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James Franco presenta Samsung Galaxy Camera – Video Sponsorizzato

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James-Franco-samsung-galaxy-cameraArriva Samsung Galaxy Camera, la prima fotocamera al mondo realmente interconnesa, che combina le connettività 3G/4G o Wi-Fi e Android 4.1 Jelly Bean.

Damon Lindelof: niente Prometheus 2

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Damon Lindelof non scriverà il seguito di Prometheus: lo sceneggiatore, già co-autore del primo film, ha annunciato che non si occuperà del sequel, ufficialmente per i troppi impegni concomitanti.

Sulla decisione tuttavia sembrano aver pesato le critiche negative giunte in occasione del primo capitolo. In una recente intervista, Lindelof ha spiegato come con Ridley Scott abbiano a lungo parlato dello sviluppo della storia nei capitoli successivi; tuttavia in seguito sono arrivate le critiche negative, che si sono sommate agli impegni dello sceneggiatore nella nuova saga cinematografica di Star Trek e ad altre idee, tra cui un altro film e un progetto per la tv.

Fonte: Empire

Matt Damon e John Krasinski scrivono Promised Land

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Matt Damon e John Krasinski scrivono Promised Land

Matt Damon torna al ruolo di sceneggiatore per la prima volta dai tempi di Will Hunting: ha infatti scritto Promise Land, che sarà diretto da Gus van Sant.

Damon ha collaborato nell’occasione con John Krasinski, conosciuto per il ruolo di Jim in “The Office“, il quale non è nuovo alle sceneggiatore, avendo già scritto e girato un film, tratto dal romanzo di David Foster Wallace  Brevi interviste a uomini schifosi. I due saranno anche protagonisti del film.

Promise Land segue le vicende di Steve Butler (Damon) che per conto di una grande azienda va in una piccola città, cercando di convincere gli agricoltori locali a vendere la propria terra alla propria compagnia, che intende poi procedere alla ricerca di giacimenti di gas naturale.

Il protagonista, accompagnato da una partner più esperta (Frances McDormand) sembra inizialmente avere successo, anche dal punto di vista sentimentale, conquistando le attenzioni di una maestra del luogo (Rosemarie DeWitt), fino a quando non si trova ad affrontare l’ambientalista radicale Dustin (Krasinski), che farà di tutto per mettere l’intera città contro i due rappresentanti.

Promise Land doveva in origine essere anche diretto dallo stesso Damon, il quale poi ha dovuto rinunciarvi per i troppi impegni: la regia è passata allora a Gus Van Sant, rinnovando una collaborazione già sperimentata in Will Hunting e in Jerry.

Fonte: ComingSoon.Net

Box Office ITA del 24 dicembre 2012

Box Office ITA del 24 dicembre 2012

Testa a testa al botteghino italiano tra Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato e I 2 soliti idioti. Incoraggiante l’apertura di Vita di Pi.

L’ultimo fine settimana pre-natalizio è stato una vera e propria lotta a due, fra il primo capitolo della nuova trilogia tolkeniana di Peter Jackson e la nuova demenziale commedia italiana.

A spuntarla per un soffio è Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, che conferma la prima posizione al suo secondo weekend di sfruttamento. Il film incassa 2.490.000 euro, arrivando al totale di 8,1 milioni di euro in dieci giorni.
Dopo essere rimasto al primo posto giovedì e venerdì, Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato ha faticato sabato e domenica, tallonato da I 2 soliti idioti che alla fine, con meno di mille euro di differenza, apre in seconda posizione con 2.489.000 euro.
Considerando che il film con Biggio e Mandelli disponeva di un numero inferiore di sale (697 contro 417) e, in assenza di 3D, è proprio quest’ultimo il vincitore morale del weekend, avendo attirato più spettatori e fruttando una media migliore.
Sarà interessante vedere come nei prossimi giorni si evolverà lo scontro tra Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato e I 2 soliti idioti.

Nel frattempo, le altre due commedie italiane delle feste continuano a farsi una concorrenza reciproca, con Tutto tutto niente niente che scende al terzo posto incassando 1,2 milioni. Il film con Antonio Albanese arriva così a quota 4,1 milioni, decisamente meglio di De Sica & Co: Colpi di fulmine raccoglie infatti 1,1 milioni e giunge a 2,8 milioni totali.

Ralph Spaccatutto apre in quinta posizione con 869.000 euro incassati in oltre 450 copie, un risultato non particolarmente positivo.
Più incoraggiante, invece, l’esordio dell’acclamato Vita di Pi. Il film di Ang Lee (presentato come “il nuovo Avatar” per attirare le folle) ottiene 742.000 euro in 238 sale, con una media che supera i tremila euro.

Al settimo posto troviamo un’altra new entry, La regola del silenzio. Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film di Robert Redford incassa 503.000 euro in meno di 200 copie a disposizione.

Seguono due pellicole d’animazione in calo, ovvero Le 5 Leggende (243.000 euro) e Sammy 2 (182.000 euro), giunti rispettivamente a 5,7 milioni e 612.000 euro.

La parte degli angeli conferma la decima posizione della scorsa settimana, raccogliendo altri 149.000 euro per un totale di 292.000 euro.

Box Office USA del 24 Dicembre 2012

Box Office USA del 24 Dicembre 2012

hobbit-poster-gollum-andy-serkisLa classifica di Natale del box office USA non riserva molte sorprese, The hobbit è infatti saldo in prima posizione con un incasso settimanale di quasi 37 milioni per un totale di 150, che lo distanzia decisamente dal secondo in classifica, il nuovo film con Tom Cruise alle prese con un serial killer: Jack Reacher incassa quasi 16 milioni di dollari.
Il terzo posto è occupato da This is 40, nuova prova questa volta registica oltre che produttiva di Judd Apatow, la miniera d’oro della commedia americana recente, a cui si devono molti dei titoli con Katharine Heigl ad esempio. Questo film vuole infatti essere una sorta di seguito di Molto incinta, per cui vediamo i protagonisti del film qualche anno dopo. Il film incassa 12 milioni.
Scende in quarta posizione Rise of the guardians, con un incasso settimanale di quasi 6 milioni di dollari, per un totale di quasi 80 milioni.
A metà classifica rimane stabile e granitico Lincoln che incassa 5 milioni di dollari per un totale di 117.
La regista di un’altra pellicola con la Heigl occupa con il suo film, ovviamente una commedia romantica che vede riuniti Seth Rogen e Barbra Streisand, The Guilt trip, fa il suo esordio al sesto posto con un incasso di 7 milioni di dollari.
La riedizione di Monsters &Co. della Pixar rifatto in 3D per l’occasione, incassa 6 milioni di dollari e si ferma in settima posizione, l’ottavo posto è invece occupato da Skyfall, in caduta libera ormai, ma dopo aver raggiunto un incasso totale di 280 milioni di dollari. La nona posizione è per Vita di Pi, che scende dopo 5 settimane di classifica e un incasso di quasi 4 milioni di dollari questa settimana, per un totale di 76.
Chiude la classifica Breaking Dawn parte 2, che con i 2 milioni incassati questa settimana raggiunge un totale di 282 milioni.

La prossima settimana usciranno dei grossi titoli: Django unchained di Quentin Tarantino, probabilmente il titolo più atteso dell’inverno, seguito da Les misèrables altro titolo musicale e con grande casta che ipoteca grandi incassi ancora prima di uscire.

Guardians of the Galaxy: due nomi per Starlord

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Guardians of the Galaxy: due nomi per Starlord

Zachary Levi e Jim Sturgess: sono i due attori rimasti a contendersi il ruolo di Starlord, uno dei personaggi al centro distarlord

Django Unchained: Spike Lee contro Quentin Tarantino

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Django Unchained: Spike Lee contro Quentin Tarantino

Spike Lee vs Quentin Tarantino – Atto Secondo: dopo aver duramente polemizzato col proprio collega ai tempi di Jackie Brown – allora l’oggetto del contendere era stato l’ampio utilizzo del termine nigger nel film – Spike Lee torna alla carica in occasione di Django Unchained.

Al centro dell’attacco del regista di Atlanta, vi è stavolta il tema della schiavitù e il mondo in cui Tarantino lo ha affrontato nel suo ultimo lavoro: in una recente intervista, Spike Lee ha affermato di non avere alcuna intenzione di andare a vedere il film poiché lo considera offensivo nei confronti dei propri avi, che erano schiavi.

Lee ha portato al termine il proprio attacco attraverso twitter, dichiarando che la schiavitù non fu come uno spaghetti western di Sergio Leone: fu un Olocausto; Lee ha concluso ricordando che i propri antenati erano schiavi, deportati dall’Africa, che lui continuerà ad onorare.

