Frequency il futuro è in
ascolto è un film del 2000 diretto da Gregory
Hoblit e con protagonisti Jim Caviezel, Dennis
Quaid, Elizabeth Mitchell, André Braugher e Noah
Emmerich.
Trama Frequency il futuro è in
ascolto : John Sullivan è un agente di polizia che, tramite una
serie di inspiegabili onde radio, riesce a mettersi in contatto con
il padre, un eroico vigile del fuoco morto 30 anni prima. Così John
cerca di guidarlo dal futuro per evitare il fatale incidente e
cambiare il suo destino.
Analisi: Potrebbe
sembrare l’ennesimo film che ruota intorno a una delle dinamiche
oltremodo sfruttate al cinema, quella incentrata sul viaggio nel
tempo: Frequency Il futuroè in ascolto è in
realtà un piccolo esperimento al limite tra la fantascienza e il
thriller.
Il film di Gregory
Hoblit trae la sua forza dallo sperimentale arco
narrativo, che esplora il rapporto padre-figlio in due realtà
spazio temporali che si incrociano per caso. Tramite una vecchia
radio, John (Jim Caviezel) entra in comunicazione
con il padre Frank (Dennis Quaid) e i due
instaurano un rapporto di grande complicità nonostante la barriera
temporale che li divide.
L’affiatamento tra i due emerge
anche grazie alle interpretazioni di Jim Caviezel,
che con la sua genuinità e partecipazione è in grado di ispirare
commozione, e Dennis Quaid, carismatica e valorosa figura
paterna.
Frequency Il futuroè
in ascolto si avvale inoltre di un buon cast di contorno,
in particolare la moglie/madre interpretata da Elizabeth
Mitchell, che qualche anno dopo l’uscita del film ha
ottenuto una maggiore notorietà grazie alla sua Juliet in
Lost. Proprio il suo personaggio è al centro di una svolta
della storia che aggiunge un gradito carico di suspence.
Pur essendo stato realizzato meno
di quindici anni fa, Frequency Il futuroè in
ascoltoappare volutamente come un
film che ricorre a una certa patina retrò: ben pochi effetti
speciali nonostante il genere, una storia non
particolarmente intricata, ma in grado di suscitare tensione e di
alimentare la curiosità dello spettatore.
Di certo il confine tra passato e
futuro, nonché l’inspiegabile collocazione del presente, aggiungono
una buona dose di interesse agli occhi di un pubblico anche di non
appassionati del genere, sebbene il paradosso temporale e le sue
implicazioni non illustrino alcuna possibilità di decifrare il
mistero del tempo, che del resto rimane costantemente irrisolto per
via dei limiti dell’intelletto umano.
Frequency Il futuroè
in ascolto
Frequency Il
futuroè in ascolto non va alla ricerca
della logica, ma si limita a presentarsi come un film di buoni
sentimenti: malgrado il risvolto thriller e la componente
fantascientifica, la pellicola concede un finale buonista e
piuttosto retorico, così non possiamo fare a meno di interrogarci
sull’enigma principale, ossia la possibilità di modificare il
proprio destino, e rimanere interdetti davanti a un’ambigua
soluzione.
Assistiamo dunque a un film senza
pretese, che non offre risposte certe né scade nella banalità di
fronte all’inspiegabile, ma ha comunque il merito di non mirare a
una fruizione passiva, bensì di suscitare domande.
The Terminal è un
film di 2004 diretto da Steven Spielberg con
protagonista nel cast Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones,
Stanley Tucci, Zoe Saldana e Diego
Luna.
Anno: 2004
Regia: Steven
Spielberg
Cast: Tom Hanks, Catherine
Zeta-Jones, Stanley Tucci, Zoe Saldana, Diego Luna
The Terminal, la trama
Aeroporto J.F. Kennedy,
New York: Viktor Navorski (Tom Hanks) atterra da
un’immaginaria Krakozhia. Durante il lungo volo, nella sua patria
c’è stato un feroce colpo di stato e il suo passaporto ha così
perso validità. Viktor è letteralmente “inaccettabile”: costretto
dal capo della sicurezza (Stanley Tucci) a rimanere
all’interno del terminal, per lui inizierà un soggiorno (altro che
viaggio!) di formazione attraverso l’amicizia, l’amore e la forza
della solidarietà umana e l’orgoglio di non rinnegare se
stesso.
The Terminal
Analisi: E’ il non luogo per
eccellenza, l’aeroporto, a essere al centro di questa pellicola che
ritrae con severità l’America post-11 settembre, intrappolata nelle
sue paranoie e animata da un inedito spirito xenofobo. Il
microcosmo del terminal internazionale diventa per Spielberg
metafora di questa nuova condizione del suo Paese, che ben poco si
adatta al suo naturale spirito da sempre votato
all’integrazione. Un atto di accusa, condotto con ironia e quella
bonarietà tipica della commedia da cui traspare l’amore del regista
per le contraddizioni made in USA: d’altronde, chi c’è più
“americano” di Spielberg?
La leggerezza è il tono prevalente
di The Terminal. Una comicità soprattutto
fisica e mimica, fatta di sguardi, cadute sul pavimento bagnato e
incomprensioni tra lingue lontane; il risultato non sarebbe stato
lo stesso senza il contributo decisivo di Tom Hanks, moderno Buster Keaton, capace di
utilizzare il linguaggio del corpo come mezzo di espressione
efficace. Catherine Zeta-Jones si spoglia per l’occasione
dei consueti abiti da femme fatale e si rivela in tutta la
sua fragilità, riuscendo a conferire allo sfuggente personaggio di
Amelia una grande profondità. È innegabile però che sia proprio la
storia d’amore la parte meno incisiva della
pellicola.
Il cuore di
The Terminal è invece il rapporto di amicizia e
rispetto che s’instaura tra Navorski e gli inservienti del J.F.K.
Airport: tutti emarginati extracomunitari dai desideri abortiti.
Saranno proprio la determinazione e l’abnegazione di Viktor a
risvegliare in loro un nobile spirito di rivalsa; la generosità e
lo spirito di aiuto reciproco che dimostreranno sono in aperto
contrasto con lo spietato burocrate interpretato da un grande
Stanley Tucci, contraltare di Hanks.
La sceneggiatura di Sacha
Gervasi e Jeff Nathanson, basata sul
misunderstading, mostra originalità e coerenza, basandosi
sul linguaggio non verbale dei protagonisti. Il non detto si prende
così la rivincita sulle parole riuscendo persino a commuovere. C’è
un vero e proprio innamoramento per le immagini, accresciuto dalla
luminosa fotografia e dall’impatto visivo della splendida
scenografia di Alex McDowell, che riesce a catturare lo
smarrimento di un solo uomo di fronte alla sconosciuta e
sconcertante enormità del mondo.
The chronicles of
Riddick è il film del 2004 diretto da David
Twohy con protagonisti nel cast Vin
Diesel, Thandie Newton, Karl Urban, Colm Feore e
Judi Dench.
Trama: A qualche
anno di distanza dal finale di Pitch Black, Riddick è
ancora un fuggitivo, in gran parte privo di memoria delle sue
origini e del suo passato: nascostosi su un pianeta remoto,
scoperto, tornato alla carica per scoprire chi l’ha tradito, si
troverà coinvolto in una guerra interplanetaria nel quale lui,
grazie al suo retaggio sembrerebbe destinato a giocare un ruolo –
chiave.
The chronicles of Riddick
Analisi: Cinque
anni sono trascorsi nella finzione narrativa, quattro ne sono
passati nel ‘mondo reale’ dall’uscita di Pitch Black:
nato come progetto a (relativamente) basso costo, passato
inosservato o quasi al botteghino (ma con un risultato più che
soddisfacente rispetto al budget: incassi per 53 milioni di dollari
rispetto alla spesa attorno ai 23 milioni.) il film – e soprattutto
il suo protagonista – divennero rapidamente oggetto di culto,
aprendo la strada ad un sequel.
Alla regia di The
chronicles of Riddick ancora una volta David Twohy,
il volto di Riddick è ovviamente quello di Vin Diesel, ma
stavolta di decide di fare le cose ‘in grande’, con risorse più
‘sostanziose’ e un cast più ‘solido’, nel quale va almeno
segnalata una ‘lady di ferro’ del cinema britannico come
Judi Dench.
