Guarda l’intervista
all’attore Taylor Kitsch, tra i protagonisti
del nuovo film di Peter Berg, Lone
Survivor attualmente nella sale
cinematografiche.
Basato sul best seller del New York
Times una storia vera di eroismo, di coraggio e di sopravvivenza,
Lone Survivor racconta l’incredibile storia di quattro Navy SEAL in
missione segreta per neutralizzare una cellula operativa di
al-Qaeda che cadono in un’imboscata del nemico sulle montagne
dell’Afghanistan. Di fronte ad una decisione morale impossibile, il
piccolo gruppo è isolato e circondato da una forza superiore di
talebani pronti per la guerra. Quando si confronteranno con
impensabili probabilità di sopravvivenza, i quattro uomini
troveranno riserve di forza e resistenza che li terranno in lotta
fino alla fine .
Mark Wahlberg è protagonista nei
panni di Marcus Luttrell, autore del libro di memorie
Lone
Survivor. Accanto a Wahlberg nei panni degli altri
membri della squadra SEAL troviamo Taylor Kitsch, Emile Hirsch e
Ben Foster. Lone
Survivor è scritto e diretto da Peter Berg che pone al
centro della trama ancora una volta un suggestivo ritratto dei
legami indissolubili tra uomini che già aveva esplorato in Friday
Night Lights.
Taylor Kitsch ha
iniziato la sua carriera d’attore nel 2006 e in poco più di 12 anni
può vantare collaborazioni di un certo tipo. Certo, la sua è stata
una gavetta intensa, ma è riuscito a catturare la sua grande fetta
di pubblico. Nonostante il grande successo, Kitsch è rimasto sempre
con i piedi ben piantati a terra e a sempre cercato di dare il
massimo con le sue diverse intepretazioni.
Ecco, allora, tutto quello
che non sapevate su Taylor Kitsch.
Taylor Kitsch: i suoi film e i
programmi televisivi
1. Ha recitato in celebri
film. Kitsch debutta al cinema con Snakes on a
Plane (2006), con Samuel L.
Jackson. Recita poi in Il mio ragazzo è un
bastardo (2006) e The Covenant (2006). Nel 2009,
Kitsch diventa famoso con la sua interpretazione di Gambit in
X-Men: le origini –
Wolverine e, negli anni seguenti, lavora in produzioni
come John Carter (2012),
Battleship (2012),
Le belve (2012),
Lone Survivor (2013) e
The Grand Seduction (2013). Tra i suoi ultimi film vi sono
American Assassin
(2017), Fire Squad- Incubo di fuoco (2017) e City of
Crime (2019), con Chadwick
Boseman.
2. Ha lavorato in serie tv
di successo. Nel corso della sua carriera, l’attore ha
cercato di prendere parte a diversi film, ma non ha lavorato solo
sul grande schermo. L’attore, infatti, ha continuato a lavorare per
il piccolo schermo che lo ha accolto nei primi momenti della sua
carriera, prendendo parte a Friday Night Lights
(2006-2011), alla seconda stagione di True Detective (2015) e
alla miniserie Waco (2018). Nel 2014 ha invece recitato
nel film televisivi The Normal Heart, accanto agli attori
Mark Ruffalo,
Matt Bomer e Jim Parsons.
Nel 2020 ha recitato nella serie The Defeated, mentre
prossimamente comparirà in The Terminal List e
Painkiller.
3. È anche produttore,
sceneggiatore e regista. Nel corso della sua carriera,
Taylor Kitsch si è preso un momento per sé, cercando di esplorare i
territori della regia, della sceneggiatura e della produzione. Nel
2014, l’attore ha realizzato il suo primo cortometraggio intitolato
Pieces, di cui è stato sceneggiature, regista e
produttore. Da questo corto, Kitsch sta mettendo in piedi un
lungometraggio, del quale curerà la regia oltre che esserne anche
attore, anche se per ora non vi è un uscita prevista. Oltre a ciò,
l’attore canadese è stato produttore esecutivo della serie
Waco.
Taylor Kitsch e Brody Kitsch
4. Ha due fratelli
maggiori. Kitsch è nato a Kelowna, nella Columbia
Britannica. Sua madre, Susan Green, lavorava per il BC Liquor
Board, mentre suo padre, Drew Kitsch, lavorava nell’edilizia. I
suoi genitori si separarono quando aveva un anno e lui e i suoi due
fratelli maggiori, Brody e Daman,
furono cresciuti dalla madre in un parco di case mobili. Brody, in
particolare, è sempre stato di grande supporto nei confronti di
Taylor, aiutandolo ad intraprendere la sua carriera. L’attore ha
anche due sorellastre più giovani da parte di madre.
Taylor Kitsch in True
Detective
5. Taylor Kitsch si è
precipitato per apparire in True Detective 2.
Dopo la visione della prima serie di True Detective,
chiunque ne era rimasto positivamente impressionato e, quando si è
presentata l’occasione di poter partecipare alla seconda stagione,
Taylor Kitsch non ci ha pensato due volte. Pare, infatti, che
l’attore abbia preso il primo volo, precipitandosi da Nic Pizzolatto,
sapendo che stava cercando due ragazzi da inserire nella seconda
stagione.
6. Si trasformato
fisicamente per True Detective 2. La volontà di
poter partecipare alla seconda stagione di True Detective
è stata molto forte da parte di Taylor Kitsch, tanto che è rimasto
fermo un anno per poterne prendere parte a pieno. Per poter
interpretare il personaggio di Paul Woodrugh, Kitsch ha infatti
dovuto perdere una decina di chili e ha realizzato le riprese in
modo particolarmente intenso, tanto da terminarle nel giro di un
paio di settimane.
Taylor Kitsch è su Instagram
7. Ha un profilo
Instagram. Come per la maggior parte dei suoi colleghi,
anche Taylor Kitsch ha un aperto un proprio profilo Instagram,
inaugurandolo nel gennaio del 2018. Seguito da più di 324 mila
persone, il suo account pullula di foto di ogni tipo: sono molti i
post dedicati alla natura e alle bellezze che l’attore ammira nei
suoi viaggi, senza contare le numerose foto che lo vedono
protagonista dei propri progetti lavorativi e di momenti di
ordinaria quotidianità, concedendosi anche dei post nostalgia.
Taylor Kitsch: chi è la sua fidanzata
8. È stato fidanzato con
Rachel McAdams. Taylor Kitsch e Rachel McAdams
pare che si conoscessero già da qualche anno prima di trovarsi a
lavorare insieme sul set della seconda stagione di True
Detective. Nessuno, però, si era immaginato che tra i due
potesse nascere qualcosa: insomma, il set è stato anche questa
volta fonte di complicità, tanto da frequentarsi per circa un anno.
I diretti interessati non hanno rivelato mai nulla sulla vicenda,
mantenendo il più stretto riserbo. In ogni caso, la loro
frequentazione è durata poco, tanto che nella metà del 2016 la
McAdams già si frequentava con l’attuale compagno Jamie
Linden.
Taylor Kitsch è Gambit
9. Ha cercato di rendere
giustizia al personaggio di Gambit. Nel 2009, Taylor
Kitsch ha dato vita al personaggio di Gambit in X-Men: le
origini – Wolverine, cercando di dare il massimo. L’attore ha
rivelato di aver voluto entrare nel film e collaborare con Hugh Jackman
nel migliore dei modi, sentendo di aver dato tutto quello che gli
fosse possibile per impersonare Gambit.
10. Ucciderebbe pur di
interpretare nuovamente Gambit. Ormai sono anni che si
rincorrono voci su voci circa la realizzazione di un film su
Gambit, un po’ nello stile di Logan e di Deadpool. Anche se
Channing Tatum ha confermato da un pezzo di
esserne il protagonista, Kitsch ha espresso la forte volontà di
interpretarlo nuovamente, tanto che “ucciderebbe” per poterlo fare.
Ad oggi non sebrano esserci ulteriori sviluppi o notizie
riguardanti il progetto, che sembra essere andato incontro ad una
cancellazione più o meno definitiva.
Dopo le aspre critiche seguite a
John Carter, Battleship e Le
Belve, Taylor Kitsch vorrebbe sicuramente
dimenticare il 2012, anno per lui disastroso a livello di
popolarità. Eppure l’attore sembra non volersi arrendere, e dopo
essersi rialzato ed aver leccato le ferite, eccolo pronto a
partecipare come protagonista ad un nuovo horro-thriller Exit
147.
Il nuovo lungometraggio, diretto da
Julian Jarrold (Kinky Boots, Red
Riding 1974) e scritto da Travis Malloy
(autore di Pandorum), racconta la terribile
esperienza di un guidatore che viene arrestato da un sadico e
malefico sceriffo di una cittadina abbandonata. Tenuto in ostaggio
e torturato da una folla di sadici paesani, l’uomo dovrà sfuggire
dalle grinfie del pericoloso tutore della legge. Kitsch, che
dovrebbe interpretare proprio il ruolo del sadico sceriffo, si
troverebbe a confrontasi con un personaggio molto diverso rispetto
alle figure eroiche a cui è stato recentemente abituato. Prima di
allora però lo rivedremo in Navy SEAL, diretto da
Peter Berg e nella commedia The Grand
Seduction di Don McKellar, attualmente in
fase di riprese.
Considerato a ragione uno dei film
d’azione meglio riusciti degli ultimi anni, The
Raid è già in fase di pre-produzione per un remake a
stelle e strisce prodotto proprio dal regista del lungometraggio
originale, Gareth Evans (in questo momento
impegnato con la stesura del terzo e ultimo capitolo).
Adesso, The Wrap riporta la notizia
che il ruolo del protagonista del remake sarebbe stato offerto a
Taylor Kitsch, star di Battleship, John
Carter e Lone Survivor. Ricordiamo che Kitsch sarebbe anche
tra i favoriti per interpretare uno dei protagonisti della seconda
stagione di True Detective; probabilmente, quindi, sarà
impossibile per l’attore prendere parte ad entrambi i progetti.
Il film, in sviluppo da diverso
tempo, è stato scritto da Brad Inglesby (Out
of the Furnace), mentre Patrick Hughes (I
Mercenari 3) sarà il regista della pellicola.
Vi terremo aggiornati sulla presenza o meno di Kitsch
all’interno del film.
Taylor Kitsch si unisce al cast di
American Assassin che comprende già nomi
importanti come la giovane star Dylan O’Brien e il veterano
Michael Keaton.
La scorsa stagione abbiamo visto
Taylor Kitsch in True Detective
2 al fianco di Rachel McAdams e
Colin Farrell.
Firefighter: anche
Jeff Bridges e Taylor Kitsch per Joseph Kosinski
Il film sarà diretto dall’acclamato
regista Michael Cuesta (Kill the
Messenger, Homeland, LIE) e sceneggiato da
Stephen Schiff (The Americans,
Ultimate Rush). Alla produzione troveremo invece
Lorenzo di Bonaventura (Transformers,
Red) e Nick Wechsler
(The Road, Magic Mike).
