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Dietro le quinte di Battleship!

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Dietro le quinte di Battleship!

Peter Berg (Hancock) produce e dirige Battleship, un epico film di azione e avventura che si svolge in mare, in cielo e sulla terraferma e che narra della lotta per la sopravvivenza da parte degli umani contro una forza aliena superiore.

Basato sul classico gioco Hasbro, la battaglia navale, Battleship vanta star quali  Taylor Kitsch e  Brooklyn Decker nei panni di Sam, fisioterapista e fidanzata di Hopper; Alexander Skarsgård, nei panni del fratello maggiore di Hopper; l’Ufficiale Comandante Stone della USS Samson;  Rihanna nei panni di Raikes, compagna al college di Hopper e specialista di armi nella USS John Paul Jones, e la star internazionale  Liam Neeson nei panni del superiore di Hopper e Stone (e padre di Sam), l’Ammiraglio Shane.

Ecco il video dietro le quinte con i commenti dei realizzatori:

 

Dietro le quinte di Anna Karenina

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Dietro le quinte di Anna Karenina

Le regole dei film d’epoca sono state infrante“. Così Keira Knightley introduce una featurette dal dietro le quinte di Anna Karenina di Joe Wright.

Dietro le quinte di 20 minuti per Lincoln di Steven Spielberg

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Lincoln-Spielberg-on-setGuarda il Dietro le quinte del film candidato a 12 Premi Oscar Lincoln di Steven SpielbergIl filmato è un ampio guardo dietro la realizzazione della pellicola ed ha

Dietro le quinte dell’episodio 8 di The Last of Us

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Dietro le quinte dell’episodio 8 di The Last of Us

In attesa del debutto del nono e ultimo episodio della prima stagione di The Last of Us, dopo avervi segnalato il promo del finale di stagione, vi segnaliamo questo intenso speciale dedicato all’incredibile ottavo episodio andato in onda domenica negli USA, su HBO, e ieri su SKY e NOW, in Italia.

La serie tv The Last of Us

The Last of Us racconta una storia che si svolge vent’anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, un sopravvissuto, viene incaricato di far uscire Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante, poiché i due si troveranno a dover attraversare gli Stati Uniti insieme e a dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.

Nel cast Pedro Pascal nel ruolo di Joel e Bella Ramsey nel ruolo di Ellie. Gabriel Luna è Tommy, Anna Torv interpreta Tess, l’attrice britannica Nico Parker è Sarah. Murray Bartlett veste i panni di Frank, Nick Offerman quelli di Bill, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene. Il cast include anche Jeffrey Pierce nel ruolo di Perry, Lamar Johnson in quello di Henry, Keivonn Woodard nel ruolo di Sam, Graham Greene nel ruolo di Marlon, Elaine Miles nel ruolo di Florence. E con Ashley Johnson e Troy Baker.

The Last of Us è scritta da Craig Mazin (Chernobyl) e Neil Druckmann (il videogioco The Last Of Us) che ne sono anche i produttori esecutivi. The Last Of Us è una co-produzione Sony Pictures Television con Carolyn Strauss, Evan Wells, Asad Qizilbash, Carter Swan, e Rose Lam come produttori esecutivi. La serie è prodotta da PlayStation Productions, Word Games, The Mighty Mint, e Naughty Dog.

Dietro la maschera: i migliori ruoli dei supereroi fuori dai cinecomics

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Attori cinecomicsNell’era dei cinecomics sembra stranissimo ricordare che, ad esempio, Robert Downey Jr ha un grande talento drammatico ampiamente dimostrato in altri film in cui non indossa la corazza di Iron Man, o che Chris Hemsworth, per quanto molto giovane, ha dimostrato di essere un bravissimo attore senza l’ausilio dei fulmini di Thor, o che, ancora, Chris Evans non si prende sempre tanto sul serio come il suo Cap, ma che riesce anche a far sorridere qualche volta, o ancora, il forzuto e cinematograficamente imponente Wolverine di Hugh Jackman è un grande attore di musical, come Les Misérables ha mostrato.

Ecco le migliori performance ‘extra-fumetto’ degli attori che sono, che sono stati o che saranno supereroi al cinema:

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Dietro il buio: recensione del film di Giorgio Pressburger

Dietro il buio: recensione del film di Giorgio Pressburger

Presentato a Venezia 2011 nelle Giornate degli Autori, Dietro il buio di Giorgio Pressburger – regista soprattutto di teatro, che si cimenta qui con la trasposizione del testo teatrale di Claudio Magris Lei dunque capirà – è un esperimento assai interessante sotto molti punti di vista. Innanzitutto, perché propone mito e teatro insieme, assumendosi l’onere del passaggio, sempre rischioso, al grande schermo. I puristi del cinema rileveranno senz’altro i segni di questa matrice teatrale (in primo luogo la forma del monologo, scelta anche per il film, poi alcuni momenti particolarmente “teatrali”). A noi interessa piuttosto il risultato, ossia se il lavoro funzioni. E possiamo rispondere di sì.

Un altro motivo d’interesse è che riunisce attorno al regista, Pressburger, e all’autore del testo, Claudio Magris, nomi noti e importanti del nostro panorama culturale, un cast di giovani, con la loro voglia di fare e mettersi in gioco: gli attori, Sarah Maestri e Gabriele Geri, per citare solo i protagonisti; i produttori della Sine Sole Cinema. E’ un film a basso budget, girato in due settimane, che non può certo contare sui potenti mezzi delle grandi produzioni, ma riesce a coinvolgere soprattutto per il suo carattere evocativo e visionario.

La si può considerare una rielaborazione del mito greco di Orfeo ed Euridice, ma non è solo questo. Il mito, qui attualizzato, dei due amanti – il poeta e cantore Orfeo e la ninfa Euridice, separati dalla prematura morte di lei, finché Orfeo, pazzo di dolore, ottiene il permesso di andare a riprenderla nell’Ade. I due potranno tornare sulla terra a condizione che lui non si volti mai a guardarla lungo il cammino –  è certamente la traccia nota da seguire. Ma ci dà poi la possibilità di immergerci in un universo onirico e visionario, quello dell’aldilà pensato da Claudio Magris, un universo claustrofobico e angosciante, cui Pressburger dà corpo, anche con l’aiuto di Paolo Magris co-sceneggiatore: al centro di questo universo, una “casa di cura”, o come  viene definita nel film “casa per il riposo”, che ha i caratteri di un ospedale psichiatrico (le riprese sono state effettuate a Gorizia, nell’istituto che fu diretto da Basaglia), così come i suoi ospiti dai volti assenti sono simili a dei pazienti psichiatrici. Vagano infatti come reclusi senza sapere nulla, ignari e soli, ma costantemente controllati dall’ombra del Signor Presidente. L’ambiente finisce così per diventare anch’esso protagonista del film. La similitudine tra la prigionia del defunto nell’aldilà e quella della persona affetta da disagio mentale-fisico nell’istituto di cura risulta molto efficace e suggestiva.

In questo universo risuonano solo le parole di Euridice che, nel testo come nel film Dietro il buio, per la prima volta racconta in prima persona la sua storia. Anche lei una “paziente” che, più che raccontare, sembra  lasciarsi andare a un monologo simile al flusso di coscienza. La giovane Sarah Maestri, che la interpreta, è chiamata qui a una difficile prova, dovendo portare sulle sue spalle il peso di un monologo teatrale. Dimostra grinta e talento, e alla fine porta a casa il personaggio. La recitazione verbale è molto modulata e diversificata, e ben si adatta alle varie sfaccettature del personaggio. A questa s’accompagna l’espressività del corpo e del viso, seguita con grande attenzione dal regista, che scruta movimenti ed espressioni della sua protagonista. Ricorderemo certo la vivezza di alcuni sguardi assenti, o persi nel ricordo, come di certi gesti (i movimenti delle mani o dei piedi), ma anche qualche scivolata, qualche momento meno convincente.

Le atmosfere inquietanti che caratterizzano la pellicola sono abilmente create dal regista attraverso l’alternanza di luce ed ombra, sole e buio, in continua contrapposizione (alternanza che ci permette di seguire anche il cammino verso la decisione di Euridice); come attraverso la circolarità dello spazio: Orfeo ed Euridice prima vagano a lungo dentro e fuori la casa. Ma sembrano tornare sempre allo stesso punto, destinati a non incontrarsi mai. Poi s’incontrano, ma l’impresa di trovare la via d’uscita sarà altrettanto ardua, come in un labirinto. Ed infine Euridice dovrà scegliere se seguire o no il suo amato (interpretazione ardua anche per Gabriele Geri/Orfeo, perché privato di molte possibilità espressive, riesce a rendere comunque una tensione che si scioglie solo nel finale. Il senso del personaggio è, d’altronde, fortemente legato alla scelta registica che Pressburger opera su di lui).

Un aldilà quello di Magris e Pressburger, che ci porta lontano dai territori della religione o della fede, verso una dimensione agnostica, dove dominano dubbio e angoscia. Lo spettatore è portato così a porsi a sua volta l’eterno quesito esistenziale cui i due danno qui la loro risposta. Interessante a questo proposito anche la rilettura finale del mito, legata alla natura del poeta e più in generale dell’artista.

Dietro i Candelabri: recensione del film di Steven Soderbergh

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Dietro i Candelabri: recensione del film di Steven Soderbergh

Steven Soderbergh caratterizza tutta la sua filmografia (quella che firma, senza contare i lavori sotto pseudonimo) da un continuo alternarsi di pellicole importanti con film a basso budget o con esiti poco felici. Con Dietro i Candelabri, in concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes, il regista si conferma capace di raccontare storie complesse e sopra le righe, con grande profondità e naturalezza.

