Ad ottobre del 2018 Netflix aveva annunciato un accordo
pluriennale con The C.S. Lewis Company per lo sviluppo di film e
serie tv basati sull’amata saga fantasy di C.S. Lewis
Le cronache di Narnia. Da allora, però,
non ci sono stati più aggiornamenti sul progetto.
Adesso, in una lunga intervista
diffusa su
YouTube nelle ultime ore, è stato Douglas
Gresham, figlio adottivo di Lewis e produttore della saga
cinematografica basata su Le cronache di
Narnia, ha parlato proprio dell’ambizioso progetto
affidato al colosso dello streaming. Gresham, che è stato
confermato come produttore anche dei futuri adattamenti, ha
spiegato:
“Da quando abbiamo stretto
l’accordo con Netflix nell’ottobre del 2018, non abbiamo più avuto
notizie da parte loro. Sono un po’ preoccupato sinceramente… ho
come la sensazione che non accadrà davvero. Mi piacerebbe che fosse
qualcosa a episodi. Con i film hai a disposizione al massimo due
ore per cercare di metterci dentro un intero libro, ed è sempre
difficile farlo nel modo più giusto. Vorrei che questo nuovo
progetto fosse il più fedele possibile al materiale originale e con
la formula della serie o della miniserie sarebbe possibile adattare
la saga per intero, in ogni suo dettaglio e sfumatura.”
La saga de Le cronache
di Narnia è già stata adattata per il grande schermo
tra il 2005 e il 2010, con gli adattamenti de Il leone,
la strega e l’armadio (2005) e Il
principe Caspian (2008), entrambi diretti da Andrew
Adamson, e con Il viaggio del
veliero diretto da Michael Apted (2010).
Sulla base di un accordo pluriennale
con The C.S. Lewis Company, Netflix darà vita alle
incredibili storie ambientate nell’universo di Narnia con nuovi
film e serie TV disponibili in esclusiva per gli utenti di tutto il
mondo.
I titoli generati da questa
collaborazione saranno produzioni originali Netflix, Mark Gordon di
Entertainment One (eOne), Douglas Gresham e Vincent Sieber saranno
produttori esecutivi delle serie e produttori dei film. In totale,
i romanzi della serie Le cronache di
Narnia hanno venduto oltre 100 milioni di copie
e sono stati tradotti in più di 47 lingue in tutto il mondo. Per la
prima volta, grazie a questo accordo, i diritti dei sette libri che
compongono la saga sono proprietà di una sola compagnia.
«Le splendide storie di C.S.
Lewis hanno conquistato il cuore di generazioni di lettori in tutto
il mondo», ha affermato Ted Sarandos, Chief
Content Officer di Netflix. «Intere famiglie si sono
innamorate di personaggi come Aslan e dell’intero universo di
Narnia, siamo molto emozionati perché Netflix diventerà la loro
casa nei prossimi anni».
«È meraviglioso sapere che il
pubblico di tutto il mondo potrà scoprire nuovi aspetti del mondo
di Narnia. Le nuove tecnologie di produzione e distribuzione
avanzata ci consentiranno di far vivere ancora una volta le
avventure dei protagonisti in tutto il mondo», ha osservato
Douglas Gresham, figlio adottivo di C.S. Lewis.
«Netflix rappresenta il medium migliore per questo progetto,
non vedo l’ora di lavorare con loro per realizzarlo».
«Narnia rappresenta un fenomeno
raro, una storia che supera i confini geografici, amata da diverse
generazioni», ha affermato Mark Gordon,
Presidente e Chief Content Officer, Film & Television di eOne.
«eOne ed io siamo emozionati di poter collaborare con la C.S.
Lewis Company e con Netflix, che trasformeranno l’universo di
Narnia in film e serie TV. Non potremmo essere più felici di
iniziare a lavorare su queste nuove produzioni».
Dopo mesi di silenzio
sul franchise tratto dai romanzi di C.S. Lewis, il
sito Narnia Web comunica che David
Magee, sceneggiatore di Vita di
Pi, ha ultimato lo script di Le Cronache
di Narnia la Sedia d’Argento, quarto capitolo
cinematografico della serie.
Ricordiamo che i film
precedentemente realizzati erano basati rispettivamente su
Il leone, la strega e l’armadio; Il principe
Caspian e Il viaggio del
veliero. Speriamo che questo quarto adattamento abbia
più fortuna sia da un punto di vista artistico che da un punto di
vista economico.
La Sedia d’Argento
è il quarto libro nella saga di Narnia ed è ambientato a Narnia
decenni dopo gli eventi del terzo libro. Re Caspian cerca l’aiuto
di Aslan per cercare di salvare il Principe Rilian, figlio ed erede
di Caspian. Aslan decide quindi di coinvolgere due studenti,
Eustace Scrubb (Will Poulter nel
Viaggio del Veliero) e Jill Poole.
Sarà Joe Johnston,
regista di Captain America Il Primo Vendicatore, a
dirigere Le Cronache di Narnia La Sedia
d’Argento, prossimo capitolo della serie di film basati
sulla raccolta di romanzi di C.S. Lewis che però
vedrà il franchise ripartire da zero.
Il progetto segnerà il punto zero di
un nuovo franchise che ripartirà da zero. Alla sceneggiatura ha
lavorato David Magee, autore di La
Vita di Pi e Neverland – Un sogno per la
vita. Il film sarà distribuito da Sony e eOne.
Il Leone, la Strega e
l’Armadio e il Principe
Caspian sono stati distribuiti dalla Disney nel 2005
e nel 2009, Il Viaggio del Veliero dalla
Fox nel 2010, per un incasso totale di 1,6 miliardi.
La Sedia d’Argento
è il quarto libro nella saga di Narnia ed è ambientato a Narnia
decenni dopo gli eventi del terzo libro. Re Caspian cerca l’aiuto
di Aslan per cercare di salvare il Principe Rilian, figlio ed erede
di Caspian. Aslan decide quindi di coinvolgere due studenti,
Eustace Scrubb (Will Poulter nel
Viaggio del Veliero) e Jill Poole.
Sono diversi mesi che non
ci sono novità in merito a Le Cronache di Narnia La
Sedia d’Argento, il quarto film del franchise tratto
dai romanzi di C.S. Lewis. Adesso Deadline annuncia che la TriStar
Picturess, la Mark Gordon Company, la C.S. Lewis Company
e Entertainment One (eOne) sono a lavoro insieme per portare sul
grande schermo La Sedia d’Argento.
Il progetto segnerà il punto zero di
un nuovo franchise che ripartirà da zero. Alla sceneggiatura ha
lavorato David Magee, autore di La
Vita di Pi e Neverland – Un sogno per la
vita. Il film sarà distribuito da Sony e eOne.
Il Leone, la Strega e
l’Armadio e il Principe
Caspian sono stati distribuiti dalla Disney nel 2005
e nel 2009, Il Viaggio del Veliero dalla
Fox nel 2010, per un incasso totale di 1,6 miliardi.
La Sedia d’Argento
è il quarto libro nella saga di Narnia ed è ambientato a Narnia
decenni dopo gli eventi del terzo libro. Re Caspian cerca l’aiuto
di Aslan per cercare di salvare il Principe Rilian, figlio ed erede
di Caspian. Aslan decide quindi di coinvolgere due studenti,
Eustace Scrubb (Will Poulter nel
Viaggio del Veliero) e Jill Poole.
Sarà basato su
La Sedia d’Argento, quarto libro della
saga scritta da C S Lewis e avrà probabilmente lo
stesso titolo, e sarà il quarto film tratto dalla serie letteraria
Le Cronache di Narnia. A dare l’annuncio della messa in
cantiere del progetto è stata con un comunicato la The Mark Gordon
Company, contattata dalla C.S. Lewis Company.
Nel comunicato di
Mark Gordon si legge: “Come molti lettori,
grandi e piccoli, sanno, io sono un grande fan di C.S. Lewin e del
suao bellissimo e allegorico mondo di Narnia. Queste fantastiche
storie ispirano passione nel mondo reale in tantissimi fan
devoti in tutto il mondo. E così mentre ci prepariamo a portare sul
grande schermo il prossimo libro, siamo onorati e eccitati di
contribuire alla straordinaria eredità di Narnia.”
Douglas Gresham,
pronipote di C.S. Lewis ha dichiarato: “Ho
grande rispetto per il lavoro di Mark Gordon e e sono fiducioso che
insieme potremmo portare la bellezza e la magia, che Narnia ha
portato nei cuori di chi ha letto La Sedia d’Argento, sullo
schermo. Non vedo l’ora di tornare a Narnia, questa volta con Mark
Gordon e la sua squadra”.Gordon e Gresham produrranno il film
con Vincent Sieber, il presidente della base di
Los Angeles della C.S. Lewis Company, che come detto lavorerà con
la Mark Gordon Company sullo sviluppo della sceneggiatura.
Anche le parole di Sieber sono state
di stima verso Gordon e di grandi aspettative per questo quarto
adattamento cinematografico dei romanzi di Lewis.
Ricordiamo che i film
precedentemente realizzati erano basati rispettivamente su Il
leone, la strega e l’armadio; Il principe Caspian e Il viaggio del
veliero. Speriamo che questo quarto adattamento abbia più fortuna
sia da un punto di vista artistico che da un punto di vista
economico.
Sarà un
complesso progetto multicanale quello sviluppato dalla
Lionsgate che adatterà contemporaneamente i romanzi fantasy
deLe Cronache dell’Assassino del Re
di Patrick Rothfussper il
cinema, la televisione e il mondo dei videogame.
Le Cronache, incentrate sul
personaggio del leggendario e potente mago Kvothe, sono
composte da una trilogia di romanzi – i primi due titoli sono
Il nome del vento e La paura del
saggio mentre il terzo capitolo deve ancora uscire –
e da tre novelle. La Lionsgate spera così di replicare il
successo di Peter Jackson con Tolkien e della
serie Game of Thrones della HBO per
quanto riguarda il piccolo schermo.
Le cronache dei morti viventi è diretto
da George Romero con
protagonista Michelle Morgan, Joshua Closè, Shawn
Roberts e Joe Dinicol.
Sinossi
Un gruppo di ragazzi, intenti a girare un film horror indipendente,
si ritrovano coinvolti inevitabilmente in una situazione che sta
sconvolgendo gli Stati Uniti: i morti tornano in vita, e
Jason(Closè), decide di filmare il caos e la violenza che esplodono
durante il loro cammino.
Analisi
A due anni di distanza dalla Terra dei morti viventi,
Romero, dedito al (sotto)genere degli zombi -da egli stesso
promulgato- torna ad inscenare soggetti che proliferano di morti
viventi. Ma l’ingegnosità del regista sembra inesauribile, e il
quinto capitolo della saga degli zombi, prende una piega del tutto
nuova, inserendosi direttamente nella linea che da Cannibal
Holocaust porta a Cloverfield, passando per The Blair witch
project e REC.
Un filone che mira ad unire la
tecnica documentaristica al genere horror, e che con le possibilità
del digitale, si sviluppa all’insegna della sperimentazione di
nuove situazioni. Ed è in questo contesto che Romero rinnova il
genere zombi movie, mettendo in scena momenti del tutto inediti e
mai banali, confermando l’acume e la creatività che gli
appartengono e la consapevolezza dei meccanismi del cinema
dell’orrore.