Una
rivoluzione a 180°: dall’essenzialità, il ‘non detto’, l’atmosfera
ai limiti del claustrofobico, si sostituisce l’apertura verso
lo spazio ed altri mondi per dipingere una sorta di ‘affresco’
sull’universo ‘riddickiano’, viene sollevato il velo sul passato ed
il destino dell’ipotricotico ed ipermuscolato antieroe per
conferirgli i lineamenti di un ‘messia suo malgrado’.
Ambiguo l’esito: le
‘Cronache’ si fanno apprezzare in quanto ‘film di genere’, ma la
sensazione è che Twohy, assieme ai fratelli Wheat, autori della
sceneggiatura (anche in questo caso, cambiamento radicale: dalle
poche parole di Pitch Black si passa a dialoghi a tratti fin troppo
lunghi nelle ‘Cronache’), nell’intento raggiunto di non cadere
nella ‘ripetizione’, si faccia prendere la mano dalla smania di
proporre ‘qualcosa di completamente diverso’, e finisca per far
rimpiangere molto di ciò che aveva sancito lo status di culto del
film precedente, volendo dire e mostrare troppo, laddove forse
sarebbe servita una maggiore ‘scrematura’. Diesel
si prende la scena dall’inizio alla fine, fisicità, tic,
ed ironia di contorno proponendosi come nuovo epigono di
Schwarzenegger & Co.; il resto del cast si limita ad una
partecipazione più o meno dignitosa (ma la presenza di Judi
Dench in questo film resta un
mistero).
Accolto in maniera impietosa dalla
critica (nomination come peggior attore ai Razzie Awards per Vin
Diesel); risultati lontani dalle aspettative al botteghino,
dove il film riesce a malapena a pareggiare il costo di oltre 107
milioni.
È possibile vivere
pienamente la vita a sessant’anni? È possibile per una donna che si
è sempre vista ai margini, conquistare il centro della propria
scena? A giudicare dalla protagonista di Gloria del
regista cileno Sebastián Lelio, pare proprio di
sì. Gloria è una quasi sessantenne divorziata. Lavora, è sola, ma
ama la vita e non vuole darsi per vinta. Cerca ancora la felicità,
magari l’amore, andando spesso a ballare. Incontra un uomo,
Rodolfo, col quale vive una folgorante passione, ma proprio quando
pensa di aver trovato la felicità, scopre che le cose non sono così
facili come sembrano.
Il film è il ritratto di una donna,
una commedia che parte in sordina e cresce, come la sua
protagonista. Affronta coraggiosamente il tema della vita a
sessant’anni – anche nei suoi aspetti solitamente taciuti come
quello del sesso – con un realismo sincero, privo di ogni retorica,
e con un’ironia sapientemente dosata.
La protagonista,
Paulina García, è bravissima in questo ruolo, per
il quale ha meritato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, in cui
coniuga vari aspetti: apparenza ordinaria, sensualità, vivacità,
umorismo, forza. È madre amorevole, ma anche donna seducente,
spericolata e casalinga, sfrontata e libera. Ricorda per certi
versi le figure femminili nel cinema di Almodóvar. Ci sono anche
rimandi precisi: la femminilità espressa nell’irrinunciabile cura
di sé; il tacco a spillo su cui la donna può inciampare, ma sempre
si riprende; l’avversione per i telefoni, attraverso cui passano
comunicazioni sgradite, false o moleste, e che spesso fanno una
brutta fine, qui in un paio di scene davvero godibilissime.
Un’ispirazione riplasmata però in modo del tutto originale, con
tutt’altri efficacissimi toni: più essenziali, asciutti, a volte
anche impietosi e duri nel fotografare la solitudine e lo scorrere
del tempo.
Le figure maschili, poi, sono quasi
sempre infantili e fonte di problemi – l’ex marito e il nuovo
compagno, Rodolfo (Sergio Hernández). Di fronte a
loro il quesito è: cercare un uomo per essere felici, o piuttosto
innanzitutto essere felici e magari, anche cercare un uomo? Tra le
due prospettive si muove il percorso di Gloria. Il regista la
segue, mostrandoci come cambia il suo punto di vista. Lo
vediamo sul suo volto e su quello degli altri personaggi. Il
passaggio è sottolineato anche dalle canzoni che compaiono nel film
e che Gloria spesso canta con trasporto: dagli amori finiti, ad
altri che cominciano e poi di nuovo finiscono, con l’amante che
sempre pone in essi grandi speranze, fino a Gloria di
Umberto Tozzi, che diventa per la protagonista una sorta di inno a
sé stessa, una nuova Gloria, protagonista della sua vita con forza,
coraggio e determinazione. La pellicola è prodotta da Pablo
Larraín, regista di No – I giorni
dell’arcobaleno.
Guarda il primo atteso trailer di
Need for Speed, l’adattamento
cinematografico del noto videogame della EA, diretto
da Scott Waugh e con
protagonisti Aaron Paul, Dakota
Johnson, Dominic
Cooper, Imogen
Poots, Ramon Rodriguez,
e Rami Malek. La pellicola è prodotta
da DreamWorks Studios e uscirà
il 14 marzo 2014 negli USA. In Italia sarà distribuito da 01
Distribution.
Need For
Speed è attesa per il 7 Febbraio 2014 e racconterà la
storia di un pilota da corsa su strada (Aaron Paul) che decide di
fare affari con un ricco e arrogante socio (Dominc Cooper), per poi
finire incastrato dal suo collega. Uscito di prigione, decide di
partecipare a una corsa da New York a Los Angeles con lo scopo di
vendicarsi. Ma quando l’ex-partner apprende i suoi piani, decide di
mettere una enorme taglia sulla testa del pilota: un gruppo di
corridori illegali si metterà a caccia di lui con dei veicoli super
potenti.
Al via il nuovo anno
accademico del Corso per Filmmaker con indirizzo
visionario e fantastico a cura di Stefano
Bessoni, presso l’Accademia di Cinema e Televisione
Griffith, in collaborazione col Murnau Institute. Il corso è
diretto a coloro che, oltre ad apprendere o approfondire le regole
e le basi del linguaggio cinematografico, vogliono iniziare un
percorso formativo e creativo in un versante del cinema dedicato
alla visionarietà, al fantastico, al perturbante, con
l’approfondimento di ambiti come l’animazione, la stop-motion, gli
effetti digitali, gli effetti speciali. Il corso inizierà a Gennaio
e e durerà sino a Giugno per un totale di 320 ore.
Il corso si propone un percorso che
va dai primi esperimenti di Melies alle animazioni dei fratelli
Quay, dall’occhio tagliato di Bunuel alle creature fantastiche di
Guillermo Del Toro, dalle ossessioni di Greenaway ai moderni film
di genere, passando per sperimentazioni, stilemi e tecniche che
permetteranno agli studenti di identificare i propri punti di
riferimento e cominciare a costruire un proprio mondo
espressivo.
Parallelamente il percorso sarà
supportato da un solido apparato didattico tecnico dove verranno
analizzate, anche praticamente, le moderne tecnologie di ripresa e
di post-produzione, dalle leggere e innovative fotocamere Canon 7D
e 60D alla rivoluzionaria RED Camera.
Altre docenze e collaborazioni:
Interzone Visions, Leonardo Cruciano Workshop e Wonderlab, Cristina
Borsatti, Vincenzo Ramaglia. E’ prevista la
partecipazione di professionisti cinematografici per incontri ed
approfondimenti su argomenti e tematiche inerenti al programma.
Tutte le info utili qui.
Arrivano notizie inedite sul film
in lavorazione I Guardiani della
Galassia, nuovo prodotto Marvel, che sta per
arrivare nei cinema nel 2014.
Un fotografo inglese, che ha
visitato il set in questi giorni, ha spifferato qualcosa sul
personaggio di Ronan l’accusatore, interpretato nel film da
Lee Pace. Egli afferma che i costumi e le scene sono
fantastiche e che Lee Pace è davvero bravo e credibile nei
panni di Ronan. Spiega poi, quasi nel dettaglio, il trucco
dell’attore:
“Ha un sacco di protesi sulla
fronte e sul mento ma il suo volto è riconoscibile, la sua pelle è
di un blu simile a quello di Mystica degli X-Men!”
