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Zoe Kravitz sexy e selvaggia su GQ

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Zoe Kravitz sexy e selvaggia su GQ

Ecco di seguito un servizio super sexy firmato GQ con protagonista Zoe Kravitz. La vediamo ormai quasi ovunque e trova comunque il modo di comparire anche dove non c’è. Zoe Kravitz, la figlia prezzemolina di Lenny e di Lisa Bonet, si sta costruendo una solida carriera di attrice, grazie non solo alla sua famiglia famosa, ma anche ad un certo carisma nonostante il corpicino minuto e a doti di intensa interprete.

Leggi la recensione di Mad Max Fury Road

Al momento sui nostri schermi con Mad Max Fury Road, in cui interpreta una delle componenti dell’harem multietnico di Immortal Joe, Zoe Kravitz fa parte anche della saga di Divergent e presto la vedremo in Good Kill, nei panni di un marines.

Zoe Kravitz protagonista della dark-comedy Biter

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Zoe Kravitz protagonista della dark-comedy Biter

Dopo la sua irresistibile versione di Selina Kyle in The Batman, Zoe Kravitz ha firmato per recitare in Biter, una nuova dark comedy basata sul racconto di Kristen Roupenian, già autrice di Cat Person. Kravitz produrrà anche tramite la sua società This Is Important, con la coproduzione di Paperclip Ltd e Winterlight Pictures.

Parte della raccolta di racconti di debutto di Roupenian You Know You Want This pubblicata nel 2019, che Winterlight ha portato a Kravitz e Paperclip, Biter racconta la storia di una giovane donna che fantastica di mordere uno dei suoi colleghi.

Zoe Kravitz arriva al progetto dopo aver concluso la produzione del suo debutto alla regia Pussy Island, un thriller che ha co-scritto con Naomi Ackie e Channing Tatum, che è stato acquisito dalla MGM in una situazione competitiva. Il progetto dà slancio anche a Roupenian, che ha visto in anteprima al Sundance Film Festival di quest’anno un adattamento diretto da Susanna Fogel del suo racconto virale del New Yorker Cat Person. Biter non ha ancora assegnato un regista e uno sceneggiatore.

“In quanto azienda basata sulla proprietà intellettuale, i progetti basati su racconti sono diventati una parte enorme della nostra lista. Non c’è nessuno che sia esploso nel mondo dei racconti come Kristen Roupenian”, ha detto a Deadline il fondatore di Winterlight Pictures, Chris Goldberg. “Siamo così orgogliosi di lavorare con un talento e una voce così eccezionale della sua generazione. Siamo stati anche sbalorditi da Zoë Kravitz in Kimi e The Batman, e non potremmo essere più entusiasti di collaborare con qualcuno così poliedrico e che sta rapidamente emergendo come una delle più grandi star del cinema del mondo.”

“Il nostro team di Paperclip Ltd è entusiasta di lavorare con incredibili talenti come Zoë e Kristen davanti e dietro la macchina da presa in questa storia elettrizzante, e Chris e il team di Winterlight sono partner creativi ideali”, hanno aggiunto i fondatori dell’azienda Yeardley Smith e Ben Cornwell.

Zoe Kravitz parla di Good Kill, Mad Max Fury Road e Allegiant

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Zoe Kravitz
Zoe Kravitz

Giovane figlia d’arte (padre Lenny, madre Lisa Bonet) Zoe Kravitz sta diventando un volto molto noto del cinema hollywoodiano. L’abbiamo vista qualche anno fa nei panni di Angel, in X-Men L’Inizio, per poi rivederla in Good Kill all’ultima edizione del Festival di Venezia e nella saga di Divergent. Adesso l’attrice è sul grande schermo in Mad Max Fury Road.

Ecco cosa ha raccontato del film e dei suoi prossimi progetti a Collider:

Vedremo di nuovo Zoe Kravitz al cinema in Viena and the Fantomes e in Vincent-N-Roxxy.

Fonte: Collider

Zoe Kravitz elogia Robert Pattinson come Batman: “È la scelta perfetta”

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Se la produzione di The Batman non fosse stata interrotta, probabilmente avremmo avuto modo di dare un primo sguardo alla Catwoman di Zoe Kravitz nell’attesissimo film di Matt Reeves. La speranza è che le riprese del nuovo adattamento dedicato al Crociato di Gotham possano ripartire il prima possibile.

Durante una recente intervista con Variety, Kravitz ha parlato nel dettaglio del suo co-protagonista, Robert Pattinson, definendolo la scelta perfetta per interpretare Bruce Wayne. “Robert ha iniziato come idolo delle teenager, poi ha dimostrato di essere un attore che attraverso il suo lavoro aveva tanto da dimostrare. E ciò lo lega molto al personaggio di Batman, in un certo senso”, ha spiegato l’attrice.

“Abbiamo l’illusione di Bruce Wayne, e poi abbiamo Batman che agisce nell’ombra e che deve sbrigare tutta una serie di faccende molto più complicate… penso che in questo esista una connessione tra Robert e il personaggio E poi sta benissimo con il costume. Al di là di tutto, però, è solo un grande attore che si impegna in tutto ciò che fa… penso che il suo sia un casting perfetto… assolutamente perfetto.”, ha aggiunto Kravitz.

Zoe Kravitz parla del supporto delle altre attrici che hanno interpretato Catwoman al cinema

Sembra dunque che in The Batman avremo una grande nuova incarnazione del Cavaliere Oscuro, ma per quel che riguarda Catwoman? Solo il tempo ci sarà una risposta, ma il talento della Kravitz è innegabile; inoltre, l’attrice ha anche il supporto di Michelle Pfeiffer, che aveva interpretato Selina Kyle in Batman – Il ritorno.

“Ho parlato con Michelle. Eravamo sedute allo stesso tavolo ai Golden Globes, ma l’avevo incontrata già diverse volte negli anni a causa di David. E. Kelley. È sempre stata carina con me”, ha ricordato l’attrice. “Ero appena stata ingaggiato per il ruolo, quindi ero molto nervosa all’idea di stare in sua presenza, ma lei è stata veramente dolcissima. Mi ha abbracciato forte e mi ha detto: ‘Sarai fantastica’. È stato un momento incredibile.”

La Kravitz ha poi aggiunto: “Anche Halle Berry e Anne Hathaway sono state molto dolci con me, su Instagram e Twitter. Mi hanno mandato dei messaggi molto dolci, incoraggianti quando è stato annunciato che avrei interpretato Catwoman. Mi sento supportate dalla attrici che sono venute prima di me.”

Il cast di The Batman è formato da molti volti noti: insieme a Robert Pattinson nei panni di Bruce Wayne, ci saranno anche Colin Farrell (Oswald Chesterfield/Pinguino), Zoe Kravitz (Catwoman), Jeffrey Wright (Jim Gordon), Paul Dano (Enigmista) e Andy Serkis (Alfred). Infine, John Turturro sarà il boss Carmine Falcone. Nel cast anche Peter Sarsgaard che sarà Gil Colson, il Procuratore Distrettuale di Gotham.

The Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più villain, poiché sono tutti sospettati“.

Zoe Kravitz è Selina Kyle nella nuova featurette di The Batman

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Zoe Kravitz è Selina Kyle nella nuova featurette di The Batman

Mentre prosegue la produzione dell’attesissimo The Batman di Matt Revees, è stata diffusa una breve featurette del film che si focalizza sul personaggio di Selina Kyle, interpretato da Zoe Kravitz.

Tim Burton ci mostrò all’epoca una Selina che diventa Catwoman, mentre Christopher Nolan ha optato per una rappresentazione più realistica del personaggio, una sclatra ladra già consapevole delle sue potenzialità e con un’identità definita.

Quello di Zoe Kravitz sarà invece un personaggio diverso, più giovane e ancora in via di definizione. Non saremo messi di fronte a Catwoman, ma ad una donna, Selina, che ha scelto la sua strada ed è all’inizio del suo mito. Ecco il video:

https://twitter.com/dianaTHEEprince/status/1389861093401513985?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1389861093401513985%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fmovieplayer.it%2Fnews%2Fthe-batman-catwoman-featurette-personaggio-zoe-kravitz_97692%2F

Il cast di The Batman è formato da molti volti noti: insieme a Robert Pattinson nei panni di Bruce Wayne, ci saranno anche Colin Farrell (Oswald Chesterfield/Pinguino), Zoe Kravitz (Catwoman), Jeffrey Wright (Jim Gordon), Paul Dano (Enigmista) e Andy Serkis (Alfred). Infine, John Turturro sarà il boss Carmine Falcone. Nel cast anche Peter Sarsgaard che sarà Gil Colson, il Procuratore Distrettuale di Gotham.

The Batman esplorerà un caso di detective“, scrivono le fonti. “Quando alcune persone iniziano a morire in modi strani, Batman dovrà scendere nelle profondità di Gotham per trovare indizi e risolvere il mistero di una cospirazione connessa alla storia e ai criminali di Gotham City. Nel film, tutta la Batman Rogues Gallery sarà disponibile e attiva, molto simile a quella originale fumetti e dei film animati. Il film presenterà più villain, poiché sono tutti sospettati“.

Zoë Kravitz diventa un cacciatore di taglie

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Zoë Kravitz sarà la protagonista di Black Belle. Il film, ambientato subito dopo la guerra civile americana, vedrà l’attrice nei panni di un solitario cacciatore di taglie specializzato nelle vendette. Poi una persona le porta delle informazioni relative all’assassino della madre, allora lei comincierà a cercare vendetta per se stessa.

Shana Betz dirige il film che invece è scritto da Tasha Huo. Le riprese dovrebbero cominciare a settembre.

Un altro impegno, l’ennesimo, perla nuova prezzemolina di Hollywood.

Fonte: Empire

Zoe Kravitz condanna duramente “lo spettacolo” di Will Smith

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Zoe Kravitz condanna duramente “lo spettacolo” di Will Smith

Presente alla serata degli Oscar 2022 in veste di presentatrice, Zoe Kravitz ha condannato duramente il gesto di Will Smith attraverso due post su Instagram. Condividendo i suoi due look per la serata, l’attrice interprete di Catwoman in The Batman ha commentato le foto dicendo: “Questa è una foto del mio vestito allo spettacolo dei premi, dove ora sembra che si aggredisca la gente sul palco.” E poi: “e ecco qui una foto del mio vestito alla festa dopo lo spettacolo dei premi, dove ora sembra che si aggredisca la gente sul palco.”

https://www.instagram.com/p/Cbs9QLBPIY4/

https://www.instagram.com/p/Cbs-pDdvhkr/

Dopo le scuse pubbliche di Will Smith e l’avvio di una indagine da parte dell’Academy, non sappiamo se l’ormai famosa spiacevolissima situazione avrà degli altri risvolti, che potrebbero anche arrivare al ritiro del premio da parte dell’Academy a Will Smith.

Jim Carrey infastidito dalla standing ovation a Will Smith

Zoe Kazan: 10 cose che non sai sull’attrice

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Zoe Kazan: 10 cose che non sai sull’attrice

Zoe Kazan è un’attrice versatile e molto talentuosa, in grado di lavorare anche come sceneggiatrice e produttrice, segno che buon sangue non mente, visto che è anche nipote del celebre regista Elia Kazan. L’attrice non si è mai appellata al suo cognome, ma si è fatta strada lavorando sodo grazie alla sua tenacia, al suo talento innato e alle sue diverse capacità.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su Zoe Kazan.

Zoe Kazan film

1. Zoe Kazan: i film e la carriera. La carriera dell’attrice americana inizia nel 2007, quando appare in La famiglia Savage (2007). In seguito recita in Il caso Thomas Crawford (2007), Nella valle di Elah (2007), Me and Orson Welles (2008) e Revolutionary Road (2008). Successivamente è nei film È complicato (2009), Happythankyoumoreplease (2010), Ruby Sparks (2012), What If (2013). Tra i suoi ultimi film vi sono All’ultimo voto (2015), The Monster (2016), The Big Sick – Il matrimonio si può evitare… l’amore no (2017), La ballata di Buster Scruggs (2018) e The Kindness of Stranger (2019). Ha poi recitato anche nelle serie Olive Kitteridge (2014), The Walker (2015), The Deuce – La via del porno (2017-2018), Il complotto contro l’America (2020 e Clickbait (2021).

2. È anche sceneggiatrice e produttrice. Nel corso della sua carriera, Zoe Kazan ha avuto modo di sperimentare diversi ambiti del cinema e di vestire diversi panni. L’attrice, infatti, ha svolto i ruoli di produttrice e di sceneggiatrice per i film Ruby Sparks e Wildlife (2018): con quest’ultimo film ha aiutato il suo compagno Paul Dano, che lo ha co-sceneggiato e lo ha diretto.

Zoe Kazan Paul Dano

 

Zoe Kazan, Paul Dano e la figlia Alma Bay

3. È fidanzata da tanti anni. Zoe Kazan è sempre una donna molto riservata e molto attenta a portare sotto i riflettori la sua vita privata. Nonostante questo, è ormai fatto noto che l’attrice sia fidanzata da molti anni, precisamente dal 2007, con il collega Paul Dano, con ha co-sceneggiato e recitato negli ultimi tempi.

4. È madre di una bambina. La notizia della sua gravidanza non era di pubblico dominio e, infatti, è arrivata grazie al suo compagno Paul Dano. I due sono diventati genitori, nell’agosto del 2018, della loro prima figlia, Alma Bay.

