Pierfrancesco Favino – È lui
stesso a dire che il termine star evoca alla sua mente solo
l’immagine del famoso brodo. E questo già la dice lunga sul suo
understatement, sull’umiltà con la quale affronta il mestiere
d’attore. Tuttavia, considerata la popolarità raggiunta, le
collaborazioni illustri in Italia e all’estero, la versatilità che
ormai tutti gli conosciamo, che lo rende capace di spaziare nei più
svariati registri cinematografici e di giocare coi più disparati
dialetti dello stivale, pare che l’attore romano dovrà proprio
abituarsi ad essere definito star.
Tante, negli ultimi quindici anni,
le pellicole cui ha dato sapore e carattere, passando con
disinvoltura dalla commedia al dramma e viceversa: da L’ultimo
bacio di Muccino a Romanzo criminale, da Saturno contro a
Figli delle stelle. Senza dimenticare le interpretazioni
televisive: dal giovane medico di Amico mio, al ciclista Gino
Bartali, al sindacalista Di Vittorio. Personaggi forti e
determinati i suoi, uomini tutti d’un pezzo, balordi, ma anche
bravi ragazzi, uomini d’oro, o simpatiche canaglie e cinici
egoisti. Ad ognuno ha saputo dare una caratterizzazione precisa,
fatta di movenze, sguardi, atteggiamenti, inflessioni linguistiche,
sempre perfettamente in sintonia col personaggio, tanto da renderlo
fotografia vivida e spesso memorabile. Stiamo parlando di
Pierfrancesco Favino.

Tutto ha inizio il 24 agosto del
1969, quando nasce in quella stessa Roma dove tutt’ora vive. Sul
fatto che abbia un forte legame con la sua città sussistono pochi
dubbi: si dice che ami vivere il suo quartiere – il Celio – e che
non si sottragga al contatto con la gente. È proprio nella Capitale
che muove i primi passi da attore, inizialmente come studente
dell’Accademia d’Arte Drammatica, poi sul palco, sotto la sapiente
direzione di maestri come Proietti e Ronconi.
Prosegue quindi approdando alla tv – che continuerà a frequentare
con una certa assiduità – nel ’91 con la partecipazione a Una
questione privata di Alberto Negrin, cui segue la
serie tv Amico mio (1 e 2, 1993 e 1998).
Nel frattempo, esordisce anche al
cinema, con Pugili di Lino Capolcchio (1995). Due anni dopo è nel
cast del film di Stefano Reali In barca a vela contromano, accanto
a
Valerio Mastandrea e Antonio
Catania, in un piccolo ma ben caratterizzato ruolo: quello
del disinvolto dottor Castrovillari. Nello stesso anno è diretto da
uno dei nostri più grandi registi: Marco
Bellocchio, in Il principe di Homburg. Nel 2000, non si
lascia sfuggire l’occasione di farsi dirigere da Luigi Magni, che
firma la sua ultima opera, La carbonara. Qui Pierfrancesco
Favino recita accanto a Fabrizio Gifuni,
Valerio Mastandrea e al grande Nino
Manfredi. Nel 2001 lo vuole Gabriele Muccino, per la sua
commedia sentimentale sui trentenni in crisi L’ultimo bacio.
Altro film sulla generazione degli
“enta” è la seconda prova dietro la macchina da presa di Luciano
Ligabue Da zero a dieci (2002), dove Pierfrancesco
Favino interpreta Biccio. È poi scelto da Enzo Monteleone
per una pellicola drammatica: veste i panni del sergente Rizzo in
El Alamein – La linea del fuoco, che ricostruisce le vicende legate
all’omonima battaglia, protagonisti un plotone italiano opposto
alle forze inglesi in Egitto nel 1942. Per l’efficace prova
d’attore non protagonista, è tra i candidati al David di
Donatello.