Regista versatile come pochi,
Ridley Scott ha nei
decenni dato vita a importantissimi film di diverso genere. Uno di
quelli per cui è più ricordato, oltre alla fantascienza, è il
colossal storico. Rientrano in questo titoli come Il gladiatore, I duellanti,
Robin Hood e Exodus – Dei e re. Un altro
suo acclamato lungometraggio di questo genere è anche
Le crociate – Kingdom of Heaven, da lui
diretto nel 2005. Un’opera in cui Scott ha nuovamente dato prova di
tutta la sua grandezza, dando vita ad un’ossessiva cura per le
immagini e per la ricostruzione storica e scenografica.
Un desiderio di grandezza che ha
portato il film a superare le tre ore di durata, poi ridotte e a
due e venti per la versione cinematografica. Il film che Scott
vuole che sia ricordato è però proprio la Director’sCut, all’interno della quale sono naturalmente presenti
più scene ma anche più elementi utili al racconto e al suo cuore
tematico. Tra impressionanti scene di battaglia e momenti più
intimi e delicati, il film si configura così un ricco ritratto di
eventi storici attualizzati a tematiche particolarmente
contemporanee come il neocolonialismo, lo scontro tra civiltà, il
rapporto tra comunità cristiana e mussulmana, il rifiuto degli
estremismi e, naturalmente, anche le ripercussioni post 11
settembre 2001.
Le crociate – Kingdom of
Heaven si affermò dunque come un film a suo modo anche
controverso. Pur non replicando il successo di Il
gladiatore, questo è da molti ritenuto un titolo
particolarmente più importante e profondo, accuratezza storica o
meno. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Le crociate – Kingdom of
Heaven: la trama del film
Ambientato nella Francia del 1184,
il film ha per protagonista Baliano di Ibelin, un
maniscalco francese ricercato per omicidio. Nel tentativo di
nascondersi ed evitare una condanna, egli si imbatte nel padre
Goffredo, cavaliere diretto in Terra Santa, dove
si trovano i suoi possedimenti. Nel viaggio verso Gerusalemme,
tuttavia, i due si trovano attaccati dai gendarmi francesi e
Goffredo rimane ferito a morte. Prima di morire, tuttavia, egli fa
pronunciare a suo figlio il giuramento del Cavaliere. Baliano si
ritrova così insignito di tale titolo, che comporta anche il dovere
di difendere il re di Gerusalemme. Giunto in Terra Santa, Baliano
si unisce dunque alla crociata contro Saladino,
intenzionato a dimostrare come la guerra religiosa sia risolvibile
senza violenza.
Le crociate – Kingdom of
Heaven: il cast del film
Per il suo colossal, Scott si è
avvalso di numerosi attori di grande fama internazionale. Il primo
tra questi, nei panni del protagonista Baliano, è l’attore
Orlando Bloom. Egli,
che aveva da poco terminato le riprese di Troy, era
inizialmente restìo a recitare in un altro film storico. Si
convinse solo quando seppe che il regista sarebbe stato Scott. Per
assumere il ruolo di Baliano, egli si è poi allenato nell’uso della
spada ed ha anche guadagnato diversi chili di muscoli per risultare
più imponente. Nei panni della fascinosa principessa di
Gerusalemme, Sibilla, vi è invece l’attrice Eva Green, mentre
Liam Neeson è Goffredo,
padre di Baliano. L’attore, che non sapeva nulla delle crociate,
iniziò a studiarle dopo aver ottenuto il ruolo.
Nel film vi è poi il premio Oscar
Jeremy Irons nei panni
del conte Tiberias, personaggio ispirato a Raimondo III di Tripoli,
mentre Saladino è impersonato dall’attore siriano Ghassan
Massoud. Sono poi presenti anche David Thewlis nei panni
del cavaliere ospitaliere e Marton Csokas in
quelli di Guido di Lusignano. Brendan Gleeson è il
sanguinario Rinaldo di Chatillon, mentre Ian
Glen, noto per il ruolo di Jorah Mormont in Il Trono
di Sapde, interpreta qui Riccardo I d’Inghilterra.
Edward Norton è stato
brevemente considerato per il ruolo di Guido, ma dopo aver letto la
sceneggiatura ha fatto pressioni per il ruolo di Re Baldovino. Egli
risulta però irriconoscibile, poiché ha il volto sfigurato e
coperto da una maschera.
Le crociate – Kingdom of
Heaven: la vera storia e le differenze con il film
Come anticipato, nel dar vita al suo
film Scott ha cercato di essere quanto più accurato e fedele
possibile ai veri personaggi ed eventi qui raccontati. Nonostante
ciò, diversi sono gli elementi romanzi e che si discostano dalla
realtà storica. Ad esempio, il personaggio di Baliano è
probabilmente quello più soggetto a modifiche dell’intero film. Il
suo effettivo coinvolgimento nella difesa di Gerusalemme contro
Saladino fu marginale, ma egli era un vero cavaliere piuttosto che
il fabbro omicida mostrato nel film. Si racconta invece in modo
accurato il suo probabile viaggio dall’Europa, descrivendo le sue
interazioni diplomatiche con il leader saraceno, Saladino.
Quest’ultimo personaggio, invece, è
rappresentato in modo molto fedele alla realtà storica, tanto nelle
azioni quanto nelle sue idee. Tale ritratto ha infatti entusiasmato
la comunità araba. Parte importante del film sono poi le
rappresentazioni dei combattimenti medievali. In questi il film si
dimostra estremamente accurato: armi, armature e equipaggiamento
d’assedio sono ricreati con un’attenzione particolarmente acuta ai
dettagli, mentre le scene di battaglia campale e d’assedio sono
accurate nella rappresentazione della brutalità. I principi
medievali della cavalleria sono ben rappresentati e danno agli
spettatori un’eccellente percezione di come funzionava il sistema
europeo.
Le crociate – Kingdom of
Heaven: il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile vedere o rivedere il
film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari
piattaforme streaming presenti oggi in rete. Le
crociate – Kingdom of Heaven è infatti disponibile
nel catalogo di Rakuten TV, Netflix, Infinity e Amazon Prime Video. Per vederlo, in base
alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo
film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda
visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il
titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale,
entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre
trasmesso in televisione il giorno mercoledì 21
settembre alle ore 21:00 sul canale
Iris.
Arriverà il 13 aprile con
Satine FilmLe cose che verranno –
L’Avenir, film di Mia
Hansen-Løve con protagonista Isabelle
Huppert.
Di seguito il trailer del film
presentato a Berlino 2016 dove ha vinto
l‘Orso d’Argento.
Sulle note di Deep Peace, nella
struggente interpretazione di Donovan, ecco le prime immagini del
film Le cose che verranno-l’ Avenir,
della regista Mia Hansen-Løve, dove una magnifica
Isabelle Huppert ci regala la toccante e
coinvolgente interpretazione di Nathalie, una professoressa di
filosofia costretta da varie vicissitudini, a prendere in mano la
propria vita e a costruirsi un futuro migliore. Interpretazione che
è valsa alla Huppert il premio come Miglior Attrice dell’ Anno ai
prestigiosi Critics Choice Award di Londra e che, insieme alla
vittoria del Golden Globe e alla candidatura all’Oscar, la consacra
come una delle attrici più straordinarie del panorama
cinematografico mondiale. Le cose che
verranno-L’Avenir uscirà in Sala il 13 aprile con
Satine Film.
Le cose che verranno
– L’Avenir recensione del film di Mia
Hansen-Løve
La fine di un amore è sempre a suo
modo una tragedia. Il cinema ha affrontato il tema del divorzio
sotto innumerevoli sfumature, da grandi classici del cinema come
Kramer vs. Kramer,
Io e Annie e La guerra dei Roses fino a un dramma
puro come Storia
di un matrimonio, un’opera sci-fi come
Eternal Sunshine of the Spotless Mind o ad una commedia
come 500 giorni insieme. Una delle opere più struggenti e
realistiche a riguardo, oltre a quelle qui citate, è anche
Le cose che non ti ho detto, scritto e diretto nel
2018 da William Nicholson.
Sceneggiatore due volte candidato
all’Oscar e celebre per aver scritto film come Viaggio in
Inghilterra,
Il gladiatore,
Les Misérable e Unbroken,
Nicholson ha con quest’opera dato vita alla sua seconda regia di un
lungometraggio, mosso dalla volontà di raccontare una storia
estremamente personale. Il film è infatti ispirato all’opera
teatrale da lui stesso scritta, The Retreat for Moscow, a
sua volta basata sul matrimonio dei genitori dello scrittore,
separatisi dopo 33 anni insieme. Nicholson riflette dunque su
quella vicenda e sull’impatto che ebbe in lui all’epoca e che ha
tutt’ora.
Allo stesso modo, egli esplora i due
genitori alla ricerca delle rispettive motivazioni, giungendo così
a dar voce ad un film fortemente emotivo in quanto profondamente
sincero nel mostrare i percorsi che la vita porta ad intraprendere.
In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali
curiosità relative a Le cose che non ti ho detto.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e al suo finale.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Le cose che non
ti ho detto
Protagonisti del film sono i coniugi
Grace ed Edward. I due sono
sposati da 29 anni e la loro vita nella cittadina inglese di
Seaford trascorre tranquilla in una casa in prossimità del mare tra
oggetti accumulati negli anni, tra cui moltissimi libri. Entrambi
in pensione, lei si occupa della stesura di un’antologia di poesie,
mentre lui è ossessionato dall’attendibilità delle pubblicazioni su
Wikipedia. Quando il figlio, Jamie, va a far loro
visita per il weekend, il padre gli rivela l’intenzione di lasciare
la madre per un’altra donna che lo rende felice e libero di essere
sé stesso.
Edward fa così i bagagli e va via,
nonostante Grace non voglia accettare la cosa. Caduta in
depressione, la donna si sente persa senza Edward nella sua piccola
cittadina costiera e spera sempre di vederlo rientrare un giorno in
casa con le sue valigie. Jamie, dal canto suo, cerca di aiutare la
madre a ripartire da zero e a mettersi alla ricerca della sua
serenità. I tre faranno i conti con gli ostacoli che la vita pone
durante il cammino e che dovranno saper affrontare per tornare ad
essere felici, ognuno a modo suo.
Il cast del film e la location dove
si sono svolte le riprese
Nel ruolo del figlio Jamie, invece,
vi è Josh O’Connor, affermatosi recentemente grazie
alla serie The
Crown e ai film La
chimera e Challengers.
Per quanto riguarda la location dove si sono svolte le riprese,
queste è proprio Seaford, cittadina della contea
dell’East Sussex, in Inghilterra.
In passato la città disponeva di spiagge eccellenti, alimentate
dalla deriva dei litorali che spostavano costantemente la sabbia
lungo la costa da ovest a est. Ancora oggi è conosciuta
principalmente per la sua vita costiera.
Il finale del film: ecco come si
conclude il racconto
Nel corso del film, dunque, i tre
personaggi principali di Le cose che non ti ho
detto si scontrano con la necessità di ripartire con le
proprie vite, ognuno a modo proprio. Al momento del finale, dunque,
la storia è tutt’altro che conclusa, perché lì dove termina il film
ha invece inizio qualcosa di nuovo per Grace, Andrew e Jamie.