Zoe Kazan in The Monster

5. Si è stressata molto per questo film. Stando alle dichiarazioni della stessa attrice, pare che girare questo film non sia stata esattamente una passeggiata: “È stato incredibilmente stressante da girare, tanto per cominciare. Giravamo per lo più di notte, il che non aiuta il tuo corpo. Basta chiedere a chiunque faccia un lavoro notturno. Non è il massimo. Eravamo inzuppate d’acqua ogni giorno. Congelavamo. Abbiamo avuto delle strane protesi. È stata una vera sfida. Non avevamo soldi, il che significa che non avevamo molto tempo, vale a dire che potevamo fare poche riprese. Ella ed io dovevamo essere costantemente pronte per dare il nostro massimo in una ripresa sola. Inoltre stavamo in uno stato di costante paura e adrenalina che si è rivelato difficile”.

6. Non pensava che potesse essere così difficile. La stessa attrice ha dichiarato che non pensava potesse essere una sfida così grande quella di girare questo film. Infatti “Pensavo che riguardasse questi problemi psicologici. Le cose fisiche non mi sono mai venute in mente fino a che non ci siamo trovati nel mezzo. Era come “Oh cavolo, hanno più bisogno di questo”. Ho avuto un’infezione bronchiale che mi è durata per mesi. Se mai leggerò una sceneggiatura con scritto “Sono bagnati tutto il tempo”, dirò “Passo. No grazie””.

Zoe Kazan The Monster

 

Zoe Kazan è su Instagram

7. Ha un profilo Instagram ufficiale. Come la maggior parte dei suoi colleghi, anche Zoe Kazan ha deciso di aprire un proprio account Instagram ufficiale, seguito da circa 149 mila persone. La sua bacheca è molto variegata, con molte foto che la ritraggono protagonista di momenti lavorativi, quotidiani e di svago.

Zoe Kazan e Daniel Radcliffe

8. Baciare Daniel Radcliffe è stato strano. Nel film What If l’attrice ha un bacio con il collega, situazione che ha definito come particolarmente bizzarra: “A volte, quando bisogna girare delle scene di bacio è come se non ricordassi persino come baciare qualcuno che non è il mio ragazzo. Dove mettere le mani? Com’è? La bocca di qualcun altro, quando è “nuova” è così strana. Penso che Daniel abbia ragione. Mike Dowse, il nostro regista, ha preso una decisione davvero intelligente mettendola alla fine delle riprese, perché trascorri molto tempo con una persona e sai che questo momento significa molto per il film”.

Zoe Kazan: il suo 2021

9. Ha lavorato in diversi progetti. Nel corso del 2021 l’attrice si è distinta per la sua partecipazione a progetti di natura diversa. In primis ha prestato la voce ad uno dei personaggi del film d’animazione Cryptozoo, mentre ha poi recitato nel ruolo di Pia Bowers, una delle protagoniste della miniserie Netflix Clickbait. Ha poi da poco concluso le riprese del film She Said, dove recita accanto a Carey Mulligan nel ruolo di una reporter coinvolta nel movimento #MeToo

Zoe Kazan: età e altezza

10. Zoe Kazan è nata il 9 settembre del 1983 a Los Angeles, California, e la sua altezza complessiva corrisponde a 164 centimetri.

Fonti: IMDb, Metro, People, Vulture

Zoe Kazan terrorizzata nel primo trailer di The Monster

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Zoe Kazan terrorizzata nel primo trailer di The Monster

Bloody Disgusting ha diffuso il primo trailer di The Monster con protagonista Zoe Kazan (Ruby Sparks). Il film è diretto da Bryan Bertino, che vanta nel curriculm The Strangers.

La Kazan è una giovane madre che fa un terribile incontro in un bosco. Ecco il trailer:

The Monster è un film spaventoso in cui una madre divorziata (Zoe Kazan) e sua figlia devono affrontare un viaggio d’emergenza di notte per raggiungere il padre della bambina. Mentre viaggiano in una strada deserta di campagna, durante una tempesta notturna, improvvisamente hanno un incidente che le lascia scosse e ferite, anche se non seriamente. La macchina è fuori uso e mentre provano a cercare aiuto, capiscono che non sono sole in quella strada desolata. Un male terrificante si aggira nella foresta circostante, deciso a non lasciarle ripartire.

Nel 2017 vedremo Zoe Kazan in The Big Sick, commedia romantica diretta da Michael Showalter, in cui l’attrice e regista recita al fianco di Holly Hunter.

Fonte: CS

Zodiac: tutte le prove che dimostrano che Arthur Leigh Allen non è l’assassino

Il finale di Zodiac di David Fincher riflette la triste verità di un crimine reale: le prove non sono sufficienti per stabilire che Arthur Leigh Allen è il killer dello Zodiaco. Allen era il principale sospettato in quello che è ancora oggi uno dei casi irrisolti più celebri della storia, ma come mostra il finale del film del 2007, la montagna di prove circostanziali non è stata sufficiente per accusare Allen, poi morto di infarto prima che si potesse giungere ad una verità. Il film, basato sull’omonimo libro di Robert Greysmith (interpretato da Jake Gyllenhaal nel film), racconta dunque  del regno di terrore del misterioso serial killer e di coloro che cercarono di smascherarlo.

Nel film Zodiac, infatti, un agente di polizia e due reporter sono dunque ossessionati dalla scoperta della sua identità. La loro ossessione cresce mentre il killer miete vittime e deride le autorità con lettere indecifrabili. In quello che è indicato come uno dei migliori film di David Fincher, coloro che indagavano sul caso volevano dunque così tanto porre fine all’orrore che l’assassino aveva scatenato nella loro zona, al punto da doversi accontentare della loro migliore ipotesi sull’assassino, invece di trovare qualcuno che corrispondesse alle prove concrete. La paura, il trauma e lo strazio portarono Arthur Leigh Allen a essere frettolosamente identificato come il killer dello Zodiaco.

LEGGI ANCHE: Zodiac, la spiegazione del finale del film

Arthur Leigh Allen non era l’assassino dello Zodiaco

Alcuni eventi possono essere stati leggermente esagerati per il bene del film, ma alla fine gli eventi di Zodiac si sono svolti nello stesso modo in cui si sono svolti nella vita reale. Arthur Leigh Allen è stato per anni il principale sospettato, con pesanti prove circostanziali a suo carico. Proprio quando sembrava che la polizia potesse arrivare ad una svolta nel caso, Allen morì inaspettatamente per cause naturali. Sulla carta, sembrava davvero che fosse il famoso serial killer dello Zodiaco. Ma le prove fisiche semplicemente non c’erano, il che significa che non poteva essere lui.

Zodiac cast film
Robert Downey Jr. e Jake Gyllenhaal in Zodiac © 2006 Paramount Pictures.

Gli investigatori e i cittadini della California settentrionale arrivarono a credere che si trattasse di Allen semplicemente perché avevano bisogno di riparare i danni che il killer dello Zodiaco aveva causato nella loro comunità. La paura, la rabbia e il dolore nella Bay Area erano tangibili e Zodiac lo dimostrò in modo appropriato attraverso la lente di Graysmith, David Toschi (Mark Ruffalo) e Paul Avery (Robert Downey Jr.). Questi uomini volevano così tanto salvare la loro comunità che hanno rinunciato a tutto per farlo. Essendo Avery un giornalista di cronaca nera del Chronicle, si appassionò al caso Zodiac, al punto che iniziò a ricevere minacce di morte e a ricorrere a droghe e alcool.

L’ossessione di Toschi portò invece all’accusa di aver falsificato una lettera di Zodiac, cosa che spinse il suo dipartimento a degradarlo. Il film descrive anche come, una volta che Greysmith ha reso pubblico il suo libro, la sua famiglia ha iniziato a ricevere telefonate dove si udiva solo un respiro pesante. La moglie era talmente turbata dalla sua ossessione per il killer dello Zodiaco che chiese il divorzio. Questi uomini avevano bisogno che Allen fosse il Killer dello Zodiaco perché avevano bisogno che il dolore della California cessasse. Anche se non ci sono mai state prove fisiche, accettare che fosse lui l’assassino ha tranquillizzato alcuni. Purtroppo, le famiglie delle vittime ritratte in Zodiac non avranno mai lo stesso conforto.

La calligrafia di Arthur Leigh Allen non corrisponde a quella del killer dello Zodiaco

L’assassino dello Zodiaco ha iniziato a farsi un nome grazie alle lettere scritte a mano. All’inizio del film, iniziò a inviare lettere al San Francisco Chronicle, vantandosi e deridendolo. Trovare una corrispondenza con la calligrafia significava che le autorità avevano il loro uomo. L’agente di polizia Dave Toschi iniziò a sospettare di Allen per diverse ragioni circostanziali. Indossava un orologio dello Zodiaco, che portava lo stesso simbolo inciso su tutte le lettere anonime del Killer. Anche la personalità di Allen corrispondeva a quella di un serial killer. Era un tipo taciturno, socialmente impacciato ed era additato come pedofilo.

Toschi fece analizzare la calligrafia di Allen e rimase però sconvolto quando scoprì che non corrispondeva. Anche se la calligrafia di Allen non è risultata compatibile, le prove indiziarie sono state sufficienti a tenere Allen in cima ai suoi pensieri per tutto il resto delle indagini sul caso Zodiac. Nonostante l’esito negativo, infatti, le autorità decisero di non scartare Allen come possibile Zodiac. La possibile associazione del suo nome a quella dell’assassino rappresentò il primo raggio di luce in un periodo buio e spaventoso per gli abitanti dell’area di San Francisco.

Zodiac trama
Una scena dal film Zodaic © 2006 Paramount Pictures.

La balistica e le impronte della scena del delitto Zodiac non corrispondono ad Arthur Leigh Allen

Come mostra la rappresentazione cinematografica della storia vera di Zodiac, il caso contro Arthur Leigh Allen era dunque privo di prove fisiche, ma Toschi non poteva comunque lasciar perdere. Si rivolse a un secondo parere sulla calligrafia e ricevette notizie incoraggianti. Il secondo analista della calligrafia condivideva una teoria secondo cui un cambiamento di personalità può portare ad altri cambiamenti in una persona, come la sua calligrafia. Ma una teoria basata su congetture non era sufficiente per condannare qualcuno come assassino, così Toschi e la sua squadra ottennero un mandato di perquisizione per setacciare la roulotte di Allen.

LEGGI ANCHE: Zodiac: la vera storia dietro il film di David Fincher

Gli agenti di polizia trovarono abbastanza prove che avrebbero dovuto ipoteticamente inchiodare Arthur Leigh Allen. Aveva la stessa giacca a vento trovata sulla scena del crimine. Le sue misure di scarpe e guanti corrispondevano a quelle dello Zodiaco. Possedeva una pistola. Allen si trovava in zona quando è avvenuto uno degli omicidi dello Zodiaco. Corrispondeva perfettamente al profilo, eppure in qualche modo il secondo campione di calligrafia, la balistica e le impronte nella sua roulotte non corrispondevano a quelle dello Zodiaco.

Toschi, come altri coinvolti nelle indagini, era diventato ossessionato dall’idea che Arthur Leigh Allen fosse il killer dello Zodiaco. Perciò rimase scioccato e sconvolto quando scoprì che non c’era un briciolo di prova fisica che indicasse che Allen era l’assassino. Toschi ammette persino nel film di non essere sicuro se pensasse davvero che Allen fosse lo Zodiaco o se volesse solo che fosse lui. La paura e l’incertezza avevano invaso la sua città natale. Come mostra Robert Graysmith, alcune persone erano troppo spaventate per perdere di vista i propri figli. Toschi voleva solo che la caccia al serial killer finisse.

zodiac
Mark Ruffalo in Zodiac © 2006 Paramount Pictures.

Che fine ha fatto Arthur Leigh Allen?

Arthur Leigh Allen, californiano, nato nel 1933, aveva già un passato burrascoso quando le indagini sullo Zodiaco presero il via. Aveva avuto problemi con la legge per aver abusato sessualmente di bambini, il che, tra gli altri fattori, faceva sembrare la sua innocenza sempre meno probabile. Si dice anche che sia stato congedato con disonore dalla Marina negli anni Cinquanta. Allen morì poi per insufficienza cardiaca nel 1992 e anni dopo, nel 2007, fu pubblicato un documentario sul killer dello Zodiaco intitolato His Name Was Arthur Leigh Allen. Nonostante ciò, non ci sono mai state prove sufficienti per dimostrare che Allen fosse il famigerato assassino seriale.

Chi erano gli altri sospettati del Killer dello Zodiaco?

Zodiac non è dunque mai stato catturato e, sebbene il film si concentri su Arthur Leigh Allen, in realtà ci sono altri tre principali sospettati su cui la polizia stava indagando. Il primo è Richard Gaikowski, il quale assomiglia in modo inquietante agli identikit della polizia. Gaikowski è nato nel 1936 ed è morto nel 2004 di cancro. Ha fatto un breve periodo nell’esercito come medico e si è trasferito a San Francisco nel 1963. Il primo degli omicidi dello Zodiaco avvenne a meno di cinque miglia da casa sua. Quando gli è stato chiesto un alibi, ha dichiarato di essere fuori dal Paese al momento di alcuni degli omicidi. Tuttavia, i registri dei passaporti hanno dimostrato che si trattava di una bugia.