Nel film Michael
Keaton interpreterà Stan Hurley, un veterano della Guerra
Fredda conoscosciuto solo da alcuni membri della CIA. La storia
inizia quando Hurley riceve il compito di addestrare Mitch Rapp
(Dylan O’Brien), un agente devastato dalla perdita
della sua fidanzata, morta durante un attacco terroristico. I due,
insieme ad un altro agente turco, dovranno affrontare una missione
per cercare di fermare un’operazione che potrebbe causare l’inizio
della Terza Guerra Mondiale in Medio Oriente.
American
Assassin sarà l’ultimo film rilasciato dalla
CBS Films in collaborazione con la
Lionsgate.
Distintosi per i suoi ruoli
televisivi, l’attore Taylor Kinney è ad oggi
l’affermato protagonista di una serie di successo come Chicago
Fire, ma negli anni ha partecipato anche ad importanti
pellicole cinematografiche. Collaborando con noti attori e registi,
Kinney ha avuto modo di maturare il proprio talento, diventando una
delle star più seguite della televisione. Ecco 10 cose che
non sai di Taylor Kinney.
Parte delle cose che non sai
sull’attore
Taylor Kinney: i suoi film e le
serie TV
10. È tra i protagonisti di
una celebre serie TV. L’attore debutta in televisione nel
2006 partecipando alla serie Fashion House, dove ricopre
il ruolo di Luke Gianni. Successivamente entra a far parte del cast
di Trauma (2009-2010), per poi recitare in serie come
The Vampire Diaries (2010-2011), CSI: NY (2011),
Shameless (2012), Castle
(2012), Dating Rules from My Future Self (2012),
e I signori della fuga (2012). Dal 2012 ricopre invece il
ruolo di Kelly Severide in Chicago
Fire, dove recita accanto all’attore Jesse
Spencer. È apparso nello stesso ruolo anche in
Chicago Med e Chicago P.D., dove ha recitato con
Jason Beghe, Marina
Squerciati e Sophia
Bush.
9. Ha preso parte a noti
film. Poco dopo aver debuttato in televisione, l’attore
sbarca anche sul grande schermo, recitando nei film White
Air (2007), Furnace (2007), e Scorpio Men on
Prozac (2010). Comincia a farsi notare di più nel momento in
cui prende parte a film come Zero Dark
Thirty (2012), con l’attrice JessicaChastain, Tutte contro
lui (2014), con Cameron
Diaz, Rock the Kasbah
(2015), con Bill Murray, Jukai – La foresta dei
suicidi (2016), con Natalie
Dormer, e Qui e ora (2018).
8. Ha ottenuto un importante
riconoscimento. Grazie al suo ruolo in Chicago
Fire l’ttore ha potuto consacrare la propria celebrità.
Ulteriore elemento a riguardo è arrivando nel momento in cui
ottiene una nomination ai People’s Choice Awards nel 2015, vincendo
poi il medesimo premio l’anno seguente, nella categoria di miglior
attore televisivo drammatico.
Taylor Kinney è su Instagram
7. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 856 mila persone. All’interno
di questo l’attore è solito condividere fotografie scattate durante
momenti di svago, ma anche sui set a cui prende parte.
Particolarmente presenti sono anche le immagini promozionali dei
suoi progetti da interprete.
Taylor Kinney e Lady Gaga
6. Ha avuto una relazione
con la nota cantante. Kinney diventa motivo di celebrità
anche nel momento in cui viene rivelata la propria relazione con la
cantante e attrice Lady Gaga, conosciuta nel 2011
durante le riprese del videoclip Yoü and I. I due hanno
proseguito la propria relazione negli anni successivi, destando
molto interesse da parte dei media, e arrivando a fidanzarsi
ufficialmente nel 2015. Tuttavia, nel 2016 annunciano la
separazione.
Parte delle cose che non sai
sull’attore
Taylor Kinney in Yoü and
I
5. Ha recitato nel videoclip
di Lady Gaga. L’attore ha avuto un ruolo particolarmente
rilevante nel videoclip Yoü and I, dove in modo metaforico
dà vita ad un amore tormentato, fatto di passione ma anche di
violenza. A proposito delle scene con l’attore, Gaga ha infatti
affermato che esse enfatizzano il fatto che i rapporti certe volte
non vanno alla grande, ma che è sempre lecito provarci.
Taylor Kinney e la sua nuova
fidanzata
4. Ha una nuova
fiamma. A partire dal 2018 l’attore sembrerebbe impegnato
in una relazione con Alanna DiGiovanni, di professione radiologa.
Non si sa molto sui due, particolarmente impegnati a tenere privata
la loro vita sentimentale, ma in diverse occasioni sono stati
avvistati insieme, condividendo momenti lontano dal lavoro.
Taylor Kinney non è autore di
libri
3. Non ha scritto
romanzi. Numerosi fan si sono chiesti se Kinney fosse
l’autore di romanzi erotici come Maddox. Tuttavia, si
tratta solo di un omonimo, e l’attore non ha nulla a che fare con
la scrittura, tantomeno con questi romanzi in particolare. Divenuto
piuttosto noto il loro autore, tuttavia, ciò ha comprensibilmente
destato l’interesse dei fan.
Taylor Kinney in Chicago Fire
2. È il co-protagonista
della serie. In Chicago Fire, l’attore ricopre il
ruolo di Kelly Severide, comparso in un totale di oltre 180
episodi. Nel corso delle varie stagioni il suo personaggio si
distingue per il suo eroismo, ma anche per la sua sfortunata vita
sentimentale. In breve è diventato tra i personaggi più apprezzati
della serie da parte del pubblico.
Taylor Kinney: età e altezza
1. Taylor Kinney è nato a
Lancaster, in Pennsylvania, Stati Uniti, il 15 luglio
1981. L’attore è alto complessivamente 180 centimetri.
Taxidermia è il
film del 2006 diretto da György Pálfi e con
protagonisti nel cast Csaba Czene, Gergely Trocsanyi,
Marc Bischoff, Geza Hegedus D., Adel Stanczel.
La trama
di Taxidermia
Tre generazioni di uomini, il
nonno Vendel (Czene), suo figlio Kalman (Trocsanyi), e il di lui
figlio Lajoska (Bischoff) attraverso tre periodi dal Secondo
conflitto mondiale passando per l’epoca della repubblica comunista,
fino ai giorni nostri.
Vendel è un soldato erotomane dalle
fantasie perverse e surreali, Kalman è un obeso campione di
abbuffata sportiva durante il regime comunista.
Lajoska, suo figlio, è invece un
esile imbalsamatore che cercherà di impagliarsi morendo, dopo aver
imbalsamato il padre divorato da enormi gatti…
La recensione del
film Taxidermia
Analisi: Il
secondo lungometraggio dell’ungherese Pálfi (dopo Hukkle, 2002),
presentato al 56esimo festival
di Cannes non ha trovato in Italia la meritata distribuzione. È
di sicuro un film per “stomaci forti”, con una visionarietà
debordante degna di Jodorowsky e con gli sberleffi
indigesti di un Makavejev o gli shock grotteschi
di un Ferreri nell’affrontare le tematiche tabù connesse al corpo
(sesso, cibo, morte). Ho fatto i nomi di tre registi di punta negli
anni ’70, e forse perché, a parte il giapponese Takashi Miike e un certo Cronenberg (quello di
Videodrome, La mosca, e Inseparabili), Pálfi non
ha parenti prossimi nella contemporaneità quanto a coraggio e
inventiva nel mostrare ciò che non siamo (più) abituati a
vedere.
Forse proprio per questo, non solo
il sottoscritto, ma anche altri che hanno detto qualcosa sul film
in esame (demonizzandolo o osannandolo comunque sempre molto al di
là dei suoi effettivi meriti e demeriti) si sono sentiti
immediatamente chiamati a cercare possibili parentele e referenti
nell’universo degli autori cinematografici. Forse semplicemente
perché ciò che in questo film vediamo non è nuovo, ma neppure
vecchio: è semplicemente differente. Proprio di fronte a qualcosa
di differente, il logico cerca di analizzare e classificare,
ipotizzare filiazioni e tassonomie. Ma il film si chiama invece
Taxidermia, per cui sarebbe più giusto attenersi
alla sua pelle, piuttosto che cercargliene altre.
L’idea del
film Taxidermia nasce da due racconti
dello scrittore ungherese Lajos Parti Nagy, trasposti in parte
nelle storie di Vendel e di Kalman. Dallo scrittore, Pálfi mutua il
senso del grottesco, nonché una certa attitudine al barocco
debordante ma filtrata da uno sguardo distaccato.
E così tanto le perversioni di
Vendel (la masturbazione praticata infilando il membro in una
fessura di una baracca di legno, per dirne una) quanto gli exploit
alimentari di Kalman (e il successivo “stretching” mediante vomito)
o l’autoimbalsamazione di Lajoska (praticata tramite una macchina
che lo tiene in vita e poi lo decapita) sono filmati con
un’attitudine non emotivamente partecipativa (rare sono infatti le
soggettive) anche quando la mdp sta “addosso” ai corpi e ai loro
interni.
Il mood generale con il quale sono
presentate queste vicende al limite dello shock è infatti di
distacco ironico e sardonico. Perciò si può anche ridere, quando in
un impeto d’orgoglio l’obeso Kalman, paralizzato dai chili di
troppo, dice al figlio Lajoska (il cui nome riecheggia in
vezzeggiativo quello dello scrittore da cui è tratto il soggetto
del film, Lajos) con vanto che c’è una tecnica di vomito (!) che
porta il suo nome.
Se il mood è di distacco ironico,
però, la mdp di Pálfi è tutt’altro che statica, benché non conosca
mai movimenti frenetici e il ritmo generale del montaggio non sia
mai serrato.
Si pensi a quando Vendel si china
su una vasca di legno e la mdp parte da un’inquadratura in plongée
per compiere una serie di carrellate circolari verso destra,
passando attraverso il pavimento e inquadrando diverse situazioni
che hanno come centro di riferimento proprio la vasca. Essa è quasi
una sorta di arca intorno alla quale ruotano le sue ossessioni
sessuali nonché il correlativo visivo di quanto dice il superiore
di Vendel: “la fica fa ruotare il mondo”.
Nella vasca fanno il bagno due
giovani donne che Vendel spia fantasticando, e lì avrà un rapporto
con la carcassa di un maiale immaginando di averne uno con la
grassa moglie del suo superiore. Che il rapporto fosse solo
immaginato o reale non è dato scoprirlo. Certo è che per questo
Vendel sarà ucciso dal suo superiore, la cui moglie partorirà
davvero un bambino, Kalman, ma dalla coda suina. Lo stesso
movimento rotatorio poc’anzi descritto sarà compiuto nuovamente
dalla mdp quando ci presenterà con una ellissi temporale Kalman
neonato (e castrato della sua coda suina) e poi adulto partecipare
alla competizione olimpica di abbuffate.