Fonte: Cinema Blend

Zero Dark Thirty: parla il direttore della CIA

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Zero Dark Thirty: parla il direttore della CIA

Abbastanza prevedibilmente il film di Kathryn Bigelow dedicato alla caccia e all’uccisione di Osama Bin Laden sta provocandoZero Dark Thirty-film

Anche un X-Man apparirà in Wolverine

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Anche un X-Man apparirà in Wolverine

Dopo la comparsata di un giovane Ciclope in X-Men Origins: Wolverine, Hugh Jackman conferma che anche nel prossimo film dedicato al mutante artigliato comparirà uno degli ‘uomini-X’.

Jackman ha dato la notizia nel corso di una recente intervista rilasciata a Parade Magazine: l’attore ha confermato che la vicenda di Wolverine si svolgerà successivamente alla conclusione di X-Men: Conflitto finale, e che nel film diretto da James Mangold vi sarà posto per un cameo di uno dei vecchi X-Men: alcuni sono pronti a scommettere che si tratterà di Jean Grey, anche perché nei mesi scorsi si è vociferato della presenza sul set di Famke Janssen, che ha appunto interpretato la telepate nella prima trilogia dedicata al supergruppo mutante.

Fonte: Cinema Blend

Bradley Cooper e Jennifer Lawrence in Silver Linings Playbook, diretti da David O. Russell

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L'orlo argenteo delle nuvolePat Solitano ama il cinema, e ama i film a lieti fine. Crede che la sua vita sia un film prodotto da Dio e che debba assolutamente finire con un lieto-fine … da film, appunto. Per avere questo lieto-fine, Pat è convinto che gli basterà recuperare la forma fisica perduta e riacquistare il suo equilibrio emotivo, così da poter far finire il “periodo di lontananza” dalla moglie Nikki.

Daniel Day-Lewis : l’arte dell’immedesimazione nel personaggio

Daniel Day-Lewis : l’arte dell’immedesimazione nel personaggio

C’è la mia vita e ci sono le altre, quelle che prendo a prestito ogni volta che interpreto un film, e che finiscono per diventare altrettanto reali della mia. Il problema è che devo imparare a dare priorità alla mia vita, invece che a quella dei miei personaggi”. A parlare è Daniel Day-Lewis, straordinario attore che ha segnato il firmamento hollywoodiano con le sue straordinarie performance e che dopo due Oscar, quattro nomination e innumerevoli titoli di grande spessore, non è ancora stanco della recitazione e si prepara a stregare il suo pubblico con un altro eccezionale ruolo, quello di Abraham Lincoln, il Presidente USA per eccellenza, nel film di Steven Spielberg Lincoln, già designato come la pellicola protagonista della prossima stagione dei premi.

La sua turbolenta vita, il suo voler rimanere britannico senza rinunciare alle radici paterne che affondano in terra d’Irlanda, la sua totale abnegazione al suo lavoro e il suo innegabile fascino, conservato anche ora a 55 anni, ne fanno uno degli attori più amati, rispettati e ammirati del panorama mondiale, sia dal pubblico popolare sia da quello di nicchia, più esigente e schizzinoso.

Daniel Day-Lewis, biografia

Daniel Day-Lewis è nato a Londra, britannico DOC, il 29 aprile 1957, da padre con origini irlandesi, il poeta Cecil Day-Lewis, e da madre attrice di teatro, Jill Balcon, proveniente da una famiglia ebrea di origini lettoni e polacche. La sua vocazione artistica si può dunque rintracciare nella sua famiglia, e così il giovane Daniel cresce in un ambiente stimolante e sembra quasi ovvio che la sua vocazione si rivelerà essere altrettanto artistica. Si butta a capofitto nella recitazione e, strano a dirsi, il suo debutto al cinema si rivela essere un fiasco, si tratta del film Domenica, maledetta domenica (1971) diretto da John Schlesinger, al quale poi succederà un periodo piuttosto incerto, principalmente vissuto sulle tavole del palcoscenico teatrale, dove Day-Lewis affina la sua tecnica e dove, possiamo dire, nasce il vero ‘animale’ che il buon Daniel diventa ogni volta che ha a che fare con un nuovo personaggio.

Daniel Day-Lewis, filmografia

Dopo una serie di piccole partecipazioni a film più o meno importanti, tra cui citiamo Il Bounty di Roger Donaldson accanto a Mel Gibson e Anthony Hopkins, arriva il 1985 anno chiave per la carriera dell’attore. È questo infatti l’anno di due collaborazioni con registi di alto livello come Stephen Frears e James Ivory: per il primo, My Beautifull Laundrette, Day-Lewis si trasforma in un giovane e squattrinato dipendente di una lavanderia, amante del proprietario dell’esercizio, che deve affrontare insieme al compagno le complicazioni di un rapporto interraziale, omosessuale e tra dipendente e titolare, un ruolo complesso e controverso che mette in luce da subito il talento istrionico di Daniel. Per l’Ivory di Camera con Vista invece Day-Lewis è il freddo Cecil, rampollo di rango che cerca di strappare dalle braccia del suo vero amore una giovane Helena Bonahm-Carter. Per quanto diversi i due ruoli mettono già in luce due sfumature importanti che compongono il composito mosaico che costituisce l’istrionismo di Daniel Day-Lewis.

Daniel Day-LewisCome poi ci ha abituati, l’attore britannico ritorna al cinema dopo qualche anno ed è solo la fine degli anni ’80 che lo rivede protagonista, prima nel 1988 con L’insostenibile leggerezza dell’essere, basato sull’omonimo e complesso romanzo di Milan Kundera, diretto da Philip Kaufman e interpretato insieme all’attrice francese Juliette Binoche, poi con un paio di film di scarso spessore (Un gentleman a New York del 1988 e Fergus O’Connel, dentista in Patagonia del 1989).

Daniel Day-Lewis chiude infine gli anni ’80 con uno straordinario, eccezionale e commovente ritratto di Christy Brown, scrittore e pittore irlandese, condannato all’immobilità totale del suo corpo, fatta eccezione per il suo piede sinistro. Il film in questione è appunto Il Mio Piede Sinistro, è diretto da Jim Sheridan e consegna definitivamente Daniel Day-Lewis all’Olimpo dorato di Hollywood. Per impersonare al meglio il suo personaggio, Day-Lewis ha passato tantissimo tempo alla scuola di Gene Lambert, fotografo e pittore a sua volta paralizzato, imparando a sua volta a scrivere con le dita del piede sinistro.

Pauline Kael del New Yorker  ha scritto della performance (facendo riferimento alla scena chiave del film: “Puo’ essere il momento più emotivamente devastante che io abbia mai vissuto al cinema. La grandezza della performance di Daniel Day-Lewis è questa: ci trascina all’interno della frustrazione e della rabbia di Christy, e della sua sete infinita”. Il lavoro di simbiosi con il personaggio diventa così una caratteristica fondamentale del suo lavoro d’attore, riconoscibile e apprezzabile in tutti i suoi ruoli a seguire. Lui stesso dichiarerà: “Ho un’unica ossessione, quella di rendere giustizia a personaggi che mi affascinano, proprio perché attraversano esperienze molto diverse dalle mie. Per questo quando mi trovo sul set faccio il possibile per rimanere in carattere anche fra una ripresa e l’altra. D’altra parte, penso che la mia capacità di concentrazione sia la mia, principale virtù”. Ma la performance di Daniel Day-Lewis in Il Mio Piede Sinistro non gli valse solo le lodi della critica, suoi sono stati quell’anno anche i riconoscimenti più importanti del mondo del cinema internazionale, a partire dal Bafta per la migliore interpretazione, fino all’Oscar al miglior attore protagonista, dove Daniel concorreva con Tom Cruise (per Nato il 4 luglio), Robin Williams (per L’attimo fuggente), Morgan Freeman (per A spasso con Daisy) e Kenneth Branagh (per Enrico V).

Dopo un tale successo si ci aspetterebbe ingaggi e titoli a profusione, invece Daniel Day-Lewis si ritira dalle scene fino al 1992, quando guidato da Michael Mann da vita al suo personaggio che più di tutti è entrato nel cuore dei fan, e soprattutto delle sue fan. Infatti se fino ad ora l’attore aveva mostrato abilità straordinarie di mimetismo e dedizione al ruolo, con L’ultimo dei Mohicani Daniel sfodera uno straordinario sex appeal che aiuta a costruire la sua giganteggiante figura di mohicano bianco di grande statura morale e fisica, completamente integrato con il suo ambiente, appassionato, feroce e combattivo.

Daniel Day-LewisAnche per interpretare questo ruolo l’attore si è dato anima e corpo al personaggio, Hawkeye, e per diversi mesi prima delle riprese ha vissuto nella natura, nutrendosi esclusivamente di ciò che riusciva a cacciare. Il film è un epico affresco di scontro tra razze che aumenta di spessore anche grazie alla colonna sonora, divenuta leggendaria, realizzata da Randy Edelman e Trevor Jones.