Proprio la voce di quest’ultimo conclude la pellicola recitando un
poema scritto per i suoi genitori, in cui li ringrazia per ciò che
rappresentano per lui, chiedendo però anche loro di “lasciarlo
andare” affinché egli possa ora costruire il proprio percorso di
vita.
Come riportato dallo stesso sceneggiatore
e regista: “Le ultime parole di Le cose che non ti
ho detto sono pronunciate dal giovane, dal ragazzo, che in
un certo senso sono io. Sono: Lasciatemi andare. Niente è finito.
La madre è sola, incerta su cosa le riserverà la vita. Il
personaggio del padre sta diventando, finalmente e tardivamente, la
persona che ha sempre voluto essere. E il figlio chiede di essere
liberato, per poter crescere oltre l’infanzia. Così è stato. Così
è”, riflettendo dunque sulla propria reale vicenda con i
genitori e ciò che la loro separazione ha significato per lui.
Il trailer di Le cose che
non ti ho detto e dove vedere il film in streaming e in
TV
È possibile fruire di Le
cose che non ti ho detto grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV,
Apple TV, Now e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 5
luglio alle ore 21:20 sul canale
Rai 3.
Noto principalmente per le sue
abilità di scrittura, non solo come sceneggiatore de Il
Gladiatore, lo script che lo ha reso celebre
e con cui guadagnò una nomination all’Oscar (lo stesso era accaduto
con Viaggio in Inghilterra) ma anche, tra
gli altri di Nell,Il primo cavaliere ed
Elizabeth – The Golden Age,
William Nicholson torna ora nella doppia veste di
regista e sceneggiatore con Le cose che non ti ho
detto – titolo originale Hope
Gap – disponibile in digitale dal 29 maggio.
Le cose che non ti ho
dettoriannoda un filo
Grace, Annette Bening, e Edward, Bill Nighy, sono sposati da 29 anni. Edward è
un insegnante di storia e Grace sta lavorando a un’antologia di
poesie. Il figlio Jamie, Josh O’Connor, è ormai
grande e vive per conto proprio. Quando torna a casa per il
weekend, il padre gli comunica che vuole lasciare Grace e lo invita
a restare vicino alla madre per qualche giorno. Quando Edward parla
alla moglie della sua decisione, la donna non la accetta e dopo
vani tentativi di trattenere il marito, cade in una profonda crisi.
Il film segue le vicende dei tre protagonisti, mostrando come
ciascuno affronti questa rottura.
Si tratta, come ha dichiarato lo
stesso Nicholson, di approfondire una tematica che
lo ha sempre interessato, ovvero la coesistenza degli opposti,
amore e dolore, in una relazione. L’aveva già affrontata con
Viaggio in Inghilterra, diretto da
Richard Attemborough, dove la coppia costituita da
Antony Hopkins e Debra Winger si
trovava ad affrontare la malattia e la morte di lei. Nicholson
sembra proprio voler riannodare quel filo. Gli ingredienti sono, in
fondo, gli stessi: amore, morte – qui è quella di un matrimonio –
dolore, la poesia che porta un po’ di sollievo e gli sconfinati
paesaggi d’Inghilterra a fare da cornice.
L’importanza della
scrittura di William Nicholson
Nicholson riesce
con una precisione chirurgica di scrittura e una capacità di
approfondimento psicologico non comune a far entrare lo spettatore
nelle pieghe di questo rapporto, alla prova di un momento così
difficile come quello della separazione.
Non è solo il rapporto di coppia ad
essere sotto la lente del regista, ma quello fra i tre componenti
del nucleo familiare. I punti di vista di Jamie, Grace e Edward si
alternano, segnalati dalle loro voci off. Il regista mostra
l’evoluzione dell’amore in tutte le sue fasi, compresa quella della
sua fine. In questa si concentra sui sentimenti contrastanti che la
dominano, esemplificandoli perfettamente.
Il divorzio è visto nelle sue
conseguenze più devastanti, come una ferita profonda, paragonabile
a quelle che provocano la morte. Il dolore è immenso, ma si fa
strada nei personaggi come nello spettatore anche un senso di
liberazione, non solo per Edward, che forse aspettava da tanto
questo momento, ma anche, paradossalmente, per Grace, che non lo
voleva e restava con tutte le sue forze aggrappata
all’esistente.
Annette Bening e gli altri
interpreti
Grace è una donna forte, di
carattere, che si è innamorata di un ideale di uomo, più che del
vero marito. Una donna che combatte ostinatamente contro una realtà
che non si conforma al suo volere e desidera con tutta sé stessa
tenere in piedi un matrimonio che considera sacro, anche se da
molti anni non è più felice. Un personaggio complesso, che Annette Bening interpreta magistralmente,
tratteggiandone con abilità le molte sfaccettature, mentre
attraversa le varie fasi della vicenda: dalla negazione del
problema, al vero e proprio lutto per la fine del matrimonio, alla
rabbia, alla grinta che le servirà per ripartire. Il suo
personaggio è anche portatore dell’elemento poetico che lenisce in
qualche modo il dolore. Chi meglio dei poeti, in fondo, ha
scandagliato l’amore in tutte le sue fasi? E chi meglio di loro può
aiutare a superarne i momenti più bui?
Bill Nighy dà al personaggio di Edward – un
uomo mite, che potrebbe perfino infastidire con la sua passività –
un’umanità fragile e misurata, aprendo allo spettatore le porte del
mondo interiore di questo personaggio chiuso e riservato, che ha
sofferto in silenzio e con estrema misura vive anche questa
circostanza. Josh O’Connor interpreta con
covinzione il figlio Jamie, che suo malgrado è chiamato a fare da
ago della bilancia, a parteggiare per l’uno o per l’altro. In
realtà, vede le due figure di riferimento della sua vita in crisi e
vuole solo aiutarle.
Il paesaggio, l’altro
protagonista de Le cose che non ti ho detto
Le cose che non ti ho
detto è anche un viaggio alla scoperta della natura
del Sussex, una vera e propria protagonista del
film. L’ambientazione è Seaford, una cittadina affacciata
sull’estuario di un fiume, a ridosso delle Seven Sisters: sette
colline di roccia che si gettano nel mare formando scogliere
bianche – suggestive quanto le più famose scogliere di Dover.
Il regista si avvicina a questi
luoghi con sguardo intenso e poetico. Sono per lui, nato nel
Sussex, evidentemente luoghi del cuore. Ma sa inserirli nella
narrazione non solo per compiacere l’occhio dello spettatore e
incuriosirlo, o a dargli sollievo all’interno di una vicenda così
emotivamente densa, bensì dando loro un valore fortemente
simbolico. Parte da lì
e costruisce tutto un mondo intorno
a quelle scogliere, che portano con sé la storia di questa famiglia
e costituiscono di per sé la perfetta espressione della coesistenza
degli estremi: accanto a ogni ripida scogliera c’è una valle,
l’acqua del fiume che scorre sempre nello stesso letto si mescola
proprio lì a quella del mare, aprendosi alla libertà.
HopeGap (nome di fantasia) è proprio a una di
quelle valli. È il luogo in cui sono trascorsi i momenti felici
dell’infanzia di Jamie e del matrimonio dei suoi. Lì torna Grace a
interrogarsi sulla sua insoddisfacente relazione col marito e poi
tornerà in preda al dolore più profondo, dopo essere stata
lasciata. Su quelle colline passeggia Jamie per scaricare la
tensione. Lì la protagonista comincia a sentire, nonostante il
dolore, quella sensazione di libertà, di liberazione, che è il
cuore del film. È proprio questa, in effetti, la sensazione che
quegli ampi spazi danno allo spettatore.
Con Le cose che non ti
ho detto il regista non vuole commuovere con un melò
straziante, anzi accompagna i protagonisti e lo spettatore verso un
benefico rinnovamento. Verso il piacere di scoprire quanto è
liberatorio mollare e verso la possibilità di immaginare quanta
vita – forse finalmente felice – ci sarà dopo.
Ecco il trailer di Le
cose che non ti ho detto, il nuovo film di
William Nicholson, con Annette Bening,
Bill Nighy e Josh O’ Connor.
LE COSE CHE NON TI HO
DETTO, secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore
William Nicholson, sarà disponibile dal 29
maggio (distribuito da Vision Distribution e
Cloud 9) sulle maggiori piattaforme digitali:
SKY PRIMAFILA PREMIERE –APPLE TV – CHILI – GOOGLE
PLAY – INFINITY – TIMVISION – RAKUTEN TV – CG
ENTERTAINMENT.
LE COSE CHE NON TI HO
DETTO è un racconto intimo ed emozionante basato su una
vicenda autobiografica del regista. In questo film si racconta in
modo diretto e senza falsi sentimentalismi la separazione tra due
genitori e l’impatto emotivo che questo evento scatena sui
componenti della famiglia. È una storia di dolore e separazione, ma
anche di crescita e di consapevolezza, una storia in cui ci
possiamo riconoscere, perché appartiene a molti di noi.
Il cast vanta la presenza di
Annette Bening, quattro volte candidata al Premio
OscarÒ: e vincitrice di due Golden Globe per “La diva Julia –
Being Julia” e “I ragazzi stanno bene”, l’attore
inglese Bill Nighy (Love Actually – L’amore
davvero, I Pirati dei Caraibi, Harry Potter e i
Doni della Morte), e Josh O’ Connor (La
terra di Dio, The Program).
SINOSSI
Grace (Annette
Bening)ed Edward (Bill
Nighy), sposati da 29 anni, vivono una vita tranquilla
nella città costiera di Seaford, Inghilterra, in una casa piena di
libri e oggetti accumulati.Quando il figlio Jamie
(Josh O’Connor) va a trovarli per il fine settimana,
Edward lo informa che ha deciso di lasciare sua madre
Grace. Grace non accetta la decisione di Edward e
cade in una depressione profonda. Sarà Jamie attraverso la sua
vicinanza a risvegliare in lei l’attitudine alla felicità e a una
nuova possibilità di vita. In questa storia non ci
sono cattivi ma solo persone reali, che hanno vissuto per troppo
tempo trascinando dietro di sé vecchi errori e ora ne stanno
pagando le conseguenze. Non ci sono risposte
immediate né percorsi semplici che portino ad una
soluzione. Un marito, una moglie e il loro figlio
sono costretti ad affrontare verità dure, e ripartendo da quelle
verità, sono costretti a plasmare nuovamente le loro vite.
LE COSE CHE NON TI HO
DETTO, secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore
William Nicholson, sarà disponibile dal 29
maggio (distribuito da Vision Distribution e
Cloud 9) sulle maggiori piattaforme digitali:
SKY PRIMAFILA PREMIERE –APPLE TV – CHILI – GOOGLE
PLAY – INFINITY – TIMVISION – RAKUTEN TV – CG
ENTERTAINMENT.
LE COSE CHE NON TI HO
DETTO è un racconto intimo ed emozionante basato su una
vicenda autobiografica del regista. In questo film si racconta in
modo diretto e senza falsi sentimentalismi la separazione tra due
genitori e l’impatto emotivo che questo evento scatena sui
componenti della famiglia. È una storia di dolore e separazione, ma
anche di crescita e di consapevolezza, una storia in cui ci
possiamo riconoscere, perché appartiene a molti di noi.
