Ora che il film è uscito anche in
paesi come la Cine a ultimo in Italia,
Il Cavaliere Oscuro – il Ritorno ha superato l’incasso
del miliardo di dollari nel mondo, avvicinandosi prepotentemente al
precedente film. L’ultima pellicola di Christopher Nolan ha incassato per la
precisione 1.010.946.000
dollari, piazzandosi alla 12esima posizione della
classifica mondiale dei maggiori incassi di tutti i tempo. Ora
l’obiettivo è superare l’11esima e 10 posizione, ovvero Alice in
Wonderland di Burton a quota 1.024.300.00 e Star
Wars: Episodio I a 1.027.000.00 dollari.
Cinema e lettertura sono spesso
andati d’accordo e numerosi sono infatti i film dedicati a celebri
poeti o scrittori della storia. Tra i più noti si annoverano
Poeti dall’inferno, dedicato a Paul
Verlaine e Arthur Rimbaud, Bright Star, dedicato a
John Keats, o Wilde, dedicato a
Oscar Wilde. Anche in Italia, negli ultimi anni,
sono stati prodotti alcuni film con protagonisti importanti
personalità della letteratura italiana. Esempi celebri sono
Il giovane favoloso,
dedicato a Giacomo Leopardi, La stranezza, con
Luigi Pirandello tra i protagonisti,
e Il cattivo poeta (qui la recensione del film),
dedicato invece agli ultimi anni di vita di Gabriele
D’Annunzio.
Il film è l’opera d’esordio di
Gianluca Jodice, mentre a produrlo vi è la mano
ormai esperta di Matteo Rovere e la sua
Groenlandia. L’obiettivo non è era però dar vita
ad un semplice biopic quanto ad una rilettura di D’Annunzio e dei
suoi ultimi anni di vita, che Jodice ha riassunto come “un
Nosferatu dentro al suo mausoleo-castello”. Attraverso l’esilio
autoimposto di uno dei più importanti poeti italiani del
Novencento, emerge tutto il clima di un’epoca segnata dal fascismo,
dalle tensioni politiche e dall’approssimarsi della guerra. Quello
che Jodice porta avanti è dunque un vero e proprio ritratto
d’epoca, basato su fonti storiche attendibili.
A partire da lettere, diari e
testimonianze scritte di quelli che hanno vissuto gli eventi in
prima persona, si costruisce dunque un entusiasmante film che
propone uno sguardo nuovo su una personalità della nostra storia
che si dimostra essere continuamente ricca di sorprese. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e a molto altro ancora. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti
il film nel proprio catalogo.
La trama di Il cattivo poeta
Il cattivo poeta racconta
gli ultimi anni di vita di Gabriele D’Annunzio. È il 1937 quando
Giovanni Comini viene promosso federale, divenendo
il più giovane in Italia, all’età di 28 anni, a potersi fregiare
del titolo. Proprio per via di ciò la nomina ottiene una certa
risonanza e porterà Comini a dover gestire da subito una missione
delicata: controllare Gabriele D’Annunzio, sempre
più irrequieto e pericoloso agli occhi del Duce.
Quest’ultimo non può permettersi intoppi o complicazioni, dal
momento che il suo piano di espansione dell’Impero ha la precedenza
su tutto. Si tratterà di una vera sfida per il giovane, soprattutto
per via della incrollabile stima reverenziale che prova nei
confronti del “Vate”.
Il cast e le location di Il cattivo poeta
Ad interpretare Giovanni Comini vi è
l’attore Francesco Patané, interprete con una
grande carriera teatrale e da poco approdato al cinema, dove è
stato protagonista anche di Ti mangio il cuore. Per
prepararsi al ruolo l’attore ha raccontato di aver approfondito il
periodo storico in cui il film è ambientato e di aver cercato di
dimenticare tutto quello che sapeva di D’Annunzio, così da poter
entrare meglio nei panni di un giovane che “va ad incontrare un
personaggio famoso“, come raccontato dall’attore durante
la conferenza stampa. Ad
interpretare il poeta Gabriele D’Annunzio vi è invece Sergio
Castellitto, il quale per assumere il ruolo si è
rasato a zero i capelli.
Nel film recitano poi anche Tommaso Ragno
nei panni di Giancarlo Maroni, Clotilde Courau in
quelli di Amélie Mazoyer, Fausto Russo Alesi in
quelli di Achille Starace e Vincenzo Pirrotta, che
interpreta invece Benito Mussolini. La maggior parte delle riprese
del film si sono svolte proprio nel Vittoriale degli Italiani, sul
lago di Garda, dove la produzione ha potuto girare grazie al
permesso della fondazione che gestisce la casa-museo di D’Annunzio.
È questo un luogo a tutti gli effetti visitabile, dove si possono
ritrovare non solo gli oggetti posseduti dal poeta, i suoi abiti, i
suoi appunti ma anche l’intera costruzione nella sua
magnificenza.
La vera storia dietro Il
cattivo poeta
Quella narrata in Il cattivo
poeta è dunque una storia realmente avvenuta, che ha come
protagonista Giovanni Comini. Convinto sostenitore
del fascismo, Comini si formò al G.U.F.e fece una rapida carriera
nelle organizzazioni giovanili del Partito Nazionale Fascista
divenendo dapprima vice-podestà di Brescia nel 1929 e in seguito
segretario federale del PNF della città il 12 aprile 1935, alla
giovane età di ventotto anni. Durante il suo mandato da federale,
Comini venne incaricato dal segretario Achille
Starace di rimanere a stretto contatto e sorvegliare
attentamente il poeta Gabriele D’Annunzio, che suscitava le
preoccupazioni di Benito Mussolini.
A seguito della delusione di Fiume,
nel 1921, D’Annunzio si era pressocché ritirato in esilio nel suo
Vittoriale degli Italiani. Negli ultimi anni il poeta era sempre
più malmesso fisicamente. Divenuto fotofobico in seguito
all’incidente all’occhio del 1916, trascorreva la maggior parte del
suo tempo nella penombra, coprendo con tende (visibili tuttora al
Vittoriale) le finestre esposte alla luce solare diretta. Faceva
spesso uso di stimolanti (come la cocaina), medicinali vari e
antidolorifici, visibili tuttora negli armadietti del Vittoriale.
Egli non mancava però di far sapere la propria contrarietà circa le
azioni che il Partito Fascista aveva intrapreso alleandosi con
Hitler.
L’incarico del giovane Comini, ad
ogni modo, terminò con la morte del “Vate”, avvenuta il 1° marzo
1938 a causa di un’emorragia cerebrale. Secondo alcuni studiosi,
poeta potrebbe in realtà essere morto per overdose di farmaci,
accidentale o volontaria, dopo un periodo di depressione. Della
cosa Comini scrisse: «La morte di D’Annunzio mi toglie da una
grossa preoccupazione». Egli continuò puoi a portare avanti il
suo incarico di federale fino al 1940 quando, dopo aver informato
Mussolini sulla contrarietà all’entrata in guerra da parte della
popolazione di Brescia, fu sostituito in qualità di federale da
Antonio Valli.
Il trailer di Il cattivo
poeta e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Il
cattivo poeta grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV,
Google Play, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
venerdì 7 luglio alle ore 21:20
sul canale Rai 3.
Il regista Gianluca
Jodice e i protagonisti Francesco Patané
e Sergio Castellitto raccontano Il cattivo poeta, il film sugli ultimi anni
della vita di D’Annunzio, in sala dal 20 maggio.
Il film racconta l’inverno della
vita del grande poeta e il tramonto di una nazione intera alle
porte della seconda guerra mondiale. Un biopic su una delle figure
chiave della storia moderna, ma poco raccontata dal nostro
cinema.
IL CATTIVO POETA è prodotto
da Matteo Rovere e Andrea Paris,
una coproduzione italo francese Ascent Film e
Bathysphere con Rai Cinema. Nel cast, tra gli
altri, Francesco Patanè, Tommaso
Ragno e Clotilde Courau.
Si intitola Il
cattivo poeta il film scritto e diretto
da Gianluca Jodice, con Sergio
Castellitto nei panni di Gabriele
D’Annunzio, prodotto da Matteo Rovere e
Andrea Paris, una coproduzione italo francese
Ascent Film e Bathysphere con Rai
Cinema, e in arrivo in sala il 20 maggio in 200 copie. Un’uscita
importante considerato che molte sale sono ancora chiuse e che la
normalità post pandemia è ancora lontana.
Gianluca Jodice ha
scelto di fare un film al di fuori delle convenzioni del cinema
italiano. È un progetto ambizioso e soprattutto la sua scelta è
ricaduta su un soggetto, Gabriele D’Annunzio, che
si studia a scuola ma che la storia ha messo da parte, nonostante
sia una figura molto moderna.
Il cattivo poeta – il regista Gianluca
Jodice
“Tentavo di inserirmi in un
filone della tradizione italiana di prima – spiega Jodice
– inoltre le opere prime tendono a giocare di rimessa e io non
volevo farlo. Forse anche il fatto che ho esordito tardi mi ha dato
modo di essere più sfacciato. Matteo (Rovere, ndr) mi chiese se
volevo pensare a un biopic, e io scelsi D’Annunzio perché mi
affascinava, mi ricordavo questo poeta recluso in questo castello
di Dracula, per 15 anni, ovvero tutta l’ultima parte della sua
vita, tra ossessioni e perversioni, donne e cocaina, quando aveva
perso la sua vena artistica. Questo Nosferatu chiuso nel suo
castello che ha subito una damnatio memoriae nella cultura del
Novecento. Un personaggio scomodo, che ha vissuto mille vite, e che
non era mai stato raccontato dal cinema. E Rovere è stato
abbastanza pazzo da ascoltarmi, lui come tanti altri pazzi che
hanno reso possibile questo film.”
Il cattivo poeta – il produttore Matteo
Rovere
Il “pazzo” chiamato in causa,
Matteo Rovere, che oltre a essere lui stesso
regista e sceneggiatore, sempre più spesso ricopre il ruolo di
produttore in progetti particolari e molto interessanti, ha
replicato: “È un film ambizioso per il suo impianto, ma credo
che si tratti di un tipo di cinema che è stato realizzato in Italia
in passato, con grande orgoglio verso quelle che sono state le
grandi figure della nostra cultura, raccontandoli anche all’estero.
D’Annunzio ha attraversato la prima metà del Novecento,
modificandolo, è stato una rockstar ante litteram. Poi però è stato
asfaltato dal Ventennio Fascista. La sua personalità politica viene
spesso collegata agli ideali fascisti, per il ruolo che aveva avuto
prima dell’avvento del fascismo, e quindi è sempre stata vista con
sospetto, ma in realtà, come abbiamo ricostruito nel film, non era
affatto così. Anche in sceneggiatura, il lavoro fatto è stato
filologico, di ricostruzione, attraverso lettere e testimonianze
scritte. Abbiamo usato molte delle parole che lo stesso D’Annunzio
ha pronunciato. Accanto allo scopo di intrattenere il pubblico, il
risultato del film è anche quello di offrire un personaggio
realistico, anche se relativo solo ad una fase specifica della sua
vita, la vecchiaia.”
Ad interpretare il Vate è stato
chiamato Sergio Castellitto, che Rovere ha
ringraziato non solo per la sua partecipazione al film, ma anche
perché con la stessa ha reso appetibile il progetto per i
produttori esteri. Ma cosa ha fatto Castellitto per entrare
nel ruolo di D’Annunzio?“Mi sono tagliato i capelli
– risponde con grande semplicità e ironia l’attore – mi
sono tagliato i capelli a zero, anche temendo che non mi
ricrescessero, conferendo a questo gesto non solo l’artigianato
dell’immedesimazione, ma anche un significato altro, un atto di
generosità. Se si chiudono gli occhi e si visualizza D’Annunzio, si
immagina un cranio, un cranio privo di capelli ma contenente
un’immensità di fantasia, immaginazione, crudeltà. Tutto questo
fotografato nell’ultimo anno della sua vita e nell’incontro con il
controcampo della giovinezza. Incontra qualcuno che ha di fronte a
sé più futuro che passato.”
