Ecco di seguito un servizio super
sexy firmato GQ con protagonista Zoe Kravitz. La vediamo ormai quasi ovunque e
trova comunque il modo di comparire anche dove non c’è. Zoe
Kravitz, la figlia prezzemolina di Lenny
e di Lisa Bonet, si sta costruendo una solida
carriera di attrice, grazie non solo alla sua famiglia famosa, ma
anche ad un certo carisma nonostante il corpicino minuto e a doti
di intensa interprete.
Al momento sui nostri schermi con
Mad Max Fury Road, in cui interpreta una
delle componenti dell’harem multietnico di Immortal Joe,
Zoe Kravitz fa parte anche della saga di
Divergent e presto la vedremo in
Good Kill, nei panni di un marines.
Dopo la sua irresistibile versione
di Selina Kyle in The
Batman, Zoe Kravitz ha firmato per recitare in
Biter, una nuova dark comedy basata sul
racconto di Kristen Roupenian, già autrice di
Cat Person. Kravitz produrrà anche tramite la sua società
This Is Important, con la coproduzione di
Paperclip Ltd e Winterlight
Pictures.
Parte della raccolta di racconti di
debutto di Roupenian You Know You Want This pubblicata nel
2019, che Winterlight ha portato a Kravitz e Paperclip,
Biter racconta la storia di una giovane donna che
fantastica di mordere uno dei suoi colleghi.
Zoe Kravitz arriva al progetto dopo aver
concluso la produzione del suo debutto alla regia Pussy
Island, un thriller che ha co-scritto con Naomi
Ackie e Channing Tatum, che è stato
acquisito dalla MGM in una situazione competitiva. Il progetto dà
slancio anche a Roupenian, che ha visto in anteprima al Sundance
Film Festival di quest’anno un adattamento diretto da
Susanna Fogel del suo racconto virale del New
Yorker Cat Person. Biter non ha
ancora assegnato un regista e uno sceneggiatore.
“In quanto azienda basata sulla
proprietà intellettuale, i progetti basati su racconti sono
diventati una parte enorme della nostra lista. Non c’è nessuno che
sia esploso nel mondo dei racconti come Kristen Roupenian”, ha
detto a Deadline il fondatore di
Winterlight Pictures, Chris Goldberg. “Siamo
così orgogliosi di lavorare con un talento e una voce così
eccezionale della sua generazione. Siamo stati anche sbalorditi da
Zoë Kravitz in Kimi e The
Batman, e non potremmo essere più entusiasti di collaborare con
qualcuno così poliedrico e che sta rapidamente emergendo come una
delle più grandi star del cinema del mondo.”
“Il nostro team di Paperclip Ltd
è entusiasta di lavorare con incredibili talenti come Zoë e Kristen
davanti e dietro la macchina da presa in questa storia
elettrizzante, e Chris e il team di Winterlight sono partner
creativi ideali”, hanno aggiunto i fondatori dell’azienda
Yeardley Smith e Ben
Cornwell.
Giovane figlia d’arte (padre Lenny,
madre Lisa Bonet) Zoe Kravitz sta diventando un volto molto noto
del cinema hollywoodiano. L’abbiamo vista qualche anno fa nei panni
di Angel, in X-Men L’Inizio, per poi
rivederla in Good Kill all’ultima
edizione del Festival di Venezia e nella saga di
Divergent. Adesso l’attrice è sul grande
schermo in Mad Max Fury Road.
Ecco cosa ha raccontato del film e
dei suoi prossimi progetti a Collider:
Vedremo di nuovo Zoe Kravitz al cinema in
Viena and the
Fantomes e inVincent-N-Roxxy.
Se la produzione di The
Batman non fosse stata interrotta, probabilmente
avremmo avuto modo di dare un primo sguardo alla Catwoman di
Zoe Kravitz nell’attesissimo film di
Matt Reeves. La speranza è che le riprese del
nuovo adattamento dedicato al Crociato di Gotham possano ripartire
il prima possibile.
Durante una recente intervista con
Variety, Kravitz ha parlato nel dettaglio del suo
co-protagonista, Robert Pattinson, definendolo la scelta
perfetta per interpretare Bruce Wayne. “Robert ha iniziato come
idolo delle teenager, poi ha dimostrato di essere un attore che
attraverso il suo lavoro aveva tanto da dimostrare. E ciò lo lega
molto al personaggio di Batman, in un certo senso”, ha
spiegato l’attrice.
“Abbiamo l’illusione di Bruce
Wayne, e poi abbiamo Batman che agisce nell’ombra e che deve
sbrigare tutta una serie di faccende molto più complicate… penso
che in questo esista una connessione tra Robert e il personaggio E
poi sta benissimo con il costume. Al di là di tutto, però, è solo
un grande attore che si impegna in tutto ciò che fa… penso che il
suo sia un casting perfetto… assolutamente perfetto.”, ha
aggiunto Kravitz.
Zoe Kravitz parla del supporto
delle altre attrici che hanno interpretato Catwoman al cinema
Sembra dunque che in
The
Batman avremo una grande nuova incarnazione del
Cavaliere Oscuro, ma per quel che riguarda Catwoman? Solo il tempo
ci sarà una risposta, ma il talento della Kravitz è innegabile;
inoltre, l’attrice ha anche il supporto di Michelle Pfeiffer, che aveva interpretato
Selina Kyle in Batman – Il ritorno.
“Ho parlato con Michelle.
Eravamo sedute allo stesso tavolo ai Golden Globes, ma l’avevo
incontrata già diverse volte negli anni a causa di David. E.
Kelley. È sempre stata carina con me”, ha ricordato l’attrice.
“Ero appena stata ingaggiato per il ruolo, quindi ero molto
nervosa all’idea di stare in sua presenza, ma lei è stata veramente
dolcissima. Mi ha abbracciato forte e mi ha detto: ‘Sarai
fantastica’. È stato un momento incredibile.”
La Kravitz ha poi aggiunto:
“Anche Halle Berry e Anne Hathaway sono state molto dolci con
me, su Instagram e Twitter. Mi hanno mandato dei messaggi molto
dolci, incoraggianti quando è stato annunciato che avrei
interpretato Catwoman. Mi sento supportate dalla attrici che sono
venute prima di me.”
“The
Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono
le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi
strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per
trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa
alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la
Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a
quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più
villain, poiché sono tutti sospettati“.
Mentre prosegue la produzione
dell’attesissimo The
Batman di Matt Revees, è stata
diffusa una breve featurette del film che si focalizza sul
personaggio di Selina Kyle, interpretato da Zoe Kravitz.
Tim Burton ci
mostrò all’epoca una Selina che diventa Catwoman, mentre
Christopher Nolan ha optato per una
rappresentazione più realistica del personaggio, una sclatra ladra
già consapevole delle sue potenzialità e con un’identità
definita.
Quello di Zoe
Kravitz sarà invece un personaggio diverso, più giovane e
ancora in via di definizione. Non saremo messi di fronte a
Catwoman, ma ad una donna, Selina, che ha scelto la sua strada ed è
all’inizio del suo mito. Ecco il video:
“The
Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono
le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi
strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per
trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa
alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la
Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a
quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più
villain, poiché sono tutti sospettati“.
Zoë Kravitz sarà la
protagonista di Black Belle. Il film,
ambientato subito dopo la guerra civile americana, vedrà l’attrice
nei panni di un solitario cacciatore di taglie specializzato nelle
vendette. Poi una persona le porta delle informazioni relative
all’assassino della madre, allora lei comincierà a cercare vendetta
per se stessa.
Shana Betz dirige il film che
invece è scritto da Tasha Huo. Le riprese dovrebbero cominciare a
settembre.
Un altro impegno, l’ennesimo, perla
nuova prezzemolina di Hollywood.
Presente alla serata degli
Oscar 2022 in veste di presentatrice, Zoe
Kravitz ha condannato duramente il gesto di Will
Smith attraverso due post su Instagram.
Condividendo i suoi due look per la serata, l’attrice interprete di
Catwoman in The
Batman ha commentato le foto dicendo: “Questa è una foto
del mio vestito allo spettacolo dei premi, dove ora sembra che si
aggredisca la gente sul palco.” E poi: “e ecco qui una
foto del mio vestito alla festa dopo lo spettacolo dei premi, dove
ora sembra che si aggredisca la gente sul palco.”
https://www.instagram.com/p/Cbs9QLBPIY4/
https://www.instagram.com/p/Cbs-pDdvhkr/
Dopo le scuse pubbliche di Will
Smith e l’avvio di una indagine da parte dell’Academy, non sappiamo
se l’ormai famosa spiacevolissima situazione avrà degli altri
risvolti, che potrebbero anche arrivare al ritiro del premio da
parte dell’Academy a Will Smith.
Zoe Kazan è
un’attrice versatile e molto talentuosa, in grado di lavorare anche
come sceneggiatrice e produttrice, segno che buon sangue non mente,
visto che è anche nipote del celebre regista Elia Kazan. L’attrice
non si è mai appellata al suo cognome, ma si è fatta strada
lavorando sodo grazie alla sua tenacia, al suo talento innato e
alle sue diverse capacità.
Ecco, allora, dieci cose da
sapere su Zoe Kazan.
Zoe Kazan film
1. Zoe Kazan: i film e la
carriera. La carriera dell’attrice americana inizia nel
2007, quando appare in La famiglia Savage (2007). In
seguito recita in Il caso Thomas Crawford
(2007), Nella valle di Elah (2007), Me and Orson
Welles (2008) e Revolutionary Road
(2008). Successivamente è nei film È complicato (2009),
Happythankyoumoreplease (2010), Ruby Sparks (2012),
What If (2013). Tra i
suoi ultimi film vi sono All’ultimo voto (2015),
The Monster (2016), The Big Sick – Il matrimonio si
può evitare… l’amore no (2017), La ballata di Buster
Scruggs (2018) e The Kindness of Stranger (2019).
Ha poi recitato anche nelle serie Olive Kitteridge (2014),
The Walker (2015), The Deuce – La via del porno
(2017-2018), Il complotto contro l’America (2020 e
Clickbait (2021).
2. È anche sceneggiatrice e
produttrice. Nel corso della sua carriera, Zoe Kazan ha
avuto modo di sperimentare diversi ambiti del cinema e di vestire
diversi panni. L’attrice, infatti, ha svolto i ruoli di produttrice
e di sceneggiatrice per i film Ruby Sparks e Wildlife (2018): con
quest’ultimo film ha aiutato il suo compagno Paul Dano, che lo ha
co-sceneggiato e lo ha diretto.
Zoe Kazan, Paul Dano e la figlia
Alma Bay
3. È fidanzata da tanti
anni. Zoe Kazan è sempre una donna molto riservata e molto
attenta a portare sotto i riflettori la sua vita privata.
Nonostante questo, è ormai fatto noto che l’attrice sia fidanzata
da molti anni, precisamente dal 2007, con il collega Paul Dano, con
ha co-sceneggiato e recitato negli ultimi tempi.
4. È madre di una
bambina. La notizia della sua gravidanza non era di
pubblico dominio e, infatti, è arrivata grazie al suo compagno Paul
Dano. I due sono diventati genitori, nell’agosto del 2018, della
loro prima figlia, Alma Bay.
Zoe Kazan in The
Monster
5. Si è stressata molto per
questo film. Stando alle dichiarazioni della stessa
attrice, pare che girare questo film non sia stata esattamente una
passeggiata: “È stato incredibilmente stressante da girare,
tanto per cominciare. Giravamo per lo più di notte, il che non
aiuta il tuo corpo. Basta chiedere a chiunque faccia un lavoro
notturno. Non è il massimo. Eravamo inzuppate d’acqua ogni giorno.
Congelavamo. Abbiamo avuto delle strane protesi. È stata una vera
sfida. Non avevamo soldi, il che significa che non avevamo molto
tempo, vale a dire che potevamo fare poche riprese. Ella ed io
dovevamo essere costantemente pronte per dare il nostro massimo in
una ripresa sola. Inoltre stavamo in uno stato di costante paura e
adrenalina che si è rivelato difficile”.
6. Non pensava che potesse
essere così difficile. La stessa attrice ha dichiarato che
non pensava potesse essere una sfida così grande quella di girare
questo film. Infatti “Pensavo che riguardasse questi problemi
psicologici. Le cose fisiche non mi sono mai venute in mente fino a
che non ci siamo trovati nel mezzo. Era come “Oh cavolo, hanno più
bisogno di questo”. Ho avuto un’infezione bronchiale che mi è
durata per mesi. Se mai leggerò una sceneggiatura con scritto “Sono
bagnati tutto il tempo”, dirò “Passo. No grazie””.
Zoe Kazan è su Instagram
7. Ha un profilo Instagram
ufficiale. Come la maggior parte dei suoi colleghi, anche
Zoe Kazan ha deciso di aprire un proprio account Instagram
ufficiale, seguito da circa 149 mila persone. La sua bacheca è
molto variegata, con molte foto che la ritraggono protagonista di
momenti lavorativi, quotidiani e di svago.