Un’altra scelta popolare, oltre ad Allen, era un uomo di nome Rick Marshall, il cui vero nome era Joe Don Dickey. Marshall/Dickey ha vissuto per 40 anni nella zona di Bay e dintorni prima di morire per problemi legati al morbo di Parkinson. Durante gli omicidi di Zodiac, lavorava in un cinema muto e aveva anche prestato servizio in Marina. Divenne sospettato nel 1976 dopo aver fatto commenti sospetti sulla sua radio amatoriale. Inoltre, una delle lettere del killer di Zodiac fu scritta il giorno del suo compleanno.

L’ultimo sospettato al di fuori di Allen era Lawrence Klein, che si presentava con lo pseudonimo (uno dei tanti) di Larry Kane. Kane aveva un ampio passato criminale che risaliva agli anni Quaranta. La sorella di una vittima dello Zodiaco, Darlene Ferrin, ha dichiarato che Kane ha seguito la sorella per mesi prima dell’omicidio. Inoltre, Kathleen Johns ha identificato proprio Kane come il suo rapitore dopo essersi imbattuta nel killer dello Zodiaco. Alla fine, Kane è morto nel 2010 a Reno, in Nevada. Quindi, sebbene Zodiac si concentri principalmente su Allen, c’erano altri sospetti che si adattavano al caso.

Zodiac 2007
Una scena dal film Zodiac © 2006 Paramount Pictures.

Il caso Zodiac è ancora aperto

Sono ormai passati più di 50 anni da quando il killer dello Zodiaco ha iniziato il suo regno di terrore in California e il caso rimane irrisolto. Tuttavia, questo non significa che gli investigatori non ci stiano ancora lavorando. Nell’ottobre del 2021 il caso è tornato a far parlare di sé, quando TMZ ha riportato la notizia che un team investigativo composto da giornalisti, forze dell’ordine e ufficiali dell’intelligence militare, noto come “The Case Breakers”, aveva scoperto l’identità del Killer dello Zodiaco e aveva fatto il nome di Gary Francis Poste, smentendo ulteriormente le voci su Arthur Leigh Allen.

Tuttavia, l’FBI si pronunciò quasi subito contro questa notizia. Sia l’FBI che le forze dell’ordine californiane hanno contestato il fatto che l’identità del Killer dello Zodiaco sia stata trovata in seguito alla notizia riportata da TMZ, ma ciò che è più interessante è che entrambe le forze dell’ordine hanno rivelato che il caso è ancora aperto. Ciò significa che, anche a distanza di oltre 50 anni, si sta ancora indagando sull’identità del Killer dello Zodiaco. Non è chiaro a che livello si trovi l’indagine, né quanto grande sia il team incaricato di esaminare le prove. Tuttavia, è possibile che con un nuovo sguardo si possano prima o poi trovare ulteriori risposte sull’identità di Zodiac.

Zodiac: la vera storia dietro il film di David Fincher

Zodiac: la vera storia dietro il film di David Fincher

I film thriller dove alla fine l’assassino viene catturato e condannato per i suoi crimini sono belli e rincuoranti, ma sfortunatamente nella realtà non sempre le cose vanno così. Molto spesso il killer rimane anonimo, e le sue vittime private di giustizia. Un caso esemplare di questo tipo è il film Zodiac, diretto nel 2007 da David Fincher. Affermatosi come uno dei più importanti registi della sua generazione, questi si è in particolare distinto come maestro del thriller, realizzando film iconici come Seven, Gone Girl, il recente The Killer e la serie Mindhunter. Con il film qui approfondito ha però saputo raggiungere nuovi livelli di tale genere, raccontando una storia estremamente adatta alle sue corde e alla sua poetica.

La sceneggiatura del film, firmata da James Vanderbilt, è tratta dai libri che il vignettista e scrittore Robert Graysmith ha dedicato alla figura del Killer dello Zodiaco. Quando Fincher venne a sapere del progetto dedicato al celebre serial killer se ne interessò subito. Il regista, infatti, aveva dei vaghi ricordi delle gesta di Zodiac, che nella sua immaginazione era diventato l’uomo nero per eccellenza. Ad attrarlo in particolare vi era naturalmente il finale irrisolto, fedele a quanto avviene nella vita reale. Per poter rimanere ulteriormente vicino a questa, Fincher e Vanderbilt iniziarono una lunga ricerca, intervistando testimoni e consultando i rapporti della polizia. Fu proprio grazie al loro film che il caso di Zodiac tornò alla ribalta.

Zodiac è ancora oggi considerato uno dei più importanti thriller degli ultimi decenni, pur con tutte le sue atipicità. All’interno di una “normale” sfida tra investigatori e serial killer, il regista ha infatti inserito una cornice ricca di eventi che legano il caso di Zodiac al suo periodo storico, rendendo i due pressoché inseparabili. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla storia vera dietro il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama di Zodiac

Il film ruota intorno alla vicenda del serial killer Zodiac, il quale a partire dal 4 luglio del 1969 inizia ad uccidere una serie di innocenti coppie utilizzando sempre le stesse modalità. Il caso diventa di grande interesse nel momento in cui l’assassino inizia ad inviare una serie di strane lettere in codice ai giornali locali, chiedendo che vengano pubblicate. I primi giornalisti coinvolti sono quelli del San Francisco Chronicle, tra cui l’eccentrico Paul Avery e il fumettista Robert Graysmith, i quali iniziano a condurre una serie di ricerche per conto loro. Allo stesso tempo, il detective David Toschi indaga sul caso alla disperata ricerca di indizi. Mentre il killer continua ad uccidere, la caccia nei suoi confronti si fa sempre più serrata, ma le possibilità di acciuffarlo sembrano sempre più lontane.

Zodiac trama

Zodiac: il cast del film

Per il personaggio del fumettista Robert Graysmith, Fincher non ha avuto dubbi: l’attore perfetto era Jake Gyllenhaal. Questi venne scelto per la sua capacità di dar vita sia all’ingenuità del personaggio quanto ai suoi aspetti più compromettenti. Dopo aver accettato la parte, per prepararsi a questa Gyllenhaal decise di incontrare il vero Graysmith. Da lui apprese tutto ciò che c’era da sapere sul caso, e lo studiò per assumerne comportamenti e modi di fare. Il giornalista Paul Avery è invece interpretato da Robert Downey Jr.. Il rapporto tra questi e Fincher non fu dei migliori e l’attore lamentò in più occasioni il desiderio del regista di dar vita a numerose ripetizioni della stessa scena. Alla fine, tuttavia, i due riuscirono a trovare un punto d’incontro.

Mark Ruffalo interpreta il detective David Toschi, un ruolo a cui inizialmente non era interessato. Dopo aver parlato con Fincher, però, si è lasciato entusiasmare dal progetto, accettando la parte. Per dar vita a Toschi, l’attore ha letto tutto ciò che ha potuto su di lui e il caso, arrivando anche ad incontrare il vero detective, da cui ha potuto ottenere informazioni preziose. L’attore Anthony Edwards è invece presente nei panni del detective Bill Armstrong, mentre Brian Cox in quelli dell’avvocato Malvin Belli. Chloe Sevigny compare invece nei panni di Melanie, la compagna di Graysmith. Infine, l’attore John Carroll Lynch interpreta Arthur Leigh Allen, principale sospettato di essere il killer Zodiac.

La storia vera dietro il film

Il Killer dello Zodiaco è lo pseudonimo del serial killer mai identificato che operò nella California settentrionale alla fine degli anni Sessanta. La sua vicenda è stata descritta come il più famoso caso di omicidio irrisolto della storia americana ed è diventato un punto fermo della cultura popolare e un punto di riferimento per gli sforzi dei detective dilettanti. Zodiac è noto per aver ucciso cinque vittime conosciute nell’area della baia di San Francisco tra il dicembre 1968 e l’ottobre 1969, operando in ambienti rurali, urbani e suburbani. Prese di mira giovani coppie e un tassista solitario. Gli attacchi noti hanno avuto luogo a Benicia, Vallejo, nella contea di Napa e nella città di San Francisco.

Due delle sue vittime ferite sono però sopravvissute. Oltre loro, Zodiac ha però anche affermato di aver ucciso un totale di trentasette vittime. È infatti stato collegato a numerosi altri casi irrisolti, alcuni dei quali nella California meridionale o al di fuori dello Stato, ma per la maggior parte di questi non è stato possibile verificare la sua effettiva colpevolezza. Per quanto riguarda il suo nome, Zodiac lo ha coniato a partire da una serie di messaggi di scherno inviati a giornali regionali, in cui minacciava omicidi e attentati se non fossero stati stampati. Alcune delle lettere includevano crittogrammi, o cifrari, in cui l’assassino affermava di raccogliere le sue vittime come schiavi per l’aldilà.

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Dei quattro cifrari prodotti, due rimangono irrisolti e uno è stato decifrato solo nel 2020. Sebbene siano state avanzate molte teorie sull’identità dell’assassino, l’unico sospettato che le autorità hanno nominato pubblicamente è Arthur Leigh Allen, un ex insegnante di scuola elementare e condannato per reati sessuali, morto però nel 1992. Sebbene lo Zodiaco abbia cessato le comunicazioni scritte intorno al 1974, la natura insolita del caso ha suscitato un interesse internazionale che si è protratto negli anni. Il Dipartimento di Polizia di San Francisco ha dichiarato il caso “inattivo” nell’aprile 2004, ma lo ha riaperto prima del marzo 2007.

Il killer Zodiac ha davvero scritto al giornale?

Zodiac Storia vera

Il 31 luglio 1969 furono inviate tre lettere rispettivamente al Vallejo Times-Herald, al San Francisco Chronicle e al San Francisco Examiner. Erano per lo più identiche e riportavano i dettagli delle armi e delle munizioni utilizzate per gli omicidi. Dichiarava: “Mi piace uccidere perché è molto divertente” e minacciava di uccidere ancora se le testate si fossero rifiutate di pubblicare il suo cifrario allegato.

Un’altra lettera fu inviata all’Examiner cinque giorni dopo, in cui si prendeva in giro la polizia per non essere riuscita a risolvere il cifrario. “Quando lo decifreranno, mi avranno”. Questa lettera contiene il primo uso del nome “Zodiaco”. Il San Francisco Chronicle pubblicò il codice, ma non fermò gli omicidi. Nel settembre successivo, gli studenti universitari Bryan Hartnell e Cecelia Shepard furono entrambi accoltellati da un uomo che indossava un costume con cappuccio e il simbolo dello Zodiaco. Shepard morì per le ferite riportate, mentre Hartnell sopravvisse.

Un mese dopo, il tassista Paul Stine, 28 anni, fu colpito alla testa e gli fu asportato un pezzo di camicia. Dave Toschi della polizia di San Francisco indagò sulla scena del crimine e presto sarebbe diventato l’ispettore più famoso legato al caso. La fama e lo stile di Toschi avrebbero ispirato film come Dirty Harry e Bullitt. Toschi considerò la morte di Stine come una rapina di routine, fino a quando l’assassino non inviò una lettera al San Francisco Chronicle che includeva il pezzo mancante della camicia macchiata di sangue di Stine per dimostrare la sua legittimità. Nel film, Paul Avery del Chronicle legge la lettera, riunendo finalmente Toschi (Ruffalo), Avery (Downey Jr.) e il vignettista Robert Graysmith (Gyllenhaal), divenuto ossessionato dallo Zodiaco.

Zodiac e Paul Avery sono diventati improbabili amici di penna nella realtà

Zodiac lettera film

Il Chronicle divenne presto la principale corrispondenza dello Zodiaco per la pubblicazione, inviandogli altre due lettere quell’anno. Le lettere includevano codici cifrati e resoconti della polizia che lo aveva quasi catturato ma che lo aveva ignominiosamente lasciato andare. Nel corso del 1970, Avery ricevette molte altre lettere dallo Zodiaco, alcune delle quali negavano il coinvolgimento nei recenti crimini, mentre altre ne rivendicavano la responsabilità.

Approfittando della fama che gli articoli di Avery gli avevano procurato, nell’aprile 1970 lo Zodiaco pretese che gli abitanti della Bay Area di San Francisco indossassero “bottoni dello Zodiaco” con il suo simbolo. Nel luglio 1970, Avery si lamentò della mancanza di “bottoni dello Zodiaco”. Il Chronicle decise di non pubblicare alcune lettere di Zodiac in questo periodo, con Avery che controllava la narrazione in prima persona. Di conseguenza, l’assassino probabilmente si sentì frustrato e iniziò a prendere di mira Avery personalmente.

Un anno dopo aver ricevuto per posta gli abiti insanguinati di Paul Stine, Avery ricevette un biglietto di Halloween che recitava: “Dal tuo amico segreto”, “Cucù – sei condannato” e il numero “4-teen”, che implicava che lo Zodiaco avesse rivendicato una quattordicesima vittima non identificata o che potesse essere lo stesso Avery. A differenza di quanto suggerisce il film, in questa busta non c’era alcun panno insanguinato, poiché gli abiti di Paul Stine erano stati ricevuti l’anno precedente.

Tuttavia, come suggerisce il film, questa nuova corrispondenza mirata diretta specificamente ad Avery (o “Averly”, come Zodiac spesso sbagliava a scrivere) significava che Avery portava sempre con sé un revolver calibro 38 da allora. Il film fa anche notare correttamente che i dipendenti del Chronicle, compreso lo stesso Avery, in seguito avrebbero indossato per scherzo le spille “Io non sono Avery” per evitare di diventare la prossima vittima di Zodiac.

