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La ricerca della felicità: 10 cose che non sai sul film

la ricerca della felicità

La ricerca della felicità è uno di quei film che ha goduto di un enorme successo nel 2006, anno d’uscita, e anche in quelli a venire, riuscendo a colpire il cuore degli spettatori di tutto il mondo.

Questo film non fa altro che raccontare una storia vera e narrare come non ci si debba mai abbattere durante la ricerca della propria felicità, cercando di combattere tutti gli ostacoli che si possono trovare sul cammino.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su La ricerca della felicità.

La ricerca della felicità film

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1. I senzatetto del film erano reali. La ricerca della felicità racconta i giorni di intensa povertà provati da Chris Gardner e da suo figlio, costretti a vivere nella zone più povere di San Francisco. In queste scene, i senzatetto che si vedono sono autentici e, per apparire nel film, sono stati pagati più di otto dollari l’ora e gli sono stati offerti i pranzi. Per alcuni di loro quelli erano i primi soldi che non vedevano da tanto tempo.

2. Sono stati assunti dei professionisti. In La ricerca della felicità, il personaggio di Will Smith gioca spesso al cubo di Rubik. Per far sì che l’attore fosse in grado di risolverlo in meno di due minuti, sono stati ingaggiati i campioni Tyson Mao, Toby Mao e Lars Petrus che gli hanno insegnato le tecniche giuste.

3. Muccino è stato voluto da Will Smith. Sembra che l’attore americano, che per La ricerca della felicità è stato anche produttore del film, oltre che esserne il protagonista, abbia scelto Gabriele Muccino per la regia dopo aver visto L’ultimo bacio (2001) e Ricordati di me (2003).

La ricerca della felicità streaming

4. Il film è disponibile per lo streaming digitale. Chi volesse vedere o rivedere La ricerca della felicità, è possibile farlo grazie alla sua presenza sulle diverse piattaforme di streaming legale digitale, come Rakuten Tv, Chili, Infinity e Netflix.

La ricerca della felicità frasi

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5. Sono molte le frasi indimenticabili. Non sono tanti i film che riescono ad entrare nell’immaginario collettivo delle persone e che riescono a rimanere ancorati anche con poche frasi. Questo, però, è il caso de La ricerca della felicità ed ecco qualche esempio:

  • Hey! Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok? Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto. (Chris)
  • Fu in quel momento che cominciai a pensare a Thomas Jefferson, e alla dichiarazione d’indipendenza, quando parla del diritto che abbiamo alla vita, libertà e ricerca della felicità, e ricordo di aver pensato, come sapeva di dover usare la parola ricerca. Perché la felicità è qualcosa che possiamo solo inseguire, e che forse non riusciremo mai a raggiungere, qualunque cosa facciamo, come faceva a saperlo?! (Chris)
  • Sono stato seduto là fuori per mezz’ora cercando di trovare una storia per giustificare il fatto di essere venuto qui vestito in questo stato. E ho cercato di pensare a una storia in grado di dimostrare delle qualità che sono sicuro voi apprezziate qui, come l’essere volenterosi, essere precisi, avere un obiettivo, fare gioco di squadra, ma non m’è venuto niente in mente. (Chris)
  • Uh però… Senta avrei due domande da farle. Che lavoro fa? E come si fa? (Chris)
  • Sei un bravo papà. (Chris Jr.)

La ricerca della felicità libro

6. Il film si basa su un libro di memorie. La ricerca della felicità racconta la storia vera di Chris Gardner, autore dell’omonimo libro autobiografico, pubblicato nel maggio del 2006. È proprio questo libro ad essere la base del film e raccontare la sua ricerca per la felicità.

7. Il titolo è volutamente sbagliato. Sia nel libro che nel film, il titolo originale ha un errore voluto. In The Pursuit of Happyness la y è voluta per il semplice fatto che questa parola appariva scritta alla stessa maniera sul muro esterno dell’asilo nido di Chris Jr.

8. Alcuni elementi sono stati cambiati. Il film, che racconta una storia vera, si basa anche su un omonimo libro e presenta dei fatti diversificati. Per esempio, il tirocinio di Gardner non era non pagato: in realtà, egli riceveva uno stipendio abbastanza modesto. Tra le altre differenze, il protagonista e la madre del figlio non si sono mai sposati, così come l’età del figlio che, nel libro, era un infante, mentre nel film ha cinque anni.

La ricerca della felicità cast

9. Il vero Chris Gardern appare nel film. Alla fine de La ricerca della felicità, è possibile notare il cameo del vero Garden. Nella fattispecie, svolge il ruolo di un passante, vestito con un completo, mentre incrocia lo sguardo di Will Smith.

10. Un rapporto tra padre e figlio non solo di finzione. In questo film viene raccontato anche il rapporto che esiste tra Chris e il figlio Chris Jr. di soli cinque anni. In questo caso, il legame tra i due era anche reale, dato che i protagonisti erano proprio Will Smith e suo figlio Jaden.

Fonti: IMDb

 
 

La ricerca della felicita’ stasera in prima serata

Andrà in onda in prima serata su Rete 4 il film La ricerca della felicita’ con protagonista Will Smith.

Il film diretto da Gabriele Muccino racconta Christopher Gardner (Will Smith), rappresentante di apparecchiature mediche che rimane senza lavoro. Abbandonato dalla moglie e con un figlio a carico (Jaden Smith) e’ costretto a vivere da barbone. La sua tenacia e la sua forza di volonta’ lo porteranno a raggiungere la felicita’, anche per pochi minuti?

È ispirato alla vita di Chris Gardner, imprenditore milionario, che durante i primi anni ottanta visse giorni di intensa povertà, con un figlio a carico e senza una casa dove poterlo crescere. Egli appare nella scena finale del film, in un cameo, mentre attraversa la strada in giacca e cravatta, incrociando lo sguardo con Will Smith.

Il regista Gabriele Muccino fu scelto da Will Smith, produttore del film, dopo aver visto L’ultimo bacio, segnalatogli dalla collega Eva Mendessul set di Hitch.

Il film ha riscosso un notevole successo negli USA, dove ha incassato 162 milioni di dollari. In Italia ha incassato 15,5 milioni di euro e un totale di circa 307 milioni di dollari in tutto il mondo.

 
 

La religiosa: recensione del film di Guillaume Nicloux

La religiosa è un film del regista francese Guillaume Nicloux che uscirà nelle sale italiane a partire dal prossimo 27 giugno. Tratto dall’omonimo romanzo di Denis Diderot, La religiosa narra la storia di una giovane donna che lotta e si batte per non sottostare alle regole e alle imposizioni di una società, quella francese di metà ‘700, in cui alle donne era preclusa qualsiasi possibilità di arbitrio.

In La religiosa la giovane e graziosa Suzanne (Pauline Etienne) è l’ultima di tre figlie di una nobile famiglia in precarie condizioni economiche. Dotata di un naturale talento musicale e di una solida e convinta fede religiosa Suzanne viene, contro la sua volontà, destinata ad una vita monastica, non potendo la famiglia accasare anche lei come le due sorelle maggiori. Non avvertendo nessuna vocazione, Suzanne si ribellerà da subito a quel tipo di vita a cui si sente condannata ma dovrà affrontare e subire innumerevoli prove ed umiliazioni a cui le gerarchie ecclesiastiche la sottoporranno per farla recedere dal suo intento di libertà.

La religiosa, il film

Sostenuta da una fede solida, convinta e sincera, pura e disincantata, ma priva di una particolare vocazione tonacale, Suzanne non accetta di rinunciare alla propria vita e alla possibilità di conoscere il mondo.

Sulla strada che separa Suzanne dal suo intento di rinunciare ai voti, la ragazza incontrerà personaggi diversi che in modo diverso cercheranno di farla recedere da tale proposito: dalla paziente ed affettuosa madre superiora Madame de Moni (Francoise Lebrun), che tenterà con la dolcezza di risvegliare nella ragazza quella vocazione che essa nega di avere, alla sadica e spietata Suor Christine (Louise Bourgoin) che, succeduta a Madame de Moni, sottoporrà Suzanne a terribili umiliazioni. Quindi, una volta trasferita al convento di St, Eutrope, Suzanne farà la conoscenza di una nuova madre superiora (Isabelle Huppert) che maturerà verso la ragazza una predilizione morbosa che presto si trasformerà in una disperata ed incontrollabile passione.

La religiosa è un film che parla di fede ma sopratutto di libertà, la libertà di essere padroni della propria vita e delle proprie scelte; un film che presenta una società patriarcale in cui alle donne era negato questo diritto di scelta sia che fossero destinate al velo monacale o ad un matrimonio di convenienza.  Guillaume Nicloux presenta un film molto intenso e carico di tensione emotiva, concentrandosi volutamente sui tormenti interiori di una giovane donna che non accetta di vivere una vita non sua e che risalta, in un ambiente ecclesiastico, per la propria religiosità sincera e pura, ma che vuole vivere in modo onesto.

la religiosa film

Un film che tratta temi attuali o attualizzabili in una società, quella contemporanea, in cui forse le donne non hanno ancora compiuto quel percorso di emancipazione totale che può permettere loro una reale libertà di scelte. Indubbiamente le tematiche narrative dovettero apparire alquanto audaci e sconvenienti alla Francia di metà ‘700 quando Diderot scrisse questo libro, figlio di una nuova ventata culturale illuminista di cui l’autore è tra i principali esponenti.

La religiosa è un film ben diretto da Nicloux che ha curato con mirabile precisione ogni dettaglio scenografico e costumistico, ottenendo un’ambientazione estremamente fedele ed efficace; una regia varia e funzionale che in determinate sequenze opta per la telecamera a mano in modo da conferire, volutamente, un maggiore realismo e coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore.

Ottime interpreti tra cui spicca l’interpretazione particolarmente profonda della giovane protagonista Pauline Etienne e della ben più esperta Isabelle Huppert straordinaria nell’impersonare una madre superiora divorata da una passione inappagabile e contraria al proprio ruolo di guida spitituale.

 
 

La regola del sospetto: trama, cast e curiosità sul film

La regola del sospetto film

I thriller di spionaggio sono da sempre un genere di film particolarmente apprezzati dal grande pubblico, fondamentalmente per il loro possedere, nei casi migliori, delle storie particolarmente complesse e dai risvolti imprevedibili. Due regole sono sempre valide in questo tipo di film, ovvero “niente è come sembra” e “non fidarsi di nessuno”. Questi stessi principi sono alla base anche di La regola del sospetto, titolo del 2003 scritto da Roger Towne, Kurt Wimmer e Mitch Glazer e diretto da Roger Donaldson, celebre anche per altri titoli simili come Senza via di scampo, La rapina perfetta e The Novembre Man.

Costato circa 46 milioni di dollari, La regola del sospetto si affermò come un buon successo al box office, arrivando ad un incasso complessivo di oltre 100 milioni di dollari a livello globale. Ciò a riprova di come questo genere di film attragga sempre molto pubblico al cinema, specialmente se nella pellicola vi recitano celebri attori come in questo caso. Differente è invece stata l’accoglienza della critica e della CIA. Agenti di quest’ultima, infatti, hanno definito il film molto poco realistico ma comunque godibile. Il film di Donaldson è dunque un titolo che si prende le sue libertà, offrendo però buon intrattenimento.

Per gli appassionati del genere è dunque un titolo da riscoprire, sia per la sua trama non sempre prevedibile sia anche solo per gustarsi le interpretazioni di due celebri attori, tra cui un premio Oscar, i quali impreziosiscono non poco l’intera pellicola. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La regola del sospetto: la trama del film

Protagonista del film è James Clayton, giovane genio dell’informatica che viene notato dal reclutatore della CIA Walter Burke, il quale lo convince ad entrare a far parte dell’Agenzia. Durante i duri mesi di addestramento passati in un luogo isolato, che gli appartenenti all’organizzazione chiamano “la Fattoria”, James imparerà due fondamentali regole del mestiere, ossia “niente è ciò che sembra” e “non fidarsi di nessuno“, dimostrando di essere uno dei migliori aspiranti al posto di agente segreto, almeno secondo le necessità di Walter Burke. Dopo un test apparentemente fallito, James viene dunque contattato da quest’ultimo, che gli affida la sua prima ed importante missione.

James dovrà investigare sulla collega Layla e sventare una possibile fuga di notizie. Secondo Burke, infatti, la donna è una spia infiltratasi all’interno dell’agenzia e intenzionata a copiare Ghiaccio Nove, un potente programma informatico top secret. Data la sempre crescente attrazione di James nei confronti di Layla, però, il giovane si ritroverà ben presto invischiato fra sospetti, pericoli e dubbi che lo porteranno a dubitare dello stesso Burke. Deciso ad andare fino in fondo alla vicenda, James comprenderà quanto sia vero il principio di non doversi fidare di nessuno.

La regola del sospetto cast

La regola del sospetto: il cast del film

Ad interpretare l’agente James Clayton vi è l’attore Colin Farrell, il quale ha raccontato di essersi preparato al ruolo incontrando veri agenti della CIA. Parlando con loro ha potuto non solo apprendere meglio il ruolo dell’agente, ma ha anche potuto imparare anche alcuni segreti del mestiere. Farrell ha poi apportato al personaggio anche alcune sue idee, come quella di fargli dire, durante un tentativo di seduzione, la battuta “sono appena uscito di galera”. Una frase che l’attore ha dichiarato di aver realmente usato in una circostanza simile. Inoltre, le foto che nel film ritraggono James e il padre sono vere foto di Farrell con suo padre.

Accanto a lui, nel ruolo del mentore e agente CIA Walter Burke vi è invece il premio Oscar Al Pacino, il quale accettò il ruolo poiché interessato dagli aspetti più controversi e meno ortodossi. Ad interpretare Layla, l’agente su cui James è chiamato a investigare, vi è invece Bridget Moynahan. L’attrice è nota principalmente per aver recitato in film come Le ragazze del Coyote Ugly, Io, robot e nei film John Wick e John Wick – Capitolo 2. Al film partecipano anche gli attori Gabriel Macht nel ruolo di Zack e Kenneth Mitchell in quelli di Alan.

La regola del sospetto: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di La regola del sospetto grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Now, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 8 aprile alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

 
 

La Regola del gioco: recensione del film con Jeremy Renner

La Regola del gioco

Gary Webb è un autorevole giornalista che pubblica una serie di articoli in cui si dimostra il coinvolgimento della CIA nel traffico di droga dal Nicaragua alla California, i cui profitti servivano per armare i ribelli Contras. Ma nonostante gli avvertimenti di boss della droga e agenti della CIA, Webb continua ad indagare facendo cominciare una campagna diffamatoria che colpirà anche la sua famiglia.

Michael Cuesta dirige La Regola del gioco – o Kill the Messenger – film tratto dalla storia vera di Cary Webb. Se il thriller giornalistico (o meglio d’inchiesta americano) è noto al mondo cinematografico, valorizzato da pellicole quali Tutti gli uomini del Presidente, o tratto da romanzi quali Rapporto Pellican per arrivare al recentissimo State of Play. La storia del regista statunitense usa il consueto registro visivo (pulito e di servizio) solo per i primi 40 minuti del film dove i titoli di testa sono un mezzo per introdurre l’argomento trattato e di conseguenza delineare il personaggio e la storia. Quindi il punto di vista è a servizio dello spettatore che apprende la verità insieme a Webb, immedesimandosi con le sue reazioni e i suoi pensieri.

Ma non appena vengono allargati “gli orizzonti geografici” la storia si caratterizza di un sistema più grande che ci mostra l’inadeguatezza e la tensione del nostro giornalista, caratterizzando intere sequenze con camera a mano che dai primi piani seguono le ansie del reporter che oltre ad enfatizzare il leitmotiv ridimensionano la figura dell’idealismo in una chiave meno eroica e più umana, meno impavida e più consapevole dei rischi e quindi dando la possibilità di far divenire il protagonista attivo non solo sulla storia ma anche emanatatene, senza risparmiare le varie riflessioni sul sistema giornalistico contemporaneo, dal rapporto con i poteri forti fino alle figure della redazione.

