Proprio come l’uomo pipistrello
Batman, anche la sua ultima incarnazione cinematografica
interpretata dall’attore statunitense Ben
Affleck sembra vivere una doppia vita: “di giorno”,
divo hollywoodiano dalla faccia non particolarmente espressiva e
dalla carriera costeggiata da blockbuster e gossip; “di notte”,
sorprendente autore capace di destreggiarsi- con maestria –tra film
e sceneggiature complesse ed intellettuali, firmate da lui stesso o
da registi di culto.
Possiamo azzardarci a definire
questo attore californiano di nascita, ma bostoniano nell’anima,
come un complesso cubo di Rubick, un intricato rompicapo dalla
forma geometrica, stabile, ma dalla risoluzione incerta, che
richiede tempo per decriptare il segreto del suo mistero.
Forse è proprio questo l’aspetto
più interessante di questo attore che-come già accennato in
precedenza- non brilla per le sue indimenticabili performance sul
grande schermo, ingabbiato in una presenza imponente ed
esteticamente d’impatto, con quel volto da bravo ragazzo americano:
dietro questo aspetto c’è una carriera in bilico tra successo ed
insuccesso, rovinose cadute e trionfi luminosi, estremi vissuti
sembra in bilico sul filo dell’eccesso, sia in ambito professionale
che sentimentale. Poche le costanti stabili che hanno segnato la
vita di Ben Affleck, sicuramente due non sono
trascurabili: la passione per la Musa dell’Arte e l’amicizia,
storica ed inossidabile, con Matt
Damon, compagno di giochi, confidenze, sogni, bevute e progetti
fin dall’età di otto anni.
Il vero “talento” nascosto di
quest’attore è proprio la sua capacità sottile di viaggiare sempre
nel grigio, in quel “non luogo” misterioso che si trova tra le
valli pirotecniche del bianco e del nero, del trionfo e
dell’insuccesso; una capacità che gli ha permesso di vivere
infinite vite bipolari nonostante i suoi quaranta tre anni.
Dopo aver affrontato il divorzio
dei genitori ad undici anni ed i primi approcci con la recitazione
(un programma messicano per bambini girato a soli sette anni),
capisce che la sua strada è quella della recitazione, dello
spettacolo, e non quella dell’insegnamento che la madre avrebbe
preferito per lui. Una passione, quella per l’Arte, che scorreva
nel suo sangue e che aspettava solo di irrompere con fragore: anche
suo padre, a sua volta attore, negli anni ’60 aveva condiviso il
palco con Dustin Hoffman, Robert Duvall, Blythe Danner, Jon
Voight e James Woods.
Mentre frequentava la Cambridge
Rindge and Latin High School passava tutto il suo tempo libero
con l’amico Damon, discutendo- tra un pranzo e l’altro- su come
concretizzare il loro sogno di diventare attori; spinti dal loro
insegnante di recitazione Gerry Speca si recavano
regolarmente a New York per provini ed audizioni, nella speranza di
riuscire a salire sul treno giusto dei vincitori; treno che
comunque tardava ad arrivare, nonostante qualche ruolo saltuario
collezionato dai due al cinema. Proprio perché insoddisfatti dalle
sceneggiature che leggevano, i due amici decisero di scriverne una
a quattro mani: la storia di un ragazzo, genio della matematica, ma
talmente turbolento da essere impossibile da gestire e incapace di
relazionarsi con l’esterno, nonostante il suo enorme talento.
Quella sceneggiatura si chiama-fin dalla prima stesura-
Good Will Hunting (Will Hunting Genio
Ribelle) e fu ridicolizzata da uno degli insegnanti di
scrittura creativa di Affleck ai tempi dell’università.
Chissà se, dopo il Premio Oscar
ricevuto proprio nel 1997 per quella sceneggiatura, che fu inoltre
uno dei successi commerciali al botteghino dello stesso anno,
proprio quel docente ha ripensato a quel ragazzo un po’ irrequieto
al quale aveva stroncato un sogno, con un paio di parole assestate
bene (e, per fortuna, senza riuscirci).