È come se il cerchio fosse figura
di una situazione senza uscita da ossessioni con un solo centro che
esistono per tre generazioni, uguali nei padri come nei figli. E
non già perché, come nelle tragedie greche, la colpa sia
ereditaria, perché di colpe qui non si parla, ma, appunto, solo di
ossessioni, quelle inconfessabili perché sgradite al pudore e al
buon gusto, destinate a perdurare anche oltre la morte di chi le ha
nutrite. Infatti, il corpo auto imbalsamato di Lajoska (Laio,
quindi, ma senza un Edipo che lo assassini, perché è egli stesso
anzi a liberare i famelici gatti che divoreranno suo padre Kalman),
che non ha avuto figli continuerà a resistere nel tempo e ad essere
ammirato anni dopo come un formidabile esperimento. Chi ne canta le
glorie nel finale in un asettico padiglione scientifico è in
qualche modo connesso alla morte/vita eterna di Lajoska. Si tratta
infatti di un uomo che ha consegnato al tassidermista un feto da
imbalsamare.
È significativo che i tentativi di
approccio alle donne da parte di Lajoska siano sempre falliti e
perciò egli non può trasmettere le proprie ossessioni a un figlio
(del resto, nell’universo del film, la donna è solo oggetto
generativo, assente, eppure è intorno a essa che ruota il mondo,
come dice il tenente di Vendel). Le sue ossessioni gli
sopravviveranno, vivendo nel suo corpo impagliato, trovando un
correlativo nel feto che un uomo (non una donna) gli ha consegnato,
per essere poi esaltate coram populi.
In questa farsa
visionaria non ho trovato, come qualcuno ha detto, la denuncia
delle colpe di certa intellighentjia filosovietica ungherese (e
non): ad esempio quella che con troppo ritardo ha ammesso i suoi
errori e non lo ha fatto per il ’56 dei carri armati sovietici a
Budapest. È pur vero che la parte centrale del film sulle
ossessioni di trionfo nell’abbuffata sportiva è ambientata
presumibilmente intorno agli anni ’50, ed è pur vero che il
comunismo in Ungheria ha mostrato a lungo segni di crisi fino al
fallimento del modello sovietico come falliscono le ossessioni dei
tre protagonisti.
Vedo
in Taxidermia un discorso che non può essere
ristretto alla denuncia politica (che se ci fosse, e costituisse la
chiave interpretativa del film, sarebbe comunque assai poco
approfondita), ma un racconto visionario dal tono più generale, da
apologo, quasi. Un apologo che in quanto tale non denuncia ma
addita i lati torbidi di certe ossessioni, il loro fallimento e il
loro trionfo, semmai questi possano coincidere e semmai possano
essere (a torto) glorificati.
Ecco il poster italiano dell’ultimo
film di Jafar Panahi, Taxi Teheran, Orso
d’Oro all’ultimo Festival di Berlino e simbolo della capacità
rivoluzionariamente pacifica dell’arte, che, come la vita, trova
sempre una sua strada.
Con l’ultimo Festival di
Berlino, Jafar Panahi ha rivelato al
pubblico “Taxi Teheran”. Il primo film che il regista
iraniano ha girato, da solo e in esterni dal 2010, piazzando
la telecamera sul cruscotto del suo taxi e mettendosi alla guida,
attore, per le vie di Teheran; questo nonostante il divieto di
girare imposto dal regime.
“Taxi Teheran” è un film
pieno di umorismo, poesia e amore per il cinema, osannato
unanimemente dalla critica di tutto il mondo, viene acclamato anche
dalla giuria presieduta dal cineasta americano Darren Aronofsky e
ottiene l’Orso d’oro oltre al Premio Fipresci che viene consegnato
alla piccola Hana Saeidi, nipote del cineasta e interprete
del film.
«Le restrizioni sono spesso
fonte d’ispirazione per un autore poiché gli permettono di superare
se stesso. Ma a volte le restrizioni possono essere talmente
soffocanti da distruggere un progetto e spesso annientano l’anima
dell’artista.
Invece di lasciarsi distruggere
la mente e lo spirito e di lasciarsi andare, invece di lasciarsi
pervadere dalla collera e dalla frustrazione, Jafar Panahi ha
scritto una lettera d’amore al cinema. Il suo film è colmo d’amore
per la sua arte, la sua comunità, il suo paese e il suo
pubblico...» così Darren Aronofsky,
Presidente della giuria del Festival di Berlino 2015, in occasione
della consegna dell’Orso d’oro a “Taxi Teheran”.
Venduto in oltre 30 paesi –
grande successo in Francia ad aprile con più di 500mila spettatori
– è il primo titolo di Cinema, la
nuova distribuzione di Valerio De Paolis,
improntata a scelte di qualità e di grande prestigio, che lo farà
uscire il 27 agosto per la riapertura della nuova stagione
cinematografica.
Valerio De Paolis, che ha fatto
conoscere in Italia, grazie alla Bim da lui fondata, il cinema
internazionale più premiato e di successo nel mondo, con la sua
nuova società Cinema – a partire
da “Taxi Teheran” – da qui a Natale, distribuirà
alcuni titoli come i documentari su Ingrid Bergman di Stig Bjorkman
e Orson Welles di Chuck Workman (nel centenario della nascita) e i
film di fiction “An” di Naomi Kawase (film d’apertura di
Un Certain Regard) e “Much Loved” di Nabil Ayouch
(film della Quinzaine a Cannes censurato dalle autorità
marocchine). Con la Bim distribuirà la Palma d’Oro
“Dheepan” di Jacques Audiard e “Mountains May
Depart” di Jia Zhangke (in concorso ufficiale a Cannes).
A Jafar Panahi,
regista iraniano, è stato vietato di girare film dal regime del suo
Paese, pena la prigione. Quindi decide di piazzare una videocamera
in un taxi che lui stesso guida e raccontare una storia attraverso
le persone che salgono e scendono dal suo mezzo.
Si potrebbero fare molti discorsi su
Taxi Teheran. Primo fra tutti quello che
ovviamente riguarda la libertà di espressione e di opinione, anche
delle brutture del proprio Paese. Ogni Stato cerca sempre di
garantire che la sua immagine sia la migliore possibile, ma
l’opinione differente o contrastante al regime comune, vedi a
esempio Michael Moore negli Stati Uniti, è
tollerata. Poi magari massacrata in sede legale, come anche nel
caso di Edward Snowden o di Julian
Assange e Wikileaks. Sono piccoli tentativi di non far
passare il dissenso, quello migliore, quello fatto di opinioni che
fanno ragionare.
Jafar Panahi
ha subìto lo stesso destino in un Paese che però non è famoso per
la sua tolleranza e democrazia, l’Iran, ma, piuttosto che scegliere
la soluzione più semplice e logica, andarsene da lì, ha deciso di
trovare un modo per raccontare il suo Paese nel modo più diretto
possibile, dal volante di un taxi che attraversa le caotiche strade
di Teheran.
Così tra un venditore improvvisato
di cd e dvd e un’amica avvocato che in cinque minuti riassume la
situazione e le lotte per il diritto alla libertà di espressione
che vanno avanti nel paese, una nipote che è una forza della natura
ma che nella sua genuinità rappresenta anche come la scuola sia un
ambiente dove il pensiero pubblico e statale può essere formato, e
due signore superstiziose, entriamo in uno spaccato di vita
iraniana che è tanto semplice quanto prezioso.
Non si tratta di un documentario, è
evidente la storia che il regista vuole raccontare, e il principio
è simile, volendo a Night on earth-taxisti di
notte di Jim Jarmusch, che metteva in
scena cinque notti in cinque punti diversi del mondo. E’ uno
spaccato di vita di Teheran, ma anche un discorso sulla libertà di
espressione e sulla necessità di raccontare storie attraverso il
cinema.
Il film ha vinto l’orso d’oro
all’ultimo festival di Berlino ed esce in sala grazie a
Valerio De Paolis, il prossimo 27 Agosto.
Alla 18esima edizione della
Festa del
Cinema di Roma, Caterina Carone aveva incantato il pubblico con
I limoni
d’inverno, una delicata riflessione su due solitudini che
ritrovano la gioia di vivere l’una nell’altra. Un tema simile è al
centro di Taxi Monamour di Ciro
De Caro, presentato alla 21esima edizione delle
Giornate degli Autori durante la
Mostra del Cinema di Venezia. Questa volta, però, sono
due donne a dominare la scena: Anna e Nadiya, interpretate
rispettivamente da Rosa Palasciano, qui anche in
veste di sceneggiatrice, e Yeva Sai, nota per il
ruolo di Alina in Mare Fuori. Il film, distribuito da Adler
Entertainment, ha debuttato nelle sale il 4 settembre.
Taxi Monamour, la trama
Anna e Nadiya sembrano due persone
diverse, ma in realtà entrambe condividono la stessa solitudine e
un dolore enorme. Anna è provata dalla sua malattia, che non ha
svelato alla sua famiglia con la quale ha un rapporto conflittuale,
mentre Nadiya è stanca di vivere in Italia e vorrebbe tornare in
Ucraina, da cui era fuggita a causa della guerra. Il loro incontro
sarà un toccasana per le loro vite in disequilibrio: condividendo
momenti di spensieratezza, le due donne si lasciano andare a
parentesi di leggerezza e libertà, che le aiuta ad affrontare
meglio il loro complesso percorso. La meraviglia di un’amicizia
reale, che non ha interessi come quella delle due protagoniste, è
che può alleggerirti il pesante carico e renderti, per un attimo,
felice.
Due solitudini che si
incontrano
Come ha spiegato la stessa
Palasciano, Taxi Monamour è nato da un’immagine potente:
due donne sedute su una spiaggia in inverno, osservando il mare. Un
frammento di quotidianità intriso di malinconia, stemperato però da
momenti di leggerezza e intimità. Non c’era bisogno di molte
parole, perché la loro semplice presenza l’una accanto all’altra
era già carica di significato. Questo istante è stato trasformato
da De Caro in un film delicato e poetico, costruito sulle spalle di
due personaggi femminili che colpiscono per la loro intensità e
autenticità. Anna e Nadiya portano con sé ferite
profonde: la malattia da un lato, la guerra dall’altro. Il
loro incontro non mira a “salvarsi” a vicenda, ma piuttosto ad
alleviare il dolore delle loro ferite in modo assolutamente dolce.
La loro relazione non è una cura, ma una
tregua emotiva, un sollievo nato dalla compagnia e dalla
solidarietà femminile, che innesca in loro un senso di libertà.