Il cast vanta la presenza di
Annette Bening, quattro volte candidata al Premio
OscarÒ: e vincitrice di due Golden Globe per “La diva Julia –
Being Julia” e “I ragazzi stanno bene”, l’attore
inglese Bill Nighy (Love Actually – L’amore
davvero, I Pirati dei Caraibi, Harry Potter e i
Doni della Morte), e Josh O’ Connor (La
terra di Dio, The Program).
SINOSSI
Grace (Annette
Bening)ed Edward (Bill Nighy),
sposati da 29 anni, vivono una vita tranquilla nella città costiera
di Seaford, Inghilterra, in una casa piena di libri e oggetti
accumulati.
Quando il figlio Jamie
(Josh O’Connor) va a trovarli per il fine settimana,
Edward lo informa che ha deciso di lasciare sua madre
Grace.
Grace non accetta la decisione
di Edward e cade in una depressione profonda. Sarà Jamie attraverso
la sua vicinanza a risvegliare in lei l’attitudine alla felicità e
a una nuova possibilità di vita.
In questa storia non ci sono
cattivi ma solo persone reali, che hanno vissuto per troppo tempo
trascinando dietro di sé vecchi errori e ora ne stanno pagando le
conseguenze.
Non ci sono risposte immediate
né percorsi semplici che portino ad una soluzione.
Un marito, una moglie e il loro
figlio sono costretti ad affrontare verità dure, e ripartendo da
quelle verità, sono costretti a plasmare nuovamente le loro
vite.
Agostino
Ferrente e Giovanni Piperno – anche
produttori con Antonella Di Nocera – presentano Le cose
belle: documentario che racconta Enzo, Fabio, Adele e
Silvana, adolescenti nel 1999, e adulti 13 anni dopo, in una Napoli
difficile, ma in cui resistere si può, nonostante tutto. Una città
emblema di un paese e di tutte le periferie. Il film è stato visto
alle Giornate degli Autori a Venezia, poi modificato perché, spiega
Ferrente: “Racconta 13 anni di vita, perciò abbiamo sempre
cercato di aggiornarlo”. E’ figlio di un primo documentario,
Intervista a mia madre, che comprendeva la parte
relativa al ’99, girato per Rai Tre e trasmesso all’epoca in prima
serata.
Assenti Silvana e Adele, ci sono
invece Enzo e Fabio, che commentano così:
Enzo: “Il film ha realizzato il
mio sogno: prima cantavo con mio padre, oggi da solo. Ora lavoro io
al suo posto, sto imparando anche a suonare la chitarra, questa per
me è una cosa bella”.
Fabio: “Mi piace rivivere il mio
passato perché così, ora che ho una figlia, posso insegnarle a non
fare i miei stessi errori. Ho avuto una vita difficile, anche per
questo mi fa sempre piacere rivedere i miei bei momenti da
piccolo”.
Come avete
lavorato?
A.F.: “Normalmente il
documentario di creazione si rifà a quello antropologico, col mito
del regista che non interviene sulla realtà. Noi facciamo il
contrario, interveniamo per modificarla, non ci limitiamo a
raccontarla. Ad esempio, abbiamo spinto Enzo a rincontrare Fabio.
Ma ciò che è successo dopo è la verità. Usiamo artifici narrativi,
ricostruiamo con il linguaggio della fiction, ove necessario, il
tipo di emozione di cui ci siamo innamorati nel conoscere i
personaggi”.
Con quali
obiettivi?
A.F.: “Speriamo che questo
lavoro esprima concetti che vanno oltre il territorio in cui è
ambientato. Non abbiamo inseguito la spazzatura o i casi tragici
presenti a Napoli e al sud (ma anche nelle periferie di Torino o
Roma si trova certa omologazione). Volevamo restituire
l’impressione che abbiamo avuto, raccontare i fiori che nascono tra
le rovine, nonostante un disagio effettivo. Questi ragazzi, pur
potendo fare altre scelte, hanno resistito, sono lì a lavorare
dignitosamente. Questa è la loro bellezza.”
Antonella Di Nocera: “L’altra
parola chiave è responsabilità: non si parla spesso delle
responsabilità degli adulti verso i ragazzi, sono quelle che
producono la realtà, ed è ciò che abbiamo voluto affermare.
”
Perché raccontare ancora
Enzo, Fabio, Silvana e Adele?
Giovanni Piperno: “Nel ’99 la
messa in onda c’imponeva tempi stretti e gran parte del tempo fu
utilizzato per il casting. Due settimane per approfondire le vite
dei ragazzi ci sono sembrate troppo poche. Ci era rimasta la voglia
di tornare. Dopo 10 anni siamo riusciti a trovare un finanziamento
della Regione Campania per continuare a girare.”
Com’era Napoli dopo 13
anni?
G.P.: “Indubbiamente, quando
siamo tornati la città era piena d’immondizia, mentre nel ’99 era
una città che sperava in un rilancio. Tornare è stato doloroso, ma
evitiamo l’idea che “prima era meglio”, perché nella catastrofe ci
sono anche dei passi avanti. Il fatalismo era nel dna dei nostri
protagonisti, ma oggi molte cose belle continuano ad esserci,
nonostante tutto.”
Dal 26 giugno in 10 copie, ma sarà
proiettato anche presso arene e scuole.
1999: Adele,
Silvana, Enzo e Fabio. Quattro adolescenti napoletani si raccontano
davanti alle telecamere. Come tutti alla loro età, hanno sogni, ma
anche situazioni familiari ed economiche difficili. Tredici anni
dopo, gli stessi ragazzi sono adulti disillusi e forse rassegnati,
in una città lasciata a sé stessa. Un lavoro precario, o una
famiglia da reggere sulle proprie spalle, o un dolore difficile da
sopportare: un futuro fin troppo prevedibile è ora il presente. Ma
non hanno perso il coraggio e la dignità con cui affrontano la
vita, cercando nella quotidianità le cose belle.
Questo documentario di
Agostino Ferrente e Giovanni
Piperno prosegue Intervista a mia
madre (1999), in cui i registi avevano filmato i
quattro ragazzi e la Napoli dell’epoca, problematica ma in
fermento. Da qui è tratto il materiale relativo al ’99 presente nel
film. Amalgamandolo con quello sull’oggi, in un montaggio efficace,
tra digitale e super 8, si ottiene questo piccolo gioiello,
apprezzato a Venezia, poi in vari festival, anche internazionali –
tra i riconoscimenti ottenuti, Nastro d’Argento speciale e premio
al miglior documentario a Taormina.
Forte l’impatto dei protagonisti e
delle loro storie: storie di vera e propria resistenza in un
contesto tra i più duri, scelte difficili come quella di una vita
onesta, quella di assumersi le proprie responsabilità, anche se il
lavoro manca, anche se soluzioni più semplici sono a portata di
mano.
Il tema di Le cose
belle, non è solo Napoli, è universale: la fine
dell’adolescenza e il passaggio all’età adulta, la caduta dei sogni
che lascia il posto a un disincantato realismo, è qualcosa che
tutti in qualche modo conoscono. In particolare, chi è stato
adolescente all’epoca dei protagonisti e oggi, come loro, è
adulto.
Perché negli ultimi tredici anni non
solo Napoli, ma l’Italia ha offerto sempre meno ai giovani, non ha
investito sul futuro. Il film sa raccontare il passaggio da fine
anni ’90 – in cui, già alle spalle i goderecci anni ’80, con la
consapevolezza di tempi più cupi, c’era però voglia di
ricominciare, e per il futuro, ancora moderato ottimismo – ad oggi,
al paese dei problemi irrisolti, apparentemente senza prospettive,
in crisi.
Mostra però, a partire dai
protagonisti, “le cose belle” che comunque ci sono, anche se
potrebbe sembrare il contrario, come la forza di tornare a
determinare sé stessi, magari riprendendo le proprie passioni,
anche se con aspettative ridimensionate.
Una sicura regia dà un taglio
preciso al materiale, restituisce uno sguardo personale,
potenziando e non indebolendo l’efficacia documentaristica del
lavoro. La Napoli dei cumuli di spazzatura, o da cronaca nera resta
sullo sfondo. In primo piano, scritte sui muri e una periferia
vitale, pur nelle sue contraddizioni.
Dopo questo non vorrete mai più
vedere Cinquanta sfumature di grigio, o
non vorrete vedere mai più un classico Disney, a seconda delle
reazioni. Resta il fatto che le fan-art pubblicate da Cosmopolitan.com lasciano il segno e vogliamo
condividerle con voi.
Si sa che spesso il set è galeotto e
lo sanno bene alcuni dei protagonisti dei prodotti seriali più
amati della tv. Di seguito potete vedere alcune delle coppie
televisive che lo sono (o lo sono state) anche nella vita
reale!
Dopo Vivà la
libertà, Roberto Andò torna al
cinema con Le Confessioni, con un cast
internazionale capitanato da Toni Servillo. Al
fianco dell’attore italiano ci sono anche Daniel
Auteuil,Connie Nielsen,Pierfrancesco Favino,Marie-Josée
Croze e Moritz Bleibtreu.
Di seguito il teaser trailer del
film prossimamente al cinema:
Di seguito la sinossi ufficiale:
Siamo in Germania, in un albergo
di lusso dove sta per riunirsi un G8 dei ministri dell’economia
pronto ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze molto
pesanti per alcuni paesi. Con gli uomini di governo, ci sono anche
il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, e
tre ospiti: una celebre scrittrice di libri per bambini, una rock
star e un monaco italiano, Roberto Salus.
Accade però un fatto tragico e
inatteso e la riunione deve essere sospesa. In un clima di dubbio e
di paura, i ministri e il monaco ingaggiano una sfida sempre più
serrata intorno al segreto. I ministri sospettano infatti che
Salus, attraverso la confessione di uno di loro, sia riuscito a
sapere della terribile manovra che stanno per varare, e lo
sollecitano in tutti i modi a dire quello che sa.
Ma le cose non vanno così lisce:
mentre il monaco – un uomo paradossale e spiazzante, per molti
aspetti inafferrabile – si fa custode inamovibile del segreto della
confessione, gli uomini di potere, assaliti da rimorsi e
incertezze, iniziano a vacillare.
Ecco il primo video ufficiale di Le
Confessioni, il nuovo film di Roberto Andò con Toni Servillo
protagonista. Di seguito la clip dal titolo “Lei
è in pericolo, padre“:
Di seguito la sinossi ufficiale:
Siamo in Germania, in un albergo
di lusso dove sta per riunirsi un G8 dei ministri dell’economia
pronto ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze molto
pesanti per alcuni paesi. Con gli uomini di governo, ci sono anche
il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, e
tre ospiti: una celebre scrittrice di libri per bambini, una rock
star e un monaco italiano, Roberto Salus.
Accade però un fatto tragico e
inatteso e la riunione deve essere sospesa. In un clima di dubbio e
di paura, i ministri e il monaco ingaggiano una sfida sempre più
serrata intorno al segreto. I ministri sospettano infatti che
Salus, attraverso la confessione di uno di loro, sia riuscito a
sapere della terribile manovra che stanno per varare, e lo
sollecitano in tutti i modi a dire quello che sa.
