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italiano di Last Vegas, la nuova commedia che
mette insieme i 4 premi Oscar Robert De Niro, Michael
Douglas, Morgan Freeman e Kevin Kline per
un addio al celibato esilarante.
Last Vegas clip e interviste ai protagonisti
Ecco una serie di clip
e video dal set tratti da Last Vegas,
film diretto da Jon Turteltaub e che ha per
protagonisti quello che potremmo definire senza problemi un “poker
d’assi”: Robert De Niro, Michael Douglas, Morgan
Freeman e Kevin Kline.
Clip in italiano:
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Clip originale (sub ita):
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Video dal set (sub ita):
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Di seguito invece troverete i video con le interviste al cast:
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Saluto del regista Jon Turteltaub:
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LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE DI LAST VEGAS
Ecco la trama del film:
I quattro amici Billy (il premio Oscar® Michael Douglas), Paddy (il premio Oscar® Robert De Niro), Archie (il premio Oscar® Morgan Freeman) e Sam (il premio Oscar® Kevin Kline) si conoscono da sempre. In occasione dell’addio al celibato di Billy, lo scapolo incallito del gruppo, decidono di partire per Las Vegas con il proposito di rivivere i loro giorni di gloria dimenticandosi della loro vera età. Billy finalmente si è deciso a sposare la sua compagna (ovviamente molto più giovane di lui). Ben presto però i quattro si renderanno conto che la Città del Peccato è molto cambiata da come la ricordavano.. e la loro amicizia sarà messa a dura prova.
Last Shift: recensione del film di Anthony DiBlasi
Last Shift è il film del 2014 diretto da Anthony DiBlasi con Juliana Harkavy, Joshua Mikel, J. LaRose.
La trama di Last Shift
Jessica Loren è un giovane agente di polizia alla quale viene assegnato, come primo incarico, di vigilare per un’intera nottata in una stazione di polizia in procinto di essere chiusa l’indomani mattina, la stessa stazione nella quale alcuni anni prima suo padre era stato brutalmente massacrato assieme ad altri colleghi durante la rivolta di un gruppo di detenuti affiliati ad un’oscura setta satanica. La ronda notturna inizia senza particolari problemi ma ben presto cominciano ad accadere alcuni strani avvenimenti, tra cui un misterioso vagabondo che si presenta alla porta della centrale e inquietanti apparizioni che fanno capire alla giovane Jessica di non essere del tutto sola, come se qualcuno o qualcosa la stesse aspettando per dare il via ad un terribile e irreale gioco al massacro.
L’analisi di Last Shift
A una prima confusa e distratta visione Last Shift potrebbe sembrare niente di più di un grottesco remake in chiave ortorifico-soprannaturale del capolavoro di John Carpenter Distretto 13 – Le brigate della morte, poiché le suggestioni narrative paiono coincidere più che evidentemente: un protagonista isolato nel mezzo nel nulla il quale può contare solo sulla propria forza di volontà; una minaccia incombente (qui di matrice dichiaratamente fantasmatica) che vuole scardinare un precario equilibrio; un’atmosfera da trincea in assedio degna di uno dei migliori war movies di sempre.
Ebbene, espletate le più che necessarie chiarificazione riguardo l’indubbio debito metacinematografico della pellicola di Anthony DiBlasi dal masterpiece carpenteriano va oltremodo appuntato che, da qui in avanti, il racconto procede sulle proprie solide e ben piantate quattro zampe, delineando una narrazione tesa e ben congeniata nella quale si mescolano numerose suggestioni provenienti da ben altri pozzi di genere, tra le quali vanno segnalate le reminiscenze esoterico-sataniche di Sinister (2013) (tra cui spicca la ripresa del dispositivo filmico come portale di accesso del mondo demoniaco) così come le più nobili strizzate d’occhio alle inquietanti apparizioni di Il sesto senso (1999).
La grande venerazione di DiBlasi per l’universo mostruoso e cabalistico di Clive Baker, ottimamente dimostrato in quel piccolo gioiellino di Dread (2012) e con esiti molto meno felici nel pessimo Cassadaga (2011), si fonde qui con l’imprinting di un ghost movie che unisce alle canoniche apparizioni ectoplasmatiche in salsa psicopatica (il tòpos dell’impossibilità di distinguere fra sogno e realtà in stile Gotika) la formula basica dello slasher che prevede la concentrazione degli eventi in un unico luogo claustrofobico dove avviene la mattanza, in una forma perversa e postmoderna del celebre kammerspiel tedesco infarcito di gore all’ennesima potenza.
Qui in realtà molti di questi dettami classici vengono disattesi, iniziando dall’ambientazione in interni della stazione di polizia, perennemente abbagliata da una fredda e asettica luce al neon che fa risaltare il bianco perlato delle pareti, così come la presenza di una un’unica protagonista che si trova a dover gestire da sola l’intera schiera di oscure presenze scaturite da un passato tutt’altro che remoto e pronte a ghermirla nei suoi incubi più che nella vita reale (come a dire, meno Jason e più Freddy Kruger).
Ma è proprio questo uso anticonvenzionale dei canoni figurativi del cinema di tensione che accresce ulteriormente la natura inquietante della narrazione, in particolare se si tiene a mente la nutrita schiera di riferimenti nonsense e piccoli dettagli, spesso insignificanti ma indubbiamente disturbanti, che vengono disseminati progressivamente nel coso della vicenda e che delineano per tutti gli ottantasette minuti del girato un’atmosfera malsana che cresce come nebbia e si deposita su ogni inquadratura, ritardando sapientemente l’escalation di terrore finale e preferendo puntare su una lenta e inesorabile discesa nell’incubo.
Un lercio senzatetto dall’aspetto tutt’altro che rassicurante si presenta alla porta della centrale senza dire una parola, urinando sul pavimento per poi esplodere in un’improvvisa ondata di aggressività subito sedata dalla sconcertata Jessica. Una serie di telefonate di richiesta di soccorso giungono alla centrale malgrado la linea sia già stata deviata e tutte riportano la voce allarmata di una ragazza che afferma di essere stata rapita.
Strane e criptiche scritte appaiono sui muri accompagnate da televisori (un classico ormai!) che mandano in onda stralci di interrogatori ai sadici membri di una setta di adorazione del demonio. Voci e sussurri riempiono ogni angolo non toccato dall’abbacinante bagliore delle lampade artificiali, rendendo il tutto più strano di quanto non sia. Tutti ingredienti miscelati con sapiente perizia e pazienza, sorretti da una serie di suggestioni che rinunciano alla presenza massiccia di computer graphic (almeno per i primi tre quarti di film) per lasciare al potere del silenzio il valore evocativo.
Interessante risulta il modo con cui la discreta sceneggiatura di Scott Poiley decide di trattare la componente demoniaca ed esoterica della vicenda, partendo dall’idea di evocare l’orami triste tradizione, per lo più tutta americana, delle sette di adorazione del maligno che affondano le loro radici negli anni ’60 all’interno di celebri confraternite “di sangue” sul modello dell’iconica Manson Family, in questo caso infarcite con un patrimonio figurativo che si estende dal demone Pazuzu de L’Esorcista (1973) fino alla già citata influenza ancestrale di Sinister, reggendo bene la prova della credibilità almeno fino a quando non viene il delicato momento di mostrare ciò che fino ad ora era stato solo suggerito.
Se da una parte risultano molto riuscite e felici alcune trovate visive che possono essere rintracciate in The Gallows (2015), dall’altra la messa in scena delle apparizioni demoniche e della lotta fra Bene e Male finisce forse per cadere troppo nel ridicolo, eccezion fatta per l’ottimo finale che non si risparmia una dose di inventiva e di sorpresa davvero lodevole.
Juliana Harkavy, reduce dalle ottime comparsate televisive in Graceland e The Walking Dead, potendo inoltre contare su una discreta carriera cinematografica alle spalle, regge praticamente da sola l’intero coso della pellicola, dimostrandosi più che dignitosa e capace nel dare corpo ai turbamenti e alle terribili vicissitudini affrontate da una coraggiosa poliziotta che si trova a vivere un inaspettato battesimo del fuoco in puro stile luciferino, dovendo affrontare tutta da sola le leggi di un mondo sovrannaturale che non accettano né prigionieri né sconti di pena. Le è la start e la final girl, lei è la scream queen su cui o spettatore riversa le sue ansie e speranze. Lei è l’unica con cui potersi identificare in qualche modo. In alternativa ci sono pur sempre demoni e fantasmi!
Last Shift appare a conti fatti come un dignitoso e interessante prodotto di genere, sicuramente molto più serio, intelligente e curato di numerose produzioni ad alto budget di questi ultimi tempi, un prodotto che, seppur dovendosi confrontare con problemi fisiologici non indifferenti, finisce tutto sommato per risultare più che discreto e gradevole anche ai palati più raffinati e cultori dell’horror puro. Una pellicola che sa bene i propri limiti e ne fa una virtù soprattutto nel momento in cui si è chiamati a delineare l’orrore e l’angoscia attraverso il suggerito piuttosto che il detto, così come l’hitchockiana memoria ci ha insegnato a suo tempo.
Last Samurai Standing: Netflix rivela il primo sguardo alla nuova serie giapponese, descritta come “Shogun incontra Squid Game”
Netflix ha pubblicato la prima immagine di Last Samurai Standing, una nuova serie giapponese. Il thriller storico di sopravvivenza si svolge alla fine del periodo Edo e segue 300 guerrieri samurai che si sono riuniti al tempio Tenryuji di Kyoto, tentati dal fascino di un premio da 100 miliardi di yen. Il debutto della serie Netflix è previsto per novembre 2025 e il cast comprende Junichi Okada, Masahiro Higashide, Shota Sometani, Hiroshi Tamaki, Takayuki Yamada, Jyo Kairi, Wataru Ichinose, Hideaki Ito e Yasushi Fuchigami.
Ha anche paragonato la serie a Shōgun e Squid Game, con la serie simile a quest’ultima nell’esplorazione di persone comuni che lottano per la propria vita in condizioni estreme. Date un’occhiata ai commenti di Sakamoto qui sotto:
“Last Samurai Standing” racconta cosa accadrebbe se questi guerrieri – i più duri e i migliori del Giappone – diventassero improvvisamente persone comuni e dovessero combattere per la loro vita. Pensate a “Shōgun” che incontra “Squid Game”.
Cosa significa per Netflix e Last Samurai Standing
Netflix sta investendo attivamente in serie in lingua giapponese e Last Samurai Standing è l’ultima aggiunta al suo catalogo in crescita. I drammi storici e d’azione si sono dimostrati un successo per il pubblico televisivo in passato, con spettacoli come Shogun che hanno ottenuto il plauso della critica e hanno ottenuto buoni risultati anche a livello internazionale. Inoltre, l’aspetto di sopravvivenza promesso da Last Samurai Standing si allinea ai precedenti successi di Netflix, in particolare a Squid Game, che è diventato un fenomeno globale poco dopo la sua uscita nel 2021.
