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Tom Hanks ufficialmente per Kathryn Bigelow

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Tom-Hanks

Il due volte premio Oscar Tom Hanks (Philadelphia, Forrest Gump) è il primo interprete di Triple Frontier, nuovo lungometraggio di Kathryn Bigelow, anche lei doppiamente premiata agli ultimi Academy Award per The Hurt Locker.

Ray Wise si unisce al cast di X-Men: First Class

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Ray Wise si unisce al cast di X-Men: First Class

Ray Wise, caratterista che fu il padre di Laura Palmer nella serie cult Twin Peaks, è l’ultimo arrivato nel già nutrito cast di X-Men – L’inizio (X-men: First Class).

Lo stesso Wise ha rivelato la sua partecipazione, nel piccolo ruolo di un Segretario di Stato degli Stati Uniti, che girerà in un paio di settimane. Il cast del film è composto nei ruoli principali da Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, Nicholas Hoult, January Jones,, Jason Flemyng e Oliver Platt. Il film arriverà nelle sale il 30 giugno.

Tutto quello che sappiamo su X-Men – L’inizio

Il film X-Men – L’inizio, prequel della trilogia cinematografica dedicata ai personaggi della Marvel, gli X-Men (X-Men, X-Men 2, X-Men – Conflitto finale), narra le vicende di Charles Xavier (Professor X), Erik Lehnsherr (Magneto) e del loro primo tentativo di formare una scuola per i ragazzi mutanti.

Nel cast di X-Men – L’inizio protagonisti Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, Nicholas Hoult, January Jones, Oliver Platt, Kevin Bacon, Edi Gathegi, Lucas Till, Alex Gonzalez, Morgan Lily, Jason Flemyng, Caleb Landry Jones,  Corey Johnson, Glenn Morshower, Matt Craven, Laurence Belcher, Bill Milner, Zoë Kravitz, Demetri Goritsas, James Remar, Rade Sherbedgia, Ray Wise.

X-Men – L’inizio (X-Men First Class) rappresenta l’inizio epico per la saga degli X-Men e rivela la storia degli eventi più importanti della saga stessa.  Prima che il mondo conoscesse l’esistenza dei mutanti e che Charles Xavier e Erik Lensherr prendessero i nomi di Professor X e Magneto, vediamo due giovani ragazzi che scoprono i loro poteri per la prima volta. I due, che diventeranno nemici giurati, sono amici che lavorano insieme con altri mutanti (alcuni già conosciuti al pubblico, altri nuovi) per fermare l’Armageddon. Ma in questo percorso, tra di loro nasce un contrasto, che scatena l’eterna guerra tra la Confraternita di Magneto e gli X-Men del Professor X.

Winter’s Bone con sette nomination agli Spirit Awards

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SpiritAward

Winter’s Bone di Debra Granik ha ottenuto il più alto numero di nomination agli Spirit Award, sette. Due in meno ne ha conquistate I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko, film con Julianne Moore.

Liam Neeson in An Ordinary Man

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liam neeson

Liam Neeson starebbe cercando di interpretare, tra i suoi numerosi impegni, il ruolo del protagonista, un criminale di guerra sotto mentite spoglie, in An Ordinary Man, un progetto del regista Brad Silberling.

Nel 2011 pioggia di eroi Marvel al cinema

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Nel 2011 pioggia di eroi Marvel al cinema

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Presentati alle Giornate professionali del cinema di Sorrento i listini ufficiali di Universal e 20th Century Fox. Buone notizie per i fan della Marvel!

I progetti di Kirsten Dunst

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Kirsten Dunst ha deciso di partecipare al dramma Hick, accanto a Chloe Moretz. Si tratta di un adattamento del romanzo di Andrea Portes, autore della sceneggiatura, e il film verrà diretto da Derick Martini.

Mark Wahlberg guarda a Broken City

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Mark Wahlberg sta adocchiando diverse proposte di lavoro, in attesa di lavorare al prossimo Uncharted: Drake’s Fortune. Pare che il protagonista di E venne il Giorno sia interessato a Broken City, scritto da Brian Tucker.

Sorrento 2010: spazio al cinema!

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sorrento

Dal 29 novembre al 2 dicembre si terranno nella splendida cornice di Sorrento le Giornate professionali del cinema, manifestazione cinematografica e culturale giunta ormai alla 33esima edizione.

E’ Morto Mario Monicelli!

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Mario_Monicelli

Il regista Mario Monicelli si e’ ucciso lanciandosi dal quarto o quinto piano del reparto di urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato. Lo rendono noto fonti sanitarie.

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Neil Jordan è il cineasta sicuramente più famoso nella storia irlandese, il più eclettico e talentuoso. Quest’anno alla kermesse capitolina dedicata al cinema Irlandese, Irish Film Festa, tenutasi alla Casa del Cinema e diretta dall’esperta critica Susanna Pellis, si è parlato molto di questo grande regista e nello stesso giorno sono state proiettate due opere, quella che segna il suo esordio nel 1982, Angel e quella più recente, Ondine del 2009.

Non tutti sanno che Jordan è un romanziere prima che regista e bravissimo sceneggiatore. Debuttò nel cinema nel 1980, lavorando come consulente alla sceneggiatura di Excalibur di John Boorman e girando un minidocumentario su quel set: The Making of Excalibur – Myth into Movie. Quell’esperienza fu per lui una vera e propria scuola di cinema, dopo di essa, nonostante i suoi grandi dubbi e le paure di buttarsi sul cinema, decise di debuttare alla regia con Angel nel 1982. Un thriller che dimostra già una sorprendente maturità per un film di esordio. La storia racconta di un carismatico sassofonista (interpretato dal bravo Stephen Ray) che dopo aver assistito all’uccisione di una ragazza cade in un vortice di violenza inaudita, di vendetta crudele verso i responsabili. Si trasforma in una sorta di giustiziere in un Irlanda del Nord già ampliamente devastata dal conflitto tra cattolici e protestanti. Un film ricco di citazioni soprattutto del cinema italiano di Antonioni. Molte furono le critiche mosse dai cineasti irlandesi che non tolleravano che uno scrittore, al suo primo esordio nella regia, avesse ottenuto il sostegno economico del nascente Irish Film Board, a discapito di cineasti già lanciati.