La Regola del gioco

Cuesta riesce quindi a raccontare obiettivamente la storia, senza cercare facili soluzioni o cliché e riportando Jeremy Renner al dramma che lo ha traghettato al successo prima che venisse fagocitato dai vari franchising cinematografici. Quindi oltre alle ellissi e iperbole la storia riesce ad emozionare lo spettatore conservando uno sguardo critico su una storia controversa che non è mai stata chiarita a seguito degli scandali del Presidente Clinton e riguardo alle reali sorti di Webb.

Seppur rimanga un racconto che vacilla nello stereotipo, come dimostra la scelta del cast: Barry Pepper nel ruolo del procuratore di stato, Andy Garcia in quello del narcotrafficante-gangster sudamericano, Ray Liotta in quello “dell’eminenza grigia” che vive lontano dal sistema dopo averlo costruito, Michael Sheen nel ruolo di un mentore “anonimo”, Rosemarie DeWitt in quello della moglie remissiva ed infine Paz Vega nella “femme fatale”. Anche il finale, affrettato e brusco, trova il suo scopo, far riflettere lo spettatore e persino invogliarlo a informarsi sull’argomento.

 
 

La regista di Twilight non ricorda l’audizione di Jennifer Lawrence

The Twilight Saga: New Moon

La regista di Twilight Catherine Hardwicke ha detto di non ricordare la maggior parte delle attrici che hanno fatto il provino per la parte di Bella Swan nella serie di film Twilight.

In un episodio del podcast Happy Sad Confused di Josh Horowitz , alla regista è stato chiesto se si ricorda quando attrici famose come Jennifer Lawrence e Brie Larson hanno provato per il ruolo. La regista ha detto che non è sicura di aver assistito al provino di Jennifer Lawrence, dato che avrebbe voluto che Kristen Stewart interpretasse Bella fin dall’inizio della produzione.

Vedi, non so se sono effettivamente venuti a trovarmi“, ha dichiarato Hardwicke. Non sono sicuro. Non potevo garantirlo. Molto presto, avevo gli occhi puntati su Kristen [Stewart]. Appena ho visto Into the Wild ho pensato: “Penso che sia lei”. Quindi potrebbero aver visto tutte queste altre persone, ma poi ero semplicemente concentrato come il laser, “La voglio”. Non appena l’ho incontrata e sono andato là fuori e ho trascorso quel tempo quel fine settimana, ho pensato: “Ce l’ha fatta”. Nessuna stronzata, non agirà mai in modo eccessivo, ha quell’angoscia… ovviamente, il suo viso è luminoso.’ La macchina da presa, puoi riprendere qualsiasi cosa e lei è fantastica.

Di cosa parlava Twilight?

La studentessa liceale Bella Swan (Kristen Stewart), sempre un po’ disadattata, non si aspetta che la vita cambi molto quando si trasferisce dalla soleggiata Arizona al piovoso stato di Washington“, si legge nella sinossi del primo film. “Poi incontra Edward Cullen (Robert Pattinson), un adolescente bello ma misterioso i cui occhi sembrano scrutare direttamente nella sua anima. Edward è un vampiro la cui famiglia non beve sangue, e Bella, lungi dall’essere spaventata, inizia una pericolosa storia d’amore con la sua anima gemella immortale.

 
 

La Regina degli Scacchi doveva essere l’esordio alla regia di Heath Ledger

Il co-creatore de La Regina degli Scacchi, Allan Scott, ha ottenuto i diritti del libro e ha iniziato a scrivere una sceneggiatura per la serie Netflix quasi trent’anni fa, e sembra che il suo incontro con Heath Ledger fu un momento fondamentale per il progetto. Scott infatti scelse proprio Ledger come regista per il film, che avrebbe dovuto essere quindi l’esordio alla regia dell’attore e avrebbe dovuto avere Ellen Page nei panni della protagonista.

“[Heath Ledger] ne era appassionato; era un giovane intenso e interessato e fui subito attratto da lui. Abbiamo parlato e parlato del progetto al telefono, e poi alla fine siamo riusciti a incontrarci.” ha dichiarato Scott.

Secondo The Independent, il piano originale prevedeva che l’attore facesse il suo debutto alla regia alla fine del 2008 con The Queen’s Gambit. Sarebbe stato un progetto intrigante e di alto profilo per Heath Ledger dopo la sua interpretazione di Joker ne Il Cavaliere Oscuro. Come sappiamo, purtroppo, le cose sono andate diversamente, visto che Heath Ledger si è spento a gennaio del 2008.

Il film mai realizzato su La Regina degli Scacchi

“Ho scritto bozza dopo bozza e lui ha dato il suo contributo – ha continuato Scott – ci siamo incontrati diverse volte a New York e qui, dove trascorreva molto del suo tempo. Eravamo arrivati ​​al punto in cui avevamo inviato la sceneggiatura a Ellen (Page). Heath era pieno di idee per il resto del cast, principalmente dalla sua lista di amici attori. Avevamo intenzione di fare un film alla fine del 2008.”

Come sappiamo il film non è stato mai realizzato, ma la miniserie sta avendo un successo travolgente su Netflix, dove detiene il primo posto dei titoli più visti da oltre un mese.

 
 

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, trailer della serie spin-off

Oggi Netflix e Shondaland hanno svelato il trailer, il poster e le nuove immagini di La regina Carlotta: una storia di Bridgerton, il prequel dell’omonima serie.

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton, la trama

Dedicato all’ascesa al potere della regina Carlotta, questo prequel dell’universo Bridgerton racconta come il matrimonio della giovane regina con il Re Giorgio abbia rappresentato non solo una grande storia d’amore, ma anche un cambiamento sociale, portando alla nascita dell’alta società inglese in cui vivono i personaggi di Bridgerton.

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton è una miniserie ideata e scritta da Shonda Rhimes, diretta e prodotta da Tom Verica, che ha come produttore esecutivo Betsy Beers. Ne Cast figurano Golda Rosheuvel (regina Carlotta), Adjoa Andoh (Lady Danbury) e Ruth Gemmell (Lady Violet Bridgerton) riprendono i loro ruoli di Bridgerton in questa miniserie. India Amarteifio (Line of Duty) interpreta la regina Carlotta da giovane, Michelle Fairley (Gangs of London) la principessa Augusta, Corey Mylchreest (The Sandman) il giovane re Giorgio, e Arsema Thomas la giovane Agatha Danbury. Nel cast anche Sam Clemmett (Harry Potter e la maledizione dell’erede – West End and Broadway, The War Below) nei panni del giovane Brimsley, Freddie Dennis (The Nevers) in quelli di Reynolds e Richard Cunningham (The Witcher) in quelli di Lord Bute. Infine, Tunji Kasim (Nancy Drew) interpreta Adolphus, Rob Maloney (Casualty) il medico reale, Cyril Nri (Cucumber) Lord Danbury, e Hugh Sachs (Bridgerton 1 e 2) Brimsley (da anziano).

 
 

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, teaser trailer della serie spin-off

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton

Netflix ha rilasciato il primo teaser trailer di La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, l’imminente prequel del popolare dramma romantico dello streamer. La serie limitata sarà disponibile per lo streaming il 4 maggio. Il video mette in luce il matrimonio combinato tra la regina Charlotte e il re Giorgio, la cui storia d’amore cambierà il mondo. Prende in giro anche l’ascesa al potere senza precedenti di Charlotte mentre si assicura con sicurezza la sua posizione.

Questo prequel dell’universo di Bridgerton è incentrato sull’ascesa al potere e alla fama della regina Carlotta. La serie racconta come il matrimonio della giovane regina con re Giorgio sia alla base di una grande storia d’amore e di un cambiamento sociale grazie al quale è nato il mondo dell’alta società di Bridgerton.

La serie limitata si basa sulle origini della figura storica Queen Charlotte. Sebbene la serie sia incentrata sull’ascesa e sulla vita amorosa di una giovane regina Charlotte, si concentrerà anche su Violet Bridgerton e Lady Danbury.

“Incentrato sull’ascesa alla ribalta e al potere della regina Charlotte, questo prequel in versi di Bridgerton racconta la storia di come il matrimonio della giovane regina con re George abbia scatenato sia una grande storia d’amore che un cambiamento sociale, creando il mondo del Ton ereditato dai personaggi di Bridgerton ”, si legge nel logline.

Nel cast anche India Amarteifio (Line of Duty) nei panni di una giovane regina Charlotte, Arsema Thomas nei panni della giovane Lady Agatha Danbury, Corey Mylchreest (Sandman) nei panni di un giovane re Giorgio e la veterana di Game of Thrones Michelle Fairley nei panni della principessa Augusta.

Il cast aggiuntivo include Sam Clemmett ( Harry Potter e la maledizione dell’erede ) nei panni di Young Brimsley, Richard Cunningham ( The Witcher ) nei panni di Lord Bute, Tunji Kasim ( Nancy Drew ) nei panni di Adolphus, Rob Maloney ( Casulty ) nei panni del dottore reale, Cyril Nri ( Cucumber) ) come Lord Danbury, e Hugh Sachs ( Bridgerton  Stagioni 1 e 2) come Brimsley (vecchio). La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton è stato creato e scritto da Shonda Rhimes, che è anche la showrunner. I produttori esecutivi del prequel sono Rhimes, Betsy Beers e Tom Verica.

 
 

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton, recensione della nuova serie Shondaland

La regina Carlotta - una storia di Bridgerton recensione
Queen Charlotte: A Bridgerton Story. (L to R) India Amarteifio as Young Queen Charlotte, Corey Mylchreest as Young King George in episode 101 of Queen Charlotte: A Bridgerton Story. Cr. Liam Daniel/Netflix © 2023

Dopo il successo travolgente di Bridgerton, non ha sorpreso nessuno che Netflix, mentre si appresta a realizzare altre sei stagioni della serie “regolare” tratta dai romanzi di Julia Quinn, abbia deciso di espandere l’universo della serie ucronica con uno spin off ambientato nel passato, e che racconta le origini de la Regina Carlotta.

Uno spin-off prequel che fa luce sulla serie regolare

Il punto di maggiore curiosità e interesse della serie originale era proprio la ricchezza etnica dell’alta società inglese nel periodo della Reggenza. I più attenti, ricorderanno che, nella prima stagione, il personaggio di Lady Danbury faceva un commento sibillino in merito al fatto che “quelli come lei”, ovvero quelli di un etnia diversa da quella caucasica, dovevano i loro privilegi alla scelta del re di sposare proprio Charlotte, una donna di colore. Ebbene, il cuore di La regina Carlotta: una storia di Bridgerton è proprio questo, ovvero una spiegazione delle ragioni che hanno portato al matrimonio reale e le motivazioni che hanno spinto la giovane e ribelle Carlotta ad abbracciare il suo ruolo di Regina e di moglie.

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton, la trama

La storia, dunque, si svolge prima degli eventi della serie regolare e ci presenta una giovanissima Carlotta, nobile delle colonie, che viene portata alla corte di Re Giorgio per sposare l’erede al trono e diventare la nuova Regina. La regina madre, però, mette subito in chiaro una cosa: questo matrimonio è un grande esperimento sociale di cui la Corona ha bisogno per tenere legato a sé tutto il Regno e tutti i suoi abitanti. Un matrimonio politico dunque, al quale Carlotta è costretta a sottostare. Quello che però la giovane donna non sa è che dietro alla mossa politica, che le è ben chiara, c’è un altro grande e oscuro segreto che la Corona tiene nascosto a tutto il Regno e che, se dovesse essere portato alla luce, causerebbe il crollo dell’Impero britannico.

La volubilità delle PI

La regina Carlotta - una storia di Bridgerton
Queen Charlotte: A Bridgerton Story. India Amarteifio as Young Queen Charlotte in episode 101 of Queen Charlotte: A Bridgerton Story. Cr. Liam Daniel/Netflix © 2023

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton è un altro, l’ennesimo in questi anni, esempio di come le Proprietà Intellettuali possano viaggiare da forma a medium, conservando la loro anima e di come un mondo si possa espandere, forzando i confini del mezzo con cui viene raccontato. Se con Bridgerton, Shonda Rhimes ha preso il lavoro di Julia Quinn e lo ha trasformato in una serie di sicuro successo, con la serie spin-off prequel, il processo è contrario: immaginata e scritta da Rhimes, la storia diventerà un libro firmato sempre da Quinn che arricchirà, anche in campo letterario, il mondo di Bridgerton.

E in effetti non si tratta soltanto di un arricchimento in meri aspetti di trama e di storie che vengono raccontate, ma La regina Carlotta: una storia di Bridgerton costituisce anche una nuance in più sulla palette delicata, romantica, appassionata e divertente di Bridgerton. La nuova serie si concede infatti anche dei toni più oscuri e degli argomenti molto importanti e attuali che vengono affrontati con serietà anche se mantenendo al centro un cuore romantico e commosso, che non tradisce la tradizione di Shondaland. Rhimes si dimostra infatti una grande narratrice che riesce a modellare la soap opera come nessun altra. Complice anche uno svolgimento narrativo coeso, essenziale, sviluppato su due piani temporali nell’arco di sei episodi ricchi e densi che non potranno fare altro che tenere altissima l’attenzione degli spettatori che avevano già amato Bridgerton.

La regina Carlotta: una storia di Bridgerton, il cast

Oltre a Golda Rosheuvel, Adjoa Anode e Ruth Gemmen che riprendono i ruoli rispettivamente della Regina Carlotta adulta, di Lady Danbury adulta e di Lady Bridgerton, che si muovono nella linea temporale del futuro (il presente della serie regolare), La regina Carlotta: una storia di Bridgerton vede protagonisti India Amarteifio, nei panni della giovane Carlotta, Corey Mylchreest in quelli di Re Giorgio, Arsema Thomas, nel ruolo di una irresistibile giovane Lady Danbury e soprattutto Michelle Fairley nei panni austeri della Principessa Augusta, madre del Re e decisa a proteggere suo figlio a tutti i costi.

La serie paga il giusto prezzo a tutto ciò che in questo momento storico va raccontato: dall’attenzione alla malattia mentale, all’integrazione etnica, al ruolo della donna rispetto al patriarcato e soprattutto a come la donna sia, anche in condizioni avverse, una creatura piena di risorse e di capacità, tali che le permettono di sopravvivere in qualsiasi situazione. La regina Carlotta: una storia di Bridgerton è anche però un genuino omaggio all’amore che trionfa su tutto e a come la dedizione e la forza di volontà possano, fino a un certo punto, vincerete qualsiasi difficoltà. Lo spin-off di Bridgerton si rivela, proprio come le due stagioni già disponibili della serie regolare, una storia d’amore che nasce da presupposti insoliti e ostili e che, in maniera forse troppo ingenua, trionfa, con un finale emozionante e buffo allo stesso tempo.

 
 

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la spiegazione del finale

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, la spiegazione del finale

Carissimo lettore, la serie spin-off di Bridgerton, La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton (Queen Charlotte: A Bridgerton Story, la nostra recensione), esplora la donna sotto la corona. Da giovane donna, interpretata da India Amarteifio, il passato illumina le sue lotte come nuova monarca e la ricerca della sua voce, aggiungendo un contesto alla regina del presente, interpretata da Golda Rosheuvel, per quanto riguarda la sua attuale fissazione di assicurare la sua linea di famiglia.

Il corso del vero amore non scorre mai liscio e, alla fine della stagione di sei episodi, il pubblico vede come la sua storia con Re Giorgio III (Corey Mylchreest) sia una guerra che lei continua a combattere sia che stia con lui sia che si separino. Senza ulteriori indugi, vediamo dove finiscono Charlotte e la sua corte alla fine della stagione.

Charlotte e George si nascondono insieme dal cielo

Dopo essere intervenuta e aver allontanato il Dr. Monro (Guy Henry), Charlotte si impegna a prendersi cura del benessere di George. Inizialmente, George cerca di allontanarla, ma Charlotte si oppone perché sa che lui la ama. Quando finalmente lui ammette di amarla disperatamente, i due tornano su un terreno solido, protetto dal loro amore.