In più, su instagram, è stata
pubblicata la foto che vedete in basso da Jamie Bakewell, che ha
immortalato la maglia della crew del film.
Il film è attualmente in pre
produzione nel Regno Unito e dovrebbe arrivare al cinema il primo
agosto 2014. I Guardiani della
Galassia (Guardians of the Galaxy) sono un gruppo di
personaggi dei fumetti Marvel Comics, creato da Arnold Drake (testi) e
Gene Colan (disegni). La prima apparizione avviene in Marvel
Super-Heroes (seconda serie) n. 18 (gennaio 1969).
E’ uscito, anche per noi , il primo
trailer di A Case of You (Una rete di bugie), il
nuovo film diretto da Kat Coiro, che è stato presentato lo
scorso Aprile al Tribeca Film Festival.
A Case of You (Una rete di
bugie che vedrà protagonisti Justin Long e Evan Rachel Wood, è una commedia romantica molto
attuale. La trama, infatti, racconta dell’amore ai tempi di
internet e dei social network. Un giovane scrittore (Justin
Long) vuole impressionare la ragazza dei suoi sogni, una
giovane barista (Evan
Rachel Wood). Per fare ciò analizza la sua pagina Facebook,
rendendola perfetta, in modo da sembrare un perfetto fidanzato.
Ovviamente la situazione va a precipitare quando lei scopre
l’imbroglio.
Il film è stato scritto da
Christian e Justin Long insieme a Keir O’Donnell, e
nel cast sono presenti anche Sam Rockwell, Peter
Dinklage, Busy Philipps, Brendan Fraser, Sienna
Miller. Il film uscirà nelle sale il 6 Novembre.
Willard Christopher Smith Jr. è
forse un nome che non dice niente a nessuno, a differenza di Willy
il Principe di Bel Air, uno che non ha bisogno di
presentazioni.
Era il ‘90 quando Will
Smith si è affacciato sugli schermi di mezzo mondo
interpretando fondamentalmente se stesso, un ragazzone di
Philadelphia che canta il rap e fa ridere la gente. Così decolla la
sua carriera, che lo porta a specializzarsi in film d’azione,
cominciando con “Bad boys” nel ‘95, per proseguire con
Independence Day, Men in
Black (primo capitolo di una saga ormai ‘di culto’) e
Nemico pubblico. Insomma, Willy mostra i
muscoli, e bisogna ammettere che ci sa fare. Poi arriva il Duemila,
con progetti più impegnativi da un punto di vista drammaturgico: il
primo tentativo, Alì, gli frutta una
nomination all’Oscar, così come il successivo La
ricerca della felicità, diretto dal nostro Gabriele
Muccino. Niente male come esordio nel cinema autoriale, anche se è
difficile reprimere del tutto l’indole action.
Così Mr. Smith torna ai blockbuster
esagerati con Io, Robot e Io
sono leggenda, seguiti a ruota da
Hancock, dove interpreta dichiaratamente
un supereroe; salvo spiazzarci di nuovo con Sette
anime, seconda collaborazione con Muccino. Un
successo dopo l’altro per il Principe di Bel Air, anche se il
recente After Earth non ha suscitato gli
stessi entusiasmi dei kolossal precedenti. Ma siamo sicuri che è
soltanto un passo falso in una carriera stellare destinata a
riprendere il volo. Intanto la bella moglie Jada
Pinkett e la progenie sapranno sicuramente come
consolarlo. Noi, invece, sappiamo come festeggiarlo. HAPPY BIRTDAY,
WILLY!
Sembra proprio che Kurt Russell sia stato
confermato nel cast di Fast and Furious
7, come già anticipato in precedenza.
La notizia ci arriva grazie alle
prima foto uscita sul web, che vede l’attore sul set al fianco di
Vin Diesel e Paul Walker, pubblicate ancora una
volta da Diesel sul suo profilo Facebook nella giornata di ieri.
Sotto la foto l’attore ha scritto “Kurt Russell, such an honor
to work with…” Il ruolo preciso dell’attore nel film
ancora non è noto, ma si pensa che a breve la notizia sarà diffusa
dalla produzione dell’atteso sequel.
Continuando le imprese globali nell’inafferrabile franchise
fondato sulla velocità,
Vin Diesel, Paul Walker e Dwayne
Johnson si riuniscono per capeggiare il cast di
Fast
and Furious 7. James Wan dirige
questo capitolo della serie di grandissimo successo che vede nel
cast i ritorni di
Michelle Rodriguez, Jordana Brewster,
Tyrese Gibson, Chris “Ludacris” Bridges,
Elsa Pataky e Lucas Black. Per l’occasione,
si uniscono al cast altre star internazionali comeJason
Statham,
Djimon Hounsou, Tony Jaa, Ronda Rousey e
Kurt
Russell. Il film, scritto da Chris Morgan e
prodotto da Neal H. Moritz,
Vin Diesel e Michael Fottrell, è diretto
da James Wan e arriverà in Italia il 2 aprile
2015.
Dopo vent’ anni dall’uscita del
film Scemo & più Scemo, esilarante e
demenziale commedia con Jim Carrey e Jeff
Daniels, torna il sequel diretto dai fratelli
Farrelly, del quale sono cominciate le riprese da
poco.
Sono state diffuse nelle ultime ore
le prime immagini dal set, che vedono i due attori di nuovo insieme
a interpretare i due dementi ruoli di Lloyd Christmas e
Harry Dunne. Le foto, pubblicate su twitter dai due
attori, vedono Carrey e Daniels calati nei panni
dei due personaggi in pose davvero comiche, ad esempio la foto qui
sotto che li vede guardare un libro al contrario.
In occasione dei recentissimi
Emmy, il vincitore Daniels ha
dichiarato che il film andrà molto oltre quello che abbiamo visto
nel 1994, e che il bello del suo lavoro è poter lavorare al fianco
di uno degli attori più bravi del genere comico, come
Carrey.
Scemo e più Scemo 2 è previsto
nelle sale per l’estate 2014, per qualsiasi aggiornamento in tempo
reale basta seguire i due attori su twitter.
Arriva disponibile dal 4 settembre
2013 uno dei capolavori del maestre del brivido Alfred
Hitchcock, La donna che visse due
volte,film del 1958 con protagonisti
due straordinari interpreti come James Stewart e
Kim Novak. Il film è tratto dal romanzo
D’entre les morts (1954), scritto da Thomas Narcejac (1908–1998) e
Pierre Boileau (1906–1989). Inserito nel 1998 dall’American
Film Institute al sessantunesimo posto della classifica dei cento
migliori film americani di tutti i tempi, la pellicola racconta di
una vicenda ambientata sullo sfondo dell’inconfondibile San
Francisco, dove Scottie Ferguson, un detective che soffre di
vertigini, viene incaricato da un amico di seguire la moglie
affetta da manie suicide. Dopo averla salvata da un tentato
annegamento, Scottie diverra` ossessionato dalla donna, bellissima
ed ambigua al tempo stesso.
La Donna che visse due
volte negli anni ha subito un’autentica rivalutazione
iniziata ad opera dello studioso britannico-canadese Robin
Wood che nel suo libro Hitchcock Films (1968), lo definisce
«…capolavoro di Hitchcock e uno dei quattro o cinque film più
profondi e belli della storia del cinema». Harris-Lasky, 1976-1979,
definiscono il film «… la più bella e la più crudele delle love
story di Hitchcock»
Finalmente il film è disponibile
grazie all’impegno constante di Universal Studios che continua la
sua personale ascesa nel mondo dell’home video con edizioni
sempre impeccabili. Non è da meno questa dedicata al film
La Donna che visse due volte, restaurato
per l’occasione e riproposto in una qualità incredibile. Ad
impreziosire il tutto ci sono gli incredibili contenuti speciali
come Il Capolavoro di Hitchcock Prende Nuova Vita, incredibile
viaggio nella rinascita del capolavoro. Rimangono d’antologia anche
il Partner nel Crimine: I Collaboratori di Hitchcock; Truffaut
Incontra Hitchcock; Finale Alternativo (per la censura);
Scheda Tecnica:
Genere: HORROR/THRILLER | Nazione: USA | Anno: 1958 | Durata:
129 min ca. Regia: ALFRED HITCHCOCK | Cast: KIM NOVAK, JAMES
STEWART Visto censura: N.O. 28184 del 30/11/1958 – Film per
tutti.