Prima di Elvis, di Elton John, di Madonna, Bowie e Lady Gaga, c’è stato Liberace: pianista virtuoso, intrattenitore stravagante e figura originale del palcoscenico, del music hall, della televisione. Wladziu Valentino Liberace (il nome all’anagrafe del musicista nato in America da padre italiano e madre polacca) ha rappresentato in scena come nella vita privata tutto l’eccesso, il glamour e il kitsch che solo un  entertainer totale come lui poteva permettersi negli anni Cinquanta e Sessanta. Nell’estate del 1977 Liberace conosce il giovane Scott Thorson e, nonostante la differenza di età e l’appartenenza a mondi decisamente lontani, i due diverranno amanti per 5 anni.

Dietro i Candelabri racconta la storia d’amore, proibita e tenuta sempre segreta, tra Lee (come si faceva chiamare dagli amici il performer) e Scott, ruvido ragazzo cresciuto in un ranch. A dare volto e corpo a questi due personaggi ci pensano due signori attori: Michael Douglas, che senza alcuna inibizione e con grandissimo talento, mette da parte il suo machismo per interpretare un personaggio complesso, colorito e sfaccettato; Matt Damon, praticamente perfetto nel ruolo dei toy boy della grande star.

Soderbergh realizza un film opulento, perfettamente curato nella messa in scena e nei costumi, soprattutto, veri e propri tributi ad uno stile inconfondibile e (per fortuna) passato di moda. Il racconto, senza sbavature, procede in maniera lineare, concentrandosi su questa strana convivenza tra due persone che si amano ma che alla fine non riescono a rimanere insieme, tentando di ferirsi a vicenda.

Il film, lontano da toni propriamente drammatici, ha un che di beffardo e di intimamente divertito, caratterizzandosi per la rappresentazione di un personaggio profondamente e palesemente omosessuale, che però cerca di mantenere una parvenza di eterosessualità che poco gli si addice. Lo spettatore, rapito dal luccichio dei diamanti sui costumi di Liberace e abbagliato dal gusto per il trash che pervade tutto il film, rimane abbagliato per 117 minuti con una disposizione d’animo a metà tra il divertito e l’imbarazzato, senza avere il coraggio di distogliere lo sguardo dalla performance di un Michael Douglas davvero in forma smagliante.

Il film, nato come progetto televisivo ma che uscirà il prossimo 5 dicembre in Italia, ha fatto incetta di Primetime Emmy Awards riportando alla ribalta Steven Soderbergh, da troppo tempo succube della sua iperattività cinematografica.

Dietro i Candelabri trailer del film di Steven Soderberg

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Dietro i Candelabri trailer del film di Steven Soderberg

Dietro i Candelabri trailerEcco il trailer dell’ultimo premiato lavoro di Steven Soderberg, Dietro i Candelabri, film con protagonisti degli eccezionali Michael Douglas e Matt Damon.

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Prima di Elvis, di Elton John, di Madonna, Bowie e Lady Gaga, c’è stato Liberace: pianista virtuoso, intrattenitore stravagante e figura appariscente sia sul palcoscenico che in televisione. Primo vero performer famoso in tutto il mondo, con il suo stile  ha affascinato un pubblico sterminato  per tutti i 40 anni di carriera. Wladziu Valentino Liberace (il nome all’anagrafe del musicista nato in America da padre italiano e madre polacca) ha rappresentato in scena come nella vita privata tutto l’eccesso, il glamour e il kitsch che solo un  entertainer totale come lui poteva permettersi negli anni Cinquanta e Sessanta.

 Nell’estate del 1977 Liberace conosce il giovane e affascinante Scott Thorson e, nonostante la differenza di età e l’appartenenza a mondi decisamente lontani, i due saranno amanti per 5 anni. Dietro i candelabri è la storia di questa stupefacente relazione amorosa – dal primo incontro in un teatro di Las Vegas all’amara separazione finale.

Dietro i Candelabri Steven Soderberg racconta Liberace al cinema

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Dietro i Candelabri Steven Soderberg racconta Liberace al cinema

dietro i candelabri recensione “Troppo gay per il grande schermo”. Con queste parole si è sentito rispondere Steven Soderbergh quando ai produttori di Hollywood propose il soggetto per Dietro i Candelabri, un film sulla vita di Liberace, iconico pianista che tra gli anni ’50 e ’70 fu molto famoso negli Stati Uniti, soprattutto per i suoi eccessi nella vita e nel look, che contrastavano con il suo essere ultraconservatore nel privato, tanto da non uscire mai dal cosiddetto “closet” per tutta la vita.

LEGGI LA RECENSIONE DEL FILM DIETRO I CANDELABRI

Soderbergh, in un intervista a Hollywood Reporter, sottolinea come la frase dei produttori lo avesse fatto sorridere, visto che questo film veniva dopo Brokeback Mountain, molto esplicito nella relazione che nasce tra i due cowboy, e soprattutto dopo tutta una cinematografia che in effetti non si era mai curata della “gayezza” del soggetto, come nel caso del Rocky horror picture show, del 1975 o del più recente Piume di struzzo, remake americano de Il vizietto con Robin Williams.

Così mentre il cinema europeo si mostra più libero a mostrare storie e storie d’amore non canoniche con libertà, La vita di Adèle a guidare il gruppo, il paese dove per primo negli ultimi dieci anni è diventato legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sembrava non essere pronto alla visione della storia dello showman più importante dei venti anni tra il ’50 e il ’70.

LEGGI LE RECENSIONE DEL FILM LA VITA DI ADELE

dietro i candelabri recensione posterDietro i Candelabri viene quindi portato ai produttori televisivi dove ha un trattamento completamente diverso, la HBO, vedendoci lungo come al solito, lo produce e il film viene poi portato a Cannes nel 2013, trasmesso e poi premiato come miglior miniserie e miglior attore protagonista, Michael Douglas, agli ultimi Emmy awards.

Ma la linea temporale non è così semplice come viene raccontata, la gestazione di Dietro i Candelabri inizia 10 anni fa, subisce uno stop molto lungo perchè Michael Douglas voleva assolutamente avere questa parte, ma, allo stesso tempo, doveva anche combattere il cancro alla gola che gli era stato diagnosticato. Douglas supera la chemio e la cura, al suo fianco, nel ruolo dell’amante mai riconosciuto di Liberace, viene chiamato Matt Damon, che per interpretare il ruolo del ventenne Scott porta tutto il tempo una parrucca, al contrario di Douglas che invece chiede che vengano usati solo i suoi veri capelli.

Insomma una vera realizzazione barocca per questo film, così come fu la vita del pianista: nato da immigrati italo-polacchi (il suo vero nome è infatti Wladziu Valentino Liberace) fu il primo, addirittura negli anni ’40 a proporre i primi videoclip sfruttando la sperimentazione del sonoro da poco scoperto e abbinato all’immagine filmata, e fu il primo a realizzare spettacoli con una vera e propria scenografia di abbellimento: i candelabri del titolo erano infatti presenti ad ogni suo spettacolo, diventando un “prop” ricorrente.

Il film esce nelle sale italiane il prossimo 5 Dicembre, ma chissà se il pubblico nostrano non sia troppo lontano dal conoscere chi sia questo showman americano per apprezzare la pellicola. La fiducia è tutta riposta nelle grandi capacità registiche di Soderbergh e l’attrattiva del binomio Matt Damon – Michael Douglas nel cast.

Dietro i Candelabri trailer

Dieta drastica per Matthew McConaughey

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Dieta drastica per Matthew McConaughey

Matthew McConaughey, che vedremo presto in Magic Mike al top della sua forma fisica, sta perdendo tantissimo peso per interpretare un malato di AIDS nel film The Dallas Buyer’s Club, basato sulla storia vera di Ron Wodruff, che dopo la terribile diagnosi decise di darsi alle medicine illegali per vivere il più a lungo possibile.

Ecco come appare adesso Matthew:

E’ veramente strano vedere l’attore in questa condizione fisica, dal momento che si è costruito una carriera sui suoi muscoli, ma è stato lui stesso a riferire che “devo sembrare di non essere per niente in salute”.

Il periodo è particolarmente fervido per l’attore californiano che, oltre a questoprogetto che gli sta rivoluzionando il fisico, lo vedremo presto in splendida forma in Magic Mike, e nel prossimo film di Martin Scorsese The Wolf of Wall Street, insieme a Leonardo DiCaprio.

Diego Luna: 10 cose che non sai sull’attore

Diego Luna: 10 cose che non sai sull’attore

Divenuto celebre per alcuni famosi film girati nel suo paese, l’attore messicano Diego Luna si affermato negli anni anche in quel di Hollywood, arrivando ad ottenere fama internazionale grazie alla sua partecipazione al film Rogue One: A Star Wars Story. Apprezzato interprete, Luna si è distinto anche come sceneggiatore, produttore e regista, sfoggiando un talento cinematografico completo, che gli ha permesso di ottenere numerosi riconoscimenti da parte della critica e del pubblico.

Ecco 10 cose che non sai su Diego Luna.

