck (Vincent
Cassel) un pericoloso criminale che si offre di
saldare tutti i suoi debiti di gioco in cambio della complicità in
un furto di un preziosissimo dipinto di Goya. Simon accetta, ma
durante il colpo qualcosa va storto e in seguito ad un violento
colpo alla testa perde il ricordo del nascondiglio del
capolavoro.
Appurato, con feroci torture, che
non si tratta solamente di un trucco o di una finzione per tenere
per sé il quadro, Franck affida Simon alla terapia ipnotica della
dottoressa Elizabeth (Rosario
Dawson), nella speranza di scavare nel profondo della
sua psiche e ritrovare così il prezioso bottino.
In In
Trance di Danny Boyle si respira una
stramba aria di deja-vu, che come in una seduta di ipnosi
cinematografica riporta la mente verso altri film. Si viene così a
creare un singolare melange tra Wanted di
Timur Beckmanbatov e
La Migliore Offerta di Giuseppe
Tornatore; sarà un po’ per il mondo delle case d’aste, per
i capolavori d’arte, o per le figure femminili che sembrano ordire
complicati giochi del destino nei confronti di uomini accecati
dalla passione, o forse per la caratterizzazione dello sfigato di
turno, magistralmente interpretato da
McAvoy. Certo, in tutto questo c’è anche tanto Boyle,
attraverso una serie di stilemi di sicura riconoscibilità, ma
nonostante una regia ritmata ed una trama prevedibile (anche se
contorta e a tratti estremamente complessa) In
Trance appare come un mero esercizio di stile.
Le scenografie sono splendide è la
fotografia patinata di Anthony Dod Mantle è
perfetta. Con un sapiente uso di ottiche corte ed inquadrature
fuori bolla, Boyle crea un piacevole ritratto di una Londra
degradata, fatta di vecchie fabbriche abbandonate, di linee
sopraelevate della metropolitana che incastonano ristoranti
incantevoli, di palazzi di vetro che ospitano appartamenti
lussuosi, di parcheggi sotterranei custodi di sanguinosi
segreti.
Funziona egregiamente
lo sconfinamento tra reale ed irreale e tra presente e passato,
attraverso una serie di incursioni ipnotiche nella mente del
protagonista. Si toccano le corde del sogno, della passione, della
violenza, fino a ad arrivare ad un sottile erotismo teorizzato
attraverso lo studio dei corpi nudi nella storia dell’arte (quasi
ci fosse Peter Greenaway ad imbastire tale
contenuto), ma poi si arriva ad alcuni momenti forse un po’ troppo
splatter per il tono generale del film.
James McAvoy,
Vincent Cassel e
Rosario Dawson caratterizzano bene i loro
personaggi, stritolati in un triangolo sentimentale e criminale,
caricandoli di sfumature espressive funzionali, ma forse scontate,
già viste, un po’ compiaciute, che sicuramente contribuiscono a
tirare in anticipo le somme sull’intricata storia.
In Trance è
tutto sommato un film godibile, che tiene alta l’attenzione fino
alla fine, ma molto lontano dal Boyle di The
Millionare, di 28 Giorni Dopo
e soprattutto di quel Trainspotting che
impose il regista britannico all’attenzione di pubblico e
critica.