Sebbene all’inizio George abbia dei giorni positivi, come essere al fianco di Charlotte alla nascita del figlio, cade anche in alcuni giorni negativi, come quando non riesce a scendere dalla carrozza per rivolgersi al Parlamento. Invece di sentirsi frustrata con George, Charlotte lo accoglie con compassione. Lo trova sotto il letto e va a sdraiarsi sotto il letto con lui. George cerca di dirle che non può darle il futuro che merita, ma lei gli assicura che insieme sono completi.

Invece di andare in Parlamento, Charlotte consiglia a George di portare il Parlamento da lui, organizzando un ballo a Buckingham House per festeggiare il figlio. George inizia a tremare mentre stanno per uscire, ma Charlotte lo tranquillizza tenendogli la mano, dicendogli di tenere gli occhi su di lei e ricordandogli che ci sono solo lui e lei.

Il ballo è un successo, al punto che la principessa Augusta (Michelle Fairley) ringrazia Charlotte per aver reso suo figlio davvero felice. Charlotte ha ora il controllo della situazione e Augusta si è ufficialmente ritirata dal ruolo di custode di George. Al termine del ballo, Charlotte dà al marito la notizia di essere di nuovo incinta. La loro famiglia sta crescendo ancora una volta, e alla fine comprenderà quindici figli. Hanno l’un l’altro, e questa è la cosa più importante per loro.

Ti amerò sempre

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton (Queen Charlotte: A Bridgerton Story)

Re Giorgio e la Regina Carlotta non sono stati l’unica coppia protagonista della serie spinoff: abbiamo seguito anche la relazione tra i rispettivi bracci destri, Reynolds (Freddie Dennis) e Brimsley (Sam Clemmett). Nel corso della prima stagione, i due hanno cercato di bilanciare le incongruenze di quando potevano passare del tempo insieme con la loro lealtà verso i rispettivi sovrani.

Sebbene il loro rapporto sia stato più volte scosso a causa della mancanza di fiducia, Reynolds e Brimsley tornano l’uno all’altra e sognano come sarebbe se potessero stare davvero insieme. Durante il ballo reale, i due si avvicinano di nascosto a una collina e ballano insieme mentre suona un’interpretazione di “I Will Always Love You” di Whitney Houston.

La scena passa al presente, dove un Brimsley più anziano (Hugh Sachs) sta ballando lo stesso ballo, ma questa volta da solo. Il suo momento di solitudine viene bruscamente interrotto quando viene annunciato che un visitatore è lì per la regina. Mentre guarda in lontananza, il pubblico si chiede cosa sia successo a Reynolds.

È morto o, a causa della permanenza della regina e del re in palazzi separati, anche loro sono rimasti separati? Sebbene il destino di Reynolds rimanga per ora ambiguo, possiamo aggrapparci alla sua osservazione del passato, secondo cui il grande amore può fare miracoli.

Un’amicizia in crisi?

La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton

Un altro sviluppo sorprendente nel corso di questa stagione di sei episodi è stato scoprire quanto Lady Danbury (Adjoa Andoh) e il suo passato si siano incrociati con Violet Bridgerton (Ruth Gemmell). In passato, Agatha (Arsema Thomas) ha trovato compagnia e una notte d’amore con il padre di Violet, Lord Ledger (Keir Charles). Attraverso il suo breve corteggiamento con il fratello di Charlotte, Adolphus (Tunji Kasim), Agatha si rende conto che non sarà in grado di amare un altro uomo come ha fatto con Ledger.

Al ballo del re e della regina a Buckingham House, si rende conto di non volersi risposare. Sebbene non debba più preoccuparsi della sua posizione in società, preferisce affrontare l’ignoto e respirare di nuovo da sola; Agatha rifiuta Adolphus. Dopo che Charlotte ne viene a conoscenza, la trova e, con la scusa di un finto castigo, assicura ad Agatha che il suo titolo rimarrà sicuro e che potrà sempre rivolgersi direttamente a lei per qualsiasi cosa.

Nel frattempo, nel presente, Violet scopre uno dei cappelli di compleanno del padre a casa di Lady Danbury. Quando inizialmente cerca di chiedere a Lady Danbury dell’uomo che ha fatto fiorire il suo giardino, Lady Danbury all’inizio è schiva, ma poi si spinge a dire che è stato Adolphus. Sebbene il suo corteggiamento nei confronti del fratello della regina sia tecnicamente vero, la donna continua a mentire per far desistere Violet. Purtroppo per lei, Violet non è convinta e tenta un approccio diverso.

Invita Lady Danbury a prendere un tè a Bridgerton House e fa esporre nella stanza tutti i suoi cappelli di compleanno, compresi quelli per i suoi numerosi figli nel corso degli anni. Violet sostiene che è ora di metterli via, ma Lady Danbury le dice di lasciarli fuori. Lady Danbury sa che Violet ha scoperto il suo passato con il padre di Violet, ma Violet porge il tè a Lady Danbury invece di affrontarla e le due amiche sorseggiano il loro tè in silenzio.

Un lieto fine degno di una regina

Nel presente, la Regina Carlotta si è concentrata esclusivamente sul fatto che i suoi figli si assicurino un erede per la loro famiglia. Nel corso della stagione, i suoi figli hanno cercato di opporsi ai desideri della madre, ma non sono riusciti ad affrontarla. Alla fine, il Principe Giorgio IV (Ryan Gage) e la Principessa Elisabetta (Sabina Arthur), a nome dei figli di Charlotte, si oppongono alla Regina esprimendo quanto sia stata crudele la corsa al bambino della madre.

Dalla mancanza di compassione dopo la morte della moglie e della figlia di Giorgio IV ai molteplici aborti spontanei di Elisabetta nel tentativo di procurarsi un erede, essi affermano che Charlotte è stata per loro più una regina che una madre. Charlotte si lamenta dei loro commenti, ma grazie a una conversazione aperta con Brimsley, si rende conto della validità delle loro affermazioni.

Non molto tempo dopo, suo figlio, il Principe Edward (Jack Michael Stacey) e sua moglie Victoria (Florence Dobson), fanno visita a Charlotte per dirle che sono incinta e che si aspettano che sia una femmina; ciò significa che la futura Regina Victoria è nel grembo materno e si prepara a fare il suo debutto. In risposta alla lieta notizia, Charlotte abbraccia il figlio in un raro momento di tenerezza.

Più tardi, Charlotte si reca a Kew per visitare il marito e dargli la notizia. Trova Giorgio III (James Fleet) nel bel mezzo di uno dei suoi episodi. Si infila sotto il letto e gli dice di seguirla per nascondersi insieme dal cielo. George la segue e, una volta sotto il letto, riconosce il suo amore e torna a essere “solo George”. Charlotte gli assicura che la sua stirpe continuerà a vivere, ma lui risponde che è la loro stirpe, non solo la sua. Si baciano e George osserva che Charlotte non ha superato il muro e Charlotte risponde amorevolmente che non è così. La stagione ha mostrato la storia spesso tumultuosa del loro matrimonio. Mentre molti all’esterno credono che Charlotte si limiti a tollerare il re, i loro ultimi momenti insieme rivelano che il loro amore è rimasto forte attraverso tutto questo.

Il giardino di Violet Bridgerton potrebbe “fiorire” di nuovo durante Bridgerton

Più tardi, Charlotte si reca a Kew per visitare il marito e dargli la notizia. Trova Giorgio III (James Fleet) nel bel mezzo di uno dei suoi episodi. Si infila sotto il letto e gli dice di seguirla per nascondersi insieme dal cielo. George la segue e, una volta sotto il letto, riconosce il suo amore e torna a essere "solo George". Charlotte gli assicura che la sua stirpe continuerà a vivere, ma lui risponde che è la loro stirpe, non solo la sua. Si baciano e George osserva che Charlotte non ha superato il muro e Charlotte risponde amorevolmente che non è così. La stagione ha mostrato la storia spesso tumultuosa del loro matrimonio. Mentre molti all'esterno credono che Charlotte si limiti a tollerare il re, i loro ultimi momenti insieme rivelano che il loro amore è rimasto forte attraverso tutto questo. Il giardino di Violet Bridgerton potrebbe "fiorire" di nuovo durante 'Bridgerton'

Dal finale di Queen Charlotte, ci proiettiamo nella terza stagione di Bridgerton. Sfortunatamente, finora ben pochi degli eventi di Queen Charlotte hanno avuto un impatto su questa nuova stagione. Non c’è ancora un erede che garantisca che la linea della Regina Carlotta e l’eredità del Grande Esperimento non muoiano con lei (le gravidanze sono un’impresa di molti mesi).

Nel finale, Charlotte conferma sottilmente che il figlio di Lady Danbury erediterà il titolo del padre, creando un precedente, e sappiamo che il Grande Esperimento è proseguito con successo, come dimostra l’elevazione di Will Mondrich (Martins Imhangbe) e della sua famiglia nell’alta società, ma rimane fragile. Sicuramente questa sarebbe stata la sua priorità invece della stagione sociale. Tuttavia, la Regina Charlotte è più che mai impegnata con la nuova stagione del matrimonio e con la sua “scintillante” Francesca Bridgerton (Hannah Dodd) che con la gravidanza di Victoria.

A proposito di Francesca, sia Violet Bridgerton che Lady Danbury rimangono vicine come sempre, mentre si concentrano sull’aiutare Francesca a destreggiarsi nel marasma del matrimonio. Nonostante l’imbarazzo tra Violet e Lady Danbury alla fine di Queen Charlotte, le rivelazioni del loro passato hanno poca rilevanza sul loro presente. Le due donne sembrano essere unite, ma l’arrivo di qualcuno del passato di Lady Danbury potrebbe far emergere le crepe della loro amicizia.

Ciò che è stato portato avanti da Queen Charlotte nella nuova stagione di Bridgerton è la rivelazione di Violet di essere pronta a ritrovare l’amore; in particolare, le manca il piacere di avere il suo giardino “curato”. Sebbene in questa stagione Violet stia concentrando la maggior parte delle sue energie sulla prima stagione di Francesca fuori dal matrimonio, ha attirato l’attenzione di Marcus (Daniel Francis), fratello estraneo di Lady Danbury.

Marcus è tornato a Londra con l’unica intenzione di trovare un partner amoroso per il suo secondo matrimonio, cosa che Violet ha avuto solo con il suo defunto marito, Edmund (Rupert Evans). Sebbene l’interesse tra Violet e Marcus sia reciproco, Lady Danbury non crede che gli interessi del fratello siano così puri come lui sostiene. Forse l’interferenza di Lady Danbury nell’intrigo che sta sbocciando tra Violet e Marcus potrebbe essere la causa di una frattura tra i due amici.

Sebbene gli eventi dello spinoff abbiano un impatto minimo sulla serie principale, la Regina Carlotta fornisce una prospettiva sulla donna che Lady Whistledown, doppiata da Julie Andrews, continua a inimicarsi. Charlotte ha affrontato innumerevoli avversità, lottando per l’amore della sua vita e per l’eredità che hanno costruito insieme sotto il cielo. Mentre Penelope Featherington (Nicola Coughlan) è sulla buona strada per ottenere il suo lieto fine con Colin Bridgerton (Luke Newton) in questa stagione di Bridgerton, tutto potrebbe essere messo a repentaglio se colpisse di nuovo Charlotte. Se abbiamo imparato qualcosa dalla regina Charlotte, è che non bisogna mai scommettere contro Charlotte. Penelope, tieni gli aculei affilati!

 
 

La regia al femminile alle origini del cinema

Un famoso detto, diffuso nella Hollywood degli addetti ai lavori sin dai gloriosi anni ’30, afferma che il cinema americano è stato fondato in realtà da donne, ebrei e immigrati. Tralasciando la più che evidente connotazione xenofoba e misogina di base, tale affermazione non può che trovare un forte riscontro in tutte le sue tre dimensioni fondamentali, a dimostrazione di come, in particolare nel mondo dell’arte, molto spesso le dicerie e i luoghi comuni tendono ad affondare le proprie radici in un qualche sostrato di verità. Se grandi autori, di chiara origine europea del calibro di Otto Preminger, Frank Capra, Billy Wyilder e Duglas Sirk riuscirono a portare alla luce il mito tutto americano del self-made director e a far brillare di gloria in tutto il mondo la cinematografia a stelle e strisce, il ruolo femminile all’interno dei vari settori della settima arte è stato a lungo sottovalutato e tenuto all’oscuro delle cronache più o meno ufficiali, riuscendo fortunatamente a tornare a far sentire la prioria voce soltanto a cavallo degli anni ’70 e ’80 del Novecento, grazie soprattutto alla sinergia fra gli studi di riscoperta delle modalità produttive e fruitive del cinema delle origini da una parte e la corrente delle teorie filmiche di matrice femminista dall’altra.

Non è per nulla un segreto a esempio il fatto che il corpo femminile fosse divenuto fin da subito un soggetto cardine e appetibile nelle prime vedute animate di fine XIX secolo, così come dimostrano le numerose “danze serpentine” di chiara matrice erotica interpretate da celebri proto-dive provenienti dai cabaret e dai teatri di vaudeville, come per esempio Amy Muller e Annabelle Whitford Moore, allo stesso modo di alcuni dei primi proto-generi cinematografici denominati “film dal buco della serratura” – o in maniera ben più esplicita “film dei guardoni” –, tutti precedenti all’introduzione dei primi sistemi di censura e tarati su un più che dichiarati intento voyeurista e licenzioso. In realtà però, oltre che come soggetti prediletti, le donne assunsero un ruolo integrante (seppur in sordina) all’interno delle attività di elaborazione delle pellicole, venendo impiegate come manovalanza attiva all’interno di alcune delle prime case produttrici – come ad esempio la Star Film di George Méliés e la Edison Company – per colorare manualmente i singoli fotogrammi attraverso alcune tecniche primordiali quali il pochoir (il celebre processo “a tampone”) e il più evoluto viraggio. Gli stessi fratelli Lumiére, infatti, usarono parte delle operaie assunte nelle loro fabbriche di prodotti fotografici per sviluppare, colorare e confezionare i propri film.

In seguito all’evoluzione dello studio system hollywoodiano, a partire dalla metà degli anni ’10, furono appunto le donne a ricoprire compiti di sempre maggiore responsabilità e competenza all’interno delle crews dei grandi studios, tra cui spiccano la figura della segretaria di edizione (non a caso ribattezzata in seguito “script girl”), quella di costumista e soprattutto di montatore, uno dei ruoli fondamentali del processo di post-produzione e che divenne, soprattutto a cavallo degli anni ’40 e ’50, vero appannaggio femminile e che avrebbe dato luogo a una lunga e florida tradizione. Se il celebre sodalizio fra Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker può essere considerato come una delle formule più celebri e vincenti in tal senso, allo stesso modo si spiega la tendenza dello stesso Hitchcock a volere accanto a sé la moglie e collaboratrice Alma Reville durante le sessioni in moviola, poiché egli riteneva essenziale un attento occhio femminile durante la fase più delicata dell’intera creazione filmica.Alma Reville hitchcock femminile

La celebre teorica del cinema tedesca Lotte Eisner, oltre a riconoscere l’indubbio valore della figura della diva incarnato da celebri interpreti come Pina Menichelli, Lyda Borelli, Francesca Bertini, Asta Nielsen e Louise Brooks – in quanto unico vero ruolo filmico in cui è appunto la donna a dominare per intero la scena e a imporsi sul maschio, inerme al suo fascino –, cercò di dimostrare come già nei tardi anni ’40 si cercasse di rivendicare la centralità della dimensione femminile in quello che appare come il ruolo cardine e più delicato dell’intera produzione creativa e fattuale del film, ovvero la regia. Se pensiamo ad alcune celeberrime e apprezzate cineaste dell’epoca moderna e post-moderna quali Agnès Varda, Marie Huillé, Liliana Cavani, Lina Wertmüller, Kathryn Bigelow, Nora Ephron e Jane Campion non possiamo non rimanere perplessi per come in decenni l’industria del cinema, in tutte le sue correnti ed epoche, abbia tentato di nascondere, e in un certo senso anche di ostacolare, la presenza – per altro ancora oggi abbastanza esigua – della donna in quanto figura in grado di incarnare un ruolo creativo e operativo rimasto si dall’inizio appannaggio quasi esclusivo dell’universo maschile.