Nonostante le polemiche Neil Jordan continuò a scrivere soggetti e a trasformarli in film: si fece notare con due discreti successi, In compagnia dei lupi (1984) singolare remake della favola di Cappuccetto Rosso, trasformata in un film a tratti erotico, a tratti horror e per la regia di Monalisa (1986) un film definito “il miglior noir del decennio” che è valso l’Oscar alla migliore interpretazione maschile di Bob Hoskins che veste i panni di George, un autista scriteriato che dopo sei anni di carcere, si ritiene un osso duro, mentre invece nasconde un’anima fragile e ingenua. Monalisa si tratta di un film appassionato, energico e veloce, ma, a detta di molti critici, sopravvalutato. Neil Jordan riuscì comunque nell’intento di far conoscere il cinema irlandese al mondo intero. Inoltre dopo Monalisa, Neil Jordan diventò un regista famoso oltre oceano e la sua prima parentesi hollywoodiana si inaugurò con il discutibile remake di Non siamo angeli (1989) per il quale scelse due grandissimi artisti: Robert De Niro e Sean Penn. Nel 1991 girò Un amore, forse due, film molto personale.

Poi, nel 1991 arrivò un premio molto atteso, l’Oscar per la sceneggiatura di The Crying game – La moglie del soldato. Il film, distribuito in Italia con un titolo che tradisce quello originale, che invece si rifaceva alla canzone di Boy George, ottenne un successo in tutto il mondo, di pubblico e di critica. Il primo grande successo irlandese. Il film racconta di Fergus (interpretato dall’immancabile Stephen Rea), un militante dell’IRA (Irish Republican Army) il quale, pur sembrando all’apparenza forte e violento, è in realtà un uomo capace di amare, tanto da affezionarsi al soldato inglese di colore che deve tenere in ostaggio e da promettergli, in punto di morte, di prendersi cura della fidanzata. All’interno del film, due sono i nuclei narrativi che procedono parallelamente fino a intrecciarsi nel finale: quello politico e quello erotico. Ma l’intento principale del film di Jordan è quello di trattare i personaggi e le situazioni da loro vissute, in maniera ambigua. Fergus e il soldato Jody, nel corso della storia, offrono di sé immagini differenti dalla loro essenza: Jody è, un inverosimile soldato inglese sia per il fisico che per il colore di pelle; Fergus in Ulster è un terrorista costretto a recitare la parte del duro. Ma l’ambiguità estrema la ritroviamo in Deal, interpretato dal vero travestito Jaye Davidson, che ebbe una nomination all’oscar come migliore attore non protagonista. Un personaggio intensamente erotico e ambiguo, capace di cambiare look a seconda delle situazioni, passando dalla femminilità più disinvolta alla mascolinità più compiuta. La moglie del soldato è dunque un film complesso e sfuggente, labirintico che fa percorrere allo spettatore un percorso che lo porterà ad accettare la scelta di Fergus di amare Deal, seppur per metà uomo. Nel 1994 durante la sua seconda parentesi hollywoodiana, Neil Jordan diresse Intervista col vampiro che però non convinse la critica, nonostante il cast d’eccezione tra cui Tom Cruise e Brad Pitt.

Nel 1996 fu la volta dell’epico Micheal Collins che vinse il Leone d’oro a Venezia, definito pietra miliare del cinema irlandese. Un film che impegnò Neil Jordan per tredici anni tra studi e sceneggiature riscritte. Racconta sette anni della breve e intensa esistenza di Michael Collins (1891-1922), discusso eroe dell’indipendenza irlandese, ucciso in un’imboscata da altri irlandesi. Michael Collins è un film di guerra, guerra civile, la più disperata e atroce delle guerre, raccontato evidentemente dalla parte di Collins e contro De Valera, che si finisce per odiare. Locations autentiche, una fotografia artistica mirabile che sfrutta ogni luce naturale e l’intensa interpretazione di un cast quasi completamente irlandese e con un finale accompagnato dall’indimenticabile voce di Sinead O’ Connor.

Neil Jordan sembra non fermarsi mai e nel 1997 vinse l’Orso d’Argento come miglior regista per l’inedito The Butcher Boy. Film simbolico e visionario che studia i moti dell’animo umano. Ambientato in una piccola città irlandese negli anni ‘60, segue l’infanzia di un ragazzino Francie Brady (Eamonn Owens – Magdalene) che non riuscirà a evadere dalle brutture della sua famiglia: il suicidio della madre, la morte del padre alcolizzato, la reclusione in riformatorio, l’abuso sessuale a opera di un sacerdote.

Cadrà inevitabilmente nella pazzia e nella violenza. L’intero film procede come una sorta di monologo interiore, stream of cosciusness dell’adulto Francie, conservando l’autenticità del romanzo di McCabe, dal quale è tratto. Il merito più grande di Jordan va però all’aspetto visuale che destabilizza, contrapponendo ironicamente la tradizionale purezza del paesaggio irlandese ai crescenti disturbi psichici del ragazzo (l’inquadratura di un incontaminato lago azzurro fra il verde delle colline viene all’improvviso sconvolta da un’esplosione nucleare). “Un realismo magico e malato al tempo stesso che sovverte l’immaginario irlandese più tradizionale e rappresenta la miglior risposta del regista a chi lo ha sempre considerato uno scrittore solo prestato al cinema o un cineasta troppo asservito al mercato”. Così lo definisce Susanna Pellis nel suo libro Breve storia del cinema irlandese.

