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Intervista al regista candidato all’Oscar 2013 Benh Zeitlin!

Benh Zeitlin-roma-Arriva a Roma Benh Zeitlin, il regista che ha appena ricevuto 4 candidature agli Oscar per il suo Re della terra selvaggia (Beasts of the Southern Wild), il film rivelazione dell’anno,

Intervista al leggendario Robert Redford protagonista di All is Lost

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L’attore premio Oscar Robert Redford è il protagonista assoluto di All Is Lost, un thriller che si svolge in mare aperto, in cui un uomo disperso nell’Oceano a seguito del naufragio della sua barca a vela, dovrà lottare e contare sulle sue sole forze per sopravvivere. Del film ne abbiamo parlato proprio con il leggendario attore.

Com’è nata la collaborazione con il regista? 

E’ venuto da me per chiedermi se volevo farne parte, così ho letto la sceneggiatura e ho trovato che fosse audace e in un certo senso sperimentale. Il fatto che ci fosse un unico personaggio e che non ci fossero dei dialoghi, era una scelta coraggiosa ed emozionante. E’ venuto direttamente da me senza passare per un agente. Avevamo proiettato l’anteprima del suo primo film al Sundance Film Festival. C’era una specie di legame. Il fatto che mi avesse detto “Ho scritto questa cosa pensando a te” mi aveva davvero toccato. Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che sarebbe stata una cosa emozionante da fare in questo momento della mia vita.

Che tipo di film è All is Lost? 

Penso che le cose vengano etichettate con troppa facilità. In genere preferisco cose meno identificabili, e questo ne è un esempio. E’ difficile inquadrare questo film. Staremo a vedere. 

Di cosa parla il film? 

Penso si possa semplificare molto la cosa. Dal punto di vista dell’attore secondo me il film parla del momento in cui la vita diventa troppo difficile e ti arrendi. Ci sono invece alcune persone che vanno avanti comunque, perché è l’unica cosa da fare. Continuare. Continuare a superare una cosa impossibile perché è tutto ciò che puoi fare. Vai avanti quando tutti gli altri si arrendono. Questo film parla di un personaggio che va avanti perché può fare solo quello. E non tutti ci riescono. E’ tutto incentrato su quello che fa quest’uomo per non arrendersi, contro ogni possibilità. 

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Che rapporto ai con le barche e l’acqua? 

Innanzitutto nuoto abitualmente. Il nuovo mi ha accompagnato per tutta la mia vita. Da bambino nuotavo a livello agonistico, quindi non avrei avuto difficoltà a stare in acqua o andare sott’acqua. Oltre a questo, conosco le barche, anche se non conosco quelle a vela. Me la cavo con le barche ma non con quella a vela. Sono due cose diverse e quindi ho dovuto imparare cosa vuol dire essere un marinaio e soprattutto cosa vuol dire quando le condizioni atmosferiche sono difficili. Il regista invece è un marinaio esperto e ha scritto il film dal punto di vista di un esperto, io al contrario ho dovuto imparare molte cose ed è un elemento positivo per il personaggio perché non è una persona perfetta. Non è un marinaio perfetto. E’ un buon marinaio che ha trascorso in mare buona parte della sua vita, ma non sa tutto.

Perché il regista ha voluto te?

Mi ha voluto per via della mia età. Mi ha detto, ” Guarda ho scritto questa cosa pensando a te”. Quando l’ho letto ho pensato che sarebbe stato molto difficile. Mi ha detto “No no no,  farai solo i primi piani… ci sono due controfigure, abbiamo loro per le scene più difficili” così ho accettato. Poi appena arrivati in Messico qualcosa mi è scattato dentro. Da giovane praticavo molti sport, ero molto competitivo e mi piaceva la competizione. Credo sia scattato qualcosa e ho pensato ” Farò ciò che posso”. Ad un certo punto mi sono detto “accidenti mi sono superato, magari riusciamo a girare anche qualcos’altro. Si in effetti posso farcela. Finché mi sono reso conto che stavo girando la maggior parte delle scene. Era sia divertente che difficile e sono felice di averlo fatto, perché è una bella soddisfazione sapere che sono stato io a girare le scene. Naturalmente ci sono degli effetti speciali, ma io non sono uno degli effetti speciali.

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Parlaci dell’Oceano…

Una delle cose meravigliose dell’Oceano è la sua diversità. La bellezza e la calma. Ci sono poche cose più belle di un mare calmo al tramonto, del mare calmo al chiaro di Luna o all’alba e ci sono poche cose più brutali di una tempesta di mare. Questi due estremi sono gli elementi cruciali del film. Vedi la bellezza e la calma, ma anche la violenza e ti rendi conte che è la natura a dominare tutto. Non importa cosa cerchiamo di fare con il pianta, non importa cosa costruiamo o distruggiamo. Pensiamo di comandare la natura ma ci viene ricordato sempre più spesso che sia un uragano come Sandy, un terremoto o uno Tsunami, che la natura è dominante. Penso che alla fine la natura ha il controllo  e il film dimostra proprio questo.

Intervista al cast nel primo giorno delle riprese di American Pie: Ancora Insieme!

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Il cast di American Pie: Ancora insieme racconta l’esperienza del primo giorno sul set del nuovo film, che vede il ritorno del cast al completo di American Pie. Al cinema nel 2012.

Intervista al cast di The Avengers!

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Intervista al cast di The Avengers!

Il regista Joss Whedon ed il cast dei supereroi Marvel intervistati nel dietro le quinte di Marvel’s The Avengers, dal 25 Aprile 2012 al cinema.

Intervista ai realizzatori di Men in Black 3

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Intervista ai realizzatori di Man in Black 3, con Will Smith, Emma Thompson che raccontano la loro esperienza sul set.

Intervista ad Alessandro Borghi, protagonista di Suburra

Intervista ad Alessandro Borghi, protagonista di Suburra

Alessandro Borghi, classe 1986, è una delle giovani promesse del cinema italiano: a dargli fiducia è stato il regista Stefano Sollima, figlio di Sergio (regista di spaghetti western negli anni ’70 e regista della saga di Sandokan, con Kabir Bedi) regista di serial cult come Romanzo Criminale e Gomorra e ora pronto a tornare al cinema con un film che si preannuncia interessante ancor prima della sua uscita: Suburra, tratto dal romanzo omonimo scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, segue le vicende- frutto della fantasia- di alcuni abitanti del sottobosco romano, tra storie di malavita, opulenza ostentata e criminalità.

Borghi qui interpreta un malavitoso chiamato Numero 8, l’erede di una famiglia criminale di Ostia pronto a trasformare la città balneare nella risposta italiana a Las Vegas o ad Atlantic City.

Abbiamo fatto qualche domanda proprio a Borghi, per approfondire l’argomento.

Alessandro, il film Suburra ha un inquietante legame con le cronache più recenti di Roma Capitale, storie a base di malavita, politica, corruzione e potere: quanto eravate già consapevoli di questi eventi durante la realizzazione del film?

In realtà l’unica fonte d’ispirazione di Stefano (Sollima, NdR) è stato il romanzo omonimo di Bonini e De Cataldo; quando abbiamo cominciato a girare Suburra nemmeno si parlava di quegli eventi, emersi solo in un secondo momento. I fatti narrati nel romanzo prendono spunto dalla realtà, ma sono solo frutto della creatività dei due autori: certamente, per chi vive a Roma ed è romano, non stiamo parlando di cronache sconosciute avulse dalla quotidianità. Conosciamo tutti bene questa “pubblicità negativa” che viene fatta alla capitale.

Come hai affrontato il tuo personaggio, Numero 8? Come ti sei preparato per interpretarlo al meglio?

Numero 8 è un personaggio particolare, sfaccettato, complesso: Stefano ci ha categoricamente vietato di leggere il romanzo di partenza, per non restarne troppo influenzati ma… confesso di avergli dato un’occhiata di nascosto! A parte gli scherzi, in realtà la sua “dritta” era giusta, perché il romanzo contiene molte descrizioni iperboliche, mentre per approcciarmi al personaggio ho seguito un percorso diverso: in fondo Numero 8 è un personaggio davvero potente che mi resterà addosso per parecchio, o meglio, difficilmente dimenticherò presto i passaggi, le transizioni che ho compiuto per portarlo in scena… per renderlo realistico e credibile mi è bastato ripescare dalla mia memoria i ricordi di molti abitanti del sottobosco romano che mi è capitato di incontrare da bambino, visto che sono cresciuto a Roma- Sud; io quei soggetti li ho visti e respirati in qualche modo, mi è bastato solo tirarli fuori dalla memoria per farli vivere sullo schermo.

Partendo da Suburra, passando per Romanzo Criminale 2 e Roma Criminale, senza contare il rapporto d’amicizia e stima con Sollima: la tua vita sembra essere all’insegna dei generi, è davvero così? Qual è il tuo rapporto con i film di genere?

In realtà, nonostante la mia carriera si sia intrecciata spesso con i generi- soprattutto il poliziottesco- non sono un profondo conoscitore dell’argomento… pensa che quando sono stato scelto per interpretare il commissario Lanzi in Roma Criminale… non avevo la più pallida idea di cosa fosse un poliziottesco! Sono convinto che un attore debba essere sempre pronto a mettersi alla prova con esperienze nuove e diverse tra loro, anche quando sono distanti dai suoi gusti personali o dai suoi interessi… ciò che mi stimola sono i progetti interessanti, quelli con cui posso confrontarmi e sfidare le mie capacità. Adesso, per esempio, sono sul set del nuovo film di Claudio Caligari, Non Essere Cattivo, che per me rappresenta una nuova possibilità di crescita come attore. Inoltre ritengo che la vera sfida, per chi recita, sia riuscire a portare sul set e in ogni personaggio interpretato un po’ di sé, qualcosa di molto personale… allora a quel punto, questo mestiere è davvero l’ennesima potenza!

Tornando a Suburra… in questa occasione ti sei ritrovato a condividere il set con colleghi molto famosi che hanno alle spalle anni di cinema e televisione… Elio Germano, Perfrancesco Favino, Claudio Amendola… com’è stato lavorare con loro? Com’era il clima sul set?

Ironicamente, purtroppo non ci siamo mai incrociati… non avevamo scene insieme, a parte con Amendola. Non ho mai incontrato il resto del cast, tranne che nella fase preparatoria. Certo, ritrovarsi comunque nello stesso film insieme ad attori che considero da sempre dei miei punti di riferimento- come Germano o Favino-non ha fatto che raddoppiare la mia emozione… anche se sono un po’ dispiaciuto per non aver potuto lavorare con loro!