I protagonisti Sergio
Castellitto e Francesco Patané
Il film fotografa infatti D’Annunzio
che entra in contatto con Giovanni Comini,
federale di Brescia e iscritto al partito fascista. Un uomo molto
giovane e innamorato della causa di Mussolini, convinto che potesse
rappresentare il bene per quel Paese che tanto amava. Ad
interpretarlo, Francesco Patané, interprete con
una grande carriera teatrale e da poco approdato al cinema:
“Per interpretare Comini mi sono documentato al contrario. Ho
cercato di dimenticare tutto quello che sapevo su D’Annunzio, prima
di arrivare sul set. Giovanni Comini arriva al Vittoriale senza
conoscere D’Annunzio poeta o persona, sa solo delle sue imprese
politiche. Ho cercato di eliminare tutte le mie nozioni sul poeta e
poi ho fatto quello che succede a Comini: un giovane che va ad
incontrare un personaggio famoso. È quello che mi è successo con
Castellitto, ero timoroso e curioso e ho cercato di rubare da lui.
Ho riproposto la mia esperienza.”
“Ho cercato di mettermi nei
panni di un giovane che crede nella guerra che dovrebbe arrivare
– continua Patané – Questo giovane crede a quelle
promesse, crede a quel futuro e abbraccia questi ideali con
passione. La fortuna che gli capita è quella di incontrare un
personaggio come D’Annunzio che gli mostra come le cose che aveva
abbracciato non era quello che immaginava davvero. La sfida come
attore è stata proprio mostrare questa presa di coscienza e il
cambio di rotta. La cosa più difficile da raccontare è stata la
capacità di rimanere aperti ad ascoltare.”
Il Vittoriale, la casa-museo set del film
Il film è ambientato per buona parte
nel Vittoriale, sul lago di Garda, dove la produzione ha potuto
girare grazie al permesso della fondazione che gestisce la
casa-museo di D’Annunzio.
Ha detto Castellitto, in merito:
“Le case sono la geografia dell’anima di chi le abita, il
Vittoriale è la geografia dell’anima di D’Annunzio, apparentemente
deposito di antiquariato, ma in realtà un sito archeologico. Perché
l’archeologia ci insegna qualcosa del futuro, l’antiquariato no.
Ogni spazio di quel luogo è la raffigurazione della natura di
D’Annunzio. Questo luogo è stato una placenta per lui e il film non
sarebbe stato così bello se non fosse stato per questo
luogo.”
Ma perché definire Gabriele
D’Annunzio “cattivo”, nel titolo del film?“Il cattivo
poeta è una definizione che si diede lui in una lettera –
spiega Jodice – io sono un cattivo poeta, mi occupo di
tendaggi, tappeti, quadri e cornici. È una sua definizione, ironica
e intelligente, e mi sembrava un ottimo titolo, affettuoso, per
raccontare di questo personaggio.”
Il
cattivo poeta arriva in sala il 20 maggio, distribuito
da 01 Distribution.
Ecco il trailer e il poster di
Il Cattivo Poeta, opera prima di
Gianluca Jodice con Sergio
Castellitto nei panni di Gabriele
d’Annunzio, nelle sale dal 5 di
novembre distribuito da 01
Distribution.
Il film racconta l’inverno della
vita del grande poeta e il tramonto di una nazione intera alle
porte della seconda guerra mondiale. Un biopic su una delle figure
chiave della storia moderna, ma poco raccontata dal nostro
cinema.
IL CATTIVO POETA è prodotto
da Matteo Rovere e Andrea Paris,
una coproduzione italo francese Ascent Film e
Bathysphere con Rai Cinema. Nel cast, tra gli
altri, Francesco Patanè, Tommaso
Ragno e Clotilde Courau.
La trama di Il Cattivo Poeta
1936, Giovanni Comini è stato
appena promosso federale, il più giovane che l’Italia possa
vantare. Ha voluto così il suo mentore, Achille Starace,
segretario del Partito Fascista e numero due del regime. Comini
viene subito convocato a Roma per una missione delicata: dovrà
sorvegliare Gabriele d’Annunzio e metterlo nella condizione di non
nuocere… Già, perché il Vate, il poeta nazionale, negli ultimi
tempi appare contrariato, e Mussolini teme possa danneggiare la sua
imminente alleanza con la Germania di Hitler. Ma al Vittoriale, il
disegno politico di cui Comini è solo un piccolo esecutore
inizierà a perdere i suoi solidi contorni e il giovane
federale, diviso tra la fedeltà al Partito
e la fascinazione per il poeta, finirà per mettere in
serio pericolo la sua lanciata carriera.
Un Nosferatu dentro al
suo mausoleo-castello, così Gianluca Jodice definisce il suo D’Annunzio,
alla fine della sua vita, di fronte ai suoi fantasmi e alle sue
disillusioni, il
cattivo poeta condannato all’oblio dal trentennio
fascista e ora raccontato per la prima volta al cinema, da oggi in
sala.
La recensione de Il
cattivo poeta non può esulare dalla precisazione che
si tratta di un’opera prima, un biopic prodotto da Matteo
Rovere e Andrea Paris e che si fa carico
di raccontare gli ultimi due anni di una personalità che si studia
a scuola na della quale la Storia ha consegnato un’immagine
viziata, specialmente rispetto all’ascesa del fascismo in
Italia.
Ambientato tra il 1936 e
il 1938, Il
cattivo poeta coglie D’Annunzio in esilio volontario
nel suo Vittoriale, la monumentale residenza che si costruì intorno
a memoria della sua turbolenta e vivacissima vita, dopo l’esito
disastroso dell’impresa di Fiume. Simpatizzante della prima ora del
fascismo, il Vate si allontana molto presto dagli intenti di
Mussolini, vedendo sotto una pessima luce l’alleanza con quel
“nibelungo che si trucca come Charlot”. Proprio per questa sua
serpeggiante dissidenza, il regime decide di inviare al Vittoriale
Giovanni Comini, giovane federale neo eletto a Brescia e
fedelissimo agli ideali dei partito, che sposa nella speranza di
un’Italia migliore per tutti i suoi abitanti. Una fede cieca e
ingenua, la sua, ma spinta dalle migliori intenzioni. L’incontro
tra D’Annunzio e Comini è il cuore del film.
Jodice firma anche la
sceneggiatura, compiendo un lavoro certosino di ricostruzione
filologica, che si basa su lettere, diari e testimonianze scritte
di quelli che hanno vissuto gli eventi in prima persona. Questa
ricerca così puntuale ha portato alla realizzazione di una
sceneggiatura rigorosa che è la partitura su cui attori e regista
stesso danzano all’interno di recinti definiti che lasciano però
spazio alle interpretazioni e agli sguardi.
Un Castellitto monumentale
Sergio Castellitto e la sua interpretazione
efficace e asciutta è il blocco di granito intorno al quale si
costruisce tutto il film e al quale si appoggia anche
Francesco Patané, vera e propria rivelazione del
film. Il suo Giovanni Comini restituisce tutta la giovinezza, la
bellezza, le speranze e l’ingenuità di un idealista che riesce ad
affacciarsi al mondo con l’animo aperto e accogliente. Ed è proprio
questa caratteristica del federale che lo renderà ricettivo al
dissenso d’annunziano. La sua purezza lo guiderà verso
l’accoglienza di ciò che è giusto e di ciò che è bello, portandolo,
poco per volta, a discostarsi dagli ideali che tanto amava. A pochi
mesi dalla morte del Vate venne infatti allontanato dal partito
fascista.
L’incontro trai due
protagonisti non è solo ideologico e politico, ma anche
esistenziale: un giovane che ha davanti “più futuro che passato”
irrompe in un mausoleo, un monumento ad una vita passata, un sito
archeologico in cui è un pesce fuor d’acqua e di scontra con un
vecchio, di quelli che “amano solo la loro sopravvivenza”, che non
può non essere invidioso di quella giovinezza, ma che in parte la
guarda anche con tenerezza e affetto, perché rappresenta quella
fase della vita in cui l’entusiasmo fagocita anche il lume della
ragione, prima che la guerra si riveli brutta per com’è.
Comini diventa il Jonathan
Harker che si fa benignamente vampirizzare dal vecchio, misterioso
e affascinante Dracula, pur senza soccombere alle sue lusinghe ma,
al contrario del personaggio di Stoker, attingendo da lui nuova
energia vitale per cambiare il proprio destino.
Ottimo esordio per Gianluca Jodice
La regia di Gianluca
Jodice è come la sua scrittura, asciutta ed efficace, capace di
cogliere i momenti senza fronzoli, alla ricerca di una
riabilitazione della figura di D’Annunzio, o almeno di un riscatto
per quell’impegno pubblico storicamente condannato, ma che seppe
prendere le distanze da Mussolini e dalla sua politica estera, quel
Mussolini che nel film è poco più di una figurina, un ometto
tronfio e grassoccio che resta sempre in silenzio e di profilo,
molto più minaccioso e presenta nella sua raffigurazione che nella
sua stessa presenza fisica.
Ne Il
cattivo poeta un ruolo importantissimo è rivestito
dalla scenografia, prima di tutto perché è principalmente reale, il
film è stato girato al Vittoriale, quindi nei luoghi reali di
D’Annunzio, ma anche perché la fedeltà linguistica del film trova
risposta nella fedeltà scenica, nel fatto che ogni ambiente, ogni
oggetto d’arredo è, tutt’oggi, una manifestazione di una volontà e
di una personalità fortissime, invadenti ed esuberanti, un
testamento che si associa alla mole di opere meravigliose e
terribili che il vizioso e nonostante questo illustre Vate ci ha
tramandato.
Il
cattivo poeta è un biopic sontuoso nella
ricostruzione, filologico rispetto allo spirito d’annunziano, nella
scelta degli interpreti e delle loro misurate e vibranti
performance, nella regia essenziale e sapiente, sebbene d’esordio,
nelle scenografie fotografate da Daniele Ciprì, spoglie terrene di
una personalità senza tempo.
Quello del film carcerario è un
sottogenere tanto particolare quanto apprezzato, di solito
declinato in chiave thriller d’azione, ma talvolta capace di
distinguersi anche per la sua collacazione in altri generi. In
generale, l’elemento di base è la presenza di un penitenziario
all’interno del quale si svolgono le vicende principali. Film come
Le ali della libertà,
Il miglio verde,
Escape Plan – Fuga dall’inferno,
Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi o Papillon sono solo alcuni celebri esempi a riguardo. A
questi si può aggiungere anche Il castello, film
diretto nel 2001 da Rod Laurie e basato in
particolare sullo scontro tra il generale Irwin e il colonnello
Winter.
Il rapporto tra questi due
personaggi, in realtà, si discosta nettamente dalla sceneggiatura
originale di David Scarpa. Mentre sia la
sceneggiatura che il film iniziano presentando Irwin come il
protagonista simpatico e Winter come l’antagonista prepotente,
Scarpa scrisse il secondo e il terzo atto del film per dimostrare
che Winter era un brav’uomo e Irwin un violento maestro d’assalto
che brutalizzava gli altri detenuti affinché si unissero alla sua
crociata per sbarazzarsi del colonnello. La sceneggiatura è stata
però riscritta quando Robert Redford ha accettato il film, e Irwin
è rimasto il nobile combattente contro il regno della crudeltà di
Winter.