Ma le cose non vanno così lisce:
mentre il monaco – un uomo paradossale e spiazzante, per molti
aspetti inafferrabile – si fa custode inamovibile del segreto della
confessione, gli uomini di potere, assaliti da rimorsi e
incertezze, iniziano a vacillare.
Le Colline Hanno gli
Occhi è il film cult di Wes Craven del 1977. Nel 1977 un
semi-esordiente regista statunitense di nome
Wes Craven firma il suo secondo lungometraggio dopo lo
scandaloso L’ultima casa a sinistra del 1972: si tratta
del cult Le colline hanno gli occhi(The hills
have eyes).
La trama de Le colline hanno gli occhi
La trama del film è sommariamente
semplice e lineare, e si colloca nel solco della tradizione horror:
una tranquilla famiglia media americana sfacciatamente WASP
intraprende un viaggio in camper attraverso il deserto della
California per raggiungere la meta delle loro vacanze. Ma bastano
un banale guasto al motore e una tappa forzata in mezzo al nulla
per scatenare l’inferno e la tragedia: diventano il bersaglio di
una famiglia di cannibali geneticamente modificati dagli
esperimenti nucleari condotti nella zona dal governo degli Stati
Uniti e tenuti segreti per anni. Lo scopo della famiglia è quello
di sopravvivere alla brutalità dei loro disgustosi carnefici.
Il film horror di Wes Craven
Le colline hanno gli
occhi, nel momento della sua uscita, cavalcò le polemiche
che avevano seguito l’opera prima di Craven. Entrambe le pellicole
possono essere inserite di diritto in quel sottogenere horror che è
considerato lo splatter. Nato nell’ambito dell’exploitation, il
gore (o splatter, è indifferente N.d.A.) si afferma soprattutto
negli anni ottanta, nonostante la sua nascita possa essere
collocata già negli anni sessanta con le opere di G.Romero o
Herschell Gordon Lewis (La notte dei morti viventi; Blood
Feast); in un’epoca in cui l’importanza per l’aspetto
fisico e la bellezza si spingevano fino all’eccesso dell’edonismo,
lo splatter rappresenta la debolezza del corpo umano mostrando
senza troppe esitazioni o pudori squartamenti, sventramenti e vari
ed eventuali spargimenti di sangue.
Oltretutto, Le colline
hanno gli occhi rientra a pieno merito nel filone del New
Horror, a sua volta sottoinsieme di quel generale movimento di
fermento rivoluzionario e creativo noto come New Hollywood che ha
portato ad affacciarsi, sulla scena degli anni settanta, registi di
culto del calibro di
Steven Spielberg, Francis Ford Coppola,
Martin Scorsese e tanti altri grandi nomi della
cinematografia a stelle e strisce. L’alto tasso di emoglobina
presente nel film e i suoi eccessi sanguinolenti e truculenti
servono come pretesto per scuotere le coscienze sociali degli
americani atrofizzati nel loro perbenismo: ricordiamoci che, negli
anni settanta, l’America era ancora coinvolta nel sanguinoso
conflitto del Vietnam che ha portato milioni di morti e una
generazione completamente spezzata.
Nella pellicola, il nemico è
“altro”, fuori da noi: un po’ come accadeva nei B-movies
Sci-Fi degli anni ‘50 il nemico veniva direttamente dallo
spazio profondo e remoto. Oppure come nei film western, dove il
nemico è sempre l’indiano occupante. Nel film di Wes
Craven è come se l’anima puramente Wasp dell’America
profonda avesse fatto chapeau di fronte a millenni di sopraffazione
nei confronti di tutto ciò che era catalogato come “diverso”. Qui
gli aguzzini cannibali sono sì mutanti, ma un tempo erano esseri
umani: come per il maestro Alfred Hitchcock,
l’orrore anche qui è nel quotidiano, viene non dagli spazi
intergalattici remoti ma dal sottosuolo dello sperduto deserto
californiano.
Nella sua trama lineare, ma
intervallata da efficaci colpi di scena che creano tensione nello
spettatore, la pellicola segue quasi pedissequamente la trama di
una fiaba riletta però con lo sguardo di un survival
horror: i personaggi protagonisti, i “buoni”, intraprendono un
viaggio durante il quale si trovano costretti ad affrontare
pericoli mostruosi e prove terrificanti, incarnati dai “cattivi”,
fino al finale con il tanto agognato “lieto fine”; e c’è
addirittura una sorta di “aiutante” (il vecchio Fred) che cerca di
metterli in guardia sui pericoli che incombono nel deserto. Lo
scontro tra razionale e irrazionale si risolve in un confronto
all’ultimo sangue, dove la vittoria della famiglia Carter è sancita
dal loro uso della violenza contro la violenza sanguinaria e cieca
dei loro aguzzini.
Parlando di cannibali non si può
non pensare a tutto quel filone del gore italiano che, sempre nei
“favolosi” anni settanta, ha regalato al cinema cult underground
pellicole come quelle di Mario Bava,
Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Joe D’Amato
e Ruggero Deodato con il celebre Cannibal
Holocaust, film del 1979 che ha influenzato molte
generazioni di cinefili indipendenti.
De Le colline hanno gli
occhi Wes Craven stesso girò un seguito nel 1985,
ribadendo quella sua propensione al tema del doppio: come nel
titolo, gli occhi sono due, come i sequel realizzati e come le
famiglie protagoniste, quella vittima da una parte e la carnefice
dall’altra. Due sono, poi, altri due paia d’occhi: quelli di Pluto
(uno dei membri dell’allegra famigliola cannibale) che si
sovrappongono ai nostri tramite un’abile inquadratura in soggettiva
che fa riflettere sul significato stesso del cinema,
identificandoci come voyeur letali e silenziosi. Oltre al sequel,
annoveriamo un remake dallo stesso titolo girato nel 2006 e curato,
in fase di produzione, dallo stesso Craven ma girato dal francese
Alexandre Aja (nuovo re del torture porn) e un
trascurabile sequel del remake datato 2007.
Insomma, vedere Le colline
hanno gli occhi nella sua prima e inimitabile versione del
1977 crea l’illusione di assistere a un incontro tra le
atmosfere “seventies” dell’action, car crashDuel e le perversioni gore del miglior
Mario Bava in stato di grazia.
Siamo su uno stage teatrale.
Un’intera casa di scena si sorregge su un’impalcatura fragile, vi è
una camera da letto, una sala da pranzo, una seconda camera da
letto al piano superiore, appartenente probabilmente ai vicini del
piano sottostante. Diversi sono però gli stili, più vecchio
l’appartamento più grande, leggermente più moderno quello più
piccolo, un quadro che potrebbe somigliare tanto all’Iran
contemporaneo, almeno alla sua politica. Un Paese che cerca di
rinascere, di ripartire, ma su delle fondamenta traballanti,
esattamente come l’appartamento – vero questa volta, non su un
palcoscenico – di Emad e Rana, i due protagonisti di Le
Client.
Oltre alla vita condividono la
passione per il teatro e la contentezza per una nuova casa, dentro
la quale hanno traslocato da poco, non hanno neppure finito di
svuotare tutte le scatole. Contentezza però destinata a durare
molto poco, perché una notte tutto viene evacuato, gli scavi per un
nuovo immobile adiacente stanno indebolendo tutto il loro palazzo,
non è più sicuro vivere lì. È subito disperazione, insicurezza,
bisogno estremo di aiuto, è così che un collega attore offre loro
un nuovo riparo temporaneo. Per i due vi è un nuovo trasloco
all’orizzonte, nuove mura da trasformare in casa, ma il destino
sembra essersi incaponito contro di loro. Il nuovo alloggio ha
infatti un passato oscuro, una vecchia inquilina dai facili
costumi, i cui clienti cercano ancora senza sosta.
Qualcosa dunque succede di nuovo,
quando uno di questi trova l’innocente Rana al posto della
prostituta sperata, e la vita cambia di nuovo. Per Rana tutto
diventa sofferente, le piccole azioni quotidiane si trasformano in
incubo, anche andare nello stesso bagno in cui è stata aggredita è
un’azione troppo difficile da sopportare; per Emad è lo stesso
inferno, ma da un punto di vista diverso, quello di chi si sente
impotente, di chi non sa come reagire e ha un solo chiodo fisso,
trovare e punire il colpevole. Perché in Iran è così che funziona,
la polizia serve a poco, tutto si regola in modo artigianale, ogni
torto richiede una vendetta privata. Al di là delle implementazioni
politiche, di un Iran giovane ancora oggi violentato, schernito,
umiliato dall’anziano regime, Asghar Farhadi
tratteggia con Le Client un thriller
sofferto, scritto divinamente, dal carattere magnetico.
Appena da spettatori si entra
all’interno del meccanismo generale della rivalsa, dell’indagine,
della cura, l’empatia con i personaggi si fa assoluta, ma non tutto
è prevedibile. Le linee di sceneggiatura creano infatti almeno due
grandi fazioni ed è assolutamente soggettivo parteggiare per una o
per l’altra alla fine della rappresentazione. Chi si sente dalla
parte di Emad, sente crescere per tutto il film un senso di rabbia,
di violenza, di rivalsa, chi è più vicino alla sensibilità di Rana
è invece più propenso a perdonare, a restaurare una situazione già
drammatica di suo, senza renderla ancor più dolorosa. L’unica
certezza è che la ritorsione, il regolamento di conti, è un
automatismo animalesco, un procedimento che annega nella colpa
anche chi è sempre stato dalla parte della ragione, generando nuovi
colpevoli. Per rinascere davvero e andare incontro alla redenzione,
sia a livello umano che politico, tocca guardare oltre, diventare
esseri umani e porgere l’altra guancia. Anche se questa è già
martoriata.
Dopo aver interpretato Pierre,
protagonista di The Quiet Son, film in concorso all’81esima edizione
della Mostra
del Cinema di Venezia, Vincent Lindon torna a
mostrarsi al grande pubblico alla 19esima edizione della
Festa del
Cinema di Roma, nel ruolo di Joseph. Con
Le Choix de Joseph Cross – abbreviato
Le Choix – diretto da Gilles Bourdos,
l’attore francese continua a vestire i panni di un uomo solido e
risoluto, che dopo aver lavorato tra i binari della ferrovia, ora
si occupa di cemento e costruzioni. Due mestieri che plasmano il
carattere, rendendo capace chi li svolge di affrontare imprevisti e
difficoltà senza scivolare in facili ansie.
E questo è ancor più evidente in
Joseph, che improvvisamente è costretto a guardare la sua vita
incrinarsi e in ultimo frantumarsi, ma che grazie al suo bagaglio
professionale riesce a mantenere un fragile equilibrio anche quando
tutto intorno crolla. Le Choix è presentato nella
sezione Progressive Cinema, ed è il remake
francese dell’acclamato Locke di Steven Knight, Accanto a Lindon, troviamo le
voci di Micha Lescot, Pascale Arbillot e Gregory Gadebois, che
mettono alla prova la resistenza del protagonista restando fuori
campo.
