Si possono sintetizzare così gli
ingredienti che hanno reso vincente la ricetta cinematografica di
Michael Bay e gli
hanno consentito di sbancare i botteghini. Suo pubblico
privilegiato sono gli adolescenti – non per niente è colui che ha
portato sul grande schermo degli eroi dei cartoni animati come i
Transformers ed è stato nominato a diversi
MTV Awards – ma ha conquistato seguaci di ogni età tra gli amanti
dell’azione e del catastrofismo tipico delle produzioni Usa, della
comicità anche sgangherata come dell’eroismo patriottico. I
suoi lavori non hanno grandi pretese dal punto di vista delle
trame, delle sceneggiature o dell’approfondimento dei personaggi.
Sono piuttosto grandi ed abbaglianti “giocattoloni” che mirano a
far divertire il pubblico, mentre la più grande cura è posta
nell’aspetto visivo, dell’immagine, con un’abilità non comune
nell’uso degli effetti speciali. Suo sodale e “complice” è stato
per diversi anni il produttore Jerry Bruckheimer,
che gli ha messo a disposizione vasti mezzi, e con cui condivide la
passione per il puro intrattenimento. Michael Bay si è dunque dato un
compito: dare al pubblico occasioni per divertirsi, non
prefiggendosi scopi più nobili e avendo il coraggio di rivendicare
quello di intrattenere come lo scopo principale del cinema, con
occhio sempre attento all’aspetto commerciale. Quest’ottica gli ha
portato forse più favore di pubblico e incassi lauti che non
critiche entusiaste, ma lui la rivendica orgogliosamente.
Michael Bay nasce a Los
Angeles nel 1965 e cresce con genitori adottivi. Il suo percorso
verso il cinema inizia dall’università: si laurea in cinema alla
Wesleyan University e frequenta l’Art Center College of Design a
Pasadena. Gli esordi lo vedono però cimentarsi prima con la
pubblicità e con i video musicali – a partire dal 1989 – solo dopo,
con il cinema. Per la sua attività di pubblicitario raccoglie
moltissimi consensi e premi d’ogni genere, diventando presto un
nome di peso in quest’ambito. Ricordiamo il premio assegnatogli
dalla Directors Guild of America, che lo decretò miglior regista di
spot pubblicitari nel 1995. Mentre la sua campagna
pubblicitaria “Got Milk?” vinse il Grand Prix Clio, guadagnandosi
un posto nella collezione permanente del MOMA di New York.
Per quel che riguarda la regia di
videoclip, Bay vanta collaborazioni con numerosi artisti, quali
Aerosmith, Tina Turner e Lionel
Richie. Grazie a questi lavori si è aggiudicato l’MTV
Award nel 1992 ed è stato nominato al premio più volte. È proprio
l’esperienza dietro la macchina da presa come pubblicitario e video
maker che gli permette di affinare uno stile registico del tutto
peculiare, fatto di montaggi serrati, scene brevissime, con una
camera sempre in movimento, che tiene viva l’attenzione dello
spettatore e arriva ad essere vorticosa fino a frastornarlo. È
appunto lo stile adottato nei suoi videoclip e spot commerciali,
una comunicazione sintetica ed efficace, di grande impatto visivo.
Il ritmo incalzante e l’azione sempre in primo piano sono altri
elementi che gli garantiranno il favore soprattutto del pubblico
giovane.