Diego Luna: i suoi film

1. Ha recitato in film di grande successo. Dopo aver preso parte ad alcuni film girati in Messico, l’attore diventa celebre grazie al personaggio di Tenoch in Y tu mamá también (2001), di Alfonso Cuarón. Da quel momento inizia a costruire la sua carriera partecipando a film come Frida (2002), The Terminal (2004), Dirty Dancing 2 (2004), Mister Lonely (2007), Milk (2008), Elysium (2013) e Rogue One: A Star Wars Story (2016), con cui consacra la sua popolarità. Recita poi nei film The Bad Batch (2016), Flatliners – Linea mortale (2017), Se la strada potesse parlare (2018) e Un giorno di pioggia a New York (2019).

2. Ha preso parte ad una celebre serie televisiva. Dopo aver recitato in alcune serie televisive messicane, l’attore viene scelto per ricoprire il ruolo di Mìguel Angel Félix Gallardo nella serie Netflix Narcos: Messico, dove recita insieme a Michael Peña.

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3. Si è distinto come regista. Luna esordisce alla regia nel 2010 con il lungometraggio Abel, presentato al Sundance Film Festival. Successivamente dirige l’episodio intitolato Pacifico all’interno del film Revolución. Nel 2014 dirige invece il film Cesar Chavez, incentrato sul sindacalista e attivista statunitense.

4. È noto anche come doppiatore. Tra le altre qualità sfoggiate da Luna vi è quella per il doppiaggio. L’attore ha infatti ricoperto tale ruolo per il film d’animazione Il libro della vita, e per le serie animate Trollhunters (2018) e 3 in mezzo a noi (2018-2019).

Diego Luna in Narcos: Messico

5. Ha faticato a calarsi nei panni del personaggio. L’attore ha dichiarato che quello di Felix Gallard è probabilmente il ruolo più difficile della sua carriera fino ad ora. Luna ha infatti riscontrato diverse difficoltà nel comprendere le motivazioni che spingono il personaggio a compiere terribili atti contro altri esseri umani. Il suo tentativo è stato quello di renderlo un personaggio tridimensionale, cercando di coglierne l’aspetto umano.

Diego Luna in Star Wars

6. Sarà protagonista di una serie dedicata al suo personaggio. L’attore, che in Rogue One: A Star Wars Story interpretava il personaggio di Cassian Andor, ha confermato lo sviluppo di una serie incentrata su tale personaggio. Luna si è dichiarato entusiasta di poter rivestire i panni di un personaggio da lui tanto amato, esplorandolo in eventi precedenti a quelli visti nel film.

Diego Luna e Woody Allen

7. È tra i protagonisti del nuovo film del regista newyorkese. In Un giorno di pioggia a New York, Luna interpreta il personaggio di Francisco Vega, attore frustrato dal fatto che gli vengano proposti sempre gli stessi ruoli, e che tenterà una via di fuga dalla quotidianità con il personaggio interpretato dall’attrice Elle Fanning.

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Diego Luna in The Terminal

8. Ha recitato in un film di Steven Spielberg. L’attore è tra i personaggi principali del film diretto da Steven Spielberg The Terminal, dove recita al fianco del premio Oscar Tom Hanks. Nel film l’attore ricopre il ruolo di Enrique Cruz.

Diego Luna in Dirty Dancing 2

9. È protagonista del film rivisitazione del noto film di ballo. Luna interpreta il personaggio di Javier Suarez nel film Dirty Dancing 2 (il cui titolo originale è Dirty Dancing: Havana Nights). Il film non ha infatti legami con il film del 1987, ma riutilizza la stessa trama nel contesto cubana, durante gli anni della rivoluzione di Fidel Castro.

Diego Luna età e altezza

10. Diego Luna è nato a Città del Messico, in Messico, il 29 dicembre 1979. L’attore è alto complessivamente 178 centimetri.

Fonte: IMDb

Diego Luna è grato che “Andor” finirà dopo la seconda stagione: è “davvero importante per la mia salute mentale”

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Quando il tuo lavoro quotidiano viene speso a pianificare una ribellione in una galassia molto, molto lontana, è utile avere qualcosa che possa riportarti sulla Terra, o su qualunque pianeta tu chiami casa. Quando non è il più ricercato dell’Impero in “Andor” di Disney+Diego Luna torna a teatro. È cresciuto insieme al padre, ed è stata la costante della sua carriera.  In un certo senso, mi ha mantenuto sano di mente”, dice l’attore dopo una lunga giornata sul set londinese della seconda stagione di “Andor”. “Il teatro è un ottimo modo per tornare indietro e mettere i piedi per terra e ricordarti cosa questo è tutto.

Tra la produzione delle stagioni 1 e 2, ha trascorso due mesi su un palcoscenico di Madrid dirigendo “Cada vez nos despedimos major“, un monologo che presentava solo se stesso, un musicista e tre lampade. Era molto diverso dai giganteschi set, dalle orde di comparse e dalle altissime aspettative dell’universo di “Star Wars”. 

Quella versatilità nella scala dei suoi progetti ha definito l’intera carriera di Luna, per la quale sarà onorato con un Variety Virtuoso Award il 4 marzo al Miami Film Festival. Da adolescente, la sua incursione nel cinema messicano è arrivata in un momento in cui gli attori hanno prestato i propri vestiti e auto per la parte. Era risaputo che se ti fosse stato chiesto di fare cinema, l’ultima cosa che avresti fatto era pensare di essere pagato“, ammette l’attore. Alla fine ha trovato un progetto che gli è valso il plauso e non richiedeva i suoi effetti personali. Il classico on the road di Alfonso Cuarón del 2001 “Y tu mamá también” è spesso citato come un progressivo balzo in avanti per il cinema messicano e ha lanciato la carriera di Luna.  

Nei 22 anni successivi, l’attore, regista e produttore ha fatto di tutto, da drammi di prestigio (“Frida” e “Milk”), successi animati (“Il libro della vita” e “Maya e i tre“) e diverse serie televisive ( “Narcos: Messico” e “Pan y Circo”). Ma non importa il progetto – con i piedi per terra o tra le stelle – deve esserci un gancio personale per Luna. Questa è la bellezza di questo lavoro“, dice. “Se c’è qualcosa di personale per ogni progetto, diventano come francobolli che ti ricordano dove sei stato.” 

La serie tv ANDOR

ANDOR è stata ampiamente acclamata come la migliore serie TV di Star Wars su Disney+ e ha raccolto un successo che sarà certamente duraturo. Nonostante le notizie secondo cui lo show ha faticato a trovare un pubblico, siamo sicuri che avrà tempo e modo per conquistare tutti e la storia raggiungerà una conclusione adeguata, portandoci direttamente nella storia di Rogue One, ora la seconda stagione sta andando avanti come previsto. ANDOR presenta Star Wars da una prospettiva diversa, concentrandosi sulle persone comuni le cui vite sono influenzate dall’Impero. Le decisioni che prendono hanno conseguenze reali e la posta in gioco per loro e per la Galassia non potrebbe essere più alta.

Diego Luna ritorna nei panni di Cassian Andor ed è affiancato dai membri del cast Genevieve O’Reilly, Stellan Skarsgård, Adria Arjona, Denise Gough, Kyle Soller e Fiona Shaw. I produttori esecutivi sono Kathleen Kennedy, Tony Gilroy, Sanne Wohlenberg, Diego Luna e Michelle Rejwan. Tony Gilroy è anche il creatore e lo showrunner.

Diego Luna da Star Wars al remake di Linea Mortale

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Diego Luna da Star Wars al remake di Linea Mortale

Diego Luna si prepara a tornare sulla terra. In attesa di vedere l’attore messicano alle prese con quella galassia lontana lontana (sarà infatti nel cast dell’atteso primo spin-off della saga di Star Wars, dal titolo Rogue One), arriva da Empire la notizia che Luna affiancherà Ellen Page (Juno, Inception, Freeheld) nell’annunciato remake di Linea Mortale (Flatliners) ad opera della Sony Pictures.

La pellicola sarà diretta da Niels Arden Oplev (regista danese noto per Uomini che odiano le donne), mentre la sceneggiatura porterà la firma di Ben Ripley (Source Code). David Blackman e Laurence Mark figureranno tra i produttori. Le riprese del film inizieranno a luglio.

Linea mortale (Flatliners) è un film del 1990 diretto da Joel Schumacher, che narra le vicende di un gruppo di studenti di medicina che sperimentano su sé stessi la morte indotta chimicamente con l’unico scopo di provare l’esistenza dell’aldilà. Il cast del film originale include Kiefer Sutherland, Julia Roberts, William Baldwin, Oliver Platt e Kevin Bacon.

Fonte

Diego Boneta è Adamo

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Già la prima foto spoiler di Bradley Cooper nei panni di Lucifero ha fatto molto parlare di sè, adesso il film di Alex Proyas, rifacimento del Paradiso Perduto di Milton

Diego Armando Maradona è morto: ecco il cinema che lo ha raccontato

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Si è spento a 60 anni Diego Armando Maradona. Campione della nazionale di calcio dell’Argentina e amatissimo e in Italia, a Napoli, dove ha militato conquistando due scudetti, il calciatore è stato una di quelle figure larger than life, che il cinema stesso ha celebrato più volte.

Amando a Maradona

Amando a Maradona è un film documentario del 2005 diretto da Javier Vázquez. Il film è uscito in Argentina il 22 dicembre 2005 e nel 2006 (in date diverse) nel resto del mondo.

Maradona – La Mano de Dios

Maradona – La mano de Dios è un film del 2007 diretto da Marco Risi, incentrato sulla vita del calciatore argentino Diego Armando Maradona. Questo film è riconosciuto come d’interesse culturale nazionale dalla Direzione generale Cinema e audiovisivo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo italiano, in base alla delibera ministeriale del 26 settembre 2005.