La macchina da presa si
avvicina alle protagoniste con delicatezza, costruendo un
racconto visivo che esplora la bellezza della complicità e del
supporto reciproco. Anna e Nadiya sono seguite con affetto e
rispetto: il regista ha infatti saputo catturare l’intimità di
un’amicizia che si nutre di sincerità e supporto reciproco, senza
mai esagerare. La sua capacità di immortalare momenti di
connessione vera tra le due donne diventa così il cuore pulsante di
un film che celebra la forza di un legame nato dalla condivisione
delle proprie fragilità. Le interpretazioni di Rosa Palasciano e
Yeva Sai sono commoventi e ben eseguite, dimostrando di avere
quella chimica necessaria che dona al film la sua forza emotiva.
Entrambe le attrici offrono performance toccanti, in grado di
trasmettere la complessità dei loro personaggi senza mai cadere nel
sentimentalismo. Ed è soprattutto grazie a questo che Taxi
Monamour riesce a coinvolgere totalmente lo spettatore,
lasciandolo non indifferente una volta sopraggiunti i titoli di
coda.
Sono in corso a Roma le riprese del
film Taxi
Monamour, quarto lungometraggio di Ciro
De Caro (Spaghetti Story,
Giulia). Prodotto da Simone
Isola e Giuseppe Lepore per
Kimerafilm, in associazione con Michael
Fantauzzi per MFF, in collaborazione con
Rai Cinema, con Adler
Entertainment e con il contributo del Ministero
della Cultura, il film racconta l’incontro tra due donne
all’apparenza diverse ma che in fondo si assomigliano molto. Anna è
in conflitto con se stessa e la propria famiglia e affronta in
solitudine la sua malattia; Cristi fugge da una guerra che la tiene
lontana da casa. Tutti consigliano ad Anna di seguire il suo
compagno in un viaggio di lavoro e a Cristi di restare al sicuro in
Italia. L’incontro, seppur breve, sarà un tuffo nella libertà.
Nel ruolo di Anna, in Taxi
Monamour troviamo Rosa
Palasciano che, dopo il successo e la candidatura ai
David di Donatello per
Giulia, torna ad essere diretta da De
Caro e a firmare con lui la sceneggiatura. Ad interpretare Cristi è
invece Yeva Sai, attrice ucraina che sarà tra le
protagoniste della quarta stagione di Mare
fuori.
“Girare questo film mi dà la
possibilità di continuare ad esplorare un linguaggio
cinematografico allo stesso tempo rigoroso e molto libero”,
dichiara De Caro. “È la storia di un incontro casuale ed
intenso e il mio tentativo – prosegue il regista – è
quello di essere un testimone silenzioso e discreto che, osservando
la vita di queste due donne, possa cogliere qualcosa di intimo e
molto vero, in maniera leggera, cruda e priva di giudizio, anche se
con uno sguardo estremamente personale“.
“La sfida diTaxi
Monamour – aggiungono i produttori – è quella
di accompagnare un autore come Ciro De Caro in un contesto
produttivo diverso senza condizionarne lo stile e il linguaggio ma
valorizzandone la capacità di lavorare con attori e costruire con
loro delle storie. Un salto di qualità che il suo talento crediamo
meriti e che abbiamo deciso con entusiasmo di supportare. Rosa
Palasciano e Yeva Sai sono il cuore del film, e siamo
convinti che le loro prove di attrici emozioneranno profondamente
gli spettatori e riveleranno al pubblico due grandi
interpreti”.
Le riprese si stanno svolgendo a
Roma e avranno una durata complessiva di cinque settimane. Taxi
Monamour verrà distribuito in Italia da
Adler Entertainment.
La recensione del film
cult del 1976, Taxi Driver diretto da
Martin Scorsese e con
protagonisti Robert De Niro, Jodie Foster e
Harvey Keitel.
Taxi Driver è un film del 1976 diretto da
Martin Scorsese e scritto da Paul Schrader, vincitore della Palma
d’oro al 29º Festival
di Cannes. Il primo film-denuncia sugli effetti negativi
della guerra in Vietnam sui reduci, benché non lo faccia in modo
esplicito, ma in modo brillantemente sottinteso. La nevrosi di
Trevis è talmente ben raffigurata da De Niro che pare
materializzarsi e poter essere toccata con mano. Una certa polemica
viene destinata anche all’universo femminile, a volte
eccessivamente auto-idealizzato e verso la politica e la sua
ipocrisia. La colonna sonora di Bernard Herrmann fa il resto.
Travis, ex marines in Vietnam, si
fa assumere come tassista notturno poiché da quella brutta
avventura non riesce più a dormire serenamente. Vive così la strada
di notte, con i suoi “mostri” e i suoi “fantasmi”, che egli senza
mezze misure ritiene rifiuti della società. Non riesce nemmeno a
frequentare o anche semplicemente a parlare con qualche donna, e
soffoca questa incapacità recandosi spessissimo ad un Cinema porno.
Nota però una donna dall’aspetto angelico. Betsy, che lavora nello
staff di un senatore candidato alle presidenziali, l’on. Palantine;
e per avvicinarsi a lei finisce anche per appassionarsi alla
politica di quest’ultimo, sebbene non ne conosca minimamente le
idee politiche. Ben presto però la solitudine tornerà a fargli
compagnia, ma riuscirà anche a farsi valere.
Taxi Driver, il capolavoro di
Martin Scorsese
Considerato da molti uno dei più importanti e
controversi film del cinema statunitense, è stato acclamato per le
sue scene di forte impatto e per il suo ruvido realismo. Il film ha
reso celebri entrambi i suoi attori protagonisti, Robert De Niro e
Jodie Foster, quest’ultima solo tredicenne quando il film fu
distribuito. Di spessore anche l’interpretazione della bella Cybill
Shepherd e di Harvey Keitel, che Scorsese aveva già reso celebre
nel film Mean Streets.
Taxi Driver fu un
successo commerciale, ricevette diverse nomination al Premio Oscar
e fu premiato al Festival di Cannes con la Palma d’oro. Negli anni
successivi è stato inserito al 47º posto nella lista AFI’s 100
Years… 100 Movies redatta dall’American Film Institute. Nel 1994 è
stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della
Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. È stato inserito da
Quentin Tarantino nella lista dei suoi 12 film preferiti al terzo
posto. A colpire molto la critica e il pubblico sono stati due
fattori: la sparatoria finale, per l’epoca, molto intensa; la quale
ha mantenuto il suo impatto visivo ancora oggi. Nel tentativo di
evitare il massimo divieto della censura, Scorsese desaturò i
colori della pellicola, rendendo il rosso del sangue meno
appariscente. In alcune interviste rilasciate in seguito, Scorsese
commentò che col tempo aveva apprezzato il cambiamento dei colori,
considerandolo un miglioramento rispetto al girato originale (che
non è possibile vedere perché andato perduto).
Il secondo fattore è la presenza di
un’attrice appena tredicenne, nel ruolo di una giovane prostituta.
Trattasi di Jodie Foster. In particolare, a destare scalpore è la
presenza della ragazzina nella sopra citata scena della sparatoria
finale; ma come lei stesso affermò, fu eseguito con un occhio di
riguardo per lei, che non ne rimase traumatizzata e che il
backstage di preparazione degli effetti speciali suscitò in lei
molto interesse.
Tra le varie curiosità che esso ha
suscitato, si ricorda la scena finale che ritrae Travis aggiustare
nervosamente lo specchietto retrovisore non appena Betsy (la
collaboratrice del Senatore Palantine, interpretata
dall’affascinante Cybill Shepherd) lascia il taxi a pochi
fotogrammi dai crediti finali. Scorsese ha commentato i momenti
finali del film dicendo che il rapido sguardo quasi nevrotico di
Travis allo specchietto potrebbe rappresentare la possibilità che
Travis possa soffrire di nuovo di depressione e scatti d’ira in
futuro. Questo finale quasi aperto è stato paragonato a quello di
Arancia meccanica di Stanley Kubrick, in cui
Malcolm McDowell nei panni di Alex DeLarge sembra
riconquistare il suo lato sociopatico nella sua battuta finale:
«Ero guarito, eccome!».
Tra le altre curiosità sul film
ricordiamo: inizialmente Martin Scorsese
scelse Dustin Hoffman per la parte di Travis
Bickle, ma l’attore rifiutò e la parte andò a De
Niro. Quando nel film Iris si accinge a slacciare i
pantaloni a un Travis riluttante, a recitare fu la sorella maggiore
della Foster (allora diciannovenne), quasi sua sosia, per evitare
la partecipazione di una minore a scene ad alto tasso di
eccitazione sessuale. La Foster, come detto allora
dodicenne, dovette passare quattro ore con uno psichiatra prima di
ottenere la parte (la quale era stata prima offerta a
Melanie Griffith, che rifiutò). Furono utilizzate
dal regista modalità di ripresa alquanto innovative per l’epoca
come quando Travis telefona e la telecamera si sposta al corridoio,
o quando De Niro è nel deposito dei taxi e
l’inquadratura smette di seguirlo per soffermarsi su altri
particolari. Infatti il raccordo di sguardo a semi-soggettiva, non
segue tradizionalmente il protagonista nel deposito, ma la
telecamera compie un giro panoramico, per poi ritrovare il
protagonista più avanti.
De Niro recitava
parallelamente sia nel film di Scorsese sia in
Novecento di Bertolucci,
girato in Italia proprio nello stesso periodo. Inoltre l’attore ha
lavorato come tassista nei sei mesi antecedenti alle riprese, e ha
studiato le malattie mentali. Nel film compare anche Martin
Scorsese, il quale interpreta la parte del marito che osserva sua
moglie dal taxi di Travis. L’attore che doveva recitare
quella parte fu costretto a rifiutare a causa di un infortunio.
Martin Scorsese si vede anche quando Betsy entra
nell’ufficio, seduto vicino alle scale.
La scena più famosa del film è
probabilmente quella in cui Travis fa pratica con la pistola
davanti allo specchio ed inizia un monologo in cui si rivolge alla
sua immagine riflessa: «Ma dici a me? Ma dici a me? … Ma dici a
me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io
qui». Questa scena non era prevista nel copione, che indicava
solo «Travis guarda in uno specchio», ma De Niro
decise di aggiungere delle battute per calarsi nella personalità di
Travis. A Scorsese piacque così tanto che decise di tenerla nel
montaggio finale.
L’autore della colonna sonora è
come detto il celebre Bernard Herrmann
(1911-1975), noto per la sua collaborazione con Alfred
Hitchcock (in particolare per Psycho). Fu la sua ultima
composizione, poiché Herrmann morì prima che il
film uscisse nelle sale. Taxi Driver è
dedicato alla sua memoria. Il pezzo principale è “Twisted nerve”,
capolavoro in chiave jazz. Il finale ha lasciato spazio a molte
fantasie riguardo ad un sequel. Voci tornate in auge anche nel
corso del 2010. Scorsese ha dichiarato più volte
di non avere intenzione di realizzarlo. Ma visto che proprio nel
2010 molti sono stati i sequel anche a distanza di decenni, non si
esclude un ritorno di Trevis e le sue manie.