CONTENUTI AUDIO: Inglese DTS-HD MASTER AUDIO 5.1 / DTS 2.0;
Italiano, Francese, Tedesco, Spagnolo DTS DIGITAL SURROUND 2.0,
Giapponese, Portoghese DTS Digital Surround 5.1
CONTENUTI EXTRA: L’Ossessione per La Donna che Visse due Volte:
Il Capolavoro di Hitchcock Prende Nuova Vita; Partner nel Crimine:
I Collaboratori di Hitchcock; Truffaut Incontra Hitchcock; Finale
Alternativo (per la censura); Gli Archivi de La Donna che Visse due
Volte; Commento al Film del Regista William Friedkin; Trailer
Cinematografici.
Arriva in Italia Bling
Ring, ultimo film di Sofia Coppola presentato all’ultimo Festival di Cannes e che si presenta, a
tutti gli effetti, come la storia perfetta da far raccontare alla
piccola di casa Coppola. La storia nasce da un articolo pubblicato
su Vanity Fair in cui si parlava della banda Bling
Ring, composta da ragazzine che si introducevano nelle
ville delle star di Hollywood per sottrarre denaro e oggetti di
valore, principalmente abbigliamento griffato. Tra le celebrità
realmente colpite dalla banda c’erano Paris Hilton,
Orlando Bloom e Rachel Bilson. Il
bottino della banda arriva addirittura a rubare 3 milioni di euro
in beni di lusso prima che uno di loro sia incastrato dalle
telecamere di sorveglianza.
Dalle interviste ai protagonisti è
nato l’articolo, e dall’articolo arriva il film, che si colloca
decisamente al di sotto dello standard di Sofia Coppola, quasi nei pressi del
sopravvalutato Somewhere. Il ritmo del film è dilatato e
gli avvenimenti reiterati all’inverosimile, gli attori tuttavia
sono bravi e il vero cuore della storia è manifestare, attraverso i
gesti di questi adolescenti, quanto sia vanesio il mondo delle
Hills californiane, totalmente definito da ciò che indossi e dal
marchio che è impresso sulla tua borsa. Nicki, Sam, Mark, Chloe e
Rebecca sono ragazzi che inseguono non il sogno di fama e
grandezza, non il successo dato dalla recitazione o dalle luci
della ribalta, ma semplicemente lo status, la possibilità di
entrare nei locali giusti con le scarpe giuste, il “prestigio” di
indossare un Gucci. Si tratta, in poche parole, dell’idolatria
verso gli oggetti di lusso, verso il vacuo apparire per
sentirsi parte di un mondo che le persone normali vedono solo in
tv, una malattia quasi, che contagia, è un dato certo, anche la
gioventù del nostro Paese. Ci auguriamo però che nessun altro
giovane si senta così “emarginato” da essere costretto a rubare le
mutande di Paris Hilton per sentirsi cool.
Ad interpretare i protagonisti del
film ci sono volti noti e meno noti del cinema, su tutti Emma Watson, che interpreta Nicki, ma anche
Taissa Farmiga, sorella di Vera, che
interpreta Sam, e poi i meno noti Katie Chang
(Rebecca), Claire Alys Julien (Chloe),
Georgia Rock (Emily) e l’unico maschietto del
gruppo Israel Broussard (Marc). Sofia Coppola confeziona un film che racconta
l’adolescenza come non l’abbiamo mai vista, forse in modo poco
incisivo e attraverso una storia che pur svolgendo chiaramente le
sue funzioni di critica sociale si rivela misera per poter occupare
un intero lungometraggio, costringendo automaticamente la regista a
dilatare gli avvenimenti rischiando di annoiare lo spettatore.
I Walt Disney Animation Studios
presentano Frozen
– Il regno di ghiaccio, un’avventura da brivido
per il grande schermo, dagli autori di Rapunzel –
L’intreccio della torre e Ralph
Spaccatutto. Quando una profezia intrappola un intero
regno in un inverno senza fine, Anna, valorosa e ottimista, insieme
al coraggioso uomo di montagna Kristoff e alla sua renna Sven,
intraprende un viaggio epico alla ricerca della sorella Elsa, la
Regina delle Nevi, per riuscire a porre fine al glaciale
incantesimo. Anna e Kristoff incontreranno sul loro cammino
creature fantastiche come i trolls, un buffo pupazzo di neve di
nome Olaf, montagne alte come l’Everest e magia dietro ogni angolo,
e combatteranno contro tutti gli elementi della natura per salvare
il regno dalla distruzione.
Basato sulla storia originale di
Hans Christian Andersen,
Frozen – Il regno di ghiaccio racconta
dell’avventura di Anna e Olaf, e del loro affascinante incontro con
la Regina delle Nevi. Nella versione originale del film le voci dei
doppiatori saranno di Kristen Bell, Idina Menzel, Josh
Gad e Jonathan Groff.
La Commissione di Selezione per il
film italiano da candidare all’Oscar istituita dall’ANICA, su
invito della “Academy of Motion Picture Arts and Sciences”, riunita
davanti a un notaio e composta da Nicola Borrelli, Martha Capello,
Liliana Cavani, Tilde Corsi, Caterina D’Amico, Piera Detassis,
Andrea Occhipinti e Giulio Scarpati ha designato “La Grande
Bellezza” di Paolo
Sorrentino, a rappresentare il cinema italiano alla
selezione del Premio Oscar per il miglior film in lingua non
inglese.
La Grande
Bellezzadi Paolo
Sorrentino vede protagonisti Toni
Servillo, Carlo
Verdone, Sabrina
Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia
Forte e Isabella Ferrari.
Roma si offre indifferente e
seducente agli occhi meravigliati dei turisti, è estate e la
città splende di una bellezza inafferrabile e definitiva. Jep
Gambardella ha sessantacinque anni e la sua persona sprigiona
un fascino che il tempo non ha potuto scalfire. È un
giornalista affermato che si muove tra cultura alta e mondanità in
una Roma che non smette di essere un santuario di meraviglia e
grandezza.
è stata diffusa una nuova clip per
Wikileaks-Quinto Potere ( The Fifth
Estate), ultima fatica di Bill
Condon con Benedict Cumberbatch nei panni
di Julian Assange.
è stata diffusa da
Yahoo! Movies la prima clip per Romeo e Giulietta,
ultima versione del celeberrimo dramma di William Shakespeare
diretta da Carlo Carlei e scritta da
Julian Fellowes (Downton Abbey).
Sembra che Gerard
Butler e Geoffrey Rush siano entrati
entrambi nel cast di Gods of Egypt, il nuovo film di Alex
Proyas.
Scritto da Burk Sharpless e Matt
Sazama, Gods of Egypt racconterà la storia di un comune ladro che
si unirà ad Horus (Nikolaj Coster-Waldau), Dio del
Cielo e alla Dea dell’Amore Hathor per vendicare la morte del
loro padre Osiride: Rush avrà il ruolo di Ra, Dio del sole e padre
di Set e Osiride, mentre Butler sarebbe in trattative per
interpretare lo stesso Set, dio del deserto, delle tempeste e
degli stranieri.
Per Proyas non è la prima
incursione nell’Olimpo delle divinità: nel 2010 era stato infatti
annunciato che il regista avrebbe diretto Paradise Lost, pellicola
tratta dall’omonima opera di John Milton, ma nonostante il casting
fosse già stato completato e fossero stati avviati i primi screen
test in CGI, dati gli esorbitanti costi l’intero progetto venne
infine abbandonato.