Maradona di Kusturica

Maradona di Kusturica (Maradona by Kusturica) è un film documentario del 2008 diretto da Emir Kusturica, presentato il 20 maggio 2008 fuori concorso al 61º Festival di Cannes. Originariamente il titolo avrebbe dovuto essere Maradona – El pibe de oro. Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 30 maggio 2008.

Maradonapoli

Il film documentario del 2017 è diretto da Alessio Maria Federici e, forse più di ogni altro, racconta il mito di Maradona con gli occhi degli italiani che lo hanno amato di più.

Diego Maradona

Diego Maradona è un documentario del 2019 diretto da Asif Kapadia, che narra le vicende del celebre calciatore Diego Armando Maradona nei suoi anni al Napoli.

È stata la mano di Dio

Si tratta del progetto di Paolo Sorrentino le cui riprese si sono appena concluse. Si tratterà di “un film intimo e personale, un romanzo di formazione allegro e doloroso” con sullo sfondo la permanenza di Maradona al Napoli. Lo vedremo su Netflix.

Dieci Minuti: trailer del film con Barbara Ronchi

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Dieci Minuti: trailer del film con Barbara Ronchi

Disponibili il Trailer e le nuove immagini di Dieci Minuti, il film diretto da Maria Sole Tognazzi (Viaggio Sola, Io e Lei, la serie Petra), prodotto da Indiana Production e Vision Distribution, in collaborazione con Sky e in collaborazione con Netflix.

Dieci Minuti ha come protagoniste Barbara Ronchi, Fotinì Peluso e Margherita Buy.
Con loro Alessandro Tedeschi, Anna Ferruzzo, Marcello Mazzarella, Mattia Garaci, Matteo Cecchi e con la partecipazione di Barbara Chichiarelli.

Soggetto e sceneggiatura sono di Francesca Archibugi e Maria Sole Tognazzi, e il film, prodotto da Marco Cohen, Benedetto Habib, Fabrizio Donvito e Daniel Campos Pavoncelli, è liberamente ispirato al romanzo Per Dieci Minuti di Chiara Gamberale (edito da Feltrinelli). Dieci Minuti sarà nei cinema dal 25 gennaio distribuito da Vision Distribution.

La trama di Dieci Minuti

Dieci Minuti al giorno possono cambiare il corso della giornata. Dieci minuti facendo qualcosa di completamente nuovo, possono cambiare il corso di una vita. Questo è quello che scoprirà Bianca nel pieno di una crisi esistenziale. Nuovi incontri, la scoperta di legami speciali e l’ascolto di chi ci ha sempre voluto bene. A volte basta poco per ricominciare e questo film ce lo insegna, attraverso un racconto caldo e appassionante di rinascita.

Dieci minuti: recensione del film di Maria Sole Tognazzi

Dieci minuti: recensione del film di Maria Sole Tognazzi

Il cinema di Maria Sole Tognazzi è donna. La regista, che ha all’attivo cinque lungometraggi, un documentario e un corto, ama posare gli occhi – e la macchina da presa – su sguardi, tormenti e gioie femminili, per affrescarne un dipinto elegante, delicato e dettagliato. Da Viaggio da sola a Io e lei, fino all’ultimo Dieci minuti, Tognazzi mette al centro della sua poetica le donne, figure che, come lei stessa dice quando era agli inizi della sua carriera, non hanno mai ricoperto un ruolo centrale e privilegiato, ma si sono spesso dovute accontentare di essere un supporto, comprimarie secondarie, “costrette” a rimanere un passo indietro e mai nel cono di luce che meritavano.

I tempi, però, stanno cambiando, non solo nel tessuto sociale ma anche in quello cinematografico, e lo dimostrano i recenti prodotti audiovisivi in cui non solo ci sono più protagoniste da raccontare, ma anche più registe che esprimono la loro unica e attenta visione. E così la cineasta si inserisce in quella categoria di artiste che sente l’esigenza di far emergere, o per meglio dire irrompere, voci e presenze femminili sullo schermo, partendo da un testo di riferimento scritto da una donna, Chiara Gamberale, e avvalendosi di una co-sceneggiatrice, Francesca Archibugi (La Storia), che la aiutasse a modellare la storia di Bianca, nel romanzo Chiara. Dieci minuti è una produzione Indiana Production e Vision Distribution, in collaborazione con Netflix e Sky, ed è nelle sale dal 25 gennaio, giorno in cui – coincidenza – debutterà un altro film che si cuce addosso a una donna e porta sulle spalle il suo percorso di crescita e scoperta: il Leone d’Oro Povere Creature!

Dieci minuti, la trama

Bianca è nel periodo peggiore della sua vita. Il marito Niccolò l’ha lasciata all’improvviso e lei non si capacita del perché: in fondo, secondo la sua distorta visione, andava tutto bene. Eppure lui è risentito: non si sente ascoltato e supportato, gira tutto intorno alla moglie. Non è riuscita nemmeno ad accorgersi che ha un’altra. Sul fronte del lavoro, le cose procedono allo stesso modo: sul treno verso casa, Bianca viene chiamata dal suo responsabile e licenziata in tronco. In più, in un gioco di flashback, pare che la donna sia segnata anche da un incidente, avvenuto poco dopo la separazione, che l’ha fatta smettere di guidare. Tutti questi eventi l’hanno destabilizzata, rendendola assente e inerme davanti a tutto e tutti. Non riesce a fare molto, Bianca, se non andare dalla dottoressa Brabanti, psicanalista che le propone una sfida per scuoterla dal suo torpore quotidiano: tutti i giorni, una volta al giorno, Bianca deve fare qualcosa di completamente nuovo, che fuoriesca dalla sua normalità. Qualcosa che magari non farebbe mai. Grazie a questa terapia, Bianca farà nuovi incontri, scoprirà legami speciali e inizierà ad ascoltare chi le ha sempre voluto bene. Tentando di affrontare la sua crisi.

Dieci minuti

Oltre le barriere della mente

Il quasi omonimo romanzo di Chiara Gamberale, Per dieci minuti, è un racconto intimo e autobiografico di una donna nel pieno della sua (ri)fioritura. Un percorso, ma anche un processo, di ardua rinascita che si riscontra nel film liberamente ispirato di Tognazzi, in cui a essere messa in luce è la paura dell’abbandono e come questa lavori sulla psiche umana tanto da disintegrarla. Bianca è piena di fragilità, spesso immobile e cieca davanti a una vita che le scorre e in cui c’è un crocevia di persone a cui lei non riesce a dare la dovuta attenzione. Neppure al marito. Crede di essere partecipe delle esistenze degli altri, ma in realtà non ascolta, non si connette con il resto del mondo e nel frattempo, senza accorgersene, viene risucchiata in una solitudine che, se prima era solo prigione mentale, diventa poi fisica con la separazione da Niccolò.

Si intersecano in lei emozioni contrastanti, ma è l’essere inerme a dominarla nel quotidiano e a farla sprofondare nel buio. È spenta ed egoriferita la Bianca di una quanto più umana e tenera Barbara Ronchi, consumata dalle sue stesse paranoie e dal timore di conoscere verità che sarebbe meglio sigillare in un cassetto faendo finta che non esistano. Perché spesso è più semplice crearsi una realtà immaginaria, piuttosto che fare i conti con quella vera, più dura e complessa. Occhi smarriti, sguardo basso e cupo, labbra spesso arricciate: rimanendo fissa sul suo volto sofferente, la regista intercetta tutte le sfumature di un animo travagliato, compiendo un viaggio nelle emozioni e nei turbamenti di una donna in piena crisi esistenziale, che tenta alla fine di tornare a galla e rinascere dalle sue ceneri. Dandosi la possibilità di riscoprirsi e forse proprio di conoscersi nel profondo.

Un cast ben assortito

Come dicevamo all’inizio di questa recensione, Maria Sole Tognazzi si dedica anima corpo e cuore alle sue protagoniste, le accarezza dolcemente, ecco perché le donne del film, e in particolare la sua Bianca, hanno una posizione di assoluto rilievo. Ronchi ha due comprimarie di tutto rispetto, una più che credibile Margherita Buy nelle vesti della psicanalista, il cui ruolo le calza a pennello, e Fotinì Peluso, il cui personaggio è stato scritto per il film, che interpreta Jasmine, la sorella di Bianca, una ragazza da un lato esuberante, dall’altro bisognosa di trovare un posto (che non è un luogo bensì una persona) da chiamare casa. Nonostante Dieci minuti sia una storia che favorisce il punto di vista e la solidarietà femminile, la figura maschile – in questo caso Niccolò in primis – non è mai posta sotto la lente del giudizio.

La regista non è intenta a fare la morale e non vuole trasformare un racconto prevalentemente drammatico – con deliziosi inserti divertenti – in una narrazione femminista, tanto che empatizzare e comprendere il personaggio di Alessandro Tedeschi è pressoché naturale. Resta sì sullo sfondo, ma è bilanciato e ben caratterizzato e considerato, non diventando mai oggetto di critiche. Al netto di quanto scritto, ciò che invece sembra mancare un po’ è la completezza del gioco dei “dieci minuti”: seppur si riesca a mostrare come una soluzione divertente e funzionale per far uscire Bianca dall’impasse in cui si trova, sembra che non ci si sia voluti sbilanciare troppo sui vari momenti in cui si dedica a fare quell’altro che le fa paura, schifo o la entusiasmi. Sarebbe stato interessante esplorare meglio questo aspetto, e vedere fin dove la fantasia delle creatrici potesse spingersi. Ciononostante, Dieci minuti è un film godibile, buono, che si lascia amare nel suo essere delicato e calibrato, e dimostra quanto Maria Sole Tognazzi si prenda cura delle sue antieroine, facendole brillare di luce propria nonostante le ferite che si portano addosso.

