A sentire il nome Valérie
Donzelli certamente vi tornerà alla mente La
Guerra è Dichiarata, quel piccolo gioiellino pop che
affrontava con semplicità il tema difficile della malattia
infantile. I più cinefili fra voi ricorderanno anche
Main dans la Main (Mano nella Mano), la
commedia presentata al Festival di Roma nel 2012 e mai uscita in
Italia che divertiva con la sua purezza d’animo e d’intenti. Con
Marguerite e Julien – La leggenda degli amanti
impossibili, selezionato in competizione all’interno del
Festival
di Cannes 2015, cambia totalmente lo stile conosciuto
al quale ci aveva abituati e sorprende. In peggio purtroppo. La
leggerezza che tanto ha caratterizzato i lavori precedenti, la
dolcezza e la sfrontatezza sono stati sommersi da un oceano di
supponenza e arroganza piuttosto fastidioso e pesante come
macigno.
Marguerite e Julien – La leggenda degli amanti
impossibili
Parliamo della storia vera di
Marguerite e Julien de Ravalet, figli del signore
di Tourlaville, due fratelli inseparabili sin da piccoli che una
volta adulti si amano carnalmente, dunque violando la legge. Contro
di loro per ovvi motivi la stessa famiglia, la chiesa, il fato. Un
tema interessante sviluppato però in maniera incomprensibile: la
regista e attrice francese gira tutto come un classico melò
settecentesco televisivo con tanto di costumi, carrozze, cavalli,
re e transizioni circolari. Peccato che all’interno della
narrazione sbuchino dal nulla elicotteri, macchine fotografiche
Rolleyflex, poliziotti, giubbotti di jeans, maglioni dalle trame
anni settanta, automobili e una colonna sonora pop.
Simboli che mirano a rendere
attuali le tematiche della sceneggiatura? Strano, perché ai nostri
giorni l’incesto non va propriamente di moda, addirittura avallarlo
e dire con un film ‘In fondo si tratta solo di amore, cosa importa
essere genitori e allo stesso tempo zii di un bambino se c’è
l’amore?’ potrebbe risultare eccessivo anche per un hippie
strafatto nel vivo di Woodstock. Riproviamo: forse si vuole
screditare la giustizia? Raccontare gli abusi e i soprusi di una
legge talvolta bigotta e arcaica? D’accordo, ma in nome dell’amore
non sempre si può sorvolare sulle regole. Le fughe più o meno
rocambolesche (diciamo anche meno) alle quali assistiamo, i
dialoghi patetici, le scene pompose ed eccessivamente caricate di
pathos (con tanto di frames sovraimpressi alla
Ghost) e gli arcobaleni completano
poi l’opera.
Un fallimento su ogni fronte che
non risparmia neppure i suoi talentuosi attori:
Jérémie Elkaïm, marito e attore feticcio di
Valérie Donzelli presente in ogni suo film, e Anaïs
Demoustier, che a soli 28 anni ha già 39 film in
curriculum (la ragazza acqua e sapone dai capelli rossi di Una Nuova
Amica di François Ozon), si
impegnano con sincera devozione alla causa, ma la pessima gestione
della sceneggiatura e del montaggio piomba come una scure anche
sulle teste dei loro personaggi. Il colmo, visto il loro
destino.