Neil Jordan: il genio d’Irlanda

Nel 1999 girò In Dreams, thriller paranormale con Annette Bening e Robert Downey Jr. e, lo stesso anno, diresse la coppia Ralph Fiennes e Julianne Moore nella trasposizione del romanzo omonimo di Grahame Greene, Fine di una storia, vincendo un BAFTA per la migliore sceneggiatura. Con l’arrivo del nuovo millennio, Neil Jordan decise di sperimentare co-produzioni internazionali, coinvolgendo Canada, Francia, Irlanda e Gran Bretagna nella commedia Triplo gioco (2003), che raccoglie nel suo cast Nick Nolte e il regista Emir Kusturica.Tornò invece a parlare di ambiguità sessuale nel 2005 con Breakfast on Pluto, il cui protagonista è un ragazzo figlio del peccato, nato da una relazione sessuale tra un prete e sua madre, che decide di diventare donna.  Infine, la più recente opera cinematografica realizzata dal grande Jordan, è Ondine – Il segreto del mare. Una favola malinconica e irreale che racconta la storia di Syracuse (Colin Farrell), un pescatore irlandese noto a tutti gli abitanti del villaggio col soprannome di Circus per via del suo passato da alcolizzato. Circus è divorziato da un’alcolista con la quale ha concepito sua figlia Annie (Alison Barry), vincolata alla sedia a rotelle e a una macchina per la dialisi, a causa dei suoi problemi di salute. Un giorno Circus mentre pesca, trova impigliata nella sua rete una ragazza che si fa chiamare Ondine (Alicja Bachleda). La ragazza, non ricorda nulla di sé ma è spaventata e confusa. Gradualmente nasce una storia d’amore magica tra i due. In paese la chiamano la donna venuta dal mare e la figlia Annie è convinta che sia una Selkie, una creatura marina che abita le leggende scozzesi,una foca che,uscita dalle onde,perde il suo manto e lo seppellisce per restare sulla terraferma con l’uomo che ama. Naturalmente come in ogni favola, si palesa un cattivo che vuol portare via la bella Ondine e che causerà non poche deviazioni narrative. Il ritmo è lento e scandisce con calma gli argomenti, sospesi tra il reale e l’immaginario. Una favola quindi, che purtroppo alla fine ci riporta a una realtà fin troppo cruda e noir che scuote lo spettatore. Ottima la fotografia di Christopher Doyle che ritrae un paesaggio incontaminato, perfetto palcoscenico di storie fantastiche, di miti e leggende sotto il cielo d’Irlanda. Splendida anche la colonna sonora affidata alla straordinaria sonorità dei Sigur Ros.

In conclusione non posso non sostenere quanto sia carismatico questo regista visionario, intelligente e capace di coinvolgere lo spettatore nella profondità dei suoi sentimenti. Un regista che dovrebbe essere più famoso in Italia e nel mondo intero perché ha molto da insegnare ai cinefili che, come me, vorrebbero intraprendere questa strada.

North Face – recensione

Il film racconta la vera storia di Toni Kurz ed Andi Hinterstoisser. Questi sono due alpinisti tedeschi, che nel 1936 trovano la morte scalando l’inviolata “parete nord” del Monte Eiger, sopra Berna. Il regista ha scelto di romanzare il film solo inserendo la figura di Luise Fellner, una fotoreporter innamorata di Toni Kurz. Nel 1936, il nazismo preme perché i tedeschi conquistino la supremazia pure nell’alpinismo. Un giornale berlinese, apertamente spalleggiato dal ministro della propaganda Goebbels, segue dal vivo le vicende degli eroi Kurz ed Hinterstoisser.

Fish Tank: recensione del film di Andrea Arnold

Fish Tank: recensione del film di Andrea Arnold

Fish Tank è l’ultimo film girato dalla regista Andrea Arnold, e ha ricevuto il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2009. La quindicenne Mia vive con la madre e la sorella più piccola nella periferia urbana di Londra. La ragazza è stata espulsa dalla scuola, ha un temperamento “ribelle”. Mia passa le giornate nel degrado socioculturale della periferia urbana, dove mancano gli spazi per l’aggregazione, tranne che nella pedana per fare sport o ballare al ritmo dello hip-hop.

Un tema estetico che torna nella cinematografia di Ken Loach. Da un lato, esiste l’immobilismo della scenografia. Percepiamo la “pesantezza” dei palazzoni, che “restringono” la nostra visione. Chi è troppo “vecchio” per uscire si limita a ricevere passivamente la televisione, che manda una programmazione dai temi volgari. Andrea Arnold cerca soprattutto il primo piano od il campo medio, mentre la narrazione si sviluppa più tra le stanze di casa che all’aperto (in esterna).

Dall’altro lato, la macchina da presa si muove di continuo, seguendo direttamente i passi della protagonista. Una regia che in qualche modo ci ricorda quella di Lars Von Trier. Il ballo del tipo hip-hop si configura per “scatti”. Qui, le gambe e le braccia si distendono salvo poi ritrarsi immediatamente, così da visualizzare una successione di linee spezzate. La camera a mano di Andrea Arnold insegue le corse di Mia: quando lei s’arresta, è inquadrato il fermo-immagine del suo volto. Simbolicamente, le persone che vivono nel quartiere popolare s’illudono di “movimentare” la loro vita.

Fish Tank, tra fermo immagini e profondità

Nel fermo-immagine dei volti, che guardano verso una profondità per noi solo “astratta” (in apparenza, senza riconoscere qualcosa di particolare), si cela invece lo “sbarramento che la desolazione socioculturale dà loro. La sceneggiatura prevede che Mia speri di riscattarsi diventando una ballerina professionista. Tuttavia, lei rinuncerà a sostenere l’esame d’ammissione: proprio sul più bello… La ragazza ha un carattere per così dire eccessivamente “maschile”: tende ad imporsi sugli altri, parla in modo schietto. Mia fronteggia senza paura le molestie, avanzate dai giovani sbandati del quartiere. Lo stesso temperamento vale per la sorella minore, di cui ci sorprende il linguaggio scurrile.

L’unico personaggio caratterialmente “femminile” del film pare Condor, il nuovo fidanzato della madre. Un uomo dai modi gentili, che vive la “paternità” verso Mia promettendosi di educarla, perché s’inserisca nella società che “conta” (oltre la chiusura in periferia). Condor però nasconde un “segreto”, che ne contraddice l’autorevolezza. Rispetto a quello, la sua attrazione sessuale per la ragazza è persino insignificante. La < peschiera >, cui rinvia il titolo del film (Fish tank in inglese), si spiega bene nella scena dove Mia va a “sguazzare” liberamente nella casa dell’uomo. Mia vuole vendicarsi, e cerca di “sporcare” le regole del mondo di Condor, portandovi le sue. Per la regista, questo non sembra possibile. Ricordiamo l’episodio dove la ragazza (pentita per aver “sguazzato” un po’ troppo…) salverà la bambina. Condor negherà la pacificazione con Mia, ed anzi lascerà pure sua madre. Proprio per questo, il finale più “riposante” dove le tre donne ballano insieme ci pare un po’ stonato.

 

Box Office Usa: Harry Potter in vetta 22/11

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Ancora Harry Potter in vetta al box office USA – Nel weekend del Thanksgiving il box office USA é dominato dai film per ragazzi, o per magi cresciuti. In testa alla classifica degli incassi rimane infatti, forte dei suoi ulteriori 76 milioni di dollari di incasso Harry Potter e i doni della morte Parte 1, seguito dall’ultima produzione Disney Tangled, una rilettura della favola di Raperonzolo.