Dieci Inverni: recensione del film di Valerio Mieli

Dieci Inverni: recensione del film di Valerio Mieli

Dieci inverni è il film del 2010 diretto da Valerio Mieli con protagonisti Isabella Ragonese, Michele Riondino, Glen Blackhall, Sergej Zhigunov.

Dieci inverni racconta la sera d’inverno del 1999 i diciottenni Silvestro e Camilla , studenti fuori sede a Venezia , si incontrano su un vaporetto: sarà l’inizio di un percorso lento e graduale, lungo dieci anni in cui si avvicineranno e perderanno, sempre per pochi attimi e sempre d’inverno, prima di riuscire a comprendere e a rivelare i propri sentimenti.

Può un amore palesemente scritto nel destino dover attendere dieci anni prima di sbocciare pienamente? Dopo Harry ti presento Sally e in attesa dell’imminente One Day di Lone Scherfig con Anne Hathaway e Jim Sturges, nuove passioni lente ad esprimersi attraversano i Dieci inverni di Valerio Mieli: ben lontano dal rischio di cadere nelle trappole delle più tremende commedie sentimentali, il luminoso esordio del regista romano è un racconto pulito e spontaneo, abile nel descrivere i quadri invernali del decennio che porta ai trent’anni senza la retorica e le convenzioni giovanili esasperate dai romanzi di Moccia, regalandoci un’esperienza intimamente coinvolgente e felicemente isolata dai più recenti trend di un cinema italiano quasi poco interessato a lavorare su un terreno più squisitamente emotivo senza prendersi in giro e cercare la risata.

Dieci Inverni, tra malinconia e suggestione

E’ una Venezia malinconica quella in cui accettiamo piacevolmente di immergerci, assai più affascinante e suggestiva nel suo abito pallido e silente che nelle colorate e caotiche cartoline turistiche, preferendo a un rampante motoscafo o alla solita gondola in Canal Grande un vaporetto arrugginito dove un ragazzo con una buffa pianta e una ragazza che porta una strana lampada si incontrano per la prima volta in una fredda sera d’inverno; dopo una prima castissima notte apparentemente senza seguito, le strade di Silvestro e Camilla iniziano a incrociarsi numerose volte  per pochi attimi o per brevi periodi, in frammenti di vita in attesa come gelidi cristalli di neve.

Attraverso un cammino perennemente in fieri, fra frasi non dette e grandi speranze che cedono spesso alle piccole cattiverie e vendette della quotidianità, Camilla e Silvestro provano a cercare altre strade verso la felicità fingendo di poter rinnegare consapevolmente sé stessi: senza che il sole faccia mai capolino i due intraprendono carriere differenti, vivono altre storie e si dividono fra le calli deserte di Venezia e le rigide sere moscovite, in due città tanto diverse quanto abili entrambe a congelare i sentimenti. Quando  le reciproche esperienze li hanno fatti finalmente crescere dandogli il coraggio di rischiare, l’incantesimo invernale finalmente può infrangersi e lasciare arrivare la primavera, con il sole che illumina gli sguardi e quella casetta dove da studenti avevano convissuto,  sfiorandosi senza mai riuscire davvero a toccarsi e a bruciare.

Un film delicato e sospeso

Valerio Mieli costruisce dunque col suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma un film delicato e sospeso, una finestra sul mondo dei sentimenti che nella semplicità trova il suo punto di forza e che nonostante i tempi lenti e la fredda ambientazione non annoia e scalda il cuore, complice  il suggestivo pianoforte di Francesco De Luca e Alessandro Forti e la surreale fotografia di Marco Onorato; ottime le prove di Michele Riondino e Isabella Ragonese, bravissimi nel tratteggiare le storie di due personaggi immaturi e inesperti ma mai eccessivi o caricaturali, nelle cui umane insicurezze e reazioni sbagliate ma all’apparenza inevitabili è facile identificarsi: almeno una volta nella vita abbiamo sperato di trovare qualcuno che ci accompagnasse lungo il percorso, abbiamo pensato che si nascondesse lontano in qualche luogo remoto dove non siamo mai stati quando invece era lì, così vicino a noi, senza che riuscissimo a riconoscerlo.

Dieci giorni tra il bene e il male: recensione del primo film sul detective Sadik

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Sadik indossa sempre un vecchio e logoro cappotto, gli piace dissetarsi di latte fresco direttamente dalla bottiglia di vetro, è un ex avvocato con un passato dietro le sbarre e ora da uomo libero si cimenta nell’arte dell’investigazione. Lui è un investigatore privato di Istanbul, protagonista di una nota trilogia di gialli dello scrittore Mehmet Eroglu, un vero e clamoroso caso letterario in Turchia, da cui è stato tratto quest’omonimo film Dieci giorni tra il bene e il male. Questo adattamento non è solo che il primo, di ben altri due, in arrivo nei prossimi mesi disponibili ovviamente sempre in streaming sulla piattaforma di Netflix che si occupa della distribuzione nel mondo.

La trama di Dieci giorni tra il bene e il male

Il detective Sadik (Nejat Isler) è stato ingaggiato per trovare un ragazzo scomparso da un mese, questa ricerca gli è stata affidata da Maide una vecchia amica di lunga data. Il giovane di cui si sono perse le tracce è Tevfik (Ata Artman), il figlio maggiore di Yeter, la tata della donna che incarito del difficile compito l’investigatore di questo film. Dieci giorni tra il bene e il male è diviso in dieci giornate quelle del titolo – ed è una storia di genere giallo hard boiled, proprio come quelli che guarda alla televisione di continuo Sadik con per protagonista il detective Philip Marlowe. Come in qualsiasi thriller che si rispetti la persona ricercata non è mai quella che viene raccontata dalla madre, ansiosa di riabbracciare il suo “passerotto”, ma si avvicina più a quella descritta dalla sorella minore, una studentessa ribelle Pinar (Ilayda Akdogan), escort nel tempo libero per guadagnare soldi per pagarsi vestiti, cellulari, e altre cose che un’adolescente potrebbe desiderare. Tevfik, non era affatto uno stinco santo anzi, era un protettore dedito ad un giro losco tra prostitute, immigrati clandestini fatti schiavi e anche di bambini orfani che nessuno cerca.

Dieci giorni tra il bene e il male film recensione
Netflix, 2022. Fotografia: Şinasi Sparrow

Sadik, durante la sua investigazione, incontra tante persone sinistre e malavitose come “il capo”, che usa una strana chiave inglese a forma di artiglio, con la quale strappa le unghie e le dita ai suoi nemici che intanto tortura, un collega di Tevfik nella tratta degli esseri umani e pure un sicario. Per ultimi una coppia inquietante di gemelli albini ricchi, che sembrano i cosplay dei più noti Targaryen, che si dedicano a giochi sadici e criminali, forse il momento più assurdo di tutte le quasi due ore, ma che da la spiegazione alla scena iniziale del film, con la coppia mascherata durante una caccia dove uccidono sadicamente con un pugnale un ragazzo innocente. Nel frattempo il detective, raccolte tutte le prove scovate, risolve il caso, ritrova il giovane che consegna nelle mani sadiche dei gemelli e ci guadagna un sacco di soldi oltre a far liberare, dagli amici poliziotti, tutte le persone rapite, anche i bambini dal covo di Tevfik. 

Sadik sulla scia dei suoi colleghi detective televisivi

Uno dei tratti distintivi, quando si pensa ad un detective, è il suo abbigliamento e il suo immancabile cappotto. Sadik uscito dalla penna di Mehmet Eroglu, come ci ha insegnato lo Sherlock di BBC interpretato da Benedict Cumberbatch o forse di più il Cormoran Strike di Robert Galbraith – pseudomino di J. K. Rowling – anche il nostro affascinante investigatore privato di Istanbul ovviamente indossa sempre il suo amato soprabito pesante e marrone. Il regista Uluc Bayraktar consapevole del significato e dell’importanza visiva dell’indumento, gli dedica alla fine del film, l’ultima scena in cui Sadik finita la missione che gli era stata affidata, ha appeso il cappotto al chiodo e finalmente parte per la tanto desiderata vacanza al caldo, magari sull’isola tropicale che sogna da sempre con la nuova fidanzata, la vicina di casa Fàtima. 

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Netflix, 2022. Fotografia: Şinasi Sparrow

Il primo film sul detective di Sadik 

Questo poliziesco turco sceneggiato da Damla Serim, è un buon tentativo delle produzioni turche di mostrare che non sanno fare solo le commedie romantiche o le dizi. Il film ovviamente per la sua struttura guarda molto al cinema hollywoodiano, con tutta una raccolta di luoghi comuni del genere, tipo i vari personaggi che intralciano le ricerche del detective. Il protagonista, grazie al talento del suo interprete Nejat Isler, rende al suo detective quel tratto dell’uomo burbero, sarcastico ma che nasconde un lato gentile che dona esclusivamente alle giovani donne che gli girano intorno e che chiedono il suo aiuto.