Inoltre, la strategia di Netflix su Last Samurai Standing riflette la direzione attuale dell’industria cinematografica e televisiva. Le piattaforme di streaming continuano a investire in produzioni internazionali per espandere la loro portata globale e il loro pubblico. Con l’annuncio di Last Samurai Standing, Netflix continua a espandere la sua offerta di film e serie giapponesi, dopo titoli come Alice in Borderland e House of Ninjas.
Last Night in Soho: Edgar Wright annuncia la nuova data di uscita
A causa della pandemia di Covid-19, anche il nuovo film di Edgar Wright, Last Night in Soho, è stato posticipato. L’ultima fatica del regista della “Trilogia del Cornetto” e di Baby Driver sarebbe dovuta arrivare nelle sale americane il prossimo 8 ottobre, ma adesso il film, come rivelato dallo stesso Wright via Twitter, è stato posticipato al 23 aprile 2021.
Last Night in Soho sarà un thriller psicologico dalle venature horror ambientato a Londra. Il cast del film annovera Anya Taylor-Joy (vista di recente in Emma e che vedremo prossimamente in The New Mutants), Thomasin McKenzie (apprezzata nei film Senza Lasciare Traccia e JoJo Rabbit) e Matt Smith (Undicesimo Dottore nella serie Doctor Who e Filippo di Edimburgo nelle prime due stagioni di The Crown).
Ispirato a Repulsion di Roman Polanski e a A Venezia… un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, Last Night in Soho racconterà la storia di una giovane donna che verrà misteriosamente trasportata negli anni ’60, avendo così la possibilità di conoscere il suo idolo. Al momento questi sono gli unici dettagli sulla trama disponibili.
Annunciata la nuova data di uscita di Last Night in Soho, il nuovo film di Edgar Wright
A proposito di Last Night in Soho, Edgar Wright aveva dichiarato: “Mi sono reso conto che non avevo mai raccontato una storia nel centro di Londra, in particolare a Soho, un quartiere dove ho trascorso tantissimo tempo negli ultimi venticinque anni. Con Hot Fuzz e Shaun Of The Dead ho parlato di luoghi in cui siete vissuti, mentre questo parlerà della Londra in cui sono esistito.”
Last Night in Soho non è l’unico progetto cinematografico che Edgar Wright ha in cantiere: come confermato lo scorso anno, il regista sarà impegnato anche con la realizzazione di un documentario sulla rock band Sparks, di cui ha già raccolto del materiale e filmato il concerto al O2 Forum Kentish Town di Londra nel 2018.
Last Night In Soho: anche Matt Smith nel cast di Edgar Wright
Si arricchisce ancora il cast di Last Night In Soho, il nuovo film di Edgar Wright che segue il grande successo di Baby Driver, l’ultimo film visto al cinema del regista della Trilogia del Cornetto.
L’ex Doctor Who Matt Smith si unisce al cast del film, insieme alla giovane Thomasin McKenzie. I due si uniscono ad Anya Taylor-Joy che sarà la protagonista di quello che il regista britannico ha definito un thriller che si ispira alle atmosfere di A Venezia… un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now) di Nicolas Roeg e Repulsione di Roman Polanski.
Sul progetto Wright ha dichiarato:
“Mi sono reso conto che non avevo mai raccontato una storia nel centro di Londra, in particolare a Soho, un quartiere dove ho trascorso tantissimo tempo negli ultimi venticinque anni. Con Hot Fuzz e Shaun Of The Dead ho parlato di luoghi in cui siete vissuti, mentre questo parlerà della Londra in cui sono esistito.”
Last Night In Soho non sarà l’unico obiettivo professionale del regista per il 2019: come confermato nelle ultime settimane, tonerà presto in sala di montaggio per dare forma al documentario sulla rock band Sparks, di cui ha già raccolto del materiale e filmato il concerto al O2 Forum Kentish Town di Londra lo scorso Maggio.
Last night in Soho, recensione del film di Edgar Wright
Noi esseri umani non possiamo vederci. Vediamo gli altri, li giudichiamo, ma per sapere come siamo, come stiamo con un certo colore di abiti, quanto siamo alti, che faccia abbiamo dopo una serata per locali, abbiamo bisogno di una superficie riflettente. Ma dietro quella stessa superficie – porta diretta sul nostro essere esteriore – si possono nascondere anche portali magici di universi interiori. Attraverso gli specchi ci guardiamo in tutte le nostre sfaccettature, ma sulla scia della potenza suggestiva del nostro inconscio, attraverso un oggetto così banale e ordinario, possiamo scrutare anche altro: mondi perduti, interiorizzati, e rispediti su superfici riverbanti, ponti diretti con universi scomparsi.
Anche lo schermo cinematografico è una superficie riflettente. Locus delle proiezioni degli spettatori-sognatori, lo schermo si fa tela bianca su cui dipingere e riempire con la forza dei propri desideri.
Lo sa bene Edgar Wright, sognatore e spettatore bulimico nutritosi per anni di sostanza filmica attraverso la quale crescere e formarsi sia professionalmente che affettivamente. Un apprendimento assimilato e restituito per mezzo di uno stile dinamico e riconoscibile, che una volta riflettuto su nuovi specchi, esplode per rinascere come una fenice araba.
È uno scontro continuo tra sguardi e superfici riflettenti, Last Night in Soho. Specchi e schermi, reduplicazioni di spazi interiori e universi sognati, si uniscono in una miccia primordiale, reminiscenza espressionista (che genera con una forza iconoclasta una nuova fase dell’opera di Edgar Wright. Una nuova fase tutta da scoprire, con la stessa curiosità di chi si approccia con fare indagatorio dinnanzi allo specchio.
Last night in Soho, la trama
Eloise “Ellie” Turner (Thomasin McKenzie) si trasferisce a Londra con il sogno di diventare una fashion designer. L’impatto con la grande città non è semplice per una ragazza che viene dalla Cornovaglia. Lo studentato in cui vive si rivela inoltre un ambiente non adatto alla propria indole, già ampiamente colpita da un lutto che continua a tormentarla. Decide quindi di affittare una stanza a casa di un’anziana signora. Una notte, comincia a sognare la Londra degli anni Sessanta e una giovane bella e piena di talento, Sandie (Anya Taylor-Joy), che cerca di sfondare nello spettacolo. Il sogno si reitera con meraviglia, fino a quando il passato non diventa un incubo che rischia di invadere il presente.
Il passato riflesso nel
futuro
Per ricostruire e non rottamare bisogna avere una relazione passionale con il passato. Edgar Wright lo sa bene, ha basato tutta la sua filmografia su tale assunto. Nel corso della sua carriera ha saputo prendere tutto ciò che ha visto per ribaltarlo, interiorizzarlo e farlo proprio, creando patchwork cinematografici intessuti di omaggio con il proprio passato da spettatore cinematografico. Ma adesso il regista compie un ulteriore passo avanti nella sua carriera registica. Partendo da questa stessa dichiarazioni d’intenti, ne applica i principi alla sua filmografia per creare qualcosa di nuovo. Stilisticamente Last Night in Soho è un figlio ribelle che stacca completamente i legami con i propri fratelli maggiori. Tracce del regista che fu (e rimane) si ritrovano nella sua Ellie, figlia degli anni Duemila con una mente forgiata dall’onda nostalgica di una Swinging London che l’ha segnata, influenzandone il proprio estro artistico.
Se già Baby Driver si presentava come un ibrido, spartiacque tra un discorso autoriale ben definito e riconoscibile, con Last Night in Soho Wright si discosta completamente dalla sua visione precedente per creare qualcosa di nuovo. Deostruisce il proprio mondo, uscendo dalla sua comfort zone per rinascere di nuovo. Spogliandosi di quell’aspetto parodico con cui omaggiare, ribaltandoli, i film che lo hanno segnato, cresciuto, modellato, e che tanto caratterizza la propria visione dell’opera, Wright ricerca adesso la pura citazione e su quella costruire un discorso maturo, serio, di angoscia e attesa. Un gioco all’omaggio che in Last Night in Soho non preclude l’apprezzamento completo del film anche per coloro che non riescono a cogliere ogni riferimento cinefilo, permettendo loro di entrare nei meandri di una mente rotta, a pezzi, come uno specchio frantumato.
Mind the Gap in Soho
Per un’opera incentrata sui gap mentali, passaggi tra passato e presente, allucinazioni, ghost story che incontrano l’horror più puro, non c’è spazio per un umorismo dilagante, inquadrature strette, zoom, o movimenti di macchina improvvisi. Tutto è disteso, allungato, come un braccio pronto a sferrare una coltellata mortale, così da insinuare nello spettatore quel giusto senso di angoscia e suspense tale da scaraventarlo in una ragnatela di misteri, dubbi, paure.
Sfruttando la potenza riflettente di specchi, lame e vetrine, Wright si infila tra le crepe di una giovane mente alimentata da sogni di un passato mai incontrato, se non su poster, fotografie e vinile, enfatizzando ogni distorsione e setacciando ogni metro fino a scavare le propaggini incancrenite di incontri soprannaturali, macchiati di vendetta e rivendicazione personale. La Londra degli anni Sessanta è una coperta di Linus entro la quale avvolgersi per distanziarsi dal mondo che la circonda. Toccare con le dita la superficie di uno specchio è un campanello per entrare nell’universo agognato, desiderato. Eloise si traveste da Alice attraverso lo specchio, per nascondersi nel mondo della propria fantasia per scappare dalla propria realtà.
L’essenza duale e dicotomica di spettri del passato che collimano in sogni del presente si riscontra visivamente nella scelta della fotografia ombrosa e in una resa cromatica accesa fatta di colori sgargianti, luminosi, accesi come gli abiti che riveste il corpo di una Ana Taylor-Joy evanescente e luciferina. Le inquadrature sembrano invece accarezzare un incanto feroce di una stilista di abiti che finisce per ricucire le violenze del passato tra i meandri onirici del presente. Come il rosso che insegue il blu nel neon rotto che illumina la stanza di Eloise a Soho (interessante che a essere illuminata sia proprio la sillaba “BI”, associazione linguistica a un concetto di doppio, lo stesso alla base del film), così quello che nasce come un sogno, un passaggio segreto tra le vie di una Londra anni Sessanta così tanto agognata, passerà il testimone alle sfumature dell’incubo. Dormire, sognare, colpire, e rinascere, un Uroboros onirico tinto di thriller che Wright costruisce con attenzione, tra immagini sovrimpresse e moltiplicate, immergendo e coinvolgere in maniera immersiva il proprio spettatore, rendendolo partecipe in prima persona delle cadute all’inferno della sua Ellie. Elettrizzanti le scene dei balli, momenti privilegiati di uno scarto incosciente tra desiderio di sicurezza e reale inquietante che sfugge ed eccede i confini dell’inquadratura e del montaggio, reduplicandosi e moltiplicandosi in visioni caleidoscopiche allucinanti e allucinogene.