Zoe Kazan e Daniel Radcliffe
8. Baciare Daniel Radcliffe è stato
strano. Nel film What If l’attrice ha un bacio
con il collega, situazione che ha definito come particolarmente
bizzarra: “A volte, quando bisogna girare delle scene di bacio
è come se non ricordassi persino come baciare qualcuno che non è il
mio ragazzo. Dove mettere le mani? Com’è? La bocca di qualcun
altro, quando è “nuova” è così strana. Penso che Daniel abbia
ragione. Mike Dowse, il nostro regista, ha preso una decisione
davvero intelligente mettendola alla fine delle riprese, perché
trascorri molto tempo con una persona e sai che questo momento
significa molto per il film”.
Zoe Kazan: il suo 2021
9. Ha lavorato in diversi
progetti. Nel corso del 2021 l’attrice si è distinta per
la sua partecipazione a progetti di natura diversa. In primis ha
prestato la voce ad uno dei personaggi del film d’animazione
Cryptozoo, mentre ha poi recitato nel ruolo di Pia Bowers,
una delle protagoniste della miniserie NetflixClickbait. Ha poi da poco concluso
le riprese del film She Said, dove recita accanto a
Carey Mulligan
nel ruolo di una reporter coinvolta nel movimento
#MeToo
Zoe Kazan: età e altezza
10. Zoe Kazan è nata il 9
settembre del 1983 a Los Angeles, California, e la sua
altezza complessiva corrisponde a 164 centimetri.
Bloody
Disgusting ha diffuso il primo trailer di The
Monster con protagonista Zoe Kazan
(Ruby Sparks). Il film è diretto da Bryan Bertino, che
vanta nel curriculm The Strangers.
La Kazan è una giovane madre che fa
un terribile incontro in un bosco. Ecco il trailer:
The
Monster è un film spaventoso in cui una madre
divorziata (Zoe Kazan) e sua figlia devono
affrontare un viaggio d’emergenza di notte per raggiungere il padre
della bambina. Mentre viaggiano in una strada deserta di campagna,
durante una tempesta notturna, improvvisamente hanno un incidente
che le lascia scosse e ferite, anche se non seriamente. La macchina
è fuori uso e mentre provano a cercare aiuto, capiscono che non
sono sole in quella strada desolata. Un male terrificante si aggira
nella foresta circostante, deciso a non lasciarle ripartire.
Nel 2017 vedremo Zoe
Kazan in The Big Sick, commedia
romantica diretta da Michael
Showalter, in cui l’attrice e regista recita al
fianco di Holly Hunter.
Il finale di Zodiac
di David Fincher riflette la triste verità di un
crimine reale: le prove non sono sufficienti per stabilire che
Arthur Leigh Allen è il killer dello Zodiaco.
Allen era il principale sospettato in quello che è ancora oggi uno
dei casi irrisolti più celebri della storia, ma come mostra il
finale del film del 2007, la montagna di prove circostanziali non è
stata sufficiente per accusare Allen, poi morto di infarto prima
che si potesse giungere ad una verità. Il film, basato sull’omonimo
libro di Robert Greysmith (interpretato da
Jake Gyllenhaal nel film), racconta
dunque del regno di terrore del misterioso serial killer e di
coloro che cercarono di smascherarlo.
Nel film Zodiac,
infatti, un agente di polizia e due reporter sono dunque
ossessionati dalla scoperta della sua identità. La loro ossessione
cresce mentre il killer miete vittime e deride le autorità con
lettere indecifrabili. In quello che è indicato come uno dei
migliori film di David Fincher, coloro che
indagavano sul caso volevano dunque così tanto porre fine
all’orrore che l’assassino aveva scatenato nella loro zona, al
punto da doversi accontentare della loro migliore ipotesi
sull’assassino, invece di trovare qualcuno che corrispondesse alle
prove concrete. La paura, il trauma e lo strazio portarono
Arthur Leigh Allen a essere frettolosamente
identificato come il killer dello Zodiaco.
Arthur Leigh Allen non era
l’assassino dello Zodiaco
Alcuni eventi possono essere stati
leggermente esagerati per il bene del film, ma alla fine gli eventi
di Zodiac si sono svolti nello stesso modo in cui
si sono svolti nella vita reale. Arthur Leigh
Allen è stato per anni il principale sospettato, con
pesanti prove circostanziali a suo carico. Proprio quando sembrava
che la polizia potesse arrivare ad una svolta nel caso, Allen morì
inaspettatamente per cause naturali. Sulla carta, sembrava davvero
che fosse il famoso serial killer dello Zodiaco. Ma le prove
fisiche semplicemente non c’erano, il che significa che non poteva
essere lui.
Gli investigatori e i cittadini
della California settentrionale arrivarono a credere che si
trattasse di Allen semplicemente perché avevano bisogno di riparare
i danni che il killer dello Zodiaco aveva causato nella loro
comunità. La paura, la rabbia e il dolore nella Bay Area erano
tangibili e Zodiac lo dimostrò in modo appropriato attraverso la
lente di Graysmith, David Toschi (Mark
Ruffalo) e Paul Avery (Robert
Downey Jr.). Questi uomini volevano così tanto salvare
la loro comunità che hanno rinunciato a tutto per farlo. Essendo
Avery un giornalista di cronaca nera del Chronicle, si appassionò
al caso Zodiac, al punto che iniziò a ricevere minacce di morte e a
ricorrere a droghe e alcool.
L’ossessione di Toschi portò invece
all’accusa di aver falsificato una lettera di Zodiac, cosa che
spinse il suo dipartimento a degradarlo. Il film descrive anche
come, una volta che Greysmith ha reso pubblico il suo libro, la sua
famiglia ha iniziato a ricevere telefonate dove si udiva solo un
respiro pesante. La moglie era talmente turbata dalla sua
ossessione per il killer dello Zodiaco che chiese il divorzio.
Questi uomini avevano bisogno che Allen fosse il Killer dello
Zodiaco perché avevano bisogno che il dolore della California
cessasse. Anche se non ci sono mai state prove fisiche, accettare
che fosse lui l’assassino ha tranquillizzato alcuni. Purtroppo, le
famiglie delle vittime ritratte in Zodiac non avranno mai lo stesso
conforto.
La calligrafia di Arthur Leigh
Allen non corrisponde a quella del killer dello Zodiaco
L’assassino dello Zodiaco ha
iniziato a farsi un nome grazie alle lettere scritte a mano.
All’inizio del film, iniziò a inviare lettere al San Francisco
Chronicle, vantandosi e deridendolo. Trovare una corrispondenza con
la calligrafia significava che le autorità avevano il loro uomo.
L’agente di polizia Dave Toschi iniziò a sospettare di Allen per
diverse ragioni circostanziali. Indossava un orologio dello
Zodiaco, che portava lo stesso simbolo inciso su tutte le lettere
anonime del Killer. Anche la personalità di Allen corrispondeva a
quella di un serial killer. Era un tipo taciturno, socialmente
impacciato ed era additato come pedofilo.
Toschi fece analizzare la
calligrafia di Allen e rimase però sconvolto quando scoprì che non
corrispondeva. Anche se la calligrafia di Allen non è risultata
compatibile, le prove indiziarie sono state sufficienti a tenere
Allen in cima ai suoi pensieri per tutto il resto delle indagini
sul caso Zodiac. Nonostante l’esito negativo, infatti, le autorità
decisero di non scartare Allen come possibile Zodiac. La possibile
associazione del suo nome a quella dell’assassino rappresentò il
primo raggio di luce in un periodo buio e spaventoso per gli
abitanti dell’area di San Francisco.
La balistica e le impronte della
scena del delitto Zodiac non corrispondono ad Arthur Leigh
Allen
Come mostra la rappresentazione
cinematografica della storia vera di Zodiac, il
caso contro Arthur Leigh Allen era dunque privo di prove fisiche,
ma Toschi non poteva comunque lasciar perdere. Si rivolse a un
secondo parere sulla calligrafia e ricevette notizie incoraggianti.
Il secondo analista della calligrafia condivideva una teoria
secondo cui un cambiamento di personalità può portare ad altri
cambiamenti in una persona, come la sua calligrafia. Ma una teoria
basata su congetture non era sufficiente per condannare qualcuno
come assassino, così Toschi e la sua squadra ottennero un mandato
di perquisizione per setacciare la roulotte di Allen.
Gli agenti di polizia trovarono
abbastanza prove che avrebbero dovuto ipoteticamente inchiodare
Arthur Leigh Allen. Aveva la stessa giacca a vento trovata sulla
scena del crimine. Le sue misure di scarpe e guanti corrispondevano
a quelle dello Zodiaco. Possedeva una pistola. Allen si trovava in
zona quando è avvenuto uno degli omicidi dello Zodiaco.
Corrispondeva perfettamente al profilo, eppure in qualche modo il
secondo campione di calligrafia, la balistica e le impronte nella
sua roulotte non corrispondevano a quelle dello Zodiaco.
Toschi, come altri coinvolti nelle
indagini, era diventato ossessionato dall’idea che Arthur Leigh
Allen fosse il killer dello Zodiaco. Perciò rimase scioccato e
sconvolto quando scoprì che non c’era un briciolo di prova fisica
che indicasse che Allen era l’assassino. Toschi ammette persino nel
film di non essere sicuro se pensasse davvero che Allen fosse lo
Zodiaco o se volesse solo che fosse lui. La paura e l’incertezza
avevano invaso la sua città natale. Come mostra Robert Graysmith,
alcune persone erano troppo spaventate per perdere di vista i
propri figli. Toschi voleva solo che la caccia al serial killer
finisse.
Arthur Leigh Allen, californiano,
nato nel 1933, aveva già un passato burrascoso quando le indagini
sullo Zodiaco presero il via. Aveva avuto problemi con la legge per
aver abusato sessualmente di bambini, il che, tra gli altri
fattori, faceva sembrare la sua innocenza sempre meno probabile. Si
dice anche che sia stato congedato con disonore dalla Marina negli
anni Cinquanta. Allen morì poi per insufficienza cardiaca nel 1992
e anni dopo, nel 2007, fu pubblicato un documentario sul killer
dello Zodiaco intitolato His Name Was Arthur Leigh Allen.
Nonostante ciò, non ci sono mai state prove sufficienti per
dimostrare che Allen fosse il famigerato assassino seriale.
Chi erano gli altri sospettati del
Killer dello Zodiaco?
Zodiac non è dunque mai stato
catturato e, sebbene il film si concentri su Arthur Leigh Allen, in
realtà ci sono altri tre principali sospettati su cui la polizia
stava indagando. Il primo è Richard Gaikowski, il
quale assomiglia in modo inquietante agli identikit della polizia.
Gaikowski è nato nel 1936 ed è morto nel 2004 di cancro. Ha fatto
un breve periodo nell’esercito come medico e si è trasferito a San
Francisco nel 1963. Il primo degli omicidi dello Zodiaco avvenne a
meno di cinque miglia da casa sua. Quando gli è stato chiesto un
alibi, ha dichiarato di essere fuori dal Paese al momento di alcuni
degli omicidi. Tuttavia, i registri dei passaporti hanno dimostrato
che si trattava di una bugia.
Un’altra scelta popolare, oltre ad
Allen, era un uomo di nome Rick Marshall, il cui
vero nome era Joe Don Dickey. Marshall/Dickey ha
vissuto per 40 anni nella zona di Bay e dintorni prima di morire
per problemi legati al morbo di Parkinson. Durante gli omicidi di
Zodiac, lavorava in un cinema muto e aveva anche prestato servizio
in Marina. Divenne sospettato nel 1976 dopo aver fatto commenti
sospetti sulla sua radio amatoriale. Inoltre, una delle lettere del
killer di Zodiac fu scritta il giorno del suo compleanno.
L’ultimo sospettato al di fuori di
Allen era Lawrence Klein, che si presentava con lo
pseudonimo (uno dei tanti) di Larry Kane. Kane
aveva un ampio passato criminale che risaliva agli anni Quaranta.
La sorella di una vittima dello Zodiaco, Darlene
Ferrin, ha dichiarato che Kane ha seguito la sorella per
mesi prima dell’omicidio. Inoltre, Kathleen Johns
ha identificato proprio Kane come il suo rapitore dopo essersi
imbattuta nel killer dello Zodiaco. Alla fine, Kane è morto nel
2010 a Reno, in Nevada. Quindi, sebbene Zodiac si concentri
principalmente su Allen, c’erano altri sospetti che si adattavano
al caso.
Sono ormai passati più di 50 anni da
quando il killer dello Zodiaco ha iniziato il suo regno di terrore
in California e il caso rimane irrisolto. Tuttavia, questo non
significa che gli investigatori non ci stiano ancora lavorando.
Nell’ottobre del 2021 il caso è tornato a far parlare di sé, quando
TMZ ha riportato la notizia che un team investigativo composto da
giornalisti, forze dell’ordine e ufficiali dell’intelligence
militare, noto come “The Case Breakers”, aveva scoperto l’identità
del Killer dello Zodiaco e aveva fatto il nome di Gary
Francis Poste, smentendo ulteriormente le voci su Arthur
Leigh Allen.