Il clima sul set è stato, dall’inizio alla fine, sereno e rilassato… Stefano in questo è davvero bravo, è un pacificatore naturale, riesce ad avere tutto sotto controllo, senza che nessuno si lamenti mai o sia preso dallo sconforto. Mi sono capitati altri set dove, a fine giornata, non c’era mai una risata. Ecco, quando si lavora con Stefano accade tutto il contrario, anche perché non solo si circonda della gente giusta, ma cerca di mettere tutti a proprio agio. Un atteggiamento del genere era necessario, e non solo per svolgere al meglio le riprese: il film si presentava fin dall’inizio come un progetto rischioso ed ambizioso, sarebbe bastato davvero molto poco per creare dei problemi da “codice rosso”.

Un film ambizioso e dal budget alto insomma… hai riscontrato delle differenze pratiche tra i tempi di ripresa televisivi e quelli cinematografici, quindi?

Certamente. Quando ti ritrovi su un set televisivo, al massimo si girano dieci minuti al giorno… non è molto gratificante per un attore, e troppo spesso questa stessa logica viene adattata anche al cinema, perché ogni minuto perso è denaro che se ne va per la produzione. Quindi si tende ad “accelerare” i tempi, come in certi film indipendenti. Qui invece avevamo tutto il tempo per calarci al meglio nelle situazioni, circa due ore libere prima delle riprese per ambientarci al meglio e studiare il personaggio; e ogni giorno giravamo una o due scene, per poi fermarci.

Quando uscirà il film?

Non so bene la data precisa, sicuramente dopo l’estate… dipende tutto dagli impegni di Stefano, adesso è alle prese con la seconda stagione di Gomorra.

In conclusione… cosa ti aspetti, quindi, dall’uscita del film? Che impatto credi che avrà sul pubblico? E sulla tua carriera?

Credo che Suburra avrà un impatto molto forte sul pubblico, visto il tema attualissimo che tratta e il successo di una serie come Gomorra, che ritengo farà da traino pubblicitario al film anche grazie al nome di Sollima, che ormai è una garanzia quando si tratta di rendere qualcosa di “genere” appetibile per il grande pubblico.

Nella mia vita ho avuto già tante piccole soddisfazioni, ma quella più grande è stata proprio la possibilità di prendere parte- come protagonista- ad un progetto del genere: è stata un’emozione unica, mi sono sentito tornare indietro di ben dieci anni, come quando ho iniziato a muovere i primi passi in questo mondo frequentando la Scuola di Recitazione Jenny Tamburi di Roma. Mi auguro, inoltre, che il film possa essere un trampolino di lancio anche per la mia carriera, una sorta di “battesimo” ufficiale: più passa il tempo, più realizzo che in effetti il cinema italiano ha subito la crisi, appiattendosi ad una logica di mercato determinata dagli incassi e dal box office, con i produttori molto più interessati ad incassare che ad investire in nuovi progetti. Dovrebbero tornare i produttori di una volta, quelli che accettano le sfide e che sono disposti ad investire, quelli aperti alle novità e pronti a rischiare in nome di un cinema la cui finalità dovrebbe essere… stordire lo spettatore.

Intervista a Wes Anderson su Moonrise Kingdom!

Intervista a Wes Anderson su Moonrise Kingdom!

Ecco una lunga e interessante intervista al regista Wes Anderson, che oggi presenta in apertura al Festival di Cannes il suo Moonrise Kingdom.

Intervista a Turi e Nathalie Finocchiaro-Rossetti, direttori artistici del Faito Doc Festival

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Li abbiamo incontrati a Roma, quasi alla fine del loro viaggio. Sono Turi Finocchiaro e Nathalie Rossetti, direttori artisti del Faito Doc Festival, dal 6 al 10 luglio tra Monte Faito e Vico Equense.

Ogni anno partono in macchina, dal Belgio, per andare a Vico Equense, insieme ai due figli. Quest’anno la loro macchina è una vera Arca, stracolma di bagagli, ma anche di manifesti, locandine e copie dei film che loro stessi selezionano per l’evento e materialmente trasportano a destinazione.

Intervista a Tony Gilroy, regista di The Bourne Legacy!

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L’ideatore e sceneggiatore della saga cinematografica di Bourne, , prende le redini della regia in questo nuovo attesissimo quarto episodio: The Bourne Legacy.

Intervista a Tom Howe, compositore della colonna sonora di Ted Lasso

Con le quaranta candidature e gli undici Emmy Award conquistati, Ted Lasso è senza dubbio una delle serie TV di maggior successo di questi ultimi anni. La conferma arriva anche dall’amore del pubblico, il quale ne ha decretato il successo su Apple TV+. In occasione della fine della terza – e quasi sicuramente ultima – stagione, vi proponiamo in esclusiva la chiacchierata con Tom Howe, composer e mente principale dietro una delle migliori colonne sonore ascoltate sul piccolo schermo in questi anni.

Le tre stagioni di Ted Lasso sono piuttosto diverse tra loro: quest’ultima ad esempio ha un tono più malinconico e approfondisce ulteriormente la psicologia dei personaggi. Ha dovuto per questo cambiare approccio alle musiche?

Certamente. La prima stagione è incentrata su Ted, mentre le due successive si espandono anche verso gli altri personaggi. La differenza più importante è però che gli episodi si sono allungati, musicare trenta minuti è totalmente differente da musicarne cinquanta o sessanta. Significa che un tema deve essere allungato: il massimo della prima stagione era di due minuti e mezzo per una partita di calcio nel decimo episodio, mentre gli altri non speravano il minuto. Essendo poi focalizzata su Ted vi erano contenute principalmente variazioni delle musiche che avevo creato appositamente per il protagonista. A partire dalla seconda stagione ho dovuto creare temi lunghi per tutti gli altri, cosa che è stata ulteriormente sviluppata nella terza. Siamo arrivati a inserire momenti musicali che arrivano a cinque minuti, qualcosa che succede quasi soltanto nei film. Ho dovuto cambiare approccio alla musica, il che mi ha entusiasmato perché sento che è cresciuta, si è sviluppata con le storie e i personaggi.

Quando comincia a comporre la musica per un episodio? Dopo aver letto la sceneggiatura o dopo aver visto un primo montaggio?

Dipende dai progetti. Di solito ti metti a lavoro dopo aver letto gli script, ma devi tener conto che vedere il girato potrebbe spingerti verso direzioni diverse, anche se a quel punto hai meno tempo a disposizione. Aiuta molto sapere con chi stai lavorando: per Bill Lawrence ho collaborato sia a Ted Lasso che a Shrinking, so bene che tipo di tono vuole dalle mie musiche. Nel caso di questa serie ho  cominciato a scrivere la partitura mentre leggevo i copioni, avevo un’idea piuttosto precisa di cosa avrei avuto bisogno.

Mi fa piacere abbia citato anche Shrinking perché proprio come Ted Lasso si tratta di una serie comica la quale racconta molti temi che invece non lo sono affatto. Come lavora nel cercare questo equilibrio tra leggerezza e dramma?

È una bella sfida. In Shrinking ad esempio nei primi episodi in particolare si affronta addirittura l’elaborazione del lutto. Il problema sta nel non sottolineare in maniera troppo forte quello che succede, bisogna trovare la leggerezza senza scadere nella superficialità. Bisogna capire la natura profonda del personaggio. Il nocciolo di Ted Lasso consiste nella sua onestà, nella sua natura buona, vede sempre il meglio negli altri. Una volta che hai presente chi è il personaggio per cui stai scrivendo la musica, tutto diventa più facile.

Intervista a Tom Howe, compositore della colonna sonora di Ted Lasso

Nello show ci sono poi episodi folli come quello nella seconda stagione che racconta la scorribanda notturna di Coach Beard. Come affronta variazioni del genere?

É il bello di avere uno show amato dal pubblico, puoi prenderti delle licenze come quella che ha citato. Se fosse stata la terza puntata della prima stagione non avrebbe funzionato allo stesso modo. La notte di Beard o l’episodio di Natale sono degli standalone, bisogna cambiare completamente approccio. Il sesto episodio della terza stagione, quello ambientato ad Amsterdam, necessitava ad esempio di temi vicini alla rom-com al fine di accentuare il tono della storia di Rebecca e dell’uomo affascinante che incontra nel canale. Mi sono potuto prendere delle licenze, ho adoperato momenti musicali che si rifanno alle orchestre vecchio stile. Tornando alla puntata di Beard, bisogna anche considerare che è un episodio totalmente notturno, quindi ha un look diverso. Ted Lasso è uno show quasi esclusivamente diurno, mentre in quel caso ho potuto flirtare con echi del noir.

Quali sono state le sue ispirazioni principali quando ha iniziato a pensare come musicare Ted Lasso?

I compositori che amo più di tutti gli altri sono John Williams ed Ennio Morricone. Ho quattro figli, ho portato due di loro a vedere il Superman di Richard Donner che è tornato in sala per il suo quarantacinquesimo anniversario. È l’esempio perfetto di partitura che si accorda con lo stile del film. Ci sono addirittura musiche elettroniche all’inizio, qualcosa di sorprendente per Williams. Poi quando arriviamo a Smallville la colonna sonora riproduce la semplicità della vita del Midwest, da dove proviene anche Ted Lasso. Morricone era un altro maestro nel cambiare la partitura  seconda di dove la storia veniva ambientata.

Ultima domanda: Sono rimasto molto sorpreso nel trovare Prisencolinensinainciusol nel terzo episodio di questa stagione. Come avete selezionato la canzone di Adriano Celentano?

Abbiamo dei fantastici consulenti musicali nella serie e lo stesso Jason Sudeikis ha una conoscenza incredibile. Quando nella seconda stagione abbiamo inserito una canzone contenuta nella colonna sonora di Magnolia di Paul Thomas Anderson, Jason ha riconosciuto immediatamente che non si trattava della registrazione inserita nel film e ha preteso quella originale. La scelta delle canzoni è molto precisa, sappiamo esattamente cosa serve per un determinato momento dello show. Il pezzo è inserito in un momento molto lungo, è perfetto per l’energia che trasmette alle immagini. Ha rappresentato una scelta innovativa, qualcosa che certamente non trovi o ascolti in altre serie TV.

Intervista a Taylor Kitsch, protagonista di Le Belve di Oliver Stone!

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E’ uno degli attori del momento, apparso in svariati ruoli da Batthleship a John Carter. In questo periodo torna al cinema con il nuovo atteso film di Oliver Stone, Le Belve.