Il 2003 lo vede partecipare alla
commedia corale, esordio registico di Maria Sole
Tognazzi, Passato prossimo, con Paola Cortellesi, Claudio Santamaria, Valentina
Cervi. Al centro del film un gruppo di amici che si
ritrovano nella casa di campagna di una di loro (Paola
Cortellesi) per passare il fine settimana, ricordando il
loro passato insieme e immaginando il loro futuro. Nel 2004 arriva
un’altra collaborazione importante, che porterà
a Pierfrancesco Favino ancora una candidatura
al Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista, quella
con Gianni Amelio per Le chiavi di casa, accanto a Kim Rossi
Stuart. Per ora, però, non arrivano premi pesanti, come non sono
ancora arrivati ruoli da protagonista. Pierfrancesco
Favino è infatti considerato un buon caratterista, in
grado di ricoprire brillantemente ruoli di comprimari, ma non
adatto a quelli di primo piano. Tuttavia, è innegabile che anche
nei più piccoli ruoli affidatigli, l’attore romano riesca sempre a
fornire una caratterizzazione precisa, vivida e realistica, che
lascia il segno e resta nella memoria.
Il primo a scommettere di più sulle
sue doti è Michele Placido, che lo vuole per il
suo Romanzo criminale (2005), tratto dall’omonima
opera narrativa di Giancarlo De Cataldo, e
liberamente ispirato alle vicende della Banda della Magliana. E la
scommessa è senz’altro vinta. Il film è strutturato in tre episodi,
che rispecchiano le fasi e i passaggi di potere all’interno del
gruppo criminale. Favino è protagonista del primo episodio, nei
panni del Libanese: colui a cui si deve l’idea del “salto di
qualità” della banda, dalla piccola criminalità al crimine
organizzato, che controlla droga e prostituzione a Roma, stringe
alleanze con la mafia siciliana e con le alte sfere di un potere
politico più o meno corrotto.
Il Libanese pensa in grande, si
ispira agli imperatori romani e vuole ottenere con la forza un
riscatto sociale che non è riuscito a guadagnare con altri mezzi. E
come Giulio Cesare, finirà pugnalato per vendetta
da uno degli scagnozzi che si tiene intorno, in una delle sequenze
più intense del film. Pierfrancesco Favino
mette al servizio del personaggio la sua fisicità imponente, qui
quasi da orso (assieme all’andatura claudicante messa a punto per
il personaggio), e un’espressività truce, adattissima
all’occasione. Ciò non significa però che nel corso della pellicola
non mostri un ampio repertorio espressivo, che spazia appunto dallo
sguardo più torvo, alle lacrime, in un’interpretazione di altissimo
livello. Accanto a lui, degni protagonisti degli altri due episodi
della pellicola, Kim Rossi Stuart/Il Freddo, che
ritrova dopo Le chiavi di casa, e Claudio
Santamaria/Il Dandi, con cui aveva condiviso il set di
Passato prossimo. Il film fa il pieno di riconoscimenti,
collezionando sette Nastri d’Argento e dieci David di
Donatello. Pierfrancesco Favino li
porta a casa entrambi, il primo come Miglior Attore protagonista e
il secondo come Miglior Attore non protagonista. La pellicola
ottiene uno straordinario successo di pubblico e la popolarità
dell’attore romano cresce vistosamente, assieme al credito
accordatogli dalla critica e dagli ambienti cinematografici. Il
riscontro è tale che dal film viene tratta una fortunata serie
televisiva (giocata però più sulla rappresentazione di tipi umani
dai modi stereotipati, che banalizzano certi tratti tipici della
romanità. Nulla a che vedere con la complessità e la sapidità dei
personaggi del film).
