«This isn’t our fault… I mean
you made us… made me what I am». In queste poche, ma incisive
parole di uno dei protagonisti del film di Ben Coccio, sta
la pregnanza di uno dei film più inquietanti ispirati al
Massacro della Columbine High School. E’ il 2003 e nei panni
dei due killer della sparatoria scolastica che ha avuto luogo a
Littleton (Colorado) nel 1999, ci sono Andre Kriegman e
Calvin Gabriel. Per costruire il suo film Coccio mette,
letteralmente, la macchina da presa nelle mani dei ragazzi. Il
gesto non può che essere oggetto di riflessioni: dietro la mdp il
regista gioca a fare Dio, ma cosa succede se Dio decide di cedere
il suo scettro?
Osannato dalla critica ma
sfortunato al Box Office e nella distribuzione, il film è il
risultato del montaggio dei vlog di Cal e Andre, che si
filmano durante la preparazione del loro piano. Zero Day,
sin dai titoli di testa, che scorrono sulle foto dei protagonisti
da piccoli e sulle note di Eliminator jr dei Sonic
Youth, ci orienta verso un approccio intimo con Cal eAndre che
i due incoraggeranno per tutto il film che si presenta, infine,
come l’ennesimo manifesto del mistero sull’accaduto: non dà
risposte anche perché i personaggi della storia si rivelano, nelle
loro affermazioni che si contraddicono, inaffidabili ed enigmatici
quanto lo stesso giorno zero, da cui il titolo.
Lo 0-day, nel linguaggio
informatico è un’attività dolosa compiuta da cracker per entrare in
un sistema informatico vulnerabile: il giorno zero comincia quando
viene scoperta la falla del sistema informatico che viene, appunto,
‘craccato’. Per Cal e Andre, invece, lo 0-day fa riferimento
al giorno in cui la temperatura sarà 0°: i due infatti vogliono che
sia il caso a decidere quando attuare il loro piano. Tuttavia nulla
impedisce di pensare che abbiano tratto ispirazione della
spiegazione più semplice poiché, a missione compiuta, i due avranno
comunque messo allo scoperto la falla del sistema. Ma non è
della falla nel sistema che si vuole occupare il film di Ben
Coccio. Piuttosto, il suo film si occupa della quiete prima della
tempesta, una quiete tanto ostentata e recitata da destare il
dubbio nello spettatore: forse alla fine non accadrà nulla, forse
stanno davvero solo girando un film.
Un’ipotesi incoraggiata
dall’intimità che i due, attraverso l’esercizio di un insistente
sguardo in macchina, creano con lo spettatore, tanto da farlo
sentire in difetto per il fatto stesso di sentirsi così vicino a
personaggi che, in fin dei conti, sono negativi. I due, infatti
sviluppano un rapporto complesso con la videocamera, trasformandola
in un terzo personaggio: quello da conquistare. Tanto che, anche
nei momenti di maggior intimità, nei videolog, conserveranno sempre
quello scarto di artificiosità, quello sguardo consapevole di chi
sa come andranno le cose e non si illude mai
dell’oggettività dell’occhio della mdp perché è cosciente
del fatto che, dietro l’occhio meccanico, c’è lo sguardo di un
soggetto di carne e ossa da ammaliare.
E’ in questo senso, dunque, che
Zero Day è un film scomodo, spaventoso. Una sensazione che
però il regista mitiga molto restituendo un quadro di grande
naturalezza raccontando anche la vita quotidiana di Cal e Andre:
quelli che ci vengono mostrati non sono altro che due amici
nell’età in cui la lealtà e la fiducia tra compagni è forse l’unica
cosa che conta davvero nell’universo sensibile di un individuo. Una
vera e propria fede nell’altro che toccherà il culmine nella scena
del suicidio, tanto più straziante perché minimale e che ci conduce
verso un finale suggestivo dove i titoli di coda scorrono su delle
croci infuocate in luogo dei volti innocenti di Cal e Andre
mostrati nei titoli di testa, dove il fuoco diventa simbolo di una
vita che si è conclusa quando ha raggiunto il picco massimo di
intensità, quando non le resta altro che bruciare. Un film
disturbante, diverso, indimenticabile.