Home Blog Pagina 66

La nostra terra: recensione del film di Dk e Hugh Welchman

La nostra terra: recensione del film di Dk e Hugh Welchman

Quando diverse forme d’arte e le tradizioni culturali di un popolo si fondono in un’unica opera, possono nascere autentici gioielli. Se a questa combinazione si aggiungono poi valori e tematiche di forte risonanza sociale, come quelli legati al femminismo, il risultato merita ancora di più l’attenzione e l’interesse del grande pubblico. È il caso di La nostra terra, il nuovo film del duo Dk Welchman e Hugh Welchman, già noti per il loro lavoro nel candidato all’Oscar Loving Vincent, dedicato agli ultimi giorni di Vincent van Gogh. 

Presentato in selezione ufficiale al Toronto Film FestivalLa nostra terra è l’adattamento cinematografico del celebre romanzo I contadini (The Peasantsdi Władysław Reymont, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1924. Come un dipinto vivo e prezioso, l’opera di Reymont prende forma sul grande schermo grazie alla stessa straordinaria tecnica utilizzata in Loving Vincent: il potere evocativo della pittura a olio sulle immagini pre-registrate secondo l’animazione al rotoscopio.

Ogni fotogramma del film è ispirato alle opere dei pittori polacchi della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, il risultato di un elaborato processo tecnico che ha richiesto anni di lavoro. Distribuito da WantedLa nostra terra sarà al cinema solo il 2, 3 e 4 dicembre.

Cosa racconta La nostra terra?

Lunghi capelli color oro, occhi tanto chiari quanto sinceri e un volto che sembra appartenere a un angelo: Jagna è una giovane donna di straordinaria bellezza, determinata a ritagliarsi il proprio spazio nel mondo. Vive con sua madre in piccolo villaggio rurale della campagna polacca, Lipce, alla fine del XIX secolo, cercando di sopravvivere in una realtà dominata dal patriarcato, anche in una famiglia priva di una figura maschile. Ben presto, Jagna si trova intrappolata tra i desideri e le ossessioni degli uomini del villaggio. Tra questi ci sono il contadino più ricco, Maciej Boryna, che la costringe a sposarlo, e il figlio maggiore di lui, Antek, di cui Jagna è perdutamente innamorata. In questo ambiente familiare e al tempo stesso spietato, Jagna scopre che la libertà che tanto desidera le è negata, e il destino che credeva di poter controllare si rivela l’ennesima trappola: lei non è altro che una pedina nelle faide familiari, un oggetto di scambio in una realtà dominata dal potere del denaro e della tradizione della sua terra.

“L’amore non dura per sempre. La terra, invece, sì.”

La nostra terra è articolato in quattro capitoli, ognuno dei quali corrisponde a una stagione dell’anno, riflettendo così i cambiamenti della natura che fanno da cornice alle vicende dei tre protagonisti. Questo suggestivo intreccio tra il ciclo della vita e quello della terra diventa lo sfondo ideale per una drammatica storia d’amore intrisa di dolore e ingiustizia. Qui le dinamiche amorose e familiari si fondono tragicamente con le spietate logiche di potere di una società in cui la terra non è soltanto una risorsa vitale, ma rappresenta anche il principale motivo di orgoglio, simbolo di identità e misura di ricchezza.

Il film, realizzato con straordinaria maestria tecnica dai coniugi Welchman, trasporta il pubblico in un viaggio immersivo nella ricca cultura e nelle tradizioni polacche. Le pittoresche celebrazioni, gli abiti tradizionali, le danze vorticose e i canti carichi di emozione e pathos non sono semplici dettagli scenografici, ma elementi vivi e pulsanti che danno voce alla più intima rappresentazione della Polonia rurale. Attraverso questi dettagli, La nostra terra, oltre a celebrare un capolavoro letterario spesso poco conosciuto al di fuori dei confini del Paese, offre anche uno sguardo autentico e intenso sull’identità nazionale della Polonia.

La nobile battaglia di Jagna

Rispetto al romanzo originale, l’opera dei Welchman concentra gran parte della narrazione sul personaggio di Jagna, trasformandola in una potente metafora della lotta femminista in un mondo “a misura d’uomo”. Jagna è una giovane donna di straordinaria bellezza, dolcezza e intelligenza, ma anche caparbietà e sensibilità artistica. Tuttavia, la terra che l’ha vista nascere e crescere non la protegge né la accoglie, anzi la disprezza fino a esiliarla. “All’inizio è invidiata e fraintesa,” ha spiegato DK Welchman, “poi maltrattata e insultata, infine emarginata: per essere bella, per essere sognatrice e artistica, per essere appassionata e, soprattutto, per mettere in discussione il patriarcato, un sistema sostenuto anche dalla chiesa.”

Jagna è dunque un personaggio contemporaneo: una donna complessa e tragicamente incompresa, ribelle e audace, che si scontra con una società in cui il patriarcato e il denaro dettano l’unica legge possibile. Eppure, a lei non importa né dell’uno né dell’altro. In questo mondo, gli uomini, per quanto ipocriti, adulteri, bugiardi o stupratori, mantengono sempre il potere, mentre le donne sono condannate a subire e ad accusarsi l’una con l’altra. Nonostante sia consapevole delle conseguenze delle sue scelte, Jagna accetta le lusinghe di Antek perché innamorata, anche se lui è un uomo sposato e padre. Tuttavia, quando la loro relazione clandestina viene scoperta, il giudizio della comunità si accanisce solo su di lei. Jagna è additata come traditrice, approfittatrice e sgualdrina, mentre Antek, pur colpevole delle stesse azioni, non subisce la stessa condanna sociale.

Jagna però non abbassa mai la testa, diventa simbolo di resistenza e sofferenza femminile, denunciando l’ipocrisia di una società in cui le donne sono ancora oggi condannate a soccombere alle ingiustizie della disuguaglianza di genere. La sua emarginazione non è, infatti, solo il risultato del suo essere diversa, troppo bella e troppo desiderata, ma anche un atto di punizione verso chi osa sfidare i limiti dei ruoli prestabiliti, mettendo in discussione un sistema che trae da sempre forza dalla sottomissione delle donne.

Un’esperienza visiva tanto affascinante quanto memorabile

Di primo impatto, è impossibile non ammirare il lodevole lavoro artistico e la qualità pittorica dell’animazione del duo registico. La nostra terra è un’esperienza visiva tanto affascinante quanto memorabile, capace di catturare lo spettatore e immergerlo all’interno di una storia che pennellata dopo pennellata, prende vita sotto i suoi occhi.

Partendo da un’opera letteraria di Reymont apparentemente semplice e prevedibile, i Welchman trasformano quella storia in un film che parla all’oggi e va oltre il tributo alla scrittura e alla cultura polacca. Il risultato è un’opera cinematografica potente, che si fa veicolo di riflessione e denuncia sociale. Più che un semplice adattamento, il film può essere considerato un crudo e sincero manifesto femminista, dove romanticismo, erotismo, violenza e ossessione si fondono e si scontrano sul grande schermo, evocando un profondo senso di inquietudine e urgenza all’azione.

La nostra terra è una nobile dichiarazione d’intenti: un chiaro memento che ci invita a riflettere sui conflitti di potere intrinseci all’umanità, sul precario equilibrio tra uomo e natura, e sul valore della libertà e della dignità femminile in un mondo ancora troppo spesso crudele e impari.

Virgin River – Stagione 6: Netflix lancia il trailer per i nuovi episodi in arrivo

0

È arrivato il nuovo trailer di Virgin River. La serie Netflix, che ha debuttato nel 2019, racconta la storia romantica e appassionante che ha inizio quando Mel Monroe (Alexandra Breckenridge) si trasferisce nella piccola città della California settentrionale nella speranza di trovare tranquillità, ma scopre che tra gli abitanti ci sono molti conflitti e si innamora del proprietario del bar Jack Sheridan (Martin Henderson). La prossima Virgin River – stagione 6 non sarà l’ultima della serie, poiché è già stata rinnovata per la stagione 7, che la renderà la serie drammatica in lingua inglese più longeva della piattaforma.

Netflix ha ora svelato il primo trailer ufficiale completo della Virgin River stagione 6. La frase di apertura del trailer è “Sei pronta per questo?”, mentre Mel e Jack si preparano per le loro imminenti nozze. Si rivela essere una sorta di presagio inquietante, poiché le clip rivelano che, con l’avvicinarsi del matrimonio, tutti i cittadini di Virgin River dovranno affrontare importanti svolte nella trama, tra cui una gravidanza, segreti che vengono svelati, visitatori misteriosi, rimpianti e una buona dose di momenti bollenti. Guarda il trailer qui sotto:

Cosa significa questo per la sesta stagione di Virgin River

Mentre il trailer si apre con Mel e Jack felici per il loro imminente matrimonio e la prospettiva di trascorrere il resto della loro vita insieme, le settimane prima dell’evento non saranno sicuramente rose e fiori. Nel tipico stile di Virgin River, anche i momenti più felici sembrano destinati a non essere particolarmente facili per i personaggi principali. Tuttavia, mentre si avvicinano al nuovo capitolo della loro vita, entrambi i protagonisti appaiono più spesso felici nel nuovo trailer.

Quasi lo stesso tempo è dedicato alle trame degli altri personaggi che tornano…

Il trailer promette anche che, mentre la maggior parte delle trame ruoterà in qualche modo attorno ai preparativi del matrimonio, gli altri personaggi di Virgin River che circondano Mel e Jack non saranno dimenticati. Quasi lo stesso tempo è dedicato alle trame degli altri personaggi che tornano, tra cui Jenny Cooper nel ruolo di Joey Barnes, Colin Lawrence nel ruolo di John “Preacher” Middleton, Annette O’Toole nel ruolo di Hope McCrea, Tim Matheson nel ruolo di Vernon “Doc” Mullins, Zibby Allen nel ruolo di Brie Sheridan, Marco Grazzini nel ruolo di Mike Valenzuela e Sarah Dugdale nel ruolo di Lizzie.

Senna: recensione della miniserie Netflix

0
Senna: recensione della miniserie Netflix

Netflix porta sul piccolo schermo la vita di Ayrton da Silva in Senna, una miniserie di sei episodi che, per la prima volta, racconta in forma drammatica la vita e la leggenda del pilota brasiliano, uno dei più grandi della storia della Formula 1. Una produzione che non si limita a esplorare i circuiti e i record, ma si addentra nella vita privata, nelle origini e nella tragica scomparsa di un uomo che ha vissuto e amato senza riserve il mondo delle corse.

Senna è un simbolo di passione

Ayrton Senna non è solo un’icona sportiva: è un simbolo di passione, talento e determinazione. La serie riesce a catturare la complessità di questa figura leggendaria, evitando di cadere nei cliché. Attraverso la buona interpretazione di Gabriel Leone, attore brasiliano classe ’93, il ritratto del pilota emerge vivido e autentico, realizzato con grande sensibilità. Leone non si limita a una somiglianza fisica, ma incarna le movenze, il carisma e quella determinazione feroce che hanno reso Senna un fuoriclasse.

La serie si colloca a metà tra l’adrenalina della pista e l’intimità del campione, bilanciando la dimensione dello sportivo con quella dell’uomo. Le corse, girate con realismo e grande padronanza dei ritmi, portano sullo schermo l’eccitazione, l’elettricità di quei secondi in cui tutto sembra sospeso, mentre i momenti più lenti rivelano le fragilità ma soprattutto le ambizioni di un uomo che, dietro il casco, era molto più di un semplice pilota.