I primi accenni di una qualche figura di donna direttamente coinvolta nella fase di progettazione e messa in scena in un prodotto di tipo filmico risalgono addirittura all’epoca precedente l’invenzione del cinema stesso, e vedono come protagonista la ricca ereditiera inglese Lizzie Whitley, moglie dell’inventore francese Louise Aimè Augustin Le Prince, colui che è rimasto a lungo sconosciuto alle cronache ufficiali e che tutt’oggi è considerato come il padre apocrifo della settima arte. Fu infatti proprio la giovane pittrice che, trasferitasi a New York nel 1981 per lavorare nell’istituto per non udenti di Washington Heights, collaborò assieme al marito e all’assistente Joseph Banks nella realizzazione di una primordiale cinepresa a 16 lenti in grado di riprendere fino a 10-12 fotografie al secondo, tutt’oggi considerata come il primo vero dispositivo proto-cinematografico antecedente addirittura al kinetoscopio di Edison e al Cinematograph dei Lumière. Seppur non vi siano ancora prove certe di un suo diretto coinvolgimento nel progetto, è comunque indubbia la presenza e il supporto operativo fornito dalla giovane Lizzie durante la realizzazione del primo filmato della storia ad oggi rinvenuto, una veduta animata di appena tre secondi realizzata da Le Prince nel 1888 proprio nel giardino della famiglia Whitley a Oakwood Grange Road nello Yorkshire, ben presto rinominata Roudnhay Garden Scene. È comunque certo che, dopo la misteriosa e ancora irrisolta sparizione del marito avvenuta nel settembre del 1890 durante un viaggio in treno da Digione a Parigi, fu proprio la determinazione della donna a permettere la prosecuzione delle rivoluzionarie sperimentazioni riguardati le immagini in movimento, tutto prima che gli acerrimi concorrenti americani e francesi prendessero il sopravvento e aprissero definitivamente le porte alla nascita della cinematografia.

Alice Guy-BlachéLa documentazione storica ufficiale è solita in realtà considerare la francese Alice Guy-Blaché come la prima donna ad aver ricoperto ufficialmente il primo vero ruolo stabile da regista all’interno di una delle prime grandi case di produzione europee, la Gaumont, iniziando la sua carriera come semplice segretaria ed esordendo dietro la macchina da presa già nel 1896 con il cortometraggio La Fée aux chouz, realizzato con alcuni spezzoni di pellicola ottenuti di nascosto da rivenditori non autorizzati. Assunta stabilmente alla guida della neonata major d’oltralpe, Alice-Guy ebbe modo di realizzare una decina di pellicole fra mediometraggi e qualche lungometraggio nel periodo compreso fra il 1906 e il 1920, tra cui vanno ricordati i drammi The Face at the Window (1912) e Beneath the Czar realizzati per conto dell’americana Solax Film Company nonché una delle prime pellicole religiose della storia, Naissance, vie et mort de Notre Seigneur Jesus Christ (1906), distribuita in scene a bobine indipendenti. Nel frattempo decise di dedicarsi anche alla carriera di sceneggiatrice e produttrice assieme al marito Herbert, prima di lasciare a Louis Feuillade il ruolo di regista ufficiale della compagnia e ritirarsi a vita privata, imprimendo un segno indelebile all’interno della memoria collettiva del cinema mondiale.

Negli stessi anni in cui in Francia Alice-Guy porta avanti la sua gloriosa fama di pioniera, in Italia è invece la giovane insegnante e modista salernitana Elvira Notari a rompere precocemente i rigidi tabù dell’epoca, decidendo di trasferirsi a Napoli e di fondare nel 1902, assieme al marito fotografo Nicola, la casa di produzione Film Dora – in seguito meglio nota come Dora Film – iniziando a progettare e filmare documentari e cortometraggi di fiction. Passata alla regia di alcuni dei primi lungometraggi tratti da noti romanzi popolari e di cronaca rosa, tra i quali spiccano Il processo Cuocolo (1909), Bufera d’anime (1911) e Errore giudiziario (1913), la Notari si distingue subito attraverso una modalità di realizzazione e gestione del tutto innovativa che prevedeva non solo il pieno controllo di tutte le varie fasi di ideazione e realizzazione dei propri progetti, ma oltretutto l’impiego di rivoluzionari e precoci meccanismi di colorazione e accoppiamento sonoro delle pellicole, oltre alla caratterizzazione di personaggi per lo più scabrosi e anticonvenzionali che le avrebbero causato grossi grattacapi col futuro regime fascista. Estremamente carismatica, oculata esperta di marketing e decisa a gestire personalmente i rapporti con gli organi di stampa e promozione, la Notari realizzò oltre sessanta film dal 1906 al 1929 – alcuni dei quali dei veri e propri successi popolari come ’A legge e ’Nfamia (1924) – fondando inoltre la prima Scuola d’Arte Cinematografica italiana in cui veniva insegnato uno stile di recitazione fortemente naturalistico e agli antipodi rispetto alle caricate performance divistiche ben note a quel tempo. In seguito all’incapacità tecnica ed economica di rimanere al passo con il dilagare delle prime pellicole sonore, la Dora Film chiuse i battenti a inizio anni ’30, venendo convertita in società di distribuzione e continuando a tenere alto il nome della sua donna di successo, colei che ebbe il grande coraggio di dirigere racconti estremamente crudi e profondamente scandalosi secondo gli standard del pubblico del tempo.

Sempre nell’Italia a cavallo degli anni ’10 e ’20 ecco fare la sua comparsa una nuova figura femminile estremamente importante per la storia del cinema quale Diana Karenne, nata in Polonia come Leucadia Konstantin e trasferitasi nel nostro paese nel 1914, divenendo ben presto una delle dive più amate e pagate di tutto il cinema europeo. Estremamente libertina, amante degli sport estremi come il volo e le corse automobilistiche, pericolosamente affascinante e ben dotata artisticamente, la Karenne debuttò sul grande schermo nel 1916 con Passione tziagana di E.M. Pasquali, fondando nel 1917 assieme al fratello David la David-Karenne Film che produsse il suo esordio da regista Pierrot lo stesso anno. Interprete di celebri pellicole quali La contessa Arsenia (1916), Redenzione (1919) e La fiamma e la cenere (1919) in cui riuscì a creare su di sé il personaggio conturbante di una femme fatale vorace e distruttiva, fu anche apprezzata regista e sceneggiatrice di progetti ambiziosi e di chiaro indirizzo femminista come Justice de femme! (1917) e Ave Maria (1920), prima di dedicarsi definitivamente al ruolo di attrice a tempo pieno, anche fuori dall’Italia, dopo l’inizio degli anni ’20. Fu l’unica delle grandi dive italiane a non prendere mai marito, decidendo di rivendicare sempre e comunque la propria libertà personale e creativa all’interno di una società estremamente maschilista e piena di tabù etici e morali. Dopo una florida carriera attoriale e una decina di pellicole da lei liberamente direttamente scritte, dirette e montate, la Karenne si congedò dal grande schermo nel 1939 con Manon Lescaut di Carmine Gallone, morendo tragicamente in seguito alle disastrose ferite riportate durante un bombardamento avvenuto nel luglio del 1940 nella città di Aquisgrana.

Sposandoci in territorio tedesco, il periodo che precede la nascita del cinema sonoro è dominato da due figure di donne capaci di mettere tutta la propria creatività e capacità tecnica al servizio della regia di opere estremamente sperimentali e anticonvenzionali, dimostrando dunque non solo un grande coraggio ma bensì una forte tendenza a infrangere regole sociali e artistiche già all’epoca estremamente fossilizzate. Erna Niemeyer, versatile e prolifica artista capace di muoversi con estrema disinvoltura attraverso le più disparate forme di espressione, divenne già all’inizio degli anni ’20 una delle più apprezzate animatrici europee, sviluppando una rivoluzionaria serie di procedimenti con cui ritagliare e fotografare direttamente su pellicola porzioni di materiali eterogenei che divennero la base per celebri lavori di avanguardia, tra cui vanno certamente ricordati la famosa Dyagonal symphonie di Viking Eggeling e la ben più celebre serie dei Rythmus (1921-1923-1925) di Hans Richter. Allo stesso modo anche la figura di Lotte Reiniger non può passare del tutto inosservata nel panorama del cinema animato, se si pensa ad alcune delle sue più splendide e sensazionali opere grafiche, realizzate mediante l’impiego di elaborate e raffinatissime silhouettes nere su mirabolanti sfondi colorati a mano, tra cui spiccano il capolavoro Le avventure del principe Achmed (1926) e una serie di pellicole ispirate a famosi racconti per bambini come Cenerentola e La bella addormentata nel bosco, entrambi del 1922.

Dalla potenza tutta artigianale dei racconti animati si passa poi alla poetica del documentario, reso più che mai celebre nella neonata Unione Sovietica da Esfir’ Šub, giovane e intraprendente cineasta che fece tesoro delle innovazioni di montaggio messe a punto dai colleghi della Scuola Statale di Cinema di Mosca per realizzare stupefacenti reportage storici dal sapore sperimentale come La fine della dinastia dei Romanov (1927) e La grande strada (1927), entrambi sviluppati mediante un collage di riprese amatoriali e professionali di repertorio, allo stesso modo di La Russia di Nicola II e Lev Tolstoj (1928), dando di fatto i natali al genere tutto di nicchia del “documentario di montaggio”.

In quegli stessi anni Alexandra Khokhlova, fascinosa moglie del celebre cineasta e teorico Lev Kuleshov, dopo aver dato il via a una robusta carriera di attrice attraverso uno stile nervoso e anti-naturalistico – ben rappresentato da alcune pellicole dirette dal marito come Le avventure di Mr West nel paese dei bolscevichi (1924) e Dura lex (1926) – si dedicò anche alla scrittura e alla co-regia di due film alquanto discussi a causa dei loro apparenti contenuti eccessivamente “spinti”, Discendere da un vulcano (1941) e Noi veniamo dagli Urali (1943).

Se in quegli stessi decenni negli Stati Uniti la fotografa Margaret Burke-White tentava anch’essa la strada del cinema documentario di denuncia sociale all’interno del collettivo di sinistra Workers’ Film and Photo League, in Francia ecco emergere la figura eclettica e controversa di Germaine Dulac, prima e unica autrice ad aver non solo avuto accesso diretto a tutte le più importanti forme d’arte (pittura, scultura, fotografia, musica, danza e cinema), ma oltretutto a essere riuscita a imporsi come vero e proprio simbolo della creatività sperimentale europea a cavallo degli anni ’20 e ’30, attraversando trasversalmente – e con grandi risultati – le principali avanguardie cinematografiche del tempo, partendo dalle vocazioni poetiche dell’impressionismo con La souriante madame Beudet (1923), passando attraverso i primordi visionari surrealisti de La coquille et le clergyman (1928) fino a toccare le punte totalmente astratte e anti-figurative del cinéma pur con gli esperimenti plastici di Disque 927 (1928) e Arabesque (1929). Mentre le performance estreme e anticonvenzionali della Dulac non mancavano di dividere aspramente il pubblico e la critica, molto più lineare – ma altrettanto coraggiosa – risulta la produzione di Marie Epstein, sorella del ben più celebre teorico e cineasta visionario (e padre del concetto di photogenie) Jean, la quale fin dal 1928 iniziò a collaborare assiduamente col collega Jean Benoît-Lévy nella realizzazione di drammi estremamente struggenti, polarizzati verso una forte denunce nei confronti del degrado e della povertà sociale, anticipando di fatto la futura corrente del realismo poetico di metà anni ’30. Fra le opere più rappresentative in tal senso vanno ricordate certamente Âmes d’enfants (1928) e Maternité (1929), oltre che il celeberrimo La Maternelle, una delle prime opere filmiche a trattare direttamente il tema dell’abbandono e delle turbe infantili ancor prima di I bambini ci guardano (1943) di De Sica e Sciuscià (1946) di Rossellini.

Marlene DietrichI decenni interessati dall’avvento della dittatura nazionalsocialista e dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale costituiscono per la Germania il periodo di maggior produttività di Leni von Riefenstahl, una delle autrici più controverse e celebri di tutta la storia del cinema internazionale durante l’oscuro periodo delle macchinazioni pre e post bellica, gli stessi decenni in cui la sceneggiatrice Thea von Harbou instaurava col compagno Fritz Lang un forte e proficuo sodalizio sentimentale e professionale. Aspirante ballerina di cabaret costretta a ritirarsi dalla professione a causa di un precoce infortunio, si interessò molto presto alla recitazione durante l’età d’oro del cinema muto, esordendo nel 1926 con il lungometraggio La montagna dell’amore diretto da Arnold Fanck, autore con cui intraprenderà un duraturo legame all’interno di pellicole appartenenti al genere nazionale – all’epoca molto in voga – dei così detti “film della montagna”, tra cui Il grande salto (1927), Tempesta sul Monte Bianco (1930) e Ebrezza bianca (1930). Dopo essere stata in contesa assieme a Marlene Dietrich per il ruolo da protagonista nel celebre L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg e aver collaborato con G.W. Pabst in La tragedia di Pizzo Palù (1929), nei primi anni ’30 la Riefenstahl affina grazie a Fanck le sue doti di montatrice e sceneggiatrice, esordendo alla regia nel 1932 con La bella maledetta – da lei anche scritto e interpretato – prima che l’avvento del nazismo le facesse maturare una vera e propria ossessione per Hitler, al quale scrisse in privato per ottenere udienza. Fu proprio il fuhrer che, dopo aver ammirato le straordinarie doti atletiche e tecniche della giovane autrice nel film in doppia lingua S.O.S. Iceberg (1933), decise di affidarle la realizzazione di un cortometraggio con cui immortalare la prima sessione del congresso del Partito Nazista del 1933. Purtroppo, in seguito all’epurazione dello squadrone delle SA durante la celebre Notte dei Lunghi Coltelli, La vittoria della fede venne sequestrato e distrutto, poiché conteneva inquadrare di alcuni dei maggiori capi dell’ex divisione personale del dittatore, comprese le immagini del generale Ernst Röhm. L’anno successivo venne data l’opportunità alla Riefenstahl di girare una nuova pellicola – questa volta un lungometraggio dichiaratamente propagandistico – relativo al secondo incontro ufficiale del partito avvenuto a Norimberga, intitolato Il trionfo della volontà. Grazie alle sperimentazioni tecniche messe in atto attraverso questo ambizioso progetto e ormai capacissima di dirigere addirittura dieci équipe di operatori contemporaneamente, dopo la breve parentesi del cortometraggio I giorni della libertà – Il nostro esercito (1935) dedicato alle forze armate naziste, nel 1938 la Riefenstahl si imbarcò nel titanico progetto in due parti di Olympia, film dedicato alla documentazione degli storici Giochi Olimpici di Berlino e primo grande esempio di una narrazione sportiva realizzata mediante soluzioni visive (ralenti, teleobbiettivi, montaggio in multicamera, carrellate aeree e a bordopista, ecc.) che avrebbero costituito la base per tutte le future immagini atletiche cine-televisive. Il suo stile monumentale e velatamente polarizzato sull’ideologia politica dominante le causarono però numerosi grattacapi durante la fine della guerra, quando, dopo essersi rifugiata in uno sperduto paesino delle alpi svizzere, venne rintracciata e ricondotta in Germania, dove fu l’unica regista – assieme al collega Veit Harlan – ad essere pubblicamente accusata e perseguita con l’accusa di sostegno e favoreggiamento del decaduto regime nazista. Dopo essere rimasta a lungo lontano dai set a causa della sua cattiva fama, la Riefenstahl riuscì timidamente a riaffacciarsi alla professione solo nel 1954 con la regia e l’interpretazione di Tieflad (1954) diradando sempre più le proprie apparizioni pubbliche e professionali ne corso degli anni, concludendo la propria carriera nel 1993 con la celebre rievocazione storica delle proprie imprese nel documentario La forza delle immagini di Ray Müller e l’avvio di un ultimo progetto registico dal titolo Un sogno d’Africa, distribuito postumo nel 2003.