Come molti di voi sapranno il
finale de L’Uomo
d’Acciaio è stato uno dei più discussi in rete, tanto
da scatenare delle vere e proprie prese di posizione su cosa ci
fosse di sbagliato in quell’epilo conclusivo nel primo film di Zack
Snyder. Ebbene oggi da CBM arrivano le
dichiarazioni dello sceneggiatore del film, David S. Goyer che ha
allungo parlato della cosa. Ecco le sue dichiarazioni:
Eravamo abbastanza
sicuri che si sarebbe rivelata controversa. Non volevamo ingannare
noi stessi e non l’abbiamo certo fatto per fare i fighi. Nel caso
dello scontro con Zod, abbiamo voluto metterlo in una
posizione difficile che avrebbe portato a un esito doloroso. C’è
quest’opinione, e dato che ho scritto anche qualche fumetto posso
dire tranquillamente che si tratta di una norma seguita da alcuni
miei colleghi che personalmente non condivido, secondo
cui “Superman non uccide”. E’ una legge che esiste all’esterno
della narrativa e non credo in robe del genere. Quando stai
scrivendo per la televisione o per un film, non puoi appoggiarti a
una stampella, a una norma che trova la sua ragion d’essere al di
fuori dell’esigenza narrativa. Nel nostro caso, la situazione era
questa: Zod non avrebbe smesso di uccidere degli innocenti finché
uno fra lui o Kal-el non fosse morto. La realtà dei fatti è che
nessuna prigione sulla Terra avrebbe potuto tenerlo bloccato, il
nostro Superman non poteva volare sulla Luna e non volevamo neanche
usare una scappatoia come questa. Inoltre, la nostra opera è da
intendersi come un “Superman Begins”. Clark non è Superman
fino alla fine del lungometraggio. Volevamo che lui avesse sulle
proprie spalle il peso dell’aver ucciso qualcuno, in modo tale da
poter trasportare ciò anche nel secondo film. Dato che lui è
Superman e le persone lo idolatrano, adesso deve ancorarsi a uno
standard molto elevato.
Ecco la trama del film: Nel
pantheon dei supereroi, Superman è il personaggio più riconoscibile
e riverito di tutti i tempi. Clark Kent/Kal-El (Henry Cavill) è un
giovane intorno ai vent’anni che si sente alienato dai suoi poteri
che oltrepassano qualsiasi immaginazione. Trasportato tempo fa
sulla Terra da Krypton, un pianeta tecnologicamente avanzato e
distante, il giovane Clark è attanagliato dalla domanda “Perché
sono finito quaggiù?”. Plasmato dai valori dei suoi genitori
adottivi, Martha (Diane Lane) e Jonathan Kent (Kevin Costner),
Clark scopre che l’avere delle straordinarie abilità conduce a
dover intraprendere delle difficili decisioni. E quando il mondo è
in estremo bisogno di stabilità, ecco sorgere una minaccia ancor
più grande. Clark dovrà diventare L’Uomo
d’Acciaio per proteggere le persone che ama e per
ergersi a salvatore del genere umano.
Warner Bros. Pictures e Legendary
Pictures presentano L’Uomo
d’Acciaio, con
Henry Cavill nel ruolo di Clark Kent/Superman,
per la regia di Zack Snyder. Il film è
interpretato anche da
Amy Adams (“The Fighter”), attrice candidata tre volte
agli Oscar, nel ruolo della giornalista del Daily Planet Lois Lane,
e il candidato all’Oscar
Laurence Fishburne (“What’s Love Got to Do with It”)
in quello del direttore del giornale, Perry White. Nel ruolo dei
genitori adottivi di Clark Kent, Martha e Jonathan Kent, ci sono la
candidata agli Oscar
Diane Lane (“Unfaithful — L’amore infedele”) e il
premio Academy Award
Kevin Costner (“Balla coi lupi”).
A combattere contro il supereroe
sono due altri Kryptoniani sopravvissuti, il malvagio Generale Zod,
interpretato dal candidato agli Oscar
Michael Shannon (“Revolutionary Road”) e Faora,
interpretata da Antje Traue. Originari di Krypton
sono anche i genitori biologici di Superman, la madre Lara Lor-Van,
interpretata da Ayelet Zurer (“Angeli e demoni”) e
il padre Jor-El, interpretato dal premio Academy Award
Russell Crowe (“Il gladiatore”). Nel cast anche
Harry Lennix, nel ruolo del Generale Swanwick,
Christopher Meloni in quello del Colonnello Hardy
e Richard Schiff che interpreta il Dr. Emil
Hamilton. Tutte le news nel nostro
speciale: Superman: Man of steel.
Come molti di voi
ricorderanno nell’edizione di quest’anno del
Comic-con 2013 di San Diego oltre ad essere stato
annunciato il titolo ufficiale del sequel di The
Avengers, ovvero Avengers Age of Ultron, è
stato mostrato anche un breve teaser che racconta le intenzioni
dietro alla seconda pellicola sui vendicatori diretta da
Joss Whedon. Oggi arriva da Comickbookmovie in
versione bootleg questo contributo video:
La città più famosa del crimine sta
per arrivare sul piccolo schermo, si tratta ovviamente di
Gotham City. Infatti, secondo Deadline la Fox è
intenzionata a produrre una serie in live-action che seguirà le
vicende di un giovane detective James Gordon, e
sarà concepita dal creatore di The
MentalistBruno Heller. Al momento è
esclusa categoricamente la partecipazione o il coinvolgimenti del
personaggio di Bruce Wayne, ma pare invece che lo
show usufruirà di tutti i cattivi dell’universo dell’uomo
pipistrello.
La prima apparizione del Detective
risale al numero #27 Detective Comics” 1939, ed il
commissario James Gordon è stato creato da Bill Finger e Bob Kane.
In precedenza è apparso nello show televisivo nel 1960 su Batman di
Neil Hamilton. L’ultima apparizione del personaggio risale alla
trilogia al cinema di Christopher Nolan, dove è
interpretato dall’attore Gary Oldman.
Al momento nessuna informazione è stata rilasciata su date, cast
e messa in onda, quindi non ci resta che aspettare ulteriori
notizie.
Arriva un nuovo trailer dell’atteso
nuovo gioco sull’universo dell’Uomo Pipistrello
intitolato Batman Arkham Origins.Il
nuovo contributo mostra tutto il fantastico mondo del videogame,
comprese le diverse varianti del Cavaliere Oscuro:
Sviluppato da WB Games
Montréal, Batman Arkham
Originsespande Gotham City e si presenta
come un prequel la cui storia è ambientata prima degli eventi di
Batman: Arkham Asylum e Batman: Arkham City, i primi due acclamati
capitoli della serie. Ambientato prima della rivolta dei più
pericolosi criminali di Gotham City, il gioco presenta un giovane e
rozzo Batman che affronta un momento chiave nei primi passi della
sua carriera di combattente del crimine lungo il percorso per
diventare il Cavaliere Oscuro. Nel prosieguo della storia i
giocatori incontreranno molti importanti personaggi per la prima
volta e intesseranno relazioni chiave.
Inoltre la Warner Bros. ha infatti
confermato che Deathstroke sarà un personaggio giocabile nel
Challenge Mode di Batman: Arkham Origins: chi prenoterà il gioco
per una delle tre piattaforme previste, riceverà un accesso
esclusivo al Deathstroke packche sarà poi
disponibile anche per tutti gli altri
giocatori in un momento successivo non ancora
precisato.
Batman Arkham
Originsarriverà su PlayStation 3, PC, Xbox
360 e Wii U il 25 ottobre 2013, giorno in cui
sarà pubblicato anche Batman: Arkham Origins Blackgate per Nintendo
3DS e PlayStation Vita.
Fino a che punto siamo
disposti a spingerci per soddisfare i desideri del corpo e
dell’anima? E’ intorno a questo interrogativo sostanziale che ruota
il film-scandalo del festival di Cannes, Lo sconosciuto del
lago, scritto e diretto dal regista francese Alain
Guiraudie. Un’opera di genere – un noir classico si potrebbe
definire – in cui la certezza del delitto e dell’uccisore turba, ma
non scalfisce, la passione carnale e l’istinto primitivo di un uomo
per il suo amante: per quanto, quest’ultimo, assassino a sangue
freddo. Non conta se la verità sul finale verrà svelata
pubblicamente; non ha importanza se le indagini della polizia
andranno a buon fine: quanto qui interessa scoprire e sviscerare è
la forza pericolosa e incontrollabile dell’erotismo,
dell’attrazione più impulsiva e impetuosa. In questo caso di un
uomo per un altro uomo.