Tuttavia, l’FBI si
pronunciò quasi subito contro questa notizia. Sia l’FBI che le
forze dell’ordine californiane hanno contestato il fatto che
l’identità del Killer dello Zodiaco sia stata trovata in seguito
alla notizia riportata da TMZ, ma ciò che è più interessante è che
entrambe le forze dell’ordine hanno rivelato che il caso è ancora
aperto. Ciò significa che, anche a distanza di oltre 50 anni, si
sta ancora indagando sull’identità del Killer dello Zodiaco. Non è
chiaro a che livello si trovi l’indagine, né quanto grande sia il
team incaricato di esaminare le prove. Tuttavia, è possibile che
con un nuovo sguardo si possano prima o poi trovare ulteriori
risposte sull’identità di Zodiac.
I
film thriller dove alla fine l’assassino viene catturato e
condannato per i suoi crimini sono belli e rincuoranti, ma
sfortunatamente nella realtà non sempre le cose vanno così. Molto
spesso il killer rimane anonimo, e le sue vittime private di
giustizia. Un caso esemplare di questo tipo è il film
Zodiac, diretto nel 2007 da David
Fincher. Affermatosi come uno dei più importanti registi
della sua generazione, questi si è in particolare distinto come
maestro del thriller, realizzando film iconici come Seven, Gone Girl, il recente
The
Killer e la serie Mindhunter. Con il film
qui approfondito ha però saputo raggiungere nuovi livelli di tale
genere, raccontando una storia estremamente adatta alle sue corde e
alla sua poetica.
La sceneggiatura del film, firmata
da James Vanderbilt, è tratta dai libri che il
vignettista e scrittore Robert Graysmith ha
dedicato alla figura del Killer dello Zodiaco.
Quando Fincher venne a sapere del progetto dedicato al celebre
serial killer se ne interessò subito. Il regista, infatti, aveva
dei vaghi ricordi delle gesta di Zodiac, che nella
sua immaginazione era diventato l’uomo nero per eccellenza. Ad
attrarlo in particolare vi era naturalmente il finale irrisolto,
fedele a quanto avviene nella vita reale. Per poter rimanere
ulteriormente vicino a questa, Fincher e Vanderbilt iniziarono una
lunga ricerca, intervistando testimoni e consultando i rapporti
della polizia. Fu proprio grazie al loro film che il caso di
Zodiac tornò alla ribalta.
Zodiac è ancora
oggi considerato uno dei più importanti thriller degli ultimi
decenni, pur con tutte le sue atipicità. All’interno di una
“normale” sfida tra investigatori e serial killer, il regista ha
infatti inserito una cornice ricca di eventi che legano il caso di
Zodiac al suo periodo storico, rendendo i due pressoché
inseparabili. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e alla
storia vera dietro il film. Infine, si
elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Zodiac
Il film ruota intorno alla vicenda
del serial killer Zodiac, il quale a partire dal 4
luglio del 1969 inizia ad uccidere una serie di innocenti coppie
utilizzando sempre le stesse modalità. Il caso diventa di grande
interesse nel momento in cui l’assassino inizia ad inviare una
serie di strane lettere in codice ai giornali locali, chiedendo che
vengano pubblicate. I primi giornalisti coinvolti sono quelli del
San Francisco Chronicle, tra cui l’eccentrico Paul
Avery e il fumettista Robert Graysmith, i
quali iniziano a condurre una serie di ricerche per conto loro.
Allo stesso tempo, il detective David Toschi
indaga sul caso alla disperata ricerca di indizi. Mentre il killer
continua ad uccidere, la caccia nei suoi confronti si fa sempre più
serrata, ma le possibilità di acciuffarlo sembrano sempre più
lontane.
Zodiac: il cast del film
Per il personaggio del fumettista
Robert Graysmith, Fincher non ha avuto dubbi: l’attore perfetto era
Jake
Gyllenhaal. Questi venne scelto per la sua capacità di
dar vita sia all’ingenuità del personaggio quanto ai suoi aspetti
più compromettenti. Dopo aver accettato la parte, per prepararsi a
questa Gyllenhaal decise di incontrare il vero Graysmith. Da lui
apprese tutto ciò che c’era da sapere sul caso, e lo studiò per
assumerne comportamenti e modi di fare. Il giornalista Paul Avery è
invece interpretato da Robert Downey
Jr.. Il rapporto tra questi e Fincher non fu dei
migliori e l’attore lamentò in più occasioni il desiderio del
regista di dar vita a numerose ripetizioni della stessa scena. Alla
fine, tuttavia, i due riuscirono a trovare un punto d’incontro.
Mark Ruffalo
interpreta il detective David Toschi, un ruolo a cui inizialmente
non era interessato. Dopo aver parlato con Fincher, però, si è
lasciato entusiasmare dal progetto, accettando la parte. Per dar
vita a Toschi, l’attore ha letto tutto ciò che ha potuto su di lui
e il caso, arrivando anche ad incontrare il vero detective, da cui
ha potuto ottenere informazioni preziose. L’attore Anthony
Edwards è invece presente nei panni del detective Bill
Armstrong, mentre
Brian Cox in quelli dell’avvocato Malvin Belli.
Chloe Sevigny
compare invece nei panni di Melanie, la compagna di Graysmith.
Infine, l’attore John Carroll Lynch interpreta
Arthur Leigh Allen, principale sospettato di essere il killer
Zodiac.
La storia vera dietro il film
Il Killer dello
Zodiaco è lo pseudonimo del serial killer mai identificato
che operò nella California settentrionale alla fine degli anni
Sessanta. La sua vicenda è stata descritta come il più famoso caso
di omicidio irrisolto della storia americana ed è diventato un
punto fermo della cultura popolare e un punto di riferimento per
gli sforzi dei detective dilettanti. Zodiac è noto per aver ucciso
cinque vittime conosciute nell’area della baia di
San Francisco tra il dicembre 1968 e l’ottobre
1969, operando in ambienti rurali, urbani e suburbani.
Prese di mira giovani coppie e un tassista
solitario. Gli attacchi noti hanno avuto luogo a Benicia, Vallejo,
nella contea di Napa e nella città di San Francisco.
Due delle sue vittime ferite sono
però sopravvissute. Oltre loro, Zodiac ha però anche affermato di
aver ucciso un totale di trentasette vittime. È infatti stato
collegato a numerosi altri casi irrisolti, alcuni dei quali nella
California meridionale o al di fuori dello Stato, ma per la maggior
parte di questi non è stato possibile verificare la sua effettiva
colpevolezza. Per quanto riguarda il suo nome, Zodiac lo ha coniato
a partire da una serie di messaggi di scherno inviati a giornali
regionali, in cui minacciava omicidi e attentati se non fossero
stati stampati. Alcune delle lettere includevano crittogrammi, o
cifrari, in cui l’assassino affermava di raccogliere le sue vittime
come schiavi per l’aldilà.
Dei quattro cifrari prodotti, due
rimangono irrisolti e uno è stato decifrato solo nel 2020. Sebbene
siano state avanzate molte teorie sull’identità dell’assassino,
l’unico sospettato che le autorità hanno nominato pubblicamente è
Arthur Leigh Allen, un ex insegnante di scuola
elementare e condannato per reati sessuali, morto però nel 1992.
Sebbene lo Zodiaco abbia cessato le comunicazioni scritte intorno
al 1974, la natura insolita del caso ha suscitato un interesse
internazionale che si è protratto negli anni. Il Dipartimento di
Polizia di San Francisco ha dichiarato il caso “inattivo”
nell’aprile 2004, ma lo ha riaperto prima del marzo 2007.
Il killer Zodiac ha davvero scritto al giornale?
Il 31 luglio 1969 furono inviate
tre lettere rispettivamente al Vallejo Times-Herald, al San
Francisco Chronicle e al San Francisco Examiner. Erano per lo più
identiche e riportavano i dettagli delle armi e delle munizioni
utilizzate per gli omicidi. Dichiarava: “Mi piace uccidere perché è
molto divertente” e minacciava di uccidere ancora se le testate si
fossero rifiutate di pubblicare il suo cifrario allegato.
Un’altra lettera fu inviata
all’Examiner cinque giorni dopo, in cui si prendeva in giro la
polizia per non essere riuscita a risolvere il cifrario. “Quando lo
decifreranno, mi avranno”. Questa lettera contiene il primo uso del
nome “Zodiaco”. Il San Francisco Chronicle pubblicò il codice, ma
non fermò gli omicidi. Nel settembre successivo, gli studenti
universitari Bryan Hartnell e Cecelia Shepard furono entrambi
accoltellati da un uomo che indossava un costume con cappuccio e il
simbolo dello Zodiaco. Shepard morì per le ferite riportate, mentre
Hartnell sopravvisse.
Un mese dopo, il tassista Paul
Stine, 28 anni, fu colpito alla testa e gli fu asportato un pezzo
di camicia. Dave Toschi della polizia di San Francisco indagò sulla
scena del crimine e presto sarebbe diventato l’ispettore più famoso
legato al caso. La fama e lo stile di Toschi avrebbero ispirato
film come Dirty Harry e Bullitt. Toschi considerò la morte di Stine
come una rapina di routine, fino a quando l’assassino non inviò una
lettera al San Francisco Chronicle che includeva il pezzo mancante
della camicia macchiata di sangue di Stine per dimostrare la sua
legittimità. Nel film, Paul Avery del Chronicle legge la lettera,
riunendo finalmente Toschi (Ruffalo), Avery (Downey Jr.) e il
vignettista Robert Graysmith (Gyllenhaal), divenuto ossessionato
dallo Zodiaco.
Zodiac e Paul Avery sono diventati improbabili amici di penna
nella realtà
Il Chronicle divenne presto la
principale corrispondenza dello Zodiaco per la pubblicazione,
inviandogli altre due lettere quell’anno. Le lettere includevano
codici cifrati e resoconti della polizia che lo aveva quasi
catturato ma che lo aveva ignominiosamente lasciato andare. Nel
corso del 1970, Avery ricevette molte altre lettere dallo Zodiaco,
alcune delle quali negavano il coinvolgimento nei recenti crimini,
mentre altre ne rivendicavano la responsabilità.
Approfittando della fama che gli
articoli di Avery gli avevano procurato, nell’aprile 1970 lo
Zodiaco pretese che gli abitanti della Bay Area di San Francisco
indossassero “bottoni dello Zodiaco” con il suo simbolo. Nel luglio
1970, Avery si lamentò della mancanza di “bottoni dello Zodiaco”.
Il Chronicle decise di non pubblicare alcune lettere di Zodiac in
questo periodo, con Avery che controllava la narrazione in prima
persona. Di conseguenza, l’assassino probabilmente si sentì
frustrato e iniziò a prendere di mira Avery personalmente.
Un anno dopo aver ricevuto per
posta gli abiti insanguinati di Paul Stine, Avery ricevette un
biglietto di Halloween che recitava: “Dal tuo amico segreto”, “Cucù
– sei condannato” e il numero “4-teen”, che implicava che lo
Zodiaco avesse rivendicato una quattordicesima vittima non
identificata o che potesse essere lo stesso Avery. A differenza di
quanto suggerisce il film, in questa busta non c’era alcun panno
insanguinato, poiché gli abiti di Paul Stine erano stati ricevuti
l’anno precedente.
Tuttavia, come suggerisce il film,
questa nuova corrispondenza mirata diretta specificamente ad Avery
(o “Averly”, come Zodiac spesso sbagliava a scrivere) significava
che Avery portava sempre con sé un revolver calibro 38 da allora.
Il film fa anche notare correttamente che i dipendenti del
Chronicle, compreso lo stesso Avery, in seguito avrebbero indossato
per scherzo le spille “Io non sono Avery” per evitare di diventare
la prossima vittima di Zodiac.
Il caso Zodiac rimane irrisolto
Il caso rimane aperto anche nella
città di Vallejo e nelle contee di Napa e Solano. Il Dipartimento
di Giustizia della California ha mantenuto un fascicolo aperto
sugli omicidi di Zodiac dal 1969. L’indagine su Zodiac rimane
tuttora in corso anche in altre giurisdizioni, ma la verità
sull’identità dell’assassino rimane un mistero. L’11
dicembre 2020, come anticipato, è stata pubblicata la
notizia, confermata dall’FBI, che
lo statunitense David Oranchak, il programmatore
belga Jarl Van Eycke e l’australiano Sam
Blake hanno decriptato il testo cifrato di 340 caratteri
inviato da Zodiac al San Francisco Chronicle l’8
novembre 1969. Il messaggio, comprensivo di errori,
recita:
«SPERO CHE VI STIATE DIVERTENDO
MOLTO CERCANDO DI PRENDERMI QUELLO NELLO SHOW TELEVISIVO CHE HA
FATTO IL PUNTO SU DI ME NON ERO IO NON HO PAURA DELLA CAMERA A GAS
PERCHÉ MI MANDERÀ IN PARADISO PRIMA PERCHÉ ORA HO ABBASTANZA
SCHIAVI CHE LAVORANO PER ME DOVE TUTTI GLI ALTRI NON HANNO NIENTE
QUANDO ANDRANNO IN PARADISO PERCIÒ LORO SONO SPAVENTATI DALLA MORTE
E IO NON SONO SPAVENTATO PERCHÉ SO CHE LA MIA VITA SARÀ UNA VITA
FACILE IN MORTE PARADISO»
Il trailer di Zodiac e dove vedere
il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Zodiac grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV,Apple iTunes, Now, Netflix e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
sabato 16marzo alle ore
21:00 sul canale Iris.