Ad ogni modo, il film è un ottimo
esempio del genere carcerario e riflette su dinamiche e tematiche
ancora oggi attuali. Per gli appassionati del genere si tratta
dunque di un film da non perdere. In questo articolo, approfondiamo
dunque alcune delle principali curiosità relative a Il
castello. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast
di attori e alla spiegazione del finale. Infine, si elencheranno
anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La trama e il cast di Il castello
Protagonista del film è
Eugene Irwin, un generale dell’esercito che viene
condannato a dieci anni di carcere per aver disobbedito agli
ordini, provocando la morte di otto uomini. Viene così trasferito
in una prigione di massima sicurezza, con a capo il colonnello
Winter. Nonostante inizialmente Irwin non incontri
il favore degli altri detenuti, riesce con il tempo a guadagnarsi
la loro fiducia e a creare forti alleanze. I metodi adottati dal
colonnello, tuttavia, portano l’ex militare a ribellarsi in
numerose occasioni e, successivamente, a essere punito. Si forma
così intorno all’uomo una vera e propria squadra che darà del filo
da torcere a Winter.
Ad interpretare il generale Eugene
Irwin vi è l’attore Robert Redford, mentre James Gandolfini è il colonnello Winter. In
origine questo personaggio avrebbe dovuto fumare sigari, ma
Gandolfini ha convinto il regista ad abbandonare l’idea, perché
sentiva che avrebbe ricordato troppo al pubblico Tony Soprano, il
suo personaggio ne I Soprano (1999). Recita poi nel film
Mark Ruffalonel ruolo di Yates. Egli ha eseguito
le proprie acrobazie durante la scena della battaglia in
elicottero. Completano il cast Steve
Burton nel ruolo del capitano Peretz, Delroy
Lindo in quello del generale Wheeler,
Robin Wrightin quello di Rosalie Irwin e
Clifton Collins Jr. nel ruolo del caporale
Ramon Aguilar.
La scena finale del film
Nel finale del film, a seguito degli
scontri all’interno del penitenziario, Irwin viene colpito a morte
da Winter, il quale cercava di impedire che il generale issasse la
bandiera americana capovolta, indicante pericolo e di richiesta di
aiuto. Anche se ferito, Irwin riesce comunque ad alzare la bandiera
americana, che si svela essere non capovolta ma in posizione
naturale, dimostrando che – nonostante la rivolta – i detenuti si
erano arresi, in attesa della polizia militare, che avrebbe dunque
intrapreso un indagine sulle azioni di Winter. Quest’ultimo viene
ad ogni modo arrestato e il film si conclude sul nuovo muro
costruito dai detenuti come memoriale dei compagni caduti, con i
nomi di Irwin tra quelli incisi sulle pietre.
Le frasi più belle del film
Si riportano qui di seguito alcune
delle frasi più belle e significative pronunciate dai personaggi di
Il castello. Attraverso queste si potrà certamente
comprendere meglio il tono del film, i suoi temi e le variegate
personalità dei protagonisti. Ecco dunque le frasi più belle del
film:
Non venirmi a raccontare che tu sopravvivi: tu ti
nascondi! (Eugene Irwin)
Signori, propongo di assumere il controllo di questo
penitenziario! (Eugene Irwin)
Cinque, condotta indegna per un ufficiale e per un
gentiluomo. (Eugene Irwin)
Molti pensano che essere
ricordati così sia una vergogna per un soldato, ma è tutt’altro che
una vergogna. I più grandi monumenti ai soldati caduti non sono
fatti di marmo, sono in fondo al mare, nel cuore della giungla, sui
campi di combattimento. Un fucile conficcato nella terra, un
elmetto e una piastrina. È questo il tributo che quest’uomo si è
guadagnato. (Eugene Irwin)
Siamo rinchiusi qui dentro come
detenuti e una cosa è certa, le nostre guardie hanno il potere di
umiliarci, di picchiarci, il potere di rinchiuderci in un buco buio
per giorni e giorni ma c’è una cosa che non possono fare: non
possono portarci via quello che siamo e, noi siamo soldati! E
questa è l’unica cosa che ci dà speranza qui dentro e niente al
mondo ce la potrà mai togliere. (Eugene Irwin)
Il trailer di Il castello e dove
vederlo in streaming e in TV
È possibile fruire di Il
castello grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Apple
TV, Paramount+ e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 28
marzo alle ore 21:00 sul canale
Iris.
Ecco il Trailer italino
di Il Castello nel cielo, dal 25 Aprile al cinema. La giovane
Sheeta è tenuta prigioniera dal cinico colonnello Muska a bordo di
un’aeronave diretta verso la fortezza Tedis. Durante il volo, in
una notte rischiarata dalla luna, l’aeronave viene attaccata da una
banda di pirati guidata dall’intrepida Ma Dola, che vuole
impossessarsi del ciondolo che la ragazzina porta al collo. Questo
ha un valore inestimabile: permette di vincere la forza di gravità
e localizzare la leggendaria isola fluttuante di Laputa, dove – si
racconta – sono custoditi immensi tesori e un potere
inimmaginabile. Sheeta riesce però a fuggire, finendo tra le
braccia di un giovane minatore di nome Pazu che, da quel momento,
decide di proteggerla unendosi a lei nella ricerca dell’isola e dei
suoi misteri.
Abbandonato e senza più
una fissa dimora, Tuono è un dolcissimo micino che ha la fortuna di
incontrare Lawrance, un simpatico quanto eccentrico vecchietto con
la passione per la magia. Accolto così nella grande e misteriosa
villa del suo nuovo amico, Tuono dovrà vedersela con il burbero e
scontroso coniglio Jack e la sua inseparabile compare Maggie,
topolino impertinente, che vedono nel gatto un pericoloso rivale
pronto a sostituirli nelle grazie del padrone. Quando però una
minaccia ben più seria si staglia all’orizzonte e il futuro di
Lawrence e della sua grande casa è in grave pericolo, tutti faranno
fronte comune, aiutati dai vecchi giocattoli di latta che abitano
la villa e che sono misteriosamente animati.
Il castello
magico è un divertente film di animazione diretto dal
duo Ben Stassen e Jèrèmie
Degruson pronto ad uscire nelle sale cinematografiche
italiane dal prossimo 1 di gennaio.
Una storia semplice ma
onesta, pulita e a tratti esilarante che probabilmente piacerà al
giovane, anzi giovanissimo pubblico a cui è rivolta.
Un film che non vuole lanciare o
trasmettere messaggi particolari se non quello di sottolineare
come l’amicizia e la solidarietà comune possa e riesca a
vincere sempre contro l’ambizione e l’avarizia. Una serie di
personaggi molto indovinati rappresentano la vera forza propulsiva
del film: dal coraggioso e nobile gattino protagonista della
storia, al malmostoso coniglio in sovrappeso pronto però a pentirsi
e derimersi nel convulso finale sino allo stravagante vecchio mago
che adora stare in mezzo ai bambini. Quindi il misterioso ed
affascinante elemento magico rappresentato da quei bellissimi e
antichi giocattoli pronti a prender vita quando è richiesto il loro
intervento.
Il castello
magico diverte e si guarda con piacere, abbina
sentimento e comicità con garbo ed efficacia, segue un percorso
narrativo semplice ma diretto ed affida il tutto a personaggi dal
tratto chiaro e ben definito, studiati con intelligenza ed
ironia.
Ben Stassen e
Jèrèmie Degruson confermano la loro buona vena
dopo il successo ottenuto con Le avventure di
Sammy, film d’animazione del 2009 che, visto l’ottimo
risultato, fu bissato due anni dopo con Le avventure di
Sammy 2.
Il castello
magico, come detto, uscirà nelle sale italiane a
capodanno e ci sentiamo di poter consigliare la visione ai nostri
piccoli e giovanissimi amici lettori, sicuri che possano
trascorrere 90 minuti piacevoli e divertenti.
Con le voci di:
Roberta Pellini (Sophie), Francesco Bulckaen (Howl), Ludovica
Modugno (Strega delle Lande), Luigi Ferraro (Calcifer), Furio
Pergolani (Markl), Marco Vivio (Rapa), Maria Pia de Meo (Madame
Suliman)
Sinossi:
In un mondo fuori dal tempo che
ricorda la Belle Epoque, la giovane Sophie lavora come stilista di
cappelli: un giorno conosce un misterioso giovane e, subito dopo,
viene trasformata in vecchietta da una strega. Costretta a lasciare
la sua città, che sta per entrare in guerra, Sophie incontra nelle
sue peregrinazioni un misterioso spaventapasseri animato, che la
porta in un castello ambulante, dove vive il mago Howl, proprio il
giovane che ha conosciuto nel suo negozio prima del maleficio. Per
spezzare l’incantesimo suo e di Howl, Sophie dovrà scoprire i
segreti di Calcifer, il demone che anima il castello.
Analisi
Dal romanzo della scrittrice
inglese recentemente scomparse Diana Wynne Jones (tra le preferite
di Jk Rawling, autrice di Harry Potter) primo tra l’altro
di una serie letteraria ma autoconclusivo al cinema, Il
castello errante di Howl è una fiaba di sapore mitteleuropeo e
steam punk in cui l’autore non rinuncia alla sua tirata contro la
guerra, inserendo una minaccia di conflitto nel mondo di Howl e
facendo provenire il suo protagonista da una realtà parallela dove
si riecheggiano i drammi del Ventesimo secolo.
Sophie, protagonista della vicenda,
è un’eroina sui generis, sia quando è giovane, poco appariscente e
dedita al lavoro, sia quando diventa di colpo anziana, affrontando
i problemi dell’età: non è eroica come Nausicaa, somiglia di più a
Chihiro ma a differenza della piccola protagonista de La città
incantata ha i limiti dell’età che le rendono la vita
impossibile, e la strada di ritrovare se stessa, con un nuovo
inizio, percorrendo un viaggio iniziatico diverso ma analogo a
quelli di Nausicaa e Chihiro. A Sophie fa da contraltare Howl,
antieroie bello e vanesio, in cerca della sua anima e di un senso
da dare alla vita, prigioniero di un incantesimo dal quale solo
l’amore potrà salvarlo. E la storia d’amore tra Sophie e Howl è
insolita, ed è in linea con il mondo di Miyazaki, anticonformista e
basato sul rispetto e sulla ricerca di sé e della propria armonia
per trovare il proprio posto, per una vita basata sull’altruismo e
sulla non violenza. Ma Miyazaki, come sempre, non è mai apertamente
moralista, e riesce ad appassionare con un intreccio sognante,
sostenuto da disegni, scenografie e musiche di prim’ordine.
Gli scenari, infatti,
ispirati alla cittadina lorenese di Colmar, sono come di consueto
accurati, e sottolineano l’atmosfera di una fiaba morale, in cerca
di un proprio equilibrio, tra magie e incantesimi senza i quali
bisogna imparare a vivere per essere liberi.
Meno orientale de La città
incantata, Il castello errante di Howl è una fiaba
fuori dal tempo ma metafora della realtà, un viaggio interiore ed
esteriore nell’universo della fantasia, un inno ai rapporti umani
di qualità, oltre gli stereotipi e i luoghi comuni.
Lo Studio Ghibli è
ormai noto nel mondo per i propri film d’animazione, opere di
qualità realizzate con una cura oggi difficilmente riscontrabile
altrove. Veri e propri dipinti in movimenti, i lungometraggi dello
studio giapponese sono oggi celebrati in ogni dove, e tra i più
apprezzati vi è Il castello
errante di Howl, diretto da Hayao
Miyazaki. Distribuito al cinema nel 2004, questo si è
da subito imposto come uno dei migliori titoli d’animazione degli
ultimi decenni, ottenendo importanti riconoscimenti e
apprezzamenti. Ecco 10 cose che non sai su Il castello
errante di Howl.