Il 1993 è un anno molto particolare per Daniel Day-Lewis, infatti l’attore ottiene la doppia cittadinanza, britannica e irlandese, quasi a simboleggiare la sua natura elegante e ribelle allo stesso tempo. Dal punto di vista professionale è questo l’anno di due pellicole di diversa natura: la prima sigla la collaborazione di Daniel con Martin Scorsese, regista che rincontrerà poi nella sua carriera, con L’Età dell’innocenza, in cui recita con Michelle Pfeiffer e Winona Ryder; la seconda invece replica la sua collaborazione con Sheridan che gli affida un ruolo da protagonista ne Nel Nome del Padre, film in cui il nostro interpreta un ribelle irlandese, Gerry Conlon, ruolo che gli vale la sua seconda nomination all’Oscar che però va a Tom Hanks per Philadelphia.

Altro periodo sabbatico per Daniel Day-Lewis e poi rieccolo ancora dopo tre anni, nel 1996, a lavorare accanto ad Arthur Miller che curò la sceneggiatura de La seduzione del male, tratto proprio da un suo racconto. Nel film Day-Lewis interpreta un uomo felicemente sposato oggetto delle attenzioni insistenti e più volte respinte dell’adolescente Winona Ryderche ritrova qui dopo L’Età dell’innocenza. Fu Arthur Miller in persona, sul set del film a presentargli la figlia, Rebecca Miller, che diventò alla fine di quell’anno sua moglie. Un bel passo per Daniel, che fino ad allora aveva mostrato una tendenziale reticenza a stringere legami sentimentali duraturi (lasciò infatti l’attrice Isabelle Adjani alla notizia della gravidanza di lei e gli sono stati attribuiti flirt conWinona Ryder e Julia Roberts).

Dopo la sua partecipazione nel 1997 a The Boxer, film che chiude la trilogia della sua collaborazione con Jim Sheridan, arriva l’ennesimo periodo di riposo durante il quale l’attore anglo-irlandese decide di trasferirsi in Italia, a Firenze, e di diventare apprendista calzolaio. Sarà nella sua bottega nei pressi di piazza Santo Spirito che Martin Scorsese lo andrà a pescare per convincerlo a partecipare al suo nuovo film. È anche questo il periodo in cui Daniel Day-Lewis rifiuta il ruolo di Aragorn ne Il Signore degli Anelli per portare avanti il suo progetto da artigiano. Dove Peter Jackson fallì, riuscì Scorsese, che coinvolse l’attore nel suo film sulle origini di New York. È il 2002 e esce al cinema Gang of New York. Il film, che vede protagonista Leonardo DiCaprio, da a Daniel un’altra possibilità di mostrare il suo enorme talento, tanto da conferirgli la sua terza nomination agli Oscar (vinto poi da Adrien Brody per Il Pianista) e da regalare ai suoi fan una bellissima interpretazione di Bill il macellaio, personaggio divenuto celeberrimo trai fan dell’attore e del regista.

Moltissime sono le curiosità relative alle riprese del film che coinvolgono in prima persona l’attore: durante una scazzottata, DiCaprio ruppe realmente il naso a Daniel, che però continuò a recitare noncurante del dolore; anche tra un ciak e l’altro Day-Lewis continuava a parlare con lo strano accento che usava durante le riprese per interpretare il suo Bill, confermando, qualora ce ne fosse stato bisogna, anche la sua abilità con gli accenti e le lingue; l’attore si ammalò gravemente durante le riprese per essersi rifiutato di indossare come costume una giacca più calda, adducendo come scusa il fatto che giacche di quel materiale non esistevano ancora all’epoca dei fatti raccontati nel film. Dopo tre anni, nel 2005, recita, diretto dalla moglie Rebecca Miller, in La storia di Jack & Rose accanto a Camilla Belle, da noi uscito direttamente in home video.

Il 2007 è per Daniel Day-Lewis un anno di trionfi e riconoscimenti. È sua, per la seconda volta, la statuetta dorata dell’Academy per la migliore interpretazione maschile da protagonista battendo la concorrenza di George Clooney (per Michael Clayton), Johnny Depp (per Sweeney Todd), Viggo Mortensen (per La promessa dell’assassino) e Tommy Lee Jones (per Nella valle di Elah) e il primo Golden Globe in carriera. Il film è Il Petroliere e il regista che dirige il nostro è Paul Thomas Anderson. Day-Lewis ha rilasciato dichiarazioni totalizzanti relativamente a questo ruolo, dichiarando di essersi letteralmente abbrutito per interpretare il Daniel Plainview scritto da Anderson in sceneggiatura: “Non è stato facile calarsi in quei panni. Perché Plainview è un uomo violento, ambizioso. Ho cercato di capire le dinamiche del lavoro nelle miniere, lo stato d’animo dei minatori che scavano nel buio come dannati, vivendo come animali. È stato faticoso. Io sono convinto che per recitare la vita di un altro bisogna sporcarsi le mani, bisogna viverla. Così mi sono trasformato in un essere brutale”. Anche su questo set Daniel si ha messo tutto se stesso, letteralmente, arrivando a rompersi una costola durante le riprese per la ferma volontà di non avere controfigure. La sua interpretazione straordinaria probabilmente va al di là dei premi e dei riconoscimenti ricevuti. Daniel Day-Lewis ha dimostrato ancora una volta di essere un attore di rara natura, dedito al ruolo, completamente preso dalla parte, con i risultati inevitabili di offrire performance fuori dalla norma.

Quando un attore è così grande è difficile incappare in brutte performance, capita però che l’attore in questione reciti in film di discutibile riuscita. È il caso di Nine, film del 2009 diretto da Rob Marshall, basato sull’omonimo musical a sua volta tratto dall’ di Federico Fellini. Nel film Daniel è Guido Contini, regista di successo, nevrotico e insicuro, circondato da tutte le sue donne, un parterre di attrici di prim’ordine: Sophia Loren, Marion Cotillard, Nicole Kidman, Penélope Cruz, Judi Dench, Kate Hudson, Stacy Ferguson.

Arriviamo però all’attualità, al 2012, anno in cui l’America tutta ha già acclamato la grandissima performance di Daniel Day-Lewis nei rispettabili e impegnativi abiti di Abraham Lincoln negli ultimi quattro mesi del suo mandato. A dirigere il film, intitolato Lincoln, Steven Spielberg, forse il regista statunitense più atteso per questo suo progetto che va avanti da diversi anni e che insieme a Daniel Day-Lewis vede protagonisti Sally Field, David Strathairn, Tommy Lee Jones, David Strathairn e Joseph Gordon-Levitt. Anche per questo ruolo la dedizione di Daniel è stata totale, tanto che l’attore ha passato ore intere con il trucco e la barba che ogni giorno lo trasformava nel Presidente, appoggiato nel suo lavoro di trasformismo anche da Spielberg stesso che sul set lo ha chiamato per tutto il periodo delle riprese Signor Presidente, chiamando di conseguenza l’attrice Sally Field, che interpreta la consorte del Presidente, Signora Lincoln e adeguandosi alla situazione indossando sul set sempre un abito elegante. Il film si annuncia come protagonista dei prossimi mesi cinematografici, e mentre ha già raccolto lodi oltreoceano noi dovremmo aspettare il 24 gennaio per vederlo in Italia.

Daniel Day-LewisCon Lincoln, siamo sicuri, Daniel Day-Lewis ha aggiunto un altro capolavoro alla sua collezione di grandi interpretazioni, e confermando, così come altri pochi colleghi, che a 55 anni un attore del suo calibro ha appena cominciato. Sembra quindi che il coperchio del suo vaso di Pandora sia stato appena smosso e che la sua grande abilità, la sua dedizione, il suo trasformismo intimo e efficace, la sua grande passione possano regalarci ancora tanti ritratti di uomini indimenticabili.

Il trailer delirante di Small Apartment

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Il trailer delirante di Small Apartment

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Ecco il trailer di Small Apartment, commedia delirante e assurda che vede protagonista il comico britannico Matt Lucas attorniato da una serie di volti noti

Chad Michael Murray in Left Behind

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chad-michael-murrayL’attore di One Tree Hill, Chad Michael Murray, è in trattative per partecipare al reboot di Left Behind accanto a Nicolas Cage. Il ruolo di Murray dovrebbe essere

Altri character poster per Il Grande Gatsby

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Altri character poster per Il Grande Gatsby

Dopo Joel Edgerton e Isla Fisher, ecco altri character poster per Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann. Protagonisti di queste nuove immagini sono Tobey Maguire, Elizabeth Debicki e la protagonista femminile Carey Mulligan. Ecco i tre poster:

tobey maguire great gatsby

Elizabeth Debicki great gatsby

carey mulligan great gatsby

Il Grande Gatsby, il film

Il Grande Gatsby è diretto da Baz Luhrmann e vede nel cast Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan e che vedremo in apertura al Festival di Cannes 2013.