Last night in Soho, un
gioco di doppi
Sfruttando appieno il contrasto generante tra una colonna visiva giocata su violenza e allucinazione, e quella musicale composta dA brani eleganti e romantici da pop anni ’60, Edgar Wright si immerge nelle ossessioni scavando sotto la profondità epidermica della normalità. La sua Ellie è una ragazza giovane, piena di sogni, apparentemente normale, che vive rinchiusa nella sua ammirazione per gli anni Sessanta ritrovandosene poi prigioniera. E siccome tutti nutriamo una passione viscerale, ecco che il regista insinua nello spettatore il timore che dietro anche la nostra situazione di persone ordinarie si possa nascondere qualcosa di terribile e orrorifico. Si viene a creare dunque un ulteriore contrasto, reiterato in quello estetico di uno sguardo angelico che nasconde un’indole mefistofelica incarnato dal viso di Anya Taylor-Joy, il quale si oppone a sua volte all’innocenza di una Thomasin Mackenzie capace di reggere benissimo il peso del ruolo della protagonista, giocando tra innocenza, fragilità e coraggio.
È un gioco di duplicazioni Last Night in Soho, di sguardi riverberati su specchi, lame taglienti, che fanno da ponti tra desideri indicibili, e incubi spettrali. Come Lo studente di Praga, lo specchio fa da perfetta congiunzione tra le due anime imprigionandole in tempi e spazi a se stanti, mentre tutto attorno è una danza del terrore da ballare sulle note di brani anni Sessanta tra i locali di Soho.
Last night – recensione del film con Eva Mendes
Last night, presentato come primo film in concorso alla quinta edizione del Festival del cinema di Roma, è l’opera prima della regista irato-americana MassyTadjedin, la quale è anche sceneggiatrice (di Leo del 2004 e di The Jacket del 2005) e produttrice. New York. Johanna (Keira Knightley) e Michael (Sam Worthington), sono una coppia giovane e innamorata sposata da tre anni che è messa alla dura prova da due tentazioni, incarnate rispettivamente dall’affascinante Alex (Guillaume Canet) e dalla sexy Laura (Eva Mendes).
Laura è la nuova collega di Michael, tra di loro è sorta istantaneamente una forte attrazione evidente a tutti, anche alla moglie Johanna, che reagisce e comunica la sua gelosia al marito il quale banalmente nega e promette fedeltà. Mentre i due colleghi si recano a Philadelphia per lavoro, Johanna incontra Alex, scrittore parigino e suo ex ragazzo.
Last night, il film
Last night procede raccontando in parallelo la giornata e in particolare la notte trascorsa da Michael e Laura e da Johanna e Alex. Nell’arco di trentasei ore la situazione vacilla tra razionalità e desiderio di abbandonarsi al piacere di un istante. Mentre Michael e Laura sono uniti solo da un’intensa attrazione (tra l’altro non troppo percepibile),Johanna e Alex condividono una storia tortuosa, un passato, un sentimento fatale: Alex è l’altro suo grande amore.
Un matrimonio, quello tra Michael e Johanna, che vacilla a causa di dubbi, incertezze, bugie e infedeltà che sono all’ordine del giorno nella vita reale, forse non in tutti i matrimoni, ma che tutti ne conosciamo la sensazione. Massy Tadjedin ha realizzato un film intimista, azzeccando sia i dialoghi, quasi improvvisati, che ricordano vagamente Somewhere della Coppola, che gli attori, o meglio due dei quattro protagonisti, Keira Knightley e Guillaume Canet. Non ottima interpretazione invece per Eva Mendes, bella ma scialba sia nelle azioni che nei dialoghi e Sam Worthington burbero e inespressivo.
Last night è un film che inevitabilmente ci riporta alla memoria Closer di Mike Nichols, il quale raccontava le relazioni, flirt, gelosie di quattro personaggi in cerca d’amore nella Londra anni’90, ma che nel complesso rappresenta un’opera prima piacevole anche se non del tutto convincente.
Last Man Standing 4, Jonathan Adams promosso
Si è conclusa
con discreto successo la terza stagione e oggi vi segnaliamo alcune
anticipazioni su Last Man Standing
4, l’atteso quarto ciclo di episodi della serie
targata ABC. Infatti, è di oggi la notizia che
l’attore Jonathan Adams è stato promosso a
regolare e comparirà nel cast ricorrente della prossima
stagione.
L’uomo di casa (Last Man Standing) è una serie televisiva statunitense ideata da Jack Burditt e trasmessa dall’11 ottobre 2011 sulla rete televisiva ABC. In Italia la serie va in onda in prima visione in chiaro dal 1º dicembre 2012 su RSI LA1, in Svizzera, mentre in prima visionesatellitare su dal 3 dicembre 2012 Fox, in contemporanea con la messa in onda Svizzera.
Mike Baxter, padre di famiglia dalle idee fondamentalmente conservatrici, si trova alle prese con la sua famiglia composta esclusivamente da donne eccetto suo nipote Boyd di due anni, con il quale tenta un’educazione alla vera essenza della mascolinità quasi stereotipata, in contrasto con la volontà di sua figlia Kristin. Lavora in un negozio di articoli da caccia e pesca chiamato Outdoor Man, suo ultimo rifugio per condividere le sue idee da uomo rude e virile con i colleghi e con il suo capo, Ed Alzate.
Vanessa, moglie di Mike è una donna in carriera che con grande complicità del marito tenta di spingere le proprie figlie a dare il meglio. La primogenita, Kristin, è una ragazza madre che è rimasta incinta durante il ballo di fine anno e che per ammortizzare le spese per il figlio Boyd lavora in un fast food. Dotata di grande intelligenza, capisce che nonostante non sia più adolescente ha ancora dei sogni e decide di intraprendere la carriera universitaria. La secondogenita, Mandy, è la classica ragazza dal comportamento superficiale ed apparentemente priva di interessi culturali, appassionata di moda, di TV spazzatura e di musica commerciale. L’ultima delle tre è Eve, un’adolescente di dodici anni appassionata di calcio che grazie al suo comportamento poco femminile si trova ad avere un rapporto di grande intesa con Mike, suo padre.
Last Man Down: tutto quello che c’è da sapere sul film
Il cinema d’azione degli anni Ottanta ci ha regalato alcuni tra i più iconici eroi del cinema, personaggi tutto muscoli capaci di uscire indenni da ogni situazione, salvando sempre chi ne ha bisogno. La saga Rambo con Sylvester Stallone, quella di Die Hard con Bruce Willis, o quella di Arma letale con Mel Gibson sono solo alcuni esempi a riguardo. Sono film che ancora vengono citati e omaggiati e proprio a loro si ispira il lungometraggio del 2021 dal titolo Last Man Down.
Film di produzione inglese e svedese, questo è diretto da Fansu Njie, regista poco noto ma distintosi grazie ad alcuni cortometraggi e che proprio grazie a Last Man Down ha conosciuto una maggiore notorietà. Njie, anche autore della sceneggiatura insieme a Daniel Stisen e Andreas Vasshaug dà però qui vita non ad un semplice action movie ricco di combattimenti ed esplosioni, bensì ad un’opera che si colloca anche nel filone dei film post apocalittici e distopici.
Si tratta dunque di un film che non manca di entusiasmare i fan del genere, che possono qui ritrovare anche graditi elementi di originalità. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a Last Man Down. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e al suo annunciato sequel. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama di Last Man Down
Il film è ambientato in una realtà distopica in cui una terribile pandemia ha sterminato milioni di esseri umani. Protagonista di questo racconto è John Wood, ex soldato delle forze speciali che dopo la morte dell’amata moglie per mano di spietati mercenari, si è ritirato nelle foreste selvagge del Nord. Scegliendo di vivere in solitudine, John vuole tenersi lontano dalla violenza e dall’odio che dominano il mondo.
Un giorno, però, bussa alla sua porta Maria Johnson, una giovane donna ferita in cerca di aiuto. Racconta di essere vittima di un esperimento condotto dal folle Comandante Stone che l’ha usata come cavia convinto che il suo sangue possa sconfiggere la pandemia. John, sconvolto nello scoprire che si tratta dello stesso spietato comandante che ha ucciso sua moglie sotto i suoi occhi, decide di nascondere Maria e di riarmarsi per combatterlo.
Il cast del film
Ad interpretare John Wood vi è l’ex bodybuilder Daniel Stisen, apparso con dei cameo anche nei film Justice Leage e Jurassic World: Il dominio. Prossimamente, invece, lo si vedrà nel ruolo di Ursus nella serie Those About to Die, con Anthony Hopkins. Accanto a lui, in Last Man Down, vi è poi l’attrice Olga Kent nel ruolo di Maria Johnson. Kent è apparsa in alcune fiction italiane come Don Matteo, Che Dio ci aiuti e Rocco Schiavone, ma anche nel recente film The Palace.
L’attore Daniel Nehme dà il volto al personaggio del Comandante Stone, mentre Stanislav Yanevski è Dottor Feltspat. I fan della saga di Harry Potter riconosceranno in quest’ultimo l’interprete di Viktor Krum, personaggio de Harry Potter e il Calice di Fuoco. Recitano poi nel film gli attori Madeleine Vall nel ruolo Granito, Natassia Malthe in quello di Zahara, Stephanie Siadatan nel ruolo di Emilia e Michael Billington in quello di Mason.

Last Man Down 2: il sequel del film si farà
Non ci è voluto molto Last Man Down per diventare un piccolo cult tra gli appassionati di questo genere di film. Dato il buon successo riscontrato, è stata confermata la realizzazione di un sequel ad oggi intitolato semplicemente Last Man Down 2. Daniel Stisen è confermato come protagonista e riprenderà dunque i panni di John Wood, ma la trama di questo sequel rimane per ora un mistero, come anche gli altri attori che saranno presenti accanto a Stisen. Il film, attualmente in pre-produzione, potrà vantare ancora una volta la regia di Fansu Njie.
Il trailer di Last Man Down e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Last Man Down grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Apple TV, Google Play e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e ad un’ottima qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 31 maggio alle ore 21:20 sul canale Rai 4.
Last Goodbye: l’ultimo addio alla Terra di Mezzo nel video del brano cantato da Billy Boyd
Ecco il video musicale di Last Goodbye, la canzone che chiuderà, sui titoli di coda, Lo Hobbit la Battaglia delle Cinque Armate. Come sappiamo il brano è cantato da Billy Boyd, che già nel Signore degli Anelli Il Ritorno del Re, nei panni di Pipino, aveva intonato la bellissima Edge of Night, ma con un montaggio sapiente, Peter Jackson ci offre la possibilità di fare davvero il nostro ultimo saluto alla Terra di Mezzo.