«L’erotismo è l’approvazione della
vita fin dentro la morte» dice George Bataille e, come racconta il
regista, è stata questa riflessione a innescare in lui medesimo la
volontà di rappresentare, nel modo più palpabile e immediato, gli
effetti imprevedibili e impensabili del piacere fisico, e del
trasporto dei sensi, sulla ragione umana. Il personaggio di Franck
(Pierre Deladonchamps), assiduo frequentatore di una
comunità di nudisti gay in riva a un lago, si ritrova infatti a
smarrire la percezione del giusto e della realtà orribile
dell’accaduto, nonostante ne sia stato casuale e inavvertito
testimone: e questo perché travolto dalla passione sessuale per
Michel (Christophe Paou), il bagnante più avvenente, ambito
e misterioso della spiaggia. Un vortice ossessivo di emozioni, reso
plasticamente dalla nudità dei corpi e dal loro intreccio,
reiterato nel tempo e isolato nello spazio. Una routine avidamente
ricercata dai due protagonisti e materialmente manifesta in un
ambiente arioso e lagunare cui è la macchina da presa, e il lavoro
sul sonoro, a dare significato e rilevanza. Il vento fra le foglie,
il passaggio degli elicotteri, il sopraggiungere delle macchine,
l’eco della strada, sono tutte componenti che, insieme
all’alternanza della luce e dell’oscurità, di campi lunghi e di
totali, contribuiscono a restituire non tanto la dimensione
primitiva e triviale della libidine, quanto quella decadente e
malinconica. Dietro le membra scoperte o semisvestite di quelle
figurine sparse sulla sponda del lago, si coglie, oltre al
desiderio, la paura della solitudine, il bisogno di compagnia, di
condivisione e di dialogo. Basti pensare all’introversia di Henri
(Patrick D’Assumcao): una presenza quasi lirica, affascinante,
umana, che incarna più di tutte la necessità dolorosa e vera di
esprimere se stessi e di raccontarsi all’altro: fosse anche con uno
sconosciuto.
Se morite dalla
voglia che arrivi il 3 ottobre per andare a vedere il biopic sulla
principessa Diana, tanto amata dalla gente quanto poco amata dal
marito e dalla suocera, è meglio non leggiate i commenti della
stampa inglese.
Diana – The
legend is never the whole story, da noi tradotto, con la
consueta creatività, Diana – La storia segreta di Lady D, è
stato presentato in anteprima ai giornalisti del Regno Unito
venerdì 20 settembre ed è stato accolto negativamente, per usare un
eufemismo. Nulla, o quasi, da ridire, sulla sceneggiatura di
Stephen Jeffreys (The
Libertine), basata sul libro del 2001, Diana: her
last love, di Kate Snell. Niente da rilevare
neanche sulla regia del tedesco e nominato all’Oscar,
Oliver Hirschbiegel(Downfall). Molto da recriminare nei
confronti della pluripremiata, ammirata e pagata star di Hollywood,
Naomi Watts. Non si può capire il senso delle
critiche inglesi se non si è stati fan delle Spice Girls e di David
Beckham perché i giornalisti di Sua Maestà dicono pressappoco
“Ok, Naomi le somiglia, cammina come lei, ha i capelli cotonati
e laccati alla perfezione e il mascara della marca esatta, ma è
comunque poco posh rispetto all’originale”. Posh, è
l’epiteto che veniva affibbiato a Victoria Beckham
quando fingeva di cantare nel quintetto tutto al femminile, e
significa “elegante” e “di lusso”. «Nonostante la camminata e
le cadenze giuste e lo sguardo verso l’alto da martire e da santa,
è troppo bella, troppo normale», scrive David
Sexton di This is London. «Il suo lato positivo
è che è isterica», tuona Tim Robey dalle
pagine del Daily Telegraph, mentre Rotten Tomatoes
piazza un bel 4 per cento accanto al titolo del film e
Peter Bradshaw, sul Guardian, introduce il
suo articolo con «Poor Princess Diana». Ma cosa possiamo
capire, noi, dando solo un’occhiata ai trailer? I tre minuti ci
offrono un assaggio degli ultimi due anni di vita della
“principessa triste”. Capiamo che la storia si focalizza
soprattutto sull’amore con il chirurgo Hasnat Khan, una passione
che sembra non sfumare neanche quando Lady D. incontra Dodi Al
Fayed. Poi la vediamo camminare sui campi minati dell’Angola, e
mentre, circondata da bambini in una delle sue tante missioni
umanitarie, allontana i microfoni dei cronisti. Per ora noi
possiamo solo ribadire la somiglianza impressionante e fare un
plauso alla grande flessibilità che la Watts, nonostante le
critiche, dimostra nell’affrontare ruoli molto diversi l’uno
dall’altro.
La donna nei panni della quale non
ci vorremmo mai trovare è quella Sally del non memorabile film di
Woody Allen Incontrerai l’uomo dei tuoi
sogni, quando, dopo essersi dichiarata al suo capo,
riceve un garbato, cortese, ma fermo “sono lusingato, ma no,
grazie”. Non vorremmo essere al posto di Sally anche perché, nella
migliore tradizione alleniana, ha già alle spalle un matrimonio
naufragato e una mamma (già mamma di Bridget
Jones,Gemma Jones) lasciata dal
marito Anthony Hopkins per un’oca, ma che, a
differenza della figlia, si consola facendosi prendere in giro da
una sedicente maga che le promette un futuro di passione. Se però
consideriamo che Sally è Naomi Watts, che
nonostante la mascellona e il fisico androgino, è una delle attrici
più carismatiche di Hollywood, stentiamo a credere che
Antonio Banderas – che ai tempi, tra l’altro, non
faceva ancora il fornaio – l’avrebbe rifiutata, nel mondo
reale.
Come si fa a dire no a una che nel
2002 è stata inserita dalla rivista People nella classifica
dei 50 più belli dello star system? Che da anni è una delle attrici
più attive nella lotta contro l’Aids? E se questo non bastasse,
come si fa a snobbare una diventata famosa a 32 anni, sotto l’ala
protettrice di David Lynch che inserisce in
Mullholland drive quei cinque minuti
saffici di lei insieme a Laura Harring, durante i
quali ogni uomo – e qualche donna – si dimentica di non aver capito
niente della trama e scopre uno spasmodico interesse per come andrà
a finire?
Per l’allucinato capolavoro del
2001, la Watts ottiene numerosi riconoscimenti, e nonostante siano
più apprezzati dalla critica che dal pubblico, i deliri lynchani le
permettono di raggiungere, dopo, anche il cuore del mainstreaming,
grazie al remake dell’horror giapponese The
Ring. E pensare che la Watts, nata nel Kent e
naturalizzata australiana, inizia a recitare a soli 18 anni, nel
1986, in un film intitolato For Love Alone.
Dopo quella breve parentesi, la bionda decide che, per lei, è più
adatto il mondo della moda e comincia a lavorare prima come
indossatrice poi come redattrice di riviste del settore, senza mai
interrompere lo studio della recitazione.
Sul set di
Flirting, infatti, conosce le future dive
Thandie Newton e Nicole Kidman,
divenendo amica di entrambe, soprattutto dell’ex signora Cruise.
Dagli anni Novanta, fino all’incontro con David Lynch,
Naomi Watts ottiene molte particine in serie e pellicole
per il cinema e la tv, senza che nessuno si accorga di lei.
Scorrendo i titoli, tuttavia, si avverte già in nuce la
flessibilità che tuttora la accompagna nella scelta dei ruoli,
nonostante la bella Naomi renda decisamente di più nei film
drammatici e nei panni di donne disperate e tormentate, che nelle
commedie. Dopotutto, la sua infanzia non è stata tutta rose e
fiori, prima per la separazione dei genitori, quando è ancora
piccola, poi per la morte del padre, ex collaboratore dei Pink
Floyd, per overdose di eroina nel 1976. “Quando ci trasferimmo
dal Kent nel Galles, io e mio fratello studiavamo la lingua del
posto, in una scuola in mezzo al nulla, mentre tutti gli altri
perfezionavano l’inglese. Ovunque ci trasferissimo assumevamo
l’accento di quella regione e questo forse mi ha aiutata nel mio
lavoro. Comunque ricordo una buona dose di tristezza nella mia
infanzia, ma l’amore non mi è mai mancato”.
