E’ appena cominciato dicembre e
l’attesa per Sherlock Holmes – Gioco di ombre, il
secondo capitolo delle avventure di Sherlock Holmes sale. Il film,
che si propone come seguito dell’originale di Guy
Ritchie uscito due anni fa, rivede la coppia vincente
formata da Robert Downey Jr. e Jude
Law rivestire gli ottocenteschi abiti di Sherlock
Holmes e John Watson. Accanto a loro alcune
interessanti new entry, su tutti Noomi Rapace ne
panni della zingara Sizma.
Il film, intitolato Gioco di
Ombre, continua la sua massiccia campagna promozionale con il
poster italiano ufficiale e altri cinque character poster dedicati
rispettivamente ai personaggi di Sherlock Holmes, all’assistente
Watson in questo film impegnato a non far andare a rotoli il suo
viaggio di nozze, al cattivo di turno Professor Moriarty, alla
misteriosa Sizma e al cane Gladstone, probabilmente ancora alle
prese con qualche esperimento dell’eccentrico investigatore.
Puntuale, dopo due anni, Guy Ritchie ritorna con una nuova avventura
dell’inquilino di Baker Street, Sherlock Holmes – Gioco di
ombre. Anche qui, la penna ispiratrice è quella di
Sir Arthur Conan Doyle unita, mescolata e ben
amalgamata all’estro dell’ormai tanto apprezzatissimo quanto
criticatissimo regista. Ma cosa dovremmo aspettarci da questo film
che ancor prima dell’uscita ha prodotto fiumi interminabili di
parole? E quali saranno le nuove ambientazioni dell’investigatore,
insolite e curiose da strappare sorrisi e inchiodare gli sguardi?
Questa volta, pare che le avventure di Holmes non rimangano lì,
oltre la Manica, ma la mania insaziabile di certezze e verità ha
condotto l’investigatore in un tour, di certo per nulla affine
al Grand Tour in voga in quel periodo, fatto di corse
all’ultimo sangue per ottenere o salvare qualcosa/qualcuno.
Questa volta sulla scena di
Sherlock Holmes – Gioco di ombre, però, si staglia
una figura: l’alter ego di Sherlock Holmes.
Nell’episodio precedente era il burattinaio della situazione, ed
ora invece, il Professor Moriarty (interpretato da Jared Harris), è il vero protagonista posto
affianco a Holmes. Astuto, lungimirante, diabolico nei
ragionamenti, e si direbbe anche onnisciente sulle scelte di
Holmes, prevede e anticipa le mosse, sconvolgendo così i piani dei
difensori dei deboli. Nelle atmosfere cupe e grigie di una Londra
Vittoriana sempre più in ascesa, il duo Holmes-Watts continua a
ingoiare ogni indizio e segnale, questo anche grazie al prezioso
aiuto di una nuova pedina che entra a far parte del gioco: la
Zingara Sim (interpretata da Noomi Rapace). Non mancherà la forza
dell’intelligenza ammaliatrice di Irene Adlere
(interpretata da Rachel McAdams) e la partecipazione di
Stephen Fry nel ruolo dell’eccentrico e
stravagante Mycroft Holmes, fratello
dell’investigatore.
La cornice di Sherlock
Holmes – Gioco di ombre per quanto secondaria,
contribuisce ad esprimere la spettacolarità del tutto. La
fotografia eccellente di Philippe Rousselot, la colonna sonora di
Hans Zimmer ben si inseriscono nelle scelte per
gli effetti visivi che esprimono la quintessenza, il valore
aggiunto dell’opera.
In un nuovo e dinamico ritratto del
personaggio più famoso di Arthur Conan Doyle, “Sherlock Holmes”
Holmes e il suo fidato socio Watson sono alle prese con la loro
ultima sfida. Rivelando delle capacita’ di combattimento letali
quanto il suo leggendario intelletto, Holmes combatterò come non ha
mai fatto prima per sconfiggere un nuovo nemico e sventare un piano
letale che potrebbe distruggere il paese.
Il misterioso action-adventure “Sherlock Holmes” e’ capitanato
dall’acclamato regista Guy Ritchie, per la Warner Bros. Pictures e
Village Roadshow Pictures. Robert Downey Jr. incarna il leggendario
detective, e Jude Law recita la parte del fidato collega di Holmes,
Watson, un dottore e veterano di guerra che e’ un formidabile
alleato di Sherlock Holmes. Rachel McAdams recita il ruolo di Irene
Adler, l’unica donna ad aver mai battuto Holmes e che ha mantenuto
un rapporto tempestuoso con il detective. Mark Strong è il loro
misterioso nuovo avversario, Blackwood. Kelly
Reilly veste i panni dell’oggetto del desiderio di Watson,
Mary.
Dopo Gnomeo e
Giulietta del 2011, è in arrivo il sequel Sherlock
Gnomes che vede nel cast Johnny Depp.
Nel film ci aspetta il ritorno di
Gnomeo (James McAvoy) e Giulietta (Emily
Blunt) che formano una coppia felice. Con le loro piante
ornamentali si sono trasferiti in un giardini di una grande città e
sembra che tutto sia perfetto.
Preoccupati per la scomparsa dei
loro amici, assoldano il famoso investigatore Sherlock Gnomes
(Johnny Depp) incaricato di indagare e di
risolvere il caso. Nel cast ritornano Michael
Caine, Maggie Smith, Stephen Merchant.
New entry sono Mary J. Blige nel ruolo di Irene e
Chiwetel Ejifor nel ruolo di Watson.
Sono eleganti, inglesi e pronti a
tornare in azione. Cosa si può chiedere di più a Sherlock Holmes e
John Watson? Eccoli come appaiono nella primissima foto dello
Speciale di Natale 2015 Benedict Cumberbatch e
Martin Freeman!
Mentre cresce l’attesa per la messa
in onda di Sherlock Christmas
Special, oggi arrivano finalmente nuove foto
dell’atteso ritorno dello show con protagonisti
Benedict Cumberbatch e Martin Freeman.
L’episodio, al momneto ancora senza
un titolo ufficiale, è stato scritto da Mark Gatiss e Steven Moffat
e vedrà tornare nei rispettivi personaggi Benedict
Cumberbatch, Martin Freeman, Rupert
Graves, Louise Brealey,
Una Stubbs, Mark Gatiss, Andrew
Scott e Jonathan
Aris.
Altre grande evento atteso al
Comic Con 2015 era quello dedicato a
Sherlock, la serie di successo con
Benedict Cumberbatch e Martin Freeman di cui è
stato trasmesso un primo trailer:
https://youtu.be/m1Asbi4APb0
https://youtu.be/qRsGzksXCWE
Le foto dal set:
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L’episodio, al momneto ancora senza
un titolo ufficiale, è stato scritto da Mark Gatiss e Steven Moffat
e vedrà tornare nei rispettivi personaggi Benedict
Cumberbatch, Martin Freeman, Rupert
Graves, Louise Brealey,
Una Stubbs, Mark Gatiss, Andrew
Scott e Jonathan
Aris.
Guarda il full trailer
del Sherlock Christmas Special,
l’atteso evento che vedrà l’attore Benedict
Cumberbatch ritornare nei panni di Shelock e
Martin Freeman in quelli di Watson.
L’episodio, al momneto ancora senza
un titolo ufficiale, è stato scritto da Mark Gatiss e Steven Moffat
e vedrà tornare nei rispettivi personaggi Benedict
Cumberbatch, Martin Freeman, Rupert
Graves, Louise Brealey,
Una Stubbs, Mark Gatiss, Andrew
Scott e Jonathan
Aris.
Sebbene tutti i fan della serie BBC
sapranno ormai che nel 2015 non vedremo una nuova stagione completa
di Sherlock, sappiamo tutti che è in
lavorazione uno speciale che andrà in onda a Natale di
quest’anno.
Ecco di seguito nuove immagini dal
set dell’episodio speciale di Sherlock,
che, come potete vedere dai costumi, sarà ambientato in epoca
vittoriana!
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L’episodio, al momneto ancora senza
un titolo ufficiale, è stato scritto da Mark Gatiss e Steven Moffat
e vedrà tornare nei rispettivi personaggi Benedict
Cumberbatch, Martin Freeman, Rupert
Graves, Louise Brealey,
Una Stubbs, Mark Gatiss, Andrew
Scott e Jonathan
Aris.
Siete tristi per le vacanze
natalizie appena concluse? La BBC ci da un motivo per sorridere e
per attendere con grande ansia il prossimo periodo natalizio.
Sono infatti cominciate le riprese
dello Sherlock Christmas Special, una
puntata speciale della serie tv BBC che andrà in onda il prossimo
Natale. Protagonisti della puntata ovviamente Benedict
Cumberbatch e Martin Freeman.
Il profilo ufficiale di Facebook della serie tv, arrivatacon successo alla
terza stagione e con una quarta in arrivo per il 2016 (speriamo),
ha pubblicato questa immagine che annuncia appunto il ritonro dei
nostri sul set di Baker Street numero 21/b.
“Non è uno dei vostri casi
idioti!” urla Mycroft Holmes ai protagonisti e così al pubblico
di Sherlock 4×03, tirato ancora una volta
all’interno della narrazione e ammonito ripetutamente per le sue
critiche alla scelta dello show di non preservare una struttura più
canonica e lanciarsi in continue sperimentazioni.
Steven Moffat e Mark
Gatiss non si sono però mai lasciati intimorire e hanno
continuato per la loro strada, spingendo al massimo il pedale sullo
sviluppo dei personaggi e rendendo questa quarta stagione di
Sherlock uno studio profondo non solo sulla nuova umanità
del Detective interpretato da
Benedict Cumberbatch, già raggiunta nella terza serie
e qui esplorata al massimo delle sue possibilità, ma anche degli
altri protagonisti.
La conclusione dello show
Trovare spunti esplosivi per
innescare gli step psicologici necessari rinunciando con coscienza
allo scheletro di supporto di una trama equilibrata comporta però
dei rischi e mai come in The Final Problem – Il Problema
Finale: la scatenata corsa al colpo di scena si avvita su sé
stessa e procede spedita abbandonando lo spettatore a metà strada,
rinuncia a prenderlo per mano e a renderlo partecipe degli eventi
seminando tracce e indizi che possano permettergli di guardare
attraverso il prestigio e di comprendere i propri errori, fornisce
informazioni che arrivano da molto, troppo lontano e ci chiede di
assimilarle per apprezzarne l’intelligenza e l’arguzia negandoci le
chiavi per aprire la fortezza.