Un biopic che non ha paura di osare

I biopic, soprattutto quelli dedicati a figure di culto, rischiano spesso di essere apologetici. Troppo spesso si sbilanciano verso la sola celebrazione o, al contrario, si impantanano in una critica fredda e distaccata. Senna evita entrambe le trappole, riuscendo a rendere omaggio al campione senza perdere l’obiettività narrativa, ritraendo anche le sue ombre e i suoi eccessi. Questo equilibrio fa sì che la serie sia coinvolgente anche per coloro che non subiscono il culto del pilota, quindi anche per spettatori più giovani, che non sono vissuti nell’eco di quel nome: gli appassionati di Formula 1 troveranno nei dettagli tecnici e nelle ricostruzioni storiche un tributo sincero alla loro passione, e chi non ha mai seguito una gara potrà lasciarsi trasportare da una storia universale di sacrificio, ambizione e amore per ciò che si fa, anche fuori dal mito.

Una regia tra velocità e introspezione

Uno degli aspetti più sorprendenti della serie è senza dubbio la regia firmata da Julia Rezende. Le sequenze di corsa, con inquadrature ravvicinate e movimenti di macchina che seguono le traiettorie delle auto, trasmettono l’adrenalina di una gara. Il suono dei motori, i cambi di ritmo e la tensione palpabile immergono lo spettatore nell’esperienza, facendogli provare la stessa scarica di energia che Senna viveva in pista. I piedi sui pedali diventano materia più che immagini, seguendo un ritmo incalzante impreziosito da un lavoro eccellente del reparto sonoro.

Ma nelle pause, nei momenti in cui la macchina da presa si concentra sul volto di Gabriel Leone o su uno scambio di battute con i familiari, emerge tutta l’umanità del protagonista. La narrazione rallenta, si fa intima, mostrando il lato più fragile e sincero del campione, anche capriccioso e ostinato.

Un’interpretazione da pole position

Gabriel Leone merita una menzione speciale. La sua trasformazione in Ayrton Senna è straordinaria, tanto da far dimenticare allo spettatore di trovarsi davanti a un attore e non al vero campione. E l’efficacia della sua interpretazione, oltre che sulla somiglianza fisica, si fonda sulla delicatezza con cui è in grado di interpretare l’Ayrton privato. La sua performance è una delle ragioni di maggior pregio di questa miniserie.

Un racconto che conquista tutti

La grande forza di Senna sta nella sua capacità di parlare a un pubblico trasversale. Quando si toccano i miti si corre sempre il rischio di lasciarli in disparte, perché troppo in alto per la gente comune, e invece la serie trascina giù l’idolo dal piedistallo, lo abbraccia e lo schiaffeggia, rendendo umana la divinità, popolano il re (per usare una metafore della serie stessa). Il cuore pulsante di Senna non sono solo le gare, ma i valori che Ayrton rappresentava: la dedizione, il coraggio, il sacrificio. È un racconto che inevitabilmente ispira, ma anche che sottolinea l’eccezionalità del soggetto. Senna è un tributo sincero e appassionato a un uomo che ha cambiato la storia dello sport.

The Strangers: Capitolo 1, la recensione dell’inizio di una nuova trilogia

A dare una scossa alle uscite in sala di giovedì 28 novembre – tra documentari diversi e revival, novità sentimentali, lo splendido dramma con Cillian Murphy, l’Hey Joe con James Franco e il ritorno di Oceania della Disney – attenzione a non perdere il The Strangers: Capitolo 1 di Renny Harlin. Non a caso il film distribuito da Vertice360 è stato scelto come film di apertura della 44esima edizione del Fantafestival di Roma (che lo ha inserito in programma come anteprima nazionale, mercoledì 27), contesto perfetto per presentare al pubblico italiano questo nuovo inizio della saga inaugurata nel 2008 da Bryan Bertino. 

Allora, quel film fu una sorpresa piacevole – oltre che da brividi – e mise le basi per un sequel molto meno fortunato, il The Strangers 2 (Prey at Night) che però incassò poco più di 30 milioni di dollari contro gli oltre 82 del capostipite. E dei già 48 di questo intelligente quanto ambiguo terzo film e primo capitolo di una trilogia che volutamente non è stata indicata né come prequel, né come sequel, né tanto meno come remake o reboot. Anche se di ripartenza non può non parlarsi, vista la dichiarata appartenenza a quell’originale.

La storia di The Strangers: Capitolo 1

In viaggio verso Portland, dove un allettante proposta di lavoro attende Maya (Madelaine Petsch), lei e il suo fidanzato Ryan (Froy Gutierrez) decidono di fare una sosta nella piccola Venus, in Oregon. Ma la sosta al Carol’s Diner si rivela la scelta sbagliata. Costretta a trattenersi nella piccola cittadina, per uno strano guasto meccanico, la coppia raggiunge un cottage isolato nei boschi, dove trascorrere la notte. Che si rivelerà molto meno romantica del previsto, quando la loro permanenza sarà sconvolta dall’arrivo di tre sconosciuti mascherati che iniziano a terrorizzarli facendoli sentire senza possibilità di fuga.

Il passato ritorna

Se la trama vi fa venire in mente un numero imprecisato di altri film del genere, non vi preoccupate, le prime sequenze del film confermeranno l’impressione. Ma sarebbe eccessivamente ottimistico avvicinarsi a un film come questo aspettandosi sorprese, che non siano quelle date da jumpscare e un calibrato uso di modelli classici, e originalità. E rischierebbe di non farvi godere un buon killer drama – ancor più che horror – con alcuni momenti interessanti, soprattutto se vi era piaciuto il The Strangers del 2008.

Certo, come per il sequel del 2018 anche in questo caso dinamica e struttura restano le stesse, e sembra complicato trovare motivi per continuare a seguire le gesta dei tre maniaci mascherati dal modus operandi ripetitivo quanto efficace. O concedere il beneficio del dubbio a un esperto del genere come Renny Harlin (Nightmare 4 – Il non risveglio58 minuti per morire – Die HarderCliffhangerL’esorcista – La genesiThe Covenant e via dicendo), intenzionato a dirigere una intera trilogia, e quindi altri due capitoli dopo questo…

The Strangers Trilogy, la scommessa di Renny Harlin

Nei quali potremmo ritrovare i personaggi principali (un asso nella manica del film, visto che si tratta della Madelaine Petsch di Riverdale e del Froy Gutierrez di Cruel Summer e Teen Wolf), anche se è meglio non sapere in che vesti, ma soprattutto scopriremo il bluff organizzato per rilanciare il franchise. Che continua imperterrito a presentarsi uguale a sé stesso – per cui senza svelare o spiegare granché di quel che vediamo da quindici anni – ma nel quale si intuiscono le basi di un universo in costruzione, che nei prossimi film ci regalerà connessioni interne e chiarificatori rimandi al passato.

Che, si spera, si facciano perdonare leggerezze e comportamenti privi di senso messi in scena dopo la lunga fase introduttiva, voluta per creare un minimo di suspense e far crescere l’attesa, compensata dalle immancabili maschere inquietanti, da coreografie accorte e qualche efferatezza in quota gore. E potendo contare sulle statistiche – quelle sì, spaventose – che registrano 1,4 milioni di morti violente ogni anno negli Usa – costruire un prodotto meno convenzionale di questo, o sarà inutile continuare fino al terzo capitolo (le cui riprese in realtà pare siano già terminate, avendo Harlin girato i tre film insieme in 52 giorni tra il settembre e il novembre 2022, a Bratislava, in Slovacchia).

Oceania 2 (Moana 2), spiegazione del finale: cosa succede a Vaiana e come ci prepara a Oceania 3 (Moana 3)

Il finale di Oceania 2 (Moana 2) è un grande finale esplosivo che cambia radicalmente l’eroe e pone le basi per un futuro Oceania 3 (Moana 3). Dopo il successo del film del 2016, il sequel lancia la protagonista in un nuovo viaggio attraverso l’oceano. Incaricata di ripristinare un’isola perduta e di sciogliere un’enorme maledizione che mette in pericolo la sua tribù, Vaiana si imbarca in una missione insieme a un gruppo di leali abitanti del villaggio e al ritorno di Maui. Tuttavia, il loro cammino li porta direttamente nelle macchinazioni del malvagio dio Nalo, che ha lanciato la maledizione.

Oceania 2 (Moana 2) è destinato a diventare un successo al botteghino, il che potrebbe spiegare perché il film si conclude con una chiara allusione alle direzioni future di altri possibili sequel. In particolare, https://www.cinefilos.it/tutto-film/recensioni/oceania-2-657305″> Oceania 2 (Moana 2) si conclude con un enorme cambiamento per Vaiana e il suo mondo, ampliando la portata del suo mondo e amplificando la sua natura in modo inaspettato. Ecco come il finale di Oceania 2 (Moana 2) eleva il personaggio e prepara ulteriori avventure.

Vaiana muore e diventa semidio

L’esperienza di quasi morte di Vaiana finisce per darle più forza che mai

Tuttavia, grazie all’oceano, gli spiriti degli antenati di Vaiana (tra cui sua nonna e Tautai Vasa) sono in grado di riportarla in vita. Questo la trasforma in un semidio come Maui, conferendole potenzialmente lo stesso tipo di immortalità che ha permesso a Maui di vivere per oltre mille anni e di sopportare ferite altrimenti fatali.

Nello stesso modo in cui i poteri più evidenti di Maui sono incanalati attraverso il suo potente amo, il remo di Vaiana assume un nuovo significato come arma spirituale. Il remo è ora ornato da una scritta dorata e sembra essere un’estensione delle nuove capacità di Vaiana. Sebbene sia probabile che anche lei, come Maui, benefici di nuovi attributi fisici da semidio, il remo è la fonte dei suoi poteri soprannaturali più evidenti. Questo rende il remo un accessorio ancora più importante per l’eroina in futuro.

Vaiana in Oceania 2
Foto di Disney/DISNEY – © Walt Disney Studios

I nuovi poteri di Vaiana

I nuovi poteri di Vaiana sono probabilmente simili alla capacità di Maui di trasformarsi grazie all’uso del suo amo. Nel primo film, la separazione dall’amo ha fatto sì che Maui perdesse l’accesso alle sue capacità di trasformazione, pur mantenendo il suo corpo senza età e la sua impressionante resistenza. Il remo di Vaiana, invece, non le permette di trasformarsi. Ma grazie alla luce dorata che emette, Vaiana può usare il remo per modellare le maree e creare percorsi nell’oceano. Queste abilità saranno probabilmente fondamentali per la futura esplorazione dell’oceano.

I tatuaggi di Vaiana

Con questa ascesa, Vaiana ottiene anche alcuni tatuaggi. Sembrano raffigurare persone che festeggiano sull’isola di Motufetu, facendo riferimento agli eventi del film come a una grande azione da parte di Vaiana. Questo è simile al modo in cui i numerosi tatuaggi di Maui sono stati rivelati nel primo film come riferimenti ai suoi successi come semidio. È probabile che, man mano che Vaiana andrà avanti nella vita e raggiungerà altri traguardi, possa ottenere altri tatuaggi. Potrebbero anche essere vivi come il Mini Maui, creando una Mini Vaiana che apparirà in future storie sul personaggio.

Come Vaiana riconnette il popolo dell’oceano

Il motivo per cui Vaiana si mette alla ricerca di Motufetu è una visione di Tautai Vasa, che la informa che l’isola affondata e superata da Nalo ha di fatto isolato l’angolo di mare di Vaiana dal resto dell’umanità. Se rimarranno isolati troppo a lungo, i popoli dell’oceano (compresa la tribù di Vaiana e i Kakamora) si estingueranno. Questo rafforza gli sforzi di Vaiana per trovare altre tribù, dando il via all’avventura del film. Risollevando Motufetu e spezzando la maledizione di Nalo, la protagonista ripristina le linee di collegamento dell’oceano.