Il film dá un certo filo da torcere ad Harry Potter visto che, appena uscito, incassa giá quasi 70 milioni di dollari. In terza posizione troviamo un altro film di animazione, ormai alla sua terza settimana di uscita: Megamind della Dreamworks. In quarta posizione si affaccia Burlesque, che segna il debutto cinematografico come protagonista di Christina Aguilera, al fianco di Cher, che guadagna 17 milioni di dollari.
In quinta posizione troviamo Unstoppable di Tony Scott con Denzel Washington, Chris Pine e Rosario Dawson. Nella seconda metá della classifica troviamo una sola nuova uscita, la commedia Love and other drugs con Anne Hathaway e Jake Gyllenhall, che si attesta al sesto posto con 14 milioni di incasso, seguito da Faster, il nuovo film con The Rock.
Le ultime tre posizioni del box office se le spartiscono film usciti giá da qualche settimana: Due date con Zach Galifianakis e Robert Downey Jr, il nuovo film di Paul Haggis con Russell Crowe, The next three days e infine la commedia Rachel Mc Adams. Ora uno sguardo alle uscite previste per la prossima settimana: in prima linea Black Swan di Darren Aronofsky che da noi è stato visto in anteprima al Festival del cinema di Venezia, e, con quasi due anni di ritardo esce I love you Philip Morris, che vede Jim Carrey impersonare un truffatore che, a metá della sua vita si innamora di un uomo, qui nei panni di Ewan Mc Gregor. Forse la tematica non ha aiutato il film a trovare una distribuzione negli Stati Uniti fino a questo momento, il fatto che il film, visto appunto quasi due anni fa al Festival di Cannes sia di per sé un po’ sfilacciato, certo non aiuta. Come nota a margine, da noi è uscito in poche sale lo scorso Aprile distribuito con il titolo “Colpo di fulmine: il mago della truffa”.
Le altre uscite settimanali di spicco sono All good things con Ryan Gosling e Kirsten Dunst, Night catches us sul movimento delle Black Panthers e il western con arti marziali The warrior’s way.

James Franco e Anne Hathaway presenteranno gli Oscar 2011!

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oscar

L’Academy ha annunciato i presentatori dell’83esima edizione degli Academy Awards, che si terrà il 27 febbraio 2011. Si tratta di James Franco e Anne Hathaway!

Box Office ITA al 29/11/2010

Harry Potter ovviamente in testa anche alla sua seconda settimana, seguito dalle new entry A Natale mi sposo, Rapunzel e La donna della mia vita. Deludenti le altre novità. Non c’era alcun dubbio che Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 1 avrebbe mantenuto il primo posto al suo secondo weekend, e lo fa raccogliendo 3,4 milioni di euro per un totale di 13,2 milioni. Prevedibili anche le due posizioni successive, con il cinepanettone A Natale mi sposo che la spunta su Rapunzel – L’intreccio della torre con 2,4 contro 1,8 milioni. In particolare, quest’ultimo risultato non soddisfa più di tanto, soprattutto considerando la distribuzione della pellicola disney in 3D; è pur vero, tuttavia, che il target di riferimento è più o meno lo stesso di Harry Potter…

Quarto posto per un’altra new entry, ovvero La donna della mia vita, che ottiene 965.000 euro. Scende quindi in quinta posizione Saw 3D, arrivato a 4,2 milioni con altri 831.000 euro. Seguono due pellicole italiane di successo: Maschi contro femmine, giunto a quota 13,1 milioni con altri 367.000 euro, e Benvenuti al Sud, che supera i 29 milioni complessivi con altri 303.000 euro.

Scende in ottava posizione The Social Network, incassando altri 240.000 euro per 2,1 milioni totali. Risale invece Noi credevamo, che con il buon passaparola guadagna altri 216.000 euro per 737.000 euro complessivi. Chiude la top10 la commedia Un marito di troppo, arrivato a 829.000 euro con altri 185.000 euro.

Da segnalare l’undicesimo posto dell’acclamato Precious, arrivato con spaventoso ritardo nel nostro Paese. Il film vincitore di 2 Premi Oscar debutta con 169.000 euro in 80 sale.
Brutto diciottesimo posto, infine, per Il mio nome è Khan: la pellicola bollywoodiana è stata letteralmente snobbata nel nostro Paese, ottenendo appena 51.000 euro nelle 50 sale in cui è stata distribuita.

Jackass 3D – recensione

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Jackass 3D – recensione

C’è poco da dire, davanti ad un altro episodio al cinema di Jackass si sa già cosa aspettarsi. Partito da una serie televisiva in onda su Mtv, il film è giunto alla quarta apparizione sul grande schermo. Lasciando da parte la puzza sotto al naso e le pretese di narrazione classica, il gruppo di stunt man guidato da Johnny Knoxville ci accompagna in una serie di giochi, scommesse o scherzi (a voi la scelta) per i quali sarebbe azzardato parlare di film.

In Italia si potrebbe pensare al popolare show televisivo, Paperissima, per riuscire a spiegare qualcosa del genere, ma allo stesso tempo non si renderebbe bene l’idea di quello che è Jackass, in primo luogo per la diversa natura degli eventi, qui ricreati e progettati con precisione, in secondo luogo per l’eccessiva stravaganza a volte oltre i limiti dell’immaginabile (e del buon gusto) che Knoxville e company ci mostrano. Quando non si resta troppo disgustati dalle immagini il film fa ridere fino alle lacrime.

Non c’è niente da aggiungere se non che questa volta le gag sono in un buon 3D che aumento l’effetto visivo di alcune scene e che senza dubbio aumenterà anche gli incassi per un conseguente aumento del prezzo del biglietto.

Incontrerai l’Uomo dei tuoi Sogni: recensione del film

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Incontrerai l’Uomo dei tuoi Sogni: recensione del film

Mantenendo il suo ritmo frenetico, Woody Allen torna al cinema con la sua ultima commedia, Incontrerai l’Uomo dei tuoi Sogni. La storia ruota intorno a due coppie: Roy (Josh Brolin) e Sally (Naomi Watts), e i genitori di lei Alfie (Anthony Hopkins) e Helena (Gemma Jones).

Insicurezze, sogni e desideri si affacciano nelle loro vite, mandando all’aria progetti e infrangendo speranze di una vita agognata ma mai raggiunta, questi gli ingredienti del film che per definizione è una commedia, e il tono del film lo conferma decisamente, ma lascia trasparire, in maniera a tratti didascalica il profondo pessimismo del regista Allen, forse mai così fuori forma come in questo caso.