Ecco il video:
Lo Hobbit la Battaglia delle Cinque Armate è scritto da Fran Walsh, Peter Jackson, Philippa Boyens e Guillermo del Toro. Il cast del film comprende Andy Serkis, Benedict Cumberbatch, Billy Connolly, Cate Blanchett, Christopher Lee, Elijah Wood, Evangeline Lilly, Hugo Weaving, Ian Holm, Ian McKellen, Lee Pace, Luke Evans, Martin Freeman, Richard Armitage, Stephen Fry.
Trama: Lo Hobbit La
Battaglia delle Cinque Armate porta all’epica
conclusione delle avventura di Bilbo Baggins, Thorin Scudodiquercia
e la compagnia dei nani. Avendo reclamato la propria terra al
drago Smaug, la compagnia ha inavvertitamente scatenato una forza
letale nel mondo. Infuriato, Smaug riversa la sua ira ardente
dall’alto, su uomini inermi, donne e bambini di Pontelagolungo.
Ossessionato soprattutto dal proteggere il suo tesoro, Thorin sacrifica la sua amicizia e il suo onore, mentre Bilbo tenta in tutti i modi di farlo ragionare e presto dovrà compiere una scelta molto rischiosa. Ma ci sono anche pericoli più grandi. All’oscuro di tutti a parte Gandalf, Sauron sta radunando le sue legioni di orchi per attaccare la Montagna Solitaria.
Mentre l’oscurità sta prendendo il sopravvento nel conflitto, Nani, Elfi e Uomini si trovano di fronte alla condizione di dover lottare insieme o venire sconfitti. Bilbo si ritrova a dover lottare per la sua vita e quella dei suoi amici nella battaglia epica dei Cinque Eserciti, con il futuro della Terra di Mezzo in bilico.
Last Flag Flying: recensione del film di Richard Linklater
Il mite Doc (Steve Carell), ex marine e reduce dal Vietnam, si ritrova a dover affrontare da solo il grande dolore della perdita del figlio, caduto in Iraq sotto i bombardamenti. Incapace di gestire la situazione, chiede aiuto a due vecchi amici ed ex commilitoni, Sal (Bryan Cranston) e Mueller (Laurence Fishburne).
Sopravvissuti ad una guerra che li ha profondamente cambiati, i tre ex Marines adesso svolgono lavori molto più ordinari; Doc infatti si occupa di amministrazione, l’esuberante Sal ha aperto un bar tutto e Mueller invece ha trovato rifugio e consolazione nella religione, diventando un pastore. Dopo trent’anni passati a tentare di riconquistarsi una nuova normalità, è proprio la guerra a farli ritrovare, spingendoli ad intraprendere un viaggio di crescita e redenzione.
Adattamento per il cinema dell’omonimo romanzo di Darryl Ponicsan, nonché sequel del film del 1973 The Last Detail – anch’esso tratto da un romanzo sempre dello stesso autore -, Last Flag Flying è l’ultima fatica cinematografica di Richard Linklater, presentato in anteprima alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
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Dopo aver stregato il mondo intero qualche anno fa con il suo meraviglioso Boyhood, Linklater questa volta ci regala un film completamente diverso da qualsiasi cosa vista finora, un film lontano dalla sua estetica e dal suo stile ma non per questo meno convincente.
Last Flag Flying racconta di uno strampalato viaggio on the road compiuto da tre personaggi davvero bizzarri, segnati da un passato oscuro e desiderosi, chi più chi meno, di fare ammenda. Utilizzando la morte del figlio di Doc come espediente narrativo, Linklater fa un’interessante riflessione sulla morte, la guerra e l’ingombrante patriottismo americano, trasformando però di fatto il suo film in un tragicomico inno alla vita.
Last Flag Flying
Pregno di una comicità molto sofisticata ma diretta, Last Flag Flying ci fornisce un ritratto dell’America ben poco lusinghiero ma poi non così lontano dalla realtà. Grazie ad uno straordinario Bryan Cranston e al suo spassoso Sal, scopriamo un Linklater assai cinico e a tratti sacrilego, pronto a sparare a zero sugli States senza mai fare marcia indietro.
Simile per stile a Elizabethtown – film del 2005 diretto da Cameron Crowe -, Last Flag Flying è un film di un Linklater molto più maturo e consapevole che non ha paura di osare e che si muove tra i generi cinematografici differenti con estrema grazia e leggerezza. Un film quindi importante e a tratti scomodo ma che farà impazzire spettatori di ogni età.
Last Flag Flying: primo trailer per il film di Richard Linklater
Amazon Studios ha diffuso il primo trailer di Last Flag Flying, del nuovo film di Richard Linklater con Bryan Cranston (Breaking Bad, Trumbo), Steve Carell (Foxcatcher, La grande scommessa) e Laurence Fishburne (Matrix).
Si tratta dell’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Darryl Ponicsan uscito nel 2005, seguito del romanzo The Last Detail del 1970 che ispirà il film di Hal Ashby con Jack Nicholson, L’Ultima Corvè.
Last Film Show, il trailer del film in sala dal 9 marzo
Ecco il trailer di Last Film Show, un film di Pan Nalin con Bhavin Rabari (nel ruolo di Samay), Bhavesh Shrimali (Fazal, il proiezionista), Richa Meena (Baa, madre di Samay), Dipen Raval (Bapuji, padre di Samay), Paresh Mehta (direttore del cinema).
Dopo la calorosa accoglienza al Giffoni Film Festival, dove è stato presentato in selezione ufficiale, Medusa Film porta nelle sale italiane da giovedì 9 marzo, Last Film Show, diretto dal regista indiano Pan Nalin e interpretato dal giovane e talentuoso Bhavin Rabari.
Samay è il protagonista di Last Film Show, una fiaba moderna che racconta le avventure di un bambino di nove anni conquistato dalla magia del cinema. Ignaro delle difficoltà e degli ostacoli che gli si porranno davanti, Samay muoverà mari e monti pur di inseguire i suoi sogni in 35 mm, in un racconto intriso di ricordi, dalle note autobiografiche.
Figlio di un venditore di tè in una piccola stazione ferroviaria dell’India rurale e di una giovane mamma affettuosa che sa cucinare divinamente, il piccolo Samay entra per la prima volta in un cinema e ne resta profondamente affascinato: nella magia delle immagini nella sala buia, il bambino intuisce che tutto ciò che accade sul grande schermo parte dalla ‘luce’. L’incantesimo del cinema lo prende a tal punto che, i giorni successivi, Samay, invece di andare a scuola, sale sul treno e torna al cinema finché viene buttato fuori dalla sala in malo modo perché non ha il biglietto. Il bambino non si arrende e corrompe il proiezionista del cinema che gli propone uno scambio: Samai potrà vedere i film gratis nella sua cabina di proiezionista in cambio della buonissima cucina della mamma. Grazie ai racconti e alla fantasia di Samay anche i suoi amici sono colpiti dalla magia del cinema a tal punto da costruire, lontano dagli occhi degli adulti, una rudimentale sala cinematografica. Alla fine, l’intransigente papà capirà l’amore e la passione di Samay per il cinema e lo farà partire alla volta della città per studiare ‘la luce’.
Diciamo che Last Film Show è un dramma emotivo su un povero nessuno che non possiede nulla e vive in un posto sperduto. Inizia a sognare di realizzare qualcosa, di diventare qualcuno. Volevo disperatamente fare un film in cui si celebrasse la leggerezza e l’innocenza. (…) Ho iniziato lentamente a tornare alle mie radici, pensando al Kathiawad (una regione del Gujarat). Com’era crescere lì da bambino? E soprattutto ai miei numerosi e famigerati incontri con il cinema e la sua magia.
Un tripudio di colori, di profumi e di sapori lontani; un inno all’amicizia, all’immaginazione e alla fantasia: Last Film Show arriverà nei cinema italiani da giovedì 9 marzo distribuito da Medusa Film.
Last Christmas: il trailer del nuovo film di Paul Feig con Emila Clarke
Universal Pictures ha da poco diffuso il trailer ufficiale di Last Christmas, la nuova commedia romantica diretta da Paul Feig (Le amiche della sposa, Ghostbusters, Un piccolo favore) che vede protagonisti la star di Game of Thrones Emilia Clarke, Henry Golding (Crazy Rich Asians) e Emma Thompson.
Atteso nelle sale il 15 novembre 2019, il presenterà nella colonna sonora alcuni brani di George Michael.
La storia è quella di Kate, interpretata dalla Clarke, una giovane ragazza londinese che si guadagna da vivere vestendo i panni di un elfo natalizio in un negozio della città. L’incontro con Tom l’aiuterà a rimettersi in gioco dando senso alla sua vita e ponendola di fronte a nuove consapevolezze su se stessa e i propri obiettivi.
Last Christmas, recensione del film con Emilia Clarke
Last Christmas è una perfetta commedia romantica natalizia, e per questo ancora più romantica delle commedie romantiche che sono ambientate negli altri periodi dell’anno. Diretto da Paul Feig e scritto a quattro mani da Emma Thomson (che nel film interpreta la mamma della protagonista) e suo marito, il film narra la dolce avventura sentimentale di Kate (Emilia Clarke) e Tom (Henry Goldin) che si conoscono davanti al negozio di articoli natalizi dove lei lavora vestita da elfo, alle dipendenze di Santa, un’esilarante Michelle Yeoh. L’amore sboccia tra le vie di una Londra che sembra piccina e illuminata come un carillon, che si gira a piedi, chiacchierando, e a volte imprecando.
L’aspetto particolarmente godibile di Last Christmas consiste proprio nell’aggiunta qua e là di una spruzzata di cinismo iperrealistico, che a tratti àncora alla realtà, nonostante la cornice della storia sia più virata alla fiaba natalizia con neve, lucine e cori angelici. Emma Thomson scrive per sé la parte di una madre problematica che dà molto materiale al personaggio di Emilia Clarke per innescare il motore della narrazione, esattamente come tutto il contesto familiare della giovane, complesso e così realistico nel raccontare di incomunicabilità e differenze culturali: si tratta di immigrati dell’ex Jugoslavia che patiscono quindi tutti gli attuali timori generati dalla Brexit.
Il regista di Un Piccolo Favore, Ghostbusters (2016), Le Amiche della Sposa e Corpi da Reato, narra, con lo stesso tono goliardico delle sue precedenti commedie, la tenerezza più semplice. Ed è così dolce osservarne lo sviluppo a piccole tappe, soprattutto nella premura del personaggio di Tom, che accudisce con nobile distacco Kate.
Nonostante sia già stata
ambientazione perfetta per molte commedie romantiche, anche a
sfondo natalizio, basti pensare a Love
Actually, la capitale inglese non sembra la location
perfetta per questa storia, ma probabilmente è proprio questo che
attira di più di Last Christmas. La vita
non scorre “liscia come l’olio”, ma è ricca di contraddizioni, sia
dal punto di vista dei personali turbamenti interiori, sia da
quello dei fatti che si scatenano attorno a noi, e Kate vive
precisamente questa evoluzione, partendo da sé per poi muoversi
trasversalmente accogliendo alti e bassi, anche con difficoltà.