La svolta cinematografica arriva
nel 1995, quando dirige un giovane Will Smith e
Martin Lawrence in Bad Boys, film
d’azione che vede i due poliziotti Mike Lowery e Marcus Burnett in
lotta contro il crimine e il narcotraffico e in più costretti dagli
eventi a scambiarsi i ruoli. Oltre all’immancabile azione c’è
dunque un evidente meccanismo comico messo in atto nel modo più
tradizionale. Il film si regge unicamente sulla caratterizzazione
dei due protagonisti e ancor più sulle massicce dosi di adrenalina
e azione. Emerge qui un altro tratto distintivo del cinema di Bay,
che riguarda i contenuti: la lotta tra bene e male e la
predilezione per i piccoli grandi eroi. Inizia qui la
collaborazione con Jerry Bruckheimer. Il produttore scommette
infatti a ragione sul regista californiano: regia da videoclip,
azione e comicità sono gli ingredienti giusti per il successo al
botteghino, che arriva puntuale. L’anno successivo, Bay e
Bruckheimer fanno il bis e anzi amplificano il risultato positivo,
con The Rock. Stavolta però hanno dalla loro anche un
terzetto di star: Sean Connery, Ed Harris e
Nicolas Cage. Il film coniuga l’azione
frenetica e il massiccio uso degli effetti speciali con il tema
della condizione dei reduci dal Vietnam. L’ambientazione è l’isola
di Alcatraz, la trama non è il punto forte del film. È la storia di
un ricatto, di una vendetta: Ed Harris è il generale Hummel, che
sbarca sull’isola al comando di un gruppo di marines, sequestra i
turisti e minaccia di lanciare missili su San Francisco se non
otterrà cospicui fondi per le famiglie dei militari morti in azioni
di guerriglia sotto copertura. Incaricati di fermarlo sono Nicolas
Cage/Stanley Goodspeed, che lavora per l’FBI, e Sean Connery/Patric
Mason che è un ex agente segreto britannico. L’attore scozzese è
anche produttore esecutivo del film. La pellicola sarà candidata
all’Oscar per il miglior suono.
Nel 1998 la ditta
Bay-Bruckheimer è al terzo atto della sua collaborazione:
Armageddon – Giudizio finale. Qui per la prima
volta lo stesso Bay collabora anche alla produzione. Siamo su
un terreno del tutto fantascientifico, che sarà poi esplorato
ancora dal regista. Il conflitto tra bene e male è sempre
all’ordine del giorno e stavolta i nostri eroi sono dei
trivellatori, chiamati niente meno che a scongiurare il pericolo
che un asteroide gigante decreti la fine dell’umanità. In prima
fila Bruce Willis/Harry Stamper,
accanto a lui Ben
Affleck/A. J. Frost. Assieme all’azione e alla
catastrofe imminente, non manca il lato sentimentale, assicurato
dalla storia d’amore tra A. J. e Grace/Liv Tyler,
osteggiata dal padre di lei, Harry. Mix di fantascienza ed effetti
speciali che fa gioire gli amanti del genere e gridare alla
banalità molti altri per il trito catastrofismo e patriottismo
americani. Tuttavia, come sempre, il giudizio del botteghino pesa.
Così, gli strabilianti incassi del film mettono a tacere i
detrattori di Bay. Anche questo lavoro riceve tre candidature agli
Oscar per la miglior canzone – I Don’t Want to Miss a Thing
degli Aerosmith, scritta da Diane Warren e divenuta celeberrima –
il miglior suono e i migliori effetti speciali visivi.
Il nuovo millennio si apre per il
regista californiano con l’esplorazione di nuovi mondi
cinematografici. Per la prima volta nella sua carriera, infatti,
Bay decide di porre mano a un film storico, portando la sua vena
eroico-patriottica ad esprimersi al massimo in una pellicola come
Pearl Harbor. L’argomento trattato è ovviamente
quello dell’attacco subìto dagli americani e sferrato dai
giapponesi alla base Usa durante la Seconda Guerra mondiale,
episodio decisivo per l’entrata in guerra degli Stati Uniti. La
vicenda è narrata dal punto di vista di due piloti americani:
Ben Affleck, che il regista rivuole con sé dopo la
fortunata esperienza di Armageddon, e Josh
Hartnett. Non manca neppure qui un intreccio d’amicizia e
sentimenti che si innesta sul filone prettamente storico del film.
Anzi, in questa sua nuova sfida, Bay si evolve e sceglie di curare
maggiormente l’approfondimento psicologico dei personaggi e la
sceneggiatura. Resta però del tutto evidente che è nelle sequenze
d’azione che emerge la vera abilità del regista. Senz’altro,
infatti, gli amanti dell’azione adrenalinica e degli effetti
speciali non restano delusi e hanno pane per i loro denti, o meglio
per i loro occhi, con i ben 40 minuti della sequenza dell’attacco
giapponese, ricostruita meticolosamente e di grande impatto visivo.