Il Grande Gatsby uscirà il prossimo 16 maggio al cinema. Tutte le info sul film le trovate nella nostra scheda: Il Grande Gatsby. Il sito ufficiale del film qui.

Il film racconta la storia di un aspirante scrittore, Nick Carraway che lasciato il Midwest Americano, arriva a New York nella primavera del 1922, un’epoca in cui regna la dubbia moralità, la musica jazz e la delinquenza. In cerca del suo personale Sogno Americano, Nick si ritrova vicino di casa di un misterioso milionario a cui piace organizzare feste, Jay Gatsby, ed a sua cugina Daisy che vive sulla sponda opposta della baia con il suo amorevole nonché nobile marito, Tom Buchanan. E’ allora che Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei super-ricchi, le loro illusioni, amori ed inganni. Nick è quindi testimone, dentro e fuori del suo mondo, di racconti di amori impossibili, sogni incorruttibili e tragedie ad alto tasso di drammaticità.

Vin Diesel aggiorna sul suo progetto dedicato ad Annibale

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Vin Diesel aggiorna sul suo progetto dedicato ad Annibale

Risale al 2007 il progetto di Vin Diesel di portare sullo schermo le avventure di Annibale, il leggendario condottiero cartaginese che spaventò la potenza romana nascenta attraversando le Alpi con i suoi elefanti da guerra. Nelle dichiarazioni iniziali il film doveva essere completamente recitato in punico antico e avrebbe visto nel ruolo del protagonista proprio Diesel.

Nel 2010 l’attore ha rivlato che Tony Scott sarebbe stato coinvolto nel progetto come regista e che anche Denzel Washington avrebbe partecipato al film, aggiungendo che l’intera storia si sarebbe sviluppata nell’arco di una trilogia.

Adesso Vin Diesel ha aggiornato il suo stato di Facebook con delle interessanti novità riguardanti il suo progetto.

Così ha scritto oggi l’attore: <<Quando un sogno nasce in te quando sei un bambino … quando passi un decennio a far crescere in te quel desiderio … Il giorno, in cui un dirigente di uno studio dice “Voglio fare tutti e tre i film della tua trilogia di Annibale!” ci mette un minuto epr entrarti dentro, e sta ancora entrando>>.

Si conferma quindi il ruolo di Diesel in quello di Annibale, resta però da vedere chi sarà a dirigere i tre film, senza escludere che sia lo stesso Diesel ad affrontare anche questo impegno.

Fonte: WP

Scary Movie 5: ecco il trailer originale

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Scary Movie 5: ecco il trailer originale

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Da Collider abbiamo oggi la versione originale del trailer di Scary Movie 5. Il famoso sito americano si esprime molto chiaramente (e negativamente) in merito

Aftershock: il trailer del film scritto e prodotto da Eli Roth

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Aftershock: il trailer del film scritto e prodotto da Eli Roth

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Il sito Worstpreviews ci presenta oggi il trailer di Aftershock, un thriller simil apocalittico co-scritto, prodotto e interpretato dal tarantiniano Eli Roth, che ha come

E’ morto il regista Emidio Greco

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emidio-grecoE’ morto oggi il regista Emidio Greco dopo una breve malattia. Ricoverato al Fatebenefratelli di Roma da qualche giorno, il regista era una figura carismatica all’interno

Giuseppe Tornatore e la magia del cinema

Giuseppe Tornatore e la magia del cinema

Il cinema è molte cose: è la magia del suo farsi, è la possibilità per chi guarda di sognare una realtà diversa dalla propria, è la speranza per chi crea di poterla realizzare e racchiudere in un’unità perfetta e coerente. Può essere un rifugio, un modo di fuggire la vita, o piuttosto uno strumento, un veicolo di memoria e consapevolezza. È un mestiere da artigiani, certosino, quello di stupire e commuovere con le immagini, di saper trasmettere emozioni attraverso una forma rigorosa, far convivere istinto e stile, e far sì che tutto funzioni, come in una danza, o in una partitura musicale.

Tra i registi italiani d’oggi, quello che forse più di tutti ha voluto e saputo raccontare il fascino del cinema e il potere delle immagini, facendone al contempo strumento d’indagine della realtà e dell’individuo, è Giuseppe Tornatore. I suoi sono racconti di grande respiro, anche magniloquenti, grandi affreschi di spazi circoscritti – i paesini della sua terra d’origine, la Sicilia, protagonista di tante pellicole, amata, ma al tempo stesso esposta nelle sue contraddizioni e amaramente criticata; oppure contesti chiusi come il commissariato di polizia di Una pura formalità, o la nave Virginian de La leggenda del pianista sull’oceano -ma dal valore universale. Per questo le sue opere sono apprezzate anche all’estero e Tornatore può vantare tra i premi vinti la famigerata statuetta dell’Academy di Hollywood, ottenuta col suo secondo film Nuovo Cinema Paradiso. Inoltre, ad aumentare l’appeal del suo lavoro a livello internazionale, c’è sicuramente lo sguardo aperto del regista verso quel mondo e quel cinema, che ben volentieri ha coniugato più volte col nostro, scegliendo di dirigere attori di fama internazionale come Ben Gazzara, Philippe Noiret, Gérard Depardieu, Tim Roth e ora, nel suo ultimo film in uscita il 1 gennaio 2013, La migliore offerta, Geoffrey Rush, Donald Sutherland e Jim Sturgess. Una carriera partita dal teatro, proseguita come documentarista e per il grande schermo, dove in quasi trent’anni con una produzione piuttosto contenuta – una decina di lungometraggi  – ha imposto il suo nome nel panorama italiano e internazionale, senza tuttavia essere risparmiato da critiche e attacchi, come è accaduto con Baarìa, non molto apprezzato dalla critica, quasi per nulla premiato, al centro di polemiche per gli alti costi di produzione, solo in parte ripagati dagli incassi.

Giuseppe Tornatore nasce a Bagheria il 27 maggio del 1956. Come il personaggio di Totò in Nuovo cinema paradiso, la cui storia contiene diversi elementi autobiografici, Tornatore inizia presto (a dieci anni) a lavorare nell’ambito del cinema, facendo il proiezionista. Dunque non certo dalla parte delle “star”, bensì come artigiano del mestiere. Ma è l’immagine in tutte le sue forme ad interessare il futuro regista, così comincia anche ad approfondire la fotografia. Ed è proprio grazie ai servizi fotografici che mette da parte i primi risparmi. Questi gli consentono di acquistare la prima attrezzatura da documentarista. Il suo documentario d’esordio, Le minoranze etniche in Sicilia, è premiato e fa da trampolino di lancio verso una collaborazione con la Rai. Seguono infatti diversi lavori per l’emittente nazionale: il documentario Diario di Guttuso e due regie televisive: Ritratto di un rapinatore: incontro con Francesco Rosi, Scrittori siciliani e il cinema: Verga, Pirandello, Brancati e Sciascia.

L’esordio per il grande schermo risale al 1986, quando Tornatore dirige Il camorrista, in cui racconta il mondo della camorra attraverso un suo personaggio di spicco dell’epoca. La figura del protagonista, il Professore di Vesuviano, magistralmente interpretato da Ben Gazzara, si ispira infatti a Raffaele Cutolo – il film è tratto da un romanzo di Giuseppe Marrazzo ispirato proprio a Cutolo. Per questo lavoro il regista siciliano è subito premiato col Nastro d’Argento come miglior esordiente. Della pellicola Tornatore è anche sceneggiatore, come accadrà per diversi lavori successivi (qui assieme a Massimo De Rita). Inizia anche la sua collaborazione col fotografo Blasco Giurato, mentre le musiche sono di Nicola Piovani. Nonostante sia solo all’esordio, Tornatore mostra di saper ben padroneggiare il mezzo, realizzando un film avvincente, ricco di pathos drammatico, ma al tempo stesso senza fronzoli, coadiuvato dalle ottime interpretazioni del cast. Per quel che riguarda la materia, poi, non si limita certo a parlare di camorra come di un fenomeno locale e circoscritto, ma ne dà una visione più ampia che non manca di coinvolgere livelli politici e istituzionali nazionali e internazionali.

Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso

Due anni dopo è di nuovo dietro la macchina da presa per dirigere quello che a oggi è considerato il suo capolavoro: Nuovo Cinema Paradiso, di cui è anche sceneggiatore. Torna a lavorare con Blasco Giurato e chiama attorno a sé un ricco cast: Philippe Noiret, Pupella Maggio, Isa Danieli, Leopoldo Trieste, Antonella Attili, Enzo Cannavale e Agnese Nano, oltre a confermare la collaborazione con Leo Gullotta e Nicola Di Pinto. Ma oltre a Noiret, che interpreta Alfredo, il proiezionista del Cinema Paradiso nella Sicilia post bellica, il protagonista del film è Salvatore (da bambino, Salvatore Cascio, da adolescente, Marco Leonardi, da adulto, Jaques Perrin): la piccola peste che ama il cinematografo e vuole rubare al burbero Alfredo i segreti del mestiere, Salvatore che più tardi lascerà l’isola per Roma, dove diverrà un affermato regista. Il film è la storia di una grande amicizia, ma è innanzitutto un atto d’amore incondizionato per il cinema visto dalla parte della gente comune – quella che affollava le sale nel dopoguerra, quella come Alfredo che rendeva possibile tutto ciò stando dietro al proiettore – il cinema come mestiere artigianale dalla insostituibile funzione sociale, ma anche come mezzo per recuperare memoria di sé e della propria storia. Poi c’è il tema del coraggio e dell’emancipazione rispetto a una  realtà chiusa – quella dell’isola siciliana – che si ama ma che può diventare ostacolo alla realizzazione  delle proprie aspirazioni e talenti.

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Una realtà da cui è necessario essere lontani per comprenderla, ma a cui tornare per comprendere fino in fondo sé stessi. Un rapporto complesso quello di Tornatore con l’isola natale che, ha affermato, “è stata a lungo il mio tema ricorrente”. Nel personaggio di Salvatore troviamo poi una caratteristica che sarà tipica anche di altri personaggi creati dal regista, un duplice aspetto: da un lato possiedono un’indubbia capacità, un talento, una grandezza in un certo campo – Salvatore, ad esempio, è un affermato regista – dall’altro, rivelano grandi debolezze, sono impauriti e fragili nell’affrontare il passato, l’essenza più profonda di sé a lungo rimossa, oppure il mondo esterno con le sue insidie, le difficili relazioni umane, l’ignoto, la morte. Il film,  prodotto da Franco Cristaldi, ha una strana fortuna: la sua prima versione, di 167 minuti, viene scarsamente presa in considerazione dal pubblico e passa sotto silenzio.

La seconda invece, accorciata a 118 minuti, rinunciando al racconto dell’incontro tra Salvatore e il suo amore di gioventù ormai adulti, ha un enorme successo sia nel nostro paese che all’estero, dove Tornatore riceve i riconoscimenti più prestigiosi, che lo lanciano nel firmamento delle star internazionali come erede della grande tradizione cinematografica italiana: innanzitutto l’Oscar, il Golden Globe e il BAFTA come miglior film straniero – quest’ultimo premio va anche a Philippe Noiret e Salvatore Cascio come migliori attori, protagonista e non, allo stesso Tornatore in veste di sceneggiatore e ad Ennio Morricone per le splendide musiche.  Ma i premi non arrivano solo dal mondo anglosassone. Tornatore si aggiudica anche lo European Film Award, e il Festival di Cannes gli assegna il Premio Speciale della Giuria. È un successo internazionale enorme, cui si aggiunge il David di Donatello ottenuto in patria per la colonna sonora di Ennio Morricone.

Nel ’90 il regista di Bagheria ha l’occasione di dirigere Marcello Mastroianni, che in Stanno tutti bene offre una delle sue ultime intense interpretazioni nei panni di un anziano che gira l’Italia alla ricerca dei suoi figli. La pellicola riceverà il Nastro d’Argento per la sceneggiatura – opera dello stesso regista assieme a Tonino Guerra e Massimo De Rita – e il premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes. Nel 2009 l’americano Kirk Jones ne ha tratto un remake, affidando a Robert De Niro la parte che fu di Mastroianni.

L’anno dopo, Tornatore vuole ancora Philippe Noiret come protagonista de Il cane blu, episodio da lui diretto facente parte del film La domenica specialmente.

Una Pura Formalita Giuseppe TornatoreNel ’94, cambia genere e stile con Una pura formalità. Sceglie infatti le atmosfere cupe di un noir claustrofobico, che ruota attorno alla sfida ad alta tensione fra i due protagonisti: Gérard Depardieu e Roman Polanski. Entrambi offrono delle ottime interpretazioni: il primo è il noto scrittore Onoff, che si trova a vagare in un bosco nel mezzo della notte. Raggiunto dai gendarmi, è condotto in commissariato per accertamenti come presunto autore di un omicidio (a stendere il verbale dell’interrogatorio che segue è un giovane Sergio Rubini). Il secondo è il commissario che cerca di farlo confessare, sebbene Onoff dichiari di non ricordare nulla. La chiave del film è appunto il ricordo – Ricordare è anche il titolo del brano cantato dallo stesso Depardieu sui titoli di coda, con testo scritto da Tornatore e musica di Andrea ed Ennio Morricone – che porterà a svelare il mistero e a dare al film nella sua seconda parte una svolta e un significato del tutto diversi da quelli inizialmente intesi.

Sfruttando la dicotomia tra sogno (incubo) e realtà, la pellicola si trasformerà infatti da giallo classico in riflessione sul tema della morte, dell’angoscia dell’uomo di fronte a quest’evento, dell’inconsapevolezza con cui lo affronta. Qui Tornatore è lontano dai grandi affreschi storico sociali dell’Italia, preferisce il sano distacco di un’oscura ambientazione europea e uno stile registico più scarno, funzionale all’ambiente chiuso e ristretto in cui si svolge gran parte dell’azione. Certo meno vistosi dei grandi “kolossal” diretti dal regista, questo tipo di film, che pure occupano una parte non trascurabile della sua produzione, hanno una serie di pregi: offrono uno sguardo inedito, sono aperti alla sperimentazione e meno sentimentali – in essi manca quel romanticismo nostalgico presente nelle pellicole legate all’Italia, e in particolare alla Sicilia. È proprio alla terra d’origine che il regista di Bagheria sceglie di tornare artisticamente col suo successivo lavoro – oltre che col documentario Lo schermo a tre punte –  a dimostrare come i due aspetti convivano nella sua carriera.

uomo_stelle-tornatoreNel ’95 infatti, sceglie ancora il binomio Sicilia-cinema per L’uomo delle stelle, in cui dirige Sergio Castellitto. Siamo negli anni ’50 e il Joe Morelli interpretato dall’attore romano è un cialtrone, un truffatore che sbarca in Sicilia per vendere agli abitanti di un piccolo paesino il sogno del cinema, della fama e del successo attraverso finti provini. Un film sul cinema come sogno, ma con un lato amaro e un disincanto assai più marcati rispetto a Nuovo cinema Paradiso, perché qui il cinema è assieme momento di verità su sé stessi (durante i provini gli aspiranti attori mettono a nudo la loro parte più autentica), ma anche una grande truffa, un raggiro e la miriade di caratteristiche facce sicule che Morelli scova appartiene a una massa di italiani creduloni, pronti a farsi raggirare davanti al miraggio della fama, del successo.

Morelli stesso, appunto, è a sua volta un disgraziato, ma anche un vigliacco truffatore. È esterno a quell’ambiente, che vive e legge da romano, con la tipica concretezza, il disincanto, il sarcasmo e una buona dose di cinismo. Ne esce la fotografia di un’Italia non certo edificante, in cui l’aspetto romantico, lo sguardo indulgente del regista si stemperano, pur essendo presenti. Attraverso quei volti segnati, quegli individui disposti a tutto pur di coltivare una speranza, il regista ci racconta comunque un sud che ama profondamente, con le sue ferite: arretrato, in perenne difficoltà, costretto a vivere di sogni, di miti, abbandonato a sé stesso. La pellicola riceve una buona accoglienza da parte di pubblico e critica e diversi riconoscimenti: David e Nastro d’Argento a Tornatore come miglior regista, Nastro d’Argento anche a Sergio Castellitto come miglior attore e a Leopoldo Trieste come non protagonista, oltre che alla fotografia di Dante Spinotti e alla scenografia di Francesco Bronzi; mentre a Venezia il film ottiene il Premio Speciale della Giuria.