Lo sceneggiatore di Taxi Driver Paul
Schrader esprime la propria opinione riguardo una teoria
riguardante il finale del film e la possibile morte di Travis
Bickle. Uscito nel 1976, il film diretto da Martin Scorsese
rimane una delle opere più acclamate del regista, in cui Robert De Niro
interpreta in modo memorabile il ruolo da protagonista di Bickle,
un veterano instabile con desideri sempre più violenti. Il climax
del film, come noto, vede Bickle ferito in una raccapricciante
sparatoria da lui provocata. Ora, in una risposta a una domanda su
Facebook, Schrader chiarisce le
sue intenzioni riguardo al finale di Taxi Driver.
Come noto, tale finale è
sorprendentemente violento. Travis, decidendo di salvare Iris
(Jodie Foster),
una prostituta adolescente, entra nel bordello dove lavora e uccide
il suo magnaccia e uno dei clienti di Iris, riportando diverse
ferite da arma da fuoco nel processo. Egli sembra però sopravvivere
a tale scontro a fuoco, venendo poi riconosciuto come un vero e
proprio salvatore, quando solo poche scene prima aveva cercato di
portare a termine un attentato alla vita di un politico. In ogni
caso, dopo la sparatoria Travis torna a fare il suo lavoro di
tassista, di fatto ritrovandosi in un certo senso di nuovo
intrappolato nella propria quotidianità.
Una teoria popolare che circola da
tempo, però, presuppone che Bickle in realtà muoia durante la
sparatoria culminante e che le scene finali del film siano in
realtà frutto della sua immaginazione, prima di spegnersi per
sempre. Schrader, tuttavia, afferma che non è così che vede il
finale. Il commento a cui ha replicato chiedeva infatti sé
“l’ultima sequenza è la fantasia morente di Travis”, al
quale Schrader ha dunque risposto con un “non era nostra
intenzione ma è un’interpretazione legittima“. Se dunque da
una parte Schrader afferma che non c’è niente di sbagliato nel
credere che Bickle muoia davvero, egli non condivide questa
possibilità, la quale negherebbe il senso ultimo del film.
Il 1976 è stato un anno fondamentale
per il cinema. Gli spettatori hanno potuto assistere a classici
istantanei come Rocky, Carrie – Lo sguardo di Satana e Tutti gli uomini
del presidente. Ma il film più sconvolgente e controverso di
quell’anno è indubbiamente Taxi Driver (qui
la recensione). Diretto da Martin Scorsese, questo cupo racconto di
alienazione, tentati omicidi e malattie mentali vinse la Palma
d’Oro a Cannes, ottenne diverse nomination agli Oscar ed è stato
ampiamente acclamato come uno dei migliori film di tutti i
tempi.
Ma se Taxi Driver è
un capolavoro del cinema, rilevante oggi come lo era quasi 50 anni
fa, il finale del film ha suscitato – e continua a suscitare – un
certo dibattito. Nei momenti finali del film, il protagonista
(interpretato da Robert
De Niro) entra in uno squallido hotel e dà vita ad una
terribile sparatoria. Quel che accade da qui in poi è ancora oggi
oggetto di discussione. Numerose teorie sono emerse nel corso dei
decenni riguardo al significato delle ultime scene del film, ideate
come volutamente ambigue da Scorsese per sottolineare la complessa
natura dell’inquietante protagonista.
Travis Bickle, l’uomo solitario di
Dio
Interpretato alla perfezione da
Robert De Niro, Travis Bickle
è uno dei personaggi più iconici del cinema. Indossa la giacca
verde dell’esercito, ha l’abitudine di fare domande retoriche e da
un certo punto in poi sfoggia un’intimidatoria cresta mohawk. Più
di tutto, però, colpisce la follia nei suoi occhi. Veterano della
guerra del Vietnam che vive nella New York degli anni ’70, Bickle
ha problemi a reinserirsi nella socità e a dormire la notte, così
trova lavoro come autista di taxi. Trascorre ore e ore all’interno
dell’auto, girando su e giù per le strade di Manhattan, osservando
i papponi, gli afroamericani, i pusher e le prostitute e sognando
una pioggia che li spazzi via tutti.
A parte alcuni colleghi tassisti,
Bickle è completamente isolato dal mondo. Il suo unico vero
compagno è il diario in cui condivide i suoi pensieri sempre più
deliranti. E Bickle ha molto da dire sul mondo: scrive della sua
solitudine, del suo disprezzo per l’umanità e ci rendiamo subito
conto che ha dei grossi problemi di salute mentale. Ogni giorno e
ogni notte, la sua presa sulla realtà diventa sempre più debole, la
sua rabbia continua a ribollire e a ribollire (come la pastiglia
effervescente che vediamo ad un certo punto), fino al momento in
cui dovrà esplodere.
Travis Bickle è quindi fortemente
antisociale. Sia che prenda pillole nel suo appartamento o che
guardi il mondo attraverso il parabrezza, è sempre solo. Non ha
legami con nessuno, almeno fino quando non incontra
Betsy (Cybill Shepherd), che per
Travis è pura e perfetta. Alla fine decide di chiederle di uscire,
così entra nel suo posto di lavoro – lei è consulente per la
campagna elettorale del senatore Charles Palantine
(Leonard Harris), un uomo che ha intenzione di
conquistare la Casa Bianca – e fa una solida prima impressione.
Betsy è colpita, trovando Travis misterioso e affascinante, ma
quando il tassista la porta fuori, capisce subito di aver fatto un
grosso errore.
Al loro primo appuntamento
ufficiale, Travis porta Betsy in un cinema a luci rosse, provocando
la fuga di lei, che se ne va dicendo a Travis che la loro breve
relazione è definitivamente finita. Naturalmente Travis non prende
bene la notizia. Si precipita nel suo ufficio, minaccia il suo
collega con alcune mosse di karate e urla che Betsy è “proprio
come gli altri”, la feccia della società che Travis odia
tanto. Sentendosi tradito e disprezzato, la rabbia di Travis inizia
a diventare ancora più incontenibile. E ora che è stato respinto,
il tassista inizia a percorrere un oscuro cammino di vendetta.
Il marito, il trafficante di armi e
il ladro
Dopo l’incidente con Betsy, Travis
incontra rapidamente tre persone che cambieranno la sua vita per
sempre. Il primo è un uomo inquieto, sboccato, con le sopracciglia
folte e un brutto carattere (interpretato dal regista Martin Scorsese in uno dei suoi cameo più
celebri). Sale sul retro del taxi di Travis e lo fa guidare fino a
uno squallido complesso di appartamenti dove può spiare sua moglie.
Si scopre che la donna ha una relazione e il marito, geloso, inizia
a farneticare su come la farà fuori con una 44 Magnum. Travis è già
alle prese con pensieri pericolosi, e imbattersi in questo
aspirante assassino non aiuta di certo.
Ispirato dal monologo misogino
dell’uomo, Travis si incontra con un trafficante d’armi di nome
Weasley (Steven Price) e non a
caso acquista una 44 Magnum. Naturalmente, quella pistola mostruosa
non è l’unica arma con cui Travis se ne va: acquista quattro armi
da fuoco ed è chiaro che sta progettando qualcosa di grosso e
sanguinoso. Ma parlare e camminare sono due cose molto diverse. E
sì, Travis è un veterano chiaramente segnato (sia fisicamente che
mentalmente), ma trovarsi faccia a faccia con il proprio bersaglio
e premere il grilletto è molto diverso dallo sparare a un soldato
nemico da lontano.
Travis può quindi avere la stoffa
per un omicidio a sangue freddo? Evidentemente sì e ne abbiamo una
prima prova quando Travis sta facendo la spesa in un minimarket. In
quel momento un ladro si avvicina alla cassa e chiede tutti i
soldi. Senza esitare, Travis estrae una pistola, la punta alla
testa del ladro e gli fa esplodere il cervello su tutto il bancone.
È il primo gesto di violenza che dimostra come Travis stia per
esplodere e che indubbiamente ci saranno altri omicidi.
L’importanza di Iris
Travis Bickle ha dei seri problemi
quando si tratta di donne e odia assolutamente le lavoratrici del
sesso che vede per strada. Tuttavia, la pensa diversamente su
Iris “Easy” Steensma (Jodie
Foster), una prostituta che continua a scorgere
durante i suoi giri notturni in città. In breve, decide dunque di
diventare il suo angelo custode. Ma cosa la rende diversa dalle
altre prostitute? Iris ha solo 12 anni e mezzo. Quando Irish si
presenta per la prima volta, salta sul retro del taxi di Travis e
lo implora di andarsene prima di essere trascinata via dal suo
protettore Matthew, alias Sport
(Harvey Keitel).
Dopo aver litigato con Betsy, Travis
cerca quindi Iris e la incoraggia a lasciarsi alle spalle la sua
vita notturna. Ma la giovane sostiene di essere stata strafatta la
sera in cui è salita sul suo taxi. Ma ora che è pulita, sembra che
sia confusa su ciò che vuole: una parte di lei vuole restare e una
parte vuole tornare dai suoi genitori. Verso la fine del film,
quindi, Travis riempie una busta di denaro per Iris, in modo che
possa fuggire dalla Grande Mela. Sfortunatamente, Sport la tiene in
pugno e non la lascerà andare tanto presto. Inutile dire che Travis
pensa che Sport sia un degenerato, ma i suoi motivi per aiutare
Iris non sono poi tanto equilibrati.
Se da un lato è preoccupato per il
suo benessere, dall’altro si vede come un giusto cavaliere bianco
incaricato di ripulire la città. E ogni volta che interagisce con
Iris, non fa altro che rafforzare la sua immagine di supereroe in
carne e ossa, un’idea che spingerà Travis su una strada intrisa di
sangue. L’incontro con Iris e la dimostrazione di come ciò che è
puro venga corrotto e trattenuto nella corruzione dalle
incarnazioni di una società depravata è quindi la goccia che fa
traboccare il vaso. Travis raccoglie le sue pistole, si attacca un
coltello allo stivale e si rade la testa. Sfoggiando un mohawk e la
sua giacca verde dell’esercito, Travis è ora pronto a ripulire il
mondo.
L’assassinio del senatore Palantine
Travis intende farsi notare
uccidendo il senatore Charles Palantine, il capo
di Betsy e l’uomo in corsa per la nomination presidenziale. Il
senatore sta tenendo un comizio nelle vicinanze e Travis intende
dargli un appoggio fatto di piombo. Sa che a sua volta non
sopravviverà a quell’attentato e gli va bene così. Ha scritto una
lettera d’addio ai suoi genitori, ha lasciato dei soldi a Iris e
ora se ne va in un tripudio di gloria mentre Betsy lo guarda,
seduta a pochi posti di distanza da Palantine. Scegliere il capo di
Betsy come bersaglio non è assolutamente una coincidenza.