Le Choix, la trama
Joseph è un uomo caratterialmente
forte e concreto, una particolarità che condivide con gli edifici
che costruisce. Nel suo lavoro è sempre stato impeccabile, non ha
mai commesso un errore e adesso lo attende la colata di cemento più
grande del decennio. Non si aspetterebbe mai che la sera prima di
quell’evento la sua vita sarebbe stata sconvolta da una telefonata
che avrebbe cambiato le sue sorti. Senza pensarci due volte, Joseph
si mette in auto, pronto ad andare verso Parigi, dove c’è qualcuno
che lo aspetta. La notizia ricevuta, però, da potenzialmente bella,
diventa la causa primaria dello sgretolamento, pezzo dopo pezzo,
della sua esistenza. Come un palazzo robusto, ma dalle troppe
crepe, l’uomo deve tentare di non crollare, cercando di tenere in
piedi tutto quello per cui ha lavorato duramente, sia a livello
personale che professionale.
Thriller e dramma, i capisaldi di
una storia con poche emozioni
Ancora una volta, dopo il nostro
simile e recente thriller-noir Non riattaccare, con una bravissima Barbara Ronchi, e
ancor prima con, per l’appunto, Locke, ci troviamo a
confrontarci con tre elementi chiave che dominano per 77 minuti:
un’auto, un telefono (stavolta collegato al display di
bordo) e una strada. La notte, incombente e soffocante,
avvolge tutto, lasciando spazio solo a sprazzi di luce artificiale
provenienti dai lampioni che irrompono furenti nell’abitacolo. A
intermittenza fasci di luce gialla penetrano l’oscurità,
illuminando il volto di un uomo che sta lottando con il proprio
passato, cercando un riscatto attraverso una scelta che segnerà la
sua vita futura.
L’impianto narrativo ricalca quello
di Locke: telefonate incessanti, voci stanche, arrabbiate,
disperate, che si alternano senza sosta riempiendo il veicolo, alle
quali si aggiungono sospiri, imprecazioni, sguardi persi nel vuoto.
Ma mentre nell’opera di Knight l’Ivan di
Tom Hardy è sostenuto da una sceneggiatura concisa ed efficace,
il Joseph di Lindon si smarrisce in una scrittura sfocata e
traballante. Nonostante la staticità imposta dalla
location unica – ossia l’interno di una macchina – ciò che manca in
Le Choix è proprio l’emotività e la tensione palpabile,
elementi che dovrebbero crescere progressivamente e guidare il
ritmo del racconto.
Le telefonate, pur frequenti e
decisive per il protagonista, non hanno l’impatto adeguato per far
progredire la narrazione. Ogni problema sollevato sembra risolversi
in pochi secondi, senza un vero climax emotivo che porti a un punto
di svolta efficace e travolgente. Il risultato è di avere
davanti a sé un’opera monotona, incapace di generare vero interesse
o coinvolgimento.
Anche la regia, che avrebbe potuto
portare dinamismo a una situazione così statica, non riesce a dare
movimento o profondità, penalizzando la performance di Vincent
Lindon e il suo Joseph, con un lavoro insufficiente sulla
psicologia del personaggio. Nonostante il suo talento, il francese
qui fatica a portare sulle spalle il personaggio, non riuscendo mai
a creare una connessione autentica con lo spettatore. Ed è un vero
peccato, considerato il suo indubbio valore attoriale.
Le sue foto girano in tutto il
mondo e spesso neanche sappiamo che sono sue, tanto capillarmente è
diffuso il suo lavoro nel mondo della moda e della pubblicità.
Annie Leibovitz ha però anche un rapporto
privilegiato con il cinema e con le celebrità del mondo della
settima arte, come dimostrano i suoi bellissimi e fantasiosi
ritratti di celebrità immerse nel mondo delle favole.
La foto che desta più curiosità per
questioni cronologiche è senza dubbio quella che ritrae
Andrew Garfield, Lily Cole e Lady
Gaga nei panni, rispettivamente, di Hansel, Gretel e la
strega della casetta di marzapane, ultimo scatto in compagnia delle
celebrità della fotografa statunitense. Trai ritratti recenti ci
sono quello di Jessica Chastain nei panni di
Merida e quello di Jennifer Hudson nei panni di
Tiana. Celeberrimi sono ormai quelli di coppia di Jennifer
Lopez e Mark Anthony nei panni di Jasmine
e Aladdin, e di Zach Efron e Vanessa
Hudgens in quelli di Aurora e Filippo, ritratti che
ovviamente risultano anacronistici dato il cambiamento delle
relazioni di coppia dei personaggi appena citati. Anche il mondo
dello spot si è prestato al progetto fotografico in progress di
Annie Leibovitz, nei panni di Roger
Federer (Artù) e David Beckham
(Filippo).
Da Johnny Depp a
Brad Pitt, passando per Claire
Danes, sono molte le celebrità infedeli che hanno tradito
i loro partner per altri volti celebri dello showbusiness e che poi
hanno sposato i loro amanti.
Ecco dieci coppie nate
dall’adulterio di uno dei due:
Le Bureau –
Sotto Copertura è considerata la miglior
serie francese mai prodotta e ispirata ad eventi
contemporanei. Le Bureau – Sotto Copertura si
basa su testimonianze reali di ex spie francesi dal 16 gennaio, il
lunedì alle 21.15 su Sky Atlantic HD
Protagonista della serie Mathieu
Kassovitz con due episodi a sera.
Sulla scia di un grande successo internazionale arriva in
Italia in prima tv LE BUREAU – SOTTO COPERTURA, considerata la
miglior serie francese mai prodotta. Il debutto italiano è previsto
lunedì 16 gennaio alle 21.15 su Sky Atlantic HD con i primi due
episodi.
Il
titolo francese della serie Le Bureau des Légendes evoca
il nome degli agenti di un particolare ufficio della DSGE francese
(Direction Générale de la Sécurité Extérieure) a cui viene
assegnata una falsa identità e che per lungo tempo vivono in paesi
stranieri con l’obiettivo di trovare fonti affidabili. Basata su
testimonianze reali di ex spie francesi e ispirato ad eventi
contemporanei, la serie racconta la storia di un uomo, Guillaume
“Malotru” Debailly ( interpretato da Mathieu Kassovitz)
funzionario dell’intelligence che torna a Parigi dopo sei anni da
agente sotto copertura in Siria. Diviso tra l’amore e la fedeltà,
abituato a vivere nella menzogna, Malotru deve affrontare la sfida
di ritornare alla vita normale, di riprendere le relazioni con la
ex moglie, la figlia, i colleghi, di rientrare nella sua vecchia ,
reale identità.
Nel
cast accanto a Mathieu Kassovitz anche Jean-Pierre Darroussin, Léa
Drucker, Sara Giraudeau, Florence Loiret Caille, Jonathan Zaccaï.
La serie è stata girata alla Città del cinema di Saint-Denis, nella
periferia di Parigi, ma la vera DGSE, pur non essendo coinvolta in
nessun modo nella produzione, ha permesso agli scenografi di
effettuare dei sopralluoghi nella sua sede. Gli episodi della
seconda stagione sono stati girati nel novembre 2015, all’epoca
degli attentati terroristici a Parigi e, inevitabilmente, la realtà
è entrata di prepotenza nella finzione.
Consacratosi con la Palma
d’Oro al Festival
di Cannes nel 2018 con Un affare di
famiglia, il regista giapponese Hirokazu Kore’eda ha poi deciso nel
2019 di uscire dai confini del suo paese per recarsi in Francia e
girare lì Le
verità, un film da alcuni meno apprezzato
rispetto ai suoi altri, con il quale il regista si era però
misurato in modo interessante con una lingua e un modo di vivere le
emozioni molto differente da quello che gli è proprio. A tre anni
di distanza da quella prima volta fuori dal Giappone, Kore’eda
decide di replicare l’esperienza, spostandosi però in un territorio
a lui più vicino, quello della Corea del Sud. È qui che gira
Le buone stelle – Broker.
Presentato in Concorso al Festival
di Cannes di quest’anno, dove l’attore Song
Kang-ho (lo stesso di Parasite) ha vinto il
premio per la miglior interpretazione, il nuovo film del maestro
giapponese si offre come un’ennesima variazione sul tema della
famiglia, da Kore’eda esplorata con sfumature diverse sin dal suo
folgorante esordio nel 1995 con Maborosi. A tale elemento
tematico, però, si aggiungono alcune novità, specialmente a livello
di impostazione narrativa, che permettono a Le buone stelle –
Broker di risultare un’opera familiare e al contempo
imprevedibile. Kore’eda esce stavolta dalle mura casalinghe dove la
maggior parte dei suoi film si svolgono per rivolgersi invece al
viaggio, sia fisico che esistenziale.
Lo spunto per il suo nuovo film
nasce infatti dalla sempre più diffusa pratica nella Corea del Sud
della Baby Box, ovvero dei luoghi dove i genitori che non possono
(o non vogliono) più tenere con sé i propri figli hanno modo di
lasciare i loro neonati, sapendo che verranno presi in custodia da
chi, idealmente, potrà offrire loro un futuro migliore.
Sang-hyeon e Dong-soo, due
mercanti di bambini, entrano proprio così in possesso di un neonato
abbandonato dalla giovane madre single So-young.
Insieme a lei, parzialmente tornata sui suoi passi, tenteranno di
vendere il bambino a due nuovi genitori, intraprendendo così quel
viaggio che permetterà loro di scoprire il valore della
famiglia.
Viaggio di famiglia con
tempesta
Il regista giapponese, da molti
considerato l’erede di Yasujiro Ozu per il modo in
cui affronta il tema della famiglia, sembra realizzare con questo
suo nuovo film una sorta di sequel spirituale proprio di
Un affare di famiglia. I protagonisti di
quel lungometraggio sono dei ladruncoli che avevano dato vita ad un
nucleo famigliare auto-costituito, non caratterizzato cioè da
legami di sangue quanto piuttosto affettivi. Ognuno di quei
personaggi, a modo suo, commetteva atti che andavano contro la
legge, perseguendo però ragioni del cuore ben più profonde. Anche
in questo caso, i protagonisti di Le buone stelle – Broker
sono persone discutibili, intente a compiere azioni tutt’altro che
lecite ma giustificate da un presunto buon fine.
In un primo momento, dunque, ci si
può comprensibilmente trovare in difficoltà ad entrare in sintonia
con questi personaggi, non essendo chiaro quanto realmente ciò che
fanno sia a fin di bene. Kore’eda non sembra affatto preoccupato da
tale dinamica, ma anzi calca la mano su quanto la situazione che si
viene a generare sia controversa. Ciò porta ad avere una prima ora
del film caratterizzata da un certo distacco e diffidenza, che sono
poi le stesse sensazioni che i personaggi provano reciprocamente
tra di loro. Costretti a stare insieme nel tragitto tra Busan e
Seul, i tre adulti più un bambino e il neonato da vendere vedranno
però accadere ciò che accade sempre durante un viaggio: una
trasformazione esistenziale.