Prima di vincere l’Oscar in coppia
con Matt Damon, Ben Affleck aveva comunque già
collezionato una serie interessante di ruoli e film, alcuni
divenuti nel corso degli anni anche oggetti di culto: parliamo di
Dazed and Confused (1993, regia di
Richard Linklater), Glory
Daze (1995), Chasing Amy
(1997, diretto dall’amico Kevin Smith col quale
tornerà a collaborare molto spesso nel corso degli anni); nel
frattempo continuò a collezionare lusinghiere recensioni sulle sue
performance anche dopo l’uscita del drama Going All the
Way (1997). Ma il 1997 fu l’anno in cui il suo
successo esplose grazie ad un film handmade dai due amici
di sempre Damon-Affleck: quel Good Will
Hunting scritto per la prima volta nel 1992 dal
primo, che doveva consegnare quaranta pagine di elaborato per il
corso di scrittura. Successivamente, quando si trasferì
nell’appartamento di Affleck, cominciarono a mettere “nero su
bianco” quelle idee nate durante le improvvisazioni, dando loro una
solida struttura e inserendo una serie di aneddoti legati alle loro
esperienze di vita a Cambridge, la loro cittadina dove decisero di
ambientare il film.
Nel 1994 vendettero la
sceneggiatura alla casa di produzione Castle
Rock, quando Affleck aveva ventidue anni; nel corso
degli anni ricevettero note da parte di registi come Ron
Reiner, William Goldman e Terence Malick, ma nessuno di
loro era interessato ad adattare la loro sceneggiatura: dopo una
lunga disputa con la Castle Rock
cercarono di persuadere la Miramax a
produrre il “loro” film, e ci riuscirono, coinvolgendo Gus
Van Sant alla regia e il compianto Robin Williams (che, a sua volta,
vinse un Oscar per questo ruolo) accanto a Damon e Affleck stessi.
Solo dopo aver vinto sia il Golden Globes che l’Oscar per la
miglior Sceneggiatura Originale i due si sentirono realizzati,
sulla vetta del mondo e pronti a vivere il loro sogno.
In tal modo Affleck ebbe accesso
immediato- e dalla porta principale- alla Mecca del Cinema
hollywoodiano: negli anni successivi- alle soglie del 2000-
colleziona una serie di ruoli mainstream che gli
permettono di assurgere al ruolo di protagonista in pellicole
importanti, famose e “fracassone”:
Armaggeddon (1998, Michael
Bay), Shakespeare in Love (1998)
accanto alla fidanzata del periodo Gwyneth Paltrow
insieme ad una reunion con gli storici amici Smith e Damon sul set
di Dogma (1999), Forces of
Nature (stesso anno, accanto a Sandra Bullock), 200
Cigarettes (con Courtney Love),
Reindeer Games (2000, con
Charlize Theron), Boiler
Room (2000), Bounce
(2000, per l’ultima volta accanto alla ormai ex Paltrow),
Pearl Harbor (2001, sempre di Bay),
Jay and Silent Bob Strike Back
(2001, sempre un’altra opera di Smith), Changing
Lines e The Sum
of All Fears, due ottimi action nei quali divide la
scena con Samuel L. Jackson e Morgan Freeman. Ma, come in ogni
(quasi) fiaba moderna che si rispetti, questa catena infinita- e
crescente- di successi doveva incontrare, prima o poi, lungo il suo
percorso, un ostacolo, che ha portato la carriera di Affleck ad una
lieve e costante inflessione che rischiava di parlo scivolare nel
dimenticatoio delle “ex” stelle brillanti del firmamento
hollywoodiano: sarà stato per via del clamore mediatico della sua
turbolenta love-story con Jennifer Lopez, con la
quale ha condiviso (oltre alle copertine dei tabloid) le scene in
pellicole (dimenticabili) come Gigli
(2003) e Jersey Girl (2004), girato
ancora da Smith dopo la separazione della coppia. Altre recensioni
negative e critiche lo investirono per via delle sue performance in
pellicole come Daredevil (2003, sul set
del quale ritrovò- dopo Pearl Harbor– la
sua attuale ex- moglie Jennifer Garner, lasciata
dopo dieci anni di matrimonio e tre figli); lo sci-fi
Paycheck (2003, accanto ad Uma
Thurman), la commedia natalizia del 2004
Surviving Christmas: tutti ruoli che
sembravano ormai aver sancito l’oblio della sua luminosa stella,
tanto da spingerlo a prendersi una pausa dai set per cercare di
ritrovare un minimo di controllo sulla sua vita e sulla sua
carriera, destinata altrimenti a peggiorare.