Intervista a Stefano Bessoni

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Intervista a Stefano Bessoni

“Questo progetto nasce dall’esigenza di lavorare in un modo differente da quello che normalmente si è abituati a fare in ambito cinematografico. Da molto tempo, soprattutto dopo la stressante esperienza della realizzazione del mio film Imago Mortis, sento la necessità di “riconciliarmi” con il mezzo cinematografico e di ricercare una leggerezza calligrafica che è normalmente più congeniale ad altre forme espressive, come ad esempio la pittura, la fotografia, o la grafica.”

 

Intervista a Raoul Bova e Moccia

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D: Partiamo della genesi di questo tuo sequel di “Scusa ma ti chiamo amore”. Qual è stato il tuo obiettivo?
FEDERICO: “Scusa ma ti voglio sposare” è un film che cerca di far convivere al meglio dinamiche di coppie che rappresentano gli elementi più diversi dell’amore: la passione, la voglia di buttarsi in una nuova storia,

 

Intervista a Peter Jackson, regista de Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate

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Dal regista premio Oscar Peter Jackson, arriva Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate, il terzo capitolo della trilogia tratta dal romanzo The Hobbit, capolavoro scritto da J.R.R. Tolkien.  Oggi riperorriamo questo incredibile viaggio attraverso le parole del regista.

Quali sono le sensazioni e le differenze rispetto alla prima trilogia del Signore degli Anelli …

“Quando abbiamo realizzato i film di ‘The Lord of the Rings’, c’era molta pressione perché si trattava di un progetto enorme e senza precedenti e non avevamo certo l’esperienza che abbiamo ora. Quei film fecero il giro del mondo ed oggi sono diventati parte della cultura, così da aver creato un diverso tipo di pressione per i film di ‘Lo Hobbit’. Ma l’unica maniera per affrontare la faccenda è quella di rimanere fedele a me stesso in quanto regista. Tutto quello che ho realizzato nella mia carriera, ho provato a farlo come se io stesso fossi uno spettatore. Vedere il successo di pubblico ottenuto dai primi due film di ‘Hobbit’ è stata una vera gioia, perché anche noi siamo dei fan del film. Ma è anche emozionante presentare questo mondo e la sua incredibile mitologia ad una nuova generazione per la prima volta, con la storia dove tutto ebbe inizio”.

Finalmente arriviamo all’epico scontro in questo terzo capitolo … che è il cuore de Lo Hobbit…

Esatto. L’epica battaglia al centro di questo film è l’apice della trama di tutti e tre i film, nel quale tutto continua ad andare avanti nonostante le armate che si danno battaglia sul campo. C’è molta suspense e tensione, trionfi e tragedie, mentre le varie programmazioni ed i conflitti personali tra i personaggi precipitano. Ogni cosa che abbiamo visto— chi sono i personaggi, per cosa combatte ognuno di loro—ci conduce a questo momento. Credo che sia il più emozionante e potente dei tre film di lo ‘Hobbit’, e rende onore ad ognuno dei personaggi fin qui conosciuti. Inoltre,  arriviamo a capire come le avventure di Bilbo siano coerenti con l’intera storia e la vera posta in gioco della battaglia delle cinque armate, non solo per personaggi quanto per tutta la Terra di Mezzo. Tolkien ha lavorato a modo suo, mentre noi abbiamo lavorato per fare in modo di miscelare le due trilogie, il che è stato sia molto difficile quanto molto divertente, in termini di tessitura della trama che continuerà anche nei film de ‘Il signore degli anelli”.

Dunque, le trilogie cinematografiche (Il Signore degli Aneli e Lo Hobbit) possono essere considerati due grandi film..

“Eravamo consapevoli che il pubblico avrebbe potuto non vedere i film nel loro ordine, ma che forse avrebbero iniziato dal principio fino al finale della saga”, riflette Jackson. “Perciò, nel realizzare i film di ‘Lo Hobbit’, abbiamo consciamente progredito il tono del luogo dove, speriamo, il pubblico sentirà in quale punto si sia trovato nell’avventura per passare a ‘La compagnia dell’anello’ e, alla fine, la conclusione cataclismica della Terra di Mezzo in ‘Il ritorno del re’. La nostra speranza è che per le generazioni future, tutti e sei i film vengano presi in considerazione come un’unica saga continua”.

Com’è stato ritrovare attori con cui avevi già lavorato?

“Ora che è passato un decennio dal nostro primo film, l’iconografia dei personaggi è visibile ovunque. Quando Ian McKellen raggiungeva il set, sembrava quasi di vedere ancora Gandalf—il confine tra l’attore ed il personaggio è diventato veramente sottile”. [Ride]

E i nuovi arrivati come Martin Freeman, Luke Evans...

“Martin ha sempre una sua verità. Riesce ad entrare nella pelle del personaggio e quello che ci offre è una performance sempre onesta. Per noi, non c’è mai stata nessuna altra scelta per il personaggio di Bilbo Baggins. Quando guardiamo questi film, vediamo che è riuscito a costruire un personaggio di culto ma anche molto reale”. “Luke ha portato una qualità enigmatica, ma in questo film, lo vedremo avanzare al ruolo di eroe. Bard ha nascosto il suo lignaggio anche ai suoi stessi figli, che risale ai tempi della tragedia successa a Dale, patria degli antenati di Bard. Lui è anche il solo vero arciere rimasto a Pontelagolungo. Quindi in un certo senso, Bard è destinato a fronteggiare il Drago faccia a faccia”.

Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate, il film

Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate è scritto da Fran Walsh, Peter Jackson, Philippa Boyens e Guillermo del Toro. Il cast del film comprende Martin FreemanIan McKellenElijah Wood, Billy Connolly, Evangeline LillyCate BlanchettOrlando BloomHugo WeavingChristopher LeeBenedict CumberbatchLuke EvansRichard ArmitageAndy Serkis, Stephen Fry, Ian Holm, Lee Pace.

Trama: Lo Hobbit: la Battaglia delle Cinque Armate porta all’epica conclusione delle avventura di Bilbo Baggins, Thorin Scudodiquercia e la compagnia dei nani. Avendo reclamato la propria terra al drago Smaug, la compagnia ha inavvertitamente scatenato una forza letale nel mondo. Infuriato, Smaug riversa la sua ira ardente dall’alto, su uomini inermi, donne e bambini di Pontelagolungo. Ossessionato soprattutto dal proteggere il suo tesoro, Thorin sacrifica la sua amicizia e il suo onore, mentre Bilbo tenta in tutti i modi di farlo ragionare e presto dovrà compiere una scelta molto rischiosa. Ma ci sono anche pericoli più grandi. All’oscuro di tutti a parte Gandalf, Sauron sta radunando le sue legioni di orchi per attaccare la Montagna Solitaria. Mentre l’oscurità sta prendendo il sopravvento nel conflitto, Nani, Elfi e Uomini si trovano di fronte alla condizione di dover lottare insieme o venire sconfitti.  Bilbo si ritrova a dover lottare per la sua vita e quella dei suoi amici nella battaglia epica dei Cinque Eserciti, con il futuro della Terra di Mezzo in bilico.

Intervista a Nanni Moretti su Te lo do io il cinema

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“La Sacher Torte non è il mio dolce preferito, amo più di tutti il profitterol. Zeman sulla panchina della Roma è una bella notizia per me romanista. Il miglior film

Intervista a Michael Caine, protagonista di My Generation

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Intervista a Michael Caine, protagonista di My Generation

Nel corso di Venezia 74 abbiamo avuto il piacere di intervistare Michael Caine, protagonista di MY GENERATION di David Batty, presente Fuori Concorso alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

MY GENERATION è un vivo e suggestivo racconto personale attraverso gli anni ’60 londinesi narrato dall’icona del cinema Michael Caine. Basato su ricordi e filmati d’archivio mozzafiato, questo documentario vede Caine viaggiare indietro nel tempo per parlare dei gruppi e talenti musicali più significativi della storia (The Beatles, Twiggy, David Bailey, Mary Quant, Rolling Stones, David Hockney e altri nomi stellari).

MY GENERATION utilizza attentamente l’audio interattivo delle conversazioni di Caine con interventi di celebrità – Paul McCartney, Keith Richards, Mary Quant, Marianne Faithfull, e molti altri – mescolate a materiali di archivio inediti per portare lo spettatore nel cuore degli anni Sessanta. MY GENERATION di David Batty verrà distribuito in Italia da I Wonder Pictures.

Intervista a Luca Raffaelli: il lavoro del critico e la nuova edizione de Le anime disegnate

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Ospite alla XIV edizione del Sardinia Film Festival, Luca Raffaelli, giornalista, saggista e sceneggiatore italiano esperto di fumetti e animazione, ha presentato la nuova edizione aggiornata di Le anime disegnate, volume fondamentale per chiunque voglia approcciarsi alla storia e alla filosofia del cinema d’animazione, sia da appassionato che da addetto ai lavori.

Pubblicato inizialmente nel 1994, la nuova edizione (Tunuè) presenta un lavoro importante di integrazione con tutto ciò che è accaduto nel cinema d’animazione negli ultimi 25 anni.

Chiediamo a Luca Raffaelli: rimettendo mano a questo lavoro, sei ancora d’accordo con il te del ’94?

“Questa è la terza edizione del libro e ogni volta che l’ho aggiornato mi sono sempre trovato d’accordo con me, questo mi fa piacere sia dal punto di vista lavorativo che personale. L’idea del libro è nata durante un viaggio in Giappone, io, che non ero un amante del cinema d’animazione giapponese, ho avuto la possibilità di scoprire come quest’ultimo non fosse realizzato né con il computer né dal computer, come si diceva, e poi quanto fosse realmente amato dai giovani spettatori italiani. Era il 1985, e, negli studi d’animazione, ho visto scatole di lettere che i giapponesi non sapevano decifrare, ed erano tutte di giovani ammiratori italiani che si lamentavano del fatto che i loro genitori non gli permettessero di guardare i loro cartoni animati ed esprimevano il desiderio di andare a lavorare in Giappone a realizzarli.”

Chi oggi ha dai 30 ai 40 anni considera invece i cartoni animati giapponesi un culto, quando è accaduto che la cultura occidentale ha accolto questo nuovo modo di fare animazione?

“Gli anni ’80 sono stati pieni di articoli di giornalisti che condannavano questi prodotti dicendo che erano fatti dal computer e non a mano, per poter ipnotizzare l’attenzione dei ragazzi italiani, perché il linguaggio di questa animazione era totalmente diverso da quello che avevano visto i ragazzi della generazione precedente. Se i cartoni americani sono sempre stati sdrammatizzanti, quelli giapponesi erano invece drammatizzanti. Abbiamo avuto per la prima volta non più coniglietti o cagnolini che affrontavano la vita, ma dei ragazzi in carne e ossa che spesso si disperavano per l’incomprensione che ricevevano dal mondo e piangevano per la loro solitudine. Un cambiamento epocale. Come capita molto spesso, quando un adulto vede che i ragazzi si appassionano a qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che hanno amato loro, pensano che la cosa nuova sia sbagliata. Si pensa sempre che la maniera in cui siamo cresciuti noi sia la maniera giusta per crescere.”