L’impegno si rivela subito proficuo: altri esploratori provenienti da tutto il mondo approdano rapidamente su Motufetu. Vaiana li riporta sulla sua isola natale, dove i vari Wayfinder di diverse tribù vengono mostrati mentre parlano con Tui e probabilmente creano alleanze. Si tratta di una conclusione promettente per il film, in quanto apre la strada a molti nuovi angoli del mondo da esplorare. Potrebbe anche creare un potenziale dramma, dato che l’esistenza di altre tribù significa anche che c’è spazio per possibili conflitti in futuro.

Maui in Oceania 2
Foto di Disney/DISNEY – © Walt Disney Studios

Cosa succede a Matangi in Oceania 2 (Moana 2)

A prima vista, in Oceania 2 (Moana 2) Matangi si presenta come un pericoloso cattivo. Capace di sopraffare e catturare Maui con relativa facilità, Matangi all’inizio fa intendere di avere piani più grandi per lui e Vaiana. Tuttavia, si scopre che Matangi è in realtà una serva involontaria di Nalo ed è rimasta intrappolata nella vongola grande come un’isola per anni. Sperando che rompere la maledizione che Nalo ha lanciato sull’oceano la liberi dalla sua morsa, Matangi dà a Vaiana alcuni consigli fondamentali e la aiuta (insieme a Maui e al resto dell’equipaggio di Vaiana) ad avventurarsi sull’isola.

In questo modo Matangi diventa un avversario potenzialmente riluttante per Vaiana, che segue i comandi di Nalo anche se desidera liberarsi di lui. Tuttavia, una Vaiana potenziata potrebbe trovare un modo per liberarla, trasformando Matangi in un alleato.

La vendetta di Nalo e come ci prepara a Moana 3

Nalo è il vero cattivo di Oceania 2 (Moana 2), anche se i Nalo cerca attivamente di uccidere Vaiana e il suo equipaggio, inviando enormi serpenti marini e saette luminose contro il gruppo quando si avvicinano all’isola. Anche dopo essere stato sconfitto, l’apparizione della divinità nella scena dei titoli di coda rivela un dio furioso e intenzionato a vendicarsi. Tutto ciò pone le basi per un epico Oceania 3, soprattutto in considerazione dell’importante aumento di potenza di Vaiana.

Come il finale di Oceania 2 (Moana 2) si basa sul finale del primo film

In Oceania, la maledizione causata da Maui che ha preso il Cuore di Te Fiti stava lentamente uccidendo tutta la vita biologica del mondo. Allo stesso modo, Vaiana parte per la sua avventura con la consapevolezza che l’incapacità di espandere l’oceano al suo vero potenziale porterà alla scomparsa del suo popolo.

Oceania 2 (Moana 2) si concentra in definitiva sull’importanza di abbracciare il nuovo e di avere il coraggio di rischiare tutto per l’esplorazione. Tutti i personaggi di Oceania 2 (Moana 2) sono costretti ad abbracciare nuove strade pericolose, con la nonna di Vaiana che nel primo atto comunica alla nipote di aver compreso il costo potenziale delle sue avventure. La tribù deve letteralmente espandersi attraverso l’oceano, altrimenti si estinguerà. I membri dell’equipaggio di Vaiana crescono attraverso l’accettazione del cambiamento, che si tratti dell’abbraccio di Loto alla sperimentazione costante, di Moni che supera le sue paure o di Kele che si adatta all’oceano.

Anche Vaiana e Maui affrontano questa sfida: entrambi sono costretti ad accettare percorsi difficili a cui sono naturalmente contrari. Gli sforzi di Maui per proteggere Vaiana dal pericolo non fanno altro che prolungare la missione a Motufetu, e i due vincono quando accettano di potersela cavare da soli. Al contrario, Vaiana deve imparare ad abbracciare un percorso diverso, accettando la guida di Matangi di “perdersi”, tracciando una strada diversa da quella che le è congeniale per poter continuare ad andare avanti. È una morale interessante da esplorare, soprattutto in relazione alla svolta di Vaiana su Te Fiti.

Khaleesi Lambert-Tsuda e Auli'i Cravalho in Oceania 2
Foto di Disney/DISNEY – © Walt Disney Studios

Quanti film su Vaiana ci saranno?

Oceania 3 non è stato confermato, ma il remake in live action arriverà presto

Al momento in cui scriviamo, non c’è stata alcuna conferma di Oceania 3. Dato che ci sono voluti otto anni prima che Oceania 2 (Moana 2) continuasse la storia dell’Indomita, potrebbe passare un po’ di tempo prima che il pubblico abbia la conferma, in un senso o nell’altro, se vedrà ancora la giovane donna avventurosa. Tuttavia, l’atteso successo al botteghino di Oceania 2 (Moana 2), insieme al palese richiamo al sequel nella scena a metà dei titoli di coda, potrebbe dare alla Walt Disney Animation un motivo in più per riportare il personaggio per altre avventure.

Un eventuale terzo film potrebbe addirittura seguire la traiettoria di altri sequel animati Disney confermati, come Frozen, di cui è già stata confermata la presenza di due sequel in fase di pre-produzione. I fan di Oceania avranno anche un remake live-action nel 2026, con Catherine Laga’aia nel ruolo di Vaiana e Dwayne Johnson che riprenderà il ruolo di Maui. Questo assicura che, anche dopo Oceania 2 (Moana 2), ci saranno altre occasioni per vedere la giovane eroina nelle sale cinematografiche.

Oceania 2: recensione del sequel diretto da David Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller

È giunto il momento di tornare nell’oceano. Fra le isole della Polinesia, immersi nella florida vegetazione e coccolati dalle carezze delle onde. Dopo il grande successo di Oceania, la Walt Disney Pictures ha deciso di investire su un sequel che potesse raccontare le nuove avventure di Vaiana, seppur inizialmente il progetto era stato pensato in formato seriale per la piattaforma Disney+. Un personaggio come ben sappiamo molto amato, che ha debuttato nel 2016, pronto ora a fare il suo ritorno in Oceania 2, sotto la direzione di David Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller. Questo è il 63esimo Classico Disney, e arriva in un anno in cui i secondi capitoli dominano la scena cinematografica: basti pensare a Inside Out 2Beetlejuice BeetlejuiceIl Gladiatore II e Joker: Folie à Deux.

Tuttavia, è risaputo che i sequel rappresentano un territorio insidioso: non sempre le idee alla base riescono a dare vita a una storia vincente. Ma Oceania 2, in arrivo nelle sale il 27 novembre, dimostra che con la giusta intuizione si può ancora creare qualcosa di molto buono. Nel cast delle voci italiane ritroviamo Emanuela Ionica e Chiara Grispo, rispettivamente ai dialoghi e al canto, Fabrizio Vitale e Angela Finocchiaro. Fra questi spicca una new entry di tutto rispetto, Giorgia, la quale con Oceania 2 fa il suo debutto in una pellicola Disney, prestando la voce a un nuovo personaggio, Matangi.

La trama di Oceania 2

Dopo aver restituito il cuore a Te Fiti, Vaiana è ora una navigatrice a tutti gli effetti. Il suo popolo prospera, e lei adesso ha un solo desiderio: incontrare gli abitanti delle altre isole dell’oceano. Approda su queste alla ricerca di prove che accertino il passaggio degli uomini e finalmente, su una, lo trova. E così, passati alcuni giorni in mare, torna a Motunui, dove riceve inaspettatamente un messaggio dall’antenato Tautai Vasa, uno dei primi navigatori. Affinché la sua isola e il suo popolo non restino soli, affinché gli uni possano imparare dagli altri e continuare a crescere, Vaiana deve andare sull’isola di Motufetū, ora inabissata a causa del Dio Nalo, il quale vuole tenere separati i popoli in modo tale da non evolversi.

Sopra l’isola, poi, incombe minacciosa una fortissima tempesta, ma finché un essere umano non metterà piede su quella terra, nessun canale con gli altri popoli potrà mai essere aperto. Per raggiungerla, però, questa volta a Vaiana serve un vero e proprio equipaggio: oltre al gallo Heihei e al maialino Pua, salperanno insieme a lei Kele, Loto e Moni, pronti ad aiutarla nei momenti di maggiore difficoltà. A supportarla anche il semidio Maui, con cui Vaiana ha stretto una forte amicizia.

Verso l’unione dei popoli

Il richiamo dell’oceano si fa ancora più forte in Oceania 2. Il mare, dalla personalità vivacissima, torna a essere uno dei più bei protagonisti, rendendo lo sfondo animato ancora più magico e potente. La computer grafica, come già accaduto nel primo capitolo, eccelle, regalando panorami mozzafiato, merito di un rendering quanto più curato: acque cristalline, isole rigogliose e colori vibranti e nitidi si fondono così una danza armonica. Dal punto di vista visivo, il film continua a essere ricco e variegato, confermando la cura meticolosa con cui Disney costruisce le sue storie per garantire un’esperienza immersiva completa. Ma la pellicola non è efficace solo sotto il profilo tecnico-artistico: anche sul piano narrativo Oceania 2 si dimostra all’altezza. Se nel primo capitolo Vaiana scopriva la sua vera identità diventando una navigatrice, il sequel rappresenta la naturale prosecuzione – ed evoluzione – di quel viaggio dell’eroe. La sua nuova avventura le permette di abbracciare pienamente il suo ruolo di esploratrice e leader, mentre affronta una sfida ancora più complessa, proporzionale alle sue nuove responsabilità. Tutto per il bene del suo popolo, a cui è molto devota.

Vaiana, la forza di un personaggio efficace

Vaiana si conferma una protagonista completa, eroina di se stessa e del suo popolo, priva di qualsiasi interesse amoroso, neppure con l’arrivo nel suo equipaggio di Moni, un fan sfegatato di Maui che nutre per lei una profonda stima e con cui potevano creare un legame, restando uno dei personaggi più indipendenti nel panorama disneyano. La Casa di Topolino rimane così fedele alla caratterizzazione di Vaiana, sottolineando ancora una volta la sua emancipazione e libertà di espressione. La giovane navigatrice resta focalizzata sulla sua missione, ossia riunire i popoli dell’oceano, senza mai lasciarsi distrarre, evidenziando indirettamente quanto sia fondamentale il senso di appartenenza legato al concetto sia di famiglia che di comunità. Caratteristiche che, sin dal primo film, l’hanno resa una protagonista moderna e indipendente, pur riflettendo i valori classici della Casa di Topolino: rispetto e amore verso gli altri e verso se stessi, onestà e bontà d’animo.

Perdersi per ritrovare la strada

In Oceania 2 non mancano poi i temi cardine che accompagnano Vaiana nel suo cammino. Uno dei più importante è espresso da Matangi a metà film, con la canzone Perditi – fra le più belle dei brani della pellicola – interpretata da una Giorgia molto in sintonia con il suo personaggio. Il brano è profondo e delicato al tempo stesso, e trasmette un messaggio ben chiaro: anche quando si crede di conoscere la strada da seguire, è importante accettare che perdersi, a volte, è necessario. Non si può avere il controllo su tutto, e insistere troppo rischia di far perdere se stessi. Alcuni momenti richiedono di lasciarsi andare, di abbracciare l’incertezza. Gettarsi nel vuoto e affrontare l’ignoto, in certe occasioni, può rivelarsi più utile di qualsiasi sentiero prestabilito.