Palantine è per lui l’incarnazione
dell’ipocrisia. Era convinto che quel politico potesse
effettivamente ripulire la città, ma si è infine reso conto che è
solo l’ennesimo prodotto della degerazione che in essa imperversa.
Tuttavia, mentre Travis si dirige verso il senatore, viene
individuato da un agente dei servizi segreti. Capendo che il piano
è saltato, Travis si dà alla fuga, lasciandosi alle spalle la
manifestazione. Tuttavia, non ha passato settimane a prepararsi
fisicamente e mentalmente e ad esercitarsi al poligono di tiro per
niente. Se non può uccidere un politico, troverà un’altra vittima.
Senza pensarci due volte, nella sua mente si materializza
l’immagine di Sport, il pappone che tiene prigioniera Iris.
Cosa succede durante la
sparatoria?
Giunto a destinazione, Travis
individua Sport e gli spara a bruciapelo. A quel punto sale nel
motel dove Iris e le altre ragazze del pappone svolgono la loro
attività e da vita ad una carneficina, uccidendo tutti gli uomini
presenti. Quando infine Sport, non ancora morto, spara a
sorpresa al collo di Travis, il vigilante seppur ferito svuota
un’intera pistola nel corpo del pappone. E quando il boss mafioso
di Sport spara un colpo alla spalla di Travis, il tassista estrae
una pistola nascosta e spedisce all’inferno anche lui.
Iris èassiste a tutto questo,
urlando e piangendo e implorando Travis di fermarsi. Con quasi
tutti morti, Travis si prepara ad uscire mettendosi una pistola
sotto il mento. Ma quando fa per sparare, si sente solo un clic.
Travis ha finito i proiettili. Il cruento scontro a fuoco termina
finalmente quando i poliziotti arrivano e trovano Travis, intriso
di sangue e sorridente. Il tassista si porta a quel punto le dita
alla testa e mima il suicidio, e a quel punto la telecamera si
sposta fuori dalla stanza, mostrandoci la carneficina che ha
compiuto.
Dopo la sparatoria, il film fa un
salto in avanti nel tempo e ci mostra l’appartamento di Travis. La
sua parete è ricoperta di ritagli di giornale con titoli che
recitano “autista di taxi combatte i gangster” e
“autista di taxi diventa eroe”. Mentre la telecamera
attraversa la stanza, sentiamo la voce fuori campo del padre di
Iris che legge una lettera a Travis e ringrazia l’uomo per aver
salvato sua figlia, che è ora tornata a casa. Travis è quindi
diventato un eroe, la gente lo vede come l’uomo che ha combattuto
la mafia e salvato una bambina. Nessuno sa che prima aveva tentato
di uccidere Palantine, cosa che lo avrebbe reso solo un pazzo
omicida.
Travis è vivo o morto nel finale di
Taxi Driver?
Arriviamo ora alla parte
controversa. Cosa succede nel finale? Dal momento in cui Travis
Bickle mima il suicidio con le sue dita insanguinate al momento in
cui scorrono i titoli di coda, le cose diventano incredibilmente
strane. Alcuni fan di Taxi Driver sospettano che
Travis muoia nella sparatoria finale con i gangster e che gli
ultimi minuti – quando Travis diventa un eroe, Iris rinuncia alla
vita di strada e Betsy ci riprova con lui – siano solo una sua
fantasia mentre muore. Alcuni teorizzano che l’inquadratura
dall’alto del corpo di Travis intriso di sangue suggerisca che il
tassista è morto, come se la sua anima fosse salita al di sopra del
mondo e noi avessimo una visione divina delle cose.
I sostenitori della teoria “Travis è
morto” ritengono infatti che gli ultimi momenti siano troppo
perfetti e che sia esattamente il tipo di finale che uno
psicopatico come Travis potrebbe sognare per se stesso. Ma sebbene
sia del tutto normale pensare che Travis Bickle muoia alla fine di
Taxi Driver, ci sono invece tre persone che non
sono affatto d’accordo con questa interpretazione: il regista
Martin Scorsese, l’attore Robert De Niro e lo sceneggiatore Paul
Schrader. Proprio quest’ultimo ha
ribadito la sua convinzione che Travis sia sopravvissuto alla
sparatoria, dicendo: “Molte persone hanno attribuito il
finale di Taxi Driver a una fantasia. Non ho problemi con quel
finale, ma non è quello che intendevo”.
La critica alla cultura
americana
Se Travis è sopravvissuto alla fine
di Taxi Driver ed è diventato davvero un eroe,
cosa significa per il film? In una traccia di commento, lo
sceneggiatore Paul Schrader ha
raccontato di essersi ispirato all’aspirante assassina Sara
Jane Moore, una donna che ha sparato a Gerald
Ford. Dopo il suo fallito tentativo di omicidio, il volto
della Moore finì sulla copertina di Newsweek e questo lasciò
Schrader perplesso. Perché la rivista la trattava come una star del
cinema? Confuso e frustrato, decise di inserire questo aspetto
nella sceneggiatura e di far sì che i media trasformassero Travis
Bickle in un eroe.
In breve, il finale di Taxi
Driver è un’accusa alla cultura americana che idolatra i
cattivi. Basti pensare a come in seguito al film Ted
Bundy – Fascino criminale, il serial killer Ted
Bundy sia balzato agli onori della cronaca perché in molti
lo definivano “sexy”, o ancora al caso di Luigi
Mangione, idolatrato per avver ucciso un imprenditore.
Schrader non ha quindi tutti i torti, e Taxi
Driver è quindi un grande atto d’accusa nei confronti
della cultura pop americana. Certo, se Travis avesse ucciso
Palantine, la gente lo avrebbe trattato in modo molto diverso, ma
dato che ha massacrato dei cattivi, allora viene indicato come un
buono.
Che si pensi che Travis viva o muoia
alla fine di Taxi Driver, entrambi i finali sono
quindi piuttosto tristi. O ha ucciso un mucchio di persone prima di
morire in un bordello, o ha ingannato la giustizia ed è stato reso
una leggenda da una cultura che venera la violenza. Ma è lecito
pensare che, se Travis Bickle è sopravvissuto a quella sparatoria,
potrebbe colpire ancora. Negli ultimi secondi del film, infatti,
dopo aver lasciato Betsy, Travis si allontana con il suo taxi,
accompagnato dalla colonna sonora jazz di Bernard
Herrmann. Ma è in quel momento che Travis inizia a
diventare molto nervoso. Lancia uno strano sguardo allo specchietto
retrovisore, proprio mentre la colonna sonora emette una nota acuta
e inquietante.
È un momento molto cupo e Scorese lo
ha inserito per un motivo. Come ha spiegato il regista, “ho
deciso di inserire qualcosa [nel finale] che mostrasse che il timer
di Travis inizia a ticchettare di nuovo, la bomba che sta per
esplodere di nuovo”. In altre parole, è meglio che Betsy e
chiunque altro gli stia alla larga. È meglio che tutti evitino
questo taxi. È meglio che la gente scappi quando vede arrivare il
tassista. Travis Bickle non è un eroe e non è guarito. Prima o poi
esploderà di nuovo e quando lo farà, probabilmente sarà ancora più
sanguinoso di prima, perfetta dimostrazione della società che lo
alimenta.
Si intitolerà Ambush, Taxi Brooklyn 1×05, la
quinta puntata della prima stagione della serie televisiva targata
NBC.
In Taxi
Brooklyn 1×05, un veicolo che trasporta dei prigionieri viene
attaccato da due SUV e due detenute
rimangono uccise e quattro fuggono e tra le fuggitive vi
è EleanorWilson, la
testimone dell’omicidio del padre
di Cat; Cat e Leo riescono
a ritrovare le evase e Catscopre finalmente
la dinamica dell’omicidio del padre, avvicinandosi sempre di più
all’assassino che è ancora a piede libero.
Si intitolerà
Precious Cargo, Taxi Brooklyn 1×04,
il quarto appuntamento con la nuova serie tv targata NBC.
Cat e
Leo indagano sull’omicidio di una madre
affidataria molto rispettata e Cat rimane sorpresa
quando scopre il tipo di relazione che la donna aveva intrapreso
con uno dei figli adottivi, mentre Leo vive con
trasporto l’indagine, dato che suo figlio Nico si
trova ancora in Francia; nel tentativo di far luce
sul caso, Cat chiede al Capitano
Baker di aprire un’inchiesta su una famiglia di mafiosi,
che potrebbe essere legata all’omicidio ed è gestita da una
delle amiche d’infanzia della donna, Annabella
Capella.
Si intitolerà
Cherchez Les Femmes, Taxi Brooklyn 1×03, il terzo
appuntamento con la nuova serie tv targata NBC.
In Taxi Brooklyn
1×03, Cat aiuta Leo con
il suo problema con l’ufficio immigrazione e decide di diventare il
suo sponsor; nel frattempo, Josef Wiesel, un
sopravvissuto agli orrori dell’olocausto ed amico di vecchia data
di Leo, viene ucciso e toccherà
a Leo e Cat trovare
il colpevole.
Durante l’indagine, i due
scopriranno maggiori dettagli sul drammatico passato
di Josef e che una famiglia mafiosa
legata a Cat è coinvolta
nell’omicidio.
Si intitolerà Brooklyn
Heights , Taxi Brooklyn 1×02, il secondo episodio
della serie che andrà in onda sul network
americano NBC
In Taxi Brooklyn
1×02, Sasha Lowenthal, una famosa designer di
borse, chiede a Cat di indagare sulla
scomparsa di suo figlio Ian;
quando Cat e Leo scoprono
che Ian è stato assassinato, la loro
indagine li porterà dritti nel mondo dell’alta società, che pullula
letteralmente di scottanti segreti di famiglia ed infine, un
tradimento interno porta all’arresto
di Leo da parte dell’Ufficio
Immigrazione.
Arriva il giorno del debutto per la
nuova serie Taxi Brooklyn 1×01, del network
americano NBC.
In Taxi Brooklyn
1×01, conosceremo la Detective Caitlyn
Sullivan, una donna intenzionata a consegnare nelle mani
della giustizia l’assassino di suo padre e che è stata retrocessa
di grado per guida spericolata, per aver disobbedito agli ordini e
per conflitti personali, che si imbatterà in Leo
Romba, un pilota con doti eccezionali alla guida, il quale
offrirà il suo aiuto alla donna per risolvere alcuni casi ed
indagare sulla morte del padre.