Parte delle cose che non sai sul
film
Il castello errante di Howl: la
trama del film
10. È ambientato in un mondo
magico. Protagonista del film è la giovane Sophie, la
quale si trova ad essere salvata dal misterioso mago Howl nel
momento in cui subisce un’aggressione. Questi la introduce
involontariamente in un mondo ricco di magia, dove la strega delle
Lande Desolate la trasformerà in un’anziana signora poiché gelosa
del rapporto della ragazza con Howl. Incomincerà così un lungo
viaggio per cercare di spezzare l’incantesimo, e tornare alla
normalità.
Il castello errante di Howl è su
Netflix
9. È disponibile sulla
celebre piattaforma. Lo Studio Ghibli ha
ad inizio 2020 annunciato una partnership con il colosso dello
streaming Netflix. Tutti i
film dello studio sarebbero infatti stati distribuiti sulla
piattaforma digitale nell’arco di due mesi, permettendo così al
pubblico di tutto il mondo di poterne fruire. Il
castello errante di Howl è stato uno degli ultimi
arrivati, divenuto disponibile il 1 aprile.
Il castello errante di Howl è
tratto da un romanzo
8. Il film è un adattamento
cinematografico. In pochi sanno che il film non nasce da
un’idea originale, bensì dall’omonimo romanzo di Diana
Wynne Jones. Pubblicato nel 1986 in Inghilterra, il libro
è il primo di una trilogia fantasy. Divenuto particolarmente
celebre e amato in diversi paesi del mondo, questo ha raggiunto
l’attenzione di Miyazaki, il quale ne comprò i diritti per trarne
un film d’animazione.
7. Nel romanzo non c’è
nessuna guerra incombente. Una delle maggiori differenze
operate in fase di trasposizione è quella inerente al tema bellico.
Nel film infatti il regista inserisce tale elemento poiché
all’epoca particolarmente scosso dalla guerra in Iraq. All’interno
del romanzo, invece, non si accenna ad alcun conflitto
incombente.
6. Alcuni personaggi hanno
subito delle trasformazioni. Per poter inserire nel film
il maggior numero di elementi presenti nel romanzo, alcuni
personaggi sono stati uniti in un’unica figura. Ad esempio, la
celebre maga Suliman, negromante di corte e antica maestra di Howl,
è l’unione di due personaggi del libro: il mago di corte Suliman e
la signora Pentstemmon, maestra di Howl.
Parte delle cose che non sai sul
film
Il castello errante di Howl: i
personaggi del film
5. Il protagonista maschile
ha avuto un celebre doppiatore. Nel corso del film Howl si
rivela essere un potente mago, residente nel celebre castello che
si sposta senza meta per le lande desolate. Nella versione inglese
del film, il personaggio è stato doppiato dall’attore Christian
Bale. Dopo aver visto e amato La città incantata, questi fece di tutto pur di poter
partecipare ad uno dei film del noto studio giapponese.
4. Sophie è stata doppiata
in modo differente a seconda del paese. All’interno del
film il personaggio della protagonista Sophie passa da una giovane
età all’essere anziana, il tutto per via di un incantesimo. Per via
di questa trasformazione, il suo doppiaggio è stato adattato in
modi differenti. In Giappone e in Italia ha infatti la voce di
un’unica attrice per entrambe le età, per la versione inglese
invece si è scelto di assegnare la parte ad un’attrice giovane e
una anziana.
3. Uno dei personaggi è
ispirato ad un simbolo della Seconda Guerra Mondiale. Tra
i personaggi più curiosi e iconici del film vi è quello di Testa di
Rapa. Egli, il cui vero nome è Justin, è in realtà un principe
trasformato in spaventapasseri da un maleficio. Per la sua
realizzazione Miyazaki, grande appassionato di conflitti bellici,
si ispirò al personaggio di Spauracchio, simbolo del 22° Gruppo
autonomo caccia terreste.
Il castello errante di Howl a
Venezia
2. Fu presentato alla Mostra
del Cinema. Nel 2004 il film viene portato nel concorso
ufficiale della
Mostra del Cinema di Venezia, entrando così in
competizione per il Leone d’Oro. Il film non vinse il premio, ma
venne accolto in maniera estremamente positiva da parte della
critica e pubblico, permettendo così all’opera di intraprendere un
ricco percorso all’interno della stagione dei premi.
Il castello errante di Howl: le
frasi più belle del film
1. È ricco di frasi divenute
celebri. I film di Miyazaki sono noti non solo per la
bellezza delle loro inquadrature, ma anche per le frasi ricche di
poesia e umanità che arricchiscono i personaggi. Ecco dunque alcune
tra le frasi più belle del film:
– Ma quanti sono i nomi che usi,
eh Howl? – Solo quelli che mi servono per vivere libero.
(Sophie e Howl)
– Quando sei anziano, tutto
quello che ti va di fare è guardare il paesaggio. È così strano.
Non mi ero mai sentita così in pace prima d’ora. (Sophie)
– Vedi quel nuovo colore sul
quadrante? È un nuovo portale. Un regalo per te. Vieni a
vedere. (Howl)
– A quanto pare il tuo vero
amore è innamorato di qualcun altro! (Strega delle Lande)
Dall’11 al 17 torna al
cinemaIl
castello errante di Howl di Hayao Miyazaki, che
conclude la rassegna di successo “Un mondo di sogni animati” di
Lucky Red che ha conquistato il box office italiano riportando in
sala alcuni dei capolavori dello Studio Ghibli:
La città incantata,
Principessa Mononoke,
Nausicaa della Valle del Vento e Porco Rosso. Il
film sarà proiettato sia in versione doppiata sia in lingua
originale con sottotitoli in italiano.
Candidato al Premio Oscar come Miglior Film d’Animazione, Il
castello errante di Howl è stato presentato nel 2004 alla 61^
Mostra del Cinema di Venezia aggiudicandosi il Premio Osella per il
miglior contributo tecnico. Nel 2005 è arrivato al cinema, in
Italia, in concomitanza con la 62^ Mostra del Cinema di Venezia,
dove Miyazaki è stato premiato con il Leone d’Oro alla
carriera. L’elenco dei cinema dove vedere Il castello
errante di Howl è disponibile
qui.
La trama
Sophie ha 18 anni e lavora nel
negozio di cappelli ereditato dal padre. Un giorno, durante un giro
fuori città, Sophie incontra Howl, un giovane mago che vive a
bordo di un castello che cammina. All’incontro assiste una strega
che, accecata dalla gelosia, manda a Sophie una maledizione
potentissima che la trasforma in una donna di novant’anni. Fuggendo
dal villaggio Sophie riesce a entrare nel castello errante. E il
suo viaggio fantastico inizia.
3 CURIOSITÀ SUL
FILM
Il castello errante di
Howl è tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Diana
Wynne Jones, primo volume della trilogia firmata dall’autrice
britannica, e ha vinto il Premio Phoenix istituito dalla Children’s
Literature Association nel 2006. In un’intervista rilasciata a “The
Daily Telegraph” l’autrice ha dichiarato di aver molto apprezzato
il film. Nel romanzo sono presenti temi cari al regista, come il
pacifismo e le metamorfosi, che hanno fatto da base per lo sviluppo
del film. Temi che nel romanzo sono marginali, come la guerra,
hanno invece trovato più spazio nell’opera di Miyazaki che
all’epoca era molto scosso dalla guerra, tanto che nel 2003 decise
di non presentarsi alla cerimonia degli Oscar per ritirare il
premio per il “Miglior Film d’Animazione” a La città
incantata: non voleva recarsi in un paese che stava
bombardando l’Iraq.
Inizialmente Miyazaki affidò la
regia a Mamoru Hosoda, ma successivamente decise di riprenderla in
mano e occuparsene personalmente. Per la produzione del film sono
stati utilizzati 1400 disegni realizzati a mano dagli artisti che
hanno lavorato a Il castello errante di Howl.
Il
giorno 1 novembre 2022, nella città di Nagakute, in Giappone, verrà
inaugurato il Ghibli Park, primo parco tematico dello Studio, dove,
a quanto pare, sorgerà anche una riproduzione gigante del castello
errante di Howl. Sarà alto circa 16 metri, di certo non si muoverà,
ma sarà visitabile e gli appassionati potranno esplorare le sue
camere.
Ci sono storie personali talmente
travagliate o ricche di eventi da risultare perfette per un romanzo
o un film. Quella di Jeanette Walls è diventata
prima l’uno e poi l’altro. Il suo romanzo The Glass Castle
è infatti stato trasportato sul grade schermo nel 2017 con il
titolo italiano Il castello divetro. Scritto e diretto da
Destin Daniel Cretton, già autore di Shot Term
12, questo è incentrato sulla difficile infanzia dell’autrice.
In particolare si concentra sui continui spostamenti da un luogo
all’altro e nel difficile rapporto con il padre alcolizzato.
Viaggiando nella memoria, sarà così possibile tanto per la
scrittrice quanto per lo spettatore trovare la cura ad ogni
ferita.
Attento nel trattare eventi e
tematiche tanto delicate, il film offre così una storia famigliare
particolarmente coinvolgente, capace di essere tanto specifica
quanto universale. Per raccontare la sua storia, il regista sceglie
di strutturare il tutto su due piani temporali, spostandosi
continuamente dal presente al passato per mostrare gli effetti del
secondo sul primo. Lo stretto intrecciarsi delle due narrazioni
permette così di dar vita ad un intenso dramma, dove il cuore si
ritrova nell’arte di perdonare e saper rimediare. Girato nello
stato della Virginia Occidentale, Il castello di vetro
esalta dunque la fragilità presenti in ognuno di noi, accentuate o
meno dal proprio vissuto.
Apprezzato per le interpretazioni
dei protagonisti, è questo un film che troverà negli amanti di
storie intime e personali il suo pubblico di riferimento. Passato
in sordina al cinema, Il castello di
vetro chiede ora di essere riscoperto in ogni suo più
affascinante aspetto. Prima di intraprendere una visione del film,
però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e alle
differenze tra il libro e il film. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Il castello di vetro
Protagonista del film è
Jeannette, seconda di quattro fratelli, la quale
si ritrova a cresce con la madre Rose Mary
Walls dal carattere particolarmente immaturo, e con
il padre Rex Walls, affettuoso ma con gravi
problemi di alcolismo, a causa dei quali non riesce a mantenere
neanche un lavoro. Quando non è ubriaco, Rex si getta in progetti
sconsiderati, elabora complesse strategie di guadagno e infarcisce
la mente dei figli di aneddoti bizzarri e fantasiosi, che col tempo
alle due sorelle maggiori non bastano più. Spostandosi da un luogo
all’altro, la famiglia sarà costretta a riflettere sulla propria
esistenza, trovandosi a scegliere tra il rimanere o lo scappare e
tentare di sopravvivere. Ormai cresciuta, Jeannette si trova a
ripensare alla propria infanzia, ricercandovi un ordine attraverso
cui poter giungere a nuove consapevolezze.
Il castello di vetro: il
cast del film
Originariamente, ad interpretare i
protagonisti avrebbero dovuto essere gli attori Jennifer
Lawrence, nei panni dell’adulta Jeannette, e Mark Ruffalo e
Claire Danes in quelli dei genitori Rex e Rose.
Tuttavia, a causa di diversi ritardi nella produzione, i tre si
sono trovati a dover rinunciare ai ruoli. Il regista decise allora
di affidare la parte dell’adulta Jeannette alla premio Oscar
Brie Larson,
con la quale aveva già lavorato per il suo precedente film.