Sherlock 4×03 – la storia
Euros Holmes (interpretata con la
giusta allucinazione da Sian Broke), psicopatica e
intelligente ben oltre i fratelli, ben oltre Moriarty e ben oltre
l’umana comprensione (la finezza di ragionamento dei due Holmes più
famosi è sempre stata empiricamente comprensibile, per quanto
eccezionale) sfoga il suo gioco di potere su Sherlock, Mycroft e
John con l’eleganza di un Hannibal Lecter al comando di
versione più soft di
Saw L’Enigmista, una scatola di tortura lunga oltre 60
minuti che stressa allo stremo e non risparmia sofferenza gratuita
nemmeno alla povera Molly Hooper, psicologicamente vessata (e
tristemente trascurata dagli autori, a dispetto di una terza serie
che davvero aveva saputo darle luce e sostanza) in quei sentimenti
mai sopiti che hanno riempito il suo personaggio di delicatezza ma
anche di carattere e determinazione. Nel mentre, le rivelazioni si
snodano e la soluzione arriva virando al canone con riferimenti
numerosi (il Cerimoniale dei Musgrave, il Mistero della Gloria
Scott in cui compare la figura di Victor Trevor) ma non
nutriti adeguatamente da un’opportuna contestualizzazione che ci
consenta di goderci fino in fondo il divertimento e apprezzare il
colpo di scena come si vorrebbe, lasciandoci abbagliati dal flash
della rivelazione senza che ne consegua una messa a fuoco
sincera.
I protagonisti
Apprezzabili oltre misura restano
invece i personaggi, giunti a un livello di maturazione e presa di
coscienza encomiabile: se conoscevamo già il cuore di Sherlock e
sapevamo da tempo che John è ormai per lui ben più che un fratello,
vedere Mycroft Holmes rivelare il suo e uscire allo scoperto come
l’uomo nobile e coraggioso che avevamo sempre immaginato è stato
straordinario. L’ultimo messaggio di Mary, ennesima registrazione
opportunamente funzionale ma comunque gradita è il monito
definitivo che consacra i protagonisti alla Leggenda e affida la
serie alla clemenza e all’affetto degli spettatori.
Sherlock 4×03 non
è un episodio perfetto, trabocca della tracotanza degli
sceneggiatori e di una vanità barocca che Sherlock ha sempre
posseduto ma che viene qui portata allo stremo oltre i confini del
canone e in nome dell’amore per i caratteri del detective,
finalmente un brav’uomo e non solo una mente brillante, e del
dottore che non era mai tornato dalla guerra e che ha trovato
nell’amico la ragione di vita che aveva perduto; eppure, qualunque
cosa accada e per quanto gli adattamenti decidano di spingersi
oltre e tentare nuove strade attraverso il cinema, la televisione,
il teatro o persino romanzi e componimenti apocrifi, l’unica cosa
che conta è il Mito e il fatto che questo non morirà mai, perché
Sherlock Holmes (Benedict
Cumberbatch) e John Watson
(Martin
Freeman) saranno sempre i nostri Baker Street
Boys e potremo sempre ritrovarli, seduti nelle loro poltrone e
intenti a riflettere su un caso irrisolvibile, per alleviare il
tarlo rodente di una quotidianità priva di brividi e avventure:
l’Avventura con la A maiuscola che Sherlock ha saputo rendere
reale, quella per la quale saremmo per sempre grati.
È andato in onda questa settimana
Sherlock 4×02, secondo episodio della quarta
inedita stagione di Sherlock, la serie tv di successo con
protagonisti Benedict Cumberbatch e
Martin Freeman.
“Sta un po’ calando rispetto al
passato vero?” dice l’infermiera dell’ospedale a John Watson
parlando del blog in cui il Dottore racconta da sempre i casi
affrontati dal Detective e migliore amico di sempre, tirando quasi
le orecchie a tutti quelli che lamentano un calo di qualità e
interesse nella nuova serie di Sherlock: difficile
contentare tutti nelle aspettative nutrite in tanti anni di attesa,
ma l’investimento narrativo ed emotivo operato in The Lying
Detective è tale da rendere davvero difficile la noia e
l’indifferenza tanto alacremente lamentate, ponendo le basi per un
finale che data la posta in giro potrebbe concludere
definitivamente l’ avventura contemporanea sulla BBC del nostro
sociopatico preferito
Sherlock 4×02, l’episodio
Come prevedibile dopo gli eventi di
Sherlock
4×01 The Six Thatchers si riparte da un John
Watson chiuso in sé stesso, di nuovo in terapia per cercare di
superare il lutto per la morte di Mary quanto il senso di colpa per
essersi abbandonato anche se senza conseguenze alla fantasia
dell’infedeltà: da sempre introverso e silenziosamente perseguitato
dai propri demoni (nel qual caso la moglie che diventa la voce
della coscienza che non vorrebbe ascoltare), il personaggio di John
resta fedele a sé stesso e alla sua psicologia, mentre a creare
maggiore scompiglio è come sempre Sherlock Holmes
e il suo essere incontenibile tanto nella finezza d’ingegno quanto
nella sua nuova riscoperta umanità.
Il sacrificio compiuto da Mary in
Sherlock 4×02 è reale e difficile da comprendere
per colui che fino a pochi anni prima giocava con la sua vita per
il puro gusto di dimostrare la propria intelligenza, ma l’amicizia
con Watson e i tanti eventi di dolore che l’hanno attraversata
hanno ucciso da tempo il Detective che guardava con stupore e
diffidenza ai legami fra gli esseri umani per restituirci un uomo
che sa cosa significhi amare e che farebbe qualunque cosa per
proteggere i suoi affetti; sullo sfondo stavolta c’è la battaglia
contro Culverton Smith, interpretato alla perfezione da un
grande Toby Jones, villain classico viscido e
sopra le righe quanto basta ma anche terribilmente attuale nelle
sue inquietanti similitudini con l’infame volto della televisione
britannica Jimmy Savile.
Proprio
nella forsennata corsa di Sherlock, deciso a riportare indietro
l’amico distrutto e beffato ancora una volta dal destino sta il
vero cuore del”episodio Sherlock 4×02, ispirato
all’avventura del Detective morente di Arthur Conan
Doyle e opportunamente ricucito con fare shakespeariano
intorno alle esigenze della trama orizzontale. Citare il Bardo non
è fuori luogo: c’è molto dell’Amleto di Benedict Cumberbatch nella performance
dell’attore, grandioso nel rendere la follia e l’imprevedibilità
del suo personaggio con sbalzi divertenti (la scena in cui recita
senza controllo e armato di pistola uno dei passaggi più famosi
dell’Enrico V è già un cult) e pur strazianti nella totale e
assoluta devozione di Sherlock nei confronti dell’amico, tale da
non conoscere esitazione neppure dinanzi alla rabbia disperata del
Dottore e alla prospettiva di andare per lui quanto prima incontro
alla morte.
Curiosamente, l’Amleto di Cumberbatch torna prepotente nel nostro
immaginario anche grazie alla presenza nel cast di Sian
Brooke, interprete in quell’occasione della fragile
Ophelia e qui protagonista di un plot twist da brivido che minaccia
di scuotere nel profondo le certezze dei personaggi così come
quelle del pubblico: ancora una volta abbiamo guardato ma non
osservato, ci siamo fatti prendere dal gioco ma ci siamo lasciati
sfuggire il dettaglio più importante e abbiamo voluto essere
imbrogliati dal prestigio; come Sherlock abbiamo inciampato nella
nostra stessa umanità e saremo felici di rimediare, per risolvere
il problema finale che ci attende minaccioso al prossimo
episodio.
Dopo due anni di iato e di hype
alle stelle (l’apporto dato dallo speciale natalizio alla
progressione della trama orizzontale non è stato irrilevante ma
comunque minimale), Sherlock 4×01 è finalmente tornato in
onda sulla BBC e di riflesso, meno di 24 ore dopo la messa in onda,
reso disponibile con tempismo ammirevole sull’ormai amatissima
piattaforma di Netflix: Martin Freeman e Benedict Cumberbatch hanno visto volare alto le loro
carriere, la febbre scatenata dalla serie di Steven Moffat e
Mark Gatiss è passata da tempo lasciando il posto a nuove e
più fresche mode televisive, ma il nostro amore nei confronti del
grande Detective e dell’adattamento contemporaneo e pur leale verso
il Canone delle sue storie non è mai venuto meno; scritto da
Mark Gatiss, incaricato ancora una volta di
risvegliare i personaggi creati da Sir Arthur Conan Doyle dal loro
lungo sonno, The Six Thatchers si
ancora saldamente allo spunto letterario dell’avventura dei Sei
Napoleoni intrecciandola a un plot originale e necessario (era
difficile immaginare che gli eventi di A.G.R.A. rimanessero silenti
ancora a lungo), cucito il più possibile addosso a quei personaggi
che non potevano e non dovevano restare gli stessi individui
conosciuti all’epoca di a Study in Pink.
Sherlock 4×01 – la
storia
L’amore e l’amicizia hanno
risvegliato in Sherlock un’umanità che il nostro credeva di poter
opportunamente cancellare e che mai si sarebbe aspettato di voler
possedere, finendo per mettere alla prova non solo la sua volontà
di gestire al meglio tale nuova sensibilità ma anche quella di chi
desiderava con tutto il cuore difendere la normalità dei propri
sentimenti, ritrovandosi invece affascinato dal ricordo di
un’esistenza imprevedibile e priva di affetti: nel bel mezzo di un
intrigo spionistico un po’ avvitato ma non più cervellotico del
solito, Mary inciampa nel retaggio del suo passato e del colpo di
pistola di his last vow, sparato con freddezza giustificata ma mai
davvero compresa e perdonata, mentre annoiato dalla semplicità
della nuova realtà paterna e domestica Watson si permette per un
attimo di abbandonarsi alla debolezza di una fantasia priva di
rigurgiti e pianti notturni di bambino, quando l’unica cosa a
tenerlo sveglio era l’ebbrezza di una nuovo caso da risolvere con
Sherlock e le donne non si trattenevano nella sua vita mai troppo a
lungo.
In un modo o nell’altro, tutti
pagheranno in un plot twist finale prevedibile e atteso (come da
canone, gli unici dubbi erano il quando e il come) che pecca forse
di melodrammaticità e ovvietà, ma che si rivela la migliore
soluzione possibile per permettere ai personaggi di uscire da un
equilibrio stagnante e restare immobili troppo a lungo, incalzati
dal dolore ma egualmente fedeli a stessi per affrontare la nuova
minaccia di cui ancora poco o nulla conosciamo ma che sembra
condurre a un’unica inquietante meta; l’appuntamento con La Morte,
che paziente attende il Mercante nella città di Samarcanda.
Sherlock 4×01 – una
conclusione classica
I riferimenti al canon più o meno
sottili non mancano, Il Caso della puntata Sherlock 4×01
tiene banco con una risoluzione più classica di quel che sembra e
in puro stile Gatiss (da sempre più semplice e meno vivace nella
narrazione del temibile Moff), mentre humour e dramma si consumano
insieme e le deduzioni passano dall’essere un gradevole
divertissement al divenire un pericoloso innesco mortale: Sherlock
è tornato e la ricetta del suo successo è ancora lì, resistente al
tempo e alla stanchezza, in barba alle imperfezioni e alle più
ingombranti aspettative.