Zodiac in streaming è disponibile sulle seguenti
piattaforme:
Se Zodiac
non ci fosse, sarebbe un film decisamente da inventare. Originale,
esplosivo, misterioso e mentalmente coinvolgente, il film di
David Fincher costringe lo spettatore a stare
attaccato alla sua poltrona, protagonista di una spirale di mistero
senza fine.
1. Lo script di Zodiac era
molto lungo. Pare che la sceneggiatura di Zodiac
fosse molto lunga, composta da circa 200 pagine e questo voleva
dire solo una cosa: il film sarebbe andato decisamente per le
lunghe. Per prevenire qualsiasi tipo di problema che potesse
causare una lunghezza del film fuori misura, il regista David Fincher decise di chiedere ai membri del
suo cast di parlare e recitare in maniera veloce. La soluzione si è
rivelata efficace, tanto che il film dura “appena” 157 minuti (162
in director’s cut).
2. Zodiac ha richiesto 18
mesi di ricerche. Il regista David Fincher, lo
sceneggiatore James Vanderbilt e il produttore
Bradley J. Fischer ci hanno messo ben 18 mesi per
condurre delle ricerche riguardo gli omicidi commessi da
Zodiac. I tre hanno intervistato i testimoni, membri delle
famiglie coinvolte, sospettati, investigatori ancora coinvolti e
quelli in pensione, le uniche due vittime sopravvissute e il
sindaco di San Francisco e di Vallejo.
3. Zodiac ha omaggiato
l’Ispettore Callaghan: il caso scorpio è tuo!. Il film
Zodiac, oltre a raccontare una storia vera, ha avuto anche
tempo e modo di omaggiare l’Ispettore Callaghan: il caso
Scorpio è tuo! del 1971: in questo film, infatti, il nemico
era Scorpio e si basava sull’assassino Zodiac.
Killer dello Zodiaco
4. Zodiac ripercorre i
misteri insoluti del Killer dello Zodiaco. Il film di
David Fincher si basa sul libro di Robert
Graysmith, Zodiac Unmasked: the Identity of America’s
Most Elusive Serial Killer, ripercorrendo tutti i misteri
insoluti che ruotano attorno alla figura denominata Killer dello
Zodiaco. Egli, persona dall’identità ignota, è ritenuto colpevole
dell’assassinio di cinque persone, morti avvenute nella California
del nord tra il 1968 e il 1969: in realtà le vittime accertate
furono sette, ma due di loro riuscirono a salvarsi, mentre Zodiac
ebbe modo di affermare, diverse volte, di averne uccise ben 37. I
crimini commessi avvennero tra Vallejo, Lago Berryessa, San
Francisco e Benicia e l’identità del killer è rimasta sconosciuta
fino ai giorni nostri, tanto da essere ancora uno dei maggiori cold
case ancora attivi su territorio statunitense.
5. Le vittime erano tutte
giovanissime. Un particolare che rendeva noto il killer,
era quello di uccidere sempre dei ragazzi molto giovani, di età
compresa tra i 16 e 22 anni, con un unico caso in cui la vittima ne
aveva 29. Tra le vittime presunte, l’età media oscillava sempre tra
questi due parametri, arrivando al massimo a 25 anni. Le vittime
accertate, in ordine cronologico, sono David Arthur
Faraday e Betty Lou Jensen (di 17 e 16
anni) uccisi con una pistola il 20 dicembre del 1968. A loro sono
seguiti Michael Reanult Mageau e Darlene
Elizabeth Ferrin (19 e 22 anni), colpiti sempre con
un’arma da fuoco nel luglio del 1969 e Bryan Calvin
Hartnell e Cecelia Ann Shepard (20 e 22
anni) accoltellati nel settembre del 1969. L’ultima vittima
accertata risale a Paul Lee Stine, di anni 29,
ucciso con una pistola nell’ottobre dello stesso anno. Di queste
sette vittime si sono salvate solo Micheal Mageau e Bryan
Hartnell.
6. Il killer era un fan di
lettere e crittogrammi. Dopo i primi omicidi compiuti, il
Killer dello Zodiaco si mise a mandare una serie di lettere ad
alcuni quotidiani in cui autoaccusava degli omicidi, allegando
anche un crittogramma che, a detta sua, nascondeva la sua vera
identità. Tra il 1969 e il 1970, il killer utilizzava questo metodo
per comunicare con le autorità, continuando a spedire lettere con
messaggi cifrati, la cui maggior parte di essi sono rimasti ancora
irrisolti. L’ultima lettera accertata come autentica risale al
gennaio del 1974 a cui sono susseguite, nel corso degli anni, una
serie di lettere e di biglietti di cui ancora non è chiaro se siano
davvero del killer o di qualche emulatore.
Zodiac trailer
7. Il trailer di Zodiac da
non perdere. Se il film di Fincher è un assoluto
masterpiece, anche il trailer non va così lontano da questa
definizione, tanto che merita decisamente un visione prima di
vedere il film per intero.
Zodiac cast
8. Mark Ruffalo ha
incontrato l’investigatore del caso Zodiac. Per poter dare
un’interpretazione più veritiera e realistica possibile, Mark Ruffalo ha avuto l’occasione di
incontrare David Toschi, l’investigatore
principale del caso Zodiac, sia sul piano reale, sia nel film. Di
questo incontro, l’attore è rimasto piuttosto sorpreso dal fatto
che Toschi si ricordasse ogni singolo dettaglio di ogni singolo
caso che riguardava il killer dello Zodiaco.
9. Jake Gyllenhaal è stata
la prima scelta. Dopo i mesi dedicati alle ricerche,
Fincher ha puntato subito l’attenzione su Jake Gyllenhaal per interpretare il ruolo di
Robert Graysmith. Nel caso in cui l’attore avesse rifiutato la
proposta, Fincher avrebbe assegnato il ruolo alla sua seconda
scelta, Orlando Bloom.
10. Ruffalo e Gyllenhall
devono ringraziare Jennifer Aniston. Se Mark Ruffalo e
Jake Gyllenhall sono stati coinvolti in questo progetto, ciò è
stato grazie anche alla buona parola di Jennifer Aniston. Pare, infatti, che Fincher
nella fase di pre-produzione avesse chiesto alla Aniston chi erano
stati i suoi migliori partner sullo schermo. Lei ha risposto che
Ruffalo e Gyllenhall erano i migliori, lavorando con loro in
The Good Girl (2002) e Vizi di famiglia
(2005).
Zodiac streaming ita
Chi volesse vedere o rivedere uno
dei film capolavoro di David Fincher, è possibile farlo grazie alla
piattaforme streaming di Chili, iTunes, Tim Vision, INfinity e
Google Play, con disponibilità anche della versione ita e sub
ita.
Zodiac è uno dei
migliori film degli ultimi 20 anni, e lo dico in tutta sincerità,
senza iperboli. La miscela di David Fincher
(Seven) di indagine
giornalistica e thriller sui serial killer è una saga tentacolare
in più parti che, per sua stessa concezione, non può avere un vero
finale conclusivo. Perché? Perché il killer dello Zodiaco non è mai
stato catturato. Ma Zodiac pensa di avere un’idea abbastanza
precisa di chi fosse l’assassino e non ha paura di esporre questa
teoria e lasciare che il pubblico si faccia un’idea propria.
Approfondiamo quindi il film, la
storia vera che lo ha ispirato e il finale di
“Zodiac” che lega il tutto.
Questo è Zodiac che parla
Il 1° agosto 1969, tre testate
californiane – il “Vallejo Times Herald”, il “San Francisco
Chronicle” e il “San Francisco Examiner” – ricevettero una lettera
criptica da un mittente anonimo. L’autore della lettera si prendeva
il merito di una serie di omicidi avvenuti in due località, Lake
Herman Road e Blue Rock Springs. Entrambi gli incidenti hanno
coinvolto una coppia di uomini e donne che hanno subito
un’imboscata e sono stati uccisi nelle loro auto. L’incidente di
Lake Herman Road ha provocato la morte dell’uomo e della donna. La
sparatoria di Blue Rock Springs ha ucciso la donna, ma l’uomo è
sopravvissuto nonostante sia stato colpito più volte. Le lettere
del presunto assassino contenevano un crittogramma di 408 simboli
che vari funzionari hanno cercato di decifrare. Alla fine, una
coppia di dilettanti di Salinas, in California, decifrò il codice.
Il risultato era una nota sconclusionata su come all’autore
piacesse “uccidere la gente perché è molto divertente”.
Il 7 agosto, il presunto assassino
inviò un’altra lettera al “San Francisco Examiner” e questa volta
si diede un nome, iniziando la lettera con “Dear Editor This is the
Zodiac speaking”. Così nacque un nuovo famigerato serial killer.
Attraverso le sue lettere sconclusionate, l’assassino avrebbe
rivendicato la responsabilità di 37 omicidi. Tuttavia, gli
investigatori non hanno mai creduto a questa cifra. Il numero più
comunemente accettato e confermato è invece quello di sette vittime
in totale, due delle quali sono sopravvissute. Non che il numero
inferiore renda la perdita di vite umane meno inquietante o
sfortunata.
La polizia ha speso tonnellate di
sforzi e ore per cercare di catturare l’assassino, ma non ha
trovato nulla. Uno dei problemi principali del caso è che, essendo
la California uno stato così grande e vasto, nessuno degli omicidi
è avvenuto nella stessa giurisdizione delle forze dell’ordine. Di
conseguenza, i dettagli sulle prove dovevano essere coordinati tra
i vari dipartimenti, e questo non sempre andava secondo i piani.
Alla fine, il killer dello Zodiaco è riuscito a farla franca e non
è mai stato identificato.
Un film di David Fincher
2006 Paramount Pictures.
Ci sono stati diversi film ispirati
ai crimini del Killer dello Zodiaco. C’è stato persino un film
intitolato “The Zodiac Killer”, uscito nel 1971,
realizzato con l’unico scopo di attirare l’assassino in un cinema
nella speranza di catturarlo (non ha funzionato). Anche il killer
dello scorpione in “Dirty Harry” era ispirato allo
Zodiaco. Ma il film definitivo sullo Zodiaco sarebbe arrivato solo
nel 2007, con “Zodiac” di David Fincher. La
sceneggiatura di James Vanderbilt ha una portata epica e si
concentra su più personaggi che cercano di risolvere il caso a modo
loro. C’è il giornalista ubriacone del “San Francisco Chronicle”
Paul Avery (Robert Downey
Jr.), c’è il collega di Avery, il vignettista Robert
Graysmith (Jake
Gyllenhaal.), e c’è l’ispettore di polizia di San
Francisco Dave Toschi (Mark Ruffalo).
Ognuno di questi uomini è protagonista, ma alla fine è il Robert
Graysmith di Gyllenhaal a diventare il personaggio principale
(soprattutto perché il film è tratto dai libri scritti dal vero
Graysmith).
2006 Paramount Pictures.
Mentre Fincher ha realizzato il
thriller sui serial killer per eccellenza con “Seven”,
Zodiac è un film molto diverso. La maggior
parte degli omicidi avviene nel primo atto del film. Il resto del
film è incentrato sull’ossessione e su come l’ossessione possa
distruggere la tua vita, se glielo permetti. I tre protagonisti
finiscono per essere distrutti in qualche modo: Avery viene
licenziato per essere diventato troppo alcolizzato, Toschi viene
sospeso dopo essere stato accusato di cattiva condotta da parte
della polizia e Graysmith finisce per separarsi e infine divorziare
dalla moglie.
Come nella vita reale, anche in
Zodiac vengono presi in considerazione più
sospetti. Ma Graysmith – e il film – si concentrano su un uomo,
Arthur Leigh Allen, interpretato brillantemente da
John Carroll Lynch. Le prove circostanziali contro
Allen sono piuttosto abbondanti, ma non sono sufficienti per
arrestarlo o per condannarlo in caso di processo. Inoltre, ci sono
altre prove che sembrano scagionare completamente Allen. Ma
Graysmith rimane convinto che Allen sia l’assassino e alla fine
convince anche Toschi.
Sebbene Graysmith non sia un
poliziotto e quindi non possa realmente “catturare” Arthur
Leigh Allen, dice di voler guardare Allen in faccia e fargli capire
che sa che è lui l’assassino. “Devo sapere chi è”, dice
Graysmith. “Ho bisogno di stare lì, di guardarlo negli occhi e di
sapere che è lui”. E lo fa: nel 1983, Graysmith rintraccia Allen in
un negozio di ferramenta dove quest’ultimo sta lavorando. I due
uomini si guardano in silenzio e il volto di Allen si oscura quando
capisce chi è Graysmith e perché si trova lì.
Da qui, il film passa a un epilogo.
A una delle vittime sopravvissute dello Zodiaco, ormai anziana,
viene chiesto di guardare una serie di foto segnaletiche per
identificare il suo aggressore. Alla fine la vittima sceglie la
foto di Arthur Leigh Allen. Tuttavia, un testo sullo
schermo ci informa che prima che Allen potesse essere interrogato
di nuovo su tutto questo, è morto per insufficienza renale. Per un
film, questo potrebbe sembrare anticlimatico, ma Fincher lo fa
funzionare.