A conclusione di questo parziale excursus dedicato alla gloriosa e semi-sconosciuta storia della regia al femminile, spostando di qualche decade il punto focale della nostra analisi, vale la pena di valorizzare l’operato di una delle poche vere autrici dell’est Europa, la praghese Věra Chytilová, cineasta visionaria ed eclettica passata alla storia per i suoi esordi nei primi anni ’60 – in piena influenza delle nouvelle vague continentali – attraverso pellicole d’avanguardia e ricche di uno stile comico-surreale, tra cui vanno ricordate certamente Qualcosa d’altro (1963), Tavola calda universo (1965) e il grottesco Le margheritine (1966), prima che i fatti della Primavera di Praga gettassero nell’oscurità molti dei suoi lavori, rendendoli reperibili solo nei tardi anni ’80, come accade per Il gioco della mela, realizzato in realtà nel 1976.

Pepi Lucy e bomIl colore rosa, fatte le dovute eccezioni kitsch del cinema di Almodovar, non è molto presente nelle palette delle immagini filmiche, ma lo spirito tutto femminile che questo cromatismo ha saputo (e sa tutt’ora) consegnare al nobile ruolo della regia cinematografica appare indubbiamente uno degli aspetti più belli e sinceri che le pellicole – o i sensori dell’era digitatale – si rendono capaci di restituire ad ogni singolo spettatore, sia esso uomo o donna.

 
 

La recluta: trama, cast e curiosità sul film di Clint Eastwood

La recluta film

Prima di consacrarsi come autore cinematografico grazie a Gli spietati, Clint Eastwood ha dato vita nel 1990 ad un ennesimo poliziesco che lo ha visto impegnato tanto come regista quanto come interprete. Si tratta di La recluta, incentrato sulla ricerca di una banda di ladri d’auto da parte di due poliziotti molto diversi tra loro, per età e modi di fare. Ormai grande esperto del genere grazie a film come Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan e Corda tesa, Eastwood ha profuso in tale opera molte novità, tra cui grandi effetti speciali ed una messa in scena particolarmente dinamica e complessa. Ciò ha reso questo uno dei suoi film da regista più sperimentali di sempre.

Girato interamente in California, questo è infatti ricordato per la presenza di sequenze particolarmente complesse ed elaborate, che hanno permesso al regista di sfoggiare un grande virtuosismo. Il massiccio utilizzo di effetti speciali e CGI, inoltre, lo ha reso un vero e proprio unicum nella carriera del premio Oscar. Ancora oggi La recluta è ricordato come uno dei suoi titoli più stravaganti ed esagerati, ricco di elementi che poi non sarebbe più ricomparsi nei suoi successivi lungometraggi. Costato 10 milioni di dollari, questo fu anche uno dei minori successi economici di Eastwood dell’epoca.

Uscito in sala, infatti, il film venne grossomodo oscurato dal successo di Mamma ho perso l’aereo. Negli anni è però diventato un titolo cult, che gli appassionati del regista e attore non mancano di riscoprire con piacere. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La recluta: la trama del film

La vicenda del film si svolge a Los Angeles, dove il burbero e coraggioso agente di origine polacca Nick Pulovski fa parte del dipartimento che si occupa di furti d’auto. Nonostante la grande esperienza, questi si trova ora coinvolto nel difficile scontro con la banda capeggiata da Strom e Liesl, malviventi impegnati proprio nel furto di importanti auto di lusso. In seguito ad un incidente, nel quale perde il suo collega, Nick si vede affidare un nuovo partner. Si tratta del giovane agente David Ackerman, inesperta recluta tormentata dalla morte del fratello, avvenuta anni prima e per cui si sente responsabile. Nick è ovviamente contrario all’avere il giovane accanto, considerandolo un ostacolo alla sua indagine.

Quest’ultima, però, gli viene ben presto tolta dalle mani e trasferita alla sezione omicidi. Pulovski però non ha intenzione di rinunciarvi, desideroso anche di vendicare il collega morto. Decide allora di seguire per proprio conto le indagini su Strom, e per farlo avrà necessariamente bisogno di coinvolgere nel caso anche Ackerman. La differenza d’età tra i due, e il loro carattere contrastante, non renderà però facile lo svolgimento della ricerca. Prima di riuscire ad acciuffare i criminali, dovranno infatti superare le loro differenze, trovando il modo di unire realmente le forze, tra l’esperienza dell’anziano e le intuizioni del giovane.

La recluta cast

La recluta: il cast del film

Regista del film, Clint Eastwood accettò l’offerta della Warner Bros. di realizzare La recluta a patto che lo studios gli finanziasse un progetto più personale, intitolato Cacciatore bianco, cuore nero, uscito nello stesso anno. Ottenuto l’accordo, Eastwood decise anche di ricoprire il ruolo del protagonista Nick Pulovski. Si è trattato di un nuovo personaggio di poliziotto per lui, che però ha cercato di costruire in modo molto differente rispetto a quelli precedentemente interpretati. Il suo Nick, pur se di carattere burbero, presenta infatti anche diversi elementi comici. Accanto a lui, nei panni della recluta David Ackerman si ritrova invece l’attore Charlie Sheen. All’epoca delle riprese questi aveva problemi di abuso di sostanze stupefacenti. Eastwood divenne per lui una figura paterna e protettiva, aiutando il giovane a mantenere disciplina e controllo di sé.

È poi presente l’attore portoricano Raul Julia, noto per essere stato Gomez in La famiglia Addams, nei panni del criminale tedesco Storm. La brasiliano Sonia Braga, celebre per il film Donna Flor e i suoi due mariti, interpreta invece la compagna di Storm, Liesl. La scelta di due attori sudamericani nei panni di due tedeschi ha destato non poche critiche, ma i due furono fortemente voluti da Eastwood, che li trovava interpreti in grado di superare le barriere sulle rispettive origini. Tom Skerritt, noto per film come AlienTop Gun, veste invece i panni del padre di David, Eugene Ackerman. Infine, l’attrice Lara Flynn Boyle, celebre per aver interpretato Donna Hayward in Twin Peaks, ricopre qui il ruolo di Sarah, la fidanzata di David, che finirà inevitabilmente coinvolta nelle indagini.

La recluta: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile vedere o rivedere il film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. La recluta è infatti disponibile nel catalogo di Chili Cinema, Google Play e Apple iTunes. Per vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale, entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno venerdì 16 dicembre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

 
 

La reazione di Jared Leto nel vedere se stesso come Joker [video]

Suicide Squad

Sembra aver avuto più o meno la reazione di tutti i fan del Comic Con Jared Leto, di fronte al se stesso in versione Joker. Ecco il video della reazione dell’attore-cantante al trailer di Suicide Squad:

https://www.youtube.com/watch?v=mC9ypQAETf8

GUARDA IL TRAILER DEL FILM

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LEGGI ANCHE: Suicide Squad: Batman in azione sul tetto dell’auto di Joker [Video]

Suicide SquadSuicide Squad si concentrerà sulle gesta di un gruppo di supercattivi dei fumetti DC che accettano di svolgere incarichi per il governo in modo da scontare le loro condanne.

Il film arriverà al cinema il 5 agosto del 2016, mentre la data d’uscita italiana sarà probabilmente spostata nell’autunno.Nel cast vedremo Will Smith nei panni di Deadshot, Margot Robbie in quelli di Harley Quinn, Jay Courtney nel ruolo di Capitan Boomerang, Cara Delevingne sarà Enchantress, Joel Kinnaman nei panni di Rick Flag, Viola Davis nel ruolo di Amanda Waller e Jared Leto sarà l’atteso Joker.

 
 

La reazione di Jack Nicholson nel vedere il nuovo Joker in azione [video]

Dopo la reazione di Jared Leto nel vedere se stesso come nuovo Joker, ecco anche quella di Jack Nicholson, che vede per la prima volta l’iconico personaggio in azione nel trailer di Suicide Squad.

GUARDA IL TRAILER DEL FILM

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Suicide SquadSuicide Squad si concentrerà sulle gesta di un gruppo di supercattivi dei fumetti DC che accettano di svolgere incarichi per il governo in modo da scontare le loro condanne.

Il film arriverà al cinema il 5 agosto del 2016, mentre la data d’uscita italiana sarà probabilmente spostata nell’autunno.Nel cast vedremo Will Smith nei panni di Deadshot, Margot Robbie in quelli di Harley Quinn, Jay Courtney nel ruolo di Capitan Boomerang, Cara Delevingne sarà Enchantress, Joel Kinnaman nei panni di Rick Flag, Viola Davis nel ruolo di Amanda Waller e Jared Leto sarà l’atteso Joker.

 
 

La reazione di Jack Nicholson al Joker di Jared Leto

I fan, si sa, sono i critici più severi, e Jared Leto, che ha esordito lo scorso sabato con il nuovo look del suo Joker in Suicide Squad, non viene risparmiato dalle critiche più feroci che impazzano sul web.

Leggi anche – Star Wars Teaser 2: la reazione di Cooper [Matthew McConaughey]

Di seguito vi mostriamo un video in cui è stata simulata una reazione, disperata, di Jack Nicholson, al look che Leto e la produzione alla Warner hanno scelto per questa reincarnazione della nemesi di Batman.

 
 

La ragazza senza nome: recensione del film dei fratelli Dardenne

La poetica (e l’etica) documentaria del cinema-verità di Jean-Pierre e Luc Dardenne prosegue imperterrita su di un terreno di perfetta coerenza estetico-narrativa da oltre due decenni, trovando proprio ne La ragazza senza nome una condensazione perfetta di un cinema che antepone il contenuto morale sull’esistenza del quotidiano a una forma rimasta sempre essenziale ma al contempo lucida e graffiante. La decima pellicola firmata dai fratelli belgi appare di fatto come la più “cinematografica”, in quanto, mentre nella palma d’Oro Rosetta la ruggine e il vento del reale spingevano insistentemente per bucare la sottile membrana dello schermo e invadere l’extra diegetico spettatoriale, qui il filmico rimane conchiuso nei bordi di un formato vicino al 4:3 che comprime fatti, volti ed emozioni in uno spazio ben delimitato nel quale la sola presenza fisica della giovane – ma già “vissuta” – dottoressa Davin incolla il fruitore all’umano e alle sue peripezie. In questo loro cinema baziniano “più vero del vero” i Dardenne decidono di replicare la formula della ricerca a tappe già ben delineatasi con Due giorni, una notte.

In La ragazza senza nome un’ora dopo la chiusura d’esercizio la dottoressa Jenny Davin (Adèle Haenel), medico condotto di un piccolo sobborgo alle porte di Liegi, rifiuta di rispondere a una chiamata al citofono del suo ambulatorio. Il giorno seguente un’indagine di polizia rivela che una donna dalle generalità ignote è stata trovata morta sulle rive di un canale e dalle registrazioni delle videocamere di sorveglianza Jenny scopre che la giovane aveva provato a chiamare aiuto proprio presso di lei prima di fuggire spaventata. Rosa da un senso di colpa che si fa via via sempre più lacerante la dottoressa da inizio a un’ossessiva e catartica ricerca dell’identità della povera vittima, generando impercettibili ma fatali conseguenze che ricadono via via sui propri scarni rapporti sociali e sulla propria carriera in procinto di decollare.

La ragazza senza nome, il film

la ragazza senza nomeIn questo caso perà la protagonista è calata in un racconto d’atmosfera che occhieggia al thrilling poliziesco di detection in cui ci si trova dinnanzi a uno strano ossimoro: mentre la giovane Jenny – un’intensa Adèle Haenel bravissima nel celare sotto una patina di apparente freddezza un turbine di profonde emozioni sapientemente centellinate – si prodiga ossessivamente per espiare la propria presunta colpa di omissione di soccorso ricercando l’identità (e, in senso biblico, il nome) della ragazza uccisa, di lei non abbiamo alcuna informazione al di fuori di ciò che accade dinnanzi alla macchina da presa e che rivela la psicologia di una donna inizialmente “professionale” ma in realtà già disposta a darsi totalmente agli altri, qualità che verrà in seguito portata francescanamente all’estremo dal fatto incriminato.

Peccando forse leggermente di didascalismo narrativo ma reggendo sempre ben saldo il timone dell’occhio e del cuore, i fratelli Dardenne ci pongono di forza dinnanzi alla ricerca dell’altro quale strumento per ritrovare autenticamente noi stessi.

 
 

La ragazza più fortunata del mondo: recensione del film con Mila Kunis

La ragazza più fortunata del mondo

Uscito in anteprima in alcune sale cinematografiche in anteprima il 30 settembre, ed il 7 ottobre sulla piattaforma streaming, La ragazza più fortunata del mondo (Luckiest girl alive) è una pellicola che affronta una delle piaghe silenziose della società contemporanea: gli abusi sessuali. Il film, diretto da Mike Barker (The Hadmaid’s tale) e scritto da Jessica Knoll, è tratto dal romanzo del 2015 di quest’ultima. Nel cast ritroviamo note figure del cinema Hollywoodiano come l’attrice ucraina Mila Kunis nel ruolo della protagonista Tiffani (Ani) Fanelli, e Finn Wittrock (La grande scommessa) come Luke Harrison.

La ragazza più fortunata del mondo: l’oscurità dietro il velo di perfezione

Ani ha 28 anni, lavora in una nota rivista per donne a New York, si sta per sposare con Luke, giovane ricco ed affascinante: la sua vita sembra perfetta, ma non lo è. Dietro ad un’armatura di sorrisi e di frasi di circostanza, Ani ha seppellito un grande trauma della sua adolescenza: uno stupro di gruppo da parte di tre suoi compagni di scuola e poi una sparatoria proprio all’interno del rinomato liceo privato. Il passato sembra voler ribussare alla sua porta quando un giovane regista la contatta per realizzare un documentario della tragedia. Nel rivivere nuovamente il trauma, Ani perde il controllo della se che aveva costruito, di questo suo alter ego, e decide di voler portare dei cambiamenti nella sua vita.

La ragazza più fortunata del mondo
Tiffani Fanelli da adolescente

Ani Fanelli e Jessica Knoll in parallelo

“A volte mi sento come una bambola a molle: gira la chiave e ti dirò esattamente quello che vuoi sentire”

Ani è il personaggio attorno al quale ruotano tutte le vicende di La ragazza più fortunata del mondo: tramite questo film (e libro) le è stata data finalmente una voce. Ma ad un qualsiasi spettatore o lettore viene spontanea una semplice domanda: quanto c’è di verità in questa storia? In diverse occasioni, Knoll ha negato qualsiasi esperienza personale di violenza sessuale, affermando che tra i parallelismi tra il suo personaggio e lei stessa (La scrittrice aveva 28 quando scrisse il libro e trascorse parte della sua carriera scrivendo per la rivista Cosmopolitan) non rientra l’intera vicenda. Poi, nel 2017, arriva la rivelazione nel settimanale Lenny: una lettera dettagliata in cui la scrittrice racconta la sua storia.

Ani elabora questo trauma in maniera molto singolare: finisce per ignorarlo; per fare ciò, si distacca il più possibile da quella che era la se adolescente per ricrearsi e realizzarsi a pieno. Già dalle prime scene, risulta essere un personaggio molto ambizioso: lei sa cosa vuole e come ottenerlo. Ma questo suo successo ha una doppia valenza per lei: solo nel momento in cui avrà raggiunto tutti i suoi obbiettivi si sentirà abbastanza forte da affrontare la sua tragedia e l’unico suo aggressore ancora in vita, Dean Barton. Per Ani il suo successo è così importante perché crede di poter essere veramente ascoltata solo nel momento in cui non sarà più una ragazzina povera in una scuola per ricchi, come se la  sua  credibilità dipendesse dalla sua classe sociale. Ma, con l’ansia per il documentario ed il dolore di vecchie ferite che tornano a riaprirsi, per Ani diventa sempre più difficile indossare quella maschera che si era creata con tanta cura negli anni.