Il co-creatore di
Sherlock, Mark Gatiss,
ha chiaramente annunciato che per la quarta stagione i fan dovranno
aspettarsi una “tragedia“.
Parlando a
Radio Times, Gatiss, che nella serie interpreta anche
Mycroft Holmes, fratello maggiore di Sherlock, ha dichiarato:
“Potete aspettarvi solo tragedia e avventura, è così che vanno
le cose.” Ma incalzato, Gatiss si è rifiutato di chiarire la
parola tragedia, lasciandoci il dubbio che si possa riferire alla
morte di Mary (Amanda Abbington), moglie di John
Watson, che si verifica anche nei romanzi.
Martin Freeman, che
interpreta Watson, ha speculato sulla morte del personggio,
interpretato dalla sua vera moglie, tral’altro, dichiarando al
Daily Telegraph: “Mentre giochiamo con le trame della
serie originale, seguiamo grosso modo la storia di Doyle e quindi …
John si sposa, poi Mary muore, ad un certo punto presumibilmente
morirà.”
Gatiss, nella stessa occasione, ha
però depistato gli ascoltatori: “Solo perchè accade nei romanzi
non vuol dire che accadrà anche nella serie, perchè ci sono ancora
un sacco di storie daraccontare e posti da vedere … ci saranno
molte sorprese.”
In Sherlock
4 torneranno Benedict Cumberbatch e
Martin Freeman nei panni di Sherlock e John. La
produzione di Sherlock 4 comincerà a
gennaio 2015 e la serie potrebbe uscire anche a fine anno, con una
quarta stagione da tre episodi a cavallo tra dicembre 2015 e
gennaio 2016.
The Game is on, again: dopo le
dichiarazioni di Martin Freeman su un possibile
Christmas Special di Sherlock a natale 2015, ecco
arrivare la conferma dalla stessa BBC per lo speciale e la stessa
quarta serie.
Il canale ha dato la grande notizia
su twitter scatenando l’entusiasmo dei fan con l’hashtag #221back e
la promessa di un annuncio importante alle 2:21 di oggi pomeriggio
(3:21 ora locale): le riprese dello speciale natalizio inizieranno
dunque a gennaio 2015, seguite da quelle per la quarta serie alla
fine dello stesso anno; la BBC ha promesso che questo nuovo
Sherlock sarà ancora più scioccante e sorprendente dei
precedenti.
Durante il tour
promozionale di Captain America Civil
War, Robert Downey Jr. ha dichiarato
che le riprese di Sherlock 3 cominceranno
entro quest’anno. L’attore che tornerebbe quindi a interpretare
l’investigatore di Arthur Conan Doyle ha detto che
ama molto fare questo tipo di film: “Sono sempre stanco ma
anche eccitato”.
Sherlock 3
è in stand by dal 2011, quando uscì al cinema con grande successo
il secondo capitolo della saga diretta da Guy
Ritchie. Il regista però è ancora impegnato con il suo
progetto su Re Artù per cui non sappiamo ancora nulla di certo, nè
se le dichiarazioni di Downey Jr siano veritiere o solo
congetture.
L’anno scorso già Jude
Law, interprete del Dottor Watson, aveva dichiarato che il
terzo film sarebbe stato “più brillante e intelligente dei due
predecessori“.
Ne Sherlock 2×03
Il Professor James Moriarty non è un avversario comune: l’iconica
nemesi di Sherlock Holmes, assoldata da Sir Arthur Conan Doyle allo
scopo di eliminare un protagonista talmente famoso e amato da
essere divenuto scomodo e ingombrante, ha sempre affascinato la
cultura popolare ben oltre i limiti imposti dalla pagina scritta,
colpevole di aver esaurito la figura del villain nelle poche pagine
del racconto “The Final Problem”(presente nella raccolta
Le Memorie di S. H.); difficile trovare un adattamento che
abbia resistito alla tentazione di ampliare il più possibile la
storia del Napoleone del Crimine, per regalare ad Holmes uno
scontro degno di questo nome e portare sotto i riflettori le
leggendarie Cascate di Reichenbach, iconico luogo dove il Detective
sembra perire insieme al suo nemico e che fa venire i brividi a
tutti gli appassionati del Canone.
“Is the Napoleon of crime,
Watson. He is the organizer of half that is evil and of nearly all
that is undetected in this great city. He is a genius, a
philosopher, an abstract thinker. He has a brain of the first
order. He sits motionless, like a spider in the center of its web,
but that web has a thousand radiations, and he knows well every
quiver of each of them.” ( Sherlock Holmes, The Final Problem,
Arthur Conan Doyle).
Col terrorizzante nome di Moriarty
pronto a far capolino sin dal primo episodio, sapevamo che anche
per lo Sherlock della BBC il momento della resa
dei conti sarebbe presto arrivato: ciò che ignoravamo era che
Steven Thompson, terzo sceneggiatore della serie spesso considerato
la penna più debole del team(per alcune ingenuità in The
Blind Banker, suo precedente episodio), sarebbe stato in
grado di costruire la complessa architettura di un finale tanto
splendido ed efficace, pronto a sorprendere e commuovere come mai
prima.
Concepito come il lungo flashback
di un distrutto John Watson (Martin
Freeman) , ritornato da quella terapista che ben 18
mesi prima era stata resa inutile dall’incontro con Sherlock
(Benedict
Cumberbatch), The Reichenbach Fall
rompe gli indugi svelando subito ciò che fu per i primi lettori di
Doyle uno shock senza precedenti: Sherlock Holmes è morto,
lasciando l’amico John a sopportare il peso di un mancanza talmente
dolorosa e assurda da dover essere quasi rinnegata, come un brutto
incubo dal quale è ancora possibile svegliarsi (”You… you told
me once that you weren’t a hero.Umm, there were times I
didn’t even think you were human. But let me tell you this, you
were the best man, the most human… human being that I’ve ever
known, and no-one will ever convince me that you told me a lie, so
there. I was so alone, and I owe you so much. But, please, there’s
just one more thing, one more thing, one more miracle, Sherlock,
for me. Don’t be… dead. Would you do that just for me? Just stop
it. Stop this.).
Se il disappunto dei fan vittoriani
per la fine di Holmes fu tale da costringere il suo autore a
rimediare con una lesta resurrezione, oggi sappiamo per certo che
la salvezza del personaggio non è più in discussione, ma
continuiamo egualmente ad attendere questo momento con impazienza
non tanto preoccupati per il destino del Detective quanto per il
povero Dottore, lasciato nello sconforto e tenuto all’oscuro di un
disegno che puntualmente vorremmo rivelargli.
Sherlock 2×03, l’episodio
Eccoci allora 3 mesi prima
dell’evento, quando tutto sembra andare per il meglio e la fama di
Sherlock, indissolubilmente legata all’eccezionale ritrovamento del
quadro” Le Cascate di Reichenbach ” di William Turner (furbo
stratagemma per introdurre la location senza davvero utilizzarla),
è in costante ascesa. Quando le sorprendenti capacità di Holmes
sono ormai universalmente riconosciute Jim Moriarty (Andrew Scott)
torna in scena in grande stile, usando una misteriosa chiave
d’accesso per violare la sicurezza di tre dei luoghi più blindati
del Regno Unito: la Torre di Londra, la Banca di Inghilterra e la
Prigione di Pentonville restano improvvisamente prive di
protezione, mentre il Criminale attende comodamente l’arrivo degli
agenti sulla sedia dell’Incoronazione deciso a farsi arrestare.
Dopo un processo farsa che gli
rende la libertà in breve tempo, con la pazienza di un ragno (nelle
parole di Sherlock e dello stesso Conan Doyle) Moriarty continua a
tessere la sua tela per raggiungere l’obiettivo a lungo prefissato
di schiacciare l’avversario, non grazie a una rapida morte ma a una
totale e irreparabile distruzione della sua reputazione: Sherlock
Holmes è solo un impostore, l’uomo comune che ha assunto un attore
di nome Richard Brook per impersonare il ruolo di Moriarty,
null’altro che una persona ordinaria con manie di protagonismo alla
ricerca di notorietà; le capacità deduttive di Sherlock sono troppo
straordinarie per essere vere ed è più facile credere che non siano
mai esistite, piuttosto che accettare la realtà.
Dopo aver compreso
che la Corsa di Moriarty potrà fermarsi solo col suicidio del finto
Detective, pubblica ammissione di colpa per la grande menzogna
raccontata, Sherlock si presenta sul tetto del St Bartholomew’s
Hospital ed affronta il suo avversario, certo di poter scambiare il
codice di accesso a tutti i sistemi di sicurezza che ogni criminale
di Londra sta disperatamente cercando: auspicando un finale degno
delle sue aspettative Moriarty è pronto a rispondere ad arte
mettendo sotto tiro John, Lestrade (Rupert Graves)
e Mrs Hudson (Una Stubbs) per farli uccidere all’istante se
Sherlock si rifiuterà di saltare dall’edificio; per essere sicuro
che il suo avversario non possa risalire al comando necessario a
fermare i suoi cecchini, Jim Moriarty esce di scena sparandosi un
colpo alla testa, costringendo quindi Holmes a mettere fine alla
sua vita per salvare i suoi amici.
Precipitatosi sul posto dopo essere
stato allontanato dallo stesso Sherlock con uno stratagemma( qui è
un presunto incidente mortale a Mrs Hudson, sulla carta era la
malattia improvvisa di una Signora sconosciuta), John riceve una
straziante telefonata dall’amico: la confessione fra le lacrime di
aver mentito sin dall’inizio e un ultimo addio prima di saltare nel
vuoto sotto gli occhi atterriti del fido Watson.
La parola fine in Sherlock
2×03 sembra così scritta sulla lapide di Holmes,
suggellata dal saluto militare che John riserva al compagno
d’avventure che l’aveva salvato dalla solitudine: sopravvissuto
alla caduta in circostanze sconosciute Sherlock rimane in
disparte, guardando l’amico allontanarsi. C’era una volta un
detective brillante e solitario(“Alone is what I have, Alone
protects me”), talmente sicuro delle sue capacità da essere
disposto a rischiare la vita pur di provare la propria superiorità
intellettuale: il sociopatico iperattivo di A Study in
Pink sembra molto lontano dall’uomo che abbiamo visto in
The Reichenbach Fall, deciso a gettare via nome e
reputazione per seguire le ragioni del cuore.