Ma solleva anche una grande
domanda: “Zodiac” ha colto nel segno? Le prove che
il film presenta contro Allen sono tutte reali e verificate, ma
ancora una volta sono circostanziali. Non ci sono prove concrete
che colleghino ufficialmente Allen ai crimini. E questo non è
l’unico ostacolo alla teoria di Graysmith. Nel 2002 è stata
scoperta una “impronta parziale di DNA” su una delle lettere dello
Zodiaco. L’impronta è stata confrontata con il profilo del DNA di
Arthur Leigh Allen e alla fine si è stabilito che non
corrispondeva.
Tuttavia, il vero Robert Graysmith
non crede che questo scagioni Allen. Egli sostiene che “le lettere
di Zodiac non sono state conservate accuratamente per il test del
DNA, dato che hanno sopportato estati a 100 gradi in buste di
plastica per una durata di circa 30 anni”. La conclusione è che a
questo punto probabilmente non sapremo mai chi era il vero Zodiac,
così come probabilmente non sapremo mai la vera identità di Jack lo
Squartatore. È passato troppo tempo, la maggior parte dei sospetti
è morta e il caso è inattivo. Ma questo non significa che non si
possa continuare a speculare.
La showrunner Jasmila
Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai
Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi
fuori concorso a
Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako
Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che
la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal
Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando
l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione
di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità
di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la
sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati
in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie
insieme a Damir Ibrahimović, con Alen
Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e
interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.
Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una
famiglia e una società
L’ultimo caso di
Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single,
colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo
scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una
cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza
delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo
dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben
presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i
suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino,
venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il
nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e
dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle
prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in
cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza
e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua
caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega
che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei
fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr
contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.
L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić
Fino a che punto comprendiamo
veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti
sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro?
Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco
la tua anima), che si propone come una precisa riflessione
sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle
istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente
svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio
di preservare la nostra stessa dignità.
Nei primi due episodi di
Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di
Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il
delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità
professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi
esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle
ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono
di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle
emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si
annidano anche tra le mura delle nostre case.
Ciò che contraddistingue in modo
particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare
la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi
interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova
l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta
dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle
caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in
scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover
bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca
della verità. La recitazione di Djuricic e
Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è
assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic,
seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante.
Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.
Znam Kako Dišeš (Conosco la
tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze
create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a
livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie
che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia,
al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di
famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea
che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la
realtà che forse non conosciamo i nostri cari così
approfonditamente come pensavamo.
Nella selezione ufficiale della
Festa del
Cinema di Roma arriva il momento del film
Zlatan, il biopic in cui il regista
svedese Jens Sjögren disegna il suo ritratto di
uno dei giocatori più amati del calcio moderno: Zlatan
Ibrahimović. Se lo scorso anno con Mi chiamo Francesco Totti, documentario di
Alex Infascelli, la Festa ha reso omaggio al
talento del capitano giallorosso, oggi lo fa con
Ibrahimovic, portando sul grande schermo un
racconto di formazione e di riscatto.
Zlatan, la
trama
Zlatan, Dominic Andersson
Bajraktati, è un bambino la cui famiglia è immigrata in
Svezia dai Balcani. Vive in periferia con la madre, Merima
Dizdarević, e i due fratelli. È un bambino irrequieto e
problematico, soprattutto a scuola, dove la madre è spesso
convocata dalla preside. È allergico alla disciplina e si mette
spesso nei guai. Quando però i suoi piedi incontrano un pallone,
non lo lasciano più. Inizia a giocare sui campetti vicino casa e
poi entra nelle squadre locali, fino ad arrivare, anni dopo, nelle
giovanili della squadra svedese Malmö FF. Ma il suo problema è
ancora la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole. Zlatan,
Granit Rushiti, vuole solo giocare e fare gol e
mostra scarso spirito di squadra. Perciò viene ripreso spesso
dall’allenatore. Ormai è un adolescente ed è andato a vivere col
padre, Cedomir Glisović, un uomo senza mezzi, che
si lascia andare e non si occupa di lui, lo lascia a sé stesso.
Nonostante la sfiducia altrui e un ambiente familiare problematico,
Zlatan continua il suo percorso, che lo porta sempre più in alto,
fino ad approdare all’Ajax. La sua carriera, però, decollerà
davvero solo quando riuscirà a mettere tutto il suo desiderio di
rivalsa al servizio del gioco e della squadra.
Zlatan, la strada del calciatore
fino al successo senza troppo coinvolgimento
Il regista Jens
Sjögren – con un passato da chef, conduttore tv, attore –
racconta Ibrahimović senza fare un’agiografia e
senza dare alcun giudizio sul giocatore. Compone un classico
racconto di formazione e di riscatto, articolato in un susseguirsi
di flashback e flashforward. Disegna la parabola ascensionale del
giocatore tenendo sempre al centro sia il talento, che il non
essere accettato, il sentirsi sempre additato per il suo
comportamento. Un problema caratteriale che gli viene dalla sua
formazione umana, dalla famiglia, dalle privazioni, dallo spirito
di rivalsa che cova e trasforma in aggressività.
Sjogren sceglie la forma filmica piuttosto che la
documentaristica, dà il suo taglio al lavoro, concentrandosi sui
momenti che lo interessano, ovvero le fasi che precedono il grande
successo, poiché, come si dice nei titoli di coda: “il resto è
storia del calcio”.
I due ragazzi che interpretano
Ibrahimović nelle varie fasi della sua formazione,
prima Dominic Andersson Bajraktati e poi
Granit Rushiti, offrono buone interpretazioni e
nel cast è presente anche l’italiano Emmanuele
Aita, nel ruolo del procuratore sportivo Mino Raiola. Ciò
che manca in Zlatan non è tanto la
tecnica registica, quanto la capacità di creare empatia,
coinvolgimento, di emozionare davvero il pubblico. Forse perché
Sjögren si mantiene troppo a distanza, preoccupato
di mantenere un equilibrio, anzichè andare più a fondo nel
personaggio.
Il racconto procede lineare, come
una classica storia di formazione e riscatto, che parte da una
famiglia disagiata come ce ne sono tante. Una storia in cui la
voglia di riuscire e di essere accettati è più forte delle
difficoltà. Ciò che manca è qualcosa che emozioni davvero, che vada
al di là dell’interesse per il personaggio in sé, della curiosità
di sapere chi è Ibrahimović e da dove viene.
Qualcosa che faccia sentire vicino lo spettatore. Così il film
avrebbe potuto coinvolgere anche i non tifosi, i non appassionati
di calcio e coloro che non amano o non conoscono Zlatan
Ibrahimović. Zlatan sarà nelle
sale dall’11 novembre, distribuito da Lucky Red e Universal
Pictures.
Alchemy ha diffuso online il trailer
ufficiale di Zipper, thriller diretto da
Mora Stephens e con protagonista Patrick
Wilson (Angels in America, Watchmen,
Insidious).
Il cast del film annovera anche
Lena Headey (Game of Thrones),
Dianna Agron (Glee), Ray
Winstone (Noah), John Cho
(Star Trek) e Richard Dreyfuss (Lo
squalo). La pellicola racconta la storia di Sam Ellis
(Wilson), un procuratore federale la cui carriera verrà messa in
discussione dopo l’avventura di una notte con una escort.
L’esperienza minaccia così di mandare in frantumi anche la sua vita
familiare. L’uscita nelle sale americane è fissata per il prossimo
28 agosto.
Circa trent’anni fa la regista
Agnieszka Holland (regista
recentemente di In Darkness e Charlatan – Il potere
dell’erborista) ha realizzato quello che ancora oggi è uno
dei suoi film più famosi, dal titoloEuropa
Europa, dove con tale ripetizione si puntava a
proporre una riflessione sulle due identità dell’Europa quale luogo
di civiltà e rispetto delle leggi ma anche di crudeli crimini
contro l’umanità. Non molto sembra essere cambiato da quel film,
con la seconda delle due identità che sembra però aver prevalso
sulla prima e a mostrarcelo è la stessa Holland con il suo nuovo
lungometraggio Zielona granica (Green
Border), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia.
Un film che spicca tra gli altri
titoli in corsa per il Leone d’oro per la sua capacità di sbattere
in faccia allo spettatore una tragica realtà troppo spesso
sottovalutata, quella dei migranti al confine tra Biellorussia e
Polonia, sorretta da una costruzione drammaturgia che permette non
solo di entrare nel vivo di questa crisi umanitaria ma anche di
confrontarsi con i molteplici punti di vista in gioco in tale
dinamica. Zielona granica (Green Border) è dunque cinema
politico al suo meglio, frutto di un’autrice che all’età di 74 anni
sfoggia una lucidità e un controllo del mezzo cinematografico
sbalorditivi.
La trama di Zielona granica (Green Border)
La vicenda si svolge dunque nelle
insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine
verde” tra Bielorussia e Polonia, dove i rifugiati provenienti dal
Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione
Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica
cinicamente architettata dal dittatore bielorusso
Aljaksandr Lukašėnko. Nel tentativo di provocare
l’Europa, i rifugiati sono infatti attirati al confine dalla
propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE. Pedine di
questa guerra sommersa, le vite di Julia,
un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una
confortevole esistenza, di Jan, una giovane
guardia di frontiera, e di una famiglia siriana si intrecciano.
Accanto ai migranti, per cogliere la loro realtà
Inutile nasconderselo, l’idea di
vedere un film polacco in bianco e nero della durata di due ore e
mezza, può far pensare ad un’esperienza a dir poco ostica,
riservata ai soli cinefili amanti di questo genere di
cinematografie. La realtà, come ci dimostra la stessa regista con
il racconto di questo film, è spesso però differente da come la
immaginiamo. Perché quando il film ha inizio ci si rende conto in
breve tempo di trovarsi davanti ad un’opera estremamente dinamica,
rapida nei tempi e senza mezzi termini nel proporre anche le
situazioni più difficili. Un’opera, dunque, che vede la sua regista
porsi con la sua macchina da presa direttamente accanto ai migranti
per cogliere la loro realtà.
Lo spettatore viene allora chiamato
a vivere la fame, la sete, la paura e il dolore, ma anche la
consapevolezza che riuscire ad attraversare il confine non equivale
ad aver trovato la libertà. Il bosco pullula infatti di militari e
forze dell’ordine, pronte a rispedire i migranti al di là del
confine solo per dar vita ad una possibilmente infinita situazione
di stallo. Il film si svolge dunque praticamente tutto in questo
ambiente naturale che si rivela però tutt’altro che amico di chi vi
è incastrato dentro. La Hollan riprende tutto ciò senza
preoccuparsi troppo dell’estetica, perché non vi è tempo per
preoccuparsene davanti all’orrore che, come riportato dalle
didascalie a fine film, avviene ogni giorno, anche ora mentre si
sta leggendo questa recensione.
Zielona granica (Green
Border) è il cinema che pone domande
Non c’è dunque pathos né eroismo nel
modo in cui si presentano i personaggi e si raccontano le loro
storie. Vengono invece raffigurati semplicemente come esseri umani
vittime di situazioni sociali e politiche insostenibili e
attraverso l’impiego di tre ben distinti punti di vista è possibile
avere un quadro completo e preciso di ciò che accade in quei luoghi
ma anche nel corpo e nell’anima di chi è direttamente coinvolto. La
Holland segue tutti questi personaggi trovando un magnifico
equilibrio tra opera di fiction e documentario, fornendo così al
suo film una forza comunicativa davvero sorprendente. Tale
molteplicità di sguardi finisce talvolta con il presentare alcune
vicende che si sarebbero potute asciugare un po’, specialmente
nella seconda ora del film.
Zielona granica (Green
Border) avrebbe potuto probabilmente essere un eccellente film
di due ore, ma ciò non gli toglie di essere uno dei film più forti,
cinematograficamente e politicamente parlando, visti quest’anno
alla Mostra del Cinema. Lo è anche grazie al suo abbagliante bianco
e nero, che risulta significativo in quanto da un lato è coerente
con lo stato d’animo dei protagonisti, i quali metaforicamente
vivono una vicenda priva di colori, ma dall’altro sembra voler
richiamare alla mente i vecchi war movie e ribadire che
quella mostrata qui è a tutti gli effetti una situazione di guerra,
resa ancor più grave dal consapevole impiego di esseri umani quali
“proiettili viventi”, come verranno definiti ad un certo punto del
film gli immigrati.
Zielona granica (Green
Border) non è un film perfetto né vuole esserlo, avendo come
primario obiettivo quello di ricordarci che il cinema è un mezzo
estremamente potente, che chiama in questo caso a confrontarsi
nuovamente con realtà troppo drammatiche perché vengano ignorate.
Pone domande alle quali non conosciamo le risposte, ma è solo
ponendole che si può tentare di dare un po’ più di senso al mondo.
La Holland fa proprio questo con il suo film, spingendo lo
spettatore a chiedersi perché quanto qui mostrato debba
verificarsi, perché silenziosamente la storia tenda a ripetersi. È
a partire da film come questo che, scossi nell’animo, si può
iniziare a cercare risposte a queste domande, che la regista non
vuole assolutamente rimangano irrisolte.