Aiutato da un cast di artisti d’eccezione, Woody Allen racconta la sua storia sull’insoddisfazione e sulla ricerca dei propri sogni, con una regia davvero interessante, costituita per lo più da piani sequenza retti con grande bravura dagli attori che si muovono nei piccoli appartamenti della storia come all’interno delle menti dei personaggi, seguendone le nevrosi. La sceneggiatura come al solito è brillante e i dialoghi ben costruiti, tuttavia resta una sensazione di impalpabilità che nel finale sfiora l’inconsistenza, e il film è penalizzato da questo disfattismo che pur mostrando l’autorialità del regista ne decreta forse l’estrema fretta nel voler fare film tutti un po’ troppo uguali.

Resta di interessante il ruolo della veggente ciarlatana che non a caso viene citata nel titolo: Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni è una delle frasi tipiche che queste cartomanti dicono quasi in ogni situazione, e come dice il personaggio di Josh Brolin, si tratta dello sconosciuto che prima o poi incontriamo tutti (indipendentemente dal fatto che sia alto e bruno, come nel titolo originale).

Incontrerai l’Uomo dei tuoi Sogni recensione

Nel quadro pessimistico della storia, non fanno eccezione nemmeno i due personaggi collaterali: Dia (Freida Pinto) misteriosa e bellissima dirimpettaia di Roy, e l’affascinante Greg (Antonio Banderas) datore di lavoro di Sally che resta vittima del suo intrigante aspetto.

Tutti i personaggi sono alla ricerca di qualcosa che non troveranno, e che anche quando pare sia vicino, sfugge improvvisamente: Alfie non troverà la felicità con la giovane e svampita mogliettina, e probabilmente Roy non porterà a buon fine le sue trame per diventare un grande scrittore. L’unica che trova nel suo mondo uno spiraglio di serenità è Helena, anziana nevrotica e sola che grazie alla sua amica cartomante vive un’esistenza di follie e credenze distaccate dalla realtà che in qualche modo l’aiutano a sopravvivere. Come a dire che il mondo è follia e furia e solo che si attiene a questa follia riesce a sopravvivere.

Impossibile non sottolineare il cambiamento di titolo dall’originale all’italiano, l’uomo alto e bruno del titolo di Allen è diventato l’uomo dei sogni, forse a voler apparire più invitante, ma forse meno misterioso e sicuramente non necessario.

Tornando a Casa per Natale: recensione del film

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Tornando a Casa per Natale: recensione del film

Tornando a Casa per Natale è tratto da una selezione di racconti brevi dello scrittore norvegese Levi Henriksen, dal titolo Only Soft Present Under the Tree, e segue le vicende di una piccola comunità che aspetta il Natale in un’immaginaria cittadina norvegese.

Tornando a Casa per NataleDiverse le storie raccontate: ci sono i due profughi dalla Ex Yugoslavia che cercano un riparo nella neve perché lei è alle porte del parto, ricordando in maniera scontata ma romantica una situazione ben più nota dello stesso genere; c’è l’ex calciatore fallito che vuole tornare a casa; il vecchio che in solitudine aspetta il natale e la donna che sperando in una vita completa e felice prepara una serata romantica aspettando il suo amante sposato.

Bent Hamer, regista norvegese di Kitchen Stories, ritorna al cinema con Tornando a Casa per Natale, film corale a episodi, che segue a grandi linee la struttura narrativa di Crash Contatto Fisico, o di Magnolia, e andando ancora più a ritroso, di America Oggi di Altman. A dire il vero, il primo film che viene in mente guardando Tornando a Casa per Natale è Love Actually, le storie che si intrecciano e l’atmosfera natalizia suggeriscono esattamente questa associazione, ma nel loro cuore tematico i due racconti di Natale sono molto diversi.

Tornando a Casa per Natale filmIn primo luogo l’ambientazione londinese del film di Curtis si distanzia notevolmente da quella di Skogli, cittadina della Norvegia, decisamente meno trafficata e caotica, ma più romantica, in secondo luogo il tenore dei racconti vira decisamente su un tono malinconico che pervade tutto il film, lasciando allo spettatore un gusto di dolce tristezza, sensazione rara e preziosa, soprattutto da trovare al cinema. Il film racconta principalmente il senso della casa, il desiderio di avere un posto dove stare, che non sempre si risolve in un luogo fisico, ma è il più delle volte una condizione intima che si rispecchia principalmente nello stare accanto a chi si ama, che siano i figli, gli amici o l’amante restio a lasciare la sua vita coniugale.

Il racconto di Hamer procede lento e delicato, senza sobbalzi, ma accompagnando lo spettatore in un paesaggio innevato e sospeso, quasi irreale, magistralmente incorniciato da un prologo ed un epilogo che insieme completano l’ennesima esistenza che nel film viene raccontata. Il senso di casa che nel film si tenta di costruire viene principalmente fatto veicolare attraverso l’atmosfera natalizia che forse inconsciamente aiuta la vie colazione di un tale messaggio che risulta tuttavia universalmente legato alla vita umana, senza la necessità precisa di essere collegato ad un periodo particolare dell’anno.

Tornando a Casa per Natale è un film delicato e piacevole, che lascia negli occhi e nel cuore la piacevole sensazione di aver visto qualcosa di malinconico ma dolce.

Addio a Leslie Nielsen

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Tutti lo conoscono, almeno per uno dei suoi numerosi e spassosi film, ieri Leslie Nielsen, 84 anni ed eroe del cinema comico-demenziale degli anni ’80 è venuto a mancare nell’ospedale di Fort Lauderdale in Florida. Causa della morte è stata probabilmente la complicazione seguita ad una polmonite.

Alessandro Gassman: tra teatro e cinema

Alessandro Gassman: tra teatro e cinema

Alessandro Gassman – Molti lo conoscono perché è figlio di uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi. Alcuni perché è spesso apparso in spot pubblicitari (Glen Grant, Lancia, Yves Saint Laurent). Altri, ma soprattutto altre, perché si è prestato per un calendario senza veli. E forse proprio l’eredità ingombrante del padre e una bellezza difficile da ignorare hanno a lungo offuscato le sue doti di attore.