L’attrice accettò entusiasta il ruolo, e si preparò a questo
intrattenendo lunghe conversazioni con la vera Jeannette. Parlando
con lei ebbe infatti modo di apprendere tutti i maggiori retroscena
sulla vicenda da raccontare, calandosi emotivamente in quel
contesto. Ad interpretare Jeannette da bambina vi è invece
Ella Anderson, già nota per la serie Henry
Danger.
Il candidato all’Oscar Woody Harrelson
è invece presente nei panni del padre Rex. Per l’attore è stato
particolarmente affascinante dar vita ad un personaggio tanto
complesso, che presenta tanto aspetti positivi quanto altri più
negativi. Naomi Watts è
invece la madre Rose Mary, mentre i tre fratelli Lori, Brian e
Maureen sono interpretati da Sarah Snook, Josh
Caras e Bridgette Lundy-Paine. La
versione adolescente di Lori ha il volto dell’attrice
Sadie Sink, divenuta celebre per aver interpretato Max
nella serie NetflixStrangerThings.
Iain Armitage, ora celebre per il ruolo di Sheldon
Cooper in Young Sheldon, è invece Brian all’età di 6
anni.
Il castello di vetro: le
differenze tra il libro e il film
Nell’approcciarsi all’adattamento
della Walls, gli autori del film hanno deciso di mantenersi quanto
più fedeli possibile a quanto da lei raccontato. Ciò è dovuto anche
al fatto che, trattandosi di una storia vera ed estremamente
personale, sarebbe stato particolarmente irrispettoso attuare
cambiamenti che snaturassero la storia e le sue tematiche. Vi sono
però ovviamente alcune differenze, dovute alla necessità di
adattare il romanzo ai canoni del racconto cinematografico. Mentre
il libro procede in ordine cronologico, partendo dall’infanzia
della protagonista fino ad arrivare alla sua vita da adulta, il
film procede invece in ordine differente. Il regista ha infatti
scelto, come anticipato, di dar vita a due linee narrative che
permettessero di vedere tanto la giovane quanto la adulta
Jeannette.
Il film, inoltre, sceglie di
concentrarsi sul turbolento rapporto della protagonista con il
padre. Ciò ha naturalmente portato a sacrificare una serie di
dettagli ed eventi relativi alla madre e ai fratelli. Alcuni degli
eventi relativi al padre e alla figlia sono inoltre confluiti in
episodi più brevi, come quello relativo ai tentativi di Rex di
insegnare a sua figlia a nuotare. Similmente a quanto raccontato
nel libro è invece l’episodio relativo alla richiesta di Jeannette
al padre di smettere di bere. Piccole differenze si ritrovano anche
nei vari spostamenti della famiglia, con Rex che nel film viene
raramente visto lavorare. Nel romanzo, invece, viene più ampiamente
descritto come questi cercasse continuamente lavoro, faticando però
a tenerne uno in modo stabile.
Il castello di vetro: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Il castello di vetro grazie alla sua
presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming
presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi
di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play e Apple
iTunes. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di
riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un
abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre
presente nel palinsesto televisivo di venerdì 3
febbraio alle ore 21:10 su canale
Rai Movie.
Il castello di
vetro è il nuovo film, diretto da Destin Daniel
Cretton, che racconta su grande schermo la biografia di
Jeanette Wallis, secondogenita di quattro figli di
una famiglia scapestrata. La storia vera, raccontata in un romanzo
scritto dalla stessa Wallis è portato sul grande schermo da un cast
d’eccezione, guidato da Brie Larson nei panni di Jeanette, al fianco
di Woody Harrelson e Naomi Watts, genitori incostanti e
incoscienti.
La storia racconta l’infanzia della
Wallis, la vita vagabonda a causa dello scarso senso di
responsabilità dei genitori, la crescita, il distacco, la presa di
coscienza che una vita del genere rischia di sprecare tutte le
potenzialità che lei, le due sorelle e il fratello hanno, le loro
possibilità di vivere una vita normale, radicata in un posto, in
abitudini, in una condizione sociale accettabile e incastrata in
schemi. Questa condizione Jeanette la raggiunge da adulta,
affermata professionista che, alla vigilia del suo matrimonio,
cerca di recuperare il rapporto con la famiglia, con i fratelli e
con i genitori, soprattutto, ridotti a barboni per le strade della
città.
Lo scontro si risolve in un dramma
concentrato prevalentemente sul rapporto conflittuale di Jeanette
con il padre. E così il regista sceglie di strutturare la storia su
due piani temporali. Da una parte abbiamo il presente: Jeanette è
adulta, ha una vita ordinata e ricca, un fidanzato che presto
diventerà suo marito, e nessuna intenzione di raccontare a nessuno
della sua famiglia, della verità che lei custodisce come uno sporco
segreto, qualcosa di cui vergognarsi. Questo atteggiamento si andrà
ad inasprire nel finale, con l’inevitabile resa dei conti con la
madre svampita e il padre malato e ormai arreso.
Il presente però si intreccia con
il passato, con la vita di Jeanette da piccola: come mai la donna
di oggi odia così tanto la sua famiglia e ne fugge? Il passato
serve a raccontare questo rapporto, e così vediamo una coppia di
genitori senza alcun senso di responsabilità, una madre senza
attenzione per i figli, un padre dedito all’alcol e dalla facile
ira, che però nutre un affetto istintivo e viscerale per questi
bambini, in particolare per la sveglia Jeanelle, a cui promette di
costruire una casa tutta progettata in vetro, il castello
di vetro del titolo, simbolo di un’utopia, ma anche di un
sogno che piano piano finisce per affievolirsi.
E così, mentre la parte ambientata
nel presente si radica nel passato e si conclude con il confronto
definitivo, quella ambientata nel passato percorre la strada che ha
portato Jeanelle e i fratelli alla consapevolezza di doversi
allontanare per sopravvivere.
Nonostante la grande potenza del
racconto, che si avvale anche del valore aggiunto della verità
della storia, Il castello di vetro di
Destin Daniel Cretton è un dramma fiacco, al quale
non bastano performance di livello per spiccare, un film che male
si amalgama nel racconto delle due linee temporali e si perde lungo
la strada, preferendo l’enfasi all’emozione autentica.
Ci pensa la moglie – e aiuto
regista – di Carlo Mazzacurati, Marina
Zangirolami, a definire il lavoro che resterà purtroppo
l’ultimo nella carriera del regista, scomparso a gennaio.
“Postumo è una parola che non si adatta per niente a questo
lavoro”, dice (a lei e alla figlia Emilia è dedicato) “A
questo film Carlo teneva tantissimo, vi hanno lavorato le persone
che più adorava”. A sottolineare non solo una lezione di vita e
cinema, ma un’attitudine cui non si può rinunciare proprio oggi:
quella di chi ha saputo guardare la realtà “con gli occhiali
dell’ironia”, come afferma Isabella Ragonese –
protagonista accanto a Valerio Mastandrea –
“allergico alle frasi fatte” e alla retorica, come
sottolineano tutti i presenti. Si tratta ovviamente de
La sedia della felicità, ultimo film del
regista Carlo Mazzacurati, scomparso di recente lasciando un grande
vuoto nel cuore del suo pubblico e dei suoi collaboratori.
Com’è stato lavorare con
Mazzacurati? Un suo ricordo
Valerio Mastandrea:
“Ricordo un grande entusiasmo quotidiano, più che le difficoltà
tecniche e fisiche. Avrei voluto lavorare con lui molto tempo
prima. Era un uomo di cinema da cui avrei potuto imparate molto.
Parlavamo di Dino in terza persona. Condivideva il mio scollamento
dal personaggio”.
Giuseppe Battiston:
“Questo film ha un cast ricchissimo. Mentre lo preparava,
gli chiedevo stupito se pensava che gli attori avrebbero
tutti accettato. Lui mi rispondeva: chi vuoi che dica no a un
povero malato? Questo racconta il suo modo di affrontare il
mestiere e la vita. Il suo occhio così umano e divertito mi
mancherà”.
Isabella Ragonese:
“Ho dei ricordi personali molto belli, che tengo gelosamente per
me. Questo film mi ha insegnato che il nostro mestiere ci fa
continuare a vivere. Rivedendo i suoi film possiamo risentirlo
vicino. Qui, poi, non si ride per dimenticare. La sua ironia è un
modo di vedere le cose con la giusta distanza”.
Come sono nati film e
titolo?
Angelo Barbagallo:
“Il figlio del montatore (di tre anni), ha trovato il titolo del
film. Ne era il più grande fan, ma non amava il titolo precedente
(La regina delle nevi). Ci ha suggerito questo e noi gli abbiamo
regalato una delle sedie. Il tono di Carlo era sempre
scanzonato e ironico, di leggerezza e divertimento intelligente.
Questo forse è il film che lo rappresenta di più”.
Marco Pettenello:
“Carlo aveva già narrato il disagio e la fatica di abitare in
Italia in questi anni, un paese andato un po’ in malora. Qui, ha
voluto descrivere come in questo mondo ci sia ancora vita, amore,
rabbia: materiale da cui trarre una storia che si può raccontare a
un bambino”.
Doriana Leondeff:
“Il desiderio di leggerezza che c’è in questo film è precedente
alla malattia di Carlo, come la prima stesura della sceneggiatura.
Poi, la malattia gli ha permesso di arrivare al cuore allegro delle
cose. Non solo non pensavamo che sarebbe stato il suo ultimo film,
ma ne stavamo scrivendo un altro, da girare in Toscana, tra i
vigneti di Bolgheri, con Mastandrea e tanti altri”.
È possibile che venga fatto da un
altro regista?
D.L.: “Non era
ancora una sceneggiatura, ma un soggetto in fase di
elaborazione,lontano dall’essere compiuto”.
Che personaggio è Bruna?
I.R.: “Per
Carlo, Bruna somigliava a un’eroina di Miyazaki: una ragazza
normale, che si ritrova in avventure rocambolesche in cui tira
fuori la sua grinta. Abbiamo pensato questa estetista molto
colorata, quasi uno sponsor del suo mestiere”.
Negli ultimi anni, nei film di
Mazzacurati la sceneggiatura si era inspessita?
M. P.: “Come
spettatore, negli ultimi anni Carlo era più amante del cinema
americano eccentrico (fratelli Coen, Wes Anderson) che di quello
europeo. Aveva meno paura del cinema artefatto e di usare la
fantasia”.
Al cinema in 150 copie dal 24
aprile, in preview parziale su Rai Movie il 22 aprile.
Un’iniziativa davvero toccante
quella che in questi giorni sta vedendo protagonista il cast di
gran parte delle grandi produzioni Marvel. Chiamati a raccolta
da Sophie Caldecott, le star dell’Universo
Cinematografico Marvel si sono schierati a sostegno del padre della
donna che, malato terminale di cancro, avrebbe espresso come ultimo
desiderio la possibilità di vedere Captain America
The Winter Soldier, la cui versione Home Video
potrebbe giungere nei negozi quando ormai sarà troppo tardi per
l’uomo.
Come gesto di solidarietà, molte
delle star Marvel hanno postato una serie di selfie attraverso i
propri profili twitter, tali immagini fanno capo all’hashtag
#capforstrat, qui di seguito ve ne mostriamo un’estratto:
La Black List di Hollywood spesso
permette a sceneggiatori sconosciuti di vedere i propri lavori
prodotti da registi e attori importanti. Per The Oranges, dark
comedy che nel 2008 occupava la seconda posizione di pochissimo
staccato dal primo classificato The Beaver, ci sono voluti due
anni, ma il film è finalmente entrato in produzione grazie alla
Olympus Pictures.