Anche se privata della spettacolare
location delle Cascate, la soluzione del “problema finale” offerta
dalla seconda serie di Sherlock non solo conserva il fascino
dell’originale, ma piuttosto amplifica l’epicità dello scontro con
un intreccio ricchissimo, abile a mischiare le classiche trame
della lotta fra bene e male con le ambizioni di un thriller dal
sapore quasi Nolaniano: l’eroe getta la maschera e sacrifica il
simbolo positivo che incarna per proteggere un bene superiore,
mentre quel mondo che non era pronto ad accoglierlo sceglie di
abbracciare la menzogna solo perché è più facile convivere con la
mediocrità che con l’eccezione.
In una non troppo velata critica al
potere dei media e alle morbose manipolazioni della stampa (forse
il più eclatante punto debole di cui soffre il Regno Unito)
Thompson fa un balzo degno del miglior cinema di genere, riservando
al famigerato Genio del Crimine un congedo sconvolgente: molti
troveranno il suo suicidio una forzatura imprevista, ma quando
Moriarty comprende che Sherlock non è più un affascinante
Doppelgänger ed è pronto a mettere gli affetti al di sopra di
tutto, la sfida perde improvvisamente d’ interesse e la fine è
l’unica soluzione auspicabile(“ Every fairy tale needs a good
old-fashioned villain.You need me or you’re nothing.
Because we’re just alike, you and I, except you’re boring. You’re
on the side of the angels”).
La prova di
Andrew Scott, vincitore del BAFTA come migliore attore
non protagonista, è impeccabile, ma il controllo della scena rimane
ancora una volta ben saldo fra le mani del gigantesco Sherlock di
Benedict Cumberbatch: il suo addio a Watson, ancora
più straziante perché raccolto per telefono e non per lettera, è
una scena che porteremo nel cuore per molto tempo e dinanzi alla
quale le lacrime sono quasi inevitabili; dall’altra parte della
strada, un attonito
Martin Freeman completa l’episodio grazie a una
performance perfettamente in sintonia col suo personaggio, leale
fino alla fine contro tutto e tutti ( “I know you for
real”) e pur trattenuto dinanzi alla morte dell’amico,
costretto a lasciare che il contegno militare e la sua indole
introversa prendano il sopravvento per sopravvivere alla
sofferenza.
Sappiamo per certo che Sherlock è
sopravvissuto e che la dolce patologa Molly Hooper( Louise Brealey)
ha avuto un ruolo determinante(il Detective le chiede aiuto poco
prima di affrontare Moriarty), ma questo non rende la ferita meno
dolorosa: abbiamo bisogno che Sherlock e John tornino subito da
noi, di nuovo insieme, di nuovo uniti più che mai. Il countdown per
la terza serie, prevista per l’autunno 2013, è già iniziato.
“Once you’ve ruled out the
impossible, whatever remains, however improbable, must be
true.”“But adapting the story, I did feel more of
a responsibility to include things from the original than you would
with The Sign of Four, because there are a lot of landmarks in The
Hound of the Baskervilles and more people are more familiar with
them”. Le dichiarazioni di Mark Gatiss non sono da
biasimare per Sherlock 2×02: Il Mastino dei
Baskerville (The Hound of The Baskervilles) è uno di quei
libri su cui sai sempre di poter contare, di quelli che saltano
fuori dai bauli polverosi delle soffitte per passare di generazione
in generazione o abitano stabilmente gli scaffali della tua
libreria di fiducia, al punto da caricare ogni adattamento di
pressanti responsabilità. Con Sherlock 2×02: I mastini di
Baskervilleanche la serie della BBC
Sherlock schiera in campo la sua versione, in un
secondo episodio che pur preservando diversi ingredienti del
romanzo preferisce abbracciare un plot di maggiore attualità,
reinventato ad arte ma sempre con grande reverenza da Gatiss.
La Gotica Magione di Baskerville
Hall diventa una blindatissima Base Militare mentre Sir Henry,
ultimo rampollo dell’antica famiglia ad essere perseguitato dal
leggendario mastino, è sostituito dal commoner Henry Knight
(Russell Tovey): afflitto dal ricordo della notte
in cui ancora bambino fu testimone dell’assassinio del padre,
ucciso anni prima dalla furia di una strano animale il giovane si
reca personalmente da Sherlock Holmes (Benedict
Cumberbatch), reso intrattabile dalla mancanza di
nuovi casi( “Oh, John, I envy you so much.Your mind, it’s so
placid, straight-forward, barely used.Mine’s like an
engine, racing out of control. A rocket, tearing itself to pieces,
trapped on the launch pad. I need a case!), ma come già
accaduto in passato non viene preso sul serio; solo quando il
giovane dichiara di aver scoperto nella brughiera le impronte di un
gigantesco mastino(“Mr Holmes, they were the footprints of a
gigantic hound!”come da Canone) Sherlock decide
improvvisamente di accettare il caso e recarsi nel Devon insieme a
John Watson (Martin
Freeman), per indagare sugli spaventosi esperimenti
svolti nella Base di Baskerville e capire se gli incubi di Henry
sono reali.
Tuttavia, una volta giunti nel
Dartmoor le certezze di Holmes vengono inaspettatamente messe alla
prova: sempre infallibili ma stavolta pronti a tradirlo, i suoi
occhi non possono negare gli aver colto l’enorme bestia
nell’oscurità della brughiera, gettando il Detective in uno stato
di terrore tale da portarlo quasi a incrinare il rapporto con
John, che incredulo assiste al crollo dell’amico.
Sherlock 2×02: I mastini di Baskerville, l’episodio
Il diverbio fra i due è però presto
risolto, quando Sherlock comprende che dietro la spaventosa e
realistica visione del Mastino deve nascondersi una spiegazione
razionale: una droga che si nutre delle paure altrui, un
allucinogeno creato in laboratorio come arma di distruzione che si
diffonde per via aerea mischiandosi alla nebbia notturna. Il Dottor
Bob Frankland (Clive Mantle), affabile virologo al
lavoro nella Base ma in realtà parte attiva del progetto
H.O.U.N.D.(in italiano, appunto, mastino), acronimo formato dalle
iniziali dei principali scienziati coinvolti, aveva ucciso il padre
di Henry per impedirgli di denunciare i devastanti effetti
collaterali provocati dalla droga: la parola di Henry, testimone
scomodo del delitto, doveva essere screditata e l’esposizione
prolungata alla sostanza psicotropa, portatrice di potentissime
allucinazioni, si era rivelata il mezzo ideale. Nel tentativo di
sfuggire alla giustizia Frankland si rifugia nella brughiera ma la
sua corsa è breve: nel campo minato di Grimpen (Grimpen
Minefield), area off limits che circonda il Complesso
Militare, lo scienziato trova la sua fine saltando in aria su una
mina.
Dopo aver inseguito la ricchissima
sceneggiatura di Steven Moffat per tutta la durata di A Scandal in
Belgravia, lo sforzo che Mark Gatiss chiede con
Sherlock 2×02: I mastini di Baskerville è
senza dubbio meno titanico: alla struttura vertiginosa proposta
dall’amico Gatiss risponde con un impianto narrativo semplice e
lineare, un’architettura dal gusto classico che in perfetta
sintonia col percorso intrapreso dall’opera letteraria si rivela
più che benvenuta.
Se a terrorizzare la
contemporaneità non sono tanto le vecchie case e le notti nebbiose
quanto i progressi che scienza e tecnologia portano avanti dietro
le quinte, allo spettatore che vaga disorientato per la brughiera
non sfuggirà la trasformazione della dimora dei Baskerville in una
fredda Base Militare dove si svolgono strani esperimenti:
esplorandone i blindatissimi corridoi ritroverà nomi familiari come
quello di Barrymore, un tempo maggiordomo della casa promosso per
l’occasione a maggiore dell’esercito(insieme alla sua anacronistica
ma inconfondibile barba) e il Naturalista Stapleton, che ceduto lo
scettro di cattivo della storia diventa una mamma colpevole della
sparizione del coniglietto della figlia, regalandoci con il caso
Bluebell il plot twist più divertente dell’episodio (ulteriore
prova di quanto gli autori si divertano a giocare col pubblico). Il
ruolo del villain viene allora ereditato da Frankland, scienziato
pazzo quasi impaziente di dichiararsi subito colpevole a pochi
minuti dalla sua entrata, mentre il vero tocco di classe
nell’attualizzazione della storia è piuttosto il Grimpen Minefield,
campo minato perfettamente funzionale a sostituire la misteriosa
palude dell’opera chiamata Grimpen Mire.
Se la rivelazione del cattivo non
risulta particolarmente illuminata, a dare il meglio in THOB è la
raggelante atmosfera, satura dei brividi che dagli oscuri paesaggi
del Dartmoor alle inquietanti pareti di laboratorio corrono addosso
ai personaggi senza risparmiare nessuno, nemmeno il più razionale
degli uomini: seduto davanti al camino con gli occhi lucidi e lo
sguardo atterrito, mentre sorseggia tremante un bicchiere di Whisky
e cerca senza successo di riacquistare il controllo sui suoi sensi,
Benedict Cumberbatch si lancia in un vortice
di deduzioni senza controllo talmente estenuante da risultare quasi
ipnotico, una raffica di battute inafferrabili che ci conferma
quanto la sua performance nei panni di Sherlock sia unica e
sconvolgente.
La vera scena assoluta
dell’episodio è però affidata al John Watson di Martin Freeman, che
rinchiuso in laboratorio da Holmes per ragioni ” scientifiche”
lascia allo spettatore, inevitabilmente prigioniero con lui nella
stessa claustrofobica gabbia, un’ansia e un’oppressione non da
poco. Lo spirito della maledizione di Baskerville continua intanto
a perseguitare il povero Henry Knight, che nell’interpretazione di
un disperato Russell Tovey riesce ad essere
credibile senza risultare forzatamente eccessivo. Nonostante le
scelte piuttosto scorrette che Sherlock intraprende contro John a
beneficio dell’ indagine e gli affettuosi insulti che gli rivolge
continuamente (“You’ll never be the most luminous of people,
but as a conductor of light, you’re unbeatable! Some people who
aren’t geniuses have an amazing ability to stimulate it in
others.”), al di là di ogni incomprensione l’amicizia fra i
due rimane salda e sincera: quando Holmes dice a Watson di
avere solo un amico (“I don’t have friends, I’ve just got
one”) cercando di riparare al suo errore, la cornice del
piccolo cimitero di campagna non può che presagire con amarezza
all’appuntamento con The Reichenbach Fall, terzo
episodio della serie dove Sherlock affronterà per l’ultima volta
Jim Moriarty (Andrew Scott); nel frattempo, il
Napoleone del Crimine si limita a concederci un piccolo cameo,
dando forma alla grande paura di Holmes e dimostrandoci quanto
questi tema il momento del confronto con la sua nemesi.