Percorso vissuto in maniera analoga, in sottofondo, dal personaggio
di Santa, la responsabile di lavoro della protagonista, kitsch e
rigida come nel miglior condensato di stereotipo cinese.
Emilia Clarke, protagonista rock di Last Christmas
Il volto espressivo e fresco, con l’allure rock sbandata della Clarke, è la perfetta miscela che restituisce tutte le sfumature necessarie alla conduzione della storia, in particolare per quella punta di sarcasmo aspro che cade lieve e gelato proprio come neve dal cielo. Si potrebbe definire dolce ma inesorabile, Last Christmas, proprio come gli innumerevoli senzatetto che si vedono nel corso del film in contrasto con le canzoni di Natale.
Perché in fondo quello che più amiamo delle storie, oltre al lieto fine, è che siano inspiegabilmente assonanti con il nostro mondo e ci lascino a bocca aperta. Come nelle migliori avventure sentimentali in cui tutto quello che interviene nella storia, per sconvolgerla, sarà poi un nutrimento per la stessa, nuova linfa, per una giusta fioritura.
Last Action Hero: trama, cast e curiosità sul film
I film d’azione sono da sempre tra i più popolari dell’intero panorama cinematografico, offrendo al pubblico sequenze ad alto impatto adrenalinico e grandi personaggi chiamati ad affrontare altrettanto grandi ostacoli. In particolare a partire dagli anni ’80 questo genere ha conosciuto ulteriore popolarità grazie a saghe come Die Hard, Rambo o Arma letale, dando vita anche ad una lunga serie di cliché che ancora oggi caratterizzano tale tipologia di storie. Ad ironizzare proprio su questi è arrivato nel 1993 il film Last Action Hero – L’ultimo grande eroe, diretto dal regista John McTiernan e scritto da Shane Black, entrambi acclamati autori proprio di questo genere.
Con questo loro lungometraggio i due si sono infatti permessi di dar vita ad una vera e propria parodia dell’azione, con riferimenti tipici al genere e citando numerosissimi titoli che si rifanno a questo. A recitare in tale progetto non poteva dunque che esserci proprio uno dei grandi protagonisti dell’azione cinematografica, ovvero Arnold Schwarzenegger, che ha per l’occasione svolto anche il ruolo di produttore esecutivo. Con un budget di 85 milioni, altissimo per l’epoca, il film finì tuttavia con il non rivelarsi un grande successo. Negli anni ha però ottenuto lo status di cult, divenendo un titolo particolarmente ricercato e apprezzato dai fan del genere.
Ancora oggi Last Action Hero propone infatti una brillante riflessione sui meccanismi narrativi di questo genere, presentando una serie di costanti utilizzate ancora oggi. Gli appassionati cinefili hanno poi modo di sbizzarrirsi a riconoscere tutte le citazioni, gli omaggi e i camei presenti nel film. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Last Action Hero: la trama del film
Al centro della vicenda del film vi è il dodicenne Danny Madigan, il quale vive in una zona malfamata di New York con la madre Irene. In seguito alla morte del padre, il giovane trova una fuga dalla triste realtà guardando numerosi film d’azione nel cinema locale, in particolare quelli che hanno per protagonista l’indistruttibile eroe Jack Slater. Stringendo amicizia con il gestore del cinema, l’anziano Nick, questi regala un giorno a Danny un biglietto speciale per l’anteprima dell’ultimo film di Slater. Durante la proiezione, però, avviene l’impensabile. Il biglietto si rivela magico e trasporta Danny proprio all’interno del mondo del film con protagonista il suo eroe.
Il ragazzo si ritrova così nel bel mezzo di un inseguimento in auto proprio in compagnia di Slater. Danny, conoscendo alla perfezione tutte le dinamiche del genere d’azione, si rivela un ottimo partner per Slater, il quale decide di tenerlo come suo partner per la sua nuova missione. Insieme, dovranno infatti indagare sulle attività criminali legate al mafioso Tony Vivaldi. Mentre tra Danny e Slater si formerà un delicato rapporto padre-figlio, i loro problemi inizieranno ad uscire fuori dallo schermo, annullando la differenza tra finzione e realtà e costringendo i due a risolvere quanto prima la situazione.
Last Action Hero: il cast del film
Come anticipato, ad interpretare il protagonista Jack Slater vi è l’attore Arnold Schwarzenegger. L’attore, noto in quegli anni per numerosi film d’azione, si disse particolarmente entusiasta della sceneggiatura di Last Action Hero, giudicandola una delle migliori mai lette. Deciso a farne un film per tutti, egli ricoprì il ruolo di produttore esecutivo al fine di poter controllare ogni aspetto della realizzazione. Ad interpretare il giovane Danny, invece, vi è l’attore Austin O’Brien, divenuto celebre proprio grazie a questo film. Mercedes Ruehl, attrice candidata all’Oscar, interpreta invece Irene, la madre di Danny. Antony Quinn, invece, recita il ruolo del mafioso Tony Vivaldi.
Nel film è poi presente l’attore Charles Dance nei panni del cinico killer Benedict. Il ruolo era stato originariamente offerto all’attore Alan Rickman, ma fu infine preferito Dance perché più economico. Ironizzando a riguardo, l’attore indossò sul set una t-shirt con scritto “Sono più economico di Alan Rickman”. F. Murray Abraham compare nei panni del corrotto collega di Slater, John Practice, mentre Robert Prosky è l’anziano Nick. Nel film sono poi presenti diversi camei di celebri attori, come Ian McKellen nei panni de La Morte, Sharon Stone in quelli di Catherine Tramell e Tina Turner con il ruolo del sindaco di New York.
Last Action Hero: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Last Action Hero – L’ultimo grande eroe è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV e Chili Cinema. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di martedì 25 maggio alle ore 21:10 sul canale Paramount Channel.
Fonte: IMDb
Last Action Hero: al via il remake con Vin Diesel
Continua la moda dei remake ad Hollywood e oggi apprendiamo che il film parodia del 1993 Last Action Hero con Arnold Schwarzenegger sarà la nuova vittima e protagonista del nuovo film sarà Vin Diesel. Ad annunciarlo è il regista Michael Bay che sarà il produttore del remake del cult di John McTiernan. Lo stesso produttore commenta le possibili critiche:
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“Passo molto tempo in rete e so cosa dicono a proposito dei miei film. I critici mi permettono di evolvere nel mio lavoro. Mi rendo conto che per molte persone io sono lo zimbello del cinema, beh, tutto il mio lavoro è una parodia e intendo utilizzare questo feedback negativo in un film. Così mi è venuta l’idea di fare un remake di Last Action Hero.”
Il regista continua spiegando che l’industria cinematografica si concentra su remake e reboot perché si è evoluto anche il nostro consumo di film, ma sottolinea che la pratica c’è sempre stata:
“Guardiamo un sacco di film, pertanto gli Studios assumono grossi rischi cercando di capire cosa piace al pubblico. Fare un film è costoso sempre ma fare un remake e rifacimento è un modo per misurare tale rischio economico. L’idea del nuovo Last Action Hero è quella di fare una nuova versione del film attualizzando la satira al cinema di oggi, quindi all’industria cinematografica odierna e quindi al mio lavoro”
Sul protagonista sostiene:
“Beh Vin Diesel. E’ sicuramente l’ultimo eroe d’azione del 2000, come lo era Arnold Schwarzenegge negli anni 80-90. in Diesel è perfetto per il ruolo di Slater “.
Lasse Hallstrom: il cinema tra amore e fornelli
Si è tenuta oggi pomeriggio, nonostante il cielo minaccioso e scuro, la proiezione del delizioso (letteralmente!) film Amore, Cucina e Curry (The Hundred- Foot Journey). Alla Casa del Cinema di Villa Borghese era presente, per parlarne con la stampa, il regista Lasse Hallstrom. La prima domanda, ovviamente, riguarda uno dei suoi film più celebri (a base di cucina ed amore) cioè Chocolat (2000): per quale motivo ha deciso di girare un nuovo film con tematiche analoghe dopo ben 14 anni?
Sicuramente è rimasto colpito dalla sceneggiatura originale, consigliata da Spielberg (produttore del film) e dalla Dreamworks: gli è stata data la possibilità di realizzarlo nonostante le similitudini con la precedente pellicola, cercando però- similitudini evidenti a parte- di poter realizzare un prodotto con degli spunti diversi.
Hallstrom stesso è spesso sceneggiatore dei suoi film, ma- come in questo caso- si è ritrovato a lavorare su una sceneggiatura scritta da terzi: qual è la differenza?
Per il regista realizzare un film seguendo pedissequamente una sceneggiatura già scritta è noioso e inutile: l’unica chiave di lettura possibile è rendere originale e personale il risultato.
Nel cinema del regista, spesso il tema dell’integrazione del diverso è un minimo comune denominatore che accomuna numerose pellicole: quei film “buoni”- come, ironicamente, li definisce lui- sono quelli dove ha portato in scena i comportamenti umani, difetti inclusi. È interessato agli attori, e per questo cerca sempre di creare dei ruoli che li possano mettere alla prova. Per tali motivi la figura dell’outsider è una presenza costante della sua produzione: personaggi in grado di vivere ai margini della vita ma spinti da una forza enorme a cercare di ricadere, alla fine, all’interno del flusso stesso dell’esistenza. Hallstrom si identifica con questi personaggi, che vogliono- e cercano in tutti i modi- di integrarsi con un mondo, una realtà diversa dalla loro ma alla quale sognano di appartenere: racconta da sempre storie del genere, venate soprattutto da un tocco di commedia e sentimentalismo.
Anche Hallstrom stesso è, a suo modo, un outsider: uno svedese trapiantato in America che lavora lì da anni, e il personaggio di Hassan- protagonista di Amore, Cucina e Curry – ricorda la sua storia: la sua visione del mondo, la sua determinazione… si rifanno ai suoi interessi principali, anche se quando una storia lo attrae si sente come un “attore frustrato” che ha già in mente tutto il film, completo, con lui stesso nei panni del protagonista che si ritrova però… ad assistere impotente dall’altra parte della Macchina da Presa. Inoltre, adora il processo attoriale, che cerca di mediare e indirizzare: il momento più emozionante è senza dubbio quando cattura con la MdP il momento della verità, riflessa negli occhi e nelle azioni dei protagonisti stessi. Con il suo tocco è spesso in bilico tra drammi forti e struggenti conditi da commedia sentimentale, cercando- in equilibrio- di creare un accordo mediato tra commedia e dramma.
Spesso questo sguardo particolare, “dolce”, mostra un’altra faccia tagliente, costituita dallo sguardo critico sulla realtà e le debolezze umane: per il regista, mentre si racconta una storia- che spesso ha il tocco di una fiaba, come in questo film- cerca sempre di inserire degli elementi ancorati alla realtà, che contribuiscono al fascino della storia (soprattutto per il pubblico); lavorando pure sulle improvvisazioni dettate dalle personalità degli attori stessi.