Il caso Zodiac rimane irrisolto

Il caso rimane aperto anche nella città di Vallejo e nelle contee di Napa e Solano. Il Dipartimento di Giustizia della California ha mantenuto un fascicolo aperto sugli omicidi di Zodiac dal 1969. L’indagine su Zodiac rimane tuttora in corso anche in altre giurisdizioni, ma la verità sull’identità dell’assassino rimane un mistero. L’11 dicembre 2020, come anticipato, è stata pubblicata la notizia, confermata dall’FBI, che lo statunitense David Oranchak, il programmatore belga Jarl Van Eycke e l’australiano Sam Blake hanno decriptato il testo cifrato di 340 caratteri inviato da Zodiac al San Francisco Chronicle l’8 novembre 1969. Il messaggio, comprensivo di errori, recita:

«SPERO CHE VI STIATE DIVERTENDO MOLTO CERCANDO DI PRENDERMI QUELLO NELLO SHOW TELEVISIVO CHE HA FATTO IL PUNTO SU DI ME NON ERO IO NON HO PAURA DELLA CAMERA A GAS PERCHÉ MI MANDERÀ IN PARADISO PRIMA PERCHÉ ORA HO ABBASTANZA SCHIAVI CHE LAVORANO PER ME DOVE TUTTI GLI ALTRI NON HANNO NIENTE QUANDO ANDRANNO IN PARADISO PERCIÒ LORO SONO SPAVENTATI DALLA MORTE E IO NON SONO SPAVENTATO PERCHÉ SO CHE LA MIA VITA SARÀ UNA VITA FACILE IN MORTE PARADISO»

Il trailer di Zodiac e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Zodiac grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Apple iTunes, Now, Netflix e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 16 marzo alle ore 21:00 sul canale Iris.

Zodiac in streaming è disponibile sulle seguenti piattaforme:

 

Fonte: IMDb, HistoryvsHollywood

Zodiac: 10 cose che non sai sul film di David Fincher

Zodiac: 10 cose che non sai sul film di David Fincher

Se Zodiac non ci fosse, sarebbe un film decisamente da inventare. Originale, esplosivo, misterioso e mentalmente coinvolgente, il film di David Fincher costringe lo spettatore a stare attaccato alla sua poltrona, protagonista di una spirale di mistero senza fine.

Realizzato nel 2007, Zodiac comprende un cast che dire stellare è dire poco, composto da Mark Ruffalo, Jake Gyllenhaal, Robert Downey Jr., Brian Cox, Chloe Sevigny e Anthony Edwards.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su Zodiac.

Zodiac film

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1. Lo script di Zodiac era molto lungo. Pare che la sceneggiatura di Zodiac fosse molto lunga, composta da circa 200 pagine e questo voleva dire solo una cosa: il film sarebbe andato decisamente per le lunghe. Per prevenire qualsiasi tipo di problema che potesse causare una lunghezza del film fuori misura, il regista David Fincher decise di chiedere ai membri del suo cast di parlare e recitare in maniera veloce. La soluzione si è rivelata efficace, tanto che il film dura “appena” 157 minuti (162 in director’s cut).

2. Zodiac ha richiesto 18 mesi di ricerche. Il regista David Fincher, lo sceneggiatore James Vanderbilt e il produttore Bradley J. Fischer ci hanno messo ben 18 mesi per condurre delle ricerche riguardo gli omicidi commessi da Zodiac. I tre hanno intervistato i testimoni, membri delle famiglie coinvolte, sospettati, investigatori ancora coinvolti e quelli in pensione, le uniche due vittime sopravvissute e il sindaco di San Francisco e di Vallejo.

3. Zodiac ha omaggiato l’Ispettore Callaghan: il caso scorpio è tuo!. Il film Zodiac, oltre a raccontare una storia vera, ha avuto anche tempo e modo di omaggiare l’Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! del 1971: in questo film, infatti, il nemico era Scorpio e si basava sull’assassino Zodiac.

Killer dello Zodiaco

zodiac

4. Zodiac ripercorre i misteri insoluti del Killer dello Zodiaco. Il film di David Fincher si basa sul libro di Robert Graysmith, Zodiac Unmasked: the Identity of America’s Most Elusive Serial Killer, ripercorrendo tutti i misteri insoluti che ruotano attorno alla figura denominata Killer dello Zodiaco. Egli, persona dall’identità ignota, è ritenuto colpevole dell’assassinio di cinque persone, morti avvenute nella California del nord tra il 1968 e il 1969: in realtà le vittime accertate furono sette, ma due di loro riuscirono a salvarsi, mentre Zodiac ebbe modo di affermare, diverse volte, di averne uccise ben 37. I crimini commessi avvennero tra Vallejo, Lago Berryessa, San Francisco e Benicia e l’identità del killer è rimasta sconosciuta fino ai giorni nostri, tanto da essere ancora uno dei maggiori cold case ancora attivi su territorio statunitense.

5. Le vittime erano tutte giovanissime. Un particolare che rendeva noto il killer, era quello di uccidere sempre dei ragazzi molto giovani, di età compresa tra i 16 e 22 anni, con un unico caso in cui la vittima ne aveva 29. Tra le vittime presunte, l’età media oscillava sempre tra questi due parametri, arrivando al massimo a 25 anni. Le vittime accertate, in ordine cronologico, sono David Arthur Faraday e Betty Lou Jensen (di 17 e 16 anni) uccisi con una pistola il 20 dicembre del 1968. A loro sono seguiti Michael Reanult Mageau e Darlene Elizabeth Ferrin (19 e 22 anni), colpiti sempre con un’arma da fuoco nel luglio del 1969 e Bryan Calvin Hartnell e Cecelia Ann Shepard (20 e 22 anni) accoltellati nel settembre del 1969. L’ultima vittima accertata risale a Paul Lee Stine, di anni 29, ucciso con una pistola nell’ottobre dello stesso anno. Di queste sette vittime si sono salvate solo Micheal Mageau e Bryan Hartnell.

6. Il killer era un fan di lettere e crittogrammi. Dopo i primi omicidi compiuti, il Killer dello Zodiaco si mise a mandare una serie di lettere ad alcuni quotidiani in cui autoaccusava degli omicidi, allegando anche un crittogramma che, a detta sua, nascondeva la sua vera identità. Tra il 1969 e il 1970, il killer utilizzava questo metodo per comunicare con le autorità, continuando a spedire lettere con messaggi cifrati, la cui maggior parte di essi sono rimasti ancora irrisolti. L’ultima lettera accertata come autentica risale al gennaio del 1974 a cui sono susseguite, nel corso degli anni, una serie di lettere e di biglietti di cui ancora non è chiaro se siano davvero del killer o di qualche emulatore.

Zodiac trailer

7. Il trailer di Zodiac da non perdere. Se il film di Fincher è un assoluto masterpiece, anche il trailer non va così lontano da questa definizione, tanto che merita decisamente un visione prima di vedere il film per intero.

Zodiac cast

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8. Mark Ruffalo ha incontrato l’investigatore del caso Zodiac. Per poter dare un’interpretazione più veritiera e realistica possibile, Mark Ruffalo ha avuto l’occasione di incontrare David Toschi, l’investigatore principale del caso Zodiac, sia sul piano reale, sia nel film. Di questo incontro, l’attore è rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che Toschi si ricordasse ogni singolo dettaglio di ogni singolo caso che riguardava il killer dello Zodiaco.

9. Jake Gyllenhaal è stata la prima scelta. Dopo i mesi dedicati alle ricerche, Fincher ha puntato subito l’attenzione su Jake Gyllenhaal per interpretare il ruolo di Robert Graysmith. Nel caso in cui l’attore avesse rifiutato la proposta, Fincher avrebbe assegnato il ruolo alla sua seconda scelta, Orlando Bloom.

10. Ruffalo e Gyllenhall devono ringraziare Jennifer Aniston. Se Mark Ruffalo e Jake Gyllenhall sono stati coinvolti in questo progetto, ciò è stato grazie anche alla buona parola di Jennifer Aniston. Pare, infatti, che Fincher nella fase di pre-produzione avesse chiesto alla Aniston chi erano stati i suoi migliori partner sullo schermo. Lei ha risposto che Ruffalo e Gyllenhall erano i migliori, lavorando con loro in The Good Girl (2002) e Vizi di famiglia (2005).

Zodiac streaming ita

Chi volesse vedere o rivedere uno dei film capolavoro di David Fincher, è possibile farlo grazie alla piattaforme streaming di Chili, iTunes, Tim Vision, INfinity e Google Play, con disponibilità anche della versione ita e sub ita.

Fonti: IMDb, chasingthefrog

Zodiac, la spiegazione del finale del film

Zodiac, la spiegazione del finale del film

Zodiac è uno dei migliori film degli ultimi 20 anni, e lo dico in tutta sincerità, senza iperboli. La miscela di David Fincher (Seven) di indagine giornalistica e thriller sui serial killer è una saga tentacolare in più parti che, per sua stessa concezione, non può avere un vero finale conclusivo. Perché? Perché il killer dello Zodiaco non è mai stato catturato. Ma Zodiac pensa di avere un’idea abbastanza precisa di chi fosse l’assassino e non ha paura di esporre questa teoria e lasciare che il pubblico si faccia un’idea propria. Approfondiamo quindi il film, la storia vera che lo ha ispirato e il finale di “Zodiac” che lega il tutto.

Questo è Zodiac che parla

Zodiac lettera film

Il 1° agosto 1969, tre testate californiane – il “Vallejo Times Herald”, il “San Francisco Chronicle” e il “San Francisco Examiner” – ricevettero una lettera criptica da un mittente anonimo. L’autore della lettera si prendeva il merito di una serie di omicidi avvenuti in due località, Lake Herman Road e Blue Rock Springs. Entrambi gli incidenti hanno coinvolto una coppia di uomini e donne che hanno subito un’imboscata e sono stati uccisi nelle loro auto. L’incidente di Lake Herman Road ha provocato la morte dell’uomo e della donna. La sparatoria di Blue Rock Springs ha ucciso la donna, ma l’uomo è sopravvissuto nonostante sia stato colpito più volte. Le lettere del presunto assassino contenevano un crittogramma di 408 simboli che vari funzionari hanno cercato di decifrare. Alla fine, una coppia di dilettanti di Salinas, in California, decifrò il codice. Il risultato era una nota sconclusionata su come all’autore piacesse “uccidere la gente perché è molto divertente”.

Il 7 agosto, il presunto assassino inviò un’altra lettera al “San Francisco Examiner” e questa volta si diede un nome, iniziando la lettera con “Dear Editor This is the Zodiac speaking”. Così nacque un nuovo famigerato serial killer. Attraverso le sue lettere sconclusionate, l’assassino avrebbe rivendicato la responsabilità di 37 omicidi. Tuttavia, gli investigatori non hanno mai creduto a questa cifra. Il numero più comunemente accettato e confermato è invece quello di sette vittime in totale, due delle quali sono sopravvissute. Non che il numero inferiore renda la perdita di vite umane meno inquietante o sfortunata.

La polizia ha speso tonnellate di sforzi e ore per cercare di catturare l’assassino, ma non ha trovato nulla. Uno dei problemi principali del caso è che, essendo la California uno stato così grande e vasto, nessuno degli omicidi è avvenuto nella stessa giurisdizione delle forze dell’ordine. Di conseguenza, i dettagli sulle prove dovevano essere coordinati tra i vari dipartimenti, e questo non sempre andava secondo i piani. Alla fine, il killer dello Zodiaco è riuscito a farla franca e non è mai stato identificato.

Un film di David Fincher

Zodiac storia vera
2006 Paramount Pictures.

Ci sono stati diversi film ispirati ai crimini del Killer dello Zodiaco. C’è stato persino un film intitolato “The Zodiac Killer”, uscito nel 1971, realizzato con l’unico scopo di attirare l’assassino in un cinema nella speranza di catturarlo (non ha funzionato). Anche il killer dello scorpione in “Dirty Harry” era ispirato allo Zodiaco. Ma il film definitivo sullo Zodiaco sarebbe arrivato solo nel 2007, con “Zodiac” di David Fincher. La sceneggiatura di James Vanderbilt ha una portata epica e si concentra su più personaggi che cercano di risolvere il caso a modo loro. C’è il giornalista ubriacone del “San Francisco Chronicle” Paul Avery (Robert Downey Jr.), c’è il collega di Avery, il vignettista Robert Graysmith (Jake Gyllenhaal.), e c’è l’ispettore di polizia di San Francisco Dave Toschi (Mark Ruffalo). Ognuno di questi uomini è protagonista, ma alla fine è il Robert Graysmith di Gyllenhaal a diventare il personaggio principale (soprattutto perché il film è tratto dai libri scritti dal vero Graysmith).

Zodiac cast film
2006 Paramount Pictures.

Mentre Fincher ha realizzato il thriller sui serial killer per eccellenza con “Seven”, Zodiac è un film molto diverso. La maggior parte degli omicidi avviene nel primo atto del film. Il resto del film è incentrato sull’ossessione e su come l’ossessione possa distruggere la tua vita, se glielo permetti. I tre protagonisti finiscono per essere distrutti in qualche modo: Avery viene licenziato per essere diventato troppo alcolizzato, Toschi viene sospeso dopo essere stato accusato di cattiva condotta da parte della polizia e Graysmith finisce per separarsi e infine divorziare dalla moglie.