Le associazioni del cinema al Governo:
si ristabilisca il livello di finanziamento del tax credit o
reagiremo con tutte le nostre forze e i nostri mezzi, incluso il
blocco di tutte le manifestaziono.
Il governo ha tagliato del 50% gli
incentivi fiscali al cinema. Smentendo le sue affermazioni
programmatiche e gli impegni pubblici presi personalmente dal
Presidente del Consiglio, ha operato un taglio smisurato allo
strumento più moderno e competitivo di sostegno alla produzione e
alla digitalizzazione del parco sale italiano. Questo taglio si
aggiunge a quello apportato al FUS che ha comportato nell’anno
scorso la più bassa incidenza percentuale dei fondi pubblici a
favore del cinema. Il risultato sarà un crollo della produzione: si
realizzerà solo qualche commedia e un po’ di film a basso costo.
Con una perdita di posti di lavoro valutabile nell’immediato in
2.500 unità, più l’indotto, che è vastissimo.
L’audiovisivo è, col turismo, l’industria a più bassa intensità di
capitale. Quindi uno dei soli due settori in cui si può creare
facilmente occupazione, soprattutto giovanile e qualificata,
mobilitando risorse limitate. Questo taglio all’industria e alla
cultura, oltre a essere un tradimento degli impegni presi, è quindi
in totale contraddizione con la linea politica che questo governo
si attribuisce come qualificante.
Vogliamo credere che tutto ciò sia avvenuto per mancanza di
consapevolezza e che il governo porrà immediato rimedio. Ma se ciò
non avverrà, tutta l’industria culturale reagirà con tutte le sue
forze e con tutti i mezzi, incluso il blocco di tutte le
manifestazioni e i festival.
Vi abbiamo mostrato nei giorni
passati le star tatuate più alla
moda del momento. Quello che vi mostriamo oggi ha sempre a che
fare con i tatuaggi, ma con tatuaggi applicati su icone del cinema,
dello spettacolo, della cultura in generale, i cui corpi sono stati
ricoperti da tatuaggi dalla grande immaginazione di
Cheyenne Randall.
Alcuni ritratti sono decisamente
forzati, come il viso di Cary Grant ‘deturpato’ da
una croce, o William e Kate photoshoppati in maniera decisamente
poco regale, ma in alcuni casi i tatuaggi sembrano realistici, come
si può vedere nella bellissima immagine dell’eternamente giovane
Marilyn Monroe, oppure nella foto del ‘cazzuto’
Jack Nicholson, in cui i tatuaggi sicuramente non
guastano la sua figura di duro senza scrupoli.
Quando gli
Avengers sono sbarcati al cinema hanno
raggiunto un successo planetario poderoso, e, in qualche modo,
hanno cambiato la moda! Ecco come si sono trasformati sulla pelle
dei fan diventando enormi, creativi e coloratissimi tatuaggi!
La regina incontrastata del
tatuaggio è lei, Angelina Jolie, che prima che la
pratica entrasse nel vivo tra le star, aveva già il suo bel numero
di tatuaggi, continuamente in aumento. Adesso il tatuaggio spopola
soprattutto tra le giovani star e di seguito potete trovare una
raccolta di quelli più alla moda sui corpi delle star che tutti
amano.
https://www.youtube.com/watch?v=KiB1OffTzGg
Da Miley Cyrus,
notissima per avere il corpo ricoperto da grandi e piccoli disegni
permanenti, fino alla top delle top Kate Moss,
passando addirittura per la nostra bellissima Kasia
Smutniak, sono quasi 50 le star che scelgono il tatuaggio
come mezzo per ricordare massime di vita, persone e momenti della
propria vita.
È disponibile su NetflixTattiche d’amore, la
commedia romantica diretta da Emre
Kabakusak che racconta una storia amorosa improbabile
e patinata, perfetta per il periodo di
San Valentino ma non memorabile. L’amore che sboccia tra i due
cinici protagonisti è in se stesso un cliché e rende il film allo
stesso tempo prevedibile e rassicurante: anche per i più disillusi,
c’è la speranza di trovare l’anima gemella.
La trama di Tattiche d’amore
Asli (Demet
Özdemir) è una stilista che cura un blog chiamato
”Tattiche d’amore” in cui dà consigli amorosi alle donne.
Pare saperne una in più del diavolo sugli uomini. Sfidata dai suoi
followers, Asli decide di mettere in pratica le sue
tattiche: vuole fare innamorare un uomo e raccontare di come ci è
riuscita sul blog. La sua vittima è Kerem
(Sukru Ozyildiz), un pubblicitario che
frequenta tante donne ma non ha mai avuto una relazione stabile.
Ciò che la blogger non sa è che anche Kerem vuole
”giocare” con lei: ha scommesso con alcuni colleghi di riuscire a
far innamorare una donna grazie ai suoi infallibili metodi da
conquistatore. Peccato che mentre entrambi i cuori di ghiaccio
cercano di tendere una trappola al partner, iniziano ad innamorarsi
veramente…
Lusso, bellezza e amore: sempre i
soliti ingredienti
Tattiche d’amore
non spicca sicuramente per l’originalità della storia che vuole
raccontare. Un uomo e una donna intorno ai trent’anni, di
bell’aspetto e affermati sul lavoro, hanno una vita quasi perfetta
ma non hanno ancora trovato l’amore ”vero”. Magicamente, i due
protagonisti si addolciscono e in poco tempo mettono in
discussione tutta la loro vita per amore. Quello appena descritto è
un modello di trama che va tremendamente di moda negli ultimi anni,
ma che appare ormai consumato fino all’osso e obsoleto: siamo
invasi da film che, con il loro lieto fine stucchevole, ribadiscono
quanto sia importante trovare l’amore entro i trent’anni. Forse
però, non serve che questo stereotipo diventi il centro di così
tante commedie romantiche.
Un mondo patinato e
inaccessibile
Un po’ come una Emily a Parigi nella
sua serie Netflix, anche Asli vive in
una realtà fatta di lusso e stucchevolezza. Dagli outfit alle
scenografie, tutto risulta finto: ogni cosa è messa davanti alla
fotocamera per ostentare il mondo patinato in cui si muovono i
personaggi.
Vista l’enorme quantità di prodotti
Netflix che seguono questa linea, ci sarà
sicuramente un pubblico in grado di apprezzare il contesto
rappresentato. Magari è proprio l’irrealismo di Tattiche
d’amore a rendere il film la
commedia romantica perfetta da guardare nel periodo di San
Valentino, come se fosse un’utopica favola moderna.
Il cinismo svanisce troppo in
fretta
Asli e Kerem sono
inizialmente le classiche persone in carriera che non hanno
intenzione di complicarsi la vita con l’amore. Si concedono
avventure occasionali e condensano tutte le loro energie in altro.
Non credono realmente nell’innamoramento. Eppure, in poco tempo
cadono nel tranello di Cupido. Il gioco è doppio, entrambi pensano
di stare prendendo in giro l’altro, ma si fregano a vicenda. In
Tattiche d’amore, l’ostacolo per l’innamoramento è
il
cinismo dei protagonisti, ma viene presto raggirato. L’idea
potrebbe essere efficace perché ha del potenziale drammatico, ma
non è sfruttata abbastanza. In breve sia lui che lei mettono in
ballo i propri sentimenti e non sono più credibili quando usano i
loro trucchetti.
Non vogliamo però essere noi i
cinici. Siamo sicuri che c’è un pubblico desideroso di vedere un
film come Tattiche d’amore. Il lungometraggio
sembra nato per i romanticoni, per gli amanti di
San Valentino e delle
commedie rilassanti e rassicuranti. I bei volti dei
protagonisti, i colori accesi delle scene, la
leggerezza e l’ironia rendono il film il sottofondo perfetto
per una serata rilassante o, ancora meglio, romantica.
Tattiche d’amore
2 è l’ennesimo grande successo di Netflix proveniente dalla Turchia, Paese che
negli ultimi tempi ha sempre più guadagnato popolarità grazie ai
propri prodotti audiovisivi, tanto film come Voglio
crederci e Merve Kült, quanto serie televisive. Sequel di
Tattiche d’amore (qui la recensione), questo è
interpretato dagli stessi protagonisti ed è diretto da
Recai Karagöz, che subentra alla regia al posto di
Emre Kabakusak, e propone un nuovo racconto
sull’amore e sulle sfide che esso comporta. Anche questo sequel ha
da subito ottenuto un importante riscontro in termini di
visualizzazion.
Un risultato che ribadisce ciò di
cui Netflix è maggiormente fiera, ovvero il dare la possibilità ai
propri abbonati di confrontarsi con prodotti provenienti da paesi
che difficilmente avrebbero trovato spazio nei cinema o nelle
televisioni nostrane (anche se su quest’ultima le soap turche
stanno iniziando a ritagliarsi un sempre maggiore spazio).
Tattiche d’amore 2 è dunque il titolo perfettto per gli
appassionati di storie romantiche ma in cerca di
qualcosa di diverso dai soliti film di produzione statunitense.
Prima di intraprendere la visione di Tattiche d’amore 2,
però, ecco alcuni dettagli sulla sua trama, il
cast di attori e le location
dove si sono svolte le riprese del film.
La trama di Tattiche d’amore 2
Con il primo film, il pubblico ha
fatto la conoscenza di Kerem, che lavora
nell’ambito pubblicitario e si presenta come un vero e proprio
latin lover, e Asli, una stilista e fashion
blogger. Entrambi sono accomunati dalla diffidenza verso l’amore e
non credono di poter cedere a tale ingannevole sentimento. Sulla
base di ciò, iniziano pertanto a frequentarsi per sfida, convinti
che prima o poi uno dei due cederà. Pur di “vincere”, i due sono
disposti a tutto, anche utilizzare tattiche insolite e bizzarre.
Peccato che, a lungo andare, quel gioco gli si ritorcerà contro.
Nel sequel, infatti, li ritroviamo dunque insieme, apparentemente
felici della loro relazione.
Una sera a cena, però, Asli
rivela a Karem di non capire il motivo del matrimonio al giorno
d’oggi. Il ragazzo coglie dunque l’occasione per tranquillizzarla e
garantirle che non le chiederà mai di sposarlo. Naturalmente
quell’affermazione diventa anche in questo caso il motivo
scatenante per una nuova sfida. Asli si mette infatti in testa di
far cambiare idea a Karem, puntando ad ogni asso nella manica pur
di convincerlo a sposarla. In un primo momento Kerem non trova
sospettoso il comportamento della sua fidanzata, ma ad un certo
punto aprirà gli occhi e per i due arriverà il momento di
riflettere sul loro futuro insieme.
Il cast e le location di Tattiche d’amore 2
Nel ruolo di Asli ritroviamo
l’attrice Demet Özdemir, anche nota per le
serie No: 309 (2016-2017), DayDreamer – Le ali
del sogno (2018-2019) e Tra il mondo e noi (2022).