Pur sempre attento alle citazioni,
con Sherlock che mette piede a Baker Street armato di arpione e
letteralmente coperto di sangue (riferimento a The Adventure of
Black Peter) prima di cadere in una divertente crisi
d’astinenza, ma soprattutto nell’immortale citazione che strizza
l’occhio a The Sign of Four (“Once you’ve ruled out the
impossible, whatever remains, however improbable, must be
true.”), l’incursione horror operata da Mark Gatiss in
Sherlock 2×02: I mastini di Baskerville ha un
tono meno scoppiettante di quello che abbiamo gustato in
A Scandal In Belgravia, ma l’impeccabile spirito
d’indagine dimostrato nello scrutare al microscopio pregi e difetti
dei nostri beniamini, anche in alcune brevi ma fantastiche
parentesi domestiche, ci rende impossibile non amarlo
incondizionatamente: se Mark Gatiss avesse
inserito nella sceneggiatura la mitica partita a Cluedo di Sherlock
e John, sarebbe stato tutto perfetto.
Può una serie che vanta pochi e
brevi appuntamenti nell’annata televisiva entrare nel cuore degli
spettatori meglio e più di un lungo telefilm? Se il soggetto in
questione è Sherlock, senza ombra di dubbio.
Sherlock 2×01: Scandalo a Belgravia.“all
lives end, all hearts are broken, caring is not an advantage.”
A Quasi 2 anni dagli eccellenti risultati raggiunti con
A Study in Pink, The
Blind Banker e The Great Game, la serie
cult della BBC torna per un secondo round con la chiara intenzione
di battere sé stessa: sempre e solo 3 episodi da 90 minuti per
scavare nella personalità di Sherlock Holmes,
immortale personaggio nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle
alla fine dell’800 e rinato nella Londra contemporanea grazie a
Steven Moffat e Mark Gatiss, con l’intento di
restituirgli una profondità che fin troppo ben nascosta dalla
maschera della deduzione era un mistero persino per il suo
autore.
Senza timore di mettersi subito in
gioco coi personaggi più ingombranti del Canone, la seconda serie
apre quindi le danze con la famigerata Irene Adler, unica figura
femminile degna di nota nel mondo di Sherlock Holmes che eredita
dalla sua gemella letteraria, figura chiave del racconto Uno
Scandalo in Boemia( A Scandal in Bohemia, presente nel ciclo
di racconti “le avventure di S.H.”) l’arduo compito di
tener testa al Detective. Prima di entrare nel vivo dell’azione
Sherlock 2×01 doveva però risolvere lo
spietato cliffhanger che aveva chiuso The Great Game, lasciando gli
spettatori attendere a lungo prima di sapere se e come Sherlock
Holmes (Benedict
Cumberbatch) e John Watson (Martin
Freeman) sarebbero sfuggiti allo scontro con
l’inquietante villain Jim Moriarty (Andrew
Scott).
Sherlock 2×01, l’episodio
Per fortuna la questione è stata
rapidamente risolta da Steven Moffat, sceneggiatore per
quest’episodio, usando una svolta da manuale ma non priva di
ironia: una misteriosa telefonata, che scopriamo essere proprio
della Adler (Lara Pulver), fa squillare il
cellulare di Moriarty a suon di Stayin’ Alive
convincendolo a rimandare lo scontro finale con l’avversario
(“Sorry, wrong day to die.”); senza rinunciare a un’ultima
uscita squisitamente terrificante (“So if you have what you say
you have, I’ll make you rich. If you don’t, I’ll make you into
shoes.”) il Genio del crimine abbandona la scena consentendo
alla storia di riprendere, se pur nella fresca e contemporanea
rivisitazione di Moffat, lo scheletro del racconto originale.
Fuori le disavventure amorose del
re di Boemia e dentro gli scandali dei Windsor, la posta in gioco
sono ancora delle foto compromettenti, in grado di distruggere la
pubblica immagine di un non ben precisato giovane membro della
famiglia reale( potete immaginare di chi si tratti? Ci sarebbero
giusto un paio di candidate), ma le circostanze della vicenda sono
decisamente cambiate: a possedere le preziose immagini digitali,
ben custodite in un costoso cellulare Vertu Costellation
Quest, non è più un’affascinante cantante ma una seducente
dominatrice, cortigiana dei nostri tempi professionalmente
conosciuta come “La Donna”, pronta ad assecondare i desideri di
uomini e donne a colpi di frustino e con l’ambizione di tenere in
scacco un’intera Nazione.
Data la delicatezza della
situazione l’illustre cliente e i servizi segreti britannici, nella
persona del sempre vigile Mycroft Holmes (Mark
Gatiss) ingaggiano Sherlock per recuperare le scottanti
fotografie, ma sembra che nemmeno quest’ultimo riesca a sfuggire al
fascino fatale di Irene Adler: pur avendo scoperto con uno
stratagemma il nascondiglio del prezioso cellulare, l’infallibile
detective finisce per essere battuto metaforicamente e
letteralmente da questa donna scaltra e intelligente che si
dimostra subito degna del suo rispetto e della sua attenzione.
Lì dove si concludeva
Sherlock 2×01, Moffat sceglie però di andare oltre
sviluppando una linea narrativa complessa e intrigante: le foto
sono solo la punta dell’iceberg quando nel cellulare si nascondono
le indicazioni per un misterioso piano terroristico, parte della
fitta ragnatela criminale tessuta da Moriarty, che mette sulle
tracce della Adler persino i Servizi Segreti Americani.
Con Sherlock apparentemente del
tutto raggirato e disorientato la vittoria di Irene sembra completa
e definitiva, ma a dispetto della sua assoluta sicurezza. La Donna
è affetta da una fatale debolezza che fa naufragare l’intera
operazione: le dita premono sui tasti come coltellate mentre
Sherlock scopre di essere egli stesso la chiave d’accesso al
prezioso cellulare della Adler (la password è
I’m-Sher-locked ), dimostrando ancora una volta come il
sentimento sia un difetto pericoloso che condanna alla sconfitta
(“sentiment, sentiment is a chemical defect found in the losing
side”).
Cercare di capire come un prodotto
come Sherlock 2×01: Scandalo a
Belgravia possa vivere entro i limiti del piccolo universo
televisivo rischia di diventare null’altro che l’ennesima occasione
per elogiare quella che, senza peccare di generosità eccessiva, è
forse una delle più belle serie del momento per non dire di sempre:
ciononostante bisogna lo stesso insistere e fare un tentativo, per
rendere giustizia al lavoro eccellente che tutti gli attori, il
regista Paul McGuigan e l’intero comparto tecnico
hanno operato sul graffiante script di “The Master” Steven
Moffat, già sceneggiatore di Doctor Who e co-sceneggiatore de Le Avventure di
Tintin di Steven Spielberg.
Nel filtrare le vicende di Uno
Scandalo in Boemia attraverso le logiche della modernità molti
succosi dettagli sulla pagina scritta sono stati opportunamente
preservati, dallo scandalo fotografico a danno di una testa
coronata al travestimento da reverendo di Holmes, fino allo
stratagemma del finto incendio per scoprire dove si nascondono gli
scatti e il desiderio di Sherlock di avere un ricordo della Adler (
sulla carta era una fotografia, qui è il cellulare).
La scelta di aggiungere un
pirotecnico intrigo internazionale, assolutamente funzionale per
restituire il giusto spazio ai personaggi e farli uscire dal
racconto, riesce ad amplificarne il fascino costruendo un puzzle
dove ogni tassello o quasi trova il suo posto. L’ironia non si fa
mai attendere e alcune trovate sono già entrate nella leggenda
(I’m Sherlocked su tutte), ma ad essere messi in
discussione dai più puristi del Canone sono stati i cambiamenti
apportati nell’attualizzazione di Irene Adler, da sempre gelosa di
attenzioni da parte di ogni trasposizione cinematografica o
televisiva in quanto presunto (ma basta leggere le parole di Doyle
per capire quanto l’affermazione vada presa con cautela)love
interest di Sherlock Holmes.
Scandalo a Belgravia, il
trinfo di Irene
“To Sherlock Holmes she is
always THE woman. I have seldom heard him mention her under any
other name. In his eyes she eclipses and predominates the whole of
her sex. It was not that he felt any emotion akin to love for Irene
Adler. All emotions, and that one particularly, were abhorrent to
his cold, precise but admirably balanced mind. He was, I take it,
the most perfect reasoning and observing machine that the world has
seen, but as a lover he would have placed himself in a false
position.[…]And yet there was but one woman to him, and that woman
was the late Irene Adler, of dubious and questionable memory.”
(A.C.Doyle, A Scandal in Bohemia)
Da avventuriera cantante d’opera a
sensuale femme fatale è un balzo notevole, ma una volta pagato il
dovuto tributo alla legge dell’adattamento in accordo col periodo
storico di appartenenza, la Irene Adler interpretata dall’ottima
Lara Pulver non solo si rivela appropriata ma
anche più filologicamente fedele all’originale di molte altre:
troppo spregiudicata e indipendente per i rigidi standard
vittoriani, “La Donna” di Doyle riesce a battere Holmes solo per
veder sacrificata la sua libertà sull’altare del conformismo,
privata dell’opportunità di celebrare il suo trionfo di persona
perché troppo impegnata a lasciare la scena insieme al nuovo
marito.
La Adler di Moffat, “colpevole” di
aver perso la partita perché incapace di rinunciare al sentimento,
ha invece l’opportunità di portare avanti un gioco molto più
ardito, minacciando la solida imperturbabilità del Detective per
quasi l’intero episodio: complice un flirt silenzioso costruito su
una sequela di messaggi senza risposta, il timore della perdita
affidato a una malinconica composizione per violino( quando Irene
si finge morta per sfuggire alle attenzioni della Cia) e l’amarezza
nell’ascoltare Irene descrivere Moriarty come l’uomo ideale, è
evidente come neppure Sherlock riesca ad essere del tutto immune al
potere del cuore, per quanto consapevole della sua assoluta
fallibilità.
La riscoperta dell’umanità di
Sherlock Holmes può comunque considerarsi il vero leif motiv di
ASIB; se vederlo scusarsi con la dolce patologa Molly Hooper
(Louise Brealey)per averla inconsapevolmente umiliata è già una
sorpresa a deliziarci è la sua dedizione nel proteggere la
famiglia, non tanto quella di sangue rappresentata dal fratello
Mycroft(col quale ha avuto trascorsi spiacevoli mai del tutto
chiariti) quanto quella che si è scelto: la padrona di casa Mrs
Hudson, senza la quale la vita a Baker Street sarebbe
inconcepibile(“Mrs Hudson leave Baker Street? England would
fall!”)e ovviamente John, compagno d’ avventure ma soprattutto
amico fedele. Incapace di mantenere una relazione duratura proprio
perché nessuna potrà mai competere con le avventure vissute
dall’amico, il Dottor Watson di Martin Freeman è la spalla che ogni eroe
vorrebbe avere al suo fianco: anche se non direttamente coinvolto
nell’azione John non è mai semplice spettatore delle deduzioni di
Sherlock, ma di fatto l’unico che sia sempre pronto a proteggerlo e
ad assisterlo in ogni circostanza senza chiedere niente in cambio;
il Dottore e il Detective sono due metà che si completano a vicenda
e John non può fare a meno di provare un pizzico di gelosia per la
presenza destabilizzante di Irene, né di essere in collera per il
modo in cui lei ha giocato con l’amico.( “Tell him you’re alive.