Fatto sta che del suo talento e dell’abnegazione con cui negli ultimi 25 anni ha costruito un cammino artistico autonomo e degno, in pochi s’erano accorti fino a due anni fa, quando la sua prova d’attore in Caos Calmo accanto a Nanni Moretti lo ha finalmente imposto come uno dei più validi interpreti del nostro cinema.

Alessandro Gassman, biografia

Stiamo parlando di Alessandro Gassman, nato a Roma il 24 febbraio 1965 dall’unione tra Vittorio Gassman e l’attrice francese Juliette  Mayniel – che tra gli anni ’60 e i ’70 partecipò a diverse pellicole di Claude Chabrol in Francia, e in Italia lavorò con Steno e Franco Rossi tra gli altri. Si aggiudicò l’Orso d’Oro a Berlino (1960) con Storia di un disertore di Staudte.

Alessandro Gassman è alto un metro e novanta centimetri (1,92 cm).

Non sembra abbia avuto dubbi sulla strada professionale da percorrere il giovane Alessandro, se già a 17 anni dirigeva sé stesso e il padre Vittorio in Di padre in figlio (1982), film autobiografico sulla sua famiglia. Ed indubbia fin dall’inizio è anche la sua passione per il teatro: studia infatti per due anni alla Bottega Teatrale di Firenze per poi interpretare sul palcoscenico Affabulazione di Pasolini, che gli vale il Biglietto d’Oro. La sua carriera proseguirà su questi due binari, cui si aggiungerà quello televisivo.

Al cinema la prima interpretazione di peso è quella del 1987 in La Monaca di Monza di Luciano Odorisio, in cui interpreta l’aristocratico Giampaolo Osio. L’anno precedente ha preso parte al sequel de I soliti ignoti: I soliti ignoti vent’anni dopo, per la regia di Amanzio Todini (1986). Nell’‘89 è la volta di Un bambino di nome Gesù- Il mistero, film per la tv di Franco Rossi, in cui interpreta Gesù. Non si fa mancare neppure le produzioni cinematografiche internazionali, partecipando nel ’93 a Uova d’oro di Bigas Luna, coproduzione italo-franco-spagnola, e nel ’95 alla pellicola di John Irvin Un mese al lago, di ambientazione italiana. Tra ’96 e ’97 è scelto per diversi ruoli da commedia, due dei quali lo vedono recitare al fianco del fraterno amico Gianmarco Tognazzi (Facciamo Fiesta di Angelo Longoni e Lovest di Giulio Base, entrambe del ’97). Non si tratta tuttavia, fin qui, di pellicole di spessore che possano far emergere a pieno il talento e le capacità espressive di Gassman.

Alessandro Gassman e i suoi film

Una prima svolta nella carriera cinematografica dell’attore con un deciso salto di qualità arriva nello stesso 1997, con l’esordio alla regia del turco Ferzan Ozpetek, che lo vuole protagonista nel suo Il bagno turco. Qui interpreta Francesco: un giovane architetto romano, sposato ma senza figli, che per questioni ereditarie si reca in Turchia e lì trova una realtà accogliente e famigliare, riscopre quell’umanità accantonata nella vita borghese che conduceva a Roma e scopre invece per la prima volta la propria omosessualità, che qui è libero di vivere. Decide così di rischiare nei sentimenti e nella vita, mettendosi in gioco e assumendosene la piena responsabilità. Gassman appare a suo agio nell’interpretare la complessità di questo personaggio in evoluzione, che esce dal guscio protettivo da lui stesso costruito, per andare incontro a testa alta alla vita che ha scelto. L’interpretazione e il film, che resta uno dei più riusciti della produzione del regista turco, sono molto apprezzati da pubblico e critica.

Il 1998 è un anno importante nella vita privata dell’attore: sposa Sabrina Knaflitz e nasce il figlio Leo. Intanto, la sua produzione cinematografica prosegue con alterne fortune all’insegna della commedia. È diretto da Alessandro Benvenuti in I miei più cari amici (1998), di nuovo da Giulio Base per La bomba (1999) e da Ugo Fabrizio Giordani in Teste di cocco, dove ritrova Gianmarco Tognazzi. Lo vediamo poi nel 2002 in una pellicola d’impegno civile, che ricostruisce le vicende legate alla morte di Calvi: I banchieri di Dio di Giuseppe Ferrara, dove veste i panni di Francesco Pazienza. Due anni dopo, interpreta Luigi Tenco nel film tv di Joyce Buñuel Dalida, incentrato sulle vicende biografiche della cantante. Nel 2006 è diretto da Gianluca Maria Tavarelli – già regista tv di un film su Paolo Borsellino, e per il cinema di Un amore e Qui non è il paradiso – in Non prendere impegni stasera. Protagonisti, oltre a Gassman, Giorgio Tirabassi, Paola Cortellesi, Luca Zingaretti, Giuseppe Battiston in un amaro affresco della nostra società vista attraverso gli occhi di un gruppo di quarantenni romani.

L’ingresso nell’olimpo delle star del cinema italiano arriva però due anni fa, grazie a una pellicola la cui idea nasce dal romanzo di Sandro Veronesi Caos Calmo. Antonello Grimaldi la elabora e ne trae l’omonimo film, protagonista Nanni Moretti. E se quest’ultimo fa il suo, con l’abilità che gli conosciamo e lo stile inconfondibile nell’interpretare crisi esistenziali – è qui alle prese con l’elaborazione del lutto- per molti la vera rivelazione è proprio Gassman: non solo perfetta spalla, ma ottimo contrappunto alla personalità del fratello Pietro Paladini/Moretti: estroverso, bello, simpatico e di successo Carlo/Gassman, ma che in fondo cova un senso d’inferiorità nei confronti del fratello intelligente, colto e stimato. I due si scopriranno, nonostante tutto, vicini e simili, si aiuteranno a vicenda e costruiranno un nuovo rapporto. L’interpretazione gli vale  il David di Donatello come Miglior Attore non protagonista e il Nastro d’Argento. L’attore ha dichiarato di essere stato lusingato dalla possibilità di lavorare al fianco di Moretti, che stima molto, e di aver scoperto in lui una grande apertura e umanità, che ha fatto sì che tra i due si creasse  davvero un rapporto quasi fraterno.

Nel 2008 Gassman torna alla commedia con Il seme della discordia di Pappi Corsicato, che lo vede protagonista accanto a Caterina Murino: i due sono una coppia alle prese con la difficoltà ad avere figli e con un mistero da svelare. E poi ancora, l’attore non dice no a Fausto Brizzi per Ex (2009) e neppure a Neri Parenti per Natale a Beverly Hills (2009).