L’attore Sükrü
Özyildiztorna
invece ad interpretare Karem. È proprio grazie a questo ruolo che
egli ha ottenuto una maggiore notorietà a livello internazionale.
Recitano poi nel film anche Atakan Çelik nei panni
di Tuna, Bora Akkas in quelli di Emir e
Deniz Baydar come Cansu. Le attrici Hande
Yilmaz e Melisa Döngel interpretano
invece Ezgi e Feride, mentre Ceyhun Mengiroglu
interpreta Bukut.
Come per il primo film, le location
in cui si sono svolte le riprese sono Istanbul, la
città più popolosa della Turchia e capoluogo della provincia
omonima, oltre ad essere il principale centro industriale,
finanziario e culturale dello stato. Altre riprese sono invece
state effettuate a Kayseri, capoluogo dell’omonima
provincia dell’Anatolia Centrale, e
Nevşehir, altra città presente nella regione dell’Anatolia
Centrale. Importante è stata però anche in questo caso la
Cappadocia, regione situata nel cuore della
Turchia e nota per le sue alte formazioni rocciose millenarie.
Il trailer di Tattiche d’amore
2 e come vederlo su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di Voglio crederci unicamente grazie alla
sua presenza nel catologo di Netflix, dove
attualmente è al 3° posto della Top 10 dei
film più visti sulla piattaforma in Italia. Per vederlo,
basterà dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla
piattaforma scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo
di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti
nel catalogo.
L’attrice Tatiana
Maslany vanta già una carriera di tutto rispetto, con
ruoli in film e serie TV di prestigio. Con il suo talento ha saputo
stupire in più occasioni, arrivando anche a vincere diversi
importanti riconoscimenti all’interno dell’industria hollywoodiana.
Ora che è stata scelta come protagonista di una nuova attesa serie
della Marvel, la Maslany ha l’occasione
di farsi conoscere anche da un pubblico più ampio, raggiungendo
così nuove vette di successo.
Ecco 10 cose che non sai di Tatiana
Maslany.
Tatiana
Maslany: i suoi film e le serie TV
1. È nota grazie ad alcune
serie televisive. I primi ruoli televisivi per la Maslany
arrivano grazie alle serie Incedible Story Studio
(1998-2000) e 20030 CE (2002-2003). Ha poi recitato in
Renegadepress.com (2004-2007), Would Be Kings
(2008), Instant Star (2008), Heartland
(2008-2010), The Nativity (2010), Being Erica
(2009-2011), Mondo senza fine (2012) e Captain
Canuck (2013-2014). Dal 2013 al 2017 recita da protagonista
nella serie Orphan Black, ottenendo
un grande successo. Nel 2020 ha poi interpretato Alice McKeegan
nella serie Perry Mason, mentre nel 2022 recita accanto a
Mark Ruffalo
nella serie MarvelShe-Hulk.
2. Ha recitato in alcuni
noti film per il cinema. La Maslany ha debuttato sul
grande schermo con il film Licantropia Apocalypse (2004),
per poi recitare nei film Le cronache dei morti viventi
(2007), La promessa dell’assassino (2007), Flash of
Genius (2008), Hardwired – Nemico invisibile
(2009), Violet & Daisy (2011),
La memoria del cuore
(2012), Woman in Gold (2015),
Stronger – Io sono più
forte (2017), con Jake
Gyllenhaal, e Destroyer (2018).
3. È anche
produttrice. Oltre ad aver ricoperto il lavoro di attrice,
la Maslany si è occupata anche della produzione per diversi dei
progetti in cui ha recitato. Ha infatti prodotto trenta episodi
della serie Orphan Black, per poi produrre anche il
cortometraggio Touch e il film Pink Wall. È stata
poi produttrice esecutiva del podcast Orphan Black: The Next
Chapter.
Tatiana
Maslany in She-Hulk
4. Si è allenata a lungo per
il ruolo. La Maslany è stata scelta per interpretare
Jennifer Walters, alias She-Hulk, nell’omonima serie TV della Marvel disponibile su Disney+. Per prepararsi al ruolo,
l’attrice ha raccontato di essersi sottoposta ad un lungo
addestramento fisico, implementando così la propria massa muscolare
e acquisendo la resistenza fisica necessaria a poter interpretare
anche le scene più complesse.
5. Non era stata la prima
scelta per il ruolo. Prima che venisse confermata la
Maslany come protagonista di She-Hulk, i produttori
avevano preso in considerazione le attrici Gillian Jacobs,
Betty Gilpin,
Zoe Chao e Alison Brie per
il ruolo. La Brie, in particolare, era stata considerata il tipo di
attrice ideale per il personaggio durante il processo di casting.
Alla fine, tuttavia, i produttori rimasero maggiormente colpiti
dalla Maslany, offrendole il ruolo.
Tatiana
Maslany è su Instagram
6. Ha un account sul celebre
social. L’attrice è presente sul social network Instagram
con un proprio profilo seguito da 483 mila persone. La Maslany,
tuttavia, non ha reso pubblico questo suo account e dunque per
poter vedere i suoi post è necessario mandare una richiesta per
poter essere accettati come followers. Ad oggi il profilo conta
oltre cinquecento post, segno che l’attrice è molto attiva sul
social e non manca di condividere dettagli sulla sua vita
lavorativa e privata.
Tatiana
Maslany in Orphan Black
7. È la protagonista della
serie. Dal 2013 al 2017 l’attrice ha ottenuto grande
popolarità grazie alla serie Orphan Black, dove ha
interpretato Sarah Manning, una ragazza orfana che assume
l’identità di una donna suicida identica a lei, scoprendo in
seguito di essere uno di molti cloni in circolazione. Per dar vita
alle tante versioni della protagonista, l’attrice ha immaginato
delle storie per ognuna di esse, associandovi anche delle canzoni e
dei balli che ne esprimessero il carattere.
8. Ha cercato di non
confondere i personaggi. Tatiana Maslany ha raccontato in
un’intervista di aver avuto una squadra di continuità che le
impediva di confondere i personaggi. Ad esempio, se stava girando
una scena in cui erano presenti sia Alison che Sarah e lei stava
interpretando Alison, se la sceneggiatura prevedva di alzare gli
occhi al cielo, la sua squadra si assicurava che l’attrice facesse
un roteare gli occhi alla “Alison” e non alla “Sarah”.
Tatiana
Maslany ha vinto un Emmy
9. Ha vinto il prestigioso
riconoscimento. Dopo essere stata candidata nel 2015 come
miglior attrice protagonista in una serie drammatica per Orphan
Black, la Maslany ha vinto il premio nel 2016, consacrandosi
così agli occhi di Hollywood e stabilendo un importante primato. La
Maslany è infatti la prima attrice canadase a trionfare in quella
categoria del premio Emmy.
Tatiana
Maslany: età e altezza dell’attrice
10.Tatiana
Maslany è nata il 22 settembre del 1985 a Regina,
in Canada. L’attrice è alta complessivamente 1,63
metri.
She-Hulk: Attorney at Law ha ottenuto una
reazione mista, anche se per lo più positiva, dai fan nel 2022.
Tuttavia, cercando di sovvertire le aspettative, la serie ha deluso
molti fan e alcuni di loro invocano una nuova versione del
personaggio molto più intelligente e meno servizievole.
Anche la rottura della quarta
parete nel finale ha diviso le opinioni, ma sarebbe sbagliato dire
che non c’è stato nulla di positivo nello show (anche se c’è chi
ancora si lamenta del twerking di She-Hulk accanto a Megan Thee Stallion).
Inevitabilmente, il fatto che
She-Hulk: Attorney at Law abbia una protagonista femminile
e temi pro-femministi ha provocato il contraccolpo di coloro che
sostenevano che la serie Disney+ fosse troppo “woke” o un’altra
presunta terribile aggiunta alla crescente “M-She-U”.
La protagonista Tatiana Maslany ha passato almeno gli ultimi
anni a essere presa di mira dai troll online e, poco dopo l’uscita
di Deadpool
& Wolverine, è diventata oggetto di bizzarre voci
false. Secondo alcuni YouTubers, l’attrice di Orphan Black
si sarebbe infuriata con i Marvel Studios dopo aver tagliato She-Hulk dal
trequel.
Non ne abbiamo parlato perché si
trattava di sciocchezze inventate, ma sembra che ora la Maslany
sia stata messa al corrente delle affermazioni.
Quando le è stato chiesto, durante
una recente apparizione in un podcast, se poteva condividere
qualche gossip sul MCU, l’attore ha risposto:
“Ero in ‘Deadpool & Wolverine’.Ho
recitato due scene.E poi Ryan Reynolds mi ha
licenziato dallo show perché ha detto: “Non mi piacciono queste
scene”.Ora sto facendo causa alla
Disney”.
“Parlo sempre di quanto
odio Wolverine e Deadpool.Ne parlo in
continuazione.Vorrei anche sedermi e smettere di
spingere la mia agenda femminista e rendermi conto che [‘Deadpool e
Wolverine’] hanno fatto un sacco di soldi e ‘She-Hulk’ ha fatto
solo tre dollari”, ha continuato Maslany. “È per
questo che si stavano liberando di me, perché avevo questa agenda
woke e volevo davvero portarla nel film”.
E sì, nel caso in cui non fosse già
ovvio, sta solo scherzando. È assurdo che alcune persone odino le
donne al punto da aver inventato una storia senza senso sul
licenziamento della Maslany da un film di cui non avrebbe mai fatto
parte, ma questo è l’internet del 2024.
Quando rivedremo She-Hulk?
Sfortunatamente, la Maslany non ha
fornito alcun aggiornamento su quando potremo rivedere Jennifer
Walters. I Marvel Studios non hanno annunciato
piani per la seconda stagione di She-Hulk e il personaggio
non ha ancora fatto alcun cameo altrove. Sappiamo che era presente
in una prima stesura di Captain America:Brave New
World, ma al momento il prossimo film
dei Vendicatori sembra la sua prossima
destinazione più probabile nel MCU.
Tatiana Maslany è
vicinissima a stringere un accordo con Disney per il ruolo da
protagonista nella serie di prossima realizzazione
She-Hulk. La serie si incentrerà su Jennifer Walters
(Maslany), cugina di Bruce Banner, che eredità i suoi poteri di
Hulk dopo aver ricevuto una trasfusione di sangue proprio dallo
scienziato. A differenza di Bruce, quando si trasforma, Jennifer è
in grado di conservare la sua personalità, la sua intelligenza e il
suo controllo emotivo.
Tatiana Maslany è
molto conosciuta per il suo ruolo nella seri drammatica BBC America
Orphan Black, che è andata in onda dal 2013 al 2017 per 5 stagioni.
Maslany è stata nominata per 3 Emmy e un Golden GLobe durante lo
show, vincendo l’Emmy come migliore attrice in una serie drammatica
nel 2016.