I’ll come after you if you don’t.”)
Nell’interpretazione di
Benedict Cumberbatch, Sherlock Holmes non è mai stato
più in forma: mentre scala con straordinaria sicurezza le
vertiginose deduzioni del suo personaggio il versatile attore
inglese veste il ruolo del Detective quasi come un guanto,
regalandoci una performance magnetica ed imbattibile. In
Sherlock: Scandalo a Belgravia sotto la regia di
Paul McGuigan, che non teme di strizzare l’occhio al collega Guy
Ritchie nelle scene d’azione alternando un ritmo scatenato al
rallenty più sfrontato, sempre sullo sfondo ma mai dimenticata
Londra recita magnificamente nei panni di sé stessa, grazie a una
fotografia che ama I giochi di specchi e riflessi e che non si
lascia sfuggire un possente omaggio alla leggendaria Battersea
Power Station.
Con un raffinato gusto per
riferimenti più o meno velati al Canone ufficiale(palesi quelli a
The Adventure of the Speckled Band, The Greek Interpreter e The
Adventure of the Engineer’s Thumb) e alla storica iconografia dei
personaggi(fa il suo debutto anche l’essenziale deerstalker),
Sherlock 2×01: Scandalo a
Belgravia è un adattamento brillante e frenetico in
perfetto Stile Steven Moffat: al Grande Sherlock Holmes, il
ventunesimo secolo non poteva chiedere di meglio.
“Il mio nome è Sherlock Holmes è
l’indirizzo è 221B, Baker Street“: l’iconica frase che ha
segnato l’inizio del sodalizio immortale fra Sherlock Holmes e
John Watson e che abbiamo imparato ad associare con così
tanta facilità ai moderni corridoi del Barts Hospital ritrova il
suo naturale setting vittoriano grazie allo speciale natalizio di
Sherlock, la celeberrima serie BBC creata da Steven
Moffat e Mark Gatiss.
Ambientato nella Londra del
1895, L’abominevole sposa (The Abominable
Bride) apre le danze con una sigla old fashion per
rivestire tutti i personaggi (dai protagonisti letterari a quelli
divenuti canon nella serie) della rigida moda di fine
diciannovesimo secolo: armato di pipa e deerstalker ma privo degli
arruffati ricci del suo gemello contemporaneo, Sherlock ha la
flemma e la compostezza di un novello Jeremy Brett (storico
Holmes televisivo) mentre il fedele John racconta le avventure
vissute con l’amico sullo Strand (dove venivano pubblicati i
racconti di Sir Arthur Conan Doyle in persona) completo di baffi ed
bombetta, condividendo con Holmes quella parte di cuore che il
Grande Detective sembrerebbe voler dimenticare; persino lo
Speedy Cafe, divenuto meta di pellegrinaggio in questi anni
per ogni vero Sherlock fan che si ritrovi a passare per la capitale
britannica, fa la sua comparsa nelle vesti di una tradizionalissima
sala da tè.
Mentre il gioco prosegue e svelare
il look dei protagonisti è un divertimento garantito( il
travestimento maschile di Molly è un colpo di genio, ma la vera
chicca è un Mycroft enorme e perfettamente fedele alla sua
controparte cartacea) tanto quanto riconoscere ogni rimando alla
mitologia del personaggio e ai romanzi stessi (oltre alle citazioni
da
Il Mastino dei Baskerville, i cinque semi d’arancio e
l’ultima avventura, intere sequenze si ricollegano alla
serie con Jeremy Brett mentre altre riprendono fedelmente alcune
iconiche illustrazioni) il mistero della puntata inizia a rivelarsi
assecondando la moderna frizzantezza ma anche l’amore per la
tradizione a cui Sherlock ci ha sempre abituati; una donna tornata
dalla tomba per vendicarsi del marito e degli uomini che l’hanno
fatta soffrire, un fantasma che non può essere reale ma che sembra
non offrire nessuna spiegazione razionale, un pirotecnico
spettacolo allestito nel palazzo mentale che conduce verso un’unica
soluzione apparentemente inconcepibile.
Dopo averci persuasi della bontà di
un episodio stand alone completamente scollegato della serie, tanto
per cambiare Moffat e Gatiss si prendono gioco delle nostre
aspettative divertendosi a capovolgerle e a confondere il pubblico,
stordendolo con inattese rivelazioni a incastro e trascinandoci nel
bel mezzo di un episodio che usa l’anomalia temporale come pretesto
per creare un divertissement stratificato e ambizioso.
Sfruttando il gusto per il gotico e
il grottesco che l’opera originale non ha mai disdegnato,
l’avventura della sposa abominevole fa il suo corso e nasconde
sotto il velo il volto di una donna forte e determinata, degna del
rispetto e della considerazione criminale e umana che non solo la
letteratura e la storia ma anche lo stesso Sherlock (eccezion fatta
per “La Donna” Irene Adler) le hanno troppo spesso negato
nel passato e nel presente: un tocco di classe in un episodio che
riaccende la giostra giusto per farci girare in tondo e proiettarci
con slancio nell’attesa della quarta serie, ma che sa anche portare
a casa il risultato con un intrattenimento in grande spolvero e mai
spaventato dall’opportunità di sperimentare e di mettersi alla
prova; per un Detective troppo avanti per il suo tempo non potremmo
chiedere di meglio.
La CW ha fissato la data ufficiale
di debutto della serie Sherlock & Daughter. Il
franchise poliziesco di Sir Arthur Conan Doyle ha visto numerosi
adattamenti nel corso degli anni, tra cui il film Sherlock
Holmes di Guy Ritchie con Robert Downey Jr. e la serie BBC
Sherlock. L’ingresso della CW nella proprietà intellettuale
vedrà
David Thewlis interpretare l’iconico detective e Blu Hunt
una giovane americana, Amelia. La serie seguirà il duo, che lavora
per risolvere il caso dell’omicidio della madre di Amelia, mentre
Amelia cerca anche di dimostrare che Sherlock è il padre che ha
perso da tempo.
Secondo Deadline Hollywood, la CW ha fissato la data di prima
visione per Sherlock & Daughter. La serie sarà in onda
mercoledì 16 aprile alle 21:00 ET. La rete ha anche annunciato
le prime di altre serie, tra cui Remarkable Women e la terza
stagione di Sullivan’s Crossing.
Cosa significa per Sherlock &
Daughter
Il programma completo delle uscite
di Sherlock & Daughter non è stato specificato, ma si può
presumere che la serie manterrà la fascia oraria del mercoledì
dalle 21:00 alle 22:00 ET per le prossime settimane. La terza
stagione di Sullivan’s Crossing, che andrà in onda mercoledì su The
CW, sarà trasmessa alle 20:00, lasciando così spazio a
Sherlock & Daughter che manterrà la fascia
oraria delle 21:00. La serie adattata da Doyle è prevista per
otto episodi, quindi, a meno di settimane di pausa, il finale
andrà in onda mercoledì 4 giugno.
Sherlock & Daughter è un
interessante ingresso nell’universo cinematografico e televisivo di
Sherlock, poiché siespande notevolmente sui testi
originali di Doyle. Mentre alcune serie e film esistenti hanno
aggiunto personaggi e si sono allontanati in modo significativo dal
materiale originale, la trama di Amelia introduce un nuovo
potenziale retroscena holmesiano. Sherlock ha una figlia, Joanna,
secondo Doyle, ma è figlia di Irene Adler. Amelia è descritta come
una donna nativa americana e quindi non avrebbe lo stesso
retroscena della Joanna letteraria, anche se è confermato che sia
la figlia di Sherlock.
CBS
ha recentemente pubblicato il teaser promozionale di
Sheriff Country, il nuovo spin-off della popolare
serie “Fire
Country“.Questo
annuncio ha suscitato grande entusiasmo tra i fan, desiderosi di
esplorare nuove storie ambientate nell’universo di “Fire
Country“.
Sheriff
Country segue le vicende di Mickey Fox, interpretata
da Morena Baccarin, una sceriffa determinata che
opera nella cittadina di Edgewater, California.Mickey è
la sorellastra di Sharon Leone, division chief dei Cal Fire, e zia
di Bode Leone, protagonista di “Fire Country”.Questi
legami familiari promettono di intrecciare le trame delle due
serie, offrendo agli spettatori una narrazione ricca e
interconnessa.
Il teaser,
sebbene breve, offre uno sguardo intenso sul personaggio di Mickey
Fox, evidenziando la sua determinazione e il suo impegno nel
mantenere l’ordine nella comunità di Edgewater.La clip
mostra Mickey mentre affronta situazioni di tensione e pericolo,
sottolineando il tono drammatico e avvincente della serie.La
performance di Morena Baccarin nel ruolo di Mickey è già stata
elogiata dai fan, che attendono con impazienza di vedere come il
personaggio si svilupperà nel corso della serie.
Il debutto
di “Sheriff Country” è previsto per l’autunno del 2025.Nel
frattempo, i fan potranno rivedere Mickey Fox in un episodio di
“Fire Country” intitolato “Dirty Money”, in onda il 4 aprile
2025.In questo
episodio, Mickey e suo nipote Bode indagano sull’omicidio del padre
di lei, Wes Fox, scoprendo legami con attività illecite.
Con
l’uscita di “Sheriff Country”, CBS amplia l’universo narrativo di
“Fire Country”, offrendo agli spettatori nuove prospettive e
approfondimenti sui personaggi già amati.L’attesa è
alta, e il teaser ha sicuramente aumentato l’entusiasmo per questa
nuova avventura televisiva.
Per avere un’anteprima
di “Sheriff Country”, puoi guardare il teaser ufficiale qui
sotto:
Modello e attore televisivo,
Shemar Moore si è negli anni conquistato la
propria notorietà partecipando a note serie TV, confrontandosi con
generi diversi e dando così prova della propria versatilità. Ad
oggi l’attore è noto specialmente per il ruolo di Derek Morgan in
Criminal Minds. Ecco 10 cose che non sai su Shemar
Moore.
Shemar Moore: le serie TV in cui
ha recitato
10. Ha preso parte a note
produzioni televisive. L’attore inizia la propria
carriera recitando nel ruolo di Malcolm Winters nella popolare soap
opera Febbre d’amore (1994-2019). Prende parte anche ad
alcuni episodi di serie come Chicago Hope (1998), Tris
di cuori (1999) e Birds of Prey (2002-2003). A
partire dal 2005, e fino al 2017, ricopre il ruolo di Derek Morgan
nelle serie Criminal
Minds, con cui raggiunge il massimo della
popolarità. Dal 2017 è invece tra i protagonisti di S.W.A.T., dove
ricopre il ruolo di Daniel Harrelson.