Quest’anno, lo ritroviamo in Basilicata coast to coast, esordio alla regia di Rocco Papaleo: commedia d’ispirazione autobiografica per l’attore e regista lucano in cui trova spazio anche una riflessione sui mali del sud, assieme alla sua appassionata riscoperta, attraverso il viaggio di un gruppo di musicisti dilettanti. In questa strampalata comitiva che attraversa la Basilicata a piedi per andare ad esibirsi in un festival locale, oltre al leader del gruppo, lo stesso Papaleo, troviamo proprio Alessandro Gassman nei panni di Rocco: partito giovane di belle speranze per tentare la fortuna a Roma nel mondo dello spettacolo, si accorge ora che il tempo passa e lui resta una celebrità solo per la sua “zietta bella” e per il paesino natale nella sperduta Lucania. Nel cast anche Max Gazzè bassista muto, Paolo Briguglia giovane con ambizioni di medico per il momento accantonate, Giovanna Mezzogiorno giornalista che cura un reportage sull’evento. Alla fine il gruppo si esibirà davanti a una sola persona, ma tutti avranno davvero capito qualcosa in più su sé stessi. Il topos del viaggio fisico/interiore è qui rinnovato brillantemente, tenendo insieme leggerezza e divertimento con temi importanti dell’esistenza e scelte di vita.

L’anno in corso ha visto inoltre Alessandro Gassman realizzare, assieme a Giancarlo Scarchilli, un documentario sul padre Vittorio a dieci anni dalla scomparsa. Il lavoro, intitolato Vittorio racconta Gassman, è stato presentato in occasione della Mostra del Cinema di Venezia. È ora nelle sale italiane La donna della mia vita: commedia, stavolta diretta da Luca Lucini e sceneggiata da Cristina Comencini, che vede Alessandro Gassman impegnato in un triangolo amoroso accanto a Luca Argentero  – nei panni del fratello col quale dovrà contendersi le attenzioni di Valentina Lodovini – e con Stefania Sandrelli nei panni della madre dei due. Lo vedremo poi il prossimo dicembre nell’ultimo lavoro di Ricky Tognazzi Il padre e lo straniero. Oltre al cinema, l’attore è apparso anche in diversi lavori televisivi. In aggiunta ai succitati Un bambino di nome Gesù e Dalida, vale la pena menzionare: La famiglia Ricordi di Mauro Bolognini (1995), Piccolo mondo antico di Cinzia Th. Torrini (2001), Le stagioni del cuore di Antonio Luigi Grimaldi (2004).

Fin qui ci siamo occupati di grande schermo e tv ma, come s’è detto in apertura, l’altra grande passione di Gassman è il teatro. È infatti salito spesso sul palco dopo la prima prova pasoliniana dell’84. Inoltre, dopo vent’anni da attore, dal 2005 si dedica anche alla regia, con una particolare attenzione al teatro contemporaneo. Ha diretto prima La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard, che gli ha dato la possibilità di misurarsi col comico e col grottesco. Poi si è dedicato al cosiddetto “teatro sociale”, adattando La parola ai giurati di Reginald Rose del 1954. Dal testo era stato tratto il film di Sidney Lumet Twelve angry men (1957). Al centro del dramma, il difficile compito di una giuria popolare che deve decidere le sorti di un giovane ispanico accusato di parricidio. Si parte dalla certezza quasi unanime di colpevolezza e si giunge al suo opposto, facendo leva sul “ragionevole dubbio”. In questa giuria riconosciamo uno spaccato sociale, una comunità di uomini con le loro contraddizioni e limiti che prendono coscienza della natura effimera di certezze assolute e della necessità di vagliare attentamente gli elementi di giudizio. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile dell’Abbruzzo e andato in scena nelle stagioni 2007-2009, è stato accolto ottimamente da critica e pubblico, guadagnando il Biglietto d’Oro. Un altro riconoscimento è arrivato poi con la nomina alla direzione del Teatro Stabile abruzzese lo scorso anno. Sempre con questo Stabile, Gassman ha prodotto lo spettacolo che è ora in turnè nei teatri italiani: Roman e il suo Cucciolo (Cuba and his Teddy bear) di Reinaldo Povod, portato in scena in America negli anni ’80, protagonista Robert De Niro.

Se lì si poneva l’accento sul tema dell’immigrazione ispanica in Usa, qui non si fa altro che cambiare scenario per proporre una questione attualissima: siamo in Italia e l’integrazione problematica è quella rumena. È un testo crudo, duro, che non fa sconti, tradotto e adattato da Edoardo Erba. C’è la vita ai margini di un padre nevrotico, uno spacciatore, Roman appunto, che sogna per il figlio un futuro diverso. C’è il rapporto conflittuale col figlio, che vorrebbe allontanarsi da quel mondo, che si sente italiano, ma tiene questi sogni per sé e nel frattempo cade nella dipendenza dall’eroina. C’è la violenza, la rabbia, la solitudine di un’umanità sradicata. Il tutto, senza sentimentalismi. E lo spettacolo potrebbe presto diventare un film. Gassman ha infatti recentemente dichiarato di essere a lavoro, assieme allo sceneggiatore Vittorio Moroni, sull’adattamento della pièce, che intende dirigere per il grande schermo, e di volersi avvalere degli stessi attori che lo stanno accompagnando in teatro, più qualche altro personaggio che sarà selezionato in seguito.

Intanto, lo spettacolo sarà a Roma, proprio al Teatro Quirino Vittorio Gassman, dal 29 marzo al 17 aprile prossimi. In questi giorni in scena anche Immanuel Kant, sempre per la regia di Alessandro Gassman, che qui torna a Bernhard, autore già scelto cinque anni fa per il suo esordio registico teatrale. Da gennaio 2010 l’attore romano dirige il Teatro Stabile del Veneto, nel cui cartellone ha scelto di coniugare la drammaturgia contemporanea, guardando anche alla produzione veneta, e alcuni classici che, dice, vanno proposti con misura proprio per lasciare spazio alle nuove sensibilità artistiche.

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Ecco cosa compare nella pagina dedicata al 2010 di McKellen.com (alcune parti erano già presenti): LO HOBBIT, due film, le riprese iniziano a febbraio 2011 in Nuova Zelanda. Dureranno più di un anno. Il casting a Los Angeles, New York City e Londra è in corso. Anche la sceneggiatura procede. Nella prima bozza troviamo molti amici vecchi e nuovi, una nuova avventura nella Terra di Mezzo. A questo punto non resta che attendere una conferma ufficiale, che potrebbe arrivare nei prossimi giorni.