La leggenda del pianista sull’oceanoIl 1998 è l’anno della trasposizione del monologo teatrale di Alessandro Baricco, Novecento, che diventa nelle mani di Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano. Potenti uomini e mezzi lo affiancano in quest’impresa di respiro internazionale, che vede protagonista nei panni del pianista Danny Boodman T. D. Lemon, detto Novecento – abbandonato su una nave e lì cresciuto, diventato un portentoso pianista e mai sceso – un Tim Roth in grande spolvero. Se già il monologo di Baricco era toccante, intimo, ricco di piani lettura e sfumature, capace di veicolare emozioni universali, tale ricchezza viene resa perfettamente dal film, che aggiunge l’elegante magniloquenza delle immagini, degli scenari e della musica, quest’ultima opera ancora una volta del Maestro Morricone, al suo meglio. Il film è ricco di momenti e scene che restano impressi nella memoria dello spettatore, poiché è questo il cinema che piace al nostro regista, quello che lascia lo spettatore stupito, a bocca aperta di fronte alle immagini. Si disegna qui in maniera egregia la figura di un uomo vissuto da sempre in un universo limitato, quello del transatlantico Virginian, e abituato a valicare i suoi confini solo con la fantasia e attraverso la magia delle note, della musica che ha imparato a suonare alla perfezione sui tasti del pianoforte. Dunque, come già in altri film di Tornatore, c’è l’idea di uno spazio chiuso, di un universo circoscritto e della difficoltà ad uscirne, a trovare il coraggio di affrontare il mondo esterno. Questa difficoltà è spinta qui alle estreme conseguenze. E come in altre opere del regista, a questa debolezza e fragilità del protagonista fa da contraltare una straordinaria capacità, un talento in un dato ambito. Sembra una fiaba, o appunto, una leggenda, ma c’è nel personaggio di Novecento un’umanità in cui tutti si possono riconoscere. Tornatore ottiene per questo lavoro il Ciack d’Oro,  il David di Donatello e il Nastro d’Argento per la miglior regia. Con quest’ultimo è premiato anche per la sceneggiatura. Mentre Ennio Morricone riceve il Golden Globe per la colonna sonora.

malena-tornatoreDopo questo successo internazionale, il regista torna all’Italia, e alla “sua” Sicilia con Malèna, che segue la vicenda esistenziale di un’affascinante e disinibita donna (Monica Bellucci) in un paesino della provincia siciliana in tempo di guerra, vittima di una mentalità bigotta e ipocrita, considerata puro oggetto di desiderio dagli uomini e d’invidia e rancore dalle donne. L’unico che sembra nutrire per lei un sentimento autentico è l’adolescente Renato (Giuseppe Sulfaro). Malèna dovrà sopportare una serie di traversie, conoscere umiliazioni e violenze, ma faticosamente e a caro prezzo sarà poi accettata. Ancora un premio alle musiche di Morricone, il Nastro d’Argento, e uno alla fotografia di Lajos Koltai, il David.

A questo punto della carriera, Tornatore si concede una sosta per poi riprendere nel 2006 con quel filone noir, thriller intrapreso anni addietro con Una pura formalità. Riprende però anche, in un cero senso, il tema di Malèna. La sconosciuta infatti, ci porta nel territorio oscuro della suspense, ma la sua protagonista, Irena/Ksenia Rappoport, vive una condizione per alcuni versi non dissimile da quella di Malèna. È cambiata l’epoca, qui siamo all’attualità, e Irena è una donna ucraina venuta in Italia per lavorare, che invece finisce a fare la prostituta per conto di un inquietante protettore di nome Muffa. Una donna che diventa oggetto, viene usata dagli uomini.

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Qui ci si spinge ancora oltre rispetto a Malèna, perché Irena è per di più schiava dell’abbietto Muffa e viene usata non solo come prostituta, ma anche come fattrice di bambini da vendere alle facoltose famiglie del nord Italia che non possono avere figli. Tutto questo però si scopre solo gradualmente durante il film perché svelato poco alla volta da sapienti flashback. All’inizio infatti, Irena è “la sconosciuta” che fa di tutto per guadagnarsi un posto a servizio in casa Adacher. Scopriremo poi il suo doloroso passato e quali conti con esso lei voglia chiudere. Qui il regista, ancora coadiuvato dal Maestro Morricone, sostenuto da un ottimo cast che vede accanto alla talentuosa Rappoport, volti noti del cinema nostrano come Alessandro Haber, Piera Degli Esposti, Michele Placido, Margherita Buy, Claudia Gerini e Pierfrancesco Favino, dà una convincente ulteriore prova della sua grande abilità registica riuscendo a orchestrare un noir che tiene alta la tensione e vivo l’interesse dello spettatore per tutta la sua durata, con un mistero che si svela pian piano e che unisce abilmente una storia di rivincita, un tentativo di riappropriarsi della propria vita e dignità, con la denuncia di una tragedia sociale che si consuma nelle società occidentali. Il film otterrà quattro David, fra cui quello come miglior pellicola e miglior direzione, tre Nastri d’Argento e uno European Film Award.

Tre anni dopo Tornatore si dà alla realizzazione di quello che lui stesso ha definito “il film della mia vita”, ovvero Baarìa, in cui racconta uno spaccato di vita della sua città natale, Bagheria (Baarìa), a partire dagli anni ‘30 e nel suo dipanarsi attraverso tre generazioni. Il film può dirsi davvero corale: se infatti i protagonisti sono Peppino Torrenuova/Francesco Scianna e Mannina Scalia/Margareth Madè con le rispettive famiglie, una miriade di interpreti – quasi tutti siciliani, il che ha permesso di farne una versione in siciliano stretto e una doppiata  dagli stessi attori e destinata alla fruizione fuori dall’isola – si muovono attorno a loro a comporre un affresco poetico ed epico di grande raffinatezza estetica, come solo Tornatore sa fare.

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Il regista è anche autore del soggetto e della sceneggiatura. Le musiche sono come sempre affidate a Ennio Morricone, mentre la fotografia è di Enrico Lucidi. Il film porta con sé grandi aspettative, sia da parte del suo autore, che si è mosso sul terreno a lui più caro con un grande impegno registico, sia da parte del pubblico, che ormai conosce la maestria di Tornatore e si aspetta sempre da lui cinema ai massimi livelli. L’impegno non viene però suffragato dai riconoscimenti sperati: nonostante le molte candidature, il film porta a casa solo il David alla miglior colonna sonora, il David Giovani e il Nastro dell’anno. Altrettanta delusione per quanto riguarda i premi internazionali: è candidato all’Oscar ma non arriva alla cinquina finale, e neppure la nomination al Golden Globe va a buon fine. Per quel che riguarda l’accoglienza da parte del pubblico, il film incassa, sì, più di 10 milioni di euro, a fronte però di un impegno produttivo di 25 milioni da parte di Medusa. Addosso al regista piovono così molte critiche, cui si aggiungono quelle degli animalisti per la sequenza dell’uccisione di un bovino, girata in un mattatoio tunisino. Un’esperienza con luci e ombre, dunque, questa di Baarìa, di cui però Tornatore resta nel complesso soddisfatto e orgoglioso.

Giuseppe TornatoreDal 1 gennaio 2013, invece, nelle sale italiane ci sarà l’ultima fatica del regista siciliano, di nuovo un tuffo nel giallo, come lui stesso lo ha definito: “con una tessitura narrativa un po’ misteriosa, da giallo classico, un po’ thriller, anche se nel film non ci sono morti, assassini, assassinati o investigatori”. Il film si avvale ancora una volta di un cast internazionale: Geoffrey Rush, Donald Sutherland, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks, ed ha in comune con La sconosciuta l’ambientazione in una città mitteleuropea. L’azione si svolge nel mondo delle aste: il protagonista è infatti Virgil Oldman/Geoffrey Rush, un battitore d’asta che si trova alle prese con una particolare cliente (Sylvia Hoeks). Molteplici saranno le chiavi della storia, che è anche e soprattutto una storia d’amore, come dichiarato dallo stesso Tornatore. La produzione stavolta è affidata a Paco Cinematografica e Warner Bros.

Mentre, per chi è già oltre e si sta chiedendo quali siano i programmi futuri di uno dei registi più apprezzati del nostro cinema, pare stia cercando di concretizzare un suo vecchio progetto: un kolossal sull’assedio nazista di San Pietroburgo che dovrebbe intitolarsi Leningrado. Al lavoro sull’aspetto produttivo di un progetto da cento milioni di dollari dovrebbe esserci l’americano Avi Lerner. Per il momento però, non c’è nulla di certo.

Jack Reacher – La Prova Decisiva: recensione del film con Tom Cruise

Dal 3 gennaio arriverà nelle sale italiane Jack Reacher – La Prova Decisiva, il cavaliere errante Jack Reacher, assetato di giustizia e di nobili propositi, un eroe post-moderno dall’identità liquida e cangiante, la cui aura di mistero e lucida spregiudicatezza lo renderà, sicuramente, un gradito paladino metropolitano.

Christopher McQuarrie prende in prestito La prova decisiva, il nono romanzo della saga dedicata a Jack Reacher di Lee Child e, entrando in simbiosi con la sua profonda enigmaticità e sfaccettata nota action – già di per se molto cinematografica – si affida all’eloquenza mimica di Tom Cruise, per interpretare il mondo celato e contraddittorio, che lo sguardo fuorviante di Jack Reacher nasconde. Bastano pochi minuti a innescare un criptico gioco di rimandi e a minare l’inconfutabile certezza di prove ritenute fino a quel momento schiaccianti. Una sete di verità pervade le nostre menti: chi è Jack Reacher?