Altri affermati registi italiani
vogliono Pierfrancesco Favino nei loro cast. Nel
2006 lo sceglie Giuseppe Tornatore per
interpretare il ruolo di Donato Adacher ne La sconosciuta,
protagonista Ksenia Rappoport. Lo stesso fa
Ferzan Ozpetek che, dopo aver scelto Gassman per
Il bagno turco, Accorsi e Margherita Buy per Le fate ignoranti,
Barbora Bobulova per Cuore sacro, ora punta proprio su Favino per
farne il personaggio cardine di quell’affresco corale su amicizia,
amore e morte, che è Saturno contro (2007). Anche in questo caso,
il compito non è facile: Davide è un uomo equilibrato, sicuro di
sé, risolto, con una vita tranquilla, che condivide con il
suo compagno Lorenzo/Luca Argentero e un nutrito gruppo di amici,
per i quali è figura di riferimento. Ha un lavoro che lo soddisfa
(scrive favole) e una bella casa. Questo universo quasi perfetto
entra in crisi con la morte improvvisa di Lorenzo. Per buona parte
del film, il personaggio si mostra forte, quasi spavaldo di fronte
all’accaduto, nascondendo in qualche parte remota di sé il dolore
causato dalla scomparsa del compagno. Poi, tutto emergerà,
reclamando il suo spazio.
E solo dopo aver vissuto realmente
il lutto e averne acquisito consapevolezza, lui e i suoi amici,
colpiti anch’essi profondamente dalla perdita, potranno
ricominciare a vivere.Pierfrancesco
Favino convince anche nei panni dell’omosessuale alle
prese con il lutto e commuove davvero nella sequenza clou del film
quando, in preda a tentazioni suicide, scoppia in lacrime. Un filo
di rigidità si percepisce solo in una delle prime scene, quella del
bacio con Argentero, in cui certamente Ozpetek è bravo a sfruttare,
volgendolo in positivo, l’imbarazzo dei due protagonisti.
Nello stesso anno, all’attore viene
offerta la possibilità di partecipare con un cameo a una produzione
made in USA: Una notte al museo di Shawn Levy, con
Ben Stiller. Pierfrancesco
Favino non si lascia scappare l’opportunità, che in
seguito sfrutterà ancora con successo, riscuotendo un discreto
apprezzamento oltreoceano. Il 2008, infatti, è l’anno della sua
partecipazione a Le cronache di Narnia: il principe Caspian di
Andrew Adamson. Ma è anche quello di Spike Lee,
che lo vuole nel cast di Miracolo a Sant’Anna.
Tuttavia, non dimentica l’Italia e ritrova Maria Sole
Tognazzi, che lo dirige in L’uomo che
ama, di nuovo accanto a Ksenia Rappoport.
Nel 2009 torna a solcare l’oceano e partecipa, in un piccolo ruolo,
ad Angeli e demoni di Ron Howard, tratto dal best seller di Dan
Brown, protagonista Tom
Hanks.
Nel 2010 torna in Italia per
collaborare con un altro regista nostrano di grande sensibilità:
Silvio Soldini. Pierfrancesco
Favino interpreta Domenico in Cosa voglio di più, storia
della travolgente passione e dell’amore clandestino tra lui, uomo
sposato e con due figli, e Anna/Alba Rhorwacher, anche lei sposata,
con Alessio/Giuseppe Battiston. Il loro incontro metterà tutto in
discussione. Nelle difficoltà quotidiane di Domenico e Anna, anche
un affresco sociale dell’Italia di oggi. Nello stesso anno,
l’attore romano ritrova Lucio Pellegrini, con cui aveva collaborato
nel 2005 per il documentario La vita è breve, ma la giornata è
lunghissima, stavolta per la commedia Figli delle
stelle. Pellegrini mette insieme un cast di tutto
rispetto, che raccoglie, oltre a Pierfrancesco
Favino, Giuseppe Battiston, Claudia Pandolfi,
Paolo Sassanelli, Giorgio Tirabassi, Fabio Volo per
raccontare la vicenda tragicomica di un gruppo di precari che per
dar una svolta alle loro sorti, decidono di rapire un membro delle
istituzioni, ritenute responsabili della loro condizione
esistenziale: un ministro.