Jan de Bont (Speed, Twister, Tomb
Raider) dirigerà un film live action dedicato alla mitica storia di
Hua Mulan, eroina cinese che secondo la tradizione si arruolò in un
esercito di soli uomini.
Il regista produrrà la pellicola in
maniera indipendente, in lingua inglese, con una star del cinema
cinese (e mondiale) nei panni della protagonista: Zhang Ziyi, nota
per la Tigre e il Dragone, Hero, 2046 e in Memorie di una Geisha.
Scritto da John Blickstead, il film ha già un budget definito e le
riprese sono fissate per questo autunno.
A produrre il kolossal sarà la
canadese Movie Plus Production, l’inglese Global Film Finance e le
cinesi Bona International Film Group e SIMF Pictures, con la stessa
Zhang come produttrice assieme a Ling Lucas e Beaver Kwei.
Produttori esecutivi saranno Paul Edwards e Jeffrey Chan della
Bona, Fred Wang di Salon Films, e Jeff Kranzdorf, oltre che Mark
Phillips, Ron Lynch, Steve Waterman e Christopher Brough.
Ricordiamo che nel 1998 la Disney
produsse un omonimo lungometraggio di animazione ispirato proprio
alla leggendaria eroina cinema.
Il famoso regista cinese Zhang Yimou riceverà un premio alla carriera
al Tokyo International Film Festival alla fine di questo mese. Il
premio gli verrà consegnato durante la cerimonia di apertura del
festival il 23 ottobre. Il suo Full River Red, che all’inizio
dell’anno ha riscosso un successo al botteghino in Cina, verrà
proiettato nella selezione di gala durante il festival di
Tokyo.
Zhang Yimou,
considerato parte della “quinta generazione” di registi cinesi, ha
avuto una carriera straordinaria che ha portato avanti per oltre
tre decenni. Il suo primo film da regista è stato Sorgo
Rosso, al quale hanno fatto seguito film di un’ampia gamma
di generi, tra cui Lanterne Rosse (1991),
La storia di Qiu Ju (1992),
Vivere! (1994), La strada verso casa (1999), La
foresta dei pugnali volanti (2004),
La Grande
Muraglia (2016) e Cliff Walkers
(2021).
“Il cinema può fungere da ponte
che collega persone provenienti da tutto il mondo e promuovere lo
scambio e la comprensione reciproca che trascende l’etnia e la
cultura. C’è una cosa che ricordo ancora: quando Kurosawa Akira
ricevette un Academy Honorary Award nel 1990, ero tra il pubblico
ancora come un regista alle prime armi. Le parole del suo discorso,
“Non ho ancora colto l’essenza del cinema”, sono ancora fresche
nella mia mente”, ha detto Zhang in una dichiarazione. “Vorrei
esprimere la mia gratitudine al Tokyo International Film Festival
per avermi assegnato questo premio. Vorrei anche ringraziare tutti
per il loro incoraggiamento e supporto. Considerando questo come un
punto di partenza, continuerò i miei sforzi per comprendere
l’essenza del cinema e realizzare grandi film”.
“La pandemia è finalmente
passata e il cinema è tornato alla normalità, ma il modo in cui la
gente pensa è cambiato radicalmente”, ha concluso il regista
cinese Zhang Yimou intervistato da Deadline sul cinema post-Covid
19 durante una breve chiacchierata al Tokyo Film
Festival (TIFF ),
occasione in cui è stato insignito del premio alla
carriera.
“Le persone ora apprezzano
ancora di più una vita pacifica e sana”. Zhang, uno dei
registi cinesi più longevi, è a Tokyo per ricevere il premio
onorario alla carriera e ha suonato il gong lunedì alla cerimonia
di apertura del TIFF tenutasi al Teatro Takarazuka di Tokyo.
“Questo è come un nuovo inizio
per me”, ha detto Zhang, ritirando il premio. Ha aggiunto di
essere già stato al Tokyo Film Festival due volte, ma il premio
alla carriera è sembrato la scintilla di un nuovo capitolo nella
sua carriera. Ma con quello che Zhang ha descritto come un
cambiamento drammatico nella mentalità del pubblico, è cambiato il
suo approccio al cinema?
“Nessun cambiamento
particolare”, ha detto a Deadline. “Se ci sono
abbastanza sceneggiature, posso tenere il ritmo di un film
all’anno. Tuttavia, questo ritmo può essere facilmente interrotto.
Mancano buone sceneggiature, quindi devo scrivere io anche la
sceneggiatura, ma ci vogliono almeno tre anni per elaborare una
buona sceneggiatura.”
Zhang ha aggiunto: “In Cina c’è
un detto che significa ‘guardare avanti e vivere con moderazione’.
La mia situazione ideale è girare un film mentre mi aspetta
un’altra buona sceneggiatura. Questo è il mio ritmo
ideale”.
“Per un regista, ogni film è
come un figlio e li ama tutti, ma ovviamente ci sono film buoni e
film brutti, e spetta alla fortuna decidere quali sono buoni e
quali no”, ha detto Zhang della sua vasta filmografia. “Ci
sono anche molte difficoltà che un individuo non può superare.
Questo mi fa dire che il mio prossimo film sarà il miglior
film”.
Zhang Yimou,
considerato parte della “quinta generazione” di registi cinesi, ha
avuto una carriera straordinaria che ha portato avanti per oltre
tre decenni. Il suo primo film da regista è stato Sorgo
Rosso, al quale hanno fatto seguito film di un’ampia gamma
di generi, tra cui Lanterne Rosse (1991),
La storia di Qiu Ju (1992),
Vivere! (1994), La strada verso casa (1999), La
foresta dei pugnali volanti (2004),
La Grande
Muraglia (2016) e Cliff Walkers
(2021).
Il regista ha dichiarato a Deadline
di aver recentemente completato il suo prossimo film, Article
20. “Uscirà nel febbraio 2024”, ha detto. “Se
dovessi pensare a dopo il prossimo film, ci sarebbe il problema di
‘guardare avanti e vivere con moderazione’. Al momento non abbiamo
una sceneggiatura ideale, quindi penso che dovrò scriverla da
solo”.
Il celebre regista cinese
Zhang Yimou, conosciuto a Hollywood per
Hero e La Foresta dei Pugnali
Volanti, ma che nel suo passato vanta capolavori
assoluti dei cinema orientale come Lanterne
Rosse (nominato
all’Oscar per il miglior film straniero nel 1992), è in trattative
per dirigere per la Universal Pictures l’adattamento di
The Parsifal Mosaic, di Robert
Ludlum.
La Imagine Entertainment di
Brian Grazer produrrà insieme a Ben
Smith e Jeffrey Weiner per la Captivate
Entertainment, mentre Erica Huggins per la Image
Entertainment farà da produttore esecutivo.
La storia segue un agente operativo
della CIA che si è ritirato nel momento in cui ritorna in gioco
quando scopre che la donna che amava, che lui pensava fosse stata
uccisa, è ancora viva.
Una prima bozza della sceneggiatura
è stata già scritta da David Self.
Se la Universal concluderà l’accordo
con Zhang Yimou, si tratterà del debutto americano
del regista che fino ad ora ha lavorato solo nell’industria cinese,
pur riscontrando un buon successo negli States.
Il regista cinese Zhang
Yimou, famoso per aver diretto
Hero e ancor prima il capolavoro
Lanterne Rosse, è in trattative per
dirigere Quasimodo, per la Warner Bros. A
dare la notiza è Variety che informa anche che protagonista della
storia sarà Josh Brolin e che la sceneggiatura è
stata scritta da Kieran e Michele Mulroney.
Il film ci porterà indietro nel
1831, a Parigi, Francia. La storia è basata sul magnifico romanzo
di Victor Hugo Notre Dame de Paris, e riprende appunto la storia de
Il Gobbo di Notre Dame riadattato per piccolo e grande schermo
dozzine di volte, oltre a rifacimenti teatrali e musicali. La più
nota ricostruzione del capolavoro di Hugo è forse quella della
Disney, edulcorata e depurata dai violenti e passionali impulsi che
muovono gli originali personaggi dello scrittore francese.
Nella storia, il deforme campanaro
della cattedrale di Notre Dame, Quasimodo, si innamora perdutamente
della bella ballerina gitana Esmeralda.
Si intitola Questo mondo non mi renderà cattivo la nuova
serie di Zerocalcare, prodotta da Netflix,
Movimenti Production e Bad
Publishing, e disponibile sulla piattaforma dal 9 giugno.
Un titolo che è una dichiarazione di intenti, oltre che una frase
di una canzone di Path, una scelta di cercare di
rimanere sempre fedeli a se stessi, nonostante il mondo ci offra
delle scorciatoie per ottenere quello che vogliamo, stando almeno a
quello che intende Zerocalcare in persona, che ha raccontato la
serie e la sua creazione alla CAE – Città dell’Altra Economia, in
occasione del grande evento di lancio organizzato da Netflix.
“La storia di questa
serie è nata prima di quella di Strappare Lungo i Bordi. Mi sono
reso conto subito però che questa era più complicata da mettere in
scena, e così ho dato precedenza a quella che è poi diventata la
prima serie. Ho deciso di cominciare rimanendo più o meno nella mia
confort zone, visto che Strappare Lungo i Bordi era basato su una
storia che avevo già scritto. Qui invece si tratta di una storia
nuova, che ha dei punti in comune con i miei fumetti e la mia
storia personale, ma è una storia originale. Ho pensato che con la
prima potevo introdurre il mondo, i personaggi, mentre con la
seconda potevo addentrarmi in temi più complessi.”
Da autore che parte
sempre da sé per raccontare il mondo, è naturale pensare che la
storia di Questo mondo non mi renderà cattivo sia
autobiografica. In realtà, Zerocalcare specifica:
“Quello che accade nella serie è una specie di riassunto di
quello che è accaduto anche a me. In particolare, il personaggio di
Cesare non è una persona vera, non è un mio amico. È un insieme di
persone che ho conosciuto, nella mia vita ci sono stati tanti
Cesari. È un amico che è stato forzatamente assente dal quartiere e
che una volta tornato non ha più punti di riferimento.”
La seconda avventura
d’animazione di Zero, Secco e tutti i personaggi del Calcare-Verse
mette sicuramente a dura prova lo Zerocalcare
narratore, che si è trovato a lavorare su un formato ancora
diverso, del momento che l’unità di racconto di Questo mondo non mi renderà
cattivosi
muove sui 30 minuti a episodio: “Questa serie è più complessa
della prima anche per il formato. Avevo timore che non riuscissi a
reggere la durata di 30 minuti di questi episodi, perché un conto è
portare avanti dai 5 ai 15 minuti di animazione, diverso è quando
si ha a che fare con puntate così lunghe.”
Ma come ha fatto
Zerocalcare a non diventare cattivo? “Sarebbe
arrogante da parte mia dire che non sono diventato cattivo. Come
quasi tutti, negli ultimi anni ho dovuto fare scelte, scendere a
compromessi, ho sbagliato anche, ma in generale quello che dà come
suggestione la serie, rispetto al non diventare cattivi, e quello
che provo a fare, è dare risposte collettive ai problemi. Cercare
di partire dall’idea di non lasciare indietro nessuno, anche quando
le risposte collettive servono anche a quelli che stanno
bene.”
La caratteristica più
identificativa dello stile del fumettista, che è stata
traslata anche nelle serie animate, è la rappresentazione di alcuni
personaggi con le fattezze di personaggi iconici della cultura pop.
Che cos’è che guida queste scelte? “In genere lo faccio quando
non ho molto tempo per disegnare un personaggio, ma già dall’inizio
pensavo che, dal momento che abbiamo tutti più o meno gli stessi
riferimenti, non mi serviva raccontare i dettagli di quel
personaggio, ma mi bastava rappresentarlo come un personaggio che
tutti conoscevamo. Mia madre è Lady Cocca da 16 anni, è una donna
tenace e protettiva e con quell’aspetto tutti si immaginavano la
scena di Robin Hood in cui protegge Lady Marian durante quella
specie di partita a rugby. Lo stesso vale per la compagna di Sara.
Sailor Saturn è la prima lesbica che noi ragazzi abbiamo mai visto
in tv, e mi piaceva l’idea che identificandola così, tutti capivano
che personaggio era.”
Come sempre capita,
quando si ha a che fare con le storie di
Zerocalcare, le risate, i siparietti comici, non
sono l’unica caratteristica del suo linguaggio, che da sempre è
molto votato all’osservazione della realtà e all’evidenziare i
problemi politici e sociali con i quali ci confrontiamo ogni
giorno. In Questo mondo non mi renderà cattivo, gli
antagonisti sono identificati come nazisti, e a chi chiede come mai
non usare una parola purtroppo più vicina alla nostra cultura
(fascisti), Michele risponde: “Essere fascisti non
evidentemente più un ostacolo per niente. Non c’è nessuna posizione
preclusa a chi rivendica una discendenza ideologica con il
fascismo, mente del nazismo si ha ancora un po’ paura. Non ne sono
certamente contento, per me non è così, ma devo prendere atto con
quello che succede nella realtà.”
Costituita da molti
momenti meta-testuali, in cui lo Zero personaggio e lo Zero autore
coincidono e si rivolgono direttamente al pubblico, la serie tocca
anche il tema dell’utilizzo di determinate parole discriminanti.