9. Ha ricoperto il ruolo
del produttore. Per la serie in cui attualmente recita,
S.W.A.T., l’attore ha anche ricoperto il ruolo
di produttore. Si è occupato di tale aspetto per ben 55 episodi,
dimostrando così grande interesse nel progetto. Nel 2016 figurava
invece tra i produttori esecutivi del film per il cinema intitolato
The Bounce Back, di cui era anche il protagonista.
8. Ha doppiato un noto
supereroe DC. A partire dal 2014 l’attore è la voce del
personaggio Cyborg, noto supereroe DC e membro della Justice League. Moore ha infatti doppiato il
personaggio per i film d’animazione Justice League: War
(2014), Justice League: Throne of Atlantis (2015),
Justice League vs. Teen Titans (2016), The Death of
Superman (2018), The Death and Return of Superman
(2019) e Justice League: Apokolips War (2020).
Shemar Moore: moglie e figli
7. Non è sposato.
Ad oggi l’attore non ha contratto nozze, ed attualmente sarebbe
single. Recentemente aveva però reso nota la sua relazione con
l’attrice Anabelle Acosta, nota per il suo ruolo
nella serie Quantico. I due sono apparsi per la prima
volta insieme durante la cerimonia dei premi Grammy nel 2018. Al
gennaio del 2019, tuttavia, i due hanno interrotto la
relazione.
6. Vorrebbe essere un uomo
di famiglia. Nonostante attualmente non sembri essere
impegnato sentimentalmente, l’attore non ha nascosto il desiderio
di diventare un marito e un padre. Moore ha infatti dichiarato di
aspettare la donna giusta con cui evolvere e condividere la propria
vita.
Shemar Moore in Criminal
Minds
5. Ha ideato molte delle
battute del suo personaggio. All’interno della serie è
facile imbattersi in momenti in cui l’attore condivide la scena con
l’attrice Kirsten Vangsness, la quale ricopre il
ruolo di Penelope Garcia. In tali scene, i due sono soliti
punzecchiarsi con diverse battute. Queste derivano dal reale modo
di parlarsi dei due attori al di fuori del set, i quali condividono
un’ottima amicizia.
Shemar Moore in S.W.A.T.
4. Si è allenato per
maneggiare le armi. Una cosa che di certo non manca
all’interno della serie S.W.A.T. sono le armi. Ve ne sono
di ogni tipo e dimensione. Moore ha dichiarato che proprio per la
loro importanza, era necessario che gli attori si sottoponessero ad
alcune esercitazioni mirate proprio a prendere dimestichezza con le
armi. Per sua fortuna, la partecipazione a Criminal Minds
lo aveva già in parte preparato a ciò.
3. Ha potuto mostrare un
nuovo lato di sé. Stando a quanto affermato dall’attore in
alcune interviste, la serie S.W.A.T. gli ha permesso non
solo di misurarsi con un ruolo da protagonista, ma anche di
mostrare inediti aspetti di sé. Il personaggio di Daniel Harrelson
presenta infatti diverse sfumature, che hanno consentito all’attore
di dar vita ad una più ampia gamma di emozioni.
Shemar Moore: il suo fisico
2. È solito tenersi in
forma. Per poter gestire i suoi ruoli action, l’attore non
manca di allenarsi costantemente, così da rimanere in forma e poter
dar vita alle numerose sequenze action previste dalle serie in cui
recita. La ginnastica da lui compiuta gli ha così permesso di
ottenere un fisico particolarmente scolpito, di cui si è
avvantaggiato per la sua carriera da modello.
Shemar Moore: età e altezza
1. Shemar Moore è nato a
Oakland, in California, Stati Uniti, il 20 aprile 1970.
L’attore è alto complessivamente 185 centimetri.
Gli amanti del genere
Psycho-thriller troveranno dal prossimo weekend al cinema pane per
i propri denti. Shelter – Identità violate
(“Shelter” titolo originale), è infatti un film che sfrutta appieno
tutte le caratteristiche tipiche del genere, stuzzicando al massimo
l’emotività dello spettatore scuotendola mediante una trama carica
di suspence e colpi di scena. Non mancano altresì momenti di puro
Horror.
Protagonista di Shelter –
Identità violate è una donna tenace e capace, Cara Jessup,
psichiatra forense molto convinta delle sue idee, tra le quali c’è
quella che le personalità multiple non esistono realmente, ma sono
solo suggestioni. Suo padre, il dottor Harding, le sottopone così
il caso di David Bernburg, un giovane sulla sedia
a rotelle arrestato per vagabondaggio e messo sotto cure mediche
dato il suo labile stato psichico. Carla così scopre che David è in
grado di assumere più personalità, anzi pare che incarni persone
vittime di omicidi. Da qui comincia per lei un’avventura
mozzafiato, nella quale viene messa a rischio la sua vita e non
solo.
Shelter – Identità
violate riprende un leitmotiv più volte sfruttato dal
cinema: quello di una psichiatra o uno psichiatra, i quali, curando
un paziente, ne scoprono aspetti inquietanti latenti, magari
paranormali. Il film inizia con le migliori premesse, poi perde un
po’ di brillantezza, rischiando di diventare quasi confusionario e
scontato. Il risultato complessivo è comunque valido.
Shelter – Identità violate è stato girato tra il
2008 e il 2009 a Pittsburgh, Pennsylvania. Il primo Paese a
distribuire Shelter – Identità violate nelle sale
cinematografiche è stato il Giappone il 27 marzo 2010;
successivamente è stato distribuito in Irlanda e nel Regno Unito il
9 aprile dello stesso anno. Qui e negli Usa dal 25 febbraio.
I registi sono Måns Mårlind
e Björn Stein, svedesi, al loro film d’esordio.
Attualmente stanno anche lavorando al quarto episodio di Underworld
– “Underworld 4: New Dawn” – lungometraggio sull’eterna lotta tra
vampiri e licantropi, la cui uscita nelle sale è prevista per il
2012. Gli attori protagonisti sono
Julianne Moore e Jonathan Rhys-Meyers. La prima, sinuosa
attrice americana dai capelli rossi e dall’invidiabile forma fisica
malgrado abbia ormai superato i 50 anni, interpreta ovviamente i
panni della psichiatra e detective improvvisata Cara Jessup. Vanta
una carriera che l’ha vista oscillare dai ruoli tipici della
commedia sentimentale a quella sensuale, finanche a quelli del
genere fantascientifico. Il secondo indossa invece i panni dello
psicopatico David Bernburg. Attore-modello,
Rhys-Meyers vanta già 24 film all’attivo a 34
anni. Il film che lo ha consacrato al grande pubblico è stato
“Match point” (2005) di Woody Allen.
Shelley Duvall,
l’attrice dagli occhi grandi che vinse il premio come attrice a
Cannes per 3 donne di Robert
Altman e passata alla storia per aver recitato per
Stanley Kubrick in Shining,
è morta giovedì a Blanco, in Texas, la conferma arriva da Variety attraverso una
dichiarazione del suo partner Dan Gilroy. Aveva 75 anni.
Duvall era nota per aver lavorato
con il regista Altman, che l’ha scelta per il suo primo ruolo
cinematografico in “Brewster McCloud”. Ha
continuato ad apparire nei suoi film “McCabe & Mrs.
Miller” e “Thieves Like Us” prima di far
parte del cast corale di “Nashville” nel 1975.
Altman l’ha scelta in “Buffalo Bill e gli
indiani“, ha poi dato alla sua insolita presenza sullo
schermo la possibilità di brillare in “3 donne“,
per il quale ha vinto il premio del Festival
di Cannes come migliore attrice e una nomination ai BAFTA.
Sempre nel 1977, Duvall
interpretò il ruolo di un giornalista di Rolling Stone in
Io e Annie di Woody Allen e
incontrò Paul Simon sul set. Duvall ha interpretato il ruolo di
Olivia Oy in “Braccio di Ferro” di Altman nel
1980. La sua inquietante interpretazione come operatrice di un
centro benessere in “3 donne” ha portato Kubrick a
sceglierla per il ruolo di Wendy Torrance, la moglie del
personaggio di Jack Nicholson in “Shining”
di Stanley Kubrick, liberamente tratto dal romanzo
di Stephen King.
Anni dopo, ha parlato delle
difficili riprese del film: “Dopo un po’ il tuo corpo si
ribella. Dice: “Smettila di farmi questo”. Non voglio piangere
tutti i giorni’. E a volte solo quel pensiero mi faceva piangere.
Svegliarmi un lunedì mattina, così presto, e rendermi conto che
dovevi piangere tutto il giorno perché era programmato, inizierei
semplicemente a piangere. Direi: “Oh no, non posso, non posso”.
Eppure l’ho fatto. Non so come ho fatto. Anche Jack me lo ha detto.
Ha detto: ‘Non so come fai’”.
Tra gli altri suoi ruoli
ricordiamo “I Banditi del tempo” di Terry
Gilliam e la commedia “Roxanne” con
Steve Martin. Durante gli anni ’80, Duvall ha
prodotto una serie di spettacoli antologici per bambini basati su
storie classiche.
Sebbene abbia vissuto una vita
solitaria, la sua apparizione in “Dr. Phil” nel 2016 ha ottenuto
pubblicità negativa per aver sensazionalizzato i suoi problemi con
la salute mentale. Nel 2021, è stata intervistata dallo scrittore
Seth Abramovitch dell’Hollywood Reporter, che si è
recato in Texas e l’ha trovata felice di ricordare la sua carriera
e considerata con affetto nella sua comunità nel Texas Hill
Country, nonostante le sue eccentricità.
Shelley Duvall,
indimenticabile protagonista di Shining, dove ha
interpretato Wendy, la moglie di Jack Torrance, interpretato da
Jack Nicholson,
è pronta a tornare alla recitazione dopo una pausa di ben 20 anni.
Come riportato da Deadline, la Duvall apparirà infatti in un
thriller/horror indipendente di prossima uscita intitolato
The Forest Hills, scritto e diretto da
Scott Goldberg. Insieme alla Duvall, il film avrà
tra i suoi protagonisti anche Edward Furlong,
Chiko Mendez e Dee Wallace.
Il film, stando ai primi dettagli
rilasciati, racconterà la storia di un uomo emotivamente disturbato
di nome Rico, che sarà interpretato da Mendez, il quale è
perseguitato da visioni terrificanti dopo aver subito un trauma
cranico durante un viaggio in campeggio nelle Catskills. La Duvall
interpreterà la madre di Rico, che sarà anche la sua voce
interiore. Al momento non è noto quando le riprese avranno inizio e
in che periodo presumibilmente il film arriverà in sala.