A proposito di attori, Hallstrom spende due parole sull’eccezionale performance di Helen “The Queen” Mirren: in realtà si rimane sempre sorpresi dalle grandi attrici- dichiara- dotate di senso dell’umorismo, donne dai mille volti in bilico tra fragilità, insicurezza e senso dell’umorismo: la Mirren non si sottrare a questo “allure” particolare, una vera signora che ben conosce il Cinema sotto ogni punto di vista, una donna priva di arroganza!
Tra le ultime domande da parte dei critici, la prima riguarda- parlando di cucina!- il piatto preferito del regista: forse i fegatelli di pollo in salsa di vino, il primo piatto che ha cucinato e che da trent’anni non assaggia. Per cui, a dispetto dei film che realizza, non è una buona forchetta raffinata: ammira il buon cibo salutare (ora è vegano) ma non è un vero intenditore.
Spesso la cucina mette d’accordo culture diverse, avvicinandole (o dividendole… vittime dei pregiudizi culturali): per Hallstrom il cibo, senza essere filtrato da barriere, è una via rapida ed efficace per il cervello, una via per riportare alla memoria i ricordi di un tempo, come in un romanzo di proustiano memoria…
Ha cercato- tecnicamente- di trovare un modo nuovo per riprendere il cibo: diventato protagonista della pellicola insieme agli attori stessi.
Nel film gli scontri culturali sono vere e proprie “guerre dei mondi” anche di natura “fisica”: generazioni diverse, culture diverse… come è riuscito, Hallstrom, a preparare gli attori per le varie scene del film, creando all’inizio un conflitto che poi sfocia in un clima positivo?
Secondo lui, per riuscire a creare emozioni e sensazioni, bisogna creare un coinvolgimento completo tra attori e personaggi: li spinge a lasciarsi coinvolgere emotivamente improvvisando, facendoli diventare parte integrante del processo creativo.
Anche questa pellicola è girata nel sud della Francia (come Chocolat) ricostruendo uno dei due ristoranti- set delle vicende, NdA- in una villa: girare in un luogo vero, reale, può aiutare la naturalezza del film?
Per Hallstrom lo è stato nel passato, perché oggi è difficile percepire una reale differenza: ad esempio una delle due cucine è stata ricostruita su di un set, ma non si avverte la differenza: grazie alle nuove tecnologie sempre più all’avanguardia, si ha la percezione di essere sul luogo stesso.
Quindi, girare su un unico set è un vantaggio o una svantaggio?
Al regista svedese l’ardua sentenza: In Chocolat aveva trovato delle difficoltà analoghe: aveva dovuto ricostruire una piazza in uno studio inglese, per problemi economici, mentre in questo caso, in Amore, Cucina e Curry, la vera sfida è stata avere due edifici frontali, realizzati in post produzione grazie al chroma key e ad alcune strade ricostruite.
Un’ultima domanda riprende uno dei temi già affrontati in precedenza, ovvero: come equilibrare Il processo di integrazione descritto nel film- che qui assume dei toni fiabeschi, surreali- con la realtà effettiva? Hallstrom forse si nasconde dietro questa scusa, (almeno, secondo il regista stesso) soprattutto quando nel film avvengono i passaggi più radicali: vorrebbe che la parte psicologica fosse più realistica, ma bisogna accettarla così com’è, semplificata, per ribadire il concetto fondamentale: tutti dobbiamo imparare a comprendere l’altro e ad essere aperti all’integrazione.
Lasse Hallstrom regista del biopic su Rockefeller
Deadline riporta la notizia che Lasse Hallstrom, regista di Buon compleanno Mr. Grape, Le regole della casa del sidro, Chocolat e del più recente L’ipnotista, sarebbe in trattative con la Relativity Media per dirigere il biopic dedicato alla vita dell’imprenditore statunitense John Davison Rockefeller. Il film, che si baserà sul romanzo Titan: The Life of John D. Rockefeller di Ron Chernow, sarà sceneggiato da Craig Borten, autore della sceneggiatura (candidata all’Oscar) di Dallas Buyers Club. Al momento non sappiamo quale attore interpreterà il ruolo del primo miliardario americano della storia; nel libro, viene delineato un ritratto piuttosto inedito di Rockefeller, attraverso il racconto di particolari mai rivelati prima circa la sua vita, come gli scandali e le tragedie familiari che lo videro coinvolto.
Fonte: Collider
Lashana Lynch parla dei provini per il MCU prima di Captain Marvel
Lashana Lynch, che ha interpretato il personaggio di Maria Rambeau in Captain Marvel, ha rivelato di recente di aver sostenuto provini per altri ruoli nel MCU. Maria è un personaggio fondamentale del cinecomic del 2019, in quanto svolge un ruolo fondamentale nel viaggio di Carol Danvers. In qualità di amica del supereroe e collega pilota dell’Air Force, Maria rappresenta un collegamento con la vita di Carol sulla Terra. Anche la figlia di Maria, Monica, appare nel film ambientato negli anni ’90, ed è stato già confermato che avrà un impatto sul futuro del MCU: l’attrice Teyonah Parris, infatti, interpreterà la versione adulta di Monica nella prossima serie Disney+ della Marvel, l’attesissima WandaVision.
Lashana Lynch è una star decisamente in ascesa in questo momento. Sebbene Captain Marvel sia stato il suo primo ruolo cinematografico di spicco, aveva già recitato in Still Star-Crossed della ABC nel 2017, nei panni di Rosaline Capulet. Tuttavia, la sua performance più rivelante arriverà l’anno prossimo, quando finalmente uscirà al cinema No Time to Die, in cui Lynch interpreterà Nomi (che nel film assumerà temportaneamente l’identità di nuovo 007).
Nonostante manchino ancora diversi mesi all’uscita di No Time to Die, il cast è già impegnato con la promozione del film. Recentemente, Lashana Lynch ha parlato con la versione inglese di GQ del ruolo, condividendo anche alcuni dettagli sul percorso che l’ha portata ad ottenere una parte in Captain Marvel: “Ho fatto provini per anni”, ha spiegato Lynch. “Il direttore casting della Marvel, Sarah Finn, mi conosceva benissimo perché ho sostenuto provini sia per ruoli importanti che per ruoli minori: per Black Panther (non dirò per quale personaggio, perché ho degli amici nel film), Venom, un film degli Avengers… ce ne sono stati davvero tanti.”
I commenti di Lynch fanno eco a quelli della protagonista Brie Larson, che è stata altrettanto aperta circa la sua esperienza con le audizioni, incluse quelle per il MCU. Tuttavia, Larson e Lynch non si sono mai contese alcun ruolo, poiché Larson è stata provinata sia per Iron Man 2 che per Thor. Come accaduto con Larson, è difficile immaginare per quali personaggi si fosse candidata Lynch. In Black Panther, ci sono tre personaggi principali intorno all’età dell’attrice: Nakia (Lupita Nyong’o), Okoye (Danai Gurira) e Shuri (Letitia Wright). È probabile che abbia sostenuto un provino per uno di questi, anche se potrebbe essere stato per un ruolo ancora più secondario.
Lashana Lynch ha Eddie Redmayne nel mirino nel primo trailer di The Day of the Jackal
Eddie Redmayne (The Good Nurse) farà meglio a guardarsi le spalle perché Lashana Lynch (The Woman King) ne ha abbastanza delle sue stronzate nel trailer di debutto della prossima serie The Day of the Jackal. In arrivo su Peacock negli Stati Uniti e su Sky nel Regno Unito il 7 novembre, il thriller ad alto tasso di tensione segue il gioco del gatto e del topo tra un assassino altamente qualificato e un agente dei servizi segreti, che potete vedere nel primo teaser e in alcune immagini inedite. Sebbene in passato sia riuscito a eludere molti agenti delle forze dell’ordine, l’assassino sembra aver trovato la sua strada con l’agente sicuro di sé e determinato. Questa produzione è la prima volta che l’amato romanzo di Frederick Forsyth viene trasformato in una serie televisiva, avendo già ricevuto un adattamento sul grande schermo grazie all’omonimo film Il giorno dello sciacallo (The Day of the Jackal) di Fred Sinnemann del 1973.
Prevedendo il caos, la morte e la distruzione che verranno, il primo sguardo a The Day of the Jackal vede l’assassino di Eddie Redmayne, noto solo come lo Sciacallo, prepararsi a colpire il suo prossimo obiettivo mentre la Bianca di Lynch prepara la sua squadra per l’eliminazione. Uomo dai molti volti, lo Sciacallo cambia continuamente aspetto grazie a protesi, lenti a contatto e parrucche, ma Bianca non si sente minacciata dall’uomo dal volto sempre diverso perché è sicura di riuscire a risolvere il caso. Il trailer rivela che lo Sciacallo è sempre un passo avanti rispetto ai suoi inseguitori, ma con la determinazione di Bianca i pezzi del puzzle iniziano a ricomporsi e la distanza tra loro si riduce sempre di più.
Oltre a Eddie Redmayne e Lynch, il rifacimento di Peacock del romanzo di Forsyth includerà anche l’interpretazione di Úrsula Corberó (Money Heist) e un ensemble che comprende Charles Dance (Game of Thrones), Chukwudi Iwuji (Guardiani della Galassia Vol. 3), Richard Dormer (Game of Thrones), Khalid Abdalla (The Kite Runner), Jonjo O’Neill (The Ballad of Buster Scruggs), Lia Williams (Dirty Weekend), Eleanor Matsuura (The Walking Dead), Florisa Kamara (Crudelia), Nick Blood (Lovely, Dark, and Deep) e Sule Rimi (Classified).
Chi c’è dietro “The Day of the Jackal”?
Ad adattare il libro in forma di serie è Ronan Bennett, che il pubblico riconoscerà per il suo lavoro come showrunner, scrittore e produttore esecutivo del dramma criminale britannico Top Boy. Bennett è anche produttore esecutivo di The Day of the Jackal insieme a Redmayne e Brian Kirk, quest’ultimo anche regista della serie. Forsyth è un produttore consulente, mentre il resto del team di produzione esecutivo è composto da Gareth Neame e Nigel Marchant di Carnival Films, Sam Hoyle di Sky Studios e Sue Naegle. Lynch si aggiunge anche come produttore co-esecutivo.
Lasciati andare: recensione del film con Toni Servillo
Arriva al cinema il 13 Aprile Lasciati andare, il nuovo film con Toni Servillo e Luca Marinelli, diretto da Francesco Amato.
In Lasciati andare Elia Venezia (Toni Servillo) è uno psicanalista, un intellettuale serio, distaccato e dal sarcasmo pungente. È annoiato dal mestiere e tratta i pazienti con indifferenza. Pigro e indolente, alla mondanità preferisce divano e tv. Una sera a settimana, però, va a teatro con l’ex moglie Giovanna (Carla Signoris). Sono separati in casa, un po’ per comodità, un po’ perché lui vorrebbe ancora riconquistarla. Unica passione cui si abbandona spesso e volentieri sono i dolci, che mangia in quantità. Quando accusa un piccolo malore, il suo medico lo invita a rimettersi in forma per evitare problemi più seri. Costretto a frequentare una palestra, incontra Claudia (Verónica Echegui), un’estroversa ed eccentrica personal trainer, che lo aiuterà a rimettere in sesto il corpo e lo coinvolgerà nella sua vita piena di guai.