L’unico in grado di risolvere questo fosco cocktail di dubbi, è il nostro caro Jack Reacher (Tom Cruise), un ex militare-investigatore che, nel pieno rispetto del suo status di eroe onnisciente e onnipresente, piomba sulla scena del crimine all’improvviso, come piovuto dal cielo, per condurre la sua personale e volitiva battaglia verso la verità.

Jack Reacher – La Prova Decisiva, il film

Un fiuto da cane da caccia, un animo solitario e nomade in grado di risvegliare il suo granitico spirito quando si tratta di mettersi al servizio della giustizia. L’astuzia e la destrezza di una volpe, l’ossessione per i piccoli dettagli e una smodata dimestichezza a scavare nelle vite altrui. Tutto quello che serve per costruire un personaggio invincibile, in grado di spogliare anche la sua più remota parvenza di umana sensibilità, di ogni senso logico.

Un personaggio dal fascino magnetico e dalla faccia da schiaffi, costruito su misura per un attore dall’ego smisurato come Cruise che, completamente a suo agio nel panni del paladino superomistico, lo carica di prestigio e infinita passione.

Un film che si fregia di una regia sopraffina dove, la lentezza narrativa riesce nel ponderato intento di acuire la tensione. Scelta questa che fa di Jack Reacher – La prova decisiva, un action senza quella sfrenata e adrenalinica dose di azione che caratterizza un film appartenente al genere – fatta eccezione per l’unico suggestivo e ansiogeno inseguimento automobilistico piazzato a metà del film – ma arricchito di una nota torbida e sfuggente che rivela la sua natura mentale di thriller.

Che dire poi del raccapricciante criminale Zec, interpretato da un magistrale Werner Herzog che, con un corpo sfregiato e un’irrazionale voglia di annichilire l’umanità che lo circonda, rappresenta l’antieroe americano per eccellenza, facendo da contraltare all’esagerato e patinato machismo di Tom Cruise, l’uomo in grado di sconfiggere orde di malfattori, sempre con un ghigno sorridente sulla bocca e quella spigliata nonchalance che non gli fa versare neanche una goccia di sudore. Qualche stereotipo di troppo, ma un godibile intrattenimento che non ci fa pesare le oltre due ore di film.

The Master: recensione del film di Paul Thomas Anderson

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The Master: recensione del film di Paul Thomas Anderson

Ha fatto parlare di sé film dalla messa in produzione, ed ora The Master, ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson arriva sugli schermi italiani (il 3 gennaio) dopo una trionfale presentazione al Festival di Venezia, dove ha portato a casa il Leone d’Argento alla regia e la Coppa Volpi alla migliore interpretazione maschile, condivisa tra Joaquin Phoenix e Phillip Seymour Hoffman.

In The Master Freddie (Joaquin Phoenix) è un reduce della Seconda Guerra Mondiale, completamente dilaniato dall’esperienza della guerra che fatica a ritrovare un suo spazio nel mondo, nonostante gli vengano offerte diverse possibilità di reinserimento. La sua turbolenta strada si intreccia con quella di un uomo molto carismatico, “maestro” di una sorta di organizzazione religiosa, convinto di riuscire ad aiutare il suo nuovo amico con i suoi “metodi” che affondano le radici in un misto tra psicoanalisi, misticismo e non poca esaltazione. Presto però Freddie comincerà a mettere in dubbio il credo del suo mentore, trovandosi ancora una volta ad affrontare il mondo in solitudine.

The Master, il film

The Master film 2012

The Master è innegabilmente un film potente, un film che scava nello spettatore a cercarne i nervi scoperti, tutto attraverso due interpretazioni straordinarie, di quelle che capitano una volta nella vita. Maghi assoluti della recitazione, Phoenix e Hoffman si dividono la scena in un susseguirsi di dialoghi e battibecchi completandosi a vicenda poiché sono tanto violente e spropositate le reazioni del primo, quanto misurate e calcolate quelle del secondo.

Anderson si affida principalmente ai suoi due protagonisti, assolutamente all’altezza della tensione emotiva della storia, senza apparentemente curarsi troppo del dettaglio, e inserendo quasi a margine un altro personaggio profondamente importante e a sua volta tormentato. Si tratta di Amy Adams che interpreta la moglie di Hoffman e che si rivela pian piano sempre più importante come ago della bilancia nel rapporto del marito con il giovane “caso umano”.

Eppure il film sembra stagnare proprio nella regia, nel ritmo del racconto, che non procede, si impantana e conferisce al film una lentezza che non giova alla sua godibilità. Non si può certo parlare di film non riuscito, poiché Anderson ha sempre qualcosa di interessante da dire, ma questa volta sembra che proprio la sua regia non sia stata all’altezza delle interpretazioni laceranti dei protagonisti e della sceneggiatura, straordinario racconto di due esistenze che si scontrano per darsi reciprocamente equilibrio, senza però riuscirci.

The Master resta, con tutti i suoi difetti, un film potente, straordinario affresco di individualità pubbliche e private, superbo esempio di come un attore possa elevare la sua arte al sublime.

Abraham Lincoln secondo Steven Spielberg

Abraham Lincoln secondo Steven Spielberg

Day-Lewis_LincolnDopo la parentesi fanciullesca con Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno e War Horse, Steven Spielberg torna alla regia dei film storici. Schindler’s List e Salvate il Soldato Rayan hanno dimostrato come il regista sapesse trattare argomenti quali la shoah e la Seconda Guerra Mondiale vincendo persino l’Oscar. Ma il lavoro che c’è dietro Licoln è un percorso diverso intrapreso con  Il Colore Viola (1985) seguito poi con Amistad (1998) che va a concludere il discorso sulla trilogia abolizionista, altro tema caro al regista.

La migliore offerta: 7 spot per il film di Giuseppe Tornatore

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La migliore offerta: 7 spot per il film di Giuseppe Tornatore

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Il prossimo film di Giuseppe Tornatore, La Migliore Offerta, sarà al cinema dal primo gennaio e vedrà impegnato un cast internazionale diretto dal regista italiano.

The World’s End: prima foto ufficiale!

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The World’s End: prima foto ufficiale!

Superata la minaccia dell’Apocalisse il 21 dicembre 2012, Simon Pegg ha scelto di rimanere in tema twittando la prima immagine ufficiale per The World’s End, irriverente pellicola

Planes: poster e teaser del prossimo film Pixar

Planes: poster e teaser del prossimo film Pixar

Planes, lo spin off di Cars, uscirà in fine nei cinema il prossimo 9 agosto. Il progetto è curato dai Disney Toon Studios e sviluppato separatamente dalla Pixar, anche se i collegamenti diretti con l’universo creato da John Lasseter non si faranno attendere.

Potete vedere un teaser trailer qui sotto:

 

Django Unchained: un ultimo trailer!

Django Unchained: un ultimo trailer!

Django Unchained Jamie FoxxL’uscita negli States di Django Unchained, ultimo acclamato lavoro di Quentin Tarantino,è ormai imminente( per vederlo in Italia dovremo attendere il 17 gennaio):

The Place Beyond the Pines: ecco il primo trailer!

The Place Beyond the Pines: ecco il primo trailer!

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è finalmente stato diffuso online il primo trailer di The Place beyond the Pines di  grande successo all’ultimo Festival di Toronto con ,

Kristen Stewart nel sequel di Biancaneve e il Cacciatore!

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Kristen Stewart nel sequel di Biancaneve e il Cacciatore!

Nonostante lo scandalo che la scorsa estate l’aveva vista protagonista dei rotocalchi a causa della sua presunta relazione col regista Rupert Sanders, Kristen Stewart tornerà a vestire i panni della combattiva Biancaneve nel sequel di Biancaneve e il Cacciatore (SnowWhite and The Huntsman).

Po o nulla si sa ancora della trama del film, ma la Stewart si è detta entusiasta di riprendere il ruolo:

“Sarà davvero fantastico. Sono davvero esaltata per questo film. Non posso parlarne, l’altro giorno ho detto che c’era una forte possibilità che venisse realizzato questo sequel, perché è vero, e tutti quanti mi hanno detto “Ehi, non parlarne!” Quindi sappiate che non posso parlarne!”

Biancaneve e il Cacciatore, il film

Nel poema epico di azione e avventura Biancaneve e il Cacciatore, Kristen Stewart (Twilight) interpreta l’unica persona sulla terra ad essere più bella della regina del male (il premio Oscar Charlize Theron) che è decisa ad ucciderla. Ma quello che non avrebbe mai immaginato la regina malvagia è che la ragazza che minaccia il suo regno è stata iniziata all’arte della guerra dal Cacciatore (Chris Hemsworth, Thor) che era stato da lei inviato per ucciderla. Sam Claflin (Pirati dei Caraibi) completa il cast , interpretando il principe stregato dalla potenza e dalla bellezza di Biancaneve.