Come nella vita reale, anche in Zodiac vengono presi in considerazione più sospetti. Ma Graysmith – e il film – si concentrano su un uomo, Arthur Leigh Allen, interpretato brillantemente da John Carroll Lynch. Le prove circostanziali contro Allen sono piuttosto abbondanti, ma non sono sufficienti per arrestarlo o per condannarlo in caso di processo. Inoltre, ci sono altre prove che sembrano scagionare completamente Allen. Ma Graysmith rimane convinto che Allen sia l’assassino e alla fine convince anche Toschi.

Spiegazione del finale di Zodiac

Zodiac trama
© 2006 Paramount Pictures.

Sebbene Graysmith non sia un poliziotto e quindi non possa realmente “catturare” Arthur Leigh Allen, dice di voler guardare Allen in faccia e fargli capire che sa che è lui l’assassino. “Devo sapere chi è”, dice Graysmith. “Ho bisogno di stare lì, di guardarlo negli occhi e di sapere che è lui”. E lo fa: nel 1983, Graysmith rintraccia Allen in un negozio di ferramenta dove quest’ultimo sta lavorando. I due uomini si guardano in silenzio e il volto di Allen si oscura quando capisce chi è Graysmith e perché si trova lì.

Da qui, il film passa a un epilogo. A una delle vittime sopravvissute dello Zodiaco, ormai anziana, viene chiesto di guardare una serie di foto segnaletiche per identificare il suo aggressore. Alla fine la vittima sceglie la foto di Arthur Leigh Allen. Tuttavia, un testo sullo schermo ci informa che prima che Allen potesse essere interrogato di nuovo su tutto questo, è morto per insufficienza renale. Per un film, questo potrebbe sembrare anticlimatico, ma Fincher lo fa funzionare.

Ma solleva anche una grande domanda: “Zodiac” ha colto nel segno? Le prove che il film presenta contro Allen sono tutte reali e verificate, ma ancora una volta sono circostanziali. Non ci sono prove concrete che colleghino ufficialmente Allen ai crimini. E questo non è l’unico ostacolo alla teoria di Graysmith. Nel 2002 è stata scoperta una “impronta parziale di DNA” su una delle lettere dello Zodiaco. L’impronta è stata confrontata con il profilo del DNA di Arthur Leigh Allen e alla fine si è stabilito che non corrispondeva.

Tuttavia, il vero Robert Graysmith non crede che questo scagioni Allen. Egli sostiene che “le lettere di Zodiac non sono state conservate accuratamente per il test del DNA, dato che hanno sopportato estati a 100 gradi in buste di plastica per una durata di circa 30 anni”. La conclusione è che a questo punto probabilmente non sapremo mai chi era il vero Zodiac, così come probabilmente non sapremo mai la vera identità di Jack lo Squartatore. È passato troppo tempo, la maggior parte dei sospetti è morta e il caso è inattivo. Ma questo non significa che non si possa continuare a speculare.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), recensione della serie tv di Jasmila Žbanić

La showrunner Jasmila Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi fuori concorso a Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie insieme a Damir Ibrahimović, con Alen Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una famiglia e una società

L’ultimo caso di Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single, colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino, venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.

znam kako dišeš (2023)

L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić

Fino a che punto comprendiamo veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro? Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), che si propone come una precisa riflessione sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio di preservare la nostra stessa dignità.

Nei primi due episodi di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si annidano anche tra le mura delle nostre case.

Ciò che contraddistingue in modo particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca della verità. La recitazione di Djuricic e Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic, seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante. Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia, al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la realtà che forse non conosciamo i nostri cari così approfonditamente come pensavamo.

Zlatan: recensione del film su Zlatan Ibrahimović #RFF16

Zlatan: recensione del film su Zlatan Ibrahimović #RFF16

Nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma arriva il momento del film Zlatan, il biopic in cui il regista svedese Jens Sjögren disegna il suo ritratto di uno dei giocatori più amati del calcio moderno: Zlatan Ibrahimović. Se lo scorso anno con  Mi chiamo Francesco Totti, documentario di Alex Infascelli, la Festa ha reso omaggio al talento del capitano giallorosso, oggi lo fa con Ibrahimovic, portando sul grande schermo un racconto di formazione e di riscatto.

Zlatan, la trama 

Zlatan, Dominic Andersson Bajraktati, è un bambino la cui famiglia è immigrata in Svezia dai Balcani. Vive in periferia con la madre, Merima Dizdarević, e i due fratelli. È un bambino irrequieto e problematico, soprattutto a scuola, dove la madre è spesso convocata dalla preside. È allergico alla disciplina e si mette spesso nei guai. Quando però i suoi piedi incontrano un pallone, non lo lasciano più. Inizia a giocare sui campetti vicino casa e poi entra nelle squadre locali, fino ad arrivare, anni dopo, nelle giovanili della squadra svedese Malmö FF. Ma il suo problema è ancora la disciplina, il rigore, il rispetto delle regole. Zlatan, Granit Rushiti, vuole solo giocare e fare gol e mostra scarso spirito di squadra. Perciò viene ripreso spesso dall’allenatore. Ormai è un adolescente ed è andato a vivere col padre, Cedomir Glisović, un uomo senza mezzi, che si lascia andare e non si occupa di lui, lo lascia a sé stesso. Nonostante la sfiducia altrui e un ambiente familiare problematico, Zlatan continua il suo percorso, che lo porta sempre più in alto, fino ad approdare all’Ajax. La sua carriera, però, decollerà davvero solo quando riuscirà a mettere tutto il suo desiderio di rivalsa al servizio del gioco e della squadra.

Zlatan, la strada del calciatore fino al successo senza troppo coinvolgimento

zlatan granit rushitiIl regista Jens Sjögren – con un passato da chef, conduttore tv, attore – racconta Ibrahimović senza fare un’agiografia e senza dare alcun giudizio sul giocatore. Compone un classico racconto di formazione e di riscatto, articolato in un susseguirsi di flashback e flashforward. Disegna la parabola ascensionale del giocatore tenendo sempre al centro sia il talento, che il non essere accettato, il sentirsi sempre additato per il suo comportamento. Un problema caratteriale che gli viene dalla sua formazione umana, dalla famiglia, dalle privazioni, dallo spirito di rivalsa che cova e trasforma in aggressività. Sjogren sceglie la forma filmica piuttosto che la documentaristica, dà il suo taglio al lavoro, concentrandosi sui momenti che lo interessano, ovvero le fasi che precedono il grande successo, poiché, come si dice nei titoli di coda: “il resto è storia del calcio”.

I due ragazzi che interpretano Ibrahimović nelle varie fasi della sua formazione, prima Dominic Andersson Bajraktati e poi Granit Rushiti, offrono buone interpretazioni e nel cast è presente anche l’italiano Emmanuele Aita, nel ruolo del procuratore sportivo Mino Raiola. Ciò che manca in Zlatan non è tanto la tecnica registica, quanto la capacità di creare empatia, coinvolgimento, di emozionare davvero il pubblico. Forse perché Sjögren si mantiene troppo a distanza, preoccupato di mantenere un equilibrio, anzichè andare più a fondo nel personaggio.

Il racconto procede lineare, come una classica storia di formazione e riscatto, che parte da una famiglia disagiata come ce ne sono tante. Una storia in cui la voglia di riuscire e di essere accettati è più forte delle difficoltà. Ciò che manca è qualcosa che emozioni davvero, che vada al di là dell’interesse per il personaggio in sé, della curiosità di sapere chi è Ibrahimović e da dove viene. Qualcosa che faccia sentire vicino lo spettatore. Così il film avrebbe potuto coinvolgere anche i non tifosi, i non appassionati di calcio e coloro che non amano o non conoscono Zlatan Ibrahimović. Zlatan sarà nelle sale dall’11 novembre, distribuito da Lucky Red e Universal Pictures.

Zipper: trailer con Patrick Wilson e Lena Headey

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Zipper: trailer con Patrick Wilson e Lena Headey

Alchemy ha diffuso online il trailer ufficiale di Zipper, thriller diretto da Mora Stephens e con protagonista Patrick Wilson (Angels in America, Watchmen, Insidious).

Il cast del film annovera anche Lena Headey (Game of Thrones), Dianna Agron (Glee), Ray Winstone (Noah), John Cho (Star Trek) e Richard Dreyfuss (Lo squalo). La pellicola racconta la storia di Sam Ellis (Wilson), un procuratore federale la cui carriera verrà messa in discussione dopo l’avventura di una notte con una escort. L’esperienza minaccia così di mandare in frantumi anche la sua vita familiare. L’uscita nelle sale americane è fissata per il prossimo 28 agosto.

Fonte

Zielona granica (Green Border): recensione del film di Agnieszka Holland #Venezia80

Circa trent’anni fa la regista Agnieszka Holland (regista recentemente di In Darkness e Charlatan – Il potere dell’erborista) ha realizzato quello che ancora oggi è uno dei suoi film più famosi, dal titolo Europa Europa, dove con tale ripetizione si puntava a proporre una riflessione sulle due identità dell’Europa quale luogo di civiltà e rispetto delle leggi ma anche di crudeli crimini contro l’umanità. Non molto sembra essere cambiato da quel film, con la seconda delle due identità che sembra però aver prevalso sulla prima e a mostrarcelo è la stessa Holland con il suo nuovo lungometraggio Zielona granica (Green Border), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

Un film che spicca tra gli altri titoli in corsa per il Leone d’oro per la sua capacità di sbattere in faccia allo spettatore una tragica realtà troppo spesso sottovalutata, quella dei migranti al confine tra Biellorussia e Polonia, sorretta da una costruzione drammaturgia che permette non solo di entrare nel vivo di questa crisi umanitaria ma anche di confrontarsi con i molteplici punti di vista in gioco in tale dinamica. Zielona granica (Green Border) è dunque cinema politico al suo meglio, frutto di un’autrice che all’età di 74 anni sfoggia una lucidità e un controllo del mezzo cinematografico sbalorditivi.

La trama di Zielona granica (Green Border)

La vicenda si svolge dunque nelle insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, dove i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica cinicamente architettata dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko. Nel tentativo di provocare l’Europa, i rifugiati sono infatti attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE. Pedine di questa guerra sommersa, le vite di Julia, un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una confortevole esistenza, di Jan, una giovane guardia di frontiera, e di una famiglia siriana si intrecciano.

Accanto ai migranti, per cogliere la loro realtà

Inutile nasconderselo, l’idea di vedere un film polacco in bianco e nero della durata di due ore e mezza, può far pensare ad un’esperienza a dir poco ostica, riservata ai soli cinefili amanti di questo genere di cinematografie. La realtà, come ci dimostra la stessa regista con il racconto di questo film, è spesso però differente da come la immaginiamo. Perché quando il film ha inizio ci si rende conto in breve tempo di trovarsi davanti ad un’opera estremamente dinamica, rapida nei tempi e senza mezzi termini nel proporre anche le situazioni più difficili. Un’opera, dunque, che vede la sua regista porsi con la sua macchina da presa direttamente accanto ai migranti per cogliere la loro realtà.

Lo spettatore viene allora chiamato a vivere la fame, la sete, la paura e il dolore, ma anche la consapevolezza che riuscire ad attraversare il confine non equivale ad aver trovato la libertà. Il bosco pullula infatti di militari e forze dell’ordine, pronte a rispedire i migranti al di là del confine solo per dar vita ad una possibilmente infinita situazione di stallo. Il film si svolge dunque praticamente tutto in questo ambiente naturale che si rivela però tutt’altro che amico di chi vi è incastrato dentro. La Hollan riprende tutto ciò senza preoccuparsi troppo dell’estetica, perché non vi è tempo per preoccuparsene davanti all’orrore che, come riportato dalle didascalie a fine film, avviene ogni giorno, anche ora mentre si sta leggendo questa recensione.

Zielona granica Green Border Agnieszka Holland

Zielona granica (Green Border) è il cinema che pone domande

Non c’è dunque pathos né eroismo nel modo in cui si presentano i personaggi e si raccontano le loro storie. Vengono invece raffigurati semplicemente come esseri umani vittime di situazioni sociali e politiche insostenibili e attraverso l’impiego di tre ben distinti punti di vista è possibile avere un quadro completo e preciso di ciò che accade in quei luoghi ma anche nel corpo e nell’anima di chi è direttamente coinvolto. La Holland segue tutti questi personaggi trovando un magnifico equilibrio tra opera di fiction e documentario, fornendo così al suo film una forza comunicativa davvero sorprendente. Tale molteplicità di sguardi finisce talvolta con il presentare alcune vicende che si sarebbero potute asciugare un po’, specialmente nella seconda ora del film.

Zielona granica (Green Border) avrebbe potuto probabilmente essere un eccellente film di due ore, ma ciò non gli toglie di essere uno dei film più forti, cinematograficamente e politicamente parlando, visti quest’anno alla Mostra del Cinema. Lo è anche grazie al suo abbagliante bianco e nero, che risulta significativo in quanto da un lato è coerente con lo stato d’animo dei protagonisti, i quali metaforicamente vivono una vicenda priva di colori, ma dall’altro sembra voler richiamare alla mente i vecchi war movie e ribadire che quella mostrata qui è a tutti gli effetti una situazione di guerra, resa ancor più grave dal consapevole impiego di esseri umani quali “proiettili viventi”, come verranno definiti ad un certo punto del film gli immigrati.