Sadik ricorda molto i vari investigatori privati solitari, tratti da saghe crime letterarie famose, che hanno invaso nelle ultime stagioni televisive italiane ed europee. Dieci giorni tra il bene e il male – in originale İyi Adamın 10 Günü – è solo il primo film tratto dal capitolo uno che compone la trilogia letteraria, tanto che Netflix alla fine della visione di questo thriller, suggerisce la visione del trailer del secondo adattamento Altri dieci giorni tra il bene e il male, in arrivo in estate il 18 agosto di quest’anno.

Dieci Capodanni: dal 31 gennaio in esclusiva su RaiPlay l’attesa serie spagnola

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Sarà disponibile dal 31 gennaio in esclusiva RaiPlay la serie spagnola Dieci Capodanni, presentata in anteprima in Italia alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una serie creata da Rodrigo Sorogoyen, Sara Cano, Paula Fabra e diretta dallo stesso Sorogoyen, regista candidato agli Oscar nel 2019 per il cortometraggio “Madre”, vincitore anche di due Premi Goya (As bestas, Il Regno) e un premio César (As bestas), insieme a Sandra Romero e David Martìn de los Santos. I primi 5 episodi della serie saranno disponibili sulla piattaforma Rai a partire dal 31 gennaio, i successivi dal 7 febbraio.

La trama di Dieci Capodanni

Ana, interpretata da Iria del Río (già nota per i suoi ruoli nelle serie tv Elite e Velvet) e Óscar, interpretato da Francesco Carril (Un amor, Ramona e La Reconquista), compiono 30 anni la notte di Capodanno, ma la loro vita è molto diversa. Ana vive in un appartamento condiviso, cambia spesso amici e cerca ancora la propria strada. Óscar, medico per vocazione, sembra avere tutto sotto controllo, seppur con una relazione instabile alle spalle. La loro storia inizia proprio nella notte del Capodanno 2015 e si sviluppa lungo un decennio fatto di amore, rotture e momenti di crescita personale, intrecciando il loro viaggio verso la maturità.

Dieci Capodanni è una serie che si distingue per il suo stile narrativo unico. Ogni episodio, infatti, rappresenta una “istantanea” della relazione tra Ana e Óscar, mettendo in scena una notte di Capodanno e raccontando così, non solo la loro storia d’amore, ma anche lo sviluppo delle loro personalità nel corso del tempo. La narrazione esplora dieci anni cruciali nella vita dei due, dai 30 ai 40 anni, un periodo di transizione dove si resta giovani o si cresce velocemente. La serie Dieci Capodanni, con un approccio realistico e contemporaneo, sviluppa la storia dei protagonisti puntando ad una profonda connessione emotiva con il pubblico e lo fa anche attraverso l’introduzione di un elemento meta- narrativo: Ana e Óscar, infatti, in ogni episodio osservano coppie diverse, offrendo agli spettatori una prospettiva intima e autentica.

Come racconta il regista, Rodrigo Sorogoyen:“Quando ho pensato a questo progetto, volevo mostrare l’evoluzione personale e sentimentale di una coppia, evitando nostalgia o spiegazioni forzate. Il nostro obiettivo era rappresentare la realtà della crescita e del cambiamento. Le riprese in ordine cronologico hanno permesso agli attori di immergersi completamente nei loro ruoli, rendendo autentico il viaggio dei personaggi. Non credo di esagerare quando dico che l’esperienza visiva e sonora che avranno gli spettatori guardando la serie assomiglierà molto alla contemplazione della vita e della crescita di due persone comuni”.

Los años nuevos è una serie originale Movistar Plus+ in collaborazione con Caballo Films e in associazione con ARTE France.

Dieci attori ‘maledetti’ dopo aver vinto un Oscar

Nonostante non abbia, e forse non abbia mai avuto, un valore artistico indiscutibile, il premio Oscar resta ilpiù prestigioso riconoscimento a cui si possa aspirare nel mondo del cinema. In prossimità dell’annuncio delle nomination agli Oscar 2016, ecco 10 attori che, dopo aver vinto un Oscar, sono stati in qualche modo ‘maledetti’ nella loro carriera, trovando poi difficoltà a ottenere altri ruoli notevoli.

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Die: recensione del film con Caterina Murino

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Die: recensione del film con Caterina Murino

Sei persone si svegliano in prigioni di vetro, vestiti con grezze tute di panno, si guardano cercando di scorgere qualcosa oltre alla spessa oscurità che li circonda. Qualche istante dopo il buio si dissolve e compare uno sconosciuto, il suo volto sereno suscita incertezza e timore. E’ l’inizio di un incubo. Comincia così Die, thriller psicologico diretto dal canadese Dominic James che, sulla scia di SAW, mette in scena i folli giochi mortiferi di un pazzo disturbato, Jacob. La prima cosa che si nota in Die, e che ne costituisce il principale pregio, è che pur avendone le possibilità il film non scade mai nello splatter, pur mantenendo un carica violenta piuttosto alta. Questo particolare lo rende sicuramente meno appetibile per il giovane pubblico assetato di squartamenti cinematografici, ma conferisce al film la finezza psicologica che si ritrova soprattutto nella messa in scena del ‘gioco’ perverso, vero protagonista del film, e nella costruzione del personaggio del cattivo Jacob, interpretato discretamente da John Pyper-Ferguson (X-Men – Conflitto finale).

Accanto a lui un ottimo gruppo di attori (Emily Hampshire, Elias Koteas, Patricia McKenzie, Fabio Fulco) nel quale spicca, purtroppo per difetto, l’italiana Caterina Murino nel ruolo di Sofia Valenti. All’attrice si riconosce un buon lavoro dal punto di vista fisico ed estetico, ma la sua performance resta piatta, ostacolata oltretutto dalla pessima scrittura del personaggio. Buone invece la fotografia e le musiche, che contribuiscono notevolmente ad aumentare l’efficacia della storia.

Da sottolineare il coinvolgimento, nella produzione, di coraggiose forze italiane, che una volta tanto sfidano il nostro mercato e la tradizione nostrana, investendo in un film di genere (nè commedia nè dramma). Thriller psicologico che, partendo da un presupposto commerciale, si rivela un prodotto anomalo, Die è una produzione italo-canadese che mantiene alta la tensione, riuscendo a coinvolgere lo spettatore.

 

Die Theorie Von Allem, recensione del film di Timm Kröger #Venezia80

Prima la fisica e poi le donne“: una battuta pronunciata da uno scienziato nel corso del film Die Theorie Von Allem, presentato in concorso a Venezia 80, che strappa una risata al pubblico. Solo il corso degli eventi del film di Timm Kröger ci farà capire che questa frase potrebbe sintetizzare il conflitto del suo protagonista, Johannes, un dottorando in fisica che sta scrivendo la tesi finale da due anni con non poche difficoltà e il cui percorso verso la laurea potrebbe venire ulteriormente messo in crisi da una serie di doppi femminili.

Die Theorie Von Allem, la trama

1962. Johannes Leinert, insieme al suo consulente di dottorato, si reca a un congresso di fisica sulle Alpi svizzere, dove uno scienziato iraniano dovrebbe rivelare una “teoria rivoluzionaria della meccanica quantistica”. Ma quando i fisici arrivano all’hotel a cinque stelle, l’ospite iraniano non si trova da nessuna parte. In assenza di una nuova teoria da discutere, la comunità dei fisici si rivolge pazientemente allo sci. Johannes, invece, rimane in albergo per lavorare alla sua tesi di dottorato, ma presto si distrae, sviluppando una particolare attrazione per Karin, una giovane pianista jazz. Qualcosa in lei sembra strano, sfuggente. Sembra che lei sappia delle cose su di lui, cose che lui pensava di conoscere soltanto. Quando una mattina uno dei fisici tedeschi viene trovato morto, due ispettori arrivano sulla scena, indagando su un caso di omicidio. Mentre nel cielo appaiono formazioni nuvolose sempre più bizzarre, il pianista scompare senza lasciare traccia e Johannes si ritrova trascinato in una sinistra storia di falsi ricordi, incubi reali, amori impossibili e un oscuro, ruggente mistero nascosto sotto la montagna.

Una teoria di bianchi e neri

Timm Kröger, che è stato per anni direttore della fotografia, usa la fotografia come veicolo principale per la costruzione di un’atmosfera immersiva e avvolgente, consacrata da un bianco e nero d’impostazione estremamente classica. Dal punto di vista visivo e d’immaginario, il film ha un’impronta precisa e sicura, che convince senza sovrastare la narrazione, almeno in una prima parte.

Come la tesi di Johannes, incentrata sulla probabilità e un’idea venutagli in sogno, Die Theorie Von Allem ci catapulta in un racconto di doppi, punti di vista differenti, orbite sconosciute, intrecciando la declinazione di sci-fi che un fortunatissimo prodotto televisivo sempre tedesco, Dark, ha portato in auge, alla cospirazione e all’impianto da noir classico. Purtroppo, la sua struttura sfilacciata e lacunosa, tanto quanto la tesi di Johannes – idea di partenza più che brillante – fatica a tenere alta l’attenzione dello spettatore, sempre più confuso sul ruolo che i personaggi giocano nella storia.

Timm Kröger assicura alla trama una notevole direzione degli attori, che riescono quasi sempre a rimanere dei punti di riferimento per gli spettatori, anche quando il tessuto narrativo inizia a vacillare. Jan Bülow e Olivia Ross, in particolare, convincono in una dinamica amorosa alla Vertigo, che ci fa dubitare di ogni immagine e parole pronunciate da questa famme fatale, una pianista jazz, che potrebbe saperne molto più di lui di fisica. La loro storia d’amore sopravvive all’ipertrofia semantica del film, che sta sempre su un gradino più in alto dello spettatore, sul cucuzzolo delle montagne svizzere, mentre rimaniamo intrappolati nelle grotte sotteranee dove spazio e tempo divergono.