A 14 anni, Naomi
Watts si trasferisce in Australia, insieme al fratello, la
madre e il patrigno. Poi, negli anni 90, incoraggiata anche da
Nicole Kidman, Naomi si trasferisce a Los Angeles,
dove iniziano anni difficilissimi in cui accetta tutte le “parti di
merda” che riesce a trovare. “Per un periodo sono tornata di
nuovo in Australia, sempre per piccole parti. Una volta rientrata a
Hollywood tutti quelli che mi avevano spronata non sembravano più
interessati. In pratica, dovetti ricominciare tutto da capo. Non mi
inviavano neanche lo script perché a loro non conveniva. Mi ricordo
che una volta dovetti guidare per ore nella Valley per andare a
prendere tre pezzi di carta scritti da qualche orrendo pezzo di
merda”. “Nicole (Kidman) mi ha sempre offerto un enorme
appoggio, ma ce l’ho fatta perché a poco a poco il mio motto è
diventato ‘il lavoro genera lavoro’, così continuavo ad accettare
tutto”. Per un soffio non ottiene la parte che poi sarebbe
andata a Charlize Theron in L’avvocato
del diavolo. La stessa cosa succede con Ti
presento i miei, ma proprio quando le speranze di
Naomi sembrano esaurirsi, Mister Lynch, senza aver visto nessuno
dei suoi precedenti lavori, la scrittura immediatamente per
Mullholland Drive: “Sentivo che la
persona che stavo guardando nella foto aveva un talento enorme. Ho
visto qualcuno con una bella anima e una bella intelligenza, capace
di supportare i ruoli più vari”. Dopo, la strada della ragazza
che nessuno voleva, è tutta in discesa.
Oltre a The
Ring, Naomi recita in Ned
Kelly – dove si innamorerà, ricambiata, di
Heath Ledger – e in Le
divorce, insieme a Kate Hudson, ma
anche negli inquietanti episodi di Rabbits,
firmati dal mentore Lynch.
Nel 2004, per l’interpretazione di
Ann Darrow nel remake di King Kong, firmato
da Peter Jackson, vince il Saturn Award come
migliore attrice protagonista, ma è nel 2006 che dà un’altra bella
prova, nel godibilissimo remake di una pellicola del 1934,
Il velo dipinto, dove veste i panni di una
moglie insoddisfatta che si accorge troppo tardi aver avuto accanto
per tutta la vita un marito migliore di lei e che, tra l’altro, è
Edward Norton. Per la parte di Kitty Garstin, la
stampa americana la paragona a Greta Garbo, prima a interpretare il
ruolo, e scrive che la Watts riesce a coinvolgere lo spettatore
quasi più della grande diva. Sul set de Il velo
dipinto, Naomi conosce anche l’attore e regista
Liev Schreiber, col quale intreccia una relazione
che dura tuttora e dalla quale sono nati Alexander e Samuel Kai. La
coppia, inoltre, ha recentemente dichiarato di desiderare una
bambina.
Nel 2007, per Naomi, arriva un
altro grande nome, quello del regista David
Cronenberg, nonostante in La promessa
dell’assassino l’attrice venga, in parte,
oscurata, così come Vincent Cassel, dalla
preponderanza del corpo di Viggo Mortensen e dalla
scena, ormai cult, di lui che, nudo e coperto solo dai tatuaggi,
combatte in una sauna contro due energumeni. Sempre nel 2007
interpreta Funny games insieme a
Tim Roth che non esita a definire la pellicola
“più più disturbante della mia carriera. È stata brutale”.
Dal canto suo, il regista Michael Haneke dichiara:
“Per quanto mi riguarda ho posto una sola condizione: che la
protagonista fosse Naomi Watts”. Arrivano poi, tra gli altri,
The International (2009) e il non eccelso
J. Edgar (2011), diretto da Clint
Eastwood, dove tutti gli attori, lei compresa, non sono
che delle comparse che supportano il gioco tra Leonardo Di
Caprio e Armie Hammer.
Con The Impossible di Juan Antonio
Bayona, basato sulla vera storia di una famiglia scampata
allo tsunami del 2004, Naomi ottiene le nomination come miglior
attrice protagonista, concorrendo sia per l’Oscar, che per il
Golden Globe. Oggi, nonostante sia stata massacrata dalla stampa
inglese per la sua interpretazione di Lady Diana, ai suoi fan piace
sempre ricordarla, nominarla e magnificarla nel suo vero stato di
grazia, cioè nei panni di Cristina, la disperata vedova assetata di
vendetta, in 21 grammi. Il film di Alejandro
Gonzáles Inárritu, forse il vero capolavoro della sua
“Trilogia della morte”, mastica e sputa le certezze dello
spettatore. La “trinità” Watts, Sean Penn e
Benicio Del Toro – e diciamolo, la pazzesca
storia d’amore dei primi due – dà vita a un ingranaggio così
naturale e al tempo stesso sconvolgente, da far desiderare che una
come Naomi lasci definitivamente perdere le Kate
Hudson e i King Kong e scelga ancora di farci piangere
come si deve, come quando, dopo che le hanno investito il marito e
le figlie sussurra: “Non è vero quello che dicono tutti. La
vita non continua”.
Stravagante, vitale, gioioso ma
allo stesso tempo torbido, mortifero e violento. Parliamo del
cinema di Pedro Almodóvar, ma anche di Pedro
stesso, cantore per eccellenza della donna sul grande schermo che
oggi compie gli anni (Calzada de Calatrava, 24 settembre 1951).
Il cinema di Almodóvar può essere
diviso in due epoche diverse, chiaramente delineate da
Tutto su Mia Madre, ad oggi forse il suo
capolavoro e che gli è valso il Premio Oscar (il suo primo, seguito
poi da quello alla sceneggiatura originale per Parla
con lei) per il miglior film straniero. Ha un mondo
suo, una sua casa di produzione e tante muse (maschie e femmine),
che popolano il suo cinema con ritratti di donne sempre diverse e
magnifiche.
Sono Carmen Maura, Marisa
Paredes, Penélope Cruz, Cecilia Roth, Victoria Abril, Antonio
Banderas, Rossy De Palma, Chus Lampreave e Javier
Bardem gli attori e le attrici che con lui ci regalano un
mondo talvolta violento, altre volte sgargiante di vita e colori,
ma sempre mosso dalla vitalità più profonda dell’essere umano.
Si sta girando a Roma e in altre
location sparse in tutto il mondo (per esempio la New York) da
oltre quattro settimane il film
Tutta colpa di Freud, prodotto da Medusa film e
Lotus Production e diretto da Paolo Genovese. Il
film è completo per più della metà (quasi un terzo) e, nella
prestigiosa location del Teatro dell’Opera, si gireranno alcune
scene che coinvolgono i personaggi interpretati da Vinicio Marchioni e Vittoria Puccini, una libraia e il suo
innamorato che è proprio un ladro di libri appassionato d’opera. Ma
i loro personaggi non sono i soli che popolano il film: il grande
mattatore è un inedito Marco Giallini in un ruolo meno cinico del
solito: interpreta infatti un padre e psichiatra che tenta di
risolvere proprio i problemi sentimentali delle sue tre-
amatissime- figlie: la più piccola interpretata da Laura
Adriani, una diciottenne di nome Emma; la libraia Marta
interpretata, appunto, dalla Puccini e Sara, interpretata da
Anna Foglietta, una ragazza che ha un evidente
debole per le donne.