Zielona granica (Green Border) non è un film perfetto né vuole esserlo, avendo come primario obiettivo quello di ricordarci che il cinema è un mezzo estremamente potente, che chiama in questo caso a confrontarsi nuovamente con realtà troppo drammatiche perché vengano ignorate. Pone domande alle quali non conosciamo le risposte, ma è solo ponendole che si può tentare di dare un po’ più di senso al mondo. La Holland fa proprio questo con il suo film, spingendo lo spettatore a chiedersi perché quanto qui mostrato debba verificarsi, perché silenziosamente la storia tenda a ripetersi. È a partire da film come questo che, scossi nell’animo, si può iniziare a cercare risposte a queste domande, che la regista non vuole assolutamente rimangano irrisolte.

Zhang Ziyi sarà Mulan

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Zhang Ziyi sarà Mulan

Jan de Bont (Speed, Twister, Tomb Raider) dirigerà un film live action dedicato alla mitica storia di Hua Mulan, eroina cinese che secondo la tradizione si arruolò in un esercito di soli uomini.

Il regista produrrà la pellicola in maniera indipendente, in lingua inglese, con una star del cinema cinese (e mondiale) nei panni della protagonista: Zhang Ziyi, nota per la Tigre e il Dragone, Hero, 2046 e in Memorie di una Geisha. Scritto da John Blickstead, il film ha già un budget definito e le riprese sono fissate per questo autunno.

A produrre il kolossal sarà la canadese Movie Plus Production, l’inglese Global Film Finance e le cinesi Bona International Film Group e SIMF Pictures, con la stessa Zhang come produttrice assieme a Ling Lucas e Beaver Kwei. Produttori esecutivi saranno Paul Edwards e Jeffrey Chan della Bona, Fred Wang di Salon Films, e Jeff Kranzdorf, oltre che Mark Phillips, Ron Lynch, Steve Waterman e Christopher Brough.

Ricordiamo che nel 1998 la Disney produsse un omonimo lungometraggio di animazione ispirato proprio alla leggendaria eroina cinema.

Zhang Yimou riceverà il premio alla carriera al Tokyo Film Festival

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Il famoso regista cinese Zhang Yimou riceverà un premio alla carriera al Tokyo International Film Festival alla fine di questo mese. Il premio gli verrà consegnato durante la cerimonia di apertura del festival il 23 ottobre. Il suo Full River Red, che all’inizio dell’anno ha riscosso un successo al botteghino in Cina, verrà proiettato nella selezione di gala durante il festival di Tokyo.

Zhang Yimou, considerato parte della “quinta generazione” di registi cinesi, ha avuto una carriera straordinaria che ha portato avanti per oltre tre decenni. Il suo primo film da regista è stato Sorgo Rosso, al quale hanno fatto seguito film di un’ampia gamma di generi, tra cui Lanterne Rosse (1991), La storia di Qiu Ju (1992), Vivere! (1994), La strada verso casa (1999), La foresta dei pugnali volanti (2004), La Grande Muraglia (2016) e Cliff Walkers (2021).

“Il cinema può fungere da ponte che collega persone provenienti da tutto il mondo e promuovere lo scambio e la comprensione reciproca che trascende l’etnia e la cultura. C’è una cosa che ricordo ancora: quando Kurosawa Akira ricevette un Academy Honorary Award nel 1990, ero tra il pubblico ancora come un regista alle prime armi. Le parole del suo discorso, “Non ho ancora colto l’essenza del cinema”, sono ancora fresche nella mia mente”, ha detto Zhang in una dichiarazione. “Vorrei esprimere la mia gratitudine al Tokyo International Film Festival per avermi assegnato questo premio. Vorrei anche ringraziare tutti per il loro incoraggiamento e supporto. Considerando questo come un punto di partenza, continuerò i miei sforzi per comprendere l’essenza del cinema e realizzare grandi film”.

Zhang Yimou parla di come la Pandemia ha “drammaticamente” cambiato il pubblico

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“La pandemia è finalmente passata e il cinema è tornato alla normalità, ma il modo in cui la gente pensa è cambiato radicalmente”, ha concluso il regista cinese Zhang Yimou intervistato da Deadline sul cinema post-Covid 19 durante una breve chiacchierata al Tokyo Film Festival (TIFF ), occasione in cui è stato insignito del premio alla carriera.

“Le persone ora apprezzano ancora di più una vita pacifica e sana”. Zhang, uno dei registi cinesi più longevi, è a Tokyo per ricevere il premio onorario alla carriera e ha suonato il gong lunedì alla cerimonia di apertura del TIFF tenutasi al Teatro Takarazuka di Tokyo.

“Questo è come un nuovo inizio per me”, ha detto Zhang, ritirando il premio. Ha aggiunto di essere già stato al Tokyo Film Festival due volte, ma il premio alla carriera è sembrato la scintilla di un nuovo capitolo nella sua carriera. Ma con quello che Zhang ha descritto come un cambiamento drammatico nella mentalità del pubblico, è cambiato il suo approccio al cinema?

“Nessun cambiamento particolare”, ha detto a Deadline. “Se ci sono abbastanza sceneggiature, posso tenere il ritmo di un film all’anno. Tuttavia, questo ritmo può essere facilmente interrotto. Mancano buone sceneggiature, quindi devo scrivere io anche la sceneggiatura, ma ci vogliono almeno tre anni per elaborare una buona sceneggiatura.”

Zhang ha aggiunto: “In Cina c’è un detto che significa ‘guardare avanti e vivere con moderazione’. La mia situazione ideale è girare un film mentre mi aspetta un’altra buona sceneggiatura. Questo è il mio ritmo ideale”.

“Per un regista, ogni film è come un figlio e li ama tutti, ma ovviamente ci sono film buoni e film brutti, e spetta alla fortuna decidere quali sono buoni e quali no”, ha detto Zhang della sua vasta filmografia. “Ci sono anche molte difficoltà che un individuo non può superare. Questo mi fa dire che il mio prossimo film sarà il miglior film”.

Zhang Yimou, considerato parte della “quinta generazione” di registi cinesi, ha avuto una carriera straordinaria che ha portato avanti per oltre tre decenni. Il suo primo film da regista è stato Sorgo Rosso, al quale hanno fatto seguito film di un’ampia gamma di generi, tra cui Lanterne Rosse (1991), La storia di Qiu Ju (1992), Vivere! (1994), La strada verso casa (1999), La foresta dei pugnali volanti (2004), La Grande Muraglia (2016) e Cliff Walkers (2021).

Il regista ha dichiarato a Deadline di aver recentemente completato il suo prossimo film, Article 20. “Uscirà nel febbraio 2024”, ha detto. “Se dovessi pensare a dopo il prossimo film, ci sarebbe il problema di ‘guardare avanti e vivere con moderazione’. Al momento non abbiamo una sceneggiatura ideale, quindi penso che dovrò scriverla da solo”.

Zhang Yimou lavorerà con la Universal?

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Zhang YimouIl celebre regista cinese Zhang Yimou, conosciuto a Hollywood per Hero e La Foresta dei Pugnali Volanti, ma che nel suo passato vanta capolavori assoluti dei cinema orientale come Lanterne Rosse (nominato all’Oscar per il miglior film straniero nel 1992), è in trattative per dirigere per la Universal Pictures l’adattamento di The Parsifal Mosaic, di Robert Ludlum.

La Imagine Entertainment di Brian Grazer produrrà insieme a Ben Smith e Jeffrey Weiner per la Captivate Entertainment, mentre Erica Huggins per la Image Entertainment farà da produttore esecutivo.

La storia segue un agente operativo della CIA che si è ritirato nel momento in cui ritorna in gioco quando scopre che la donna che amava, che lui pensava fosse stata uccisa, è ancora viva.

Una prima bozza della sceneggiatura è stata già scritta da David Self.

Se la Universal concluderà l’accordo con Zhang Yimou, si tratterà del debutto americano del regista che fino ad ora ha lavorato solo nell’industria cinese, pur riscontrando un buon successo negli States.

Fonte: Variety

Zhan Yimou Quasimodo il suo prossimo film

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Zhan Yimou Quasimodo il suo prossimo film

Il regista cinese Zhang Yimou, famoso per aver diretto Hero e ancor prima il capolavoro Lanterne Rosse, è in trattative per dirigere Quasimodo, per la Warner Bros. A dare la notiza è Variety che informa anche che protagonista della storia sarà Josh Brolin e che la sceneggiatura è stata scritta da Kieran e Michele Mulroney.

Il film ci porterà indietro nel 1831, a Parigi, Francia. La storia è basata sul magnifico romanzo di Victor Hugo Notre Dame de Paris, e riprende appunto la storia de Il Gobbo di Notre Dame riadattato per piccolo e grande schermo dozzine di volte, oltre a rifacimenti teatrali e musicali. La più nota ricostruzione del capolavoro di Hugo è forse quella della Disney, edulcorata e depurata dai violenti e passionali impulsi che muovono gli originali personaggi dello scrittore francese.

Nella storia, il deforme campanaro della cattedrale di Notre Dame, Quasimodo, si innamora perdutamente della bella ballerina gitana Esmeralda.

Fonte: CS

Zerocalcare, presenta la sua serie: “Sarebbe arrogante da parte mia dire che non sono diventato cattivo”

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Si intitola Questo mondo non mi renderà cattivo la nuova serie di Zerocalcare, prodotta da Netflix, Movimenti Production e Bad Publishing, e disponibile sulla piattaforma dal 9 giugno. Un titolo che è una dichiarazione di intenti, oltre che una frase di una canzone di Path, una scelta di cercare di rimanere sempre fedeli a se stessi, nonostante il mondo ci offra delle scorciatoie per ottenere quello che vogliamo, stando almeno a quello che intende Zerocalcare in persona, che ha raccontato la serie e la sua creazione alla CAE – Città dell’Altra Economia, in occasione del grande evento di lancio organizzato da Netflix.

“La storia di questa serie è nata prima di quella di Strappare Lungo i Bordi. Mi sono reso conto subito però che questa era più complicata da mettere in scena, e così ho dato precedenza a quella che è poi diventata la prima serie. Ho deciso di cominciare rimanendo più o meno nella mia confort zone, visto che Strappare Lungo i Bordi era basato su una storia che avevo già scritto. Qui invece si tratta di una storia nuova, che ha dei punti in comune con i miei fumetti e la mia storia personale, ma è una storia originale. Ho pensato che con la prima potevo introdurre il mondo, i personaggi, mentre con la seconda potevo addentrarmi in temi più complessi.”

Da autore che parte sempre da sé per raccontare il mondo, è naturale pensare che la storia di Questo mondo non mi renderà cattivo sia autobiografica. In realtà, Zerocalcare specifica: “Quello che accade nella serie è una specie di riassunto di quello che è accaduto anche a me. In particolare, il personaggio di Cesare non è una persona vera, non è un mio amico. È un insieme di persone che ho conosciuto, nella mia vita ci sono stati tanti Cesari. È un amico che è stato forzatamente assente dal quartiere e che una volta tornato non ha più punti di riferimento.”

La seconda avventura d’animazione di Zero, Secco e tutti i personaggi del Calcare-Verse mette sicuramente a dura prova lo Zerocalcare narratore, che si è trovato a lavorare su un formato ancora diverso, del momento che l’unità di racconto di Questo mondo non mi renderà cattivo  si muove sui 30 minuti a episodio: “Questa serie è più complessa della prima anche per il formato. Avevo timore che non riuscissi a reggere la durata di 30 minuti di questi episodi, perché un conto è portare avanti dai 5 ai 15 minuti di animazione, diverso è quando si ha a che fare con puntate così lunghe.”

Ma come ha fatto Zerocalcare a non diventare cattivo? “Sarebbe arrogante da parte mia dire che non sono diventato cattivo. Come quasi tutti, negli ultimi anni ho dovuto fare scelte, scendere a compromessi, ho sbagliato anche, ma in generale quello che dà come suggestione la serie, rispetto al non diventare cattivi, e quello che provo a fare, è dare risposte collettive ai problemi. Cercare di partire dall’idea di non lasciare indietro nessuno, anche quando le risposte collettive servono anche a quelli che stanno bene.”

Questo mondo non mi renderà cattivoLa caratteristica più identificativa dello stile del fumettista, che è stata traslata anche nelle serie animate, è la rappresentazione di alcuni personaggi con le fattezze di personaggi iconici della cultura pop. Che cos’è che guida queste scelte? “In genere lo faccio quando non ho molto tempo per disegnare un personaggio, ma già dall’inizio pensavo che, dal momento che abbiamo tutti più o meno gli stessi riferimenti, non mi serviva raccontare i dettagli di quel personaggio, ma mi bastava rappresentarlo come un personaggio che tutti conoscevamo. Mia madre è Lady Cocca da 16 anni, è una donna tenace e protettiva e con quell’aspetto tutti si immaginavano la scena di Robin Hood in cui protegge Lady Marian durante quella specie di partita a rugby. Lo stesso vale per la compagna di Sara. Sailor Saturn è la prima lesbica che noi ragazzi abbiamo mai visto in tv, e mi piaceva l’idea che identificandola così, tutti capivano che personaggio era.”