La nuova versione mozzafiato della leggendaria fiaba è opera di Joe Roth, produttore di Alice in Wonderland, del produttore Sam Mercer (Il Sesto Senso) e dell’acclamato regista televisivo e visualista d’avanguardia Rupert Sanders.

Winona Ryder: vizi e virtù di un’attrice tormentata

Winona Ryder: vizi e virtù di un’attrice tormentata

Winona Ryder – La teenager alienata, la classica “ragazza della porta accanto”, e infine la donna fragile, tormentata, soggetta a continue crisi depressive, attacchi di panico e, non ultimo, manie cleptomani.

Sono molte le immagini che hanno accompagnato la vita e la carriera di Winona Ryder, oggi di nuovo sotto i riflettori grazie al suo prossimo doppiaggio nel remake animato del celebre Frankenweenie di Tim Burton, in cui presterà la voce a Elsa Van Helsing.

Winona Laura Horowitz nasce il 29 ottobre del 1971 in una piccola città del Minnesota, da cui prende il nome. Il padre, Michael Horowitz, è un russo di origine ebraica, ateo, mentre la madre Cynthia Istas ha origini romene e professa la religione buddista. Con la famiglia e il fratellino Yuri, la piccola Winona Ryder si sposta da uno stato all’altro a bordo dell’autobus psichedelico ribattezzato “Veronica” dai genitori, entrambi hippies e attivisti politici vicini alla beat generation.

A causa della sua abitudine di indossare abiti maschili, vive un’infanzia difficile alla Petaluma Kenilwoth Jr. High School, la scuola californiana che frequenta: costantemente presa di mira dagli altri studenti, all’età di 12 anni sarà brutalmente picchiata da due coetanei che la scambiano per un ragazzo dai modi effeminati. L’episodio la porterà a lasciare la scuola e a terminare gli studi privatamente.

Winona Ryder: vizi e virtù di un’attrice tormentata

Ma nel frattempo la giovane Winona Ryder ha già maturato l’amore per il cinema e il desiderio di diventare attrice, ispirata dalle proiezioni che gli Horowitz erano soliti organizzare nel loro fienile. I genitori non perdono tempo e assecondano la verve artistica della figlia, iscrivendola nel 1983 all’American Conservatory Theatre di San Francisco.

È qui che viene notata dalla famosa agente Deborah Lucchesi, grazie alla quale Winona Ryder otterrà il suo primo ruolo cinematografico nella commedia di David Seltzer “Lucas” (1986), accanto a Charlie Sheen. In questa circostanza, decide di cambiare il suo cognome adottando lo pseudonimo di Ryder, in omaggio al cantante rock Mitch Ryder, molto amato dal padre.

Passeranno solo due anni prima che Winona Ryder venga chiamata dal cineasta più controverso di Hollywood, l’allora esordiente Tim Burton, il quale nel 1988 la sceglie per il suo Beetlejuice – Spiritello Porcello, affidandole il ruolo della ragazzina gotica e depressa Lydia Deetz, che trova conforto nel parlare con una novella coppia di sposi appena passati a miglior vita. Un’interpretazione che, insieme al successivo Schegge di follia di Michael Lehman, farà parlare del lato dark e ribelle della giovane e talentuosa attrice.

La collaborazione con Burton riprenderà nel 1990, quando vestirà i panni della dolce e biondissima Kim nella favola noir Edward Mani di Forbice. Qui la 19enne originaria del Minnesota (che per l’occasione vinse il premio “miglior attrice straniera” al Jordi Awards 1992), offrì il commovente ritratto di una teenager che, unica all’interno della gretta società in cui vive, saprà accettare e persino amare lo strano quanto gentile Edward.

Un ruolo fortunato per Winona Ryder, a giudicare dalla love-story nata sul set con l’affascinante protagonista Johnny Deep e, ovviamente, dal successo di botteghino e di critica che il film si portò (meritatamente) a casa. Intanto l’attenzione dei media nei suoi confronti continua a crescere, in parte per la relazione con Deep, in parte per le doti attoriali dell’attrice, ancora una volta messe in luce da Sirene (1990), il film di Richard Benjamin che le valse la nomination al Golden Globe 1991 come miglior attrice non protagonista.

Winona RyderMa se la carriera della graziosa brunetta inizia a decollare proprio in questi anni, lo stesso non si può dire per la sua vita personale: prova ne è la rinuncia al ruolo di Mary Corleone ne Il Padrino – parte III, causa una fortissima influenza probabilmente dovuta allo stress lavorativo e alle crisi depressive cui la Ryder inizia ad essere soggetta. Poco male – Francis Ford Coppola la richiamerà per il suo Dracula di Bram Stoker nel 1992, consacrandola così come nuova diva dello schermo americano.

Nel 1993 la Ryder vedrà realizzarsi un suo grande sogno, scelta dal suo regista prediletto Martin Scorsese per recitare ne L’età dell’innocenza (per il quale fu nominata agli Oscar 1994) insieme a star del calibro di Michelle Pfeifffer e Daniel Day-Lewis. Purtroppo, a tanto successo nel campo cinematografico corrisposero i primi fallimenti sentimentali: dopo 4 anni il suo fidanzamento con Johnny Deep giunge al termine, e gli attacchi d’ansia – misti ad insonnia – inizieranno ad essere sempre più frequenti, tamponati con alcool e farmaci (nonché dalle telefonate notturne con il collega e amico Al Pacino).

La situazione si ristabilisce un anno dopo, quando la Ryder conosce il musicista grunge Dave Pirner, leader della band Soul Asylum, con cui intrattenne una relazione sino al 1997. In quegli anni spingerà il regista Gillian Armstrong a dirigere il remake di Piccole Donne (1994), che l’attrice dedicherà alla piccola Polly Klaas, sua compaesana rapita e brutalmente uccisa da un maniaco.

Qui la Ryder interpreta – e lo fa magistralmente – Jo, il maschiaccio di casa March con una passione sfrenata per la lettura e il desiderio di diventare, un giorno, una scrittrice famosa. Con la sua naturale simpatia, il suo charme e la sua auto-ironia, Winona ritrae al meglio la giovane eroina della Alcott, mettendo in luce l’umanità e la profonda contemporaneità del personaggio (cosa che non era riuscita a fare a suo tempo June Allyson, nel film del ’49 diretto da Mervyn LeRoy). Non a caso, Piccole donne diede alla Ryder la seconda nomination ai Premi Oscar del 1995 come miglior attrice protagonista.

Winona RyderDopo la parentesi di alcuni film di medio successo come l’inusuale Gli anni dei ricordi di Jocelyn Moorhouse (1995), il discusso Ragazze interrotte e il melò drammatico Autumn in New York a fianco di Richard Gere, la carriera della Ryder subirà un crollo improvviso quando, nel 2001, viene sorpresa a rubare nei grandi magazzini Saks Fifth Avenue di Beverly Hills. Nella borsa le furono trovati capi d’abbigliamento per il valore di 4mila e rotti dollari, insieme a numerosi analgesici senza prescrizione. Per questo, la diva fu condannata a tre anni di libertà vigilata, al pagamento di circa 10.000 dollari di multe, 840 ore di volontariato e a sottoporsi a consulenza psichiatrica – il tutto, alla fine di un lungo processo-show ripreso costantemente dalle telecamere americane.

Un duro colpo per la Ryder, costretta ad ammettere al mondo intero la sua cleptomania, e ad affrontare seriamente le crisi depressive cui era soggetta. L’episodio la farà stare per un po’ lontana dalla macchina da presa – sino al 2006, quando ricompare nel film digitale presentato a Cannes A Scanner Darkly, e in The Darwin Awards di Finn Taylor, commedia proiettata al Sundance Film Festival di Robert Redford.

Dopo la partecipazione allo Star Trek di J.J. Abrams (2009) e la prova del Cigno Nero nel 2010, la Ryder sembra ormai essere tornata in carreggiata, sia sul grande schermo che nella vita personale. Dopo l’infelice rottura con Matt Damon, che la lasciò nel 2000 poco dopo aver deciso di sposarla, l’attrice si riprese tra le braccia di Page Hamilton, e successivamente con il regista esordiente Henry-Alex Rubin.

Una “creatura affascinante”, Winona, timida di fronte ai riflettori dei media ma al tempo stesso sfrontata e sicura delle proprie idee, da sempre considerata un po’ border-line per la sua volontà-capacità di interpretare personaggi femminili fuori dal comune, attratti dal “diverso” e spesso emotivamente fragili. Una diva sui generis, spaventata dal contatto ossessivo ricercato dai fan, acquafobica in seguito ad un’incidente per il quale rischiò di affogare da bambina. Dopo più di vent’anni, questa strana perla di Hollywood torna a collaborare con uno dei suoi primi ed antichi maestri, Tim Burton, entrando nuovamente a far parte del suo fantastico ed inquietante mondo con Frankenweenie.