La famiglia che ti scegli
Nel momento in cui i loro cuori
iniziano a schiudersi, ciò accade anche al film, il quale svela il
proprio ai suoi spettatori. Più i personaggi si raccontano, si
smontano di ogni preconcetto e si privano di ogni segreto, più il
ritmo rallenta, concentrandosi quella dimensione intima ed
esistenzialista che Kore’eda è un maestro nel mettere in scena. È
in questa seconda metà del film che fuori escono tutte le
riflessioni sul significato di famiglia, di genitorialità e, in
particolare, sul conflitto tra il voler essere dei genitori e
l’incapacità di esserlo davvero. Un’incapacità che è però anche in
questo caso la conseguenza di un contesto sociale sempre più
individualista, che non protegge i propri membri.
Tale dinamica è in particolare
esplicitata dalla presenza delle due detective intente ad osservare
i movimenti del gruppo per coglierli in flagrante e arrestarli. Si
tratta di due personaggi che incarnano quella legge cieca a
determinate dinamiche e unicamente motivata a punire ogni
infrazione, senza valutare gli elementi di contorno. Quella legge
che, come avvenuto anche in Un affare di famiglia,
riporta il racconto ad una dimensione particolarmente cupa e
soffocante. L’elemento crime è in effetti particolarmente
presente all’interno di Le buone stelle – Broker, con una
serie di indagini portate avanti dalla polizia e che contribuiranno
a far emergere ulteriori scheletri nell’armadio dei
protagonisti.
La sceneggiatura di Kore’eda si
configura dunque come un continuo susseguirsi di elementi e generi
diversi tra loro, che si incastrano a meraviglia grazie alla
delicatezza con cui il tutto è narrato. Un lavoro di scrittura a
dir poco brillante il suo, che traspare anche grazie al controllo
con cui egli regola i toni del film, capace di passare dalla
commedia spensierata al dramma più puro. Con un impostazione di
regia come suo solito invisibile, discreta, che lascia parlare le
immagini, Kore’eda si divincola dal solito rischio di ripetersi per
regalarci un’opera che ancora una volta aggiunge qualcosa di nuovo
alla poetica, ribadendo però la bellezza delle tante sfumature che
una famiglia può possedere.
La Warner Bros. e la Toho hanno
confermato di essere al lavoro sull’adattamento cinematografico de
Le Bizzarre Avventure di JoJo, manga
scritto e disegnato da Hirohiko Araki, pubblicato
in Giappone dal 1987 al 1999 della casa editrice Shūeisha (in
Italia viene distribuito dalla Star Comics).
Il titolo provvisorio
dell’adattamento, che sarà in live action, è al momento
JoJo’s Bizarre Adventure: Diamond wa Kudakenai
Dai-Ichi-Sho (Le bizzarre avventure di JoJo:
Diamond is Unbreakable Capitolo I). La trama dovrebbe quindi
ruotare attorno alle vicende della quarta parte della saga
pubblicata su Weekly Shonen Jump, rivista edita
da Shueisha, dal 1992 al 1995.
Il film sarà diretto dall’eclettico e controverso regista
Takashi Miike, e dovrebbe debuttare nelle
sale giapponesi nell’estate del 2017. Il ruolo del protagonista
Josuke Higashikata è stato affidato a Kento
Yamazaki, mentre Ryunosuke Kamiki e
Yusuke Iseya saranno rispettivamente Koichi Hirose
e Jotaro Kujo.
Le Bizzarre Avventure di
JoJo: in arrivo il live action diretto da Takashi
Miike
La storia de Le Bizzarre
Avventure di JoJo è articolata intorno alle peripezie della
famiglia Joestar; ciascuna delle otto serie si sofferma sulle
avventure di uno dei suoi discendenti, e ognuna si svolge in un
diverso momento storico. Tutti i protagonisti ottengono in una
maniera o nell’altra il nomignolo “JoJo”. In tutta l’opera è
presente una quantità innumerevole di citazioni musicali e
cinematografiche, inizialmente velate e nascoste, e successivamente
sempre più palesi.
L’Ordine delle Bene
Gesserit è parte integrante dei romanzi di
Dune di Frank Hebert. Spesso scambiato per
un ordine religioso, il Bene Gesserit (noto anche come Sorellanza)
è un’antica organizzazione di spie, teologhe e
scienziate, le cui origini mistiche e la maggiore abilità
fisica e mentale rendono la loro esistenza parte integrante
dell’ordine sociale. Anche se il Dune di
Villeneuve ha introdotto il gruppo e ha fatto luce sui suoi
obiettivi, questo era solo l’inizio e la sua portata deve ancora
essere esplorata.
I romanzi originali di
Dune di Herbert dipingono un quadro più dettagliato delle
capacità potenziate delle Bene Gesserit, a molte delle quali
vengono assegnati nomi specifici nel canone. Tra queste vi sono la
via strana, il senso della verità e i metodi del prana-bindu. Oltre
ai loro poteri unici, una panoramica della loro storia politica e
sociale è altrettanto importante per comprendere le loro vere
motivazioni.
Paul Atreides sembra essere alla ricerca di risposte, ma le
Bene Gesserit possiedono la conoscenza necessaria per salvare la
razza umana.
Le origini delle Bene Gesserit
spiegate
Dune: Prophecy – Cortesia di Sky
La segreta Sorellanza è una
delle organizzazioni più antiche dell’universo di Dune
La storia delle Bene Gesserit non è
ben documentata nel franchise di Dune, ma l’appendice di
diverse edizioni rivedute del primo romanzo ha fatto luce sulla
cronologia esatta. L’organizzazione fu probabilmente un prodotto
del caos che risultò dalla Jihad butleriana. La Bene Gesserit fu
ulteriormente plasmata due decenni dopo, quando la sua struttura
gerarchica fu messa in atto intorno alla Battaglia di Corin. Fu
imposto che la Reverenda Madre Superiora esercitasse il
controllo finale sulle altre Reverende Madri.
Le Bene Gesserit ricorsero
a influenzare la politica dall’ombra prima che Paul
Atreides assumesse la guida della Casa Atreides. Hanno preferito
rimanere in questo ruolo per oltre un millennio. Il gruppo ha
piazzato agenti in tutte le corti imperiali e le Case più
importanti per supervisionare i negoziati. Dopo la fine del regno
di Leto Atreides II, figlio di Paul, la Sorellanza riempì il vuoto
di potere che ne derivò. Questo ruolo in politica derivava dalla
convinzione dei membri che fosse un modo per proteggere l’umanità
da un tiranno come Leto.
La Bene Gesserit funziona su una
rigida base gerarchica con la Reverenda Madre Superiora al
vertice. Ella eredita i ricordi dei suoi predecessori
femminili come parte dell’Altra Memoria. È questa conoscenza che
viene trasmessa al suo successore, che la Reverenda Madre Superiora
sceglie prima della sua morte. La Madre Kwitsatz ha la stessa
importanza, anche se il suo ruolo è limitato al programma di
riproduzione che porta alla nascita del Kwisatz Haderarch, una
figura maschile considerata il “prescelto” per salvare
l’umanità.
Le Reverende Madri, che hanno
ruoli diversi, come la raccolta di informazioni, la costruzione di
relazioni diplomatiche e l’allevamento di eredi.
Le Bene Gesserit comprendono le
Reverende Madri, che sono incaricate di diversi ruoli, come la
raccolta di informazioni, la costruzione di relazioni diplomatiche
e l’allevamento di eredi. I Verificatori sono membri della Bene
Gesserit che individuano se una persona sta dicendo la verità. I
Superiori Proctor gestiscono le case capitolari. La
stragrande maggioranza dei membri sono Sorelle che fungono
da agenti segreti, concubine reali e potenziali mogli
nelle Case Imperiali. Al gradino più basso della scala ci sono i
nuovi membri, noti semplicemente come Iniziati.
Quali sono gli obiettivi della
Bene Gesserit?
L’Ordine esiste per elevare
l’umanità
Pur avendo pratiche rituali, i Bene
Gesserit sono estremamente tattici e strategici quando si tratta
dei loro obiettivi politici. Un obiettivo primario è sempre
stato quello di far progredire l’umanità a livelli di alta
intellettualità e stabilità. Questo obiettivo è stato
raggiunto assicurando la nascita della figura del messia di
Dune, Kwisatz Haderach, un titolo assunto da Paul
Atreides. Anche se le mosse delle Bene Gesserit sono spesso
calcolate con precisione, la nascita e l’ascesa di Paul hanno
rappresentato un ostacolo inaspettato ai loro piani.
Jessica Atreides ha
intenzionalmente dato alla luce Paul invece di una figlia, come
avevano previsto le Reverende Madri. Poiché Paul ha un figlio con
Chani, un membro della tribù dei Fremen, il loro bambino ha un
patrimonio genetico imprevedibile che sventa i piani delle Bene
Gesserit. La Sorellanza si rende conto di doversi preparare ad
eventi senza precedenti, come l’emergere delle Matrici Onorate,
tutte al femminile. Per combattere questo gruppo rivale, il loro
nuovo obiettivo era quello di ripristinare il potere che
avevano un tempo.
Le Bene Gesserit hanno poteri
diversi
Le loro capacità sono
misteriose e al limite della magia
Indipendentemente dal loro grado
nella gerarchia dell’organizzazione, ogni membro controlla
ogni muscolo e fibra del proprio corpo, essendo maestro
nelle discipline del prana (respiro) e del bindu
(muscoli). Questo permette ai membri di rimanere contemporaneamente
immobili, di piegare l’ultima articolazione del mignolo del piede e
di sferrare colpi con estrema forza fisica. I loro poteri sono tali
che le arti marziali dei Bene Gesserit non sono nemmeno incentrate
su colpi armati.
Al contrario, possono ricorrere ad
attacchi disarmati che portano a colpi fisici distruttivi e a
movimenti estremamente veloci e precisi. Questo stile di
combattimento viene solitamente definito “la via della stranezza”
nel mondo di Dune. La Voce è un altro potere
importante che permette ai Bene Gesserit di manipolare le
persone dando loro ordini in particolari frequenze sonore
a cui solo loro sono resistenti.
Possono alterare il loro
metabolismo per rendere innocue anche le sostanze
velenose.
I membri delle Bene Gesserit
addestrati come Verificatori sono particolarmente abili
nell’analizzare i discorsi e i modi fisici delle persone per
determinare se stanno mentendo o dicendo la verità. Tutte le
Sorelle hanno un controllo significativo e impressionante sul
proprio corpo e sui livelli di fertilità. Possono alterare il loro
metabolismo per rendere innocue anche le sostanze velenose. Queste
capacità fisiche le rendono parte integrante delle Case come
assaggiatrici di veleno e concubine.
Come Dune:Parte
Duedi Denis Villeneuveracconta ulteriormente la
Bene Gesserit
Il franchise moderno di Dune è
fortemente incentrato sulle Bene Gesserit
Con i Bene Gesserit introdotti in
scene cruciali di Dune:Parte Uno, il sequel
aumenta l’attenzione sull’obiettivo finale del loro programma di
riproduzione, con Paul Atreides che assume il ruolo scelto
di Kwisatz Haderach. Tuttavia, poiché entrambi i film di
Villeneuve adattano il primo romanzo di
Dune, non c’è spazio per esplorare il futuro della
Bene Gesserit, che è cambiato drasticamente con l’ascesa di Leto in
Children of Dune.