Nel dettaglio, Zero si rifiuta di pronunciare la N-word ma non fa
lo stesso con altre parole che si usano purtroppo per denigrare gli
omosessuali: “Faccio pronunciare la F-word solo a personaggi
omofobi e deprecabili. In realtà credo che ci sia una grossa
confusione su questo tema, secondo me ci sono delle cose che sono
radicate all’interno della società. Io non ho la soluzione a questo
problema, ma andrebbe sviscerato meglio riguardo ai prodotti di
fiction, perché se da una parte penso che dovremmo tutti fare uno
sforzo nella nostra vita di tutti i giorni, dall’altra credo che
sterilizzare il linguaggio della fiction è qualcosa su cui ci
dobbiamo interrogare. Non dico che non va fatto o che è un
problema, ma a me interessa che i conflitti della vita vera siano
messi in scena nei prodotti di fiction. Io rispetto il concetto di
safe space, ma nei prodotti di fiction come dobbiamo comportarci?
Non ho una risposta valida per tutti, ma mi piacerebbe che ci fosse
una conversazione collettiva tra persone che si trovano dalla
stessa parte. Perché se il dibattito si verifica tra persone che
hanno finalità diverse non si può ragionare in maniera
costruttiva.”
E dopo battute,
riflessioni alte, considerazioni interessanti, memori del finale
tragico di Strappare lungo i bordi, chiediamo a
Zerocalcare: ma alla fine di Questo mondo non mi renderà cattivo c’è uno
spiraglio di speranza? Con l’onestà intellettuale che lo
caratterizza, il fumettista risponde: “Io sono una persona
molto crepuscolare, non sono la persona più adatta a trovare la
speranza”.
Bookciak, Azione!
ricomincia da Zero. Zerocalcare, il celebre
fumettista, è il presidente di giuria della
X edizione di Bookciak, Azione!2021, evento di pre-apertura delle
Giornate degli Autori, in collaborazione con il
Sindacato dei Giornalisti Cinematografici (SNGCI).
Il Premio, ideato e diretto da Gabriella Gallozzi,
celebra l’intreccio tra cinema e letteratura attraverso i bookciak,
corti ispirati a romanzi e graphic novel, realizzati da giovani
filmaker e dalle ragazze del carcere romano di Rebibbia. La
premiazione si svolgerà il 31 agosto prossimo al
Lido di Venezia, durante la tradizionale serata di benvenuto alla
stampa. Dopo la prima veneziana i bookciak vincitori andranno in
tour per festival e premi, fino ad approdare a Parigi (VO-VF. Le
monde en livres)
Zerocalcare si
aggiunge così al lungo elenco di presidenti di giuria che Bookciak
ha avuto in questi anni, fatto di grandi nomi del cinema (Ettore
Scola, Citto Maselli, Ugo
Gregoretti, Gabriele Salvatores, Daniele Vicari)
del teatro (Ascanio Celestini) della letteratura (Lidia Ravera)
dell’arte(Lorenzo Mattotti), della musica (Mannarino).
Il concorso quest’anno festeggia il
suo decennale, un bel risultato per un premio che ha portato alla
ribalta tanti giovani talenti, viaggiando sempre tra l’attuale e
l’inattuale, tra l’immaginazione e la memoria, tra solidarietà e
passioni; un bel traguardo da festeggiare proprio con Zerocalcare,
a compimento di un lavoro importante e condiviso con i nostri
giurati permanenti: Wilma Labate, Teresa
Marchesi e Gianluca Arcopinto.
Tanto più in questo difficile
biennio segnato dalla pandemia che proprio il fumettista romano ha
saputo raccontare nel geniale Rebibbia
Quarantine, animazione in pillole dal suo universo di
periferie e «accolli» che ha fatto da contrappunto scanzonato alle
nostre angosce da lockdown.
Ma Zerocalcare (il suo vero nome è
Michele Rech, nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983) è molto di più di
un autore di enorme successo. È un po’ la stella cometa che ha
illuminato il fumetto italiano di questi ultimi dieci anni,
indicando una direzione – che è tutta personale e difficile da
imitare – che coniuga narrazione del «sé» e dell’«altro».
Il «sé» è la sua vita, quella dei
suoi affetti, delle persone che lo circondano e del quartiere in
cui vive da sempre. Ovvero Rebibbia, periferia Nord-Est di Roma,
dove arriva da ragazzo, dopo un’infanzia vissuta in Francia.
Le vicende quotidiane dei personaggi
di Zerocalcare, di Secco e dei suoi amici, dell’Armadillo (un
alter-ego immaginato, ma non troppo), per i riferimenti culturali e
identitari e per la spumeggiante forza comica di situazioni e
battute (amplificata da un’icastica forma grafica) trascendono
quello che agli inizi poteva sembrare una sorta di giovanilismo
localistico, legato a un’età e a un luogo. In realtà mostravano già
un’appartenenza più ampia, comune a più generazioni cresciute tra
cartoon, serie cult tv, playstation e videogiochi; fortificata,
però, nell’esperienza vitale di centri sociali, concerti punk,
graffiti e militanza politica e di strada.
Ecco l’«altro», ovvero l’attenzione
sincera, vissuta e rigorosa (Zerocalcare si è definito uno
straight-edge: una versione etica del punk, contro ogni
forma di alterazione della coscienza) per gli altri, incarnati
nelle tante declinazioni sociali degli emarginati, degli oppressi e
dei diversi.
Candidato nel 2015 al Premio Strega
(il secondo fumettista dopo Gipi a «sfidare» la società
letteraria), ha una bibliografia sterminata di titoli (tutti
pubblicate da BAO Publishing) tra cui va citato almeno il
capolavoro Kobane Calling (2016) diario-reportage di un
fumettista embedded: sul fronte però non delle potenze
militari ma a supporto del popolo curdo sul confine turco-siriano.
Da La profezia dell’Armadillo (2012) è stato tratto
l’omonimo film, diretto da Emanuele Scaringi, presentato nel 2018
alla 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Attualmente Zerocalcare sta
lavorando come ideatore, sceneggiatore e regista alla sua prima
serie animata tv per Netflix, Strappare lungo i bordi che sarà
ambientata nel suo universo narrativo con i suoi classici
personaggi: Secco, l’Amico Cinghiale, Sarah e l’Armadillo che avrà
la voce di Valerio Mastandrea. La serie è prodotta da Movimenti in
collaborazione con BAO Publishing e il suo teaser su YouTube sta
spopolando.
Per iscriversi al concorso c’è tempo
fino al primo luglio. La consegna dei bookciak è fissata entro il
20 luglio .
From Zero to
Hero, direbbero gli americani, ed è proprio quello
che succede a Omar, il protagonista della nuova serie Netflix, liberamente tratta dal romanzo “Non ho mai
avuto la mia età”, scritto dal giovane talento editoriale
Antonio Dikele Distefano, che qui firma anche la
sceneggiatura dello show creato da Menotti.
La trama di Zero
Siamo nella periferia di
Milano, Omar fa il rider, è praticamente invisibile al mondo, vive
con il padre e la sorella nel Barrio, quartiere con una popolazione
a maggioranza nera e che, a seguito di una serie di atti vandalici
che ne degradano le strade, corre il rischio di essere distrutto e
ricostruito, sradicando così tutta la comunità che lì cerca un
posto nel mondo. Omar è un ragazzo timido, solitario, ma quando
scopre di avere un superpoteri la sua vita cambia. Insieme ad un
gruppo di ragazzi del Barrio, che tentano di tutelare e salvare la
loro comunità, imparerà che c’è molto per cui combattere,
soprattutto quando conoscerà il valore dei legami, dell’amicizia,
ma anche dell’amore verso Anna, una ragazza della Milano ricca e
pre bene che sembra lontanissima da suo mondo, ma che in modo molto
tenero e spontaneo ricambierà i suoi sentimenti. Omar diventa così
Zero (come il numero sulla sua casacca da rider), il supereroe del
Barrio, che usa i suoi poteri per proteggere il suo quartiere. Ma
al sorgere di un grande eroe, corrisponde sempre l’arrivo e la
nascita di un grande e misterioso villain…
Zero è nata da
un’idea di Antonio Dikele Distefano e prodotta da Fabula
Pictures con la partecipazione di Red Joint Film. Il
cast è composto da giovani talenti italiani, energici, simpatici,
con tante storie da raccontare: Giuseppe Dave Seke
(Zero/Omar), Haroun Fall (Sharif), Beatrice Grannò
(Anna), Richard Dylan Magon (Momo), Daniela Scattolin
(Sara), Madior Fall (Inno), Virginia Diop (Awa),
Alex Van Damme (Thierno), Frank Crudele (Sandokan),
Giordano de Plano (Ricci), Ashai Lombardo Arop
(Marieme), Roberta Mattei (La Vergine), Miguel Gobbo
Diaz (Rico) e Livio Kone (Honey).
Antonio Dikele
Distefano, ha scritto la serie, creata da Menotti,
insieme a Stefano Voltaggio (anche Creative Executive
Producer) Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e
Carolina Cavalli.
Alla regia di
Zero si alternano quattro nomi: Paola Randi,
Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed
Hossameldin. In particolare Paola Randi ha
diretto il primo e terzo episodio, Mohamed
Hossameldin il secondo, Margherita Ferri
il quarto e quinto episodio, mentre Ivan
Silvestrini il sesto, settimo e ottavo episodio; tutti
loro sono stati seguiti da Daniele Ciprì, che ha
uniformato il look della serie, occupandosi della direzione della
fotografia.
From Zero to
Hero
Zero è un racconto fantastico, calato nella
normalità. Un supereroe riluttante in un contesto realistico è
quello che molti anni fa ci aveva raccontato già M. Night
Shyamalan con il suo bellissimo
Unbreakable e che in questa nuova declinazione
replica quel messaggio di accettazione di sé. Omar ha i suoi sogni
ma anche le sue responsabilità e deciderà di abbracciarle per il
bene della comunità, che finalmente impara a sentire
sua.
Un prodotto di
intrattenimento leggero, realizzato con una buona dose di aderenza
alla realtà e che soprattutto nella ricerca del linguaggio dei
protagonisti si colloca in un’intenzione realista che ricorda
SKAM Italia, che ovviamente trattava con lo stesso
grado di realismo gli adolescenti romani. Qui siamo a Milano, una
dei protagonisti dello show, soprattutto perché il nostro
(super)eroe fa il rider e quindi percorre e vive le strade della
città, ma anche perché il luogo di provenienza di Omar, il Barrio,
è esattamente un quartiere, un posto preciso da difendere.
La storia di Zero sembra avere molte potenzialità e questo
ce lo suggerisce soprattutto un finale aperto che desta curiosità,
voglia di sapere cosa succede dopo. Una curiosità che nasce dal
fatto che la vera svolta narrativa arriva proprio nel finale,
sbilanciando il ritmo della trama e relegando agli ultimi episodi,
i migliori, diretti da Silvestrini, il cuore action del racconto,
quello che può trasformare una storia di normalizzazione della
multietnicità in un racconto universale di super eroi e
supercattivi.
Zero è una buona prima volta, che per fortuna
indugia poco sugli stereotipi razziali e si lascia andare al cuore
dei suoi personaggi.
Le emozioni sono la cosa che ci lega non il colore della pelle,
secondo Dikele Distefano, e il giovane autore fa sua questa idea e
la manifesta nel suo racconto della storia di Omar, un ragazzo
timido che scopre di avere un superpotere e ne fa un buon uso.
Zero è la nuova serie originale italiana
Netflix in 8 episodi nata da un’idea di
Antonio Dikele Distefano e prodotta da Fabula
Pictures con la partecipazione di Red Joint Film, disponibile su
Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo dal 21 aprile.
La serie è liberamente ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia
età” di Antonio Dikele Distefano, edito da Mondadori.
Il cast di
Zero è composto da giovani talenti italiani, di
prima e seconda generazione: Giuseppe Dave Seke (Zero/Omar), Haroun
Fall (Sharif), Beatrice Grannò (Anna), Richard Dylan Magon (Momo),
Daniela Scattolin (Sara), Madior Fall (Inno), Virginia Diop (Awa),
Alex Van Damme (Thierno), Frank Crudele (Sandokan), Giordano de
Plano (Ricci), Ashai Lombardo Arop (Marieme), Roberta Mattei (La
Vergine), Miguel Gobbo Diaz (Rico) e Livio Kone (Honey).
Antonio Dikele Distefano,
stella nascente nel panorama editoriale italiano, ha scritto la
serie, creata da Menotti, insieme a Stefano Voltaggio (anche
Creative Executive Producer) Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e
Carolina Cavalli dando forma ad una originale e unica esplorazione
di Milano e raccontando un mondo ricco e variegato di culture
sottorappresentate, a cui si aggiungeranno significativi contributi
presi dalla scena rap.
Zero è diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini,
Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin. In particolare Paola Randi
ha diretto il primo e terzo episodio, Mohamed Hossameldin il
secondo, Margherita Ferri il quarto e quinto episodio, mentre Ivan
Silvestrini il sesto, settimo e ottavo episodio.
La trama
Zero racconta la storia di un timido ragazzo con
uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un
supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri
quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove
voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare
gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura,
scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche
l’amore.