A conclusione del blocco dedicato al cartone animato giapponese, ne Le Anime Disegnate, si legge infatti che con questo nuovo linguaggio è il cartone animato a parlare al giovane spettatore, non più il genitore.

“È stato proprio questo il grande cambiamento del cartone animato giapponese. Mentre il cartone animato americano in genere parlava ad un pubblico di famiglie, perché era destinato al cinema, dai film Warner Bros di Bugs Bunny a quelli di Topolino, fino ai classici Disney, quello giapponese era un cartone animato televisivo che si rivolgeva ai ragazzi, parlava proprio ai loro sentimenti, e questo ha rivoluzionato il linguaggio del cinema d’animazione popolare.”

Il libro è diviso in tre grandi capitoli, ognuno dei quali espone una filosofia e ha un titolo molto evocativo: Uno per Tutti, per il cinema a marchio Disney; Tutti contro Tutti, per l’animazione “anti” Disney; Tutti per Uno, infine, per l’animazione giapponese. Come sei arrivato a questa razionalizzazione dell’enorme mole di materiale con la quale ti sei confrontato?

“Quando ho deciso, di ritorno dal Giappone, nel 1985, che bisognava scrivere qualcosa su questo argomento, innanzitutto avrei dovuto documentarmi e guardare i cartoni animati che non conoscevo, per capire quel mondo. Ma mi sembrava che un libro dedicato solo a quello fosse troppo povero, così ho cercato di capire in che maniera la filosofia del prodotto giapponese fosse differente da quella americana. Così è venuta fuori la distinzione tra le tre filosofie: Uno per Tutti è perché il personaggio Disney è quello in cui noi ci identifichiamo, da Biancaneve a Cenerentola, e attraverso il quale cerchiamo di raggiungere la felicità, liberandoci dal male che ha colpito i protagonisti. Tutti contro Tutti, invece, è una visione più laica, i personaggi anti-disneyani non sanno bene dove sia la felicità, sanno invece dov’è lo scontro e lo cercano per crearsi una personalità, lo fa Bugs Bunny come lo fa Homer Simpson. In questo scontro però non c’è redenzione, non c’è possibilità di felicità eterna, fino ad arrivare alla massima espressione dell’impossibilità di raggiungere le felicità, che è rappresentata da Bojack Horseman. Invece, Tutti per Uno vede tutti i personaggi che si rivolgono allo spettatore. E proprio così era una volta, soprattutto in Giappone, dove la natalità è molto bassa, ci sono tanti figli unici e dove tutti i personaggi cercano di consolare questo bambino solitario davanti alla tv.”

Sembra quindi che il discorso sull’animazione non possa prescindere dalla Disney, anche solo per contrapposizione ad essa.

“Questo dipende da un fatto storico. La definizione delle filosofie si ha con la nascita del grande cartone animato industriale, alla fine degli anni ’20, e con l’arrivo del sonoro. La produzione d’animazione precedente è molto meno strutturata, basata sulla casualità di eventi e produzioni. La Disney, per prima, dà una filosofia alla propria produzione, non solo in senso di pensiero ma anche in senso di voler raggiungere la qualità del cinema di Serie A. Poi arrivano gli anti-Disney, e solo dopo troviamo i giapponesi con le prime produzioni televisive degli anni ’60.”

Il libro è stato pubblicato nel 1994, e nel 1995 è uscito Toy Story. Cosa hai pensato quando hai visto per la prima volta quel film?

“Innanzi tutto che finalmente l’animazione al computer aveva raggiunto quella dimensione che per anni aspettavamo. Ho l’età che mi permette di poter dire che ho cominciato a vedere le immagini generate all’interno di un computer ad una lentezza incredibile. Io ho lavorato anche con Guido Vanzetti, uno dei precursori dell’animazione al computer in Italia. Sapevamo che prima o poi si sarebbe arrivati al lungometraggio realizzato al computer, ed è formidabile come i maestri della Pixar siano riusciti a rimodulare una disneyanità in linea con la filosofia Disney ma compatibile con il rinnovamento dei tempi. Certamente non era possibile continuare a fare Biancaneve e i Sette Nani né era possibile continuare ad avere una struttura di un film in cui il cattivo rompe l’equilibrio di personaggi che sono fondamentalmente buoni. La Pixar ci ha dato prova di una capacità di sviluppare la poeticità disneyana in maniera assolutamente mirabile. Senza John Lasseter e compagni il cinema d’animazione sarebbe stato molto più povero.”

Della tua professione hai dichiarato che in te non esiste la parte di critico e la parte di appassionato, ma esiste un’unità e questa si approccia alla visione del film e poi al commento. Come fai a mantenere in equilibrio le due parti?

“Forse c’è bisogno di un allenamento per guardare le emozioni in maniera razionale, ovvero di riuscire a scandagliare quello che si sta vivendo, non solo quello che si è vissuto, in maniera da capire là dove l’emozione tradisce la razionalità, e viceversa. Bisogna cercare di avere un equilibrio, il giudizio di un film non può essere distaccato, deve esserci la parte emotiva che ti dice se il film ti dà delle emozioni o non te le vuole dare, se quindi raggiunge il suo scopo oppure no. Però le emozioni che tu vivi, nel momento in cui le stai vivendo, devono essere razionalizzate, cioè devi comprendere da che cosa provengano, cosa te le sta facendo scatenare, diciamo che è una visione anche psicoanalitica. Bisogna cercare di capire in che maniera il film può dare emozioni ad altre persone, non solo a te stesso.”

E non rischi di guardarti l’ombelico parlando in questo modo di cinema?

“No, perché non guardo me stesso, cerco sempre di riferirmi alla pellicola, tuttavia un critico non è mai lontano da se stesso. Scrive sulla base di ciò che ha ricevuto, e quello appartiene solo a lui perché ognuno elabora le emozioni che riceve dall’esterno in maniera personale. Bisogna cercare però di razionalizzare le emozioni, capirle, senza venirne sopraffatti e allo stesso tempo cercando di non difendersi troppo. Le emozioni da parte di un film devono arrivare, io stesso spesso mi commuovo guardando dei film, ma questa commozione deve essere capita. È per questo che il critico non può essere lontano dall’appassionato e l’appassionato non può essere lontano dal critico.”

Qual è invece lo stato dell’animazione in Italia, sia al cinema che in televisione?

“Ci sono dei segnali molto positivi. Quello di Mad Entertainment è uno dei segnali più importanti, è uno studio a Napoli che lavora con continuità, dopo L’Arte della Felicità ha fatto Gatta Cenerentola e adesso sta lavorando ad altri progetti (The Walking Liberty, ndr). È un fatto molto positivo che questi film ricevano premi e che continuino a lavorare. In Italia c’è la difficoltà di fare film d’animazione o serie televisive che non siano rivolte a bambini o adolescenti, perché il maggior produttore italiano del settore è la Rai che si rivolge a quel target. Credo che questo sia un bel problema, perché l’animazione ormai si rivolge ad un pubblico anche adulto, e si può permettere di trattare tutti i temi della vita, come fanno anche molti autori di cortometraggi che vanno per Festival. Sono tantissimi gli autori che fanno grande animazione ma non sono aiutati. Bisogna trovare più produttori coraggiosi che realizzano più film d’animazione anche tenendo conto che la nuova legge sul cinema offre all’animazione spazi interessanti. Esistono anche finanziamenti da parte dello Stato che prima non erano previsti. Quindi, rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di lavorare!”

Bisognerebbe riconoscere all’animazione il ruolo di strumento e di linguaggio, non quello di genere.

“Questo è importantissimo. Come si fa a paragonare il lavoro di autori tanto differenti nel mondo dell’animazione e metterlo tutto nella stessa categoria. Animazione è anche Persepolis, anche Valzer con Bashir, film che non hanno davvero nulla a che vedere con i film per bambini.”

Edito da Tunuè in questa nuova veste, Le anime disegnate si fregia di una bellissima copertina ad opera di Lorenzo Ceccotti, in cui la filosofia Disney e quella dell’animazione giapponese si incontrano: la mano di Topolino e quella di un mecha si stringono, su fondo bianco, un riassunto perfetto dell’interessante contenuto del volume. E, a chi accusa questa rappresentazione di essere incompleta, perché non comprende la filosofia anti-Disney, Luca Raffaelli risponde che, nella sua immaginazione, quella stretta di mano tra un topo e un robot nasconde una statuetta di Bugs Bunny.

Intervista a Lorenzo Pedrotti, protagonista di Paura 3D

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Intervista a Lorenzo Pedrotti, protagonista di Paura 3D

“Il primo film in assoluto che ricordo di aver visto al cinema è Hook di Steven Spielberg e avrò avuto sì e no sei anni. Il fatto che Peter Pan volasse mi sembrava incredibile, tanto che per diverso tempo ho creduto che Robin Williams avesse la capacità di volare.” Così esordisce Lorenzo Pedrotti, quando gli chiediamo di raccontarci com’è nato il suo desiderio di fare l’attore. L’attore, classe ’86, si sta affacciando adesso sulla scena nazionale, prima con il suo ruolo da protagonista in Krokodyle, film indipendente diretto da Stefano Bessoni, che ha fatto incetta di premi all’estero, poi con l’horror in 3D targato Manetti Bros, in uscita il 15 giugno.

“Nel ’93 a Voghera, la mia città natale, in un cinema che purtroppo hanno chiuso da anni, ho visto Jurassic Park. Lo andai a vedere perché adoravo i dinosauri e ai tempi il mio sogno era quello di diventare paleontologo. Sono rimasto incantato davanti a quelle immagini così reali. Guardando il backstage del film, ho scoperto che era tutto finto, tutto ricostruito, niente dinosauri veri, com’era possibile? Da lì in poi mi appassionai a guardare il dietro le quinte dei film per cercare di capire come venisse svolto quel lavoro fantastico. La recitazione è arrivata in un secondo momento, mi è sempre piaciuto fare imitazioni, creare personaggi, però potrei dire di aver iniziato alla scuola media. Da lì è diventato un chiodo fisso. Sono sempre stato un bambino abbastanza timido, ma la possibilità di recitare mi permetteva di evadere da me stesso ed esplorare altre personalità. Paradossalmente ancora oggi mi sento più sicuro nei panni di un personaggio che in quelli di Lorenzo, infatti le interviste mi spaventano molto.”