Paolo Virzìtorna allaMostra internazionale d’arte
cinematografica. DopoNotti Magiche(2018),
quest’annopresenta aVenezia 79Siccità,
un film corale, satirico e calato nel reale. Il lungometraggio è
nato durante il periodo delle zone rosse e dei lock-down e si basa
sulla sceneggiatura scritta dal regista insieme ai suoi
co-sceneggiatori storici, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. Al team si aggiunge come ”alter-ego del
gruppo” Paolo
Giordano, autore del
celebre saggio sulla pandemia Nel Contagio (2020).
Siccità è ambientato
in una Roma totalmente prosciugata dove non piove da tre anni.
L’erogazione contingentata dell’acqua e gli scarafaggi che
pervadono la città danno del filo da torcere ai personaggi del
film. Nessun protagonista, ma tante personalità che incarnano i
lati drammatici e ironici degli italiani messi a contatto con un
problema globale. La dottoressa angosciata(Claudia
Pandolfi), il ”professore” onnipresente in televisione
(Diego Ribon), le vittime dei tagli sul lavoro
(Max Tortora,
Valerio Mastandrea), i ricchi (Vinicio
Marchioni,
Monica Bellucci), gli acculturati (Elena
Lietti, Tommaso Ragno), i giovani
(Sara Serraiocco), tutte le categorie tendono ad
assomigliarsi nei momenti di crisi.
L’attualità raccontata in tempo
reale
Il regista ha scelto di raccontare
subito, non appena ha potuto, un periodo assurdo e reale, quello
della pandemia globale, attraverso una storia paradossale ma
plausibile. ”Siccità era un film ambizioso e anche molto
pazzo da realizzare nel momento in cui citrovavamo”, esordisce Paolo Virzì.
”Era doveroso affrontare questo tema
subito. Noi, come cineasti sentiamo di avere un piccolo ruolo:
raccontare il nostro tempo, le nostre vite. Ci siamo
tuffati a sognare. Attraverso una visione quasi fantascientifica,
abbiamo immaginato una Roma deldopodomani.”
In realtà, il film
di Virzì è ancora più attuale di quanto
il regista potesse programmare. Accanto al tema dell’epidemia,
viene affrontato quello del cambiamento climatico. Il
lungometraggio esce in sala il 29 settembre, dopo
un’estate di siccità, caldo torrido e fiumi in secca. Un’epidemia
scatenata dalle blatte, un virus legato ai pipistrelli. Ma anche il
Tevere prosciugato nella finzione e il Po nella realtà.
La necessità di fare un film
collettivo
Virzì ripercorre le prime tappe della
scrittura di Siccità, quando durante il lock-down
fantasticava insieme agli sceneggiatori. ”In un’epoca in
cui le strade erano vuote, sognavamo unaRoma caotica,
sognavamo di affollare le strade davanti alla macchina da presa
con vicende e esseri umani, con angosce nuove e
indecifrabili, infelicità, frustrazione.”
Il regista evidenzia la volontà di
fare un film sì corale e affollato, ma dotato di senso.
Siccità parla di
connessioni: tutti i suoi personaggi sono in
qualche modo legati tra loro. La scommessa del
film era quella di ”Prendere temi globali come quello della
pandemia e dell’estinzione e comporreun grande mosaico
narrativo che avesse in sé la potenza
dell’arte cinematografica e del grande schermo, un film dotato
di forza emozionale e dell’ambizione di sfidare il futuro, la
speranza di tornare in sala”.
Riguardo al tono emotivo di
Siccità, lo sceneggiatore Paolo
Giordano aggiunge ”Il periodo della pandemia darà
frutto a molte narrazioni esangui, di personaggi soli e
abbandonati. Al contrario, da questo team io ho tratto la forza e
la voglia di un mondo affollato, caotico, a volte un po’ nevrotico
ma pieno di convialità e voglia di stare insieme”.
Riguardo ai ruoli creati,
anche nei precedenti film scritto
con Virzì e Archibugi, Francesco
Piccolo confessa: ”Noi non abbiamo mai voluto
fare troppe distinzioni tra buoni e cattivi, essi non sono
troppo diversi tra di loro e tutti meritano di essere
amati.” Continua: ”Abbiamo sempre creato personaggi
da amare molto anche nelle loro meschinità. E, in essi, abbiamo
voluto costruire una speranza. Tutti in
Siccità hanno la sensazione di essersi
staccati dal mondo e di volersi ricongiungere con esso.”
Uno zoom sul cast
di Siccità
Virzì ha poi
giustificato le sue scelte in termini di casting. Gli interpreti
sono tanti nomi importanti del cinema italiano e ognuno di loro
incarna un diverso modo di essere. Il regista parla del cast come
parlerebbe dei membri di una grande famiglia, raccontandone
aneddoti e qualità: da Elena Lietti, che ha
iniziato come comparsa sul set de La
pazza gioia, alla difficoltà fisica nel riuscire a far
entrare l’altissimo Max Tortora in
un’inquadratura orizzontale. ”Claudia
Pandolfi è mia sorella, è come se
avessimo un DNA livornese in comune. Ho voluto usare il suo colare
per portarlo in un personaggio gelido.” Continua:
‘‘Agli inizi della sua carriera,
Silvio Orlando era un clown puro, sapevo che
avrebbe potuto riprendere quel personaggio buffo simile a Charlot e
portalo in Siccità.”
C’è una prospettiva salvifica
in Siccità?
Nonostante lo scenario apocalittico,
nonostante la frenesia del film, alla base
di Siccità c’è una visione ottimista. Ci si
chiede se il film voglia offrire una prospettiva salvifica.
Virzì afferma: ”C’è una speranza nel
film, che emerge raccontando il naturale, il destino dell’uomo
sulla terra. Non aspettatevi da noi [del cinema] risposte, ma
sicuramente è un invito ad alzare lo sguardo.”
Il regista conclude: ”Perché, in
fondo, l’arte di raccontare è la vera medicina. Se
parli di grandi temi e non tieni conto di una persona, dei suoi
amori e delle infelicità, rischi di non capir nulla. Solo se ti
avvicini alle persone ne cogli tutta la forza.”
Arriva la conferma che l’edizione 2013
degli Oscar sarà tutta da gustare ed
oggi arriva la conferma che il cast di Les Misérables si
esibirà alla Notte degli Oscar 2013.
In seguito alla notizia della
triste scomparsa di Richard Attenborough, il
regista di Jurassic World,Colin
Trevorrow, ha postato via Twitter un’immagine per rendere
omaggio all’attore e regista britannico che, nei primi due film
della saga di Jurassic Park, aveva
interpretato John Hammond. La foto ritrae proprio
una statua dell’iconico personaggio, ed è stata probabilmente
scattata sul set del nuovo film. L’immagine, che vi presentiamo di
seguito, è stata accompagnata dalla scritta: “In
memoria”.
Il nuovo film è ambientato 22 anni
dopo gli eventi terribili del film originale Jurassic
Park. Vi ricordiamo che Jurassic
World, attualmente in fase di riprese è diretto dal
regista Colin Trevorrow e uscirà
al cinema negli USA il 12 Giugno
2015. Trevorrow ha scritto la
sceneggiatura con Derek
Connolly. Steven Spielberg, Frank
Marshall e Pat
Crowley sono i produttori. Protagonisti della
pellicola sono al momento confermati Chris Pratt, Bryce Dallas
Howard, Ty Simpkins, Jake Johnson, Nick Robinson, Andy
Buckley e Irrfan Khan.
Jurassic
World sarà diretto da Colin
Trevorrow (Safety Not Guardanteed),
accompagnato nella sceneggiatura da Derek
Connolly, e arriverà in 3D nelle sale USA a partire
dal 12 Giugno 2015. Frank
Marshall e Pat
Crowley sono i produttori della
pellicola. Spielberg sarà il produttore
esecutivo del sequel e affiancherà il regista nella lavorazione del
film. In questo quarto capitolo saranno inseriti nuovi dinosauri
acquatici, ma soprattutto un nuovo temibile dinosauro che potrebbe
essere l’erede del famoso T-Rex che tutti noi ben conosciamo. La
trama completa rimane ancora incerta e nascosta. Dovremo aspettare
ancora un po’ per conoscere la storia e i suoi segreti, almeno fino
a giugno 2015.
Dopo la proiezione stampa del film
Immaturi – il viaggio, la produzione, il regista
Paolo Genovese e il cast orfano di un febbricitante Ricky Memphis
hanno incontrato la stampa per parlare di maturità, gelosie,
tradimenti e isole greche. La prima delle domande ad essere stata
posta ha infatti messi l’accento su come si sia arrivati alla
realizzazione del secondo episodio dei neo-maturati di ritorno.
Questa mattina al The Space Cinema
di Piazza Repubblica a Roma è stato presentato il film Figli delle
stelle. Presenti in sala l’intero brillante cast, il regista e gli
sceneggiatori.
The Girl with the Red Riding Hood,
il nuovo adattamento gotico di Cappuccetto Rosso diretto da
Catherine Hardwicke, si arricchisce ora di grandi attori.
Il cast principale, il regista Luca
Miniero e la produzione di Benvenuti al Sud hanno incontrato la
stampa nelle sale del cinema Fiamma, per raccontare il loro lavoro
in Benvenuti al Sud.
Poco prima della premiere mondiale
di Avengers: Age of Utron tenutasi ieri
al Dolby Theatre di Los Angeles, i Vendicatori sono stati ospiti
del Jimmy Kimmel Live Show.
Il gruppo si è detto entusiasta di
aver avuto l’opportunità di lavorare ancora una volta insieme e si
è dimostrato, ancora una volta, più che affiatato (“We are a
team!”).
Scarlett Johansson,
incinta nel periodo delle riprese, ha ricordato l’imbarazzo di
dover vestire la nota tutina attillata della Vedova Nera, e
Mark Ruffalo quello di dover indossare il
“man-canceling suit” per il suo Hulk (un costume che – come lui ha
definito – “ti fa sembrare piccolo dove vorresti sembrare grande e
grande dove vorresti sembrare piccolo”).
Gli attori hanno commentato
divertiti qualche fan art (soprattutto illustrazioni sulla
relazione “romantica” tra Hulk e Iron Man e dei sexy Thor e Capitan
America) e risposto alle domande dei fan, collegati in diretta con
la trasmissione.
I protagonisti di
Avengers: Age of Utron hanno poi preso
parte ad un’edizione “Avengers” del famoso quiz Family Feud (ha
vinto il team Vedova Nera-Iron Man-Thor).
Il film di Josh
Wedon, che vede tra i protagonisti anche Samuel L.
Jackson, Elizabeth Olsen, Aaron Taylor-Johnson e
James Spader, uscirà nelle sale il 22 aprile.
Preferisce stare in piedi e far
accomodare il suo nutrito cast, Francesco Maria Dominedò. Presenta
così alla stampa 5 (Cinque), di cui è regista, e
che definisce un “fumettone”. Clima rilassato nel gruppo, grande
complicità, continui scambi di battute, risate. Tutti presenti i
protagonisti, eccetto Alessandro Terzigni. C’è poi il produttore
Valter D’Errico e molta parte del cast femminile.
Conferenza stampa affollata alla
Casa del Cinema per la presentazione de L’industriale, ultimo
lavoro di Giuliano Montaldo, che sarà nelle sale italiane da
venerdì 13 gennaio, distribuito in 85 copie. Presenti i
protagonisti, Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini, ma anche
Elisabetta Piccolomini, Francesco Scianna, Elena Di Cioccio, Gianni
Bissaca, lo sceneggiatore Andrea Purgatori, il produttore Angelo
Barbagallo, e Paolo Del Brocco di Rai Cinema che coproduce la
pellicola e la distribuisce con 01 Distribution.