La vita di Ben
Affleck, da sempre in precario equilibrio
sull’indeterminatezza, sembrava aver definitivo “invaso” una delle
due valli che costeggiano quel grigio non luogo nel mezzo: ma il
2006 è stato l’anno che ha riconfermato questa abilità dell’attore
californiano di sapersi reinventare, un po’ come un gatto dalle
sette vite. Durante l’anno gira due piccoli film come
Man About Town e Smokin’
Aces prima di balzare di nuovo sotto l’occhio
sgranato dei riflettori con la sua interpretazione del primo
Superman della storia, il
compianto attore George Reeves nel Noir
Hollywoodland: per la sua performance
vince una Coppa Volpi a Venezia e rilancia la sua carriera,
tornando a collaborare per l’ultima volta anche con Kevin
Smith per il suo Clerks II. Dal
2007, oltre a compiere scelte professionali più interessanti sul
versante attoriale, sceglie di affiancare alla recitazione la
regia, che da sempre lo affascinava; proprio allo stesso anno
risale il suo debutto con il thriller Gone Baby
Gone nel quale recita il fratello Casey. Nel 2009
torna a mostrare le sue doti brillanti nella commedia
He’s Just Not That Into You (La Verità è che non Gli
Piaci Abbastanza) con un cast all-star che si rivela
essere un vero e proprio successo al botteghino; seguono
State of Play, remake di una miniserie tv
britannica, a fianco a Russel Crowe e Rachel McAdams,
Extract, The Company Men (2010)
che ricevono ottime critiche, prima di
tornare dietro la macchina da presa nello stesso anno con un nuovo
thriller teso e drammatico, The Town, con
Jon
Hamm, Jeremy Renner, Chris
Cooper and Blake Lively: un Heist-Movie che- al
contrario del precedente Gone Girl- ha un buon successo al
botteghino e riceve ottime critiche, che fanno da apripista al
successo clamoroso della sua terza regia,
quell’Argo che sbancò alla notte degli
Oscar facendogli vincere un altro premio per il Miglior Film
dell’anno, ma senza fargli ottenere nessuna candidatura come
regista. Dopo aver interpretato il protagonista della fatica di
Terence Malick To the Wonder (2013), dove
riceve ancora ottime critiche, come pure per la sua performance in
un film trascurabile come Runner Runner,
citato proprio per via della sua curiosa e vivida interpretazione
di un ricco criminale appassionato di poker. Le successive ottime
scelte di Affleck, che lo hanno portato fino al 2016 e all’uscita
in sala di Batman Vs. Superman, sono
state rappresentate dal thriller di David Fincher Gone
Girl (2014), dal suo ritorno alla regia con
Live By Night con protagoniste (per
adesso) Zoe
Saldana, Sienna Miller ed Elle Fanning e del nuovo
film di Gavin O’Connor The
Accountant.
Tutto questo, mentre il 23 Marzo si
avvicina il “giorno del giudizio” che potrebbe avere un effetto
dirompente sulla sua carriera: si prepara ad affrontare il peso
iconografico di un ruolo da supereroe, in particolare quel Batman
già incarnato da altre grandi star e che stavolta, nella pellicola
di Zack Snyder Batman Vs Superman- Dawn
of Justice vede il volto di Ben
Affleck coincidere con il personaggio del misantropo
miliardario Bruce Wayne, di notte salvatore del popolo di
Gotham.
Riuscirà Affleck a rilanciare la
sua carriera su vasta scala ancora una volta, con un
cinecomic tanto atteso, che potrebbe farlo tornare ai
fasti del ’97, fin sulla vetta del mondo? In fondo, la valle del
grigio non è ancora stata esplorata fino in fondo, e Ben
Affleck– da buon supereroe- potrebbe riservare ancora
qualche sorpresa al pubblico.