– Hai modelli a cui ti ispiri? Nella vita reale, nella storia del cinema?
“I modelli sono tanti. Quando devo costruire un personaggio la prima cosa che faccio è farmi due passi e guardarmi intorno. La risposta a quello che cerco c’è ed è là fuori, devo solo riuscire a vederla, a cogliere le sfumature dalle persone che osservo, che ascolto di nascosto per strada, nei bar, in metrò. Poi leggo, guardo film, vado a teatro, parlo con gli amici. Questi sono i veri modelli a cui mi ispiro. Nella storia del cinema invece è diverso, ci sono tantissimi attori e attrici che ammiro, ma sono sempre un po’ scettico ad usarli come punto di riferimento perché ho paura di imitarli e penso sia sbagliato.”

– Nella tua filmografia ufficiale (MyMovies) il tuo primo film è Imago Mortis. Mi racconti la tua esperienza su quel set? È stata la tua vera prima volta o ci sono state altre esperienze minori?

“Mi è capitato, anche per il fatto che studiavo recitazione, di fare piccole esperienze in cortometraggi o mediometraggi, ma considero Imago Mortis il primo vero film, anche perché, pur avendo una piccolissima parte, l’esperienza del set è stata completamente diversa dalle altre. Innanzitutto è il primo lavoro da attore dove sono stato pagato, il primo che è uscito al cinema e che aveva una grossa produzione alle spalle. Avevo conosciuto il regista Stefano Bessoni ad una scuola di cinema a Roma, dove frequentavo un corso di recitazione, a volte mi imbucavo alle sue lezioni di regia ed ero rimasto affascinato dal suo immaginario e avevo sentito parlare di quel progetto. Era rimasta scoperta la parte di Sebastiano, un fantasma muto, loro cercavano un ragazzo torinese per ammortizzare i costi dell’alloggio, quando ho detto che avevo  appoggi a Torino, dove veniva girato l’intero film, mi hanno subito preso, senza incontrarmi, ma visionando semplicemente alcune mie foto.  In realtà di appoggi in quella città non ne avevo, così, per 15 giorni mi sono svegliato alle 5 di mattina per partire da Milano ed essere sul set alle 7 per il trucco e quasi tutto il mio compenso se n’è andato in autostrada  e benzina.”

– Sia Imago Mortis che Giallo sono stati due set internazionali, delle coproduzioni con l’estero: ci sono differenze rispetto a quelli completamente italiani? Il tuo approccio è stato diverso?

“Per quanto riguarda Imago Mortis la cosa che mi ha colpito è che se giravo l’angolo potevo trovarmi faccia a faccia con Geraldine Chaplin, la figlia del grande Charlie, o fare due chiacchiere con sua figlia Oona. In Giallo ho una piccolissima parte che recito in americano a tu per tu con Emmanuelle Seigner ed Adrien Brody, ma sono stato solo due giorni sul set e non ricordo molto. Sono un attore esordiente, magari riuscirei a risponderti meglio alla domanda tra qualche anno, sempre che riesca a continuare a fare l’attore, però l’approccio per me è sempre lo stesso che avrei nel più piccolo dei film indipendenti con attori sconosciuti: ascoltare il regista, gli attori, essere specifico nelle azioni, restare concentrato e dare il massimo.”

-La tua esperienza con Stefano Bessoni, dopo Imago Mortis, si è replicata con un bel ruolo da protagonista nell’indipendente Krokodyle. Come mai ti sei interessato a quel progetto, pur essendo economicamente rischioso?

“Sono molto affezionato a quel film, è stato il mio primo ruolo da protagonista, la prima vera occasione di esplorare appieno un personaggio. Sono un fan di Bessoni, specialmente del mondo su carta che ha inventato in tutti questi anni, essendo lui anche illustratore. Adoro le atmosfere da favola nera dei suoi film e quando mi ha contattato per la parte di Kaspar non ho esitato. Ci siamo incontrati a Torino per fare degli screen test in un set dove avremmo girato alcune scene, oltre a quelle previste su Roma e ho capito che la sua idea di Kaspar era come quella a cui avevo pensato. È stato bello lavorarci, ho conosciuto tanti professionisti con cui sono amico ancora oggi. In più vincere tutti quei premi ai festival ci ha ripagato. Se la sceneggiatura mi convince ed ho la possibilità di mettermi in gioco, di osare, di rischiare con quel personaggio, accetto la sfida. Se poi il personaggio è particolare o semplicemente totalmente diverso da me è una grande occasione per tornare bambino ed “evadere dal sé”.

-Con Paura 3D hai aggiunto un tassello molto importante alla tua carriera. Il tuo ruolo potrebbe essere definito da protagonista?

Paura è un altro titolo importante nel mio percorso, è il primo film dove sono protagonista a venire distribuito mainstream. L’incontro coi Manetti Bros è stato casuale, mi ero appena trasferito a Roma e mi hanno contattato dopo pochi giorni, avendo visto una mia foto di scena tratta da un cortometraggio: Versipellis di Donatello Della Pepa. Gli era piaciuto il look che aveva quel personaggio, così mi hanno fatto diversi provini, non ricordo se 5 o 6, ma ho preso la cosa molto seriamente e anche se si tratta di un film horror che omaggia quelli passati, discutendo con Marco e Antonio abbiamo voluto che Simone fosse un personaggio reale e non una semplice macchietta. Lavorare con loro è stato eccezionale, mi sembrava di aver incontrato due vecchi amici che non vedevo da tempo, mi sono divertito, ma abbiamo lavorato sodo ed è stato impegnativo.”

– Fino ad ora i tuoi ruoli sono stati tutti piuttosto seri, un caso o una scelta? Ti vedi bene nei panni dell’attore comico?

“Direi un caso, anche come lo è stato il fatto che fino ad ora ho preso parte a film per la maggior parte di natura horror o fantasy. Mi piacciono quei generi, ma non sono un vero fan, se voglio fare l’attore, però, devo comunque lavorare ed essere poco schizzinoso e prendere quello che arriva, specialmente all’inizio. Come attore comico? Perché no, come ti dicevo prima bisogna sempre reinventarsi e mettersi alla prova, solo rischiando si può crescere veramente. Certo riuscire a far ridere un pubblico non è facile, però perché rinunciare a priori? Ho appena girato un videoclip musicale in cui sono uno zombie (ti giuro, il versante horror è sempre un caso…), che viene lasciato dalla sua ragazza zombie e qui c’è dello humor, anche perché la regia è del collega Claudio Di Biagio, creatore della webseries Freaks! e secondo me genio comico.”

-Ogni grande attore, o almeno la maggior parte, coltiva il sogno di passare dietro alla macchina da presa. Tu cosa ne pensi?

“Penso non sia una cattiva idea. Certo adesso sto intraprendendo la carriera di attore e voglio concentrarmi su questo, che già è molto difficile e ora non sarei in grado di fare il regista. Però in futuro chi lo sa, è comunque una cosa molto interessante che mi affascina e io adoro l’idea di raccontare storie. Nel tempo libero spesso scrivo e anche se non pubblicherò mai questi lavori, scrivere mi aiuta molto a capire il percorso che fa un personaggio in una storia, come si evolve, e questo da attore mi serve non poco.”

-Quali sono le tue ambizioni, i tuoi progetti, i tuoi prossimi impegni?

“Vorrei fare l’attore. Stare con gli amici, con la famiglia. Esplorare, visitare più luoghi possibili. Vivere la vita a pieno, attingere da essa nuove ispirazioni. Continuare a sognare. A fine giugno, invece, girerò in Piemonte E Fu Sera e Fu Mattina un film indipendente del regista esordiente Emanuele Caruso, è una storia molto interessante, scritta bene e ambientata in un paesino isolato nelle Langhe, un’occasione di interpretare un personaggio diverso da quelli precedenti.”

Ecco qualche immagine per conoscere meglio Lorenzo:

in questa immagine è al Sitges, il Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna, dove il suo primo film da protagonista, Krokodyle, ha vinto il Melies d’Argento

Intervista a Jessica Chastain protagonista di Zero Dark Thirty

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Intervista a Jessica Chastain protagonista di Zero Dark Thirty

Guarda l’intervista a Jessica Chastain, protagoniste del film in uscita Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow. Il nuovo film del premio Oscar uscirà al cinema dal 7 febbraio al cinema.  Fanno parte del cast anche Jason Clarke, Joel Edgerton, Kyle Chandler e Mark Strong.

questo link trovate la recensione del film.

Intervista a Jennifer Lawrence per Hunger Games – La ragazza di fuoco

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E’ a Roma la bella Jennifer Lawrence, dove ha appena concluso l’incontro con la stampa in cui ha raccontato la sua esperienza sul set di Hunger Games – La ragazza di fuoco. L’occasione è di quelle davvero importanti, il Festival Internazionale del film di Roma, dove il film, diretto da Francis Lawrence è stato presentato Fuori Concorso in occasione del tour mondiale.

– Jennifer sei consapevole che il tuo personaggio è un modello per molti giovani, sente la responsabilità del ruolo?

“Quando ho letto la prima volta i libri della Collins, mi ha fatto piacere che potesse esserci questo personaggio come modello, non soltanto per i giovani. Per quanto riguarda le responsabilità, mi sento responsabile ovviamente, perché quando la gente ti segue, ti ascolta, ti guarda, è ovvio che sta a te decidere che messaggio vuoi trasmettere.”

– Anni fa a Venezia ha ricevuto il Premio Marcello Mastroianni come migliore attrice emergente. Ora ritorna in Italia dopo aver ricevuto in Oscar. Come è cambiata, se è cambiata, la tua vita?

“Si è ricordata del premio Marcello Mastroianni a Venezia, uno dei momenti più belli della mia vita, ma da allora non sono cambiata più di tanto. I premi ovviamente sono sempre un piacere e indubbiamente hanno contribuito alla mia carriera, ma non credo di essere cambiata come persona. Sono molto grata e gratificata, però continuo a vivere come prima.”

– E’ protagonista di due dei franchise più seguiti al mondo, ha vinto un Oscar battendo una concorrenza notevole, e presto uscirà al cinema con un film in cui recita accanto ai grandi del cinema hollywoodiano. Come fa ad affrontare la pressione di tutto questo?