Montaldo dimostra con
questo film che il suo sguardo su quello che avviene in Italia e
nel mondo non si è mai affievolito e continua a essere interessante
e di forte attualità
Giuliano Montaldo: “Quando abbiamo pensato questo film, un po’
di anni fa, (…) non era così: c’era un mare in burrasca, ma non
c’era certamente lo tsunami che adesso ha colpito tutta Europa e
non solo. Adesso la situazione è grandemente peggiorata”. Riassume
la trama del film (che vede protagonista Favino nei panni di Nicola
Ranieri, industriale travolto dalla crisi che rischia di veder
fallire l’azienda che ha ereditato, creata dal padre, ex operaio,
assieme ai suoi compagni di lavoro. Crisi che diventa presto
esistenziale e travolge il suo rapporto con la moglie
Laura/Carolina Crescentini, facendo emergere il lato peggiore di
lui). Poi torna a parlare di come la realtà oggi vada oltre la
finzione e questa crisi sia più difficile da risolvere di tante
altre nel passato: “(…) Stiamo leggendo ogni giorno cose terribili.
Io continuo a non capire. Leggo sui giornali: oggi hanno bruciato
200 miliardi, ma chi è il piromane? Dov’è il fumo? Perché non
arrivano i pompieri? Non lo so.” “Una volta ce la sbrigavamo da
soli, era l’Italia, se la zecca ti dava un po’ più di soldi (…),
poi magari con qualche piccolo sacrificio, si rimettevano a posto
le cose.” Mentre oggi la crisi è europea: “Ma il cerino sta
bruciando anche nelle nostre mani, ci stiamo scottando tutti. È
chiaro che in un periodo come questo, com’è accaduto al nostro
industriale, Ranieri, nel film, accade che le banche chiudono gli
sportelli, che gli usurai sono pronti a divorare chi ha bisogno di
aiuto.”
A Crescentini e Scianna:
cos’ha rappresentato per voi lavorare con un maestro come Montaldo?
Come avete lavorato sul personaggio? Cosa vi ha dato? Anche a
Favino, parlaci del ruolo di questo industriale.
Carolina Crescentini per questa sua
seconda esperienza con Montaldo parla di “gioia infinita” e
aggiunge che “il suo set è assolutamente speciale. C’è una
concentrazione, un’ironia, una semplicità che non si trovano
facilmente”. Riguardo al suo ruolo spiega: “Il mio personaggio era
una donna in crisi, che compiva anche delle azioni sbagliate,
perché era confusa.” E sul metodo di lavoro: “Mi sono dovuta far
travolgere dalla sua crisi e soprattutto ho dovuto smettere di
giudicarla. Infatti, il primo istante è stato di giudizio e non
riuscivo a capire alcune azioni: anche questo interesse per
Gabriel, in realtà è il risultato della confusione, del provare a
essere vista da qualcuno, provare a sentirsi leggera o speciale.
Quando ho gettato l’ascia del giudizio siamo entrate in contatto,
ed è stato bello. Chiaramente mi ha lasciato con un po’ di
bruciature che poi pian piano si sono risanate.”
Entusiasta anche Francesco Scianna,
che del lavoro col maestro dice: “La cosa che ho percepito
ancora di più lavorando con lui è che la cultura e la conoscenza
sono anche leggerezza (…). Essere diretti da un grande maestro è
fondamentale, perché riesci a entrare in profondità nel lavoro,
nella conoscenza del personaggio, e anche nel gioco di lasciarsi
andare all’istinto, ma con la sicurezza (…) che dietro la macchina
da presa c’è una figura che conosce bene i meccanismi
dell’interpretazione e del racconto” Questo, dice, “è un
regalo bellissimo” ricevuto da parte di Montaldo. Riguardo al
personaggio: “E’ stato bello per me perché è nuovo rispetto a
quelli che ho interpretato finora” soprattutto, aggiunge, è stato
bello poter “lavorare su un personaggio doppio, che fa i propri
interessi a discapito del suo cliente. (…) Non lo stimo come
professionista, però non l’ho giudicato mentre lavoravo,
semplicemente mi ci sono abbandonato”
Pierfrancesco Favino: “Io sono
stato rapito da Giuliano il giorno in cui, incontrandolo a casa
sua, dopo aver iniziato a parlare del film (…) e a un certo punto
mi offre un caffè – che fa lui e di cui è orgogliosissimo
(…), è il nostro Clooney… – mi porta nel bagno di servizio e mi
dice: ‘Alla fine del nostro lavoro, tu finirai qui’. Perché lui ha
tutte le sue locandine in bagno, e questo la dice lunghissima sulla
leggerezza e la serietà di cui parlava prima anche Francesco. Io
sono stato rapito da questa cosa qua e sono molto, molto
orgoglioso, per chiunque di voi che avrà occasione di mingere in
casa Montaldo, di trovare il mio faccione lì.”
Questo film ci riporta alla
tradizione del grande cinema italiano di racconto della nostra
società, di denuncia, che ci fa pensare ai toni di Una vita
difficile, o altri grandi film. Perché in Italia per così tanto
tempo non abbiamo avuto cinema di questo tipo? Quanto è difficile
realizzarlo? Potrebbe tornare ora? Una considerazione sul “cinema
della crisi”, che è anche, come in questo film, crisi esistenziale:
cosa succede alle persone nella crisi?
G.M.: “Di crisi ne ho viste
tante” Racconta, specie nel cinema, dove già si parlava di crisi ai
tempi dei suoi inizi come attore, nel 1950. Ma, “il cinema italiano
ce l’ha fatta, ha superato molte crisi, si è inventato di tutto,
s’è inventato il western all’italiana, ha inventato i film che
Tarantino considera dei capolavori”. Tuttavia, dei problemi pratici
si pongono, come quello di trovare produttori e distributori
disponibili ad investire in progetti di questo tipo. E a tal
proposito Montaldo dice: “Dobbiamo dire grazie (…) a Rai Cinema e a
01 Distribution che tiene alta questo tipo di qualità, devo dire
grazie a un produttore come il mio amico Angelo Barbagallo, che ha
detto sì subito ad un’impresa che all’inizio poteva essere
disperante.” E ricorda come non fosse facile neanche in passato:
“C’ho sempre messo tre, quattro anni a convincere qualcuno a fare
dei film” Anche per Sacco e Vanzetti, a proposito del quale,
racconta, qualcuno che non voleva produrlo disse: “Che è ‘na ditta
de import-export? (…)”. Rivendica poi le sue scelte ribadendo: “Ho
scelto imprese difficili, però volevo raccontare la mia
insofferenza per l’intolleranza, l’ho raccontata con questi
film”.
Ci metti un po’ per fare i
film, quindi non potevi avere già in tasca tutto quello che è
successo negli ultimi anni (per esempio Pierfrancesco sembra uno di
quegli imprenditori che si sono suicidati ultimamente). Come sei
andato a pescare qualcosa che non era ancora successo, come l’hai
trovato?
G. M. “Nel film c’è una scena
con una fabbrica occupata (…). Volevamo cercare una fabbrica
occupata vera (…) a Pinerolo, ma di andare nelle fabbriche
dismesse, occupate o in crisi non ce la siamo sentita, allora
chiedemmo l’autorizzazione ad una fabbrica in funzione, una delle
poche a Pinerolo che aveva un grande successo. Nella notte il
nostro (…) scenografo (Frigeri), si mise a lavoro, mettendo
striscioni (….), fotografie dei figli, scegliendo gli operai uno
per uno, truccati eccetera … E’ scoppiato un casino che non
immaginate: la gente è arrivata, gruppi di persone disperate (…).
Abbiamo dovuto dire: è cinema. Questo accade quando la finzione
diventa realtà. La crisi c’è. È profonda ed è drammatica: quel
giorno abbiamo dovuto quasi abbracciare persona per persona, per
rassicurarli che i familiari fossero dentro a lavorare”.
A Pierfrancesco, una
considerazione “critica”: hai fatto Cosa voglio di più e
L’industriale, che secondo me hanno tantissimo a che vedere l’uno
con l’altro, perché entrambi raccontano la precarietà di un mondo
come il nostro, il momento di difficoltà che poi si tramuta in una
precarietà sentimentale assoluta. Mi faceva piacere una tua
riflessione su questo.
P. F. “Io di mestiere faccio
l’attore e quello che le storie raccontano è quello che capita alle
persone (…). Sicuramente siamo colpiti contemporaneamente nelle
tasche ma forse più gravemente, almeno dal mio punto di vista forse
un po’ ideologico, nella nostra emotività. E questo è quello di cui
non si parla mai, fino a quando non si arriva ai gesti di cui si
parlava prima.” E a proposito di questo ritardo nell’affrontare
certi temi, ricorda che già nelle cronache di cinque anni fa
c’erano casi di imprenditori, fabbriche e lavoratori in difficoltà.
ma in quanto attore, afferma di non essere interessato “alla
storicizzazione o alla politicizzazione degli eventi” “A me
interessa sapere che cosa accade ad un uomo. In questo caso, o nel
caso di Cosa voglio di più, accade che [la situazione economica e
sociale] influisce enormemente su quello che puoi sentire,
addirittura su quello che tu puoi permetterti, in alcuni casi, di
sentire.” Ma sottolinea anche come a risentire di questa crisi, di
questa precarietà, non siano solo i quarantacinquenni come Nicola,
protagonista del film: “Trovo che si parli sempre poco di quello
che succede tra i 18 e i 25 anni, quando le persone si iniziano a
formare un’identità attraverso il lavoro”. “Dal punto di vista
propulsivo per una società, togliere a (…) questi ragazzi la
possibilità di sentirsi integrati (…) è molto grave, (…) e le
conseguenze si raccolgono dopo”. Descrive poi il personaggio di
Nicola come “un uomo che (…) usa una virtù nel lavoro, che è la sua
tenacia. La stessa virtù nel lavoro, nell’ambito familiare,
pratico, diventa il suo difetto, la sua condanna.” E aggiunge:
“Ora, una riflessione su quello che è significato in questi ultimi
vent’anni l’aggressività, l’arroganza come aspetto vincente
dell’essere umano, in particolare maschile, (…) secondo me va
fatta. Credo che sotto questo film ci sia tutto questo, e che sia
meravigliosamente lasciato dall’intelligenza di Giuliano e di
Andrea (Purgatori ndr) a una deriva di fiction.” E su un aspetto
fondamentale del personaggio di Nicola, la solitudine, precisa:
“Una emozione che sente moltissimo chi si trova in una situazione
del genere, è la solitudine, è il fatto di pensare che il mondo gli
si rivolti contro, solo a lui. Vedere rappresentato in un film
questo, è qualcosa che non dico dia speranza, ma ti fa pensare che
non sei solo, perché quando hai i debiti, pensi che (…) ci
sia una scatola che ti si sta chiudendo intorno e nessuno lo
capisce, che sei solo, che sei abbandonato a te stesso.”,
rivendicando anche l’utilità del cinema in questo senso: “Vedere
tutto ciò rappresentato in un film, ora che sembra che si possa
parlare di crisi, (…) credo che abbia un valore molto importante.
(…) Secondo me, fa bene, perché ti fa capire che ci sono altri
nella tua stessa condizione. Negarlo e dire: il pubblico vuole
ridere e basta, secondo me è sbagliato”.