Die Hard: un buon giorno per morire, il nuovo trailer

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Die Hard: un buon giorno per morire, il nuovo trailer

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Ecco il nuovo trailer di Die Hard: un buon giorno per morire, che vede tornare operativo l’agente della CIA John McClane, ancora interpretato da Bruce Willis,

Die Hard: un buon giorno per morire, ecco il secondo spot tv

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Die Hard: un buon giorno per morire, ecco il secondo spot tv

Dopo il primo spot tv che vi abbiamo mostrato ieri, ecco il secondo video per la promozione televisiva di Die Hard – Un buongiorno per morire, film che vede ancora una volta John McClane (Bruce Willis) insieme al figlio (Jai Courtney), agente operativo della CIA, e portarli in Russia, alle prese con minacce nucleari.

Sebastian Koch, Yulia Snigir, Cole Hauser, Amaury Nolasco, Megalyn Echikunwoke, Anne Vyalitsyna e Mary Elizabeth Winstead completano il cast diretto da John Moore.

Ecco il video:

 

Die Hard: le curiosità sulla saga con Bruce Willis

Die Hard: le curiosità sulla saga con Bruce Willis

Divenuta una delle saghe cinematografiche d’azione più celebri di sempre, Die Hard comprende oggi cinque titoli usciti in sala in un arco temporale che va dal 1988 al 2013. Protagonista assoluto è l’attore Bruce Willis, che ricopre qui il ruolo del poliziotto John McClane. Nel corso degli anni, questi si è trovato coinvolto in avventure sempre più estreme e rischiose, in missioni adatte soltanto ad un uomo “duro a morire”. Anche per merito di ciò, il personaggio è stato indicato come uno dei più iconici del cinema, nonché uno dei più importanti nella carriera di Willis.

Tutto ebbe inizio con il romanzo Nulla è eterno, Joe, pubblicato nel 1979 dallo scrittore Roderick Thorp. Il primo film della saga, Die Hard – Trappola di cristallo, è infatti la trasposizione cinematografica di questo. Il titolo ebbe poi un tale successo che i produttori decisero di dar vita ad una serie di sequel. Fu così che arrivarono 58 minuti per morire – Die Harder (1990) e Die Hard – Duri a morire (1995). Dopo una pausa di 12 anni, la saga ha visto prendere vita il quarto film, Die Hard – Vivere o morire (2007), seguito poi dal quinto e attualmente ultimo capitolo, Die Hard – Un buon giorno per morire (2013).

Complessivamente, tutti i film della saga si sono rivelati buoni successi commerciali. A fronte di un budget totale di circa 390 milioni di dollari, i cinque film di Die Hard hanno fruttato un guadagno di oltre 1,4 miliardi. Ad oggi non si conosce il destino della saga. Willis ha sempre dichiarato di voler realizzare un sesto capitolo, con il quale poter salutare una volta per tutte il personaggio. Dal 2013 ad oggi, tuttavia, non sono state rilasciate notizie a riguardo. Ciò ha portato a pensare che, se ci sarà, bisognerà attendere un po’ più del previsto per un nuovo film della serie.

Die Hard: la trama dei film

Die Hard – Trappola di cristallo (1988)

Con il primo film si fa la conoscenza di John McClane, poliziotto di New York rientrato a Los Angeles per passare la Vigilia di Natale con la propria famiglia. Desiderando fare una sorpresa a sua moglie Holly, questo si presenta al grattacielo Nakatomi Plaza, dove lei lavora. Qui viene invitato ad unirsi ai festeggiamenti natalizi, ma poco incline alla baldoria McClane tende a farsi un po’ da parte. È così che, nel momento in cui un gruppo di terroristi invade l’ambiente, riesce a nascondersi e architettare un piano di salvataggio. A capo dell’operazione vi è però Hans Gruber, uomo privo di scrupoli e dotato di grande intelligenza, che darà filo da torcere al poliziotto.

Il suo intento è infatti quello di rubare una serie di titoli di stato dal caveau dell’edificio, ottenendo così una fortuna di miliardi. McClane, intanto, si aggira per il palazzo tentando di neutralizzare i vari membri del gruppo. La sua tenacia, come anche il desiderio di riabbracciare la moglie, lo spingeranno a non arrendersi. Dotato di una ricetrasmittente, il poliziotto riesce a mettersi in contatto con Gruber, facendogli sapere che ha le ore contate. McClane, infatti, si affida al fatto che nessuno tra i terroristi conosce il suo volto, e pertanto può colpirli dove e quando meno se lo aspettano.

58 minuti per morire – Die Harder (1990)

È di nuovo la Vigilia di Natale. All’aeroporto di Washington John McClane attendo l’arrivo dell’aereo su cui viaggia la moglie Holly. I loro piani di passare la festività in modo tranquillo vengono tuttavia scombussolati nel momento in cui un gruppo di terroristi assale l’aeroporto e ne blocca il traffico aereo. Il colonello Stuart è a capo dell’operazione. Ex membro dell’esercito espulso per via di azioni illecite, questi punti a liberare l’ex generale corrotto, Ramon Esperanza, il quale sta anch’egli arrivando all’aeroporto per essere poi condotto a processo. I terroristi prendono possesso della torre di controllo, impedendo l’atterraggio dei voli in arrivo e lanciando la loro richiesta di liberazione.

Ancora una volta McClane riesce ad eludere la sorveglianza, iniziando a concepire un piano per salvare la situazione. Si troverà però a dover agire in fretta, poiché gli aerei in volo possiedono un’autonomia limitata. Quello su cui si trova sua moglie, in particolare, ha solo 58 minuti a disposizione prima di precipitare al suolo. A peggiorare l’azione ci pensa anche l’arrivo della polizia, che si dimostra impreparata a gestire la crisi. Tutto è nelle mani di McClane, e riprendere il controllo della torre è l’unico modo per lui di salvare la situazione.

Die Hard – Duri a morire (1995)

I guai per McClane non finiscono mai. Nel terzo film della saga un criminale che si fa chiamare Simon fa esplodere un grande magazzino nel centro di New York. Nel suo messaggio alla polizia, questi chiede espressamente di incontrare McClane. Messosi in contatto con il terrorista, il poliziotto scopre da lui che una serie di altre bombe sono state piazzate in altri luoghi particolarmente frequentati della città. Se non farà come dice, altra gente innocente morirà. Per impedire ciò, McClane dovrà sottoporsi ad una serie di strane prove, dove il mancato superamento di queste porterà alle conseguenze annunciate.

Durante una di queste, arriva in suo soccorso il commerciante Zeus Carver. Ma Simon non gradisce l’intromissione di questi, e per punizione obbliga anche lui a partecipare al sadico gioco. Nel frattempo, i servizi segreti riescono a scoprire la vera identità del terrorista. Questi è il fratello di Hans Gruber, che McClane uccise nel primo film. L’uomo sembra dunque in cerca di vendetta, ma il poliziotto capirà presto che dietro tale desiderio si nasconde un progetto più grande e spietato del previsto. Scoprire la sua posizione e fermarlo sarà l’unico modo per evitare una strage.

Die Hard – Vivere o morire (2007)

Sono passati diversi anni dalla sua ultima grande missione, e il poliziotto McClane è un uomo diverso, invecchiato ma tenace come sempre. Ancora una volta, però, si trova a dover salvare la situazione e l’intera nazione nel momento in cui l’FBI subisce un potente attacco informatico. Questo genera un blackout dei sistemi di sicurezza, mandando in tilt il paese. McClane viene così chiamato all’azione, con il compito di trovare l’hacker Matthew Farrell. A sua insaputa questi ha infatti contribuito a rendere operativo un progetto architettato dalla squadra di cyber-terroristi capitanati da Thomas Gabriel. Questi era un dipendente del Dipartimento della Difesa, e caduto in disgrazia cerca ora la vendetta.

Affiancato da Farrell, McClane tenta così di impedire altri attacchi, cercando allo stesso tempo di rintracciare la base operativa di Gabriel e dei suoi uomini. Il terrorista, però, è ben consapevole della fama del poliziotto, e per assicurarsi un vantaggio nei suoi confronti decide di rapire sua figlia Lucy. La faccenda diventa così personale, e McClane torna ad essere l’inarrestabile macchina da guerra che era, dimostrando di essere duro a morire proprio come un tempo. Nulla lo fermerà dal trovare i rapitori di sua figlia, e lo scontro sarà più sanguinoso che mai.

Die Hard – Un buon giorno per morire (2013)

Nel quinto capitolo della saga, John McClane lascerà gli Stati Uniti per recarsi a Mosca, in Russia, dove si trova il figlio Jack. Il suo obiettivo è infatti quello di riallacciare i rapporti con il giovane, ma prima di poter fare ciò dovrà risolvere un rognoso problema. Jack è infatti incarcerato e in attesa di un processo per omicidio. Nel tentativo di salvarlo, McClane si ritrova coinvolto in un’esplosione, durante la quale Jack e l’ex trafficante d’armi Yuri Komarov riescono a fuggire. Il poliziotto ha così l’occasione di ricongiungersi con il figlio, il quale però si dimostra distaccato nei confronti del padre. Prima di risolvere le loro questioni personali, i due dovranno prima riuscire a salvarsi da una minaccia incombente.