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Il mio nome è Khan: recensione del film di Karan Johar

Il mio nome è Khan: recensione del film di Karan Johar

Il mio nome è Khan è un viaggio indimenticabile in un mondo a noi lontano, ma anche così vicino. Perché finalmente l’ultima perla di Karan Johar è in grado di oltrepassare le barriere culturali che (purtroppo) hanno a lungo frenato l’approdo della cinematografia bollywoodiana nel nostro Paese. E lo fa con un film che arriva al cuore di qualunque spettatore, senza alcuna distinzione fra Oriente e Occidente.

E’ innegabile che in Italia, come in molti altri Paesi occidentali, esiste un pregiudizio di fondo nei confronti del cinema bollywoodiano, da molti considerato fin troppo distante dalla (nostra) tradizione, per via delle coreografie colorate, dei canti e balli che lo contraddistinguono. Ma è anche vero che, se guardati senza alcun preconcetto, i film della cultura indiana risultano altrettanto godibili di quelli cui siamo abituati, essendo in grado di sviluppare temi semplici e relativi alla vita quotidiana (i rapporti familiari, ad esempio) in maniera mai banale, ma spesso in modo più autentico e genuino di quanto realizzano la cinematografia europea e hollywoodiana. E il cinema di Karan Johar è un perfetto esempio di tutto questo.

Benché senza raggiungere la perfezione del film da lui diretto che ha ottenuto il maggiore successo in patria, ovvero Khabi Khushi Kabhie Gham (Through Smiles or Through Tears), Il mio nome è Khan è un’opera assolutamente valida in ogni sua componente, dal cast alla regia, dalle scenografie alla colonna sonora. La mano di Karan Johar si riconosce, soprattutto nella struttura narrativa che vede contrapporsi a una prima parte più spensierata una seconda decisamente più drammatica. Non vi sono tuttavia balli e colori fluorescenti come nella tradizione indiana, ma tecniche di ripresa più vicine al cinema occidentale, con campi lunghi e panoramiche non sperimentate in precedenza dal regista. E l’impostazione di Karan Johar, che nella credibile rappresentazione dei rapporti umani mostra la sua grande sensibilità e concretezza, è riscontrabile in ogni scena e nel modo in cui dirige (ottimamente) gli attori.

Il mio nome è Khan

Il film si regge ovviamente su Shah Rukh Khan, interprete del protagonista musulmano affetto dalla sindrome di Asperger che, a seguito dell’ondata di razzismo post-11 settembre, intraprende un viaggio irto di difficoltà per incontrare il presidente degli Stati Uniti e dirgli personalmente “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista”. L’attore offre un’interpretazione monumentale, di certo la più impegnativa della sua ventennale carriera, e l’intensa preparazione per il ruolo di Rizwan Khan è ravvisabile in ogni gesto, sguardo, espressione e atteggiamento del personaggio.

Per quanto sempre efficace in ogni interpretazione, in questo film in particolare Shah Rukh Khan sveste i suoi panni di attore fino a diventare in tutto e per tutto il suo personaggio. Benché quest’ultimo presenti alcune affinità con i personaggi di Forrest Gump e di Raymond in Rain Man, l’attore non imita i modelli offerti da Tom Hanks o Dustin Hoffman, bensì interpreta in maniera personale un diverso, che questa volta dovrà misurarsi anche con il fanatismo e la discriminazione razziale.

Seguendo una chiave di lettura religiosa, il film è un omaggio alla tolleranza in tutte le sue forme, incarnata da un protagonista che, nella sua purezza morale e genuinità, ricorda molto il principe Lev Myskin de L’idiota di Dostoèvskij. Caratterizzato da una bontà e un candore inediti in un mondo dominato dall’odio e dall’egoismo, Rizwan Khan è un uomo che non sa cosa sia l’individualismo, ma che nella generosità e amore nei confronti dell’altro realizza se stesso. E l’amore per Mandira, la bellissima hindu che sposerà, è per lui il raggiungimento del proprio posto nel mondo; un sentimento che cercherà di preservare nonostante la tragedia che si abbatte sulla loro vita felice. La sincerità e il rispetto di una promessa a lei fatta sono il leitmotiv della sua missione.

Oltre al protagonista, emerge l’ottima performance di Kajol nei panni di Mandira: la brillante attrice è in grado, come in ogni film da lei interpretato, di recitare magnificamente sia le parti più briose sia quelle più drammatiche e ricche di pathos. E anche ne Il mio nome è Khan compare la particolare alchimia tra Kajol e Shah Rukh Khan, la coppia più amata di Bollywood, la cui ultima collaborazione risaliva a nove anni fa, in un’altra acclamata pellicola diretta da Karan Johar.

Sebbene, a differenza degli altri film del regista, non compaiano riferimenti più o meno impliciti alle altre pellicole da lui dirette (come motivetti musicali o nomi di personaggi), in alcuni passaggi è possibile notare qualche similitudine con alcuni spunti presenti in altri film bollywoodiani: ad esempio, l’idealizzazione dell’America come il paese in cui è possibile realizzarsi (ma anche un paio di riferimenti a un’altra pellicola che vedeva protagonista Shah Rukh Khan, ovvero Swades, We the people).

Nello sviluppare tematiche scottanti e attuali come il fanatismo religioso e il razzismo, la minaccia del terrorismo le mistificazioni della giustizia, Il mio nome è Khan non cede al pietismo e al sentimentalismo come si potrebbe temere in partenza. Al contrario, il film esplora tali tematiche seguendo la prospettiva del protagonista, che crede in una morale semplice ma non per questo banale, secondo cui “i buoni fanno le cose buone e i cattivi fanno le cose cattive”. Benché tale principio possa apparire semplicistico, occorre ricordare che esso viene adottato da una persona affetta da una disfunzione mentale, per cui l’etica risulta necessariamente semplificata per essere tale.

In definitiva, Il mio nome è Khan stimola la riflessione, commuove ma diverte anche, in una stretta commistione fra commedia e tragedia come solo il cinema bollywoodiano sa fare. Di certo non si può rimanere indifferenti al messaggio di speranza di cui Il mio nome è Khan si fa portavoce, in un momento buio per l’umanità in cui proprio di fiducia e speranza per l’avvenire abbiamo bisogno.

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