“Tutti mi chiedono se io senta questa pressione. Comincio a sentirla ora. (ride) So che sembra scontato ma io amo il mio lavoro, e ho sempre accettato di lavorare in un film perché mi piaceva il personaggio, la sceneggiatura o il regista. Non presto tanta attenzione a questo quadro che mi ha presentato, se ci penso mi mette un po’ d’ansia. Ma io mi diverto e basta, mi piace fare il mio lavoro.”

– Quali affinità ci sono tra lei e Katniss (il suo personaggio in Hunger Games, ndr)?

“Io vorrei essere più simile a lei. Credo che sia un personaggio al quale mi sento molto vicina. Lessi il primo libro a 19 anni: lei si trovava in questi strani abiti, non capiva la sua situazione. E ho pensato di sapere benissimo come può sentirsi. E poi quando al Distretto 12 è un po’ alienata, e tutti la trattano diversamente, ma le non si sente cambiata. E’ un’esperienza dolorosa. La notorietà è una cosa fantastica, non mi lamento di certo, ma è molto difficile quando le persone ti trattano diversamente quando io non mi sento diversa.”

– In quale dei personaggi che ha interpretato ti identifichi di più?

“Non mi ricordo in che film ho lavorato in questo momento, scusate. Ho fatto una piccola parte di Like Crazy, dove ho improvvisato e li mi sono sentita molto a mio agio perchè si trattava di parole mie. Quando ho fatto Tiffany in Il Lato Positivo, mi sono immedesimata molto perchè amavo la sua energia, non ero necessariamente d’accordo con lei ma siamo simili per la nostra energia. Mi sono sentita abbastanza vicina a lei. Ho fatto anche un film che mi costringeva a bere molto caffè e redbull per stare sempre su di giri. Ma il personaggio che amo di più è Samantha di Like Crazy.”

– Cosa hai da dire ai giovani sull’immagine del corpo femminile?

“Sono sempre stata una sportiva, ho sempre fatto qualche sport e non ho mai fatto diete fino a che non ho cominciato a lavorare come attrice. Facevo dei film e qualcuno diceva che dovevo dimagrire. Ero giovanissima e a quell’età è brutto sentirsi dire una cosa del genere, mi dispiaceva da morire sentirmi dire ‘devi perdere peso’, quando invece io mi trovavo perfettamente a mio agio con il mio corpo. E so che non sono l’unica a pensarla così, so che ci sono tanti registi che hanno quest’idea di un corpo perfetto irraggiungibile, e mettono questa immagine di fronte agli attori facendo una enorme pressione. Sappiamo bene che ci sono attori e attrici che mangiano sano e hanno un personal trainer, non so come facciano. I media non vogliono assumersi la responsabilità per gli effetti che abbiamo sui giovani quando li giudichiamo in questo modo. Odio sentire delle donne che danno della grassa ad altre donne. Dobbiamo riflettere di più su quello che diciamo e … non ne posso più delle diete!”

– Che cosa vuol dire lavorare in un film con molti effetti speciali e che vuol dire tornare ad interpretare lo stesso personaggio?

“Lavorare con gli effetti speciali non cambia nulla, uso sempre la mia immaginazione. Per quanto riguarda tornare ad interpretare il ruolo di Katniss, da attore è ovvio che poter crescere e cambiare con un personaggio è davvero interessante. All’inizio del film vediamo il personaggio molto in difficoltà, è stata costretta ad uccidere, soffre di stress post-traumatico, e questo è molto interessante.”

Hunger Games – La ragazza di Fuoco, il film

Hunger Games – La ragazza di Fuoco è diretto da Francis Lawrence e oltre a Jennifer Lawrence il cast comprende anche Josh HutchersonLiam HemsworthPhilip Seymour HoffmanWoody HarrelsonElizabeth Banks, Lenny Kravitz, Jeffrey WrightStanley Tucci, Donald Sutherland, Amanda Plummer e Lynn Cohen. Tutte le news sulla saga nel nostro speciale Hunger Games. Per tutte le info sul film vi segnaliamo la nostra scheda Hunger Games – La ragazza di Fuoco.

La trama del film: Katniss Everdeen torna a casa incolume dopo aver vinto la 74ª edizione degli Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo” Peeta Mellark. La vittoria però vuol dire cambiare vita e abbandonare familiari e amici, per intraprendere il giro dei distretti, il cosiddetto “Tour di Victor”. Lungo la strada Katniss percepisce che la ribellione sta montando, ma che il Capitol cerca ancora a tutti i costi di mantenere il controllo proprio mentre il Presidente Snow sta preparando la 75ª edizione dei giochi (The Quarter Quell), una gara che potrebbe cambiare per sempre le sorti della nazione di Panem.

Intervista a Francesco Foti, in sala con Ti sposo ma non troppo

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Intervista a Francesco Foti, in sala con Ti sposo ma non troppo

francesco foti in TI SPOSO MA NON TROPPO 2piccolaFrancesco Foti è un attore di origine siciliana, ma che, per lavoro e per passione, ha girato l’intero stivale e non solo: da Catania a Milano, da Milano a Genova per poi tornare a Milano, un passaggio a New York per poi arrivare a Roma, dopo, chissà.

E’ un attore di teatro, cinema e televisione, ed è attualmente in sala con l’esordio alla regia dell’attore comico Gabriele Pignotta che lo ha diretto in Ti sposo ma non troppo, insieme anche a Vanessa Incontrada, nel quale interpreta il ruolo del fratello del protagonista.

Ci racconti come hai iniziato?

Devo dire che il caso ha sempre giocato un ruolo importante nelle mie scelte e nella mia fortuna, io sono molto appassionato, cerco di non fermarmi mai, quindi dopo essermi iscritto alla facoltà di Economia e Commercio, non potevo stare fermo e fare solo lo studente. Ho cercato qualcos’altro e la scelta è caduta su di un laboratorio di teatro. Dopo essermi reso conto che mi piaceva, mentre Economia mi piaceva molto meno, ho deciso di tentare di farne una professione e per questo mi sono spostato a Milano per frequentare l’Accademia Paolo Grassi.

Lì mi sono diplomato, e poi il caso ha lavorato ancora una volta per me: degli amici avevano inviato dei miei video di cabaret con i quali ho vinto a mia insaputa ben due concorsi. Ho fatto il vj per Videomusic, poi ho iniziato a collaborare con il gruppo dei Cavalli Marci (da cui da poco si erano allontanati Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu) e così sono arrivato anche a Colorado cafè.

Intanto iniziava anche la mia carriera nelle fiction, mentre al cinema ho avuto una parte in Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni e poi nel 2009 ho fatto più di un provino per Giuseppe Tornatore, che stava preparando Baaria, e alla fine ho avuto il ruolo di un capo di sezione di partito.

Francesco Foti 1Com’è stata l’esperienza sul set di Tornatore?

Lunghissima. Ricordo che le riprese sono durate molto, ma riconosco che anche Tornatore, come molti registi, si affida all’istinto dell’attore, ascolta, anche se ovviamente impone la sua visione della scena.

Ora invece sei il fratello di Gabriele Pignotta nel suo Ti sposo ma non troppo, una commedia romantica, com’è il tuo personaggio?

Giulio, il fratello del personaggio interpretato da Gabriele, Luca nel film, è un guascone, a cui piace la bella vita, le donne, è un piacione, ma tutto questo è anche legato a ciò che la vita gli ha riservato, che lo spettatore capisce solo a tre quarti di film, e da quel momento il suo personaggio ha uno spessore diverso, ogni azione ha un significato diverso.

E’ stato bello ragionare con Gabriele su come doveva essere il mio personaggio, nonostante sia al suo primo film come regista, è sempre stato molto deciso su come voleva le scene, c’è anche da dire che si è circondato di ottimi professionisti che lo hanno aiutato nelle questioni tecniche, e poi il clima sul set anche con Vanessa Incontrada era sempre rilassato.

Hai lavorato praticamente ovunque: cinema, radio, tv, teatro. Hai qualche preferenza?

Assolutamente, credo che sia necessario essere aperti e sperimentare. Ogni mezzo porta ad un miglioramento, ogni esperienza serve. Bisogna andare avanti e mettersi sempre alla prova, anche per questo a un certo punto ho deciso di partire e vivere a New York per un po’ di tempo. Da questa esperienza, ad esempio, è venuto fuori uno spettacolo teatrale: Nuiorc, Nuiorc che ho già portato in tournèe anche negli Stati Uniti e che tra poco riporterò in scena.

Intervista a Emma Watson, protagonista di Noi siamo infinito!

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Arriva anche in Italia il film che segna il ritorno di Emma Watson dopo la decennale parentesi nella saga di Harry Potter, Noi siamo infinito in sala dal 14 Febbraio. La  bellissima Watson è pronta a scrollarsi di dosso la pesante etichetta di Hermione e lo fa alla grande con questo primo film post-saga. La giovane e promettente attrice a suon di bellezza e sexappeal prova nell’impresa. E chi se non lei poteva parlarci del film e della sua esperienza?

Ritorni con un film davvero emozionante, come è stato incontrarsi con questo personaggio?

“Ho pianto davvero quando ho letto la sceneggiatura. Non è possibile non immedesimarsi nelle esperienze dei personaggi. Non ho avuto bisogno di frequentare una scuola americana o andare al ballo per sentirmi come Sam o Charlie o Brad, o chiunque di loro. A volte mi sentivo come se fossi passata dalla padella alla brace. La gente sembra avere a cuore il personaggio di Sam quanto quelli di Harry Potter. Mette una grossa pressione cercare di interpretare un personaggio che la gente già conosce e in cui si identifica. Spero soltanto di essere stata all’altezza delle aspettative e di esser riusciti a rendere giustizia ad un libro splendido”.

Com’è stato lavorare con Stephen Chboky, regista e sceneggiatore nonchè autore del romanzo da cui è tratto il film?

C’è una linea così pura di connessione” ..“Steve aveva una visione completa del film. Aveva sognato di girarlo per più di dieci anni. Aveva pianificato ogni singola scena del film nella sua testa. Sapeva esattamente come voleva che tutto andasse ed io avevo totale fiducia in lui perché era il suo mondo”.

Parlaci del rapporto fra i due protagonisti Sam e Patrick…

Lui ha passato un periodo pesante, ma è la più dolce e sensibile anima che potreste incontrare. Sam e Patrick provano a guidarlo nel suo primo anno di scuola superiore che, come tutti sappiamo, può essere spaventoso. Sam è una di quelle ragazze che a scuola sente di dover essere costantemente su di giri e di dover fare baldoria. Ma questo dopo un po’ di tempo diventa faticoso. Con Charlie, può finalmente essere se stessa”.

Non c’è un solo personaggio che non compie una parabola o che non viva un processo di crescita. Hanno a che fare con delle cose difficili e serie, ma tutto è sempre affiancato a qualcosa di umoristico, perciò speriamo di far ridere e piangere il pubblico in egual misura”.