From – stagione 3: la spiegazione del finale – Il destino di Jim e il vero legame tra Tabitha e Miranda

La terza stagione di From si conclude in modo scioccante, con la risoluzione di molti misteri di lunga data e l’emergere di nuove domande. Nel corso della terza stagione, i personaggi di From sono stati spinti più che mai al limite. I mostri di From hanno trovato nuovi modi per tormentare gli abitanti della Township, tra cui l’uccisione brutale di Tian-Chen Liu (Elizabeth Moy) davanti a Boyd Stevens (Harold Perrineau) e una creatura sinistra che cresce dentro Fatima (Pegah Ghafoori).

Il mistero della gravidanza di Fatima viene svelato ed Elgin (Nathan D. Simmons) paga un prezzo terribile per averla tenuta prigioniera nella cantina della città. Nel frattempo, Tabitha Matthews (Catalina Sandino Moreno) e Jade Herrera (David Alpay) finalmente ottengono le risposte che cercavano, che riguardano gli alberi delle bottiglie di From e i bambini “Anghkooey”. Forse la cosa più scioccante di tutte è che uno dei personaggi più importanti di From, Jim Matthews (Eion Bailey), viene ucciso da un nuovo personaggio, l’Uomo in abito giallo (Douglas E. Hughes).

Perché l’Uomo in abito giallo uccide Jim nel finale della terza stagione di From

“La conoscenza ha un prezzo”

L’Uomo in abito giallo uccide Jim come conseguenza della scoperta di Tabitha e Jade. Dice a Jim che “la conoscenza ha un prezzo” e che aveva cercato di avvertirlo in precedenza. Quando pronuncia la frase “Tua moglie non avrebbe dovuto scavare quella buca, Jim”, diventa chiaro che era lui la voce alla radio alla fine della prima stagione che aveva detto quelle stesse parole. È intervenuto quando Tabitha e Jim si stavano avvicinando troppo alla verità nella prima stagione e ora è intervenuto di nuovo dopo che Jade ha suonato la canzone.

L’uomo in abito giallo non può uccidere definitivamente Tabitha o Jade a causa del loro legame originario con la città, poiché tornerebbero semplicemente sotto una forma diversa. Invece, uccide Jim, una morte che sconvolgerà la famiglia Matthews e tutti gli abitanti della città. Dal punto di vista narrativo, la morte di Jim aumenta notevolmente la posta in gioco. Sebbene From abbia ucciso molti personaggi, si è trattato per lo più di personaggi secondari, ma la morte di Jim dimostra che nemmeno i personaggi principali sono più al sicuro.

Cosa è successo alla Julie del futuro nella scena finale della terza stagione di From?

Continua l’uso del viaggio nel tempo in From

L’uccisione di Jim da parte dell’Uomo in abito giallo non è l’unica sorpresa nella scena finale della terza stagione di From. L’altra sorpresa è che una versione futura di Julie Matthews (Hannah Cheramy) viaggia nel tempo fino al momento prima che suo padre venga ucciso. Il viaggio nel tempo di Julie aveva già risolto il mistero della corda di Boyd, ma quello era solo l’inizio. Anche se suo fratello, Ethan Matthews (Simon Webster), le dice che non può cambiare il passato, lei continua a provarci.

Finché non verrà uccisa o catturata dall’Uomo in abito giallo, Julie continuerà probabilmente i suoi viaggi nel tempo, che le forniranno conoscenze inestimabili, ma non potranno aiutarla a cambiare nulla, dato che From segue la regola di Lost secondo cui “ciò che è successo, è successo”.

Purtroppo, Julie non riesce a salvare suo padre dall’Uomo in abito giallo. L’ultima immagine che abbiamo di lei è mentre urla terrorizzata alla vista della gola di Jim che viene squarciata. From – stagione 4 dovrà rivelare cosa succede dopo a questa versione futura di Julie. Finché non verrà uccisa o catturata dall’Uomo in abito giallo, Julie continuerà probabilmente i suoi viaggi nel tempo, che le forniranno conoscenze inestimabili, ma non potranno aiutarla a cambiare nulla, poiché From segue la regola di Lost secondo cui “ciò che è successo, è successo”.

Il legame tra Tabitha e Miranda e quello tra Jade e Christopher spiegato

From 3 - episodio 9

Le loro somiglianze sono sempre state intenzionali

Dalla fine dell’episodio 9 della terza stagione, si capiva che Tabitha e Miranda (Sarah Booth) erano la stessa persona, poiché Tabitha ha rivissuto il ricordo di Miranda che veniva uccisa prima di raggiungere l’albero lontano. Il finale della terza stagione lo conferma, insieme alla rivelazione che Jade e Christopher (Thom Payne) sono la stessa persona. Tabitha e Jade sono state tra i primi abitanti della Città e sono tornate più volte nel corso degli anni nel tentativo di salvare i bambini e liberarli.

Tabitha e Jade rimangono entrambe intrappolate nella Città lo stesso giorno nell’episodio 1 della stagione 1.

Miranda e Christopher erano le versioni precedenti di Tabitha e Jade che hanno cercato senza successo di salvare i bambini. Questo spiega perché ci sono sempre stati così tanti parallelismi tra Miranda e Tabitha e tra Jade e Christopher. Spiega anche perché Tabitha e Jade sono state le uniche residenti in grado di vedere i bambini “Anghkooey” e perché hanno visioni che gli altri non hanno. Anche il legame naturale e l’istinto materno di Tabitha con Victor (Scott McCord) hanno più senso, dato che Miranda era la madre di Victor.

Cosa rivela la gravidanza di Fatima sui mostri

I mostri sono immortali

Fatima alla fine dà alla luce il mostro Smiley (Jamie McGuire), che ora è rinato dopo essere stato ucciso da Boyd nella seconda stagione. Questo rivela che i mostri non possono essere uccisi in modo definitivo, il che si ricollega alle origini delle creature e al modo in cui i bambini sono stati uccisi. Victor ha detto in From season 3, episodio 8 che i bambini sono stati uccisi nell’oscurità da persone che amavano e di cui si fidavano. Fatima aggiunge a questa spiegazione la sua nuova comprensione che From‘s monsters hanno sacrificato i propri figli in cambio dell’immortalità.

Tutti gli episodi di From sono disponibili in streaming su Paramount+.

Questa immortalità è il motivo per cui Smiley e gli altri mostri non possono essere uccisi definitivamente. Fatima dice solo che “esso” ha promesso ai mostri che avrebbero vissuto per sempre, ma probabilmente si riferisce all’Uomo in abito giallo. Sembra che lui sia il male originario al centro della città, che ha usato l’offerta dell’immortalità per rendere immortali i mostri e farli obbedire ai suoi ordini. Tuttavia, se Tabitha e Jade riusciranno finalmente a salvare i bambini e a liberarli, questo potrebbe distruggere tutto ciò che l’Uomo in abito giallo ha costruito.

Cosa significano “Anghkooey” e i numeri sull’albero delle bottiglie in From

Grazie a Jim, i numeri nelle bottiglie si rivelano essere note musicali. Quando Jade va all’albero delle bottiglie e suona una melodia con il violino basata su queste note musicali, i bambini “Anghkooey” riappaiono. È attraverso la canzone e la ricomparsa dei bambini che Tabitha e Jade capiscono che “Anghkooey” significa “ricordare. I bambini e la canzone hanno lo scopo di aiutare Tabitha e Jade a ricordare il loro legame originario con la città. Ricordano chi sono e tutte le vite passate che hanno vissuto nella città, compreso il periodo in cui erano Miranda e Christopher.

Questa consapevolezza diventa ancora più tragica quando si rendono conto che uno dei bambini che hanno cercato ripetutamente di liberare era loro figlia, e che la canzone è una ninna nanna che i loro io del passato cantavano a lei e agli altri bambini. Tutte le visioni e le scoperte di Tabitha e Jade le hanno portate a ricordare. Ora che ricordano chi sono e perché sono intrappolate nella Città, potrebbero finalmente essere in grado di cambiare le cose.

Le oscure decisioni di Boyd e Sara con Elgin spiegate

Elgin si rifiuta di rivelare dove si trova Fatima perché è stato ingannato facendogli credere che il completamento della sua gravidanza è la chiave per la fuga degli abitanti dalla Città. Nonostante il fantasma di padre Khatri (Shaun Majumder) cerchi di dissuadere Boyd, Boyd colpisce la mano di Elgin con un martello. Cerca di ragionare con Elgin, ma quando questo non funziona, la disperazione e la rabbia di Boyd hanno la meglio su di lui, che si rifiuta di lasciare che sua nuora soffra e muoia.

Per quanto riguarda Sara Myers (Avery Konrad), torna alle sue vie violente per la prima volta dalla prima stagione, strappando un occhio a Elgin, che lo induce a rivelare dove si trova Fatima. Sara lo fa perché tiene a Boyd, sa che è un brav’uomo ed è grata per come lui si è preso cura di lei e le ha dato una seconda possibilità. Non vuole che Boyd sprofondi ancora di più e gli risparmia questo con il suo metodo di tortura più brutale che costringe Elgin a parlare.

Il vero significato del finale della terza stagione

Il finale della terza stagione di From riguarda in definitiva la natura ciclica del bene e del male. Tabitha e Jade sono rimaste intrappolate in un tragico ciclo che non sono riuscite a spezzare. Anche il male della città è ciclico, con Smiley che rinasce mentre i mostri continuano il loro regno immortale di terrore. Invece di Sara che viene manipolata per compiere azioni orribili in nome della libertà, ora è Elgin ad essere manipolato, e Sara deve sprofondare nuovamente nella sua vecchia oscurità per fermarlo.

Da è stato ufficialmente rinnovato per la quarta stagione.

Sebbene il finale sia pervaso da un senso di disperazione, ci sono anche segni che le cose potrebbero finalmente cambiare in meglio. L’emergere dell’Uomo in abito giallo e l’uccisione di Jim sono i segni più evidenti di questo. La scoperta di Tabitha e Jade deve aver terrorizzato l’Uomo in abito giallo al punto da spingerlo a rivelarsi e ad attaccare Jim. Anche se questo è costato la vita a Jim, indica anche che il ciclo sarà finalmente spezzato, i bambini saranno salvati e gli abitanti troveranno un modo per tornare a casa prima della fine di From.

Chi è Desmond Hart di Dune: Prophecy? Spiegato il personaggio del soldato di Travis Fimmel

Uno dei personaggi originali di Dune: Prophecy è Desmond Hart, un soldato con un programma misterioso, interpretato da Travis Fimmel. Fimmel si unisce al cast all-star di Dune: Prophecy, insieme a Emily Watson, Olivia Williams e Mark Strong, con un personaggio che contribuisce alla complessa rete di schemi politici incentrati sull’Imperium. Desmond Hart viene introdotto a metà del primo episodio della serie come un personaggio che ricorda quasi Duncan Idaho dei film di Dune. È sopravvissuto a diverse missioni su Arrakis, avendo imparato le tecniche di guerra nel deserto.

Tuttavia, c’è qualcosa di notevolmente diverso tra lui e Idaho, interpretato con fascino e carisma da Jason Momoa nel film Dune del 2021. Desmond Hart porta con sé subdoli segreti e sembra intenzionato a manipolare coloro che lo circondano. Ambientato all’incirca 10.000 anni prima nella linea temporale di Dune, i personaggi del prequel della HBO modificheranno drasticamente la portata del mondo, preparando l’Universo Conosciuto a come sarà quando nascerà Paul Atreides. Dato che non è presente nei libri, il ruolo di Desmond in questo grande schema è il più difficile da prevedere.