Come sempre capita, quando si ha a che fare con le storie di Zerocalcare, le risate, i siparietti comici, non sono l’unica caratteristica del suo linguaggio, che da sempre è molto votato all’osservazione della realtà e all’evidenziare i problemi politici e sociali con i quali ci confrontiamo ogni giorno. In Questo mondo non mi renderà cattivo, gli antagonisti sono identificati come nazisti, e a chi chiede come mai non usare una parola purtroppo più vicina alla nostra cultura (fascisti), Michele risponde: “Essere fascisti non evidentemente più un ostacolo per niente. Non c’è nessuna posizione preclusa a chi rivendica una discendenza ideologica con il fascismo, mente del nazismo si ha ancora un po’ paura. Non ne sono certamente contento, per me non è così, ma devo prendere atto con quello che succede nella realtà.”

Costituita da molti momenti meta-testuali, in cui lo Zero personaggio e lo Zero autore coincidono e si rivolgono direttamente al pubblico, la serie tocca anche il tema dell’utilizzo di determinate parole discriminanti. Nel dettaglio, Zero si rifiuta di pronunciare la N-word ma non fa lo stesso con altre parole che si usano purtroppo per denigrare gli omosessuali: “Faccio pronunciare la F-word solo a personaggi omofobi e deprecabili. In realtà credo che ci sia una grossa confusione su questo tema, secondo me ci sono delle cose che sono radicate all’interno della società. Io non ho la soluzione a questo problema, ma andrebbe sviscerato meglio riguardo ai prodotti di fiction, perché se da una parte penso che dovremmo tutti fare uno sforzo nella nostra vita di tutti i giorni, dall’altra credo che sterilizzare il linguaggio della fiction è qualcosa su cui ci dobbiamo interrogare. Non dico che non va fatto o che è un problema, ma a me interessa che i conflitti della vita vera siano messi in scena nei prodotti di fiction. Io rispetto il concetto di safe space, ma nei prodotti di fiction come dobbiamo comportarci? Non ho una risposta valida per tutti, ma mi piacerebbe che ci fosse una conversazione collettiva tra persone che si trovano dalla stessa parte. Perché se il dibattito si verifica tra persone che hanno finalità diverse non si può ragionare in maniera costruttiva.”

E dopo battute, riflessioni alte, considerazioni interessanti, memori del finale tragico di Strappare lungo i bordi, chiediamo a Zerocalcare: ma alla fine di Questo mondo non mi renderà cattivo c’è uno spiraglio di speranza? Con l’onestà intellettuale che lo caratterizza, il fumettista risponde: “Io sono una persona molto crepuscolare, non sono la persona più adatta a trovare la speranza”.

Zerocalcare presidente di giuria della X edizione di Bookciak, Azione! 2021

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Bookciak, Azione! ricomincia da Zero. Zerocalcare, il celebre fumettista, è il presidente di giuria della X edizione di Bookciak, Azione! 2021, evento di pre-apertura delle Giornate degli Autori, in collaborazione con il Sindacato dei Giornalisti Cinematografici (SNGCI). Il Premio, ideato e diretto da Gabriella Gallozzi, celebra l’intreccio tra cinema e letteratura attraverso i bookciak, corti ispirati a romanzi e graphic novel, realizzati da giovani filmaker e dalle ragazze del carcere romano di Rebibbia. La premiazione si svolgerà il 31 agosto prossimo al Lido di Venezia, durante la tradizionale serata di benvenuto alla stampa. Dopo la prima veneziana i bookciak vincitori andranno in tour per festival e premi, fino ad approdare a Parigi (VO-VF. Le monde en livres)

Zerocalcare si aggiunge così al lungo elenco di presidenti di giuria che Bookciak ha avuto in questi anni, fatto di grandi nomi del cinema (Ettore Scola, Citto Maselli, Ugo Gregoretti, Gabriele Salvatores, Daniele Vicari) del teatro (Ascanio Celestini) della letteratura (Lidia Ravera) dell’arte(Lorenzo Mattotti), della musica (Mannarino).

Il concorso quest’anno festeggia il suo decennale, un bel risultato per un premio che ha portato alla ribalta tanti giovani talenti, viaggiando sempre tra l’attuale e l’inattuale, tra l’immaginazione e la memoria, tra solidarietà e passioni; un bel traguardo da festeggiare proprio con Zerocalcare, a compimento di un lavoro importante e condiviso con i nostri giurati permanenti: Wilma Labate, Teresa Marchesi e Gianluca Arcopinto.

Tanto più in questo difficile biennio segnato dalla pandemia che proprio il fumettista romano ha saputo raccontare nel geniale Rebibbia Quarantine, animazione in pillole dal suo universo di periferie e «accolli» che ha fatto da contrappunto scanzonato alle nostre angosce da lockdown.

Ma Zerocalcare (il suo vero nome è Michele Rech, nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983) è molto di più di un autore di enorme successo. È un po’ la stella cometa che ha illuminato il fumetto italiano di questi ultimi dieci anni, indicando una direzione – che è tutta personale e difficile da imitare – che coniuga narrazione del «sé» e dell’«altro».

Il «sé» è la sua vita, quella dei suoi affetti, delle persone che lo circondano e del quartiere in cui vive da sempre. Ovvero Rebibbia, periferia Nord-Est di Roma, dove arriva da ragazzo, dopo un’infanzia vissuta in Francia.

Le vicende quotidiane dei personaggi di Zerocalcare, di Secco e dei suoi amici, dell’Armadillo (un alter-ego immaginato, ma non troppo), per i riferimenti culturali e identitari e per la spumeggiante forza comica di situazioni e battute (amplificata da un’icastica forma grafica) trascendono quello che agli inizi poteva sembrare una sorta di giovanilismo localistico, legato a un’età e a un luogo. In realtà mostravano già un’appartenenza più ampia, comune a più generazioni cresciute tra cartoon, serie cult tv, playstation e videogiochi; fortificata, però, nell’esperienza vitale di centri sociali, concerti punk, graffiti e militanza politica e di strada.

Ecco l’«altro», ovvero l’attenzione sincera, vissuta e rigorosa (Zerocalcare si è definito uno straight-edge: una versione etica del punk, contro ogni forma di alterazione della coscienza) per gli altri, incarnati nelle tante declinazioni sociali degli emarginati, degli oppressi e dei diversi.

Candidato nel 2015 al Premio Strega (il secondo fumettista dopo Gipi a «sfidare» la società letteraria), ha una bibliografia sterminata di titoli (tutti pubblicate da BAO Publishing) tra cui va citato almeno il capolavoro Kobane Calling (2016) diario-reportage di un fumettista embedded: sul fronte però non delle potenze militari ma a supporto del popolo curdo sul confine turco-siriano. Da La profezia dell’Armadillo (2012) è stato tratto l’omonimo film, diretto da Emanuele Scaringi, presentato nel 2018 alla 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Attualmente Zerocalcare sta lavorando come ideatore, sceneggiatore e regista alla sua prima serie animata tv per Netflix, Strappare lungo i bordi che sarà ambientata nel suo universo narrativo con i suoi classici personaggi: Secco, l’Amico Cinghiale, Sarah e l’Armadillo che avrà la voce di Valerio Mastandrea. La serie è prodotta da Movimenti in collaborazione con BAO Publishing e il suo teaser su YouTube sta spopolando.

Per iscriversi al concorso c’è tempo fino al primo luglio. La consegna dei bookciak è fissata entro il 20 luglio .

Zero: recensione della serie Netflix dal romanzo di Antonio Dikele Distefano

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From Zero to Hero, direbbero gli americani, ed è proprio quello che succede a Omar, il protagonista della nuova serie Netflix, liberamente tratta dal romanzo “Non ho mai avuto la mia età”, scritto dal giovane talento editoriale Antonio Dikele Distefano, che qui firma anche la sceneggiatura dello show creato da Menotti. 

La trama di Zero

Siamo nella periferia di Milano, Omar fa il rider, è praticamente invisibile al mondo, vive con il padre e la sorella nel Barrio, quartiere con una popolazione a maggioranza nera e che, a seguito di una serie di atti vandalici che ne degradano le strade, corre il rischio di essere distrutto e ricostruito, sradicando così tutta la comunità che lì cerca un posto nel mondo. Omar è un ragazzo timido, solitario, ma quando scopre di avere un superpoteri la sua vita cambia. Insieme ad un gruppo di ragazzi del Barrio, che tentano di tutelare e salvare la loro comunità, imparerà che c’è molto per cui combattere, soprattutto quando conoscerà il valore dei legami, dell’amicizia, ma anche dell’amore verso Anna, una ragazza della Milano ricca e pre bene che sembra lontanissima da suo mondo, ma che in modo molto tenero e spontaneo ricambierà i suoi sentimenti. Omar diventa così Zero (come il numero sulla sua casacca da rider), il supereroe del Barrio, che usa i suoi poteri per proteggere il suo quartiere. Ma al sorgere di un grande eroe, corrisponde sempre l’arrivo e la nascita di un grande e misterioso villain…

Zero è nata da un’idea di Antonio Dikele Distefano e prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film. Il cast è composto da giovani talenti italiani, energici, simpatici, con tante storie da raccontare: Giuseppe Dave Seke (Zero/Omar), Haroun Fall (Sharif), Beatrice Grannò (Anna), Richard Dylan Magon (Momo), Daniela Scattolin (Sara), Madior Fall (Inno), Virginia Diop (Awa), Alex Van Damme (Thierno), Frank Crudele (Sandokan), Giordano de Plano (Ricci), Ashai Lombardo Arop (Marieme), Roberta Mattei (La Vergine), Miguel Gobbo Diaz (Rico) e Livio Kone (Honey).

Antonio Dikele Distefano, ha scritto la serie, creata da Menotti, insieme a Stefano Voltaggio (anche Creative Executive Producer) Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e Carolina Cavalli.

Alla regia di Zero si alternano quattro nomi: Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin. In particolare Paola Randi ha diretto il primo e terzo episodio, Mohamed Hossameldin il secondo, Margherita Ferri il quarto e quinto episodio, mentre Ivan Silvestrini il sesto, settimo e ottavo episodio; tutti loro sono stati seguiti da Daniele Ciprì, che ha uniformato il look della serie, occupandosi della direzione della fotografia.

Zero serie tv 2021From Zero to Hero

Zero è un racconto fantastico, calato nella normalità. Un supereroe riluttante in un contesto realistico è quello che molti anni fa ci aveva raccontato già M. Night Shyamalan con il suo bellissimo Unbreakable e che in questa nuova declinazione replica quel messaggio di accettazione di sé. Omar ha i suoi sogni ma anche le sue responsabilità e deciderà di abbracciarle per il bene della comunità, che finalmente impara a sentire sua. 

Un prodotto di intrattenimento leggero, realizzato con una buona dose di aderenza alla realtà e che soprattutto nella ricerca del linguaggio dei protagonisti si colloca in un’intenzione realista che ricorda SKAM Italia, che ovviamente trattava con lo stesso grado di realismo gli adolescenti romani. Qui siamo a Milano, una dei protagonisti dello show, soprattutto perché il nostro (super)eroe fa il rider e quindi percorre e vive le strade della città, ma anche perché il luogo di provenienza di Omar, il Barrio, è esattamente un quartiere, un posto preciso da difendere.

La storia di Zero sembra avere molte potenzialità e questo ce lo suggerisce soprattutto un finale aperto che desta curiosità, voglia di sapere cosa succede dopo. Una curiosità che nasce dal fatto che la vera svolta narrativa arriva proprio nel finale, sbilanciando il ritmo della trama e relegando agli ultimi episodi, i migliori, diretti da Silvestrini, il cuore action del racconto, quello che può trasformare una storia di normalizzazione della multietnicità in un racconto universale di super eroi e supercattivi. 

Zero è una buona prima volta, che per fortuna indugia poco sugli stereotipi razziali e si lascia andare al cuore dei suoi personaggi. Le emozioni sono la cosa che ci lega non il colore della pelle, secondo Dikele Distefano, e il giovane autore fa sua questa idea e la manifesta nel suo racconto della storia di Omar, un ragazzo timido che scopre di avere un superpotere e ne fa un buon uso.

Zero: la nuova serie Netflix dal 21 aprile

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Zero: la nuova serie Netflix dal 21 aprile

Zero è la nuova serie originale italiana Netflix in 8 episodi nata da un’idea di Antonio Dikele Distefano e prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film, disponibile su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo dal 21 aprile. La serie è liberamente ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, edito da Mondadori.

Il cast di Zero è composto da giovani talenti italiani, di prima e seconda generazione: Giuseppe Dave Seke (Zero/Omar), Haroun Fall (Sharif), Beatrice Grannò (Anna), Richard Dylan Magon (Momo), Daniela Scattolin (Sara), Madior Fall (Inno), Virginia Diop (Awa), Alex Van Damme (Thierno), Frank Crudele (Sandokan), Giordano de Plano (Ricci), Ashai Lombardo Arop (Marieme), Roberta Mattei (La Vergine), Miguel Gobbo Diaz (Rico) e Livio Kone (Honey).

Antonio Dikele Distefano, stella nascente nel panorama editoriale italiano, ha scritto la serie, creata da Menotti, insieme a Stefano Voltaggio (anche Creative Executive Producer) Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e Carolina Cavalli dando forma ad una originale e unica esplorazione di Milano e raccontando un mondo ricco e variegato di culture sottorappresentate, a cui si aggiungeranno significativi contributi presi dalla scena rap.