Colonna sonora
A scandire il ritmo di
una storia “di strada”, un’importante colonna sonora che vede la
presenza di grandi artisti italiani e internazionali
contemporanei.
Il compositore delle
musiche, ideate appositamente per Zero, è Yakamoto Kotzuga. Tra i
brani principali presenti nella colonna sonora, l’inedito di
Mahmood che ha anche accompagnato il trailer, dal titolo Zero,
scritto da A. Mahmood, D. Petrella, D. Faini e prodotto da Dardust,
che chiude la serie e che farà parte del nuovo album di Mahmood in
uscita in primavera. Inoltre, l’artista ricopre l’importante ruolo
di music supervisor dell’ultimo episodio, per il quale ha curato la
selezione musicale. Nel primo episodio, è presente il
brano Red Bull 64 Bars x Zero di Marracash prodotto da Marz, dal
titolo “64 barre di Paura”, anche nel teaser di ZERO, attualmente
disponibile in esclusiva su www.redbull.com/64bars.
Nella soundtrack completa
di ZERO si alternano i brani di artisti del più moderno e attuale
scenario musicale italiano, spaziando tra rap, urban, trap e
R&B: Tha Supreme con Blun7 a Swishland, Emis Killa con Fuoco e
Benzina, Bloody Vinyl, Slait, Tha Supreme feat. Mara Sattei e Coez
con Altalene, Madame con Voce e Ginevra con Rajasthan.
Accanto ai successi nostrani anche uno sguardo al panorama
internazionale con brani ricercati e multi-culturali, tra grandi
classici e novità: Lil Wayne con Uproar, Alborosie con Cry, Amadou
and Mariam feat. Manu Chao con Sénégal Fast Food, Nahaze con Behind
e Ama Lou con Northside.
PERSONAGGI
ZERO (Giuseppe Dave Seke)
vive con il padre e la sorella minore Awa in un piccolo
appartamento al Barrio, pedala per le consegne a domicilio e,
quando ha voglia di fare un giro nel mondo…indossa le cuffiette e
si ritira nella sua bolla invisibile. Ha conosciuto Anna
consegnandole la pizza, se ne è invaghito subito, preso in
contropiede dalle sue domande personali e dalla sicura
intraprendenza con la quale presenta il suo futuro. La vita di Zero
viene però stravolta dall’incontro con Sharif, grazie al quale
scopre l’amicizia, con il branco sarà disposto a tutto per salvare
il quartiere.
ANNA (Beatrice Grannò) è
una ragazza milanese di estrazione borghese. Mentre suo padre ha
sempre cercato di darle tutto quello che hanno le sue amiche, per
Anna non potersi permettere certi agi non è mai stato un problema,
ma anzi un modo per mantenere un contatto con il pianeta terra.
Anna inizia a scoprire le crepe celate da un’esistenza
apparentemente perfetta, e comincia a domandarsi come sia possibile
crescere senza lasciarsi influenzare dalle pressioni degli altri.
Almeno fino a quando non incontra Zero, un ragazzo capace di
accettarla per quel che è veramente.
SHARIF (Haroun Fall) è
di origini nigeriane e l’unica cosa che vuole è avere il mondo ai
suoi piedi, o almeno il quartiere in cui vive: “il Barrio” che, da
qualche tempo, subisce le scorribande di un gruppo di teppisti
sconosciuti. Sharif desidera ardentemente il rispetto di tutti, una
credibilità di strada, ma non vuole finire dentro come quel mezzo
criminale di Honey (Livio Kone), suo fratello maggiore, che tutti
considerano un mito, e del quale è in fondo succube.
INNO (Madior Fall),
diminutivo di Innocent, ha 21 anni ed una reputazione difficile da
portare: “lui è uno dei pochi che potrebbero farcela”. Con la
palla ai piedi Inno è infatti un vero fenomeno. Il suo sogno da
quando è bambino è quello di giocare nel Milan, la squadra per
cui tifa. Ogni argomento, dalla guerra alla politica, diventa per
lui l’occasione di parlare del suo microcosmo, dell’etica del
campo, del rapporto difficile con l’allenatore, ma soprattutto… di
sé stesso.
SARA (Daniela Scattolin)
è cresciuta in una casa famiglia dopo la morte dei genitori. Fa
parte del gruppo di amici storici di Sharif e vorrebbe aprirsi uno
studio di registrazione per fare la fonica/producer. Per questo
gran parte del suo tempo lo passa a gestire una sala prove
domestica, per lei divenuta una sorta di seconda casa.
MOMO (Richard Dylan
Magon) è un vero gigante, uno che dice spesso la cosa sbagliata
nel momento meno opportuno. E’ il cuore del gruppo. Quello che
riesce a superare ogni difficoltà con un sorriso, pronto a
dimenticarsi gli sgarbi subiti attraverso una visione fin troppo
ottimista del mondo.
AWA (Virginia Diop), è la
sorella di Zero, è spigliata e popolare. È bella, solare e ama la
pallavolo. Ascolta cantanti pop italiani, guarda programmi
nazional-popolari e adora il made in Italy ─ per lei un vero must.
Di sua madre Marieme (Ashai Lombardo Arop), Awa non ha praticamente
ricordi. Ma dietro una naturale euforia si cela il dolore per la
sua prematura scomparsa.
THIERNO (Alex Van Damme),
padre di Zero ed Awa, sorride poco e parla ancora meno. Questa è
l’immagine che hanno di lui i suoi figli che, ad uno sguardo
esterno, potrebbero sembrare orfani pure di padre.
RICO (Miguel Gobbo Diaz):
il cubano Rico ha una bambina, Adelita (5), per cui farebbe
qualsiasi cosa. Rico è attratto dai soldi ma nemmeno quelli possono
impedirgli di commettere disastri quando la rabbia prende il
sopravvento. La sua banda è composta da gente come lui: il sogno
di Rico è quello di mettersi nel giro grosso, quello che conta e
che gestisce il mercato della droga. Per questo ha cominciato a
fiutare l’aria dei piani alti, trovando un accordo con
l’amministratore di “Sirenetta”, una società immobiliare che
gli affida il lavoro sporco. Il compito di Rico e della sua banda
è infatti quello di rendere la vita quotidiana del Barrio, un
tempo tranquilla, molto meno piacevole..
Ecco la nostra intervista a
Haroun Fall, Madior Fall e Richard Dylan
Magon, che nella serie Zero di Netflix interpretano, rispettivamente, Sharif, Inno e
Momo. Zero è disponibile su Netflix dal 21
aprile.
Zero racconta la storia di un timido ragazzo
con uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un
supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri
quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove
voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli
scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura,
scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche
l’amore.
Zero è diretta da Paola Randi, Ivan
Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin.
Antonio Dikele Distefano e Giuseppe
Dave Seke sono il creatore e il protagonista di
Zero, la nuova serie Netflix disponibile in piattaforma a partire dal 21
aprile. Ecco cosa hanno raccontato di questa avventura.
Zero racconta la storia di un timido ragazzo
con uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un
supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri
quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove
voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli
scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura,
scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche
l’amore.
Zero è diretta da Paola Randi, Ivan
Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin.
La serialità televisiva sta facendo
passi avanti giganteschi, surclassando per budget e grandiosità
progetti pensati per il cinema. Proprio nelle giornate della 76°
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica si sono visti tanti
film, prodotti faticosamente, con risorse che non basterebbero a
realizzare neanche un singolo episodio, cosa che tuttavia non
significa che venga meno l’intensità o i contenuti di un’opera
filmica, ma che il mercato del cinema e della televisione si sta
spostando in nuovi territori. Le piattaforme come Netflix,
Amazon Studios, o Sky, hanno
fatto nascere un nuovo modo di produrre, di raccontare, di
comunicare, di diffondere film, contenuti e serialità. E in questo
nuovo panorama non manca certo un ritorno alla ricerca espressiva e
alla sperimentazione, basta pensare a The New Pope di Paolo Sorrentino, presentato al lido pochi
giorni fa, ma anche a serie che rompono completamente gli schemi,
come Love Death & Robots, visibile su Netflix.
Zero Zero Zero di Stefano Sollima
è frutto di questo positivo sconvolgimento, che tanta enfasi,
clamore e anche polemica sta suscitando.
Le prime due puntate, presentate in
anteprima, fuori dalla competizione ufficiale, lasciano intendere
l’imponenza dello sforzo produttivo e il respiro internazionale,
che nasce nel nostro paese e sconfina in altri continenti, USA,
Centro e Sud America, Africa. Ed è proprio questa la grande forza
della serie, mantenere sempre uno guardo italiano nonostante un
cast internazionale e tante location sparse nel mondo. Tutto questo
per narrare un problema tanto attuale, quanto vasto: il
narcotraffico.
La sceneggiatura di Zero
Zero Zero si poggia solidamente sul romanzo-inchiesta di
Roberto Saviano dall’omonimo titolo, pubblicato da
Feltrinelli nel 2013. Ma è stata sviluppata inventando
personaggi e un solido filo narrativo che permettesse di creare una
storia avvincente e credibile, che permettesse di tenere un
pubblico vastissimo incollato allo schermo. Episodio dopo episodio
è raccontato il viaggio di un carico di cocaina, dal momento in cui
un potente clan della ‘Ndrangheta decide di acquistarlo,
fino a quando viene consegnato e pagato. In questo modo è mostrato,
fin nei dettagli, di come l’economia illegale diviene parte di
quella legale e su come entrambe siano collegate a una spietata
logica di potere e controllo che influenza le vite e le relazioni
delle persone. Attraverso i personaggi e le loro singole storie si
evidenziano tutti i meccanismi sconosciuti che si celano dietro il
business più redditizio del pianeta, dopo quello del petrolio.
Il modo di creare immagini e di
raccontare di Stefano Sollima è di enorme
professionalità e bravura, riesce a costruire concitate ed efficaci
scene d’azione e di combattimento, con set smisurati, veicoli,
esplosioni e centinaia di comparse. La messinscena è così
convincente da far sentire lo spettatore sempre al centro della
baraonda, almeno sul grande schermo cinematografico. Peccato che
alla fine la fruizione sarà destinata alla TV, se non addirittura a
computer o dispositivi portatili. Stona però che in un prodotto
così ben realizzato si avverta un vizio tutto italiano, ovvero
quello di inzuppare ogni secondo del film di musica e tappeti
sonori, che tolgono purtroppo verità a situazioni che dovrebbero
nutrirsi solamente di rumori o suoni diegetici. La musica di
Mogway risulta invadente, stancante, monotona e
spesso superflua. Molto indovinati invece sono i volti dei tanti
personaggi e risultano assai credibili gli attori, in particolare
Dane DeHaan,
Gabriel Byrne e Andrea Riseborough.
Zero Zero Zero è
una serie avvincente sul traffico di narcotici, che prende vita da
un libro di denuncia di grande successo e che regala spettacolarità
ed emozioni, garantendo puro intrattenimento.
È stato pubblicato il teaser
trailer di Zero Day, il thriller di
Robert De Niro per Netflix. I migliori film di Robert De Niro
sono iconici e, pur avendo una prolifica carriera cinematografica,
Zero Dayè la sua prima serie
televisiva, dove interpreterà l’ex presidente George
Mullen che cerca di fermare un attacco devastante. Oltre a De Niro,
il cast stellare dello show di Netflix
comprende
Jesse Plemons,
Lizzy Caplan, Connie Britton, Joan Allen, Matthew Modine,
Angela Bassett, Bill Camp e
Dan Stevens.
Netflix
ha ora rilasciato il teaser trailer che mostra Mullen
indagare su quanto accaduto in Zero Day e cercare di impedire che
si ripeta. Spiega che Zero Day è stato un cyberattacco che
ha ucciso 3.402 persone causando incidenti aerei, deragliamenti di
treni e scatenando il caos più totale. Ora che i misteriosi autori
hanno minacciato di attaccare di nuovo, Mullen deve scoprire chi
c’era dietro il primo attacco e impedire che la storia si ripeta.
Guardate il trailer qui sotto:
Cosa significa per Zero Day
Prima serie televisiva della
leggendaria carriera di De Niro, Zero Day era già molto
attesa, e dopo il primo trailer sembra ancora più intrigante.
De Niro, come è ovvio, porta la sua solita gravitas nel
ruolo di Mullen, mentre corre per scoprire i responsabili
di Zero Day e per assicurarsi che non si ripeta. Come serie
limitata di sei episodi su Netflix, il thriller politico è
destinato ad avere un ritmo incalzante e sarà coinvolgente fin
dall’inizio, con un’alta posta in gioco per tutti i personaggi.
Zero Day debutta su Netflix il 20 febbraio.
Se De Niro sarà l’attrattiva
principale di Zero Day, anche il cast che lo circonda è
interessante. De Niro ha già lavorato con Plemons
nei film di
Martin ScorseseThe
Irishman e Killers of the Flower Moon, e
sarà interessante vedere i due attori dare vita a un’altra storia
emozionante. La Bassett eccelle in ogni ruolo che interpreta e
questo vale anche per la sua interpretazione del Presidente
Mitchell, che chiede l’aiuto del personaggio di De Niro.