Andrea Purgatori: “(…) Io
venerdì sarei molto felice se Passera e Monti andassero all’Adriano
a vedere questo film, perché se è vero che il cinema italiano
riesce o riprova a raccontare questo paese, è anche vero che chi
guida questo paese forse può avere un punto di vista, una
intuizione, un suggerimento, una suggestione da una storia che, pur
essendo di cinema, può aiutarli ad avere uno sguardo più ampio di
quello che si può avere all’interno di una stanza, per quanto possa
essere grande la stanza di Palazzo Chigi. Mi auguro che Monti e
Passera vadano a vedere questo film anche per un altro motivo: (…)
domenica Monti è andato da Fazio (Fabio Fazio, conduttore di Che
tempo che fa ndr), riconoscendo in qualche modo al servizio
pubblico la capacità di poter spiegare ciò che la politica in
questo momento drammatico sta facendo, dando alla televisione
pubblica un riconoscimento di elemento strategico, fondamentale
nella vita di un paese. Se vanno al cinema a vedere questo film, ma
non solo questo, forse danno anche al cinema un riconoscimento di
elemento strategico nella conservazione, nello sviluppo e nel
mantenimento della cultura italiana, e della nostra capacità
di raccontare”.
Com’è nata l’idea di questo “quasi bianco e nero”,
di raccontare questa storia con questo stile che le dà una
drammaticità, una forza particolare?
G. M.: “Normalmente, finita la
sceneggiatura, faccio degli appunti (…), un’analisi di quello che è
scritto in sceneggiatura per dare ai collaboratori degli elementi
ulteriori. (…) Tra i primi appunti c’era scritto: ‘Questo film io
lo penso, lo vedo, lo sogno in bianco e nero. So che è una
provocazione, che sarà molto difficile arrivarci, ma non riesco a
immaginarlo che così (…), una storia che non ha colore, il colore è
fuori scena’. Devo dire che, quando il direttore della fotografia
Arnaldo Catinari mi ha portato a Cinecittà, mi ha detto: ho una
sorpresa per te (…. E mi ha cominciato a far vedere queste immagini
desaturate con questa nuova tecnologia (…). È cominciato lì il
passaggio. (…) Quando anche il nostro produttore è venuto a vedere
questo esperimento, l’ho visto subito aderire, come anche Rai
Cinema, a questa idea.” Mentre, riguardo a personaggi come il
banchiere presente nel film (interpretato da Roberto Alpi), che
approfittano delle disgrazie altrui per fare profitti, dice senza
mezzi termini: “Ma che sciacalli!”, e aggiunge: “Non si deve dire:
approfitti di chi è in mezzo ai guai, così lei fa un affare. È
sciacallaggio. Come si chiama? Portatemi altri nomi e io sarò
felice di ascoltarli.”
Il contrasto “caldo-freddo”
di cui si parla nelle note di regia, e che emerge durante tutto il
film, è anche legato al concetto di vergogna? Come avete lavorato a
questo aspetto e in generale alla sceneggiatura per arrivare a un
risultato così buono?
A.P.: “Innanzitutto, Giuliano
Montaldo, grande autore del nostro cinema, è (…) tra i pochi che
hanno profondo rispetto per la scrittura di un film. (…) Non solo
ha rispetto per chi scrive il film, ma ha anche la capacità e la
lungimiranza di capire che se non si fa imprigionare dall’essere
semplicemente coautore della sceneggiatura, può accettare di andare
molto oltre e di migliorarla. Questa è una qualità rara nel nostro
cinema, dove invece stranamente, ci si sente autori solo se si fa
tutto: si scrive, si gira ecc … Questo secondo me è un primo
elemento importante, perché quando abbiamo scritto, Giuliano è
stato sempre molto attento negli stimoli e molto capace di aiutarmi
all’interno delle scene, a tirare fuori quel caldo e freddo ogni
volta che ce n’era bisogno, perché mentre io scrivevo lui stava già
lavorando con la testa per cercare di capire come interpretare e
andare oltre la sceneggiatura. Questa è stata un po’ la chiave.”
Inoltre, sempre sull’elaborazione di soggetto e sceneggiatura:
“Questa crisi non la scopriamo nella tragicità di oggi, è una crisi
che si vedeva benissimo anche due o tre anni fa. In questo
naturalmente c’è l’intuizione che ha avuto Giuliano insieme a Vera,
di immaginare un soggetto da calare dentro questa crisi, e poi c’è
il lavoro fatto per cercare di mettere in scena una realtà: quella
delle banche, dello strozzinaggio (…), la solitudine (…). Abbiamo
parlato dei suicidi e abbiamo cercato, ovunque era possibile, di
inserire tutti quegli elementi che oggi incredibilmente fanno sì
che questo film sembri scritto e girato stamattina.”
“Caldo e freddo io l’ho subito
durante le riprese”, scherza Montaldo. Ma poi torna serio e loda
tutti i suoi collaboratori: “Un copione è come un bello spartito,
parte da un’idea (…). Se nel golfo mistico ci sono dei bravissimi
collaboratori (lo scenografo, il direttore della fotografia, il
collaboratore alla regia, l’aiuto, il montatore e (…) dei bravi
cantanti, ergo attori, (…) il regista-direttore d’orchestra basta
che faccia così” e fa il gesto di dirigere l’orchestra col braccio
“ (…) Se hai fatto queste buone scelte, un passo avanti l’hai già
fatto.” È questo il motivo, spiega, per cui scrive: “regia di”,
anziché “film di”, “Perché il film non è mio, è nostro.”
Volevamo sentire due parole
anche dalle due donne borghesi e dall’operaio …
Gianni Bissaca: “(…) Saverio è un personaggio piccolo ma
interessante, perché mi ha un po’ ricordato quando a Torino è morto
l’avvocato (…): c’era una gran folla ai funerali (…). Tra gli
altri, c’erano molti operai della Fiom (…). Non credo che andassero
ai funerali dell’avvocato per una sorta di piaggeria o perché era
morto il re. C’era davvero qualcosa che legava tutto il mondo del
lavoro e che forse oggi non lo lega più. Questo film lo racconta
molto bene.”
Elisabetta Piccolomini dice del suo
personaggio: “C’è un’ottusità in questa mamma ricca”, e afferma
con ironia e schiettezza: “Sono andata a scuola di stronzaggine per
fare questo film”
Elena Di Cioccio: “Qualcuno mi
ha detto: questa è l’esperienza più bella, più accogliente che ti
potrà mai capitare su un set, ed effettivamente è stato così”.
E racconta come nel suo rapporto con Carolina Crescentini set e
vita reale si siano intrecciati, dando vita a una vera amicizia
: “Come sua amica, ho vissuto tutto il suo lavoro, anche
emotivo, sul personaggio. L’amica sta al fianco, sa tutto, conosce,
vede prima, se ne accorge, vive di riflesso ciò che vive la
protagonista. L’abbiamo vissuto, e soprattutto lei me lo ha fatto
vivere.”
Non pensate che la crisi
privata del personaggi prenda un po’ il sopravvento sulla crisi
dell’industriale?
G. M. “Abbiamo pensato che
queste crisi irrompano in maniera terrificante all’interno delle
case, perché abbiamo letto di persone che sono morte, non solo
dentro, come sta per morire lui (Favino/Ranieri), ma si sono
suicidate, anzi pare che siano arrivati ad un numero terrificante,
soprattutto nel Nord-est”. Nel film però, non ci si concentra sulla
morte fisica, ma su “la morte dell’amore, ferito in maniera
terrificante dall’orgoglio di Nicola e dal suo desiderio di farcela
da solo (…).”
Qui la crisi viene vista
per la prima volta dal punto di vista dell’industriale. Potrebbe
accadere secondo lei che operai e industriali si unissero per
combattere la crisi?
G. M. “Credo che nelle piccole
aziende (…) questo possa accadere e accada. Normalmente il cinema,
anche i miei colleghi più illustri, non hanno fatto molti film
sulla classe operaia. (…) A parte Petri, Monicelli (…). È come se
ci fosse un pudore da parte nostra: di raccontare un mondo e non
raccontarlo come protagonista (…), con la passione e con
l’attenzione di chi lo conosce bene (…).”
Chiudono l’incontro gli
interventi di Paolo Del Brocco di Rai Cinema e di Angelo
Barbagallo.
Paolo Del Brocco: “(…) Questo è
un film perfetto dal punto di vista di Rai Cinema (…), perché
racconta (…) la nostra società. Anzi, addirittura forse l’ha
anticipata, perche quando il film è stato pensato e realizzato, sì,
c’erano i segnali, ma forse non eravamo a questo punto. Quindi è
perfetto per quello che deve fare, in molti casi, una società del
servizio pubblico: intercettare la società, rappresentarla,
raccontare quello che accade, non solo con storie che (…)
raccontino il generale, ma che partano dal particolare, dalla vita
di un uomo e da quello che prova una famiglia rispetto a una
situazione che ha un impatto sociale fortissimo.”
Angelo Barbagallo: “(…) Per
tutti quelli che fanno questo mestiere è importante che Rai e Rai
Cinema continuino a produrre e a finanziare questi film,
perché è l’unico modo per farli. (…) Riguardo al fatto che
non se ne vedono tanti di film così, che un film come questo è un
po’ un ritorno, anche a me ha fatto particolarmente piacere
partecipare a questo ritorno”. “Non sono moltissimi gli esempi di
cinema così riuscito su questi temi. (…) Abbiamo attraversato tutto
il periodo del cinema politico, che era noiosissimo (…). Questo
film, pur raccontando una storia così drammatica, è un piacere
vederlo, perché è cinema in una forma classica (…), molto ben
interpretato e molto ben diretto da Giuliano. Lavorare con lui è
stato piacevolissimo (…), verificare la sua passione, vivacità, che
mi fanno sperare che ci sia un seguito.”
Alcuni membri del cast di Il
Signore degli Anelli hanno offerto diversi commoventi omaggi
all’attore Bernard Hill, morto domenica all’età di
79 anni. Elijah Wood, Billy Boyd,
Dominic Monaghan e Sean Astin –
che hanno interpretato gli hobbit nei tre film campione d’incassi
di Peter Jackson – lo hanno infatti onorato durante un evento del
Comic Con a Liverpool. Nella trilogia, Hill ha interpretato il
severo e regale Re Théoden, che ha aiutato a guidare gli eroi della
saga alla vittoria durante la battaglia del Fosso di Helm ne
Le due torri del 2002 e poi di nuovo nella Battaglia
dei Campi del Pelennor ne Il ritorno del re del 2003.
“Vogliamo solo prenderci un
momento, prima di scendere da questo palco, per onorarlo”,
ha detto Astin ai fan presenti
all’evento. “Avrebbe dovuto essere qui oggi. Gli vogliamo
bene. Era intrepido, era divertente, era burbero, era irascibile,
era bellissimo”. “Stavamo guardando i film e ne
parlavamo”, ha detto Boyd. “E io ho detto [agli altri]:
‘Non credo che nessuno abbia parlato delle parole di Tolkien così
bene come ha fatto Bernard’. Il modo in cui ha fondato quelle
parole sul realismo. Mi avrebbe spezzato il cuore. Era un uomo
meraviglioso e ci mancherà molto”.
Più tardi, Wood ha postato su X:
“Non ti dimenticheremo mai”, aggiungendo poi una citazione
di Tolkien: “Perché era un cuore gentile e un grande re e ha
mantenuto i suoi giuramenti; e si è levato dalle ombre verso un
ultimo bel mattino”. Monaghan ha invece postato su Instagram:
“Il Re spezzato è passato ai paradisi grigi, ma sarà sempre
ricordato”.
The 4 Hobbits pay their respects to Bernard
Hill at Liverpool Comic Con
"He was intrepid, he gruff, he was irascible." – Sean Astin
Echoing Sean's words, Billy Boyd, said: “We were watching the
movies and I said to Dom, I don’t think anyone spoke Tolkien’s
words as great as… pic.twitter.com/fNzOLpVh2o
— Fellowship of Fans (@FellowshipFans)
May 5, 2024
So long to our friend, our king, Bernard
Hill.
We will never forget you.
“For he was a gentle heart and a great king and kept his oaths;
and he rose out of the shadows to a last fair morning.”