Zero è diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin. In particolare Paola Randi ha diretto il primo e terzo episodio, Mohamed Hossameldin il secondo, Margherita Ferri il quarto e quinto episodio, mentre Ivan Silvestrini il sesto, settimo e ottavo episodio.

La trama

Zero racconta la storia di un timido ragazzo con uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in  pericolo. Zero dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore.

Colonna sonora

A scandire il ritmo di una storia “di strada”, un’importante colonna sonora che vede la presenza di grandi artisti italiani e internazionali contemporanei.

Il compositore delle musiche, ideate appositamente per Zero, è Yakamoto Kotzuga. Tra i brani principali presenti nella colonna sonora, l’inedito di Mahmood che ha anche accompagnato il trailer, dal titolo Zero, scritto da A. Mahmood, D. Petrella, D. Faini e prodotto da Dardust, che chiude la serie e che farà parte del nuovo album di Mahmood in uscita in primavera. Inoltre, l’artista ricopre l’importante ruolo di music supervisor dell’ultimo episodio, per il quale ha curato la selezione musicale. Nel primo episodio,  è  presente il brano Red Bull 64 Bars x Zero di Marracash prodotto da Marz, dal titolo “64 barre di Paura”, anche nel teaser di ZERO, attualmente disponibile in esclusiva su www.redbull.com/64bars.

Nella soundtrack completa di ZERO si alternano i brani di artisti del più moderno e attuale scenario musicale italiano, spaziando tra rap, urban, trap e R&B: Tha Supreme con Blun7 a Swishland, Emis Killa con Fuoco e Benzina, Bloody Vinyl, Slait, Tha Supreme feat. Mara Sattei e Coez con Altalene, Madame con Voce e  Ginevra con Rajasthan. Accanto ai successi nostrani anche uno sguardo al panorama internazionale con brani ricercati e multi-culturali, tra grandi classici e novità: Lil Wayne con Uproar, Alborosie con Cry, Amadou and Mariam feat. Manu Chao con Sénégal Fast Food, Nahaze con Behind e Ama Lou con Northside.

PERSONAGGI

ZERO (Giuseppe Dave Seke) vive con il padre e la sorella minore Awa in un piccolo appartamento al Barrio, pedala per le consegne a domicilio e, quando ha voglia di fare un giro nel mondo…indossa le cuffiette e si ritira nella sua bolla invisibile. Ha conosciuto Anna consegnandole la pizza, se ne è invaghito subito, preso in contropiede dalle sue domande personali e dalla sicura intraprendenza con la quale presenta il suo futuro. La vita di Zero viene però stravolta dall’incontro con Sharif, grazie al quale scopre l’amicizia, con il branco sarà disposto a tutto per salvare il quartiere.

ANNA (Beatrice Grannò) è una ragazza milanese di estrazione borghese. Mentre suo padre ha sempre cercato di darle tutto quello che hanno le sue amiche, per Anna non potersi permettere certi agi non è mai stato un problema, ma anzi un modo per mantenere un contatto con il pianeta terra. Anna inizia a scoprire le crepe celate da un’esistenza apparentemente perfetta, e comincia a domandarsi come sia possibile crescere senza lasciarsi influenzare dalle pressioni degli altri. Almeno fino a quando non incontra Zero, un ragazzo capace di accettarla per quel che è veramente.

SHARIF (Haroun Fall) è di origini nigeriane e l’unica cosa che vuole è avere il mondo ai suoi piedi, o almeno il quartiere in cui vive: “il Barrio” che, da qualche tempo, subisce le scorribande di un gruppo di teppisti sconosciuti. Sharif desidera ardentemente il rispetto di tutti, una credibilità di strada, ma non vuole finire dentro come quel mezzo criminale di Honey (Livio Kone), suo fratello maggiore, che tutti considerano un mito, e del quale è in fondo succube.

INNO (Madior Fall), diminutivo di Innocent, ha 21 anni ed una reputazione difficile da portare: “lui è uno dei pochi che potrebbero farcela”. Con la palla ai piedi Inno è infatti un vero fenomeno. Il suo sogno da quando è bambino è quello di giocare nel Milan, la squadra per cui tifa. Ogni argomento, dalla guerra alla politica, diventa per lui l’occasione di parlare del suo microcosmo, dell’etica del campo, del rapporto difficile con l’allenatore, ma soprattutto… di sé stesso.

SARA (Daniela Scattolin) è cresciuta in una casa famiglia dopo la morte dei genitori. Fa parte del gruppo di amici storici di Sharif e vorrebbe aprirsi uno studio di registrazione per fare la fonica/producer. Per questo gran parte del suo tempo lo passa a gestire una sala prove domestica, per lei divenuta una sorta di seconda casa.

MOMO (Richard Dylan Magon) è un vero gigante, uno che dice spesso la cosa sbagliata nel momento meno opportuno. E’ il cuore del gruppo. Quello che riesce a superare ogni difficoltà con un sorriso, pronto a dimenticarsi gli sgarbi subiti attraverso una visione fin troppo ottimista del mondo.

AWA (Virginia Diop), è la sorella di Zero, è spigliata e popolare. È bella, solare e ama la pallavolo. Ascolta cantanti pop italiani,  guarda programmi nazional-popolari e adora il made in Italy ─ per lei un vero must. Di sua madre Marieme (Ashai Lombardo Arop), Awa non ha praticamente ricordi. Ma dietro una naturale euforia si cela il dolore per la sua prematura scomparsa.

THIERNO (Alex Van Damme), padre di Zero ed Awa, sorride poco e parla ancora meno. Questa è l’immagine che hanno di lui i suoi figli che, ad uno sguardo esterno, potrebbero sembrare orfani pure di padre.

RICO (Miguel Gobbo Diaz): il cubano Rico ha una bambina, Adelita (5), per cui farebbe qualsiasi cosa. Rico è attratto dai soldi ma nemmeno quelli possono impedirgli di commettere disastri quando la rabbia prende il sopravvento. La sua banda è composta da gente come lui: il sogno di Rico è quello di mettersi nel giro grosso, quello che conta e che gestisce il mercato della droga. Per questo ha cominciato a fiutare l’aria dei piani alti, trovando un accordo con l’amministratore di “Sirenetta”, una società immobiliare che  gli affida il lavoro sporco. Il compito di Rico e della sua banda è infatti quello di rendere la vita quotidiana del Barrio, un tempo tranquilla, molto meno piacevole..

Zero: intervista ai protagonisti della serie Netflix

Ecco la nostra intervista a Haroun Fall, Madior Fall e Richard Dylan Magon, che nella serie Zero di Netflix interpretano, rispettivamente, Sharif, Inno e Momo. Zero è disponibile su Netflix dal 21 aprile.

Zero, recensione della serie Netflix dal romanzo di Antonio Dikele Distefano

Zero racconta la storia di un timido ragazzo con uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore.

Zero è diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin.

Zero: intervista a Antonio Dikele Distefano e Giuseppe Dave Seke

Zero: intervista a Antonio Dikele Distefano e Giuseppe Dave Seke

Antonio Dikele Distefano e Giuseppe Dave Seke sono il creatore e il protagonista di Zero, la nuova serie Netflix disponibile in piattaforma a partire dal 21 aprile. Ecco cosa hanno raccontato di questa avventura.

Zero, recensione della serie Netflix dal romanzo di Antonio Dikele Distefano

Zero racconta la storia di un timido ragazzo con uno straordinario superpotere, diventare invisibile. Non un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore.

Zero è diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin.

Zero Zero Zero: recensione della serie di Stefano Sollima #Venezia76

La serialità televisiva sta facendo passi avanti giganteschi, surclassando per budget e grandiosità progetti pensati per il cinema. Proprio nelle giornate della 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica si sono visti tanti film, prodotti faticosamente, con risorse che non basterebbero a realizzare neanche un singolo episodio, cosa che tuttavia non significa che venga meno l’intensità o i contenuti di un’opera filmica, ma che il mercato del cinema e della televisione si sta spostando in nuovi territori. Le piattaforme come Netflix, Amazon Studios, o Sky, hanno fatto nascere un nuovo modo di produrre, di raccontare, di comunicare, di diffondere film, contenuti e serialità. E in questo nuovo panorama non manca certo un ritorno alla ricerca espressiva e alla sperimentazione, basta pensare a The New Pope di Paolo Sorrentino, presentato al lido pochi giorni fa, ma anche a serie che rompono completamente gli schemi, come Love Death & Robots, visibile su Netflix. Zero Zero Zero di Stefano Sollima è frutto di questo positivo sconvolgimento, che tanta enfasi, clamore e anche polemica sta suscitando.

Le prime due puntate, presentate in anteprima, fuori dalla competizione ufficiale, lasciano intendere l’imponenza dello sforzo produttivo e il respiro internazionale, che nasce nel nostro paese e sconfina in altri continenti, USA, Centro e Sud America, Africa. Ed è proprio questa la grande forza della serie, mantenere sempre uno guardo italiano nonostante un cast internazionale e tante location sparse nel mondo. Tutto questo per narrare un problema tanto attuale, quanto vasto: il narcotraffico.

La sceneggiatura di Zero Zero Zero si poggia solidamente sul romanzo-inchiesta di Roberto Saviano dall’omonimo titolo, pubblicato da Feltrinelli nel 2013. Ma è stata sviluppata inventando personaggi e un solido filo narrativo che permettesse di creare una storia avvincente e credibile, che permettesse di tenere un pubblico vastissimo incollato allo schermo. Episodio dopo episodio è raccontato il viaggio di un carico di cocaina, dal momento in cui un potente clan della ‘Ndrangheta decide di acquistarlo, fino a quando viene consegnato e pagato. In questo modo è mostrato, fin nei dettagli, di come l’economia illegale diviene parte di quella legale e su come entrambe siano collegate a una spietata logica di potere e controllo che influenza le vite e le relazioni delle persone. Attraverso i personaggi e le loro singole storie si evidenziano tutti i meccanismi sconosciuti che si celano dietro il business più redditizio del pianeta, dopo quello del petrolio.

Il modo di creare immagini e di raccontare di Stefano Sollima è di enorme professionalità e bravura, riesce a costruire concitate ed efficaci scene d’azione e di combattimento, con set smisurati, veicoli, esplosioni e centinaia di comparse. La messinscena è così convincente da far sentire lo spettatore sempre al centro della baraonda, almeno sul grande schermo cinematografico. Peccato che alla fine la fruizione sarà destinata alla TV, se non addirittura a computer o dispositivi portatili. Stona però che in un prodotto così ben realizzato si avverta un vizio tutto italiano, ovvero quello di inzuppare ogni secondo del film di musica e tappeti sonori, che tolgono purtroppo verità a situazioni che dovrebbero nutrirsi solamente di rumori o suoni diegetici. La musica di Mogway risulta invadente, stancante, monotona e spesso superflua. Molto indovinati invece sono i volti dei tanti personaggi e risultano assai credibili gli attori, in particolare Dane DeHaan, Gabriel Byrne e Andrea Riseborough.

Zero Zero Zero è una serie avvincente sul traffico di narcotici, che prende vita da un libro di denuncia di grande successo e che regala spettacolarità ed emozioni, garantendo puro intrattenimento.

Zero Day: Robert De Niro è un ex presidente alle prese con attacchi terroristici nel primo teaser trailer

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È stato pubblicato il teaser trailer di Zero Day, il thriller di Robert De Niro per Netflix. I migliori film di Robert De Niro sono iconici e, pur avendo una prolifica carriera cinematografica, Zero Day è la sua prima serie televisiva, dove interpreterà l’ex presidente George Mullen che cerca di fermare un attacco devastante. Oltre a De Niro, il cast stellare dello show di Netflix comprende Jesse Plemons, Lizzy Caplan, Connie Britton, Joan Allen, Matthew Modine, Angela Bassett, Bill Camp e Dan Stevens.

Netflix ha ora rilasciato il teaser trailer che mostra Mullen indagare su quanto accaduto in Zero Day e cercare di impedire che si ripeta. Spiega che Zero Day è stato un cyberattacco che ha ucciso 3.402 persone causando incidenti aerei, deragliamenti di treni e scatenando il caos più totale. Ora che i misteriosi autori hanno minacciato di attaccare di nuovo, Mullen deve scoprire chi c’era dietro il primo attacco e impedire che la storia si ripeta. Guardate il trailer qui sotto:

Cosa significa per Zero Day

Prima serie televisiva della leggendaria carriera di De Niro, Zero Day era già molto attesa, e dopo il primo trailer sembra ancora più intrigante. De Niro, come è ovvio, porta la sua solita gravitas nel ruolo di Mullen, mentre corre per scoprire i responsabili di Zero Day e per assicurarsi che non si ripeta. Come serie limitata di sei episodi su Netflix, il thriller politico è destinato ad avere un ritmo incalzante e sarà coinvolgente fin dall’inizio, con un’alta posta in gioco per tutti i personaggi. Zero Day debutta su Netflix il 20 febbraio.

Se De Niro sarà l’attrattiva principale di Zero Day, anche il cast che lo circonda è interessante. De Niro ha già lavorato con Plemons nei film di Martin Scorsese The Irishman e Killers of the Flower Moon, e sarà interessante vedere i due attori dare vita a un’altra storia emozionante. La Bassett eccelle in ogni ruolo che interpreta e questo vale anche per la sua interpretazione del Presidente Mitchell, che chiede l’aiuto del personaggio di De Niro.

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