La serie prequel prevista
probabilmente si ispirerà direttamente al romanzo prequel del 2012
Sisterhood of Dune di Bruce Hebert, figlio maggiore di
Frank Hebert. Il libro tratta delle loro sfide all’indomani della
Jihad Butleriana e dovrebbe essere un adattamento cinematografico
avvincente.
Dune:Prophecy espande
la storia della Bene Gesserit
Emily Watson nei panni di Valya Harkonnen
La serie spinoff della HBO si
concentra sulle origini della Bene Gesserit
Dopo il successo di Dune e
Dune:Parte
Due, la HBO ha deciso di procedere con la serie spin-off
prequel Dune:Prophecy, la cui uscita è prevista
per il novembre 2024. Ambientata migliaia di anni prima degli
eventi di Dune, Dune:Prophecyapprofondirà le origini
delle Bene Gesserit, portando per la prima volta sugli schermi i
primi giorni della misteriosa sorellanza che ha plasmato l’universo
per millenni.
La storia di Dune:Prophecy si basa principalmente su uno
dei romanzi di Dune non scritti da Frank Herbert (anche
se, naturalmente, il libro originale di Dune è ancora un
elemento chiave di ispirazione). Invece, Dune:Prophecy adatterà vari eventi del romanzo Sisterhood
of Dune di Brian Herbert e Kevin J. Anderson del 2012
. Il romanzo La Sorellanza di Dune si svolge
alcuni anni dopo la Jihad Butleriana, molte migliaia di anni prima
degli eventi di Dune, e racconta come le Bene Gesserit
siano diventate la misteriosa e incredibilmente influente
organizzazione di cui faceva parte la madre di Paul Atreides, Lady
Jessica.
Dune:Prophecy si svolge ben 10.000 anni prima di
Dune ed è incentrato sulle sorelle Valya e Tula
Harkonnen (interpretate rispettivamente da Emily Watson e Olivia
Williams). Non si sa esattamente quanto Dune:Prophecy seguirà Sisterhood of Dune, anche se è
già chiaro che ci saranno cambiamenti significativi, dato che Valya
e Tula sono tutt’altro che personaggi centrali nel romanzo
originale. Anche le Bene Gesserit sono in qualche modo consolidate
in Sisterhood of Dune, mentre Dune:Prophecy mostrerà le origini dell’ordine, quindi
presumibilmente si svolgerà ancora prima
nella linea temporale di Dune.
I primi episodi hano già stabilito
molto di ciò che gli spettatori possono aspettarsi dallo spin-off
prequel. Mostra un mondo che è chiaramente diverso dall’universo
dei film di Dune di Villeneuve, ma che presenta anche
molte somiglianze. I Bene Gesserit sono uno degli aspetti più
misteriosi del franchise di Dune e, con
l’aumento di popolarità creato dalla trilogia cinematografica di
Villeneuve, Dune:Prophecy sarà sicuramente
un’aggiunta molto apprezzata all’universo cinematografico tratto
dal romanzo originale di Frank Herbert.
Prima di portare in sala il film
Snowden, incentrato
sulla vicenda del responsabile della divulgazione di preziosi
segreti governativi, il regista premio Oscar Oliver
Stone si era dedicato ad un’altra storia al confine tra la
legge e la criminalità. Questa viene raccontata nel film Le
belve (qui la recensione), uscito in
sala nel 2012 e incentrato sullo scontro tra due giovani
coltivatori di marijuana e un pericoloso cartello di trafficanti di
droga. Una storia estremamente dinamica, che non si risparmia in
colpi di scena e sequenze estreme, in cui Stone dà vita a tutto il
suo estro. Scritto dallo stesso Stone insieme a Shane
Salerno e Don Winslow, il film non è però
frutto di una storia originale.
Questo è infatti la trasposizione
dell’omonimo romanzo dello stesso Winslow, pubblicato nel 2010.
Divenuto un vero e proprio best seller di genere pulp, questo ha
catturato l’attenzione di Stone ancor prima di essere reso
pubblico. Il regista si è infatti da subito attivato per adattarlo
quanto prima in un film. Girato interamente in California, tra le
località di Pacific Palisades e Laguna Beach, Le
belve è stato in seguito accolto da recensioni
contrastanti, le quali elogiano però le interpretazioni dei grandi
attori coinvolti. Costato circa 45 milioni di dollari, il film è
arrivato ad un risultato globale di circa 83, affermandosi come un
discreto successo.
Si tratta però di un film passato
piuttosto in sordina, e che meriterebbe di essere riscoperto. Sono
infatti numerosi i motivi per dedicarvi una seconda visione, dalla
dinamica regia all’intricata trama, dalla performance del cast alla
splendide location presenti. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alle differenze tra il film e il
libro. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Protagonisti del film sono due
imprenditori di Laguna Beach, Ben, pacifico e
caritatevole buddista, e il suo migliore amico
Chon, ex Navy Seal ed ex mercenario. I due
conducono una lucrativa attività fatta in casa, producendo la
migliore marijuana mai coltivata prima d’ora. Condividono inoltre
un amore unico nel suo genere per la bellissima
Ophelia. La vita è idilliaca nella loro cittadina
nel sud della California, almeno fino a quando il cartello dei
trafficanti della Mexican Baja decide di irrompere nei loro piani
imponendosi come socio. Quando Elena, lo spietato
capo del cartello, e Lado, il suo spietato
scagnozzo, capiranno che è ora di sbarazzarsi dei due giovani
amici, avrà inizio una vera e propria guerra per la sopravvivenza,
dove ognuno è un potenziale nemico.
Il cast del film
Ad interpretare il pacifico Ben vi è
l’attore Aaron
Taylor-Johnson, il quale era reduce dal successo del
film Kick Ass. Taylor Kitsch è invece
il duro Chon. Per interpretare il personaggio, l’attore dovette
però sottoporsi ad un duro addestramento, seguito in questo da un
vero marines. Alla fine, Kitsch era in grado di eseguire
personalmente tutte le scene che lo vedevano protagonista, senza il
bisogno di ricorrere a controfigure. Jennifer Lawrence era inizialmente stata
scelta per la parte di Ophelia, ma l’attrice rinunciò preferendo
recitare in Hunger Games. Al suo posto è stata scelta Blake
Lively.
Per poter assumere il ruolo della
femme fatale del film, l’attrice dovette però esercitarsi a lungo
con le armi da fuoco. Al termine dell’addestramento, la Lively
dimostrò una grande precisione nell’utilizzo di queste. L’attrice
Salma Hayek è
invece presente nei panni della narcotrafficante Elena, un
personaggio vagamente ispirato alla prima boss donna di un cartello
messicano, Mireya Moreno Carreon. Il premio Oscar Benicio Del
Toro, invece, è l’interprete dello scagnozzo di
questa, Lado. È inoltre presente l’attore John Travolta,
qui nei panni dell’agente FBI
Dennis, personaggio quantomai ambiguo. Altri noti attori presenti
sono Emile Hirsch
nei panni di Spin, e Demian Bichir
in quelli di Alex.
Interessatosi al romanzo ancor prima
che questo venisse pubblicato, Stone collaborò alla sceneggiatura
insieme allo stesso Winslow. Il loro lavoro congiunto permise
dunque di dar vita ad un film che ricalcasse in modo piuttosto
fedele ciò che avviene nel romanzo. Vi sono però naturalmente
alcune differenze, volte a far acquisire dei canoni più
cinematografici alla storia. La prima di queste riguarda un
personaggio particolarmente centrale nel libro e del tutto assente
nel film. Si tratta della madre di Ophelia, dalla
figlia ribattezzata Paqu. Questa, pur essendo un personaggio
secondario, svolge un ruolo di un certo rilievo nel romanzo,
contribuendo a spiegare alcuni aspetti della figlia.
Nel film, originariamente, Paqu
doveva essere interpretata dall’attrice Uma Thurman, ma
a causa dei tempi ristretti, questa dovette essere tagliata fuori.
Differente è anche la vicenda relativa all’agente
Alex. Nel romanzo, questi viene indicato come traditore
del cartello. Per tanto Lado stabilisce la sua morte per mano di
Ben. Nel film, invece, tale esecuzione avviene in modo
particolarmente diverso. Diverse sono anche le rapine che
Ben e Chon eseguono ai danni dei criminali messicani.
Al contrario di quanto avviene nel
romanzo, nel film i due si avvalgono di diversi aiuti per compiere
ciò, e sono soliti riutilizzare sempre le stesse maschere
folkloristiche messicane. Di particolare importanza è il
diverso approccio al finale. Nel libro, questo
risulta essere particolarmente cupo, presentando la morte di tutti
i protagonisti. Stone decide di cambiare tale aspetto, permettendo
loro di sopravvivere e rifarsi una vita altrove, mentre Elena viene
infine arrestata dalla DEA.
Il trailer di Le
belve e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire
di Le belve grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple
TV e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì
15 luglio alle ore 21:00 sul canale
20 Mediaset.
Arriva in Italia Le
Belve, ultimo film di Oliver Stone tratto dall’omonimo romanzo di
successo del 2010 scritto quasi di getto da Don
Winslow. A Winslow si deve anche la sceneggiatura, scritta
a sei mani con Shane Salerno e lo stesso
Stone.
Le Belve ruota
intorno alla droga, allo spaccio d’erba ad alti livelli a confine
tra California e Messico e si muove tra dei narcotrafficanti
messicani senza scrupoli e un trio di piccoli spacciatori che
lavorano in proprio. O (sta per Ophelia), Chon e Ben sono un
terzetto particolare: vivono insieme, hanno un legame profondo,
condividono ogni cosa, dai loro corpi ai loro pensieri alle loro
ricchezze, e si arricchiscono con il traffico di erba in tutto il
Paese, seguendo una sola regola: non dar fastidio a nessuno.
Le Belve, il
film di Oliver Stone
La loro erba è la migliore in
circolazione e così degli uomini sbarrano loro la strada, provando
a fermare la loro ascesa. Sono gli uomini di Elena, il boss, o
meglio la “Reina” dei narcotrafficanti messicani, colei che non ha
rivali. La situazione però si complica quando i due giovani non
vogliono stare al patto propostogli dagli scagnozzi della Reina, e
così lei prenderà dei provvedimenti per farsi obbedire.
Olive Stone non si smentisce e mette insieme
una storia di violenza, un po’ pulp, che ricorda moltissimo i suoi
lavori precedenti ma che forse testimonia un po’ la perdita di
smalto da parte del regista. Le Belve ha una trama esile e dilatata
su una durata superiore al dovuto, così che il risultato finale è
un film un po’ noioso che poteva essere risolto con più ritmo e
mordente in 90 minuti, al posto del 131 del montaggio finale.
Il filo conduttore de Le
Belve, al di là del nodo narrativo che ruota intorno alla
droga, dovrebbe essere senza dubbio il concetto di “belva”, che da
il titolo al film (e al romanzo), che varia a seconda del campo
visivo in cui ci troviamo: sono belve degli assassini senza
scrupoli, assetato di soldi e potere, ma forse anche dei ragazzi
che hanno un modo tutto loro di concepire l’amore fisico e
spirituale. Il concetto, seppure importante, viene appena
accennato, lasciando in ombra quella che poteva essere la questione
più interessante del film. Le Belve è un film
tipicamente stoniano, chi non ama i regista resti pure a casa.