Com’è stato lavorare con gli altri due attori, Logan Lerman e Ezra Miller? 

“È stato divertente lavorare con Logan Lerman ed Ezra Miller perché abbiamo lo stesso tipo di legame nella vita reale”, lei racconta “questo ha fatto sì che il lavoro non sembrasse lavoro. Logan spezzerà i cuori in questo film. È devastante. Lui capisce Charlie in maniera innata. Ed Ezra è così divertente. Poter improvvisare con lui è stato un sogno. Io pensavo di avere energia, ma lui è proprio un’altra storia. È perfetto per Patrick” — “È un gruppo di persone talmente bello. La sera stavamo tutti insieme in albergo e suonavamo. Abbiamo passato la maggior parte delle nostre sere suonando e chiacchierando e facendo gli scemi”.

Intervista a Elio Matassi, professore di docente di Filosofia all’Università Roma Tre

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Elio Matassi“Nella mia riflessione sullo statuto dell’identità digitale ho utilizzato alcuni romanzi contemporanei che possono essere piegati e declinati a grandi metafore di ciò che sta avvenendo con la svolta impressa dal digitale.” A parlare è il Professore Elio Matassi, docente di Filosofia Morale e Estetica Musicale all’Università di Roma Tre. “Dei romanzi che ho preso in considerazione, per due sono già stati acquistati i diritti per la trasposizione cinematografica.

Intervista a David Cronenberg

L’autore del giorno al Festival di Cannes è David Cronenberg con il suo Cosmopolis. Ecco un’intervista al regista. In un’intervista concessa a Premiere, il regista David Cronenberg commenta il processo di lavorazione al suo film, presentato oggi in concorso a Cannes, soffermandosi in particolare su Robert Pattinson.

D: Ci descriva il suo ritorno a Cannes con Cosmopolis.

DC: C’è una lunga storia fra me e il festival. Ho come la sensazione di essere a casa… Ritengo che questo sia il film ideale da presentare a Cannes e sono felice di essere qui con Rob.

D: Oggi è impossibile immaginare qualcun altro per questo ruolo. Tuttavia, inizialmente l’ha proposto a Colin Farrell

DC: Quando Colin ha abbandonato il progetto per girare Total Recall, ho dovuto ripensare a tutto. Del resto, era troppo vecchio per la parte. Ha 35 anni e, volendo essere fedele al libro, era necessario scegliere qualcuno sui 25 anni. Quindi ho passato in rassegna gli attori di quest’età e ho pensato a Rob.
Ovviamente l’avevo visto nei film della saga di Twilight, ma nulla di ciò che aveva fatto sino a quel momento lo rendeva l’attore ideale per Cosmopolis. Ma un attore viene scelto per il potenziale che un regista percepisce in lui, non per il suo curriculum. Per questo motivo, l’idea di ingaggiarlo era allettante.

D: Gli ha fatto fare un’audizione?

DC: No, abbiamo chiacchierato a lungo telefonicamente. Rob non è affatto il tipo di persona dall’ego smisurato. Aveva una gran voglia di partecipare al film, ma si chiedeva in tutta sincerità se fosse in grado. Era la sua grande preoccupazione. Mi disse: “Pensi davvero che io sia adatto per questo ruolo? Ho paura di rovinare il tuo film”. Gli risposi che la nostra conversazione mi aveva convinto più che mai che sarebbe stato perfetto per Cosmopolis.

D: La saga di Twilight lo ha reso una star, ma ha generato una situazione assurda: chi non l’ha mai visto recitare nella saga ha comunque deciso che è un idolo per le adolescenti senza alcun talento…

DC: E’ il riflesso del mondo in cui viviamo, dove internet facilita questi giudizi frettolosi e pericolosi. Sta a me ignorarli e andare oltre. L’aspetto vantaggioso di questa situazione è che le fan di Rob non vedono l’ora che arrivi il momento in cui dimostrerà a tutti che è capace di fare qualcosa di diverso da Twilight. E se tutti decidessero di andare a vedere Cosmopolis, non mi preoccupo affatto dell’avvenire del film…

D: Qual è stata la reazione degli altri attori del film quando hanno saputo che Robert Pattinson avrebbe interpretato il protagonista?

DC: Paul Giamatti, uno dei primi confermati nel progetto, l’ha considerata un’idea brillante. Non so se Juliette Binoche fosse davvero consapevole della popolarità di Rob quando ha firmato per partecipare al film, ma nessuno dei due ha manifestato dubbi o sdegno nei suoi confronti. Al contrario, una volta ho sorpreso Juliette e Rob nel bel mezzo di una conversazione molto animata sul cinema francese. Hanno trovato una grande sintonia fra loro.

D: C’è una scena in cui l’ha impressionata in modo particolare?

DC: Alla fine delle riprese, era talmente in parte che non facevo più di una o due ripetizioni per ogni scena. E ogni volta mi sorprendeva per il modo in cui riusciva a cogliere tutte le sfumature delle emozioni in gioco. Era completamente immerso nella solitudine e nel dolore del personaggio. Poiché abbiamo seguito quasi del tutto l’ordine cronologico, la scena finale è l’ultima che abbiamo girato. E l’abbiamo provata soltanto una volta, perché Rob e Paul erano perfetti.

D: Vedendo Robert Pattinson nel suo film, possiamo pensare a Johnny Depp e Brad Pitt, che un tempo erano come lui idoli per gli adolescenti prima di avere la possibilità di dimostrare tutte le loro capacità, come hanno fatto rispettivamente con Tim Burton e David Fincher…

DC: Alcune star diventano delle star perché sono acclamate per il loro aspetto o per il carisma che trasmettono sullo schermo. All’inizio hanno poche occasioni di mostrare qualcosa di diverso. Ma sono fiero di aver concesso a Rob l’occasione di dimostrare la portata del suo talento. Se tutto andrà per il meglio, mi aspetto che avrà una carriera che potrà essere paragonata a quella di Johnny Depp e di Brad Pitt. O magari, persino migliore.

Vi ricordiamo che Cosmopolis è da oggi nelle sale italiane.

Intervista a Daniel Craig, protagonista di 007 Skyfall!

Intervista a Daniel Craig, protagonista di 007 Skyfall!

Ecco l’intervista a Daniel Craig, protagonista di 007 Skyfall, tornato a vestire per la terza volta i panni di James Bond per la 23ª avventura del più lungo frachise cinematografico di tutti i tempi.

Parlaci del rapporto con il regista Sam Mendes, sappiamo che è stato un tuo suggerimento…

“Sapevo che Sam avrebbe dato il massimo… Non parlo solo della sua competenza come regista, ma anche della sua passione per Fleming e lo stesso Bond. Quando abbiamo iniziato a parlarne ho sentito un’empatia profonda con una persona che condivideva il mio entusiasmo e il mio rispetto per i film di Bond, e ovviamente, ammiro molto Sam come regista, quindi gli ho detto “Questa potrebbe essere una nuova esperienza per te: fidati, perché io ne ho girati due ed è stata un’esperienza veramente nuova.”

Nel film assume una centralità il rapporto fra Bond ed M, interpretato da Judi Dench, che tipo di rapporto è il loro?

“Il loro rapporto è basato sul rispetto reciproco, sanno entrambi che quando la situazione si fa critica, uno dei due dovrà fare un sacrificio – ed è difficile avere un rapporto che esprima i sentimenti in modo aperto in quelle circostanze. Ma allo stesso tempo – e Sam Mendes è stato molto deciso su questo – Bond è sempre stato convinto dentro di Sé che ci sia qualcosa di più. Non lo ha mai mostrato, ma la connessione c’è – ed è stato magnifico come attore interpretare qualcosa che non puoi far vedere.”

Questo Bond23 ha un cast eccezionale, tutti riuniti per uno scopo, com’è stato lavorare insieme a questi nomi? 

“ Sono necessari tempo e lavoro per trovare le persone giuste, persone entusiaste. Noi siamo stati benedetti dalla fortuna con tutti i personaggi, da quello di Ben, o Fiennes, o Bardem, o  Finney, fino ovviamente a quello di Judi Dench. E poi la scelta delle ragazze: Naomie e Bérénice – due bellissime donne che sono anche attrici impegnate e intelligenti, disposte a lavorare sodo. Per me, è stato una delizia”.

In questo film Bond ritorna ad agire a Londra, questo è senz’altro una novità per i tuoi Bond… 

“L’opportunità di girare a Londra ha scatenato Sam. Abbiamo voluto mostrare zone che non si erano mai viste in passato, usare la città in modo che per molti film sarebbe stato impossibile – ma il nome Bond apre molte porte! Londra ha un suo carattere e poiché io l’amo molto, mi ha emozionato poterla far apparire come raramente succede nei film. Abbiamo cercato di cogliere la follia, il mistero, il pericolo e il glamour della città. Credo che sia stata una cosa magnifica concentrarsi su Londra”.

Skyfall è diretto dal Premio Oscar Sam Mendes e oltre a Daniel Craig vede protagonista un cast d’eccezione: Javier BardemRalph FiennesNaomie Harris, Berenice Marlohe, Ralph Fiennes, Albert Finney, Ben Whishaw.

Le nostre interviste sul Red Carpet:

Intervista a Christopher Nolan: “L’esplorazione è l’estremo assoluto dell’esperienza umana”

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E’ da Giovedì al cinema l’attesissimo Interstellar, l’ultimo film di Christopher Nolan, acclamato regista della trilogia di Batman, Inception, e molti altri. Con questo film si trova dirigere un cast stellare che comprende tra gli altri Matthew McConaughey, Anne Hathaway e Jessica Chastain, probabilmente i migliori attori in circolazione ad Hollywood in questo periodo. Ebbene parliamo di questo incredibile viaggio Interstellare proprio con il regista ormai diventato di culto.

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Cos’è per lei l’Esplorazione?

“Per me, l’esplorazione dello spazio rappresenta l’estremo assoluto dell’esperienza umana. E’ per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nell’ambito dell’universo. Per un regista, la straordinarietà di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso l’ignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di opportunità. Ero elettrizzato all’idea di fare un film che avrebbe fatto vivere al pubblico quell’ esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l’infinito della galassia- anzi attraverso tutta un’ altra galassia. E’ come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare”.

Esplorare dunque anche il futuro del genere umano.. 