È dunque però certo il ritorno in
scena della Duvall, che non recitava dal 2002, anno della commedia
Manna from Heaven. Parlando di lei, Goldberg ha affermato
che “Shelley ha contribuito a rendere The Shining un capolavoro
assoluto dando il massimo e recitando in un modo che rendeva
davvero concreta la paura e l’orrore di una madre isolata.” La
Duvall non va però ricordata solo per Shining, avendo
recitato in diversi celebri e importanti film come Nashville,
Io e Annie, Tre donne, I banditi del tempo e Ritratto
disignora.
Negli ultimi anni si era invece
parlato molto di lei dopo che l’attrice aveva rivelato di soffrire
di disturbi mentali, forse causati anche dalla notoriamente
traumatica esperienza vissuta sul set di Shining, dove
l’attrice ebbe un rapporto particolarmente conflittuale con il
regista Stanley Kubrick. La sua partecipazione ad
un nuovo progetto cinematografico fa dunque ben sperare per il suo
futuro.
ATTENZIONE SPOILER dal finale di
stagione di House of the Dragon 2 La regina che non fu
Nella seconda stagione di
House of
the Dragon, Rhaena Targaryen scopre
che nella Valle di Arryn vive un drago selvaggio
(Sheepstealer?), il che rappresenta una grande novità
rispetto al libro Fuoco e Sangue di George
R.R. Martin.
Non sorprende che la Danza dei
Draghi presenti la morte di numerosi draghi e dragonieri, tuttavia,
come hanno dichiarato Rhaenyra e Jacaerys nella seconda stagione,
ci sono ancora diversi draghi selvatici e non reclamati a Westeros
che potrebbero essere legati a un cavaliere.
I Neri hanno recuperato già diversi
draghi, con Seasmoke, Vermithor e Ali d’Argento che si uniscono ai
loro ranghi nel corso della seconda stagione, ma potrebbero
essercene altri. Rhaena Targaryen scopre che nella Valle ci sono
dei draghi selvaggi, e Jeyne Arryn conferma che è “grande e
formidabile”. Rhaena stessa si trova faccia a faccia con lui nel
finale della seconda stagione di House of the
Dragon, scena che prepara una svolta importante per il
futuro. Mentre la serie deve ancora confermarne il suo nome, Fuoco
e Sangue ci aiuta a svelare identità del drago selvaggio della
Valle.
Il drago selvaggio nella Valle è
molto probabilmente Sheepstealer
Sheepstealer è l’unico drago
selvaggio che viene rivendicato durante la Danza
Nel libro Fuoco e
Sangue di George R.R. Martin, ci sono tre
draghi selvaggi conosciuti che vagano per Dragonstone: Grey Ghost,
il Cannibale e Sheepstealer. Mentre Grey Ghost e il Cannibale
potrebbero ancora avere un ruolo a Dragonstone, anche se non sono
ancora apparsi (e potrebbero essere tagliati del tutto), sembra che
la serie abbia spostato Sheepstealer nella Valle.
La seconda stagione di
House of the Dragon mostra
questo drago che brucia e mangia greggi di pecore nella valle,
indicando così che possa essere proprio la bestia con quel nome
così rivelatore. Inoltre, Sheepstealer è l’unico drago selvaggio
che viene reclamato da un cavaliere di draghi nel libri, il che
conferma il senso di averlo rappresentato nello show.
Non è chiaro come il drago selvaggio
abbia vagato per la Valle senza che nessuno avesse allertato i
Targaryen, poiché Sheepstealer è stato reclamato a Dragonstone nel
libro. Tuttavia, ora non c’è da stupirsi del motivo per cui Jeyne
Arryn ha accettato di proteggere e ospitare i bambini piccoli di
Rhaenyra e la figlia di Daemon, poiché era probabilmente ansiosa di
trovare un cavaliere per Sheepstealer al Nido dell’Aquila.
Quando Rhaena vede finalmente
Sheepstealer nel finale della seconda stagione, non è certamente
grande come alcuni dei draghi della serie. Questo è dovuto in parte
alla loro età, ma anche al fatto che il drago non è stato ben
nutrito come quelli a Roccia di Drago, quindi vagano verso la
Valle. Tuttavia, è di dimensioni adeguate al combattimento e più
grande di alcuni degli altri draghi della Danza, come Syrax.
Sheepstealer ha ben più di 50 anni in House of the Dragon, poiché
il suo uovo si è schiuso quando Re Jaehaerys I Targaryen era ancora
“giovane”.
Rhaena rivendicherà Sheepstealer?
Chi si lega a lui nel libro
Rhaena probabilmente rivendicherà
Sheepstealer, ma lui si lega a un personaggio diverso in Fuoco e
Sangue
Mentre alcuni dei draghi
più famosi di Roccia di Drago sono stati reclamati da cavalieri di
umili origini, il cavaliere del drago selvaggio sembra destinato a
essere un Targaryen di nobile stirpe. Sembra molto probabile che
Rhaena Targaryen rivendicherà Sheepstealer nella serie. L’uovo
destinato a Rhaena non si è mai schiuso e in precedenza non era
riuscita a reclamare i draghi a Dragonstone, quindi Sheepstealer
potrebbe finalmente essere quello che la prenderà come
cavaliere.
Tuttavia, Rhaena che rivendica
Sheepstealer cambierebbe due grandi trame relative ai draghi in
Fuoco e Sangue. Mel libro, Rhaena ottiene
finalmente un drago quando il suo uovo si schiude, nel drago dalle
scaglie rosa Morning. Anche se il drago di Rhaena è ancora
estremamente giovane e piccolo durante la Danza, la schiusa di
Morning è una parte importante della sua narrazione nel romanzo.
Inoltre, un personaggio completamente diverso rivendica
Sheepstealer nel libro, un “seme di drago” proveniente da
Driftmark.
In Fuoco e sangue,
Sheepstealer viene rivendicato da Nettles, una ragazza adolescente
bastarda e senza paura che ha accolto la chiamata del Principe
Jacaerys per i semi di drago per provare a cavalcare i draghi.
Viene spiegato che Nettles è in grado di legare con Sheepstealer
portandogli pecore macellate da mangiare ogni mattina, e i due
diventano attori principali per la strategia di guerra di Rhaenyra
e dei Neri. Tuttavia, con il drago selvaggio che ora ha costruito
la sua casa nella Valle, sembra probabile che Nettles venga
tagliata da House of the Dragon in favore di
Rhaena che rivendica Sheepstealer.
È tecnicamente ancora possibile che
Nettles appaia, ma poiché la semina dei semi di drago sembra essere
terminata, sarebbe strano vederla entrare nella storia e
rivendicare Sheepstealer nella stagione 3 di House of the
Dragon. Poiché la stagione 2 finisce con Rhaena che si
trova faccia a faccia con il drago selvaggio, allora è molto
probabile che stia preparando la rivendicazione del drago e il suo
ritorno alla guerra dalla parte dei Neri.
Cosa succede a Sheepstealer
Il destino di Sheepstealer è
lasciato ambiguo in Fuoco e Sangue
Il destino di
Sheepstealer è uno dei più grandi misteri lasciati da Fuoco
e Sangue. Il libro termina solo cinque anni dopo la fine
della Danza dei Draghi, senza vincitori, quindi non a tutti i
personaggi sopravvissuti viene assegnato un destino conclusivo.
Mentre Sheepstealer e Nettles combattono per Rhaenyra nel libro, la
Regina diventa sospettosa dei suoi cavalieri di draghi dopo che
Hugh Hammer e Ulf il Bianco la tradiscono. Daemon quindi manda
Nettles e Sheepstealer lontano da Maidenpool per sfuggire all’ira
di Rhaenyra, e i due scompaiono per il resto della guerra.
Dopo che la Regina Rhaenyra muore e
Re Aegon II Targaryen riprende Approdo del Re, sente dei resoconti
su Nettles e Sheepstealer avvistati nella Valle di Arryn. I clan di
montagna raccontano persino storie su una “strega del fuoco” che
viveva nella Valle con il suo drago, il che suggerisce che i due
potrebbero essersi nascosti lì dopo la guerra. Dal momento che non
ci sono registrazioni conclusive di quando o come Sheepstealer
muore nel libro, c’è speranza che House of
the Dragon riesca finalmente a risolvere questo
mistero.
Abbiamo sentito per la prima volta
che una serie live-action di She-Ra era in fase di
sviluppo presso Prime Video nel 2021 e, sebbene da allora non ci
siano stati praticamente aggiornamenti, sembra che il progetto stia
finalmente iniziando a prendere forma.
Secondo Variety, Heidi
Schreck è salita a bordo del progetto come sceneggiatrice
e produttrice esecutiva. Anche Robin Sweet sarà
produttrice esecutiva, insieme a DreamWorks Animation.
Schreck ha già lavorato in titoli
come Billions e Nurse Jackie
presso Showtime, così come Dispatches from Elsewhere presso AMC
e la serie Amazon I Love Dick. È probabilmente più
nota per aver scritto e interpretato l’opera teatrale acclamata
dalla critica, What the Constitution Means to Me.
Nicole Kassell
dirigerà e produrrà esecutivamente l’episodio pilota. Il regista ha
già diretto episodi di Watchmen, Westworld, The Leftovers,
The Americans e Castle Rock della HBO,
quindi questa serie è in buone mani.
Anche se DreamWorks, che ha lavorato
alla recente serie animata di Netflix, sarà la produttrice esecutiva, si prevede
che questa sarà una storia a sé stante senza collegamenti con
l’acclamata The Princesses of Power.
C’è anche un film live-action di
Masters of the Universe in lavorazione da
parte di Amazon MGM e Mattel con Nicholas
Galitzine (Purple Hearts, Red, White & Royal Blue,
The Idea of You) nel ruolo del principe
Adam/He-Man, ma non abbiamo idea se questi progetti
saranno in qualche modo collegati.
She-Ra ha debuttato
nel 1985 in He-Man e She-Ra: Il segreto della
spada prima di comparire nel suo spin-off animato,
She-Ra: Principessa guerriera. Il personaggio è
stato ripreso per la serie Netflix She-Ra e le principesse
guerriere, che ha trasmesso la sua quinta e ultima
stagione nel 2020 (i fan continuano a fare campagna per il suo
revival).
Non sappiamo ancora molto di questo
progetto live-action, ma entrambe le serie animate hanno seguito
una giovane guerriera di nome Adora mentre lotta per accettare il
suo destino di protettrice di Etheria. Tuttavia, c’erano differenze
significative, poiché la serie Netflix ha rimosso qualsiasi
collegamento con He-Man e ha reso Adora una soldatessa dell’Orda
che si rende conto di combattere per i cattivi.
La sinossi di questa serie
live-action la descrive come “una serie fantasy epica su una
giovane donna orfana che guida una rivoluzione per salvare il suo
pianeta dall’annientamento”.