La ragazza più  fortunata del mondo: l’empatia dello spettatore

Il grande merito di film come La ragazza più fortunata del mondo è proprio di riuscire, non solo a raccontare una storia, ma a trasmettere così tanto allo spettatore da fargli provare un forte senso di empatia. In questo modo porta il pubblico ad un profondo stato di riflessione, in maniera quasi catartica; nel cinema contemporaneo sono sempre più numerosi gli esempi di pellicole del genere. Basti pensare a Una donna promettente, scritto e diretto da Emerald Fennell, thriller candidato a cinque Oscar e vincitore del premio per la miglior sceneggiatura originale.

Un’altra tematica interessante nel film è la differenza tra l’io nello spazio dell’apparenza e l’io in privato; seguendo le vicende di Ani, è possibile per lo spettatore sapere i suoi pensieri, oltre a ciò che la protagonista dice e fa realmente, e quindi notarne la quasi paradossale differenza.

La violenza sessuale: dal grande schermo alla realtà

La ragazza più fortunata del mondo tende a rappresentare alcune figure, alcune situazioni che sembrano quasi surreali ed irrealistiche, ma così non sono. Molte frasi, molte scusanti per gli stupratori ed affermazioni screditanti la versione della sopravvissuta sono ripetute ogni giorno a tutte le vittime di violenza sessuale.  Tra gli esempi più palesi si pensi al preside della scuola che considera la versione di Tiffani poco veritiera perché lei aveva bevuto (come se l’incoscienza della ragazza potesse in qualche modo dimostrare consenso); la madre, che non dimostra un briciolo di affetto o empatia nei confronti della figlia. E per finire Luke, il fidanzato, che per tutto il film sembra comunque essere una figura di supporto per Ani, alla fine la colpevolizza per voler agire in maniera pubblica contro il suo aggressore.

Per quanto questo possa sembrare solo un film, vicende simili sono la realtà di molte, in Italia e nel mondo.

 
 

La ragazza nella nebbia: teaser del film di Donato Carrisi

Medusa Film ha diffuso il teaser trailer di La ragazza nella nebbia, il film diretto da Donato Carrisi con TONI SERVILLO, ALESSIO BONI, LORENZO RICHELMY, GALATEA RANZI, MICHELA CESCON e con JEAN RENO.

Basato sul best seller La ragazza nella nebbia è prodotto da MAURIZIO TOTTI e ALESSANDRO USAI.

La ragazza nella nebbia trama

Un piccolo paese di montagna, Avechot. Una notte di nebbia, uno strano incidente. L’uomo alla guida viaggiava da solo. È incolume. Allora perché i suoi abiti sono sporchi di sangue? L’uomo si chiama Vogel e fino a poco prima era un poliziotto famoso.  E non dovrebbe essere lì. Un mite e paziente psichiatra cerca di fargli raccontare l’accaduto, ma sa di non avere molto tempo. Bisogna cominciare da alcuni mesi addietro. Quando, due giorni prima di Natale, proprio fra quelle montagne è scomparsa una ragazzina di sedici anni: Anna Lou aveva capelli rossi e lentiggini.

Però il nulla che l’ha ingoiata per sempre nasconde un mistero più grande di lei. Un groviglio di segreti che viene dal passato, perché ad Avechot nulla è ciò che sembra e nessuno dice tutta la verità. Questa non è una scomparsa come le altre, in questa storia ogni inganno ne nasconde un altro più perverso. E forse Vogel ha finalmente trovato la soluzione del malvagio disegno: lui conosce il nome dell’ombra che si nasconde dentro la nebbia, perché “il peccato più sciocco del diavolo è la vanità”… Ma forse ormai è troppo tardi per Anna Lou. E anche per lui.

 
 

La Ragazza nella Nebbia: recensione del film con Toni Servillo

La Ragazza nella Nebbia

Arriva il 26 ottobre nelle sale La Ragazza nella Nebbia, film di esordio dell’amatissimo scrittore Donato Carrisi, che presenterà la sua opera prima anche in preapertura al Festival del Cinema di Roma 2017. Carrisi porta sul grande schermo uno dei suoi romanzi più amati, dimostrando come la sua esperienza pregressa sui set in veste di sceneggiatore, abbia dato buoni frutti. In effetti, per sua stessa ammissione, la storia de La Ragazza nella Nebbia nasce come sceneggiatura, rimanendo sospesa e incompiuta sino al completamento dell’omonimo libro. L’autore, formatosi come criminologo con specializzazione in Scienza del Comportamento, dá vita ad una serie di personaggi delineati perfettamente, indagando nei meandri della complicata psiche umana.

Non per nulla il film si apre nel particolare studio dello psicanalista Flores (Jean Reno): un ambiente disordinato come le menti delle persone che lo frequentano, costellato di orribili trofei ittici appesi alle pareti. Lo psichiatra assiste, assieme allo spettatore, alla ricostruzione della storia dell’ispettore Vogel (Toni Servillo). Vogel si trova in uno sperduto paese di montagna, Avechot, per indagare sulla scomparsa di Anna Lou (Ekaterina Buscemi). L’ispettore procederà in questo “nebbioso” mistero lasciando che all’iniziale sicumera subentri uno stato di totale spiazzamento, che lo porterà ad avere un incidente quasi mortale e quindi a doverne rendere conto ad uno psichiatra.

Il film omaggia dichiaratamente il noir italiano anni ’60, contaminandolo con il più recente thriller made in USA che fa capo ai cult  come Il Silenzio degli Innocenti e Seven. Carrisi non sembra affatto un novellino, ma dimostra di aver imparato la lezione dei grandi maestri di genere, da Argento a Bava, e soprattutto costruendo la solida impalcatura narrativa su quello che è il personaggio dell’investigatore Vogel, appositamente e unicamente plasmato su Toni Servillo.

La Ragazza nella Nebbia: Donato Carrisi e il cast a Roma

La Ragazza nella Nebbia

Servillo, inizialmente un po’teatrale, funge necessariamente da anfitrione in un sottomondo labirintico – quello del gelido paese di Avechot – rappresentato da un plastico più volte ripreso a volo d’uccello e utile a scandire l’evolversi degli eventi. Quasi inevitabile quindi non pensare a Shining e al dedalo di kubrickiana memoria. Strutturando il suo noir come un’insieme di scatole cinesi, ognuna delle quali si apre su un personaggio sospetto e ambiguo, il regista ne delinea magnificamente la caratterizzazione psicologica, non lasciando nulla al caso. La pellicola procede lenta ma inesorabile, dando voce alle ombre, ai silenzi e ad una suspense trepidante, piuttosto che ai colpi di pistola e allo splatter più banali.

La Ragazza nella Nebbia è un film sul Male. Male che abita la mente dell’uomo comune, e non risiede necessariamente nell’animo di un assassino, bensì aleggia nei deliri fideistici di una piccola comunità montana, o si diffonde tramite i mass media che lucrano sui fatti di cronaca nera. Un male che possiede persino chi per antonomasia è destinato a sconfiggerlo, l’ispettore  Vogel di Toni Servillo tanto affine  al Gian Maria Volontè di Indagine su un Cittadino al di sopra di ogni sospetto.

La location alpina, gelida e misteriosa, strizza evidentemente l’occhio ai recenti successi svedesi (letterari e cinematografici), ma riesce nell’intento anestetizzante nei confronti di uno spettatore che deve capire che – in questa storia – non esiste il Bene. La stessa soluzione finale, priva di qualsiasi intento consolatorio, perde quasi di vista il mistero di partenza perché ciò che qui preme raccontare è il degrado del genere umano nel suo complesso. Pur se azzardata, la scelta del film di genere thriller si rivela azzeccata e rappresenta una coraggiosa voce nel marasma di commedie italiane di cui il cinema nostrano si alimenta.

 
 

La Ragazza nella Nebbia: Donato Carrisi e il cast a Roma

La Ragazza nella Nebbia

Il cast de La Ragazza nella Nebbia, assieme al regista Donato Carrisi, si è riunito a Roma per incontrare la stampa in occasione della promozione del film, in uscita del film il 26 ottobre e della presentazione in anteprima al Festival del Cinema di Roma.

Donato Carrisi è alla sua prima regia ma non è certo nuovo nei set, avendo lavorato come sceneggiatore.

R: Avendo sempre lavorato al fianco dei registi, non ero del tutto estraneo a questo mondo. Spesso infatti mi dicono che i miei libri assomigliano a dei film.

Il film è un’indagine sul Male. Jean Reno e Alessio Boni – gli altri due protagonisti oltre a Toni Servillo – come vi siete relazionati col vostro personaggio, lo psichiatra Auguste Flores (Reno) e il Professor Martini (Boni)?

Jean Reno: In questo film nessuno è ciò che sembra. Io interpreto uno psichiatra e compito degli psichiatri è indagare il dentro degli altri, anche le personalità più deviate dal male appunto. E del mio stesso personaggio, un uomo apparentemente semplice, dalla “faccia onesta”, non si capisce se sia dalla parte del bene o del male. Questo film è un cammino, un’evoluzione dei vari protagonisti e per questo lo ho accettato, oltre che per poter lavorare al fianco del grande Toni Servillo.

Alessio Boni: io non conoscevo Donato Carrisi se non come scrittore, ma solo marginalmente. Quello che mi ha affascinato di questa sceneggiatura è la capacità di indagare il Male che vige in ognuno di noi, che potrebbe serpeggiare dentro di noi. È sempre lì con noi, ma se si crea una “crepa” nella nostra esistenza potremmo arrivare a farci o a fare del male. La cosa che mi ha colpito di Donato è la capacità di entrare nella testa delle persone.

Signor Carrisi come mai stavolta si è messo a fare il regista, lei che nasce come scrittore? Non si fidava degli altri o era solo una nuova sfida verso sé stesso?

In realtà in questo caso non ero LO scrittore, ma uno degli scrittori. È stato un lavoro di squadra, un film di autori dove ognuno porta il proprio contributo, dal montatore allo scenografo. Fare il regista mi ha solo permesso di ispirare gli altri. Quindi ho dato fiducia a tutta la crew. Ad esempio, nel  personaggio del professor Martini, Alessio Boni mette del suo. Quindi partendo da un personaggio imperfetto, grazie all’apporto di Alessio arriviamo ad una figura completa.

Jean Reno dal suo canto ci ha sorpresi richiedendo di recitare in italiano, quindi il suo personaggio passa attraverso la sua interpretazione anche della lingua italiana.  Per quanto riguarda Toni il suo protagonista è nato in me con la faccia di Servillo scolpita addosso, quindi è un altro discorso.

L’aspetto, negativissimo, dei Media nel film è essenziale. Un caso giudiziario che diventa uno strumento di apparizione.

C’è una cosa che nessuno dice: il crimine è un business. È accaduto anche nella realtà che il luogo di un efferato omicidio risentisse positivamente della eco televisiva e mediatica. Un fatto di cronaca nera diventa così un qualcosa dal forte impatto economico, portando con sé una valanga di pubblicità, trasmissioni, giornalisti, turismo. È un circo mediatico e vizioso che riguarda i media, gli investigatori che li fomentano e i telespettatori famelici che aspettano da casa le notizie. Non ci sono innocenti. Proprio come in questo film. L’immagine che appare alla fine de La Ragazza di Nebbia non è solo quella del mostro assassino, ma anche quella che ci guarda dal nostro riflesso nello specchio. Siamo tutti un po’ mostri infondo.

 
 

La ragazza nella nebbia, il film di Donato Carrisi su Sky Cinema

Dopo lo straordinario successo al Box Office, La ragazza nella nebbia, il film nato dall’omonimo romanzo e diretto all’esordio dallo scrittore Donato Carrisi (David di Donatello 2018 come miglior regista esordiente), con Toni Servillo nel ruolo dell’ispettore Vogel, sbarca in prima visione lunedì 15 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e alle 21.45 su Sky Cinema Hits. Disponibile anche su Sky On Demand.

La Ragazza nella Nebbia: recensione del film con Toni Servillo

Posizionandosi come il film italiano non commedia con più incassi e più visto della stagione, la pellicola di Carrisi ha riscosso anche ampi consensi dalla critica.

Arricchiscono il cast anche Jean Reno (Il Codice Da Vinci, The Promise), Galatea Ranzi (La Grande Bellezza, Il pranzo della domenica) e Lorenzo Richelmy (Sotto una buona stella, Una questione privata).

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA in prima visione lunedì 15 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e alle 21.45 su Sky Cinema Hits. Disponibile anche su Sky On Demand. 

La Ragazza nella Nebbia, la trama

L’ispettore Vogel (Toni Servillo, Il Divo, La Grande Bellezza, Loro) viene mandato in una cittadina isolata di una sperduta valle montana per investigare sul caso di una sedicenne scomparsa, la giovane Anna Lou. Intanto, i media prendono d’assalto la località e la popolazione del paese comincia ad incolpare Loris Martini (Alessio Boni, La bestia nel cuore, Maldamore), un professore che si è appena stabilito lì. Ma la verità si rivelerà più contorta di ciò che si possa pensare.

 
 

La ragazza ha volato: recensione del film scritto dai fratelli D’Innocenzo

Presentato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra, il film di Wilma Labate La ragazza ha volato il 23 giugno arriva in sala anche per il grande pubblico. Trieste, un’adolescente solitaria violata e una serie di carenze affettive sono i protagonisti della sceneggiatura scritta da Labate insieme ai fratelli d’Innocenzo.

La sinossi di La ragazza ha volato

Nadia (Alma Noce) è una sedicenne di Trieste che studia all’istituto alberghiero. È una ragazza solitaria e, durante uno dei suoi vagabondaggi pomeridiani in giro per Trieste, incontra un ragazzo più grande che la invita a fare una passeggiata fino alla casa dello zio. Il giovane, apparentemente gentile, si rivela presto tutt’altra persona e l’incontro tra i due sfocia presto in uno stupro. Le conseguenze del rapporto violento subito da Nadia le stravolgeranno la vita, offrendole però anche una via d’uscita dalla sua solitudine.

La protagonista ipnotica di La ragazza ha volato

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Alma Noce è un’attrice eccezionale. Oltre alla bellezza della ragazza, l’intensità delle espressioni del volto sono ciò che dà carattere al personaggio di Nadia. Dopo averla vista interpretare la controparte adolescente di Micaela Ramazzotti ne Gli anni più belli (Gabriele Muccino), Alma Noce ha ottenuto un meritatissimo ruolo da protagonista ne La ragazza ha volato. Gli occhi di Nadia dicono molto di più delle sue poche battute e, potentemente, esprimono alla perfezione gli stati d’animo della ragazza.

Nadia infatti parla poco, ”tiene tutto dentro” come dice sua madre. La solitudine della ragazza però non è infrangibile: come spesso accade agli adolescenti,  l’atteggiamento a tratti scorbutico di Nadia nasconde in realtà una necessità profonda di affetto e di considerazione, sentimenti che le vengono costantemente negati. A peggiorare la situazione arriva l’incontro con il ragazzo violento: l’unico a darle attenzioni lo fa nel modo peggiore possibile.

Una rappresentazione senza filtrila ragazza ha volato recensione film

La violenza subita da Nadia viene mostrata senza troppe censure e filtri. Wilma Labate sceglie di seguire passo a passo l’esperienza traumatica che vive la protagonista di La ragazza ha volato. La scelta è consapevole e lecita. Non solo la narrazione permette di empatizzare con il personaggio protagonista, ma contiene anche una critica ad un tema trattato ancora troppo poco in Italia. Quanto viene mostrato è realistico, purtroppo: Nadia rappresenta un’adolescente come tante che vive un’esperienza traumatica e non trova negli altri l’empatia necessaria per rendersene conto fino in fondo.

La cinepresa – nella scena cruciale come in tutto il film – è abbastanza acritica e distaccata. L’intensità drammatica del lungometraggio scaturisce dai fatti che si manifestano davanti all’inquadratura. L’utilizzo dei campi lunghi e di punti di vista laterali dona realismo e rende bene la solitudine del piccolo – in termini di età come di spazio occupato nelle immagini – personaggio protagonista de La ragazza ha volato.