Alla produzione, assieme a Bay, c’è sempre Bruckheimer, ma c’è
anche la Touchstone Pictures. Il lavoro viene annoverato tra i film
più costosi della storia del cinema ($ 140.000.000). Pur ottenendo
un Oscar per il Miglior montaggio del suono (è candidato al premio
anche per la miglior canzone, suono ed effetti speciali), vincendo
l’MTV Movie Award per la miglior sequenza d’azione (quella
dell’attacco a Pearl Harbor) e piazzandosi al botteghino al settimo
posto nella classifica Usa dell’anno, tuttavia il film non convince
pienamente laddove l’azione non è protagonista e scivola nello
stereotipo romantico e patriottico.

Regista e produttore decidono di
puntare su carte sicure per il film successivo. Riprendono il loro
primo successo, quel Bad Boys che aveva lanciato nel cinema
Bay e ne traggono un sequel, Bad Boys II (2003). Stessi
attori protagonisti – Will Smith e Martin Lawrence – stessi
ingredienti principali – azione alternata a comicità – in dosi
massicce e perfino stucchevoli. Ma il pubblico che aveva amato il
primo film si presenta puntuale al botteghino per assistere al
secondo.
Nel 2007 Michael Bay intraprende un
nuovo progetto: si incarica cioè di portare sul grande schermo i
giocattoli della Hasbro, poi eroi dei cartoni animati,
Transformers. Lo fa seguendo il suo stile e
puntando sulle sue armi vincenti: azione, effetti speciali,
velocità, ritmo, intrattenimento, catastrofismo, il tutto destinato
soprattutto a un target giovane. I robot sono i veri protagonisti,
con le loro trasformazioni spettacolari, buoni contro cattivi, come
tipico dei lavori del regista: Autobot contro Decepticons che si
fronteggiano scegliendo la terra come campo di battaglia, piovono
dal cielo come meteoriti e via discorrendo, di effetto in effetto,
amplificato dall’abile uso del 3D. Come protagonista umano, poi,
Bay sceglie Shia LaBeouf, nel ruolo del giovane Sam, affiancandogli
al bella Megan
Fox/Mikaela. Nel cast anche Jon Voight e John Turturro, mentre
alla produzione esecutiva stavolta c’è Mr. Spielberg. I risultati
al box office premiano la nuova collaborazione in modo
sorprendente: superando i 700.000.000 $ in tutto il mondo, il film
ha le carte in regola per diventare un fortunatissimo franchise. È
così che nel 2009 esce Transformers – La vendetta del
caduto e nel 2011 Transformers 3.
Tutti e due registrano grande successo di pubblico,
sebbene il secondo punti eccessivamente su un susseguirsi di
scontri tra robot, rivelando una trama e personaggi umani di scarsa
consistenza; mentre il terzo riesce in parte a ritrovare
l’efficacia del primo. Gli amanti di questi robot mutanti dovranno
aspettare circa un altro anno, perché è prevista per giugno 2014
l’uscita di Transformers 4,
per il quale, è notizia di questi giorni, Bay ha reclutato anche la
star cinese Han Geng, dicendosi orgoglioso di averlo nel cast:
“E’ una delle principali star asiatiche (…) e uno dei più
influenti intrattenitori in Cina”, ha dichiarato il regista. In
attesa di vedere se la saga saprà arricchirsi di nuovi spunti e
rinnovare il proprio successo, possiamo però assistere all’ultima
fatica del regista californiano.
Lui che, dalla sua collaborazione
con Bruckheimer in poi, è sempre stato coinvolto in progetti
economicamente impegnativi, stavolta ha scelto altro: un film dal
budget piuttosto modesto, prodotto da lui stesso – ormai da molti
anni, infatti ha due case di produzione: la Platinum Dunes, nata
per dare ad altri talentuosi registi di video e pubblicità la
stessa possibilità che ha avuto lui, ovvero un’opportunità di
farsi conoscere; e la Bay Films. Quest’ultimo lavoro è una dark
comedy dal titolo Pain & Gain – Muscoli e
denaro. È basata su una storia vera, che vede
protagonisti Mark Wahlberg e Dwayne Johnson nei panni di due
bodybuilder negli anni ’90. Per denaro diventano criminali ma un
“lavoro” non va come previsto. Il film è dal 18 luglio nelle nostre
sale.