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Friedkin Uncut, documentario del giovane regista/documentarista Francesco Zippel, è stato presentato nella sezione Venezia Classici alla 75esima edizione della Mostra del Cinema.
William Friedkin come non lo avete mai visto, simpatico, allegro e goliardico, il papà de L’Esorcista si mette a nudo in un documentario colmo di interviste dei grandi nomi dei protagonisti del cinema, tutti vogliosi di lasciare una testimonianza di cosa rappresenti il lavoro del regista per loro. Testimonianze di Francis Ford Coppola, Quentin Tarantino, Wes Anderson, Matthew McConaughey e molti altri, impreziosiscono questo viaggio all’interno della carriera di Friedkin facendoci scoprire l’uomo dietro l’artista.
Abbiamo incontrato Francesco Zippel che firma la regia di questo lungometraggio e che ha passato con Friedkin circa un anno tra Stati Uniti e Italia.
Come è nata la vostra collaborazione?
“Ho conosciuto il regista due anni fa quando mi ha chiesto di collaborare con lui come producer per il suo ultimo film su Padre Amorth. Mentre eravamo insieme a Los Angeles, per finire il montaggio, ogni giorno, a pranzo o durante una pausa, raccontava episodi e aneddoti incredibili. Tutti hanno iniziato a dirgli che avrebbe dovuto fare un documentario, così mi sono subito proposto. Con mio grande stupore, ha accettato subito. I tempi sono stati lunghi, soprattutto per via di tutte le interviste che ho voluto realizzare e gran parte dei miei intervistati era su un set, ma nessuno mi ha dato un no come risposta. Matthew McConaughey mi ha addirittura chiesto di aspettarlo perché doveva molto della sua carriera al regista.”
C’è un altro aneddoto simpatico che ci puoi raccontare?
“Per esempio Quentin Tarantino vive nella casa di Los Angeles che fu di Friedkin negli anni ’70, l’intervista che vedete nel documentario, è stata girata nella sua sala cinema privata ricavata dal vecchio garage di casa. Oltretutto Tarantino è un grande fan e ha una collezione esclusivamente in pellicola, perché odia il digitale, di tutti i suoi film che custodisce gelosamente.”
Che cos’è il male per questo regista?
“Il male per lui è una curiosità. Qualsiasi scelta artistica possa aver fatto nella sua carriera è sempre stata generata da una curiosità specifica nei confronti di qualcosa. Il male per lui è il modo in cui ognuno di noi può decidere di comportarsi o di indirizzare la propria esistenza, è uno degli elementi ontologici che a lui interessano, al quale lega anche l’aspetto religioso. Spesso nelle sue opere lega il bene al male e a come ognuno di noi interpreti questi sentimenti, è un’analisi del male che nasce dalla sua sete di conoscenza e curiosità sugli innumerevoli aspetti della vita”.
L’Esorcista è ancora un evergreen?
“Ellen Burstyn mi ha detto che di film dell’orrore che vogliono a tutti i costi spaventare ne vediamo tanti negli ultimi tempi, ma quello che differenzia le opere di Friedkin, come detto anche da Wes Anderson, è che nei suoi film non accade nulla di particolare, c’è un racconto veristico molto semplice, poi ad un certo punto la narrazione ha un twist degenerativo e tutto si evolve in maniera inaspettata. Questa caratteristica, unita all’idea che ognuno di noi ha del male e di quello che può innestarsi nell’animo e nella testa delle persone, credo sia un elemento stimolante. Per questo ancora oggi L’Esorcista è un evergreen.”






Valerio Aprea ha indossato l’armatura dell’armadillo, confessando di essersi sentito addosso una responsabilità enorme, facendo un esempio dalla sua esperienza personale: “Io sono grande amante di Asterix e Obelix, e quando vidi per la prima volta un cartone animato di quel fumetto, rimasi turbato anche solo dalla voce dei personaggi. Per cui capisco perfettamente la responsabilità di portare in vita un fumetto così famoso e amato. Spero di non fare la fine dell’attore che ha interpretato Jar-Jar Binks in
“Il successo di un’opera è il risultato di tantissimi elementi – ha poi continuato Costanzo, in merito al successo planetario de L’Amica Geniale – Questa è la storia di un’amicizia epica, ma non basta, una storia che dal locale si spinge all’esterno, all’universale, ma nemmeno basta, una storia sull’educazione, ma nemmeno basta questo. Il romanzo di Elena Ferrante riesce a raccogliere una coerenza interna alla storia che le permette di potersi avvicinare al tutto, ovvero raccontare un universo-mondo, ma rimanere molto coerente a quel famoso nucleo. Questo è un miracolo letterario drammaturgico e un’occasione per noi che avevamo questo materiale di partenza. Si potrebbe dire che il successo viene dai sentimenti raccontati. In realtà è anche una storia che trova il suo innesco nel personaggio della maestra di scuola elementare, dunque si può dire che una maestra ti cambia la vita. E in questo concetto si trova la modernità dell’opera, perché L’amica geniale è un’opera profondamente politica e nel momento in cui incontri una maestra, la straordinaria Dora Romano, può cambiare la vita di due bambine ti accorgi sia del valore dell’educazione nella formazione dell’anima di una persona, il valore della conoscenza e ti accorgi attraverso i sentimenti che stai guardando un’opera contemporanea.”


A Reilly e Phoenix si aggiungono anche gli ottimi