“Sono sempre stato incuriosito da come potrebbe essere la nostra futura evoluzione. Se la Terra è un nido, come ci comporteremmo quando arriva il momento di lasciarlo?  Sostengo che la grandezza e la magnificenza dello spazio è uno sfondo interessante per esplorare le relazioni interpersonali, che sono tanto forti e significative per noi, quanto trovarci una collocazione nell’universo. Ma chi siamo, dove stiamo andando, sono tutti questi concetti messi assieme che fanno la storia del film, non si tratta unicamente di godersi un viaggio intergalattico solo per amore dello spazio”.

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Come ha lavorato con Kip Thorne sull’aspetto puramente scientifico del film, che qui diventa totalizzante insieme con la narrazione ?

“Da vero scienziato coinvolto, Kip è consapevole del fatto che potrebbe delinearsi il contrario di tutto ciò che mi ha esposto. La scienza – in particolare quella legata all’ambito lavorativo di Kip- suggerisce spunti incredibilmente variabili ed affascinanti da un punto di vista narrativo, perché dettati da uno scienziato per il quale queste considerazioni sono sempre in espansione. L’ho trovata essere un’ atmosfera creativa straordinaria in cui lavorare. La cosa principale per me nel fare questo film, è stata cercare di trasportare il pubblico nello spazio per metterli nei panni degli astronauti che vanno ad esplorare questi nuovi mondi e queste nuove galassie. E’ questo quel che più mi entusiasma: far sì che il pubblico possa vivere lo spettacolo di un grande viaggio interstellare. Abbiamo reputato necessario discostarsi dal rigore scientifico per rendere questi oggetti più comprensibili al pubblico, e comunque, di fronte ai risultati, le teorie che ci ha fornito Kip hanno dato vita a qualcosa di spettacolare. Con il particolare effetto gravitazionale  dato da una sfera di cristallo che riflette l’universo, un buco sferico nello spazio-tempo, abbiamo notato alcune anomalie molto sconcertanti su come il suo aspetto cambia quando lo si guarda da un angolo leggermente diverso o da una distanza diversa”.

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Un elemento forte nel film è la concezione del tempo che è rappresentato in modo molto differente rispetto a come siamo abituati a percepirlo … 

“Si. Sono sempre stato affascinato dal tempo inteso come esperienza soggettiva. Ma nel caso di ‘Interstellar,’ il tempo è un fattore esterno che è parte della storia, piuttosto che la percezione di un singolo personaggio. E’ quasi un antagonista di questi personaggi, ma non è l’unico pericolo che devono affrontare. Quando ci si avventura in una storia in cui l’uomo va contro gli elementi naturali, le possibilità di trovarsi in pericolo diventano molto più frequenti”.

Parliamo del protagonista Cooper, come è arrivato alla conclusione che Matthew fosse l’attore giusto per il ruolo? 

“Incarna tutto quello che cercavamo in Cooper -lo spirito di avventura, una spavalderia da cowboy, ed innanzi tutto il calore di un padre di famiglia. Ha tutte qualità intangibili presenti nel personaggio, che viaggiano parallelamente alla sua incredibile professionalità ed al suo umorismo. E’ stata una bellissima esperienza lavorare con lui in questo film.

Cosa rappresenta per lei avere ancora una volta nel cast un attore come Michael Caine? 

“Michael è una delle star del cinema più importanti di questa generazione. Apporta un livello di gravitas e carisma che non è secondo a nessuno. Nel caso di ‘Interstellar,’ è stato molto emozionante vederlo incarnare questo personaggio proiettato in luoghi che da attore non ha mai interpretato. All’apice della sua carriera, immagino debba esser stata un’esperienza sorprendente da vivere”.

 In questo film ritrova anche Anne Hathaway con cui aveva già lavorato nell’ultimo capitolo di Batman..

“Anne è un talento straordinario, capace di calarsi totalmente in un personaggio. E’ colta ed appassionata di scienza, quindi è stato naturale vederla nei panni della Brand, un personaggio che vede il mondo proprio attraverso la scienza. Ma, allo stesso tempo, il calore sottile che cela Anne e la versatilità della sua performance che ha arricchito il suo ruolo, fa sì che il suo personaggio lungi dall’essere solo uno scienziato”.

Sappiamo che Interstellar è il film con più scene girate in IMAX di tutta la sua filmografia, come ci siete riusciti?

“Era chiaro che volessimo delle immagini in widescreen per i panorami – il nostro primo avvistamento del buco nero o wormhole – girando con la telecamera IMAX. Ma Non credevamo di poter utilizzare la telecamera IMAX anche in ambienti più piccoli, date le sue dimensioni gigantesche ed il peso. Ma Hoyte era determinato a portarla in spalla, a prescindere da quanto pesasse. Come abbia fatto, non ne ho idea, ma ciò ci ha permesso di girare molte più scene la telecamera IMAX di quanto inizialmente pensavamo fosse possibile”.

Intervista a Christopher Nolan per Il Cavaliere Oscuro il Ritorno

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Ritorna per l’ultima volta nella “sua” Gotham City, una città mai così reale quanto nel Cavaliere Oscuro il Ritorno e lo fa con un grande, degno finale. The Dark Knight Rises, forse non sarà il film di cui la filmografia di Christopher Nolan ha bisogno, ma certamente è l’epico finale che la sua trilogia merita, e così anche il suo Batman, mai cosi umano come nell’epilogo. Attraverso le parole di Christopher Nolan, ripercorriamo insieme una trilogia che ha segnato indelebilmente il fumetto al cinema.

Intervista a Charlize Theron protagonista di Prometheus!

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Intervista a Charlize Theron protagonista di Prometheus!

Ormai manca poco all’uscita italiano (in forte ritardo rispetto al mondo) di Prometheus, atteso ritorno allo Sci-fi di Ridley Scott. Ecco l’intervista alla splendida Charlize Theron che ci parla della sua esperienza e del suo personaggio.

Anche l’attore Logan Marshall-Green ci parla della sua esperienza:

Ricordiamo nel cast del film Prometheus diretto da Ridley Scott troviamo Michael FassbenderIdris ElbaCharlize TheronNoomi RapaceGuy Pearce, Logan Marshall-Green, Sean Harris, Rafe Spall.

Nel film Un gruppo di scienziati è in viaggio verso un lontano pianeta alla ricerca delle origini dell’uomo. Gli astronauti, però, entrano in contatto con un’entità che potrebbe causare l’estinzione della razza umana.

 

Intervista a Bryan Burk produttore di Star Trek: Into Darkness

Intervista a Bryan Burk produttore di Star Trek: Into Darkness

Oggi in anteprima abbiamo visto circa 30 minuti di footage di  Star Trek: Into Darkness. Dopo un breve video introduttivo in cui il regista J.J. Abrams ha dato la colpa al suo parrucchiere per non essere potuto intervenire di persona, la parola è passata al produttore Bryan Burk, il quale ha voluto subito commentare le scelte tecniche della pellicola.

“ La scelta di usare le riprese in I-MAX è nata dopo la passata esperienza con Mission Impossible: Protocollo Fantasma, dove oltre venti minuti del film sono stati girati con questa fantastica tecnologia. Allora abbiamo scelto di riproporla, arrivando ad estenderla per oltre 35 minuti complessivi. Sul 3D invece eravamo scettici, poiché dopo il successo di Avatar è nata una specie di moda. Allora abbiamo deciso che avremmo creato un film diverso da tutti gli altri, dove la stereoscopia avrebbe avuto un ruolo narrativo oltre che visivo”

Burck ha poi parlato dell’aspetto narrativo della storia, confidando un suo piccolo segreto.

“Io non sono mai stato un grande amante di Star Trek, e per questo mi considero il produttore perfetto per questo film. Vedendo la serie tv mi sono accorto di come ci fossero tantissimi dialoghi e poca azione, oltre che una storia molto confusa. Allora, sia per il capitolo precedente che per questo nuovo film abbiamo fatto due scelte; la prima è stata quella di bilanciare l’azione con il dramma per creare una storia avvincente e verosimile, la seconda invece è stata quella di non fare un film solo per i fans, ma di creare una pellicola che tutti, anche coloro che non avevano mai visto la saga, avrebbero potuto capire ed apprezzare”. 

Infine Burcke ha parlato del budget destinato alla nuova pellicola.

“I precedenti film di Star Trek sono stati molto trascurati a livello produttivo, costringendo gli autori a lavorare con budget riduoli che hanno pesato sul progetto complessivo. Per questo film invece abbiamo chiesto alla Paramount di assecondare le nostre necessità, e devo dire che i risultato ripaga pienamente gli sforzi”

Vi ricordiamo che il prossimo film Star Trek: Into Darkness uscirà nelle sale il 06 Giugno 2013. Nel cast del film Chris Pine, Zachary Quinto, Zoe Saldana, Benedict Cumberbatch, Simon Pegg, Karl Urban, John Cho, Bruce Greenwood, Alice Eve, Anton Yelchin. Tutte le news sul film le trovate nel nostro speciale: Star Trek 2.

 

 

 

 

 

Intervista a Bill Murray, protagonista di St. Vincent [Video]

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Guarda la video intervista a Bill Murray, protagonista del film in uscita St. Vincent di Ted Melfi dal 18 Dicembre al cinema distribuito da Eagle Pictures.


bill_murray_st_vincentPresentata al Festival del film di Toronto, la pellicola è diventata in poche ore fenomeno sul web grazie a una clip che vede il protagonista cantare Bob Dylan. Maggie (Melissa McCarthy), madre single, si trasferisce a Brooklyn con il figlio dodicenne Oliver (Jaeden Lieberher). Costretta a lavorare fino a tardi, la donna non ha altra scelta che lasciare il figlio nelle mani del loro nuovo vicino, Vincent (Bill Murray), uno scorbutico pensionato con la passione per l’alcool e per le scommesse. La bizzarra coppia stringe una singolare amicizia: insieme ad una spogliarellista incinta di nome Daka (Naomi Watts), Vincent coinvolgerà Oliver nella sua routine quotidiana, portandolo all’ippodromo, in uno strip club e al baretto di fiducia. L’uomo aiuterà Oliver a crescere, mentre il ragazzino comincerà a vedere in lui qualcosa che nessuno percepisce, il suo essere un uomo incompreso e dal cuore d’oro. Il titolo del film deriva da un compito assegnato al giovane Oliver a scuola: trovare un santo cattolico per lui fonte di ispirazione e individuare qualcuno nella sua vita che incarna le virtù di quel santo; il ragazzino sceglierà proprio Vincent, dichiarando l’unicità e la profondità di un rapporto che ha finito per cambiare la vita ad entrambi. Ispirato ad una vicenda personale del regista e sceneggiatore Ted Melfi, St. Vincent vede protagonisti anche Chris O’ Dowd e Terrence Howard.