Lo zampino dei fratelli D’Innocenzo

Si coglie chiaramente la presenza dei fratelli D’Innocenzo ne La ragazza ha volato. Gli autori della sceneggiatura, registi di America Latina Favolacce, portano al film di Wilma Labate quelle tinte grigie e sciatte della periferia a loro ben familiari. Questa volta non siamo a Roma ma a Trieste, una città tanto pulita e ordinata quanto algida.  E, questo contesto, riflette l’atteggiamento dei personaggi.

La ragazza ha volato è un film che racconta una storia forte e vera, fatta di volti autentici, contesti semplici e esperienze tragiche. È un dramma realistico perché mostra tutte le fasi legate ad un trauma: la vita prima, lo shock subito dopo e la ripresa nel lungo termine. In questo senso, il lungometraggio è anche un racconto di formazione che vuole offrire, come si può intuire dal titolo, una speranza per la realtà periferica e per gli adolescenti.

 
 

La ragazza di Stillwater: trailer con Matt Damon

Ecco il trailer di La ragazza di Stillwater il film con Matt Damon diretto da Tom McCarthy, regista de Il Caso Spotlight. Il film sarà presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes 2021 e arriverà prossimamente nelle sale italiane distribuito da Universal Pictures.

Un operaio dell’industria petrolifera, interpretato da Damon, parte dall’Oklahoma alla volta di Marsiglia per visitare la figlia, finita in carcere per un delitto che sostiene di non aver commesso. Messo alla prova dalle barriere linguistiche, dalle differenze culturali e da un complesso sistema legale, Bill rende la battaglia per la libertà della figlia la propria missione. Durante questo percorso, sviluppa un’amicizia con una donna locale e la sua piccola bambina, che lo porterà ad allargare il proprio sguardo e a scoprire un nuovo e inatteso senso di empatia con il resto del mondo.

 
 

La ragazza di Stillwater: la storia vera dietro il film con Matt Damon

La ragazza di Stillwater storia vera
Matt Damon in La ragazza di Stillwater. Foto di Jessica Forde / Focus Features - © 2021 Focus Features, LLC.

Accade molto spesso che si decida di portare sul grande schermo vicende realmente avvenute ma cambiandole quel tanto che basta da rendere le opere ad esse dedicate come “liberamente ispirate”. È il caso di La ragazza di Stillwater, il film diretto nel 2021 da Tom McCarthy, premio Oscar per Il caso Spotlight, che si ispira chiaramente a una delle vicende di cronaca più discusse degli ultimi anni, quella dell’omicidio di Meredith Kercher, di cui la statunitense Amanda Knox è stata erroneamente accusata. Tale storia viene però qui arricchita e trasformata, senza che ciò influisca sulle riflessioni che la storia vera solleva.

Presentato al Festival di Cannes, il film parte da queste premesse per raccontare però anche la determinazione di un padre nel voler salvare sua figlia, andando contro ostacoli apparentemente insormontabili. La ragazza di Stillwater offre dunque un racconto ricco di pathos e tensione, che fa leva su emozioni primarie per coinvolgere lo spettatore. Il risultato è poi stato apprezzato da un ampio numero di spettatori e critici, anche se numerose sono state anche le polemiche sollevate in nome della veridicità storica e del ritratto che si offre dei suoi protagonisti.

Grazie ora al suo passaggio televisivo, il film è senza dubbio un titolo da non perdere per gli appassionati di questo tipo di racconti, ma anche per chi vuole scoprire di più su una vicenda particolarmente controversa degli ultimi anni. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a La ragazza di Stillwater. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera dietro il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.

La ragazza di Stillwater Abigail Breslin Matt Damon

La trama e il cast di La ragazza di Stillwater

Protagonista del film è Bill Baker, un trivellatore di petrolio dell’Oklahoma che viaggia fino a Marsiglia, in Francia, per incontrare sua figlia Allison, che non vede da anni. La ragazza, infatti, si trova in prigione a causa di un omicidio di cui si dichiara innocente. Per lei, Bill si troverà a dover affrontare un sistema legale sconosciuto, molte barriere culturali e linguistiche, ma soprattutto personali per tentare di scagionare il sangue del suo sangue. È durante la missione salvifica di Allison che l’uomo imparerà un senso di empatia fino ad allora sconosciuto.

Ad interpretare Bill Baker vi è l’attore Matt Damon, il quale per prepararsi al ruolo si è immerso nella cultura dei “roughnecks” del petrolio dell’Oklahoma. Sua figlia Allison è invece interpretata da Abigail Breslin, attrice divenuta celebre grazie al film Little Miss Sunshine. Accanto a loro, recitano Camille Cottin nel ruolo di Virginie e Lilou Siavaud nel ruolo di Maya, mentre Idir Azougli è Akim, ragazzo che Allison indica come il vero assassino. Completano il cast Deanna Dunagan nel ruolo di Sharon, William Nadylam in quello di Patrick e Anne Le Ny in quello di Leparq.

La storia vera dietro il film

Sebbene la struttura portante di La ragazza di Stillwater sia, come anticipato, liberamente ispirata al caso di Amanda Knox, sono state prese molte libertà per aumentare l’effetto drammatico della storia. Per questo motivo, è giusto analizzare quali parti del film sono basate sui fatti reali e quante sono state inventate per scopi drammatici. Innanzitutto, a parte il crimine centrale che dà origine alla trama del film, ben poco di La ragazza di Stillwater è vero. In primo luogo, il caso di omicidio in cui è stata coinvolta Amanda Knox si è svolto a Perugia, in Italia, e non a Marsiglia, in Francia, dove è ambientato il film.

La ragazza di Stillwater cast

In secondo luogo, la famiglia Knox è originaria di Seattle, Washington, non di Stillwater, Oklahoma. Inoltre, Bill Baker è raffigurato nel film come un operaio edile i cui valori del Midwest definiscono la sua personalità dura. Nella realtà, il padre di Amanda, Curt Knox, era il vicepresidente delle finanze dei grandi magazzini Macy’s di Seattle e conduceva uno stile di vita molto diverso dalla sua controparte immaginaria. Sebbene questi dettagli geografici e socioeconomici possano sembrare insignificanti rispetto alla condanna per omicidio di Amanda, è importante notare che lo scontro culturale che Bill sperimenta nel film non è mai stato un fattore nella vita reale.

Infatti, a detta di tutti, Curt Knox non si è mai recato in Italia per far uscire Amanda di prigione, come invece fa Bill in Francia. Il suo intero viaggio oltreoceano e la sua incapacità di adattarsi alla vita e al sistema legale in Francia sono stati inventati per il film per riformulare la storia attraverso la prospettiva di un padre vendicativo. In realtà, entrambi i genitori di Amanda sono stati costretti ad attendere il verdetto del processo per omicidio in America. I genitori di Amanda le hanno dato sostegno finanziario e morale per combattere i suoi problemi legali all’estero, ma l’intera storyline che coinvolge Bill che prende in mano le questioni legali in Francia non è mai accaduta a Curt in Italia.

Tornando alla storia vera, nel 2007 la ventenne Knox si recò a Perugia, in Italia, per studiare all’estero. Lì viveva con altre tre donne in un appartamento con quattro camere da letto, tra cui la vittima dell’omicidio, Meredith Kercher. Dopo essere tornata a casa con il fidanzato Raffaele Sollecito e aver trovato sangue in bagno e la porta della camera di Meredith chiusa a chiave, la Knox ha chiamato la polizia. Dopo essersi involontariamente implicata nel crimine, la Knox fu arrestata e condannata per l’omicidio della Kercher. Ha poi trascorso quattro anni in un carcere italiano nonostante abbia sempre sostenuto la propria innocenza.

La ragazza di Stillwater trama

Durante ulteriori indagini sul caso Knox, fu trovato il DNA di un giocatore di rugby di nome Rudy Guede (personaggio del tutto rimosso da La ragazza di Stillwater. Guede fu interrogato e ammise di essere stato presente sulla scena del crimine, ma affermò di non aver ucciso Meredith. Tuttavia, una delle maggiori libertà drammatiche che il film si prende riguarda la fantasiosa trama in cui Bill rapisce e tortura un uomo di nome Akim (Idir Azougli), che crede essere il colpevole. In realtà, il padre di Amanda non ha mai rapito e torturato Guede o altri sospettati di omicidio. L’espediente hollywoodiano è stato probabilmente creato per aumentare la posta in gioco di un action-thriller drammatico.

Sebbene La ragazza di Stillwater salti i laboriosi processi e le temporanee assoluzioni per snellire gli eventi per motivi di tempo, il finale del film aderisce parzialmente ai fatti del caso Knox. È vero che, dopo aver scontato quattro anni in un carcere italiano, è stata scagionata grazie al test del DNA che ha dimostrato la colpevolezza di Guede. Dopo otto anni di processi, di cui quattro di carcere, Amanda Knox è stata definitivamente assolta dalla Corte di Cassazione nel 2015. Questo differisce drasticamente dal finale del film, che rivela che Allison ha assunto Akim per “far fuori” Lina dal suo appartamento.

L’equivoco portò Akim a uccidere Lina, cosa che Allison non aveva mai voluto. Nella realtà, Amanda non ha mai partecipato all’ingaggio di Guede per uccidere la Kercher. Da quando è tornata a Seattle dopo la sua prigionia italiana, la Knox ha completato la sua laurea e da allora è diventata autrice di diversi libri, tra cui Waiting to Be Heard: A Memoir. La Knox è poi diventata anche un’attivista che ha sostenuto l’Innocence Project, un’associazione no-profit che si occupa di difendere le persone accusate ingiustamente di reati.

Il trailer di La ragazza di Stillwater e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di La ragazza di Stillwater grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 9 agosto alle ore 21:20 su Canale 5.

 
 

La ragazza di Stillwater, dal 9 settembre al cinema. Il trailer

Arriva il 9 settembre in sala La ragazza di Stillwater, il nuovo film del premio Oscar Tom McCarthy presentato in concorso al Festival di Cannes 2021. Nel cast del film Matt Damon, Abigail Breslin e Camille Cottin.

La ragazza di Stillwater, la trama

Un operaio dell’industria petrolifera, interpretato da Damon, parte dall’Oklahoma alla volta di Marsiglia per visitare la figlia, finita in carcere per un delitto che sostiene di non aver commesso. Messo alla prova dalle barriere linguistiche, dalle differenze culturali e da un complesso sistema legale, Bill rende la battaglia per la libertà della figlia la propria missione. Durante questo percorso, sviluppa un’amicizia con una donna locale e la sua piccola bambina, che lo porterà ad allargare il proprio sguardo e a scoprire un nuovo e inatteso senso di empatia con il resto del mondo.

 
 

La ragazza di Stillwater arriva in prima tv su SKY e NOW

La ragazza di Stillwater
Matt Damon (left) stars as "Bill" and Camille Cottin (right) stars as "Virginie" in director Tom McCarthy's STILLWATER, a Focus Features release. Credit Jessica Forde / Focus Features

Dal regista vincitore del Premio Oscar Tom McCarthy (Il Caso Spotlight) arriva in prima tv La ragazza di Stillwater, potente e commovente film con Matt Damon e Abigail Breslin, in onda lunedì 30 maggio alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K, in streaming su NOW e disponibile on demand, anche in qualità 4K.

Presentato fuori concorso alla 74ª edizione del Festival di Cannes, scritto da Tom McCarthy, Marcus Hinchey e Thomas Bidegain e Noé Debré, la pellicola è un intenso dramma familiare, che abbraccia i temi del perdono e della redenzione e scava anche nel confronto tra culture. Nel cast con Matt Damon e Abigail Breslin anche Camille Cottin e Lilou Siauvaud.

La ragazza di Stillwater, la trama

Bill Baker (il vincitore del Premio Oscar Matt Damon) è un operaio petrolifero senza lavoro. Viaggia dall’Oklahoma fino a Marsiglia per visitare la figlia Allison (l’attrice nominata per il Premio Oscar Abigail Breslin), con cui intrattiene difficili rapporti. Imprigionata per un omicidio che afferma di non aver commesso, Allison individua un nuovo elemento che potrebbe liberarla e spinge il padre a coinvolgere gli avvocati. Ma Bill, volenteroso di provare il proprio valore e a riguadagnare la fiducia della figlia, decide di affrontare la questione in totale autonomia. Velocemente rimane bloccato dalle barriere linguistiche, dalle differenze culturali e da un complesso sistema legale, fino all’incontro con un’attrice francese, Virginie, (Camille Cottin), madre di una bambina di otto anni, Maya (Lilou Siauvaud). Questa alleanza improvvisata li porta a intraprendere un viaggio di scoperta, verità, amore e liberazione.

 
 

La ragazza di neve: tutto quello che c’è da sapere sulla serie Netflix

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Disponibile nel catalogo di Netflix a partire dal 27 gennaio, la serie spagnola La ragazza di neve è in breve divenuta uno dei titoli più celebri e ricercati sulla piattaforma streaming. Ad oggi ricopre infatti il primo posto nella Top 10 delle serie TV più viste e dato il suo continuo crescere di popolarità potrebbe mantenere tale posizione ancora a lungo. Ma qual è il segreto dietro il successo di questa serie? Scritta da Jesús Mesas e Javier Andrés Roig e diretta da David Ulloa e Laura Alvea, questa offre un racconto investigativo nel quale si fondono i canoni dei generi mistery e thriller.

La storia è dunque strutturata per catturare sin da subito l’attenzione dello spettatore, offrendo indizi, sospetti, depistaggi e possibili soluzioni ad un enigma che si rivela più grande e complicato del previsto. Non mancano poi anche tutte quelle caratteristiche che hanno reso popolari serie spagnole come La casa di carta o Élite, ovvero la presenza di emozioni forti, relazioni e passioni pericolose, le quali contribuiscono a far generare nello spettatore ulteriore pathos nei confronti dei personaggi e delle loro storie.

La ragazza di neve, il libro di Javier Castillo

Dietro tale ricca struttura narrativa si nasconde un romanzo di altrettanto successo, quello scritto Javier Castillo e pubblicato in Italia da Salani. Castillo, definito anche come “lo Stephen King spagnolo“, è un’autore di 35 anni particolarmente apprezzato in patria, i cui romanzi hanno superato il milione di copie vendute e sono stati tradotti in più di 60 Paesi. Formatosi studiando Economia aziendale e ottenendo un master in Management presso la ESCP Europe Business School, inizialmente egli lavorava come consulente finanziario, ma dopo il successo dei suo primi libri, ha abbandonato quella professione per diventare uno scrittorea tempo pieno.

Nel 2022 pubblica infine La ragazza della neve, che con la sua storia che mescola dramma, mistero e forte suspence, è divenuto un grandissimo successo editoriale con milioni di copie vendute in tutto il mondo. Grazie proprio alla sua storia che rapisce e conquista, era solo questione di tempo prima che i diritti del romanzo venissero acquistati per poterne trarre un prodotto audiovisivo. Netflix non ha infatti tardato a produrre la serie che oggi sta tanto spopolando, a conferma del grande fascino suscitato da un racconto come questo. Ma, dopo aver parlato degli elementi alla base della storia di La ragazza della neve, di cosa parla concretamente il libro e la serie?

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La trama e il cast di La ragazza di neve

Il racconto ha inizio nel 2010, a Malaga, durante la parata dei Magi. Durante tale occasione Amaya Martín, una bambina tre anni, sparisce tra la folla. Dopo lunghe ricerche, guidate dai terrorizzati genitori, vengono ritrovati solo i suoi vestiti e delle ciocche di capelli. Il mistero dietro la scomparsa della bambina sembra irrisolvibile e ci vorranno anni prima che spunti un indizio in grado di rimettere in moto la macchina investigativa. Proprio il giorno del compleanno di Kera, i suoi genitori ricevono uno strano pacchetto. Dentro c’è una videocassetta che mostra una bambina che sembra proprio essere Kiera, mentre gioca con una casa delle bambole in una stanza dai colori vivaci.

Dopo pochissimo lo schermo torna però a sgranarsi in un pulviscolo di puntini bianchi e neri, una neve di incertezza, speranza e dolore insieme. A guardare tale video, insieme ai due spaventati genitori, c’è anche Miren Rojo, che all’epoca del rapimento era una studentessa di giornalismo e da allora si è dedicata anima e corpo a questo caso. È lei a condurre ora, insieme all’esperto Eduardo, un’indagine parallela, più profonda e pericolosa, in cui la scomparsa di Kiera si intreccia con la sua storia personale in un enigmatico gioco di specchi che potrebbe far emergere scheletri dal passato potenzialmente pericolosi, in modi inaspettati, per tutti i coinvolti.