Desmond Hart è l’unico soldato sopravvissuto a un attacco su Arrakis

Desmond Hart arriva al palazzo dell’Imperatore su Selusa Secundus, dichiarando di essere l’unico sopravvissuto a un attacco su Arrakis. L’Imperatore credeva che l’attacco fosse stato condotto dalle forze Fremen e stava orchestrando un’alleanza con la Casa Richese per una flotta di navi che aiutasse la produzione di spezie su Arrakis, prevenendo ulteriori minacce. Desmond sostiene che l’attacco non era in realtà opera dei Fremen, ma degli alleati dell’Imperium, apparentemente come stratagemma per costringere l’Imperatore a organizzare il matrimonio di sua figlia, la Principessa Ynez.

Spiegato il legame di Desmond Hart con l’Imperatore Javicco Corrino

Desmond è arrivato a casa dell’Imperatore Javicco per conquistare la sua fiducia. L’Imperatore sembrava sapere chi fosse Desmond Hart prima di incontrarlo, ma non è chiaro se i due abbiano dei trascorsi insieme. Più tardi nell’episodio, i due si incontrano in riva al mare e discutono della situazione. Hart sostiene che Casa Richese è tra le varie minacce per l’Imperatore, il quale concorda sul fatto che non si sente a posto con il matrimonio, nonostante sia stato consigliato dal suo Verificatore, Kasha. Desmond afferma che l’attacco ad Arrakis è stato solo un sintomo di un problema più importante.

Desmond Hart suggerisce a Javicco che sta perdendo la presa sull’Imperium. Crede che sia perché i leader delle Grandi Case sono sotto il controllo dei loro Verificatori, anche se non lo dice ancora. È vero che nell’episodio Javicco va contro il suo buon senso per ascoltare Kasha, organizzando un matrimonio con un alleato inaffidabile per ottenere più forza militare. Kasha impone questo matrimonio perché sostiene Valya Harkonnen e il complotto della Sorellanza per piazzare una Sorella sul trono, che sarebbe la Principessa Ynez, dopo la sua formazione.

Il personaggio di Travis Fimmel è un cattivo in Dune: Prophecy?

Il finale dell’episodio 1 di Dune: Prophecy vede Travis Fimmel uccidere un bambino grazie a un misterioso potere, il che sembra essere un atto di cattiveria. Tuttavia, nel mondo di Dune è sempre un po’ più complicato di così. Capire cosa dice e cosa vede Javicco nell’ologramma è fondamentale per capire cosa si sa del personaggio originale. Desmond Hart non solo è sopravvissuto all’attacco degli alleati dell’Imperium che ha ucciso tutti i suoi uomini, ma è anche stato inghiottito nel sottosuolo da un sandworm ed è sopravvissuto.

È importante notare che tutti questi elementi si riferiscono anche alla visione della Madre Superiora all’inizio dell’episodio: un verme sandwich, pelle bruciata, sangue e la morte di un nobile.

Desmond Hart ha ora la misteriosa capacità di far bruciare la pelle di qualcuno e sembra farlo sia con Pruwet Richese che con Kasha. Prima di uccidere Pruwet, dichiara che gli è stato “conferito un grande potere”. È importante notare che tutti questi elementi si riferiscono anche alla visione della Madre Superiora all’inizio dell’episodio: un sandworm, pelle bruciata, sangue e la morte di un nobile. Desmond Hart potrebbe essere in qualche modo collegato al “Tiran-Arafel”, utilizzato nello show per indicare una minaccia esistenziale per l’umanità.

“Arafel” è un termine dei libri originali di Dune che si riferisce a una ‘nube-oscurità alla fine dell’universo’.

Quindi, sì e no. Il Desmond Hart di Travis Fimmel è probabilmente il cattivo di Dune: Prophecy, poiché lo show è inquadrato dalla prospettiva di Valya Harkonnen e della Sorellanza. Ma la Sorellanza, che si sta trasformando nella Bene Gesserit che il pubblico conosce in Dune, non è esattamente protagonista nemmeno in questo universo, e anche tra le sue fila si discute sulla moralità dell’ingegneria genetica dei leader mondiali. Valya e la Sorellanza cercano il controllo, mentre Desmond vuole impedirlo, ma per farlo potrebbe arrivare a estremi ancora peggiori.

L’Amica Geniale – Storia della Bambina Perduta episodi 5 e 6: recensione

0

Gli episodi 5 e 6 della quarta stagione de L’Amica Geniale adattamento della tetralogia di Elena Ferrante – si immergono nel cuore del tumultuoso intreccio tra maternità, amicizia e amore, facendo emergere nuove dinamiche emotive e conflitti irrisolti. La complessità delle relazioni tra i personaggi raggiunge vette drammatiche, con una narrazione che intreccia sapientemente momenti di tensione, fragilità e consapevolezza, concentrandosi maggiormente sui fatti che vediamo accadere più che sulla loro elaborazione.

La Frattura

Il quinto episodio, intitolato La Frattura, si concentra proprio sulla separazione, la spaccatura che si viene a creare, sempre più profonda, tra i personaggi principali, riflessa sia nei legami personali sia nel tessuto sociale che li circonda. La storia si apre con Lenuccia, che riscopre sia la maternità con l’ultima arrivata, Immacolata, avuta da Nino, che il rione, con tutti i suoi personaggi/manifesto: la donna incontra di nuovo Michele Solara, nell’ufficio di Lila, e lo trova notevolmente cambiato: è la pallida ombra di sé stesso mentre si confronta con Lila, determinata e sovrana della situazione, decisa nel suo disprezzo verso un uomo che un tempo rappresentava il potere e il controllo, ma che ora è fragile e sconfitto. Il terremoto che ha devastato Napoli fa da sfondo a un’umanità altrettanto spezzata, traumatizzata ma anche affaticata dalla vita stessa.

Parallelamente, il rapporto tra Elena e Nino si sgretola progressivamente. Nino, sempre più ingombrante nella vita di Elena, si dimostra un uomo egocentrico e inaffidabile, incapace di essere presente nei momenti cruciali. Quando Elena si reca in ospedale per partorire da sola, la sua solitudine è straziante: un momento che dovrebbe essere di gioia si trasforma in una riflessione amara sulla fragilità delle sue scelte sentimentali. Il giorno seguente, Nino si presenta in ospedale e proclama un’affermazione che sembra riecheggiare più un bisogno egoistico che un’autentica dichiarazione d’amore: “Io non ce la faccio a stare senza di te”. La domanda si insinua: Nino è davvero l’uomo che Elena merita, o è solo una proiezione del desiderio di appagare una idealizzazione che nasce dalla prima giovinezza?

Dopo la nascita della piccola Immacolata, che Elena sceglie di chiamare così come segno riconciliatorio verso la madre malata, l’anziana donna e Lila vanno a far visita alla neo-mamma a Via Petrarca, nella casa con le finestre sul mare. Ma, quando la signora si sente male e viene trasportata in ospedale, Lenù dimostra tutta la sua insicurezza nei confronti del compagno: mentre la madre è in pericolo di vita e lei è costretta a rimanere a casa con la neonata, Lila e Nino corrono in ospedale con la signora, ma per Lenù il pensiero fisso è la loro vicinanza, il loro tornare in contatto, la paura che tra loro possa nascere di nuovo qualcosa. Questo atteggiamento ostile e sospettoso non viene replicato da Lila, che di contro esternando il suo disprezzo per Nino, resta accanto alla madre di Elena come fosse la sua.

L’episodio de L’Amica Geniale si chiude lasciando una sensazione di disagio. Elena, sempre più esasperata, appare fastidiosa, quasi distante dalla profondità emotiva che la caratterizzava. Un effetto forse voluto, che sottolinea il suo stato di crisi e un momento in cui si avvicinano decisioni importanti da prendere.

L’imbroglio

Il sesto episodio, L’imbroglio, esplora ulteriormente la relazione tra Lila e Elena, mettendo in luce due concezioni opposte di maternità e di identità personale. Il parto di Lila, violento, arrabbiato, quasi contro natura evidenzia quanto le due donne abbiano un temperamento differente, anche rispetto a questi lati dell’essere donna: Lenù è sempre accogliente, mentre Lila è sfidante, costantemente in lotta. La nascita della bambina di Lila avviene in un clima di tensione e fatica, specchio delle sue resistenze emotive e fisiche. L’esperienza di Elena, che aveva partorito in solitudine, è di tutt’altra natura. Due racconti diversi di maternità, segnati dalle rispettive fragilità e dai legami che le due donne intrecciano con chi le circonda.

La puntata si concentra su altri tre avvenimenti molto importanti che vedono come filo conduttore Elena: il primo è la confessione di Alfonso. L’uomo che sta cercando di fare i conti con la sua identità di genere si confessa a Lenù raccontandole in che modo l’aiuto di Lila è stato determinante per accettarsi, l’amica lo ha incoraggiato a esplorare e deformare la propria immagine.

Intanto la madre di Elena peggiora e, nel suo ultimo atto di lucidità, chiede ai figli di fare la cosa giusta: Peppe e Gianni devono lavorare per Lila e abbandonare le attività criminali con i Solara, mentre Marcello deve sposare Elisa. Per quello che riguarda Elena, lei ha sempre fatto le cose a suo modo, lo farà anche adesso: sul letto di morte, Lenù riceve il riconoscimento di indipendenza che ha sempre cercato da sua madre.

Ma la morte di sua madre porta la donna in un nuovo territorio, in cui si sente ancora una volta intrappolata tra il peso delle responsabilità familiari e l’incompiutezza della sua vita. Una situazione di impasse che verrà sbloccata solo grazie all’intervento di Nino che, involontariamente, si rivela alla fine per quello che è anche agli occhi di Elena, che era l’unica a non vedere la sua infima caratura umana. La scoperta di un suo tradimento – l’ennesimo, scopriremo – consente a Elena di trovare la forza e la lucidità di allontanarlo e solo dopo scopre da Lila che l’uomo non aveva mai smesso di cercare la sua vecchia amante. La scelta degli showrunner di raccontare in questi termini l’allontanamento di Elena e Nino si allontana dal racconto originale eppure conferisce alla storia una forza in più, una chiarezza e una inequivocabili che i libri di Elena Ferrante non sempre tengono in considerazione.

L’Amica Geniale: un dittico di eventi e temi

Questo nuovo dittico di L’Amica Geniale – Storia della Bambina Perduta si addentra nei momenti più dolorosi e complessi della serie: il senso di smarrimento, il peso delle scelte sbagliate, la maternità come croce e delizia, la perdita e il lutto. E sembra che il costante balletto che l’adattamento fa tra ciò che accade nel romanzo e ciò che invece viene reinventato e modificato per la serie riesca ad acquisire autorità e credibilità man mano che gli eventi ci appaiono chiari e privi delle ombre e dei non detti che Ferrante adora disseminare.

La frattura e l’imbroglio non sono solo eventi specifici, ma temi ricorrenti che definiscono la traiettoria di questa stagione, conducendo gli spettatori verso un finale che si preannuncia doloroso e catartico. Il legame tra Lila ed Lenù, fatto di gelosie, rancori, ma anche di un amore profondo e indistruttibile, rimane il vero cuore pulsante della storia, un’amicizia che resiste nonostante tutto e che è destinata ancora una volta a evolversi.