Sennonché, essendo alquanto
maldestri, rapiscono per errore un onesto sottosegretario. Seguono
grottesche ed esilaranti avventure che innescano una riflessione,
seppur velata dal sorriso, sia sulla stagione del terrorismo in
Italia, che sulla difficoltà delle attuali generazioni di trovare
modelli di intervento e di lotta sociale diversi da quelli passati.
Caustica ironia anche su alcuni vizi tipici italiani (su tutti,
l’ipocrisia). Nel gruppo dei precari
sfruttati, Pierfrancesco Favino è Pepe, che
aspetta da anni un posto d’insegnante di educazione fisica, e
intanto lavora, indignato, in un fast food. Pepe è un omone grande,
grosso e capellone, ma dal cuore tenero, appassionato di indiani
d’America ma con uno spassosissimo accento pseudo-ternano, che a
trentotto anni vive ancora coi genitori. Completa l’affresco
l’abbigliamento vintage anni ’80. Il rischio di sfociare nella
macchietta comica è alto, ma l’attore romano lo schiva abilmente,
regalando ancora una volta una caratterizzazione ricca di sfumature
e perfettamente credibile.
Lo stesso anno, Favino
partecipa al sequel di L’ultimo bacio, Baciami ancora, accanto a
Stefano Accorsi e Vittoria Puccini, sempre per la regia di
Gabriele Muccino. Mentre il 2011 lo vede protagonista di un’altra
pellicola diretta da Lucio Pellegrini: La vita facile, dove ritrova
proprio Accorsi e Puccini per una commedia sui (tanti) vizi e le
(poche) virtù italiane, rese ancora più evidenti dalla cornice
africana in cui la vicenda è ambientata. Inoltre, lo vedremo nella
prossima fatica di Carlo Verdone Posti in piedi in Paradiso.
Un capitolo a parte, come detto
all’inizio, è quello delle fiction televisive. In particolare,
ricordiamo le sue interpretazioni del ciclista Gino Bartali in Gino
Bartali – L’intramontabile (2006), diretto da Alberto Negrin, col
quale aveva esordito in tv nel 1991. All’interpretazione di
Bartali, Pierfrancesco Favino si applica, al
solito, con abnegazione e meticolosità, si cimenta con l’accento
toscano (come farà due anni dopo, quando interpreterà il partigiano
“Farfalla” per Spike Lee). Segue una rigorosa preparazione
fisico-atletica e percorre svariati chilometri su due ruote perché,
dice, vuole rendersi conto di quali pensieri attraversino la mente
di un ciclista mentre corre. (E la risposta è: nessun pensiero, se
non la preoccupazione di riuscire ad arrivare alla fine, macinando
una pedalata dopo l’altra e cercando di non farsi travolgere dalla
fatica). Nel 2007 vince il premio come Miglior Attore protagonista
al Roma FictionFest per la fiction tv Liberi di giocare, per la
regia di Francesco Miccichè, dove recita accanto a Isabella
Ferrari. Nel 2009 ottiene lo stesso riconoscimento per la sua
interpretazione di Giuseppe Di Vittorio in Pane e libertà, ancora
sotto la regia di Alberto Negrin. Qui veste i panni del
sindacalista pugliese – ancora una volta lavora egregiamente
sull’aspetto linguistico, dimostrando anche in questo grande
versatilità- che promosse la coscienza di classe tra i contadini
meridionali, per poi arrivare ai vertici del sindacato. Guadagna
per lo stesso ruolo il Premio Internazionale Flaiano come Miglior
interprete.
Solo una volta finora si è
cimentato nella regia, in occasione di un video promozionale di
raccolta fondi per l’Associazione Parent Project, costituita da
genitori di bambini affetti dalla distrofia muscolare Duchenne, che
finanzia progetti di ricerca (2008). L’attore è anche impegnato con
Oxfam Italia, che opera in Africa con vari progetti.