Ben presto, infatti, si scopre che il mandante dell’esplosione è Caghari, ex trafficante collega di Komarov. A causa del pentimento di quest’ultimo, ora diventato un informatore della CIA, il terrorista è determinato a rintracciarlo e ucciderlo. La sua paura è infatti che questi possa diffondere informazioni compromettenti, che rischierebbero di ostacolare la sua candidatura al Dipartimento della difesa russo. McClane, Jack e Komarov si ritrovano così a dover scappare dai loro nemici, cercando allo stesso tempo il modo di poter smascherare il piano del corrotto Caghari.

Die Hard: il cast dei film

Immaginare il personaggio di John McClane con il volto di un altro attore è ormai impossibile. Bruce Willis ha negli anni dimostrato di essere l’interprete giusto per la parte, sfoggiando un carisma unico e perfetto per il ruolo. Eppure, egli non fu la prima scelta per il ruolo, bensì la sesta. Prima di lui erano infatti stati considerati interpreti come Arnold Schwarzenegger, Sylvester Stallone e Harrison Ford. La scelta ricadde infine su Willis, il quale però all’epoca non era ancora particolarmente noto, e lavorava più in televisione che al cinema. La sua poca notorietà fu però allo stesso tempo ciò che convinse i produttori. Willis poteva infatti essere l’uomo qualunque in cui gli spettatori si sarebbero immedesimati. La scelta si rivelò poi vincente, e Willis entrò a far parte dell’olimpo degli eroi del cinema d’azione.

Accanto a lui, nel corso dei film si sono alternati una serie di celebri interpreti hollywoodiani. Il primo di questi è Alan Rickman, che nel primo film dà vita allo spietato Hans Gruber, personaggio rimasto particolarmente iconico. Si cita poi Samule L. Jackson nei panni di Zeus Carver, presente nel terzo film e anch’egli personaggio molto amato dal pubblico. Nel terzo capitolo è inoltre presente il premio Oscar Jeremy Irons, che dà volto a Simon Gruber. Villain del quarto film sono invece gli attori Timothy Olyphant, nei panni di Thomas Gabriel, e Maggie Q, in quelli di Mai Linh. Nel quinto e attualmente ultimo film è invece presente Jai Courtney nei panni di Jack McClane, figlio del protagonista.

Die Hard cast

Die Hard: dove vedere i film in streaming e in TV

Per gli amanti della saga, o per chi volesse vederla per la prima volta, è possibile fruirne grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. I film di Die Hard sono infatti presenti nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Infinity, Tim Vision, Google Play e Apple iTunes. Per vederli, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarli in totale comodità e al meglio della qualità video. Inoltre, il quarto capitolo della saga, Die Hard – Vivere o morire, verrà trasmesso in TV sabato 3 ottobre alle 21:20 sul canale Rete 4.

Fonte: IMDb

 

Die Hard: in arrivo un prequel sul giovane John McClane – rumor

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Die Hard: in arrivo un prequel sul giovane John McClane – rumor

Lo scooper Daniel Richtman ha riferito che presso i 20th Century Studios è in sviluppo un nuovo film di Die Hard. Secondo il report, si tratterebbe di un prequel che seguirà le vicende di un giovane John McClane, il personaggio iconico che è passato alla storia del cinema con il volto di Bruce Willis. Si tratta di una voce non confermata che però sembra sposarsi bene con le tendenze di Hollywood che attinge a PI di grande successo e le re-immagina.

C’è stato un periodo in cui un progetto legato a Die Hard prevedeva sia un prequel che un sequel, con John McClane impegnato in una nuova missione nel presente, mentre la sua storia si intrecciava con il suo passato.

Con il titolo provvisorio di McClane, il progetto era ancora in fase di sviluppo quando la 20th Century è stata acquisita dalla Disney nel 2019. Successivamente è stato scartato, e anche il ritiro di Bruce Willis in seguito alla diagnosi di demenza frontotemporale ha sembrato mettere fine a ogni possibilità di un altro sequel, e anche al film in stile Il Padrino parte 2, ambientato in due linee temporali.

Un nuovo prequel molto probabilmente eliminerebbe l’idea di presentare versioni attuali dei personaggi di Die Hard, quindi se le voci sono vere e viene realizzato un nuovo film, potrebbe essere più simile alla graphic novel Die Hard: Year One. Pubblicata tra il 2009 e il 2010, la serie era ambientata nel 1976 e seguiva un giovane John McClane nei panni di un poliziotto alle prime armi a New York.

La popolarità del film originale continua a durare, tanto che il film è stato di recente ridistribuito nelle sale. Uscito nel 1988, il celebre film d’azione ha avuto quattro sequel: Die Hard 2 del 1990, Die Hard – Duri a Morire del 1995, Live Free or Die Hard del 2007 e A Good Day to Die Hard del 2013.

Die Hard: il sesto capitolo è ufficialmente morto a causa dell’accordo Disney/Fox

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È passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo sentito parlare del prequel di Die Hard dal titolo McClane, ma ora è stato confermato che il film è stato vittima della fusione Disney/Fox e che non vedrà mai la luce. Ma facciamo un passo indietro…

Il sesto capitolo della serie doveva essere un prequel diretto da Len Wiseman e avrebbe dovuto seguire due trama parallele: una doveva raccontare di un giovane John McClane nel 1979, mentre l’altra avrebbe raccontato dell’eroe action ai giorni nostri, mentre veniva onorato in Giappone per gli eventi accaduti all’interno del Nakatomi (ossia quelli raccontati nel primo film del 1988).

All’epoca questo doppio binario narrativo non venne accolto positivamente dai fan, sebbene in seguito non ci siano più stati aggiornamenti concreti in merito al progetto. Ora però è stato il produttore Lorenzo di Bonaventura a confermare a Polygon che il prequel è ufficialmente morto: “Non accadrà. Ma ciò che è stato davvero interessante è che in realtà abbiamo avuto un’idea per farlo. Era un progetto che inizialmente non era Die Hard ma che poi, alla fine, si è trasformato in Die Hard.”

“La cosa interessante della nostra idea è che ci avrebbe permesso di incontrare il giovane John McClane e usare Bruce Willis”, ha aggiunto il produttore. “Quindi, in questo senso, è stato davvero interessante. Avreste avuto modo di vedere entrambe le versioni del personaggio, un po’ come accade ne Il padrino – Parte II. Al momento non so quali siano i piani della Disney.”

Die Hard Year One sarà un prequel/sequel

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Die Hard Year One sarà un prequel/sequel

Dopo l’annuncio che il sesto capitolo della serie Die Hard, dal titolo Die Hard Year One sarebbe stato un prequel che avrebbe approfondito le origini di un giovane John McLane (Bruce Willis), il regista Len Wiseman (già pratico della serie per aver diretto Die Hard – Vivere o Morire) è tornato sull’argomento rilasciando una serie di precisazioni:

“Dopo aver fatto il quarto ci furono numerose conversazioni con Bruce circa quanto mise nel personaggio in occasione del primo film. Il personaggio arrivava già con un bagaglio emozionale e di esperienze carico. Era già divorziato, amaro, il capitano lo odiava e non lo voleva indietro. Dunque cosa aveva creato quel personaggio?”

“Non abbiamo visto la love story. La conosciamo ma non abbiamo mai visto com’era quando conobbe Holly o quando era un poliziotto a New York nel ’78, quando non aveva alcuna possibilità di essere un detective. Ci ho sempre pensato su ed ora lo faremo.”

Inoltre Len Wiseman ha definito il film un prequel/sequel:

“Il motivo per cui lo chiamo prequel/sequel è che non lo farei senza Bruce e tantomeno lo farei con solo un cameo di Bruce. Tutto è ramificato nella trama, con il passato ad avere ripercussioni sul presente […] Il film avrà luogo nel capodanno del 1979.”

Fonte: Collider

Die Hard 6: novità in arrivo per il franchise

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Die Hard 6: novità in arrivo per il franchise

La Twentieth Century Fox è in trattative con il regista Len Wiseman per sviluppare Die Hard 6, sesto capitolo del franchise che si chiamerà Die Hard Year One. La serie, avviata 27 anni fa, nel 1988, ha trasformato Bruce Willis in una star cinematografica planetaria, grazie all’ormai iconico poliziotto John McClane.

Die Hard Year One, che sarà prodotto dallo stesso Wiseman e da Lorenzo di Bonaventura (l’uomo dietro ai franchise di Transformers e G.I. Joe), dovrebbe tornare alle origini e raccontare gli inizi del personaggio, mostrando un giovane John McClane in azione nella New York del 1979. L’idea di un prequel deriva da un fumetto della Boom! Studios, intitolato proprio Die Hard: Year One e pubblicato tra il 2009 e il 2010.

Bruce Willis, che non ha ancora firmato alcun contratto, dovrebbe riprendere il ruolo di McClane in sequenze ambientate nel nostro attuale presente. Dovrà essere, quindi, ingaggiato un attore più giovane che incarnerà il suo stesso personaggio negli anni Settanta. Del resto, Bruce Willis è abituato a confrontarsi con altri sé stessi, come dimostrano Looper di Rian Johnson, L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam e Faccia a faccia (The Kid) di Jon Turteltaub.

Len Wiseman, che ha già diretto nel 2007 Die Hard – Vivere o morire, e di Bonaventura sono alla ricerca di uno sceneggiatore che si occupi di questa nuova fase della serie, chiamata a rinverdire i fasti del passato dopo che l’ultimo (e deludente) Die Hard – Un buon giorno per morire ha stentato in America al botteghino, pur tenendo sui mercati internazionali.

Fonti: Deadline e Comingsoon.net

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