In
Tutta colpa di Freud Giallini
interpreta Francesco, uomo che ha dedicato tutta la sua vita alle
figlie dopo che la moglie- medico in carriera- lo ha lasciato;
all’improvviso si ritrova costretto ad aiutare le figlie
sbrogliando le loro complicate vite sentimentali: Sara, delusa
dall’amore, decide di provare con gli uomini; Marta si innamora di
un ladro che lavora al teatro dell’opera, è affascinante,
romantico, amante della lirica e pure sordo; e infine la piccola
maturanda Emma che, per dimostrare al padre di essere “grande” e
autosufficiente come le sue sorelle e per dimostrargli di valere
molto e d’avere stoffa, si innamora perdutamente di un cinquantenne
con a fianco una splendida moglie, nei cui panni troviamo Claudia Gerini, una donna elegante,
sofisticata, glaciale e sicura di se che, casualmente, è proprio il
nuovo oscuro oggetto del desiderio di Francesco, tornato ad
innamorarsi dopo anni. Per “salvare” la figlia e scongiurare questa
opzione improbabile, lo psichiatra si troverà di fronte ad un
bivio: rinunciare ad una possibile love story con una donna
affascinante spingendola di nuovo tra le braccia del marito, oppure
benedire l’unione della figlia e lasciare che le cose scorrono.
L’intento di
Tutta colpa di Freud è quello di riflettere sulle
differenze che intercorrono tra le persone, differenze d’età,
sesso, estrazione sociale, ceto d’appartenenza. Il film nasce da un
sodalizio- ormai consolidato- tra Medusa film e Lotus Production,
oltre alla fiducia riposta nei confronti di Genovese, uno dei
fuoriclasse della commedia all’italiana che ha diretto numerose
pellicole di successo e torna a regalarcene un’altra proprio per
l’anno nuovo, considerando che il film uscirà nelle sale il
23/01/2014 ed è costato circa 6 milioni di euro divisi tra i vari
set (New York inclusa) e riprese cittadine ambientate a Roma, sui
luoghi più conosciuti del centro che sono stati riscoperti con una
nuova ottica (zone come Campo de ‘Fiori, via dei Coronari e altre
location prossime) dopo il tentativo mal riuscito di
Woody Allen con il suo To Rome with
love.
La location newyorkese, invece, fa
da sfondo alle scene con protagonista il personaggio interpretato
da Anna Foglietta, che ha dichiarato di essersi
divertita moltissimo a girare nei posti più cool ed
iconografici della Grande Mela come la Fifth Avenue, Brooklyn, la
celebre tube, i taxi boat gialli che solcano l’Hudson e
tanti altri. Nonostante l’esperienza positiva, girare tecnicamente
a New York- come a Roma- non è stato facile: troppi permessi e
tante restrizioni impediscono un tipo di lavoro fluido e, nel caso
americano, pure personale visto che il regista ha (almeno nella
nostra industria cinematografica) il diritto di cambiare idea e
apportare delle modifiche alla sceneggiatura in totale libertà,
mentre negli States è una sorta di esecutore materiale e basta.
Per realizzare il film la troupe ha
contato sull’appoggio di entità diverse tra le quali l’associazione
italiana per le persone sorde che li ha aiutati nel mettere in
scena l’amore, silenzioso e romantico, fatto di gesti e sguardi tra
Marchioni e la Puccini. Tanti altri attori, poi, arricchiscono il
film con le loro amichevoli partecipazioni (personaggi come
Edordo Leo, Giulia Bevilacqua, Daniele Liotti, Gianmarco
Tognazzi e tanti altri).
Il titolo, ovviamente, è un omaggio
giocoso alla psicanalisi freudiana (nonostante i dubbi nutriti dal
regista sulla sua comprensione!) e l’argomento si è dimostrato
abbastanza vicino a tutti i membri del cast: a parte Giallini e la
Puccini, tutti hanno dichiarato di aver avuto delle esperienze con
la psicanalisi per meglio approfondire il loro mondo interiore e
conoscersi meglio, parte questa fondamentale per il mestiere
dell’attore.
In ultima analisi si è discusso del
ruolo della commedia al cinema, considerata come un genere molto
spesso snobbato dalla critica e dai grandi festival che
preferiscono film d’autore e di nicchia destinata ad una porzione
limitata di pubblico, mentre invece è un genere potenzialmente
molto forte che arriva a tutti cercando di raccontare la realtà di
oggi senza superficialità ma con sguardo leggero.
Mancano pochi giorni al nuovo ed
innovativo Roma Web Fest, il primo festival internazionale
delle Web-series, vi farà scoprire il mondo del Web come non lo
avete mai visto. Vere e proprie fiction e serie realizzate per
essere fruite attraverso la “rete” oppure sui display dei
dispositivi mobili, verranno visionate, proiettate e votate, per
poi essere premiate durante il Festival che si terrà presso il
Teatro Golden, Via Taranto 36, il 27, 28 e 29 Settembre.
Viene comunicata la Giuria:
Luca Argentero (Attore e
produttore); Carlo Principini (autore, produttore e
direttore artistico della Pubblispei); Massimo Gaudioso
(Sceneggiatore); CristinaPriarone (Direttore
Generale Roma Lazio Film Commission); Marco Bonini (Attore,
sceneggiatore e produttore cinematografico) Ivo Mei
(Scrittore e giornalista); Massimo Arcangeli (Segretario
Generale Agis Anec); Rossella Izzo (Attrice, Doppiatrice,
Direttrice del doppiaggio e Regista); Marco Poccioni
(Produttore Rodeo Drive).
Presidente di giuria:
Michael Ajakwe Jr, direttore
artistico e fondatore del Los Angeles Web Fest.
Non solo proiezioni ma tavole
rotonde, incontri con autori ed editori, tra film-maker, produttori
e aziende, fashion blogger, visibilità, tutto questo e altro
ancora, convergerà all’interno del nuovo Festival dedicato
interamente al nuovo modo di comunicare: Il Web.
Gli appuntamenti davvero
imperdibili sono Le Anteprime il 27 alle 18:30, dove saranno
presentati i nuovi possibili protagonisti del web, ma soprattutto
vi aspettiamo sabato sera alle 21:00 con i Protagonisti indiscussi
delle web serie, realizzatori dello spot virale del Roma Web Fest
(http://www.youtube.com/watch?v=w0qzA5H5g9I)
, che presenteranno prodotti inediti a sorpresa. Una lista lunga
decine di nomi. Un incontro mai realizzato prima. Il tutto coronato
dall’intervento dei direttori artistici dei web fest di Los
Angeles, Vancouver, Marsiglia e Melbourne. Questi ultimi saranno
presenti anche domenica mattina a partire dalle undici per
incontrare i giornalisti e ascoltare le proposte dei giovani film
maker italiani.
Infine domenica alle 17:30 si terrà
l’evento di Premiazione del Roma Web Fest
Il Roma Web Fest è patrocinato dal
Mibac, dalla Regione Lazio, dal Comune di Roma, dall’Anica, dalla
Lazio film Commission, dall’Anec, dall’Anem, dall’Agis,
dall’Agiscuola e da RAI FICTION. Inoltre collabora con la Giffoni
Academy, con Altaroma, L’accademia del lusso, lo IED e Romeur.
Janet De Nardis (Direttore
Artistico) e Maximiliano Gigliucci (Direttore Generale) ricordano
che tra i molti premi per i vincitori dei primi cinque premi
andranno di diritto alle finali dei festival gemellati per creare
vere occasioni di lavoro a livello internazionale.
Si è conclusa la 16 ma
edizione del Mediterraneo Video Festival, festival
internazionale del cinema documentario.
La giuria composta da, Tony
Shargool, Jamal Ouassini e Alessandro
Pesci ha assegnato il premio al miglior
documentario a Jazzta Prastaor wich are the
bulgarian notes di Andrey Slabakov,
(Bulgaria), con la seguente motivazione: per attinenza al tema, per
il panorama che offre sulla realtà poco conosciuta della tradizione
musicale Rom, per il focus sulla realtà mitteleuropea, dalla
periferia di Sofia al lontano Pakistan, in compagnia del
fisarmonicista Martin Lubenov.
Menzione speciale al
documentario Cello Tales di Anne
Schiltz (Lussemburgo) per il linguaggio narrativo e la
qualità tecnica delle registrazioni audio e video.
Premio del pubblico al
documentario ll lupo sul tamburo. un viaggio tra i musicisti
Kazaki di Nello Correale, (Italia).
Menzione a Just play di Dimitri
Chimenti, Italia/Francia/Palestina.