Il ritorno di Francesco Amato
Dopo Ma che ci faccio qui (2006) e Cosimo e Nicole (2011) il regista Francesco Amato torna al cinema con Lasciati andare, in sala dal 13 aprile, commedia brillante e coinvolgente sulla dicotomia mente/corpo. Amato si diverte a mettere in contatto mondi spesso chiusi e reciprocamente diffidenti: intellettuali convinti del primato assoluto della mente – chi più di un analista può esserlo? – e cultori del fisico. Riflette più in generale sull’abitudine a catalogare persone e comportamenti, chiudendosi ognuno nella propria categoria, senza mai cercare di scoprire l’altro, o di vivere aspetti propri che non rientrano esattamente nell’immagine che si ha di sé. Infatti, con disincantata ironia guarda anche alle comunità religiose, ebraica e cattolica, come alle varie correnti del pensiero pedagogico e psicanalitico – si veda la diatriba Freud/Montessori – spingendo mondi diversi a interagire, a riscoprire la curiosità, non prendendosi troppo sul serio.
Novità assoluta è Toni Servillo in veste comica, protagonista ideale, perfettamente a suo agio nei panni di Elia. L’attore, lontano dalle ineffabili maschere sorrentiniane, si tuffa nella commedia da attore completo qual è, non risparmiandosi e dosa con precisione le componenti del personaggio, rendendolo credibile nei momenti più comici, come nelle parentesi più riflessive, in un’interpretazione viva e spontanea, che assieme alla scrittura, evita il rischio di scivolare nella macchietta. Verónica Echegui è una buona figura femminile complementare, Carla Signoris bravissima nel ruolo della moglie delusa che riscopre la propria libertà.
La sceneggiatura
di Lasciati Andare
Il film deve molto a Francesco Bruni (Scialla, Noi 4) – sceneggiatore con Amato e Davide Lantieri. La sua impronta è inconfondibile, sua è l’idea di partenza e quel protagonista, strappato all’indolenza e costretto ad agire, ricorda un po’ il Bruno di Scialla (Fabrizio Bentivoglio). Poi c’è il ritmo vivace e avvincente della trama. Dalla sequenza iniziale, folgorante e isolata, il cui filo narrativo viene ripreso solo nella seconda parte, alla descrizione di Elia, della sua vita monotona, delle sue scarse relazioni sociali, di vizi e manie che dicono di lui molto più di quanto vorrebbe far sapere, fino all’incontro con Claudia: prima scontro, poi nuovo equilibrio, turbato ancora dall’ingresso di Ettore (uno straordinario Luca Marinelli), squinternato galeotto, che ricollega la vicenda all’inizio e da il via alla parte più “action” del film.
C’è la volontà di giocare con gli stereotipi mettendoli in crisi (seppure si cede a qualche banalizzazione, in generale si è attenti alla plausibilità e non si cercano consolazioni facili). Anche i personaggi secondari sono delineati con cura, lasciando trasparire più di quanto si mostri, come nel caso della maestra Paola (Valentina Carnelutti), o dell’istruttore sportivo (Pietro Sermonti), o della spassosa galleria dei pazienti: il pavido (Carlo De Ruggieri), il calciatore (Giulio Beranek), l’ingegnere (Giacomo Poretti), non ininfluenti comprimari, ma interpreti efficaci e brillanti, la cui partecipazione arricchisce il film.
Il risultato è un’ora e quaranta di divertimento di qualità.
Lasciatelo dire! dal 13 luglio on demand, il trailer
LASCIATELO DIRE!, diretto dal regista e sceneggiatore Eric Lavaine (Benvenuti a bordo, Barbecue, Torno da mia madre), sarà disponibile dal 13 luglio (distribuito da Cloud 9 Film) sulle maggiori piattaforme digitali: SKY PRIMAFILA, CHILI, RAKUTEN, TIM VISION, APPLE TV, INFINITY TV, GOOGLE PLAY, CG DIGITAL e THE FILM CLUB.
LASCIATELO DIRE! è una commedia divertente e irriverente che affronta con leggerezza e ironia un tema delicato come la disabilità (l’ipovisione, o cecità).
Il cast è composto da Alexandra Lamy (Ricky, Torno da mia madre, Lucky Luke), Josè Garcia (Grandi bugie tra amici, Asterix alle Olimpiadi, Bastille Day – Il colpo del secolo) e Michaël Youn (Braccialetti rossi serie TV; Chef).
SINOSSI
Il film ruota intorno alla storia di una coppia di sposi, Béatrice e Frédéric. Quest’ultimo è rimasto coinvolto in un incidente che disgraziatamente lo ha privato della vista. Nonostante questo però Frédéric non ha perso il suo spirito, anzi, questa esperienza ha dato una svolta inattesa alla sua vita. E’ diventato ossessionato dal cibo e praticamente ha perso ogni filtro sociale, dice tutto quello che gli passa per la testa senza tenere conto di tatto, educazione o imbarazzo, creando situazioni a dir poco deliranti.
Lasciarsi un giorno a Roma: recensione del film di e con Edoardo Leo
La conclusione di un amore, anzi due. La nuova commedia romantica Sky Original, Lasciarsi un giorno a Roma, affronta la fase più amara di una relazione in modo tanto ironico quanto profondo. Il film di Edoardo Leo ha come protagoniste due coppie in crisi che parallelamente tentano di rimarginare le proprie storie. Riusciranno entrambe a superare la crisi?
Lasciarsi un giorno a Roma: la trama
Tommaso (Edoardo Leo) è uno scrittore: ha pronto un libro che non vuole essere pubblicato dall’editore per il finale troppo triste. Nel frattempo, scrive una posta del cuore su un magazine femminile in cui, spacciandosi per Gabriel Garcia Marquez, dà consigli amorosi a sconosciuti. Un giorno, tra le tante anonime e strampalate lettere, Tommaso trova una storia a lui famigliare: la sua compagna Zoe ha scritto alla rubrica di Marquez perché vuole lasciarlo, ma non sa come farlo in modo indolore. Lo scrittore, nascosto dietro l’identità del finto Marquez, inizia quindi a chattare con la compagna. In un tentativo disperato di rimarginare il rapporto con la compagna, fa di tutto, cambia se stesso pur di non perdere Zoe.
Contemporaneamente, anche una coppia di amici di Tommaso è in crisi: lei (Claudia Gerini) è il sindaco di Roma e, oberata dal lavoro, sta completamente trascurando la figlia e il marito (Stefano Fresi) vuole separarsi dalla ”fredda signora” che è diventata la moglie.
Coppie parallele e opposte
Lasciarsi un giorno a Roma segue le due storie, cogliendo all’interno delle coppie simmetrie ma anche sfumature e differenze. Da un lato, la donna in carriera, fredda e estremamente indipendente, vuole lasciare il compagno pacato, accomodante e, in fin dei conti, poco stimolante. Dall’altro, abbiamo una moglie nuovamente molto affermata sul lavoro – Claudia Gerini è il sindaco di Roma – che sta per essere lasciata dal marito: Fresi rivuole la vita tranquilla di coppia, resa impossibile dalla carriera di lei. Le dinamiche sono le stesse, ma gestite in modo completamente diverso dalle persone coinvolte.
Entrambe le coppie sono squilibrate: un partner vuole farla finita, l’altro no. I motivi sono credibilissimi e comprensibili al pubblico. Molti argomenti affrontati sono quelli in cui anche la maggior parte delle persone s’imbatte dopo anni vissuti accanto a qualcun altro, soprattutto nelle fasi di cambiamento.
Un film conflittuale
Amore contro carriera. Indipendenza contro condivisione. Ecco i temi che mettono in crisi i protagonisti di Lasciarsi un giorno a Roma. I motivi di scontro nelle coppie sono attualissimi e rappresentati realisticamente. Non è difficile immedesimarsi in Tommaso o Zoe, nei loro turbamenti e nei litigi che non portano mai ad una soluzione.
Le discussioni sono essenziali all’interno di Lasciarsi un giorno a Roma: sono ciò che dà emozione alle scene e carattere ai personaggi, mostrandone luci e ombre. Il film è un racconto intimo delle relazioni, che vuole mostrare di tutti i protagonisti, anche di quelli apparentemente più freddi, le debolezze, le insicurezze. In sostanza, tutti quei particolari che emergono solo nelle storie d’amore, soprattutto quelle lunghe e profonde.
L’intraprendenza femminile spaventa?
Marta Nieto è una manager di una azienda che realizza videogiochi. Claudia Gerini interpreta il sindaco di Roma. Accanto a entrambe ci sono due uomini meno affermati a livello lavorativo, ma soprattutto con caratteri molto più pacati. Lasciarsi un giorno a Roma mette da parte lo stereotipo, ormai antico, dell’uomo in giacca e cravatta accompagnato dalla moglie casalinga, ma ne crea uno nuovo. Perché una donna che lavora ‘ai piani alti’ deve per forza essere fredda e acida? Perché il suo partner dev’essere un ‘mammo’, un perdigiorno, un eterno ragazzino?
Nonostante la volontà di Leo di mostrare la nuova coppia di oggi, il film non va troppo oltre lo stereotipo dei personaggi costruiti.
C’è un vero finale in Lasciarsi un giorno a Roma?
Ad un certo punto della storia, ci si chiede dove il film voglia andare a parare. La trama alterna momenti abbastanza concitati a pause e dilatazioni non sempre necessarie. Certo, il film è riflessivo e non reggerebbe senza i fiumi di parole, le dichiarazioni e le frasi romantiche di cui è denso. Tutto questo parlare, per due ore di film, ostacola però l’azione e, indubbiamente, l’attenzione per lo spettatore.
In sostanza, Lasciarsi un giorno a Roma è la commedia che ci si aspetta di vedere nel 2021: un mix di romanticismo e umorismo, un po’ di esagerazione all’italiana e un tocco superficiale a temi sociali.
Lasciarsi un giorno a Roma dal 1 gennaio su SKY e NOW
Arriverà il 1° gennaio alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand, il nuovo film Sky Original, Lasciarsi un giorno a Roma, una co-produzione italo-spagnola Italian International Film – Neo Art Producciones con Vision Distribution, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano.
Lasciarsi un giorno a Roma è un film di Edoardo Leo, con Edoardo Leo (Noi e la Giulia, Perfetti Sconosciuti, Smetto Quando Voglio, La dea fortuna), Marta Nieto (Madre, Tres, El Camino De Los Ingleses), Claudia Gerini(Ammore e Malavita, The Passion, Viaggi di Nozze) e Stefano Fresi (Romanzo Criminale, Smetto Quando Viglio, La Befana Vien di Notte).
