Alla Casa del Cinema
di Roma è stato presentato alla stampa il nuovo film di
Margarethe Von Trotta, Hannah
Arendt, con Barabara Sukowa e
Alxel Milberg. Alla conferenza oltre alla regista
era presente Angelo Draicchio della Ripley’s Film.
Il film sarà nelle sale il 27 e 28 gennaio.
– Ciò che sembra emergere dal
film, è che forse Hannah Arendt è stata anche l’oggetto di accuse
di revisionismo storico. C’è stata una grande difficoltà, al
tempo, nel capire il suo pensiero in relazione al processo di
Eichmann. La sua opinione a proposito?
M. Von Trotta:
La questione della cooperazione dei capi ebrei nelle
deportazioni ai lager era una tematica venuta fuori proprio durante
il processo. La Arendt sosteneva che se doveva fare la reporter al
processo, non poteva lasciare fuori questo elemento solo perché
avrebbe sollevato critiche. Inoltre questo fattore era qualcosa che
toccava il suo stesso popolo, essendo lei stessa ebrea.
Oggi si dice che la Arendt non
abbia capito Eichmann: beh, al processo c’era anche uno scrittore
olandese, anch’egli ebreo, e anche lui descrisse tutto alla stessa
maniera. Nessuna delle persone che hanno accusato la Arendt in
America erano presenti al processo.
–Il discorso toccato nel film
attraverso la figura della Arendt è di un’attualità estrema: non si
ama un popolo, si amano le persone. Come mai ha scelto una chiave
così diversa e interessante per raccontarlo?
M.V.T: Ne “Le
origini del totalitarismo” la Arendt fa un paragone tra il nazismo
e il comunismo, che noi non potevamo accettare perché non si poteva
neanche toccare il comunismo, per noi che inoltre venivamo dal ’68.
Dopo la caduta del muro di Berlino abbiamo capito molte cose, ci
siamo resi conto che lei aveva visto cose prima di noi. È per
questo che la Arendt è diventata così importante, perché ha posto
la questione di pensare con la propria testa e la nostra capacità
di ragionare. Un problema fondamentale anche per voi italiani, che
venite dal periodo del berlusconismo…
– Secondo lei la reazione così
dura alla Arendt è stata anche una questione di genere; avrebbe
avuto un altro trattamento se non fosse stata una donna?
M.V.T: Sì,
credo di sì. Ho girato alcune scene nell’ufficio del Rettore
americano all’Università di Lussemburgo, il quale mi ha detto che
in vita sua non aveva mai sentito un rimprovero verso un suo
collega maschile così accanito come quello di cui fu oggetto la
Arendt.
– La relazione con Heiddeger è
stata molto importante nella vita della filosofa. Come mai ha
scelto di voler raccontare questo personaggio solo sullo sfondo,
con dei flashback?
M.V.T: Certo,
se avessi scelto di raccontare la loro storia d’amore, avrei
sicuramente più successo: la storia tra il filosofo filo-nazista e
la ragazza-allieva ebrea. Ma non era questo che mi interessava.
Inoltre lei parla sempre del nazista Eichmann come di qualcuno che
non sa pensare, è lei la pensatrice e Heidegger era il suo maestro
di pensiero. Un maestro che, nonostante tutto, cadde di fronte al
nazismo.
Ma con la Arendt resta questa
utopia della filosofia come qualcosa che può salvare la
persona.
– Come mai il film esce solo per
2 giorni?
Draicchio: In
realtà il film doveva uscire lo scorso ottobre, ma poi non è stato
possibile. E quindi abbiamo ri-organizzato in poco tempo per farlo
uscire adesso, in occasione della Giornata della Memoria. Esce il
27 e il 28 ma poi forse continuerà ad essere nelle sale, in circa
100 sale italiane. C’è una grande attenzione da parte di molte
associazioni, per non parlare delle scuole, quindi speriamo possa
proseguire il suo percorso.
– Secondo lei, l’orrore di
un’esperienza come il nazismo come è potuto accadere nella
Germania, un paese civile? Forse l’abitudine che il popolo tedesco
ha sempre avuto, sin dall’infanzia, nei confronti
dell’obbedienza?
M.V.T: Forse
sì, anche. L’obbedienza, sin dai tempi della Prussia, era
considerata una delle “virtù” e dei pregi del popolo tedesco. Può
darsi che questo fattore storico abbia contribuito.
–Che risposta di pubblico ha
avuto il film in Germania e America?
M.V.T: Per ora
sta avendo successo in Germania, Francia, Spagna e America. Per
essere un film così difficile sta andando molto bene, e ne sono
felice: ho aspettato 8 anni per trovare i fondi. In Germania c’è
stata solo la polemica di qualche storico che dice di aver trovato
dei documenti dimostranti la falsità di Eichmann. Ma quando si fa
un film sulla Arendt, bisogna seguire lei, il suo pensiero, senza
andare oltre o cercare di scoprire e narrare la Storia.
Anche l’ultimo assistente di
Hannah ha molto apprezzato l’opera, dicendomi che per la prima
volta in un unico film vengono mostrate la parte privata e quella
intellettuale della Arendt. È uscito anche in Israele, dove ho
avuto molti supporti, tra cui quello della Film Commission. Strano
considerato che il suo libro (La banalità del male, ndr), in
Israele è uscito solo nel 2002 per la controversia che lei aveva
avuto con Gurian.