The Special Need, docufilm
del regista friulano Carlo Zoratti, è stato
proiettato in anteprima alla Casa del Cinema di Roma. Carlo
Zoratti si è formato come Interaction Designer presso
l’Università di Torino, ha girato alcuni video musicali fino ad
approdare alla regia del suo primo lungometraggio, The
Special Need. Il film racconta di un’amicizia
speciale, quella tra lui ed il simpaticissimo Enea, un ragazzo
affetto da autismo. Appena entrati in sala per la conferenza stampa
alla fine della proiezione, Enea Gabino, il
protagonista del film, saluta tutti i giornalisti convenuti con
l’energia, l’esuberanza ed il buon umore che rappresentano un po’
il leit motiv di questa pellicola.
C.Z.: Vorrei anticipare una
domanda che mi fanno spesso tutti: da dove nasce la vostra
amicizia? Siete parenti? Chi te lo fa fare? Come se una vera
amicizia con un ragazzo come Enea non sia possibile. Io ed Enea ci
conosciamo da quindici anni. Tutto è iniziato quando ho deciso di
iniziare a fare volontariato. L’intento iniziale era principalmente
quello di conoscere delle ragazze dal momento che nella mia scuola
c’era un’alta percentuale di maschi. Effettivamente lì ho
conosciuto la mia prima fidanzata figlia della terapista che aveva
seguito Enea sin da bambino. In questo modo ci siamo conosciuti ed
abbiamo iniziato a frequentarci scoprendo che insieme ci trovavamo
davvero bene.
Uno dei maggiori problemi
dei ragazzi autistici è il contatto fisico con le persone, l’essere
toccati. Nel film sembra che Enea non abbia questo tipo di problema
e che la sua forma di autismo sia anzi molto lieve visto che , a
suo modo, cerca di relazionarsi col mondo esterno.
C.Z.: Enea è in un certo senso
una mosca bianca nello spettro dei disturbi che questa malattia
comporta.
E.G.: (Rivolgendosi a Carlo)
Cos’è una mosca bianca ? Non l’ho mai vista!
C.Z.: E’ appunto un fatto
eccezionale, fuori dal comune! Enea è riuscito a raggiungere questi
risultati grazie al particolare lavoro che la sua terapista ha
fatto con lui sin da bambino. Nell’infanzia era infatti chiuso nel
suo mondo come molti altri bambini autistici.
Tutto il film è molto
libero, naturale e spontaneo, soprattutto nelle reazioni di Enea.
C’è stato comunque un qualche tipo di “scrittura”?
C.Z.: La “scrittura” c’è
stata per quanto riguarda il percorso del film, che rimane un
percorso un po’ obbligato: gli amici decidono di cercare una donna
per Enea e le tappe che seguiranno saranno quelle che molti
immaginano. Nonostante questo ci sono stati alcuni momenti non
previsti come ad esempio quando Enea cerca di approcciare alcune
ragazze per strada: lo avevamo appena microfonato e non ci
aspettavamo che sarebbe partito in quarta ma nessuno ha potuto
fermarlo. In quel momento mi sono sentito un po’ scisso: il regista
sapeva che quella scena poteva essere interessante per il film ma,
in quanto amico sentivo un po’ come una violenza mostrare Enea in
quella situazione.
Prima di girare si è
confrontato con altri film come The Session di Ben Lewin che
trattano il tema della sessualità delle persone
disabili?
C.Z.: Ho volutamente
evitato di vedere The Session per non esserne influenzato e non
farmi bloccare da un film molto bello.
Prima di iniziare a girare
vi siete confrontati con la terapista e la famiglia di
Enea?
C.Z.: La prima a parlarmi di
questo bisogno speciale di Enea è stata sua madre e da lì è
iniziata a nascere l’idea del film. Per quanto riguarda la
terapista abbiamo girato ore di dialoghi con lei ma alla fine mi
sono reso conto che, purtroppo, non erano molto cinematografici e
rischiavano di appesantire la storia.
La macchina da presa sembra
realmente invisibile. Come siete riusciti a realizzare così bene
questo effetto?
C.Z.: Girando e montando subito
dopo le riprese mi sono accorto di un’aspetto che non mi piaceva:
Enea, avendo me come punto di riferimento principale, guardava
sempre in macchina. Così mi sono convinto a passare da dietro a
davanti la macchina da presa partecipando all’azione direttamente
con Enea.
Mi vengono in mente i film
Zoran di Matteo Oleotto e Tir di Alberto Fasulo entrambi friulani.
Stiamo forse assistendo ad una rinascita del cinema in
Friuli?
Erica Barbiani,
produttrice del film: Penso che questa ondata di film di autori
friulani sia dovuta in gran parte dall’esistenza del fondo
regionale audiovisivo del Friuli Venezia Giulia che ha
portato investimenti nella produzione dei film ma anche nella
formazione dei professionisti. Si è inoltre creato una sorta di
network di cineasti friulani che si incontrano spesso e si
confrontano condividendo idee. Sembra che il film rappresenti una
denuncia nei confronti dell’arretratezza italiana per quanto
riguarda problemi come la sessualità dei disabili. Quanto questa
denuncia è stata consapevole?
C.Z.: In realtà non abbiamo mai
pensato di realizzare un film di denuncia. La situazione mi è
sembrata un po’ come quando, da ragazzino, andavo a dormire a casa
di mio cugino ed ero contento perché lì mi sentivo molto più libero
rispetto a casa mia dove vigevano le proibizioni ed i rifiuti
impostimi dai miei. Non per questo disprezzavo i miei genitori
perché mi rendevo conto che loro erano fatti così e non sarebbero
mai cambiati. Andando in Austria ed in Germania ho avuto la stessa
sensazione di libertà ed allo stesso modo penso che qua in Italia
non arriveremo mai a realizzare centri come quello di Trebel (un
centro di assistenza sessuale per disabili). Qui in Italia si tende
a proiettare sui disabili le nostre idee a riguardo e non ci
rendiamo conto che il disabile è comunque una persona con i suoi
bisogni “speciali”. Nel centro di Trebel il disabile viene accolto
con la sua identità di persona, una persona che può anche avere
paure e ripensamenti. Per questo viene vietato agli accompagnatori
di parlare per conto della persona disabile incitando quest’ultima
ad esprimere le proprie esigenze.
E.G.: Comunque troverò una
ragazza! Me lo sento, ne sono sicuro!