La trama
Quanto è difficile separarsi dopo un lungo rapporto, dopo dieci anni di convivenza o di matrimonio? Quanto è difficile trovare le parole, i modi? Quanto è complicato voler lasciare un uomo senza farlo soffrire? E se un giorno, in un momento di disperazione e solitudine si scrivesse ad una posta del cuore? Per sfogarsi o per trovare qualcuno che ci suggerisse come fare, come riuscire a separarci senza far soffrire il nostro partner? Ma soprattutto cosa succederebbe se quella lettera anonima arrivasse proprio al nostro compagno?
Il regista Edoardo Leo ha dichiarato: “In questi anni sono successe, a livello professionale, molte cose per me e molto diverse tra loro. Questi fatti artistici hanno avuto una costante, il rapporto con Sky – Vision Distribution nei miei film come interprete e soprattutto il percorso iniziato insieme nei miei film da regista e sceneggiatore, tutti prodotti da Italian International Film. Ci siamo ‘scelti’ e abbiamo tanti progetti in cantiere tra film realizzati e altri ancora da fare. Ma tutto è iniziato con un innamoramento, esattamente come accade nel film, con Lasciarsi un giorno a Roma. Sono stato il primo ad essere prodotto subito dopo il lockdown e, nonostante le difficoltà evidenti, mi hanno permesso di realizzare una grande coproduzione internazionale con un cast meraviglioso. Una grande star spagnola come Marta Nieto e due amici come Claudia Gerini e Stefano Fresi. Una storia che volevo realizzare da molto tempo e che, in questo momento storico così particolare, sono felice sia stata scelta come Sky Original per Capodanno”
Antonella d’Errico, Executive Vice President Programming Sky Italia ha dichiarato: “Siamo molto felici di iniziare il 2022 con il film di Edoardo Leo, che si inserisce nel solco dei film Sky Original su cui continuiamo a investire e a lavorare intensamente e che hanno portato, in appena un anno, risultati sorprendentemente positivi. Lasciarsi Un Giorno A Roma – prodotto con i nostri partner Vision e Italian International Film – è un film importante per Edoardo, che segna il suo ritorno da autore e interprete ad una storia intima, in cui i sentimenti vengono raccontati con il giusto e delicato equilibrio, grazie anche a un cast eccellente. E lo è per Sky, il film perfetto per il primo giorno dell’anno, una data importante per tutti e per il pubblico di Sky Cinema”.
Federica Lucisano, Amministratore Delegato di Italian International Film (Gruppo Lucisano) ha dichiarato: “Questo film regala emozioni indimenticabili e sono felice di poterle offrire al grande pubblico di Sky proprio durante il periodo delle festività. È una gioia ed un segno di grande speranza lanciare un film così bello proprio il primo giorno del nuovo anno. Ringrazio Edoardo Leo, Sky e Vision Distribution per aver condiviso con noi il percorso che ci ha portati fino a qui.”
Massimiliano Orfei, amministratore delegato di Vision Distribution ha dichiarato: “Con Vision siamo orgogliosi di continuare questo percorso accanto a Edoardo, che lo vede impegnato come autore, attore e regista in diversi progetti insieme a noi. Lasciarsi un giorno a Roma è un film in cui noi abbiamo creduto dall’inizio e siamo certi che incontrerà il gusto del suo pubblico nel periodo delle feste.”
Lasciami entrare: recensione del film di Thomas Alfredson
Dal 1897, data di uscita di Dracula di Bram Stoker, ad oggi, molti sono stati gli scrittori ed i registi che si sono lasciati ispirare dal grandissimo romanzo gotico dello scrittore irlandese. Chi più chi meno, tutti hanno mantenuto i tratti affascinanti del terribile e sanguinario conte Dracula, pur con nomi diversi e varianti tra il serio ed il faceto. Tuttavia, mai come nel caso di Lasciami Entrare (Låt den rätte komma in di Thomas Alfredson), il mito del vampiro è stato stravolto ed allo stesso tempo conservato con tali tratti di grazia e gradevolezza.
Lasciami entrare racconta la storia di una bambina, una piccola vampira, che viene accudita da un uomo (probabile che non si tatti del padre), che la notte caccia per lei, affinché possa sopravvivere. Questo piccolo gioiello svedese conserva una fedeltà quasi romantica al romanzo e, pur sembrando un film che starebbe bene nella selezione delle pellicole per il Giffoni Film Festival, assume tratti inquietanti ed allo stesso tempo misteriosi, uscendo dal genere splatter-horror che purtroppo imperversa nelle sale cinematografiche, per elevarsi ad un horror, oserei dire raffinato, raccontato con toni intimisti ma freddo nel rappresentare la ferina violenza che caratterizza la natura della piccola protagonista.

L’inquietudine del titolo (Lasciami entrare) si concentra in due scene, in cui Eli la vampira chiede ad Oscar di invitarla ad entrare, altro tratto di fedeltà letterale al romanzo originale. L’interpretazione delle conseguenze di un ingresso, per così dire, senza invito, passate sotto silenzio in Stoker, vengono interpretate qui in maniera inquietante, senza però scadere nello splatter, mantenendo ancora una volta una delicatezza più unica che rara in film con questa tematica.
Anche la potenzialità sessuale e sensuale del vampiro, viene affrontata qui in toni teneri e delicati, soprattutto a causa della giovane età dei personaggi. Lasciami entrare è godibile, anche per chi non ama l’horror, che pur distanziandosi dal genere, vi rimane perfettamente collocabile.
Lasciami entrare: A&E vuole la serie tv
Il network americano
A&E ha annunciato ufficialmente che sta
sviluppando una serie televisiva tratta da Lasciami
entrare,romanzo scritto dall’autore svedese
John Ajvide Lindqvis che ha già avuto due
adattamenti al cinema, quello svedese cult di Tomas
Alfredson, e quello USA Let me
in di Matt Reeves.
Lo show sarà sviluppato da Jeff Davis, showrunner di Teen Wolf. Alla scrittura partecipera anche l’attore e autore Brandon Boyce. Produttori saranno invece Marty Adelstein, Becky Clements, e Simon Oakes dei A+E Studios.
Lasciami entrare è un romanzo horror del 2004 dello scrittore svedese John Ajvide Lindqvist pubblicato in Italia da Marsilio Editore il 26 ottobre 2006.
Le vicende si svolgono nell’inverno del 1981 a Blackeberg, sobborgo di Stoccolma, dove nasce un rapporto d’amicizia tra il dodicenne Oskar e una ragazzina vampiro di nome Eli. Il libro si concentra sul lato più oscuro dell’umanità, trattando temi attuali come il bullismo, la sociopatia, la droga, la diffusione della criminalità giovanile, la pedofilia, la prostituzione e l’omicidio, il tutto alla luce di un racconto che si fonda su una base evidentemente soprannaturale.
Questo romanzo, accostato in qualche caso ad opere dello scrittore statunitense Stephen King, rappresenta in effetti una sorta di ideale evoluzione del suo romanzo Le notti di Salem del 1977, in cui, in modo analogo, si utilizzava il racconto di terribili vicende di vampirismo come occasione per interrogarsi anche su alcuni aspetti negativi e inquietanti che dominano il tessuto sociale contemporaneo.
La parte iniziale del libro, con una descrizione accurata dell’ambiente sociale in cui si muovono i personaggi, si contrappone in modo inatteso allo sviluppo spaventosamente orrorifico che domina la seconda metà dell’opera, dove la narrazione cinica e distaccata dell’autore acuisce lo smarrimento e l’effetto spaesante provocato da non poche situazioni di estrema violenza.
Il romanzo è stato un best seller in Svezia e successivamente è stato tradotto in diverse lingue, tra cui tedesco, russo e inglese.
Lasciami Entrare di Tomas Alfredson
Dal 1897, data di uscita di Dracula di Bram Stoker, ad oggi, molti sono stati gli scrittori ed i registi che si sono lasciati ispirare dal grandissimo romanzo gotico dello scrittore irlandese. Chi più chi meno, tutti hanno mantenuto i tratti affascinanti del terribile e sanguinario conte Dracula, pur con nomi diversi e varianti tra il serio ed il faceto. Tuttavia, mai come nel caso di Lasciami Entrare (Låt den rätte komma in di Tomas Alfredson) , il mito del vampiro è stato stravolto ed allo stesso tempo conservato con tali tratti di grazia e gradevolezza.
La trama di Lasciami Entrare
E’ la storia di una bambina, una piccola vampira, che viene accudita da un uomo (probabile che non si tatti del padre), che la notte caccia per lei, affinché possa sopravvivere. Questo piccolo gioiello svedese conserva una fedeltà quasi romantica al romanzo e, pur sembrando un film che starebbe bene nella selezione delle pellicole per il Giffoni Film Festival, assume tratti inquietanti ed allo stesso tempo misteriosi, uscendo dal genere splatter-horror che purtroppo imperversa nelle sale cinematografiche, per elevarsi ad un horror, oserei dire raffinato, raccontato con toni intimisti ma freddo nel rappresentare la ferina violenza che caratterizza la natura della piccola protagonista.
L’inquietudine del titolo si concentra in due scene, in cui Eli la vampira chiede ad Oscar di invitarla ad entrare, altro tratto di fedeltà letterale al romanzo originale. L’interpretazione delle conseguenze di un ingresso, per così dire, senza invito, passate sotto silenzio in Stoker, vengono interpretate qui in maniera inquietante, senza però scadere nello splatter, mantenendo ancora una volta una delicatezza più unica che rara in film con questa tematica. Anche la potenzialità sessuale e sensuale del vampiro, viene affrontata qui in toni teneri e delicati, soprattutto a causa della giovane età dei personaggi.
Lasciami Entrare è un film godibile, anche per chi non ama l’horror, che pur distanziandosi dal genere, vi rimane perfettamente collocabile.
Lasciami andare: trailer del film con Stefano Accorsi
Warner Bros ha diffuso il trailer del film Lasciami andare di Stefano Mordino che chiuderà la 77esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel cast Stefano Accorsi, Valeria Golino, Serena Rossi, Maya Sansa, Ludovico Benedetti.
Lasciami andare, il film
Marco (Stefano Accorsi) e Anita (Serena Rossi) scoprono di aspettare un figlio. Finalmente un raggio di luce nella vita di Marco, messa duramente alla prova dal dolore per la scomparsa di Leo, il suo primogenito avuto con la prima moglie Clara (Maya Sansa). Improvvisamente però, nella vita di Marco e della sua ex moglie, irrompe Perla (Valeria Golino), la nuova proprietaria della casa dove la coppia abitava fino al tragico incidente. La misteriosa donna sostiene di sentire costantemente una strana presenza e la voce di un bambino che tormenta sia lei che suo figlio. Marco si ritrova così combattuto tra i legami del passato e un futuro ancora da scrivere.