Ad interpretare i personaggi principali si possono ritrovare alcuni noti attori spagnoli, a partire da Milena Smith nei panni di Miren Rojo. Dopo aver esordito nel film Non uccidere, ha ottenuto grande popolarità per aver recitato accanto a Penelope Cruz in Madres Parallelas, guadagnando anche una nomination ai premi Goya come miglior attrice. Accanto a lei, nel ruolo di Eduardo, vi è invece l’attore José Coronado, recentemente visto anche in Way Down – Rapina alla banca di Spagna. Sono poi presenti gli attori Aixa Villagrán nei panni di Belén Millán, Tristán Ulloa in quelli di David Luque e Loreto Mauleón as Ana Núñez.

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Il finale di La ragazza di neve

Di seguito si riportanno elementi spoiler riguardanti il finale della serie, dunque per chi non ha ancora terminato la visione, si consiglia di interrompere la lettura. Ma per chi proprio non riesce ad aspettare di arrivare alla fine del sesto ed ultimo episodio della serie per vedere come questa finisce, o per chi ha visto il finale e desidera avere maggiori chiarimenti a riguardo, di seguito si riporta nel dettaglio la spiegazione di quanto avviene. Innanzitutto, come saprà chi ha visto o sta vedendo La ragazza di neve, a rendere avvincente e coinvolgente la storia ci pensa anche una struttura temporale non lineare, che compie salti temporali avanti e indietro nel tempo.

Questi permettono allo spettatore di avere a disposizione una sempre maggior quantità di dettagli su cui costruire le proprie riflessioni in vista della risoluzione del caso. Nel finale, si scoprirà dunque che la piccola Amaya è stata rapita da Iris e Santiago, marito e moglie e pazienti della mamma della bambina, alla clinica della fertilità. Il forte desiderio di Iris per la maternità la convince ad allontanare la bambina dai genitori e a crescerla come se fosse sua figlia. Amaya vive così ben dieci anni in compagnia dei suoi rapitori, arrivando a convincersi che siano davvero loro i suoi genitori e sviluppando una notevole paura del mondo esterno per via di ciò che Iris e Santiago le raccontano di questo.

Il fine è naturalmente quello di impedire che la piccola sviluppi curiosità per ciò che si trova al di fuori del luogo in cui è tenuta, rischiando dunque di essere ritrovata dai veri genitori. Mossi da compassione, però, i due rapitori decidono di inviare a questi alcuni brevi video della bambina, per far sapere loro che sta bene. Sarà proprio grazie ad uno di questi filmati che Miren riuscirà a risalire al luogo in cui la piccola è tenuta prigioniera. Dopo averla recuperata, in seguito ad un incidente in cui Iris perde la vita, la bambina fa però fatica a riconoscere i suoi due veri genitori come tali e per loro si prospetta un percorso di riconciliazione piuttosto lungo.

Nel mentre, Miren, durante una presentazione del suo libro, riceve un pacchetto anonimo che sembra collegato a un complicato caso di traffico di donne e bambini che la reporter aveva portato a galla durante le sue indagini. Per lei dunque sembra avere inizio un nuovo caso da risolvere, lasciando dunque intendere che la serie potrebbe avere una seconda stagione ancora una volta con la reporter interpretata dalla Smith come protagonista. Netflix non ha ancora confermato nulla a riguardo, ma i presupposti sembrano esserci tutti, anche se in caso di nuova stagione questa proporrà per forza di cose un racconto originale, che esula dal romanzo di Castillo.

Fonte: IMDb

 
 

La ragazza di neve – stagione 3 si farà? ecco tutto quello che sappiamo

La ragazza di neve - stagione 3

La ragazza di neve è un’altra emozionante serie originale Netflix che ha conquistato i nostri schermi nel 2023 e, dopo un’accoglienza esplosiva, è tornata con la seconda stagione nel gennaio 2025. Con temi avvincenti quali indagini, omicidi, giochi mentali e segreti, è dedicata agli amanti dei thriller polizieschi.

La serie di 6 episodi riporta in scena nomi familiari e volti nuovi come Milena Smit, Jose Coronado, Aixa Villagran, Miki Esparbe e Luis Callejo ed è diretta da Laura Alvea. Con rivelazioni scioccanti e colpi di scena, il finale di stagione ha tenuto gli spettatori con il fiato sospeso.

Se avete visto la seconda stagione e volete sapere se ci sarà una terza, questo articolo ha tutte le informazioni che state cercando. Ecco tutto quello che sappiamo:

Di cosa parla la seconda stagione di La ragazza di neve?

La ragazza di neve – stagione 2 riprende con il tour promozionale di Miren dopo il successo del suo libro, The Snow Girl. Uno sconosciuto chiamato God’s Raven si avvicina a Miren e le chiede di giocare al Soul Game se vuole scoprire la verità su Laura, una minorenne scomparsa anni fa.

Allo stesso tempo, l’ultimo caso di Belen e Chaparro è l’omicidio di Allison, che sembra essere stata coinvolta anche lei nel Soul Game. Miren è costretta a comportarsi bene poiché è stata affiancata da Jaime, un affascinante giornalista di Madrid, per scrivere un articolo sul caso di Allison.

Miren, essendo Miren, decide di trovare un collegamento tra Laura e Allison mentre sconosciuti e volti familiari cercano di fermarla. Anche Jaime si ritrova nei guai con la sua alma mater, poiché si tratta della stessa scuola frequentata da Laura e Allison.

La ragazza di neve è stato rinnovato per la terza stagione?

Al momento della stesura di questo articolo, Netflix non ha rinnovato La ragazza di neve per una terza stagione.

Netflix tende a considerare le visualizzazioni e il tasso di abbandono prima di rinnovare o cancellare una serie, oltre al successo di critica. Alcune serie vengono rinnovate immediatamente, come One Piece e Bridgerton, mentre altre richiedono anni, come The Watcher e The Victim’s Game.

La ragazza di neve 2 ha anche un finale aperto, il che significa che è stato realizzato pensando a una terza stagione. Inoltre, Netflix Spagna tende a creare serie con più stagioni come Cable Girls, Elite e Money Heist, quindi siamo abbastanza ottimisti. Se il successo di critica e commerciale della stagione sarà simile a quello della prima, The Snow Girl potrebbe essere rinnovata.

Cosa sappiamo della terza stagione di The Snow Girl?

Al momento non si sa molto sulla terza stagione di La ragazza di neve, dato che non è stata ancora approvata. Ma ci sono molte domande senza risposta, come ad esempio cosa succederà a Miren. Inoltre, la polizia fa irruzione in una lavanderia a gettoni e trova i film snuff di Slide. Vediamo due nomi: Miren Rojo e Cristina Ruiz.

Questo finale aperto lascia spazio a ulteriori sviluppi nel caso in cui la serie venisse rinnovata. Se la serie dovesse tornare, ci si può aspettare una stagione di circa 6 episodi, ciascuno della durata di circa 50 minuti. Tuttavia, non c’è ancora nulla di confermato, ma aggiorneremo questa pagina non appena avremo nuove informazioni.

 
 

La ragazza di neve – stagione 2, la spiegazione del finale

La ragazza di neve - stagione 2

Con l’uscita di La ragazza di neve – stagione 2, la collezione di thriller di Netflix si arricchisce di un’altra emozionante aggiunta. La serie misteriosa spagnola, scritta da Jesus Mesas e adattata dal romanzo di Javier Castillo, ha tutto ciò che serve per diventare una serie da guardare tutta d’un fiato nei suoi sei episodi. La storia segue Miren Rojo (Milena Smit) e il suo improvviso interesse per un caso di rapimento di una bambina, Amaya Martín, scomparsa sotto la sorveglianza del padre mentre la madre era lontana. Miren, una giornalista stagista, ha una trama che si svolge sotto forma di flashback, mostrando frammenti del suo stupro e di come il trauma di quell’esperienza influenzi i suoi sforzi con ogni colpo di scena della vicenda della bambina scomparsa, mentre i due casi iniziano a intrecciarsi.

La serie riesce magnificamente a far empatizzare il pubblico con ciascuno dei personaggi, tutti alle prese con le proprie lotte interiori, il che porta a un finale emozionante e a un epilogo che lascia la porta aperta a ulteriori colpi di scena in una seconda stagione, se Netflix darà il via libera a un altro adattamento.

Un incontro teso tra Miren e Iris

Tutto ciò che è successo tra il primo e il quinto episodio ha portato a questo momento. Il pubblico ha capito subito, non appena Miren ha scoperto il nome di Iris, che era solo questione di tempo prima che la trovasse. Questo incontro è stato amplificato dal fatto che Miren si è ritrovata sospettata nei telegiornali dopo il ritrovamento dei corpi di David Luque (Tristán Ulloa) e James Foster. Rendendosi conto di essere con le spalle al muro, capì che era ora o mai più di fare pressione su Iris e sperare di rintracciare Amaya. Quello che seguì fu la scena più tesa di una serie ricca di momenti palpitanti. L’ambientazione stessa alimentava l’intensità di ciò che stava per accadere, dato che Iris e Amaya, che nei nove anni trascorsi dal rapimento aveva assunto il nome di Julia, vivevano in una zona isolata, con una sola strada di accesso e nessun vicino nel raggio di chilometri. Era come mettere le mani in un nido di vespe: dopotutto, gli spettatori avevano già visto Iris sparare con un fucile a un impiegato di banca che era venuto a notificare loro il mancato pagamento del mutuo.

La conversazione tra Miren e Iris riassume tutto ciò che gli spettatori sapevano di Miren, ovvero che è una persona molto astuta. Gli sceneggiatori di La ragazza di neve hanno fatto un lavoro straordinario nel fornire chiari indizi al pubblico sui vari momenti in cui Miren ha iniziato a collegare i puntini e capire che Amaya era tenuta prigioniera in quella casa.

C’era il videoregistratore che lei ha notato non appena si è seduta in salotto, che conteneva le due cassette che Iris e il suo defunto marito Santiago le avevano inviato in precedenza. La fascia che Iris indossava era dello stesso tessuto di quella che Amaya indossava nei video che le erano stati inviati. Miren ha anche notato una piccola bicicletta rosa nascosta sul retro quando è arrivata.

Qui gli sceneggiatori hanno aggiunto un tocco di classe, fornendo indizi ma lasciando anche che lo spettatore giocasse a fare il detective, perché era evidente che Miren aveva notato quelle cose, ma ciò che restava da dedurre al pubblico erano altri due indizi. Il primo riguardava proprio quella bicicletta, quando Iris disse in seguito a Miren che, dopo la morte del marito, la casa era ora occupata solo da lei e dal suo cane. Si trattava di una chiara svista, poiché non spiegava perché questa donna avesse una bicicletta da bambina nel cortile sul retro. Il secondo indizio sottile era il rumore che Miren aveva sentito provenire dal piano di sopra, che era una combinazione di rumori del cane e di Amaya. Iris ha rapidamente coperto il rumore dicendo che aveva portato il cane al piano di sopra perché “impazziva” quando c’era gente in giro. Pochi istanti dopo, poiché il rumore non si dissipa, Iris si offre di portare giù il cane. Una volta al piano di sotto, Miren riceve un caloroso benvenuto dal cane e gli spettatori lo vedono poi sedersi tranquillamente in cucina. Anche se Miren non rivela di aver capito o meno, è lecito supporre che abbia notato la bugia di Iris.

Una fine violenta che lascia molti pezzi da raccogliere

A questo punto, tutti i personaggi coinvolti erano consapevoli che gli altri sapevano cosa stava succedendo. Iris aveva capito chiaramente di essere stata scoperta, mentre Miren era sicura che quella fosse la donna che aveva rapito Amaya. Nel corso dei sei episodi, il team creativo ha fatto un lavoro straordinario nel delineare i personaggi, e vedere il risultato a questo punto ha reso il finale degno di tutti i colpi di scena. Alla fine, quella conversazione ha portato Iris a raccogliere tutto e fuggire, dando vita a un breve inseguimento in auto con Miren alle calcagna. Sentendo che nessuno può separarla dalla sua “figlia”, Iris esce di strada e precipita giù da una collina, andando incontro alla morte. Amaya, che aveva tenuto allacciata la cintura di sicurezza, esce dall’auto con ferite al viso più che altro, e alla fine spara un colpo che sfiora la spalla di Miren prima che lei riesca a strapparle la pistola e a calmare la ragazza. Questa scena è stata difficile da guardare perché, con il passare dei secondi, era sempre più chiaro che non sarebbe finita bene. Gli spettatori hanno assistito all’ascesa e alla caduta di Iris, una donna che era una paziente della madre di Amaya e a cui era stato detto che le sue possibilità di avere un figlio erano sempre più remote. Per quanto la svolta di Iris nel decidere di rapire la bambina fosse cupa e inquietante, gli sceneggiatori sapevano che era importante mostrare le difficoltà che aveva attraversato affinché questa scena finale avesse l’effetto desiderato.

La parte restante dell’episodio vede Amaya ricongiungersi con i suoi genitori, ma chiaramente con una lunga convalescenza davanti a sé dopo essere stata tenuta in isolamento per nove anni. Non risponde al nome Amaya in un’interazione straziante tra la famiglia riunita, ma sua madre alla fine la chiama Julia e il muro tra i genitori e la figlia si abbassa leggermente, dando agli spettatori la speranza che il tempo possa guarire questo rapporto. Nonostante abbia interpretato il ruolo dell’eroina, Miren non si sente affatto tale dopo aver salvato la ragazza. La polizia sospetta ancora che lei abbia qualcosa a che fare con l’incendio doloso, perché sapeva che Miren aveva scoperto che le due persone morte facevano parte della pagina web oscura che aveva pubblicato il video del suo stupro. Anche il pubblico ha visto la sua macchina fotografica con le due foto che gli investigatori avevano scoperto, dipingendo Miren come la principale sospettata. La scheda con le foto è stata però distrutta da Eduardo (José Coronado), che lo ha fatto per proteggerla. Miren ha avuto molte interazioni durante lo show, ma il suo legame indissolubile con Eduardo si è rivelato una trama interessante, con il culmine proprio in questo momento, quando il pubblico ha potuto vedere fino a che punto lui sarebbe arrivato per proteggerla.

Il significato de La ragazza di neve viene svelato

Prima della fine della serie, c’è un salto temporale di due anni e Miren, che sembra aver voltato pagina senza alcuna prova a suo carico, ha appena pubblicato un libro intitolato “Snow Girl”. Naturalmente, il libro documenta il viaggio che ha intrapreso per scoprire la verità sul rapimento di Amaya Martín. È qui che il pubblico finalmente capisce il significato del titolo della serie.

Durante una lettura del libro, Miren spiega che si tratta del rumore bianco che si sentiva alla fine di ciascuno dei due nastri inviati a lei e ai genitori di Amaya per far loro sapere che stava bene: “Ogni volta che finivano, sullo schermo emergeva un rumore bianco interno ed era allora che vedevo sempre Amaya, ricoperta di neve, tanto che era impossibile sfuggirle”. Questo è stato il motivo che ha spinto Miren a perseguire con determinazione la giustizia; semplicemente non poteva lasciare che quella ragazza cadesse nell’oscurità, anche dopo nove anni di ricerche.

Sebbene Netflix abbia etichettato questo programma come miniserie, ciò non significa che la serie sia giunta al termine. Prima di chiudersi, Miren riceve una busta con scritto sulla parte anteriore: “Vuoi giocare?”. Per quanto inquietante possa sembrare, il contenuto della busta porta questa storia oscura a un altro livello quando viene mostrata una foto di una ragazza legata. Chi è quella ragazza? Che cosa ha a che fare con Miren? Alla fine, non si sa nulla, il che lascia la porta aperta per una seconda stagione se Netflix decidesse di dare seguito al successo ottenuto con i primi sei episodi.