Hayao Miyazaki e l’airone: recensione del documentario di Kaku Arakawa

È il 2013 quando, successivamente all’uscita in sala Hayao Miyazaki annuncia il suo ritiro dal mondo dell’animazione e del cinema. È il 2016 quando, nel documentario Never Ending Man: Hayao Miyazaki viene rivelato che Miyazaki sta tornando sui suoi passi, mettendosi al lavoro su un nuovo lungometraggio. È il 2023 quando quel nuovo progetto, Il ragazzo e l’airone (qui la recensione) arriva finalmente in sala, rappresentando morte e rinascita dell’amato maestro dell’animazione (giapponese e non). Questo lungo e tortuoso viaggio, costellato da lutti, fatica, sogni e speranze, viene ora svelato in Hayao Miyazaki e l’airone da Kaku Arakawa, documentario che ci riporta nuovamente all’interno dello Studio Ghibli.

Arakawa – già regista di Never Ending Man: Hayao Miyazaki e della miniserie 10 Years with Hayao Miyazaki – realizza sostanzialmente un’estensione (per non usare il termine sequel) di quel suo documentario del 2016. Se quel progetto seguiva Miyazaki dall’annuncio del suo ritiro passando attraverso il rendersi conto di non saper stare senza matita in mano e fino al suo rimettersi al lavoro, Hayao Miyazaki e l’airone riparte proprio da lì per raccontare quel lungo percorso che dal 2016 al 2023 ha portato alla realizzazione del film che ha incantato il mondo, ottenendo ampi consensi e facendo guadagnare al suo autore il suo secondo Oscar per il Miglior film d’animazione.

Ad unire spiritualmente i due documentari vi sono le continue riflessioni di Miyazaki sull’avanzare della sua età e sul dubitare delle proprie capacità e forze per portare a termine questa nuova fatica. Ancor più di Never Ending Man: Hayao Miyazaki, Hayao Miyazaki e l’airone è però segnato dai lutti, che diventano tuttavia spinta propulsiva per portare a termine quella nuova avventura. È dunque un documentario dal tono malinconico, che ci mostra il lato umano di una leggenda, dove però la speranza e la voglia di scherzare trova infine sempre spazio, proprio come nelle opere realizzate nel corso di oltre quarant’anni da Miyazaki.

Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki in Hayao Miyazaki e l’airone
Toshio Suzuki e Hayao Miyazaki in Hayao Miyazaki e l’airone. Cortesia di Lucky Red.

Un regista non si ritira

Un regista non si ritira”, è ciò che un profondamente arrabbiato Isao Takahata, maestro, rivale e amico di Miyazaki, ha detto a quest’ultimo quando annunciò il suo ritiro. Regista di opere come Una tomba per le lucciole, Pom Poko e La storia della principessa splendente, Takahata – da Miyazaki affettuosamente chiamato Paku-san – ha sempre avuto un posto speciale nella vita del collega. Si può dire che è da quel rimprovero che Miyazaki inizia a comprendere che Takahata ha di nuovo ragione, che non ci si può ritirare da ciò che si è. E quando anche la sua storica confidente e color designer Michiyo Yasuda gli chiede di fare un nuovo film, Miyazaki comprende che è ora di rimettersi al lavoro.

Inizia così a prendere forma un nuovo racconto, che è per il regista di La città incantata l’occasione per ripensare a tutta la sua vita e il suo lascito artistico e umano. Il documentario di Arakawa inizia dunque a seguire il regista in modo anche rocambolesco, con riprese quasi rubate di nascosto per cogliere Miyazaki nell’intimo. Non sembra quindi un caso che il film inizia proprio con il regista nudo mentre fa una sauna, quasi come a volerci anticipare che quello che vedremo è un Miyazaki che si metterà a nudo raccontandoci tutto di sé e del proprio lavoro. Arakawa lavora però anche su un ritmo sempre piuttosto serrato, riuscendo a far confluire nelle proprie immagini anche una forte comicità – dovuta in particolare agli scambi di Miyazaki con il suo storico produttore Toshio Suzuki – ma anche tutto quel senso di quiete che lo stile di vita giapponese suggerisce.

Si lavora per accostamenti, tra ciò che accade nella realtà e diretti corrispettivi nei film animati di Miyazaki, dimostrando dunque quanto per il regista il confine tra fantasia e realtà sia esile. Un discorso, questo, che torna più volte nel corso del film, stupendo lo spettatore che si ritrova davanti a situazioni, luoghi e persone che hanno direttamente ispirato precisi elementi delle varie opere realizzate da Miyazaki. In particolare, però, Hayao Miyazaki e l’airone riesce realmente a trasmettere lo sforzo creativo, la fatica, la pazienza e le difficoltà che il lavoro su questo nuovo film ha comportato. Miyazaki, che si concentra prevalentemente sullo storyboard, torna più volte sui suoi disegni, sui suoi tratti, facendo perfettamente comprendere quanto minuzioso lavoro c’è dietro.

Il disegno dell’airone di Hayao Miyazaki
Il disegno dell’airone di Hayao Miyazaki. Cortesia di Lucky Red.

Hayao Miyazaki e l’airone: creare per restare vivi

Nel mostrarci tutto ciò, Hayao Miyazaki e l’airone non solo fornisce una vera e propria spiegazione di determinati elementi del film (come le persone che hanno ispirato certi personaggi o lo svelamento di certi simboli), ma porta ovviamente a anche a ripensare a Il ragazzo e l’airone e a farlo apprezzare ancor di più. Ed è proprio nel raccontarci la realizzazione del film, attraverso un lunghissimo conto alla rovescia che porta sino alla sua agognata uscita nei cinema giapponesi, che il documentario ci comunica un secondo importante elemento, ovvero il comprendere – di nuovo – da parte di Miyazaki come sia vero che un regista non si può ritirare, perché “se non realizziamo qualcosa non abbiamo niente”, come dirà Miyazaki stesso.

Hayao Miyazaki e l’airone è dunque anche un’ode all’atto creativo, a quella vocazione che non si può soffocare e che chiede invece di essere liberata, come racconta il regista parlando del “coperchio del suo cervello”. Ed è ancora una volta la vita a guidare la mano dell’artista, “costretto” a portare avanti il suo lavoro mentre il mondo intorno a lui perde pezzi. Se Il ragazzo e l’airone inizia venendo concepito in un modo, la scomparsa di Michiyo Yasuda e soprattutto quella di Isao Takahata influenzano profondamente Miyazaki e il suo lavoro. È proprio nel vedere il regista andare avanti nel suo lavoro nonostante i lutti che segnano il cammino che si ritrova uno degli elementi più toccanti del film.

Sono episodi che danno la misura del tempo, che costringono Miyazaki a riflettere sul senso della vita, sul tempo che gli resta, chiedendosi sé egli stesso riuscirà a vedere finito quel suo nuovo lavoro. Il tono del documentario è dunque spesso funebre, malinconico, ma con la possibilità che una battuta e una risata si intromettano e riportino un equilibrio al tutto, proprio come l’equilibrio ricercato dal personaggio del prozio in Il ragazzo e l’airone (ispirato proprio a Takahata). È così che, passo dopo passo, si giunge al completamento del film, al suo diventare pubblico, al suo trionfo globale. E quando tutto è finito? La risposta ce la offre sempre Miyazaki: “è proprio allora che la vita continua ad andare avanti“. Morte e rinascita, lasciando aperta la porta verso il futuro.

Wicked: recensione della prima parte del musical con Cynthia Erivo e Ariana Grande

0

A distanza di anni dalla prima notizia che il musical di successo sarebbe arrivato al cinema, finalmente Wicked – Parte 1 è disponibile in sala, con Universal Pictures Italia, per incantare sia i fan dello spettacolo di Broadway sia il pubblico generalista, portato in sala dalla magica (e massiccia) promozione che sta accompagnando il film. Cynthia Erivo e Ariana Grande guidano un progetto ambiziosissimo, come accennato, la prima delle due parti previste per il maestoso progetto che però è in grado di reggere benissimo anche da sola. Wicked è un adattamento sontuoso e sorprendentemente attuale, che offre una nuova prospettiva sulla dicotomia tra buoni e cattivi, interrogandosi sulle ragioni del male.

Come mai esiste il male? La grande domanda esistenziale di Wicked

Come sappiamo da Il Mago di Oz, la Strega Cattiva dell’Ovest è la villain della storia, d’altronde il nome è inequivocabile! Tuttavia, in Wicked cerchiamo di capire cosa l’ha resa tale, tanto che la domanda che fa detonare la storia è: come mai esiste il male? È una cosa che nasce con noi o che ci viene instillata? L’enormità, la complessità della risposta che una tale domanda richiede ci porta dentro la storia, in cui la cattiveria di Elphaba (la futura Wicked Witch, appunto) e la bontà di Galinda (quella che diventerà la Strega Buona del Nord) vengono in qualche modo ribaltate, diventando caratteristiche sfumate e mutevoli.

Basato sul romanzo di Gregory Maguire e sull’iconico musical di Broadway del 2003, il film esplora i temi di discriminazione, paura dell’altro e manipolazione politica. Questi motivi, già potenti al debutto teatrale, risultano ancora più incisivi in un clima politico globale sempre più polarizzato e incerto.

Wicked è un trionfo visivo e musicale

Diretto da Jon M. Chu, già noto per In the HeightsWicked è un trionfo visivo e musicale. Il regista abbraccia un’estetica massimalista che combina il tecnicolor degli anni ’30 con le moderne tecniche di CGI. Dai campi di papaveri digitali alla strada di mattoni gialli, ogni fotogramma è un’esplosione di dettagli e colori che incanta e sovrasta, oltre a essere una vera e propria coccola per gli appassionati del mondo di Oz. Questa attenzione al dettaglio si riflette anche nei costumi di Paul Tazewell e nelle scenografie art déco della Città di Smeraldo, magnificenza pura. Il risultato è un film che sembra un’opera d’arte in movimento, progettata per il grande schermo e destinata a lasciare senza fiato.

Cynthia Erivo e Ariana Grande sono mozzafiato

Così come senza fiato lasciano le performance di Cynthia Erivo e Ariana Grande. La prima, nei panni neri e nella pelle verde di Elphaba, è il cuore del film. Con il suo carattere complesso, Elphaba viene interpretata con una profondità emotiva straordinaria. Erivo non si limita a impressionare vocalmente; la sua performance offre sfumature che invitano lo spettatore a comprendere il dolore e l’isolamento del personaggio. Laddove Idina Menzel ha dato un’interpretazione epica e teatrale a Broadway, Erivo opta per un approccio più intimo e cinematografico, che si adatta perfettamente al mezzo e entra a fondo dentro la particolarità di chi a “troppo a cuore” le ferite del mondo che la circonda. La sua versione di “Defying Gravity“, momento iconico del musical, è emozionante e visivamente spettacolare.

Ariana Grande, invece, affronta il compito impegnativo di reinterpretare Glinda, la Strega Buona. Grande, con il suo look da bambola di porcellana e una intonazione impeccabile, incarna l’apparente perfezione del personaggio. Si cimenta con coraggio in una performance comica che però non regge il confronto con quella che Kristin Chenoweth ha reso celebre a Broadway. La sua Glinda è rigida, il che potrebbe anche essere una scelta consapevole per enfatizzare l’ipocrisia e l’egocentrismo del personaggio, in attesa di una trasformazione redentrice.

Il cast di supporto regge il confronto

Anche i comprimari fanno grande sfoggio di sé. Michelle Yeoh è una presenza magnetica come Madame Morrible, mentre Jeff Goldblum, nei panni del Mago di Oz, porta il giusto equilibrio tra fascino e inquietudine. Jonathan Bailey si distingue come Fiyero, un personaggio che promette molte più sfaccettature di quante questa prima parte abbia mostrato.

Dal punto di vista musicale, Wicked rimane fedele al materiale originale, pur con degli aggiustamenti che il cambio di linguaggio richiedeva: la sequenze di “Dancing Through Life” e “Popular” in particolare, sono state arricchite con coreografie spettacolari e una regia lucida e ordinata, che non rinuncia a evoluzioni ardite e che riesce a sfruttare a pieno la dinamicità del cinema, rispetto alla staticità del teatro.

Alcuni punti in sospeso

Considerato che la durata di questa prima parte coincide con la durata del musical, e soprattutto visto che il film si interrompe su un arco narrativo principale apparentemente chiuso, sarà interessante capire in che modo la seconda parte affronterà quel che rimane della storia e soprattutto in che modo farà luce su alcuni dettagli che sono rimasti volutamente in ombra, come l’origine della pelle verde di Elphaba oppure la sua vulnerabilità all’acqua. Ci aspettiamo anche che il discorso politico del film venga portato avanti e approfondito: già in questa prima parte, la persecuzione degli animali parlanti sembra un’allegoria, neanche troppo velata, della discriminazione razziale e della xenofobia. Ma forse il discorso potrebbe assumere dei contorni più definiti.

Wicked è un’esperienza cinematografica gloriosa ed emozionante, che non solo rende giustizia al musical originale, ma lo espande, rendendolo accessibile a una nuova generazione di spettatori. Con performance memorabili, una colonna sonora senza tempo e una produzione visivamente sbalorditiva, il film di Jon M. Chu si conferma uno dei musical imperdibili degli ultimi anni.

The Pitt: trailer svela una nuova serie medica con l’ex star di E.R.

0

È arrivato il primo trailer di The Pitt, che anticipa la prossima serie medica di Max con protagonista un ex star di ER. Prodotto da John Wells, che ha ricoperto lo stesso ruolo in ER, The Pitt racconta la vita di vari professionisti del settore medico in un ospedale di Pittsburgh, alle prese con i propri problemi personali e le esigenze estreme del loro lavoro. L’ex membro del cast di ER Noah Wyle recita nella serie nel ruolo del dottor Michael Robinavitch, dopo aver interpretato il dottor John Carter nella serie medica della NBC per diverse stagioni.

Max ha pubblicato il primo teaser trailer di The Pitt, che anticipa una prima stagione intensa per la serie in arrivo. Il trailer rivela che la prima stagione sarà composta da 15 episodi, ciascuno dei quali rappresenterà un’ora della vita dei personaggi della serie. La serie nel suo complesso sembrerà svolgersi durante un intenso turno al pronto soccorso di un ospedale. Il trailer conferma anche che The Pitt debutterà nel gennaio 2025. Guardalo qui sotto. Oltre a Wyle, il cast di The Pitt include anche Fiona Dourif, Gerran Howell, Katherine LaNasa, Isa Briones, Tracy Ifeachor, Taylor Dearden e Shabana Azeez.

Cosa rivela il trailer di The Pitt sulla serie

Come sarà rispetto a ER?

Uno dei temi principali del trailer di The Pitt è l’idea che lavorare al pronto soccorso di un ospedale abbia conseguenze emotive, psicologiche e fisiche. Il personaggio interpretato da Wyle menziona alcune di queste conseguenze, tra cui “ulcere, tendenze suicide e incubi”. The Pitt, quindi, non parlerà solo di medici che curano i pazienti, ma anche dell’enorme impatto che il lavoro di un medico del pronto soccorso può avere sulla vita di una persona.

Questo, ovviamente, non è un tema nuovo per le serie mediche, ed è qualcosa che anche le 15 stagioni di ER hanno affrontato dal 1994 al 2009. Tuttavia, The Pitt sembrerà differenziarsi nella rappresentazione della vita in pronto soccorso. A differenza di ER, che è andato in onda sulla NBC ed era limitato in termini di argomenti che poteva mostrare sullo schermo, The Pitt, essendo un programma originale Max, non avrà le stesse limitazioni. Il pubblico dovrebbe aspettarsi ferite più crude, linguaggio volgare e una rappresentazione generalmente più realistica e straziante di ciò che è realmente la vita di un medico di pronto soccorso.

Adorazione: recensione della serie Netflix

0
Adorazione: recensione della serie Netflix

Disponibile su Netflix dal 20 novembre, Adorazione si presenta come un viaggio a capofitto nel mondo degli adolescenti, immersi in una provincia carica di segreti e contraddizioni, come tutte le province del mondo. Tratta dall’omonimo romanzo di Alice Urciuolo e diretta da Stefano Mordini, la serie, presentata in anteprima ad Alice nella Città durante la Festa del Cinema di Roma, è caratterizzata dal cast corale, volti per lo più sconosciuti, con tante promesse negli occhi. La storia è un intreccio di thriller, dramma e coming of age tra difficoltà, sogni infranti e un mistero, che poi diventa tragedia, a far detonare la storia.

Adorazione, un viaggio iniziatico in un’estate di fini e inizi

L’ambientazione estiva nella tranquilla Sabaudia, con il litorale pontino che si risveglia per la stagione balneare, fa da sfondo all’esplorazione della gioventù, promettendo un racconto ben diverso da quello che ci si aspetta. Conosciamo subito Elena e Vanessa, due amiche molto diverse ma legatissime da quell’amore totalizzante che solo l’adolescenza conosce. Elena, ribelle e inquieta, vive un senso di soffocamento che la spinge a sognare una fuga verso Roma. Vanessa, invece, è l’opposto: popolare, sicura di sé, con una vita apparentemente perfetta. La loro amicizia è il primo tassello di una trama che si complica rapidamente con la scomparsa improvvisa di Elena, un evento che scuote la comunità e porta a galla segreti nascosti.

La narrazione si trasforma rapidamente in un racconto corale che esplora le vite intrecciate di un gruppo di adolescenti e delle loro famiglie, tutte, in un modo o nell’altro, intaccate da Elena e dalla sua vivace diversità. Vera e Giorgio, i cugini di Elena con una situazione familiare difficile, ma anche Gianmarco e Enrico, fidanzati delle due protagoniste, si trovano anch’essi coinvolti in una spirale di bugie e verità nascoste che contribuisce a costruire un mosaico complesso e stratificato. Ogni personaggio, infatti, nasconde un pezzetto di un puzzle molto grande, una piccola parte di un’ampia storia che non riguarda solo la scomparsa della ragazza, ma anche il percorso di crescita, identità e conflitti di tutti i protagonisti. Da questo punto di vista, con esiti ovviamente molto diversi e molto meno alti, Adorazione ricorda Twin Peaks, nella misura in cui racconta la reazione di una comunità alla scomparsa di una ragazza, il dolore che quella scomparsa provoca, i segreti che hanno portato a quella triste vicenda, le conseguenze su chi la conosceva e anche su chi non aveva idea di chi fosse.

CAMILLA CATTABRIGA/NETFLIX
Copyright
2024 Netflix

Un racconto corale tra segreti e fragilità

Senza riuscire a aggirare alcune ingenuità e cliché, Adorazione trova un buon equilibrio tra il racconto di formazione e il mistero da risolvere, un racconto ricco di voci. Trai volti più noti che compongono il nutrito cast annoveriamo Noemi (cantante al debutto come attrice), Ilenia Pastorelli, Barbara Chichiarelli (che vedremo presto in M) e Claudia Potenzasi. Tuttavia, sono i ragazzi a reggere il cuore emotivo della storia: Alice Lupparelli (Elena), Beatrice Puccilli (Vera), Giulio Brizzi (Giorgio) e gli altri giovani talenti trasmettono con autenticità la confusione, la sofferenza e la ricerca di un senso che caratterizzano l’adolescenza, pur rimanendo in difficoltà nelle situazioni in cui i sentimenti da passare diventano intimi e profondi.

Come una mappatura precisa di tutti quelli che possono essere i problemi, le paranoie e le difficoltà dell’adolescenza, Adorazione tocca quasi ogni possibile sfumatura del disagio giovanile, da quello “classico” legato all’amore e all’amicizia, all’accettazione del proprio corpo e ai rapporti conflittuali con i genitori, a quello deviato e pericoloso, come la violenza di genere, la droga, il bullismo.

I coetanei sono allo stesso tempo il principale scoglio contro cui sbattere ma anche fonte inesauribile di supporto e sostegno, nei modi maldestri che ognuno impara, sbagliando. I genitori invece sembrano tutti inadatti, non all’altezza della situazione, incapaci di inquadrare e capire i propri figli, anche loro presi dalle miserie quotidiane e ignari della vera natura delle cose.

CAMILLA CATTABRIGA/NETFLIX
Copyright
2024 Netflix

Un mistero diluito nella quotidianità

L’aspetto più interessante di Adorazione è quello che immerge il mistero della scomparsa di Elena nella quotidianità, un susseguirsi lento e banale di giorni tutti uguali, uno scenario apatico che non offre certo il massimo ai giovani protagonisti e che fa da sfondo indifferente alle vicende che scivolano lungo un’estate che nessuno dei protagonisti dimenticherà mai. Proprio questa mescolanza tra thriller e vita di ogni giorno permette alle indagini per la scomparsa di Elena di portare alla luce non solo pezzetti di storia nascosta, ma anche i segreti dei giovani protagonisti e delle loro vite diversamente complicate. Ogni personaggio, ha qualcosa da nascondere, un segreto che contribuisce a costruire un mosaico sempre più complesso.

Una regia solida e cupa setta un tono molto serio per Adorazione

La regia di Stefano Mordini crea un’atmosfera cupa e pesante, nonostante gli scenari prevalentemente soleggiati e ariosi del litorale pontino, l’effetto restituito è quello di una provincia asfissiante, un luogo tanto familiare quanto opprimente. Con Fabri Fibra alla supervisione della colonna sonora, Adorazione svela la sua costruzione attenta e stratificata, anche se non sempre felice. Il risultato è quello di una semplificazione eccessiva di alcune dinamiche personali e relazionali, che si svelano quando i dialoghi si mostrano artefatti e la recitazione dei protagonisti non ancora sufficientemente matura. Sebbene l’ambizione di Adorazione sia quella di andare oltre il semplice intrattenimento, la serie Netflix si perde nei dettagli degli archi narrativi secondari, nei cliché e nelle ingenuità di chi per raccontare troppo, perde la concentrazione su ciò che è importante.

Napoli – New York: recensione del film di Gabriele Salvatores

Napoli – New York: recensione del film di Gabriele Salvatores

Ci sono storie che non le puoi semplicemente mettere da parte. Storie che sembrano vivere di vita propria, con la capacità e la consapevolezza di attendere il momento giusto per venire allo scoperto. Storie che anzi ottengono da questa attesa un’accresciuto valore, complice quella certa distanza temporale che permette di osservare le cose da nuove e più attente prospettive. È proprio quello che è accaduto con Napoli – New York, il nuovo film del regista premio Oscar  (MediterraneoIl ritorno di Casanova), nato però dalla mente e dalle mani di Federico Fellini e Tullio Pinelli.

Un soggetto scritto sul finire degli anni Quaranta e rimasto nel cassetto per decenni, finalmente riscoperto e infine divenuto film, con il quale Salvatores ha potuto tornare a raccontare temi a lui cari come il viaggio, l’altrove, la solidarietà. Il regista – come da lui dichiarato – ha lasciato pressocché intatta la prima parte del film, rielaborando però quella ambientata negli Stati Uniti affinché si avvalesse di uno sguardo meno idealizzato di quello che si poteva avere quando fu scritto il soggetto. In generale, però, Salvatores ha reso Napoli – New York una favola, nella quale come in tutte le favole si ritrova tanta realtà.

La trama di Napoli – New York: un popolo di migranti

Nell’immediato dopoguerra, tra le macerie di una Napoli piegata dalla miseria, i piccoli Carmine (Antonio Guerra) e Celestina (Dea Lanzaro) tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Una notte, s’imbarcano però come clandestini su una nave diretta a New York per andare a vivere con la sorella di Celestina emigrata anni prima. I due bambini si uniscono ai tanti emigranti italiani in cerca di fortuna in America e, con l’aiuto di Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), sbarcano in una metropoli sconosciuta, che dopo numerose peripezie, impareranno a chiamare casa.

Napoli ferita ma sempre viva

Tutto parte dunque da Napoli, città ferita dal passaggio della guerra ma sempre colorata, profumata, calorosa in tutta la sua incontenibile vitalità. Una città che ci presenta la definizione perfetta di quell’arte di arrangiarsi che tanto ci è propria, con la sua popolazione sempre pronta a rimboccarsi le maniche e vivere come meglio può alla giornata, senza chinare il capo dinanzi ai traumi della guerra. Una Napoli che con questa veste è stata raccontata innumerevoli volte, dal capolavoro del neorealismo Paisà (sceneggiato anche da Fellini e platealmente citato in Napoli – New York) fino al recente Hey Joe (al cinema dal 28 novembre).

Salvatores omaggia dunque la città in cui è nato raccontandola e mostrandocela con quante più sfumature possibili, scegliendo quegli ambienti e quei volti che ne esaltano il bello e il brutto, il sacro e il profano. Una rappresentazione che risulta ancor più realistica proprio in quanto ideata negli stessi anni in cui il film è ambientato, potendo dunque contare su una vicinanza storica che ha permesso di essere fedeli a quanto realmente avveniva tra i vicoli, il porto o gli ambienti più altolocati della città. Il risultato è come sempre suggestivo, coinvolgente, con un che di ammaliante per quel certo qualcosa che ci è come famigliare.

New York terra delle promesse

Ben altro discorso si ha invece per New York, città che Fellini e Pinelli poterono solo immaginare secondo i racconti idealizzati dell’epoca, ma che Salvatores restituisce con un fare favolistico ma decisamente più disincantato. Cambia infatti il linguaggio del film e dall’animo caloroso di Napoli si passa a quello più composto e squadrato di New York, mostrata con colori e ambienti apparentemente da sogno ma dietro i quali si nascondono numerose menzogne, come racconterà poi il sogno americano infranto della sorella di Celestina.

Un’ode alla solidarietà italiana

Nel mezzo, tra Napoli e New York, c’è il lungo viaggio in nave. Un viaggio che ricopre un significato importantissimo all’interno del film, in quanto porta al manifestarsi di tutti quei valori e temi che a Salvatores sta a cuore trattare. Emerge in particolar modo la solidarietà italiana, che porta ad aiutarsi, difendersi e proteggersi senza badare alle possibili “differenze”. Un valore che Salvatores sembra volerci anche ricordare, dato il suo essersi indebolito in questi ultimi difficili tempi. Come ci ricorda anche che migranti lo siamo stati e lo siamo tutt’ora, in un periodo in cui anche questo dettaglio del nostro passato sembra essere stato dimenticato.

Napoli – New York vuole dunque essere sì una favola, proponendoci un racconto appassionante e impreziosito dalle interpretazioni degli attori protagonisti, ma nel guidarci attraverso tutto ciò – tra risate, paure e momenti di grande emozione – ribadisce dunque la forza del popolo italiano davanti alle avversità, purché sappia far fronte comune come gli si vede fare nella Little Italy presente a New York. Una terra lontana eppure uguale a quella Napoli/Italia lasciatasi alle spalle, dove ritrovare tutto il calore e l’affetto, sapendo di poter sempre contare sulla mano di qualcuno che ci salva.

Dune: Prophecy – episodio 1, la spiegazione dell’episodio: cosa ha fatto Desmond?

Dune: Prophecy introduce il pubblico in una complessa rete di intrighi politici e, solo dal primo episodio, c’è già una tonnellata di materiale da analizzare. Dune: Prophecy è guidata da Emily Watson e Olivia Williams, che interpretano le sorelle Valya e Tula Harkonnen. La serie prequel della HBO è ambientata 10.000 anni prima degli eventi legati ai film di Dune di Paul Atreides e Denis Villeneuve, e analizza l’ascesa delle Bene Gesserit e l’influenza dell’ordine nell’Universo conosciuto.

Il primo episodio vede Valya Harkonnen ottenere il controllo della Sorellanza per portare a termine gli obiettivi della prima Madre Superiora, usando la Voce per costringere Dorotea a uccidersi. Nel corso dell’episodio, il pubblico viene introdotto a un complotto politico che riguarda la Casa Corrino e l’Imperatore (Mark Strong). Per rafforzare la sua posizione militare, egli accetta un’alleanza matrimoniale con la Casa Richese. Tuttavia, alla fine dell’episodio Desmond Hart (Travis Fimmeluccide il giovane erede dei Richese, impedendo il previsto matrimonio.

Perché e come Desmond Hart ha ucciso Pruwet Richese nel finale dell’episodio 1

L’episodio 1 di Dune: Prophecy introduce Desmond Hart, un personaggio originale della serie. È un soldato sopravvissuto ai recenti attacchi dei Fremen su Arrakis, anche se arriva su Selusa Secundus sostenendo che non sono stati i Fremen ad attaccare le sue forze, ma piuttosto gli alleati dell’Imperium. Non viene rivelato molto in questa scena iniziale, ma Desmond scambia un’occhiata di sfida con Kasha, il Verificatore dell’Imperatore, lasciando intendere i suoi piani. Nel finale dell’episodio, Desmond Hart cerca di conquistare la fiducia dell’Imperatore Corrino, suggerendo che la Casa Richese è uno dei tanti nemici che lo stanno prendendo di mira.

Afferma inoltre che gli è stato “ conferito un grande potere ”, che sembra usare per uccidere Pruwet, facendo bruciare la pelle del ragazzo senza toccarlo.

L’Imperatore suggerisce che vorrebbe essere liberato dal matrimonio, cosa che Desmond prende sul serio. Trova il giovane Pruwet Richese, che dice di essere stato svegliato da un brutto sogno. Desmond dice a Pruwet che è in corso una guerra da parte di un nemico che si è reso indispensabile, riferendosi alla Sorellanza. Afferma inoltre che gli è stato “conferito un grande potere”, che sembra usare per uccidere Pruwet, facendo bruciare la pelle del ragazzo senza toccarlo. La natura esatta del suo potere non è ancora chiara, ma il piano di Desmond è quello di ostacolare gli sforzi della Sorellanza.

Cosa è successo al verme della sabbia che l’imperatore Corrino ha visto su Arrakis

L’Imperatore Corrino, come Pruwet Richese, viene svegliato da un brutto sogno nel cuore della notte. Si reca quindi in una stanza dove è stato lasciato un chip con un filmato olografico, presumibilmente da Desmond. L’Imperatore Corrino assiste alla scena precedentemente descritta da Desmond in cui, per qualche miracoloso motivo, Desmond Hart è l’unico sopravvissuto a un attacco e viene schiacciato da un gigantesco verme sandwich. In qualche modo, Desmond è sopravvissuto a tutto questo ed è riemerso con un potere e un senso di scopo ritrovati.

La scena mostrata è molto simile alla visione della Madre Superiora all’inizio dell’episodio, che vedeva un gigantesco verme sandwich schiacciare un edificio su Arrakis prima di mostrare pelle bruciata e sangue. Desmond Hart sembra essere direttamente legato alla sua visione come rappresentante della minaccia esistenziale da cui la Madre Superiora aveva messo in guardia Valya.

Il piano di Valya per la Sorellanza spiegato

Valya Harkonnen è stata spinta dal trattamento riservato alla Casa Harkonnen dopo la Jihad Butleriana, in cui la Casa Harkonnen è stata definita codarda e traditrice. Pertanto, si unì alla Sorellanza e divenne fedele alla prima Madre Superiora. La Madre Superiora sognava in punto di morte la fine del mondo, “Tiran-Arafel”, per mano di un tiranno corrotto. Credeva che, per evitarla, la Sorellanza avrebbe dovuto allevare geneticamente i leader ideali e insediare una Sorella sul trono dell’Imperium. Valya Harkonnen è intenzionata a portare a termine questa missione a qualsiasi costo.

Valya sembra credere che Ynez possa essere la Sorella leader in grado di impedire Tiran-Arafel.

La Principessa Ynez si reca a Wallach IX e si allena con la Sorellanza. Valya e Tula stanno selezionando una delle loro studentesse per guidare Ynez al suo arrivo. Poiché l’Imperatore non ha figli veri, il figlio di Ynez sarà l’erede al trono, quindi la Sorellanza ha intenzione di coinvolgere Ynez nel proprio controllo attraverso la Sorella che sceglierà per guidarla. Valya sembra credere che Ynez possa essere la Sorella governante che può impedire Tiran-Arafel.

Spiegazione della visione della reverenda madre Kasha

Kasha profetizza l’insuccesso del piano di Valya

Va detto innanzitutto che Kasha era una delle ragazze che hanno complottato con Valya Harkonnen nei flashback, quindi è una Sorella che è a conoscenza del piano di Valya ed è stata messa al fianco dell’Imperatore per diffondere l’influenza della Sorellanza. Dopo l’incontro con Desmond Hart, ha una visione che ha caratteristiche simili a quella della Madre Superiora morente all’inizio dell’episodio: sangue e vermi. Nel suo caso, vede la Principessa Ynez, che sta per sposarsi, apparentemente in fin di vita e che accusa Kasha di essere coinvolta nel suo pericolo.

Kasha si reca quindi a Wallach IX per incontrare Valya e Tula Harkonnen, suggerendo che la principessa Ynez potrebbe non essere il candidato ideale che stanno cercando. Avverte Valya che l’insediamento di Ynez sul trono come Sorella potrebbe causare la devastazione che spera di evitare. Valya, ritenendo che la precedente Madre Superiora l’abbia scelta per uno scopo specifico, è ferma sulle sue posizioni e intende che il matrimonio proceda come previsto. In seguito, Valya suggerisce di allontanare Kasha dall’Imperatore, poiché non crede più che i loro ideali siano allineati.

Cosa significa la battuta di Valya Harkonnen “Vedo, madre”

Valya non torna indietro dal suo piano

Uno dei momenti finali di Dune: Prophecy vede Kasha bruciare nello stesso modo di Pruwet Richese, causandone la morte. Questo ricorda a Valya il messaggio della Madre Superiora, in cui diceva che sarebbe stata lei a vedere “la bruciante verità e a sapere cosa farne. La scena probabilmente ribadisce a Valya che è sulla buona strada e che deve continuare a guidare la Sorellanza fino agli estremi che si è prefissata. La morte di Kasha non è chiara, ma sembra essere collegata all’uccisione di Pruwet Richese da parte di Desmond Hart.

Perché le macchine pensanti sono vietate nell’universo di Dune

Le macchine pensanti sono una forma di intelligenza artificiale presente nell’universo di Dune, che aveva un ruolo importante prima di Dune: Prophecy. A un certo punto, l’umanità è diventata dipendente dalle Macchine Pensanti, che hanno iniziato a diventare troppo potenti. Gli umani furono costretti a entrare in guerra con loro in un evento chiamato Jihad Butleriana, i cui effetti si protrassero per migliaia di anni. Le macchine pensanti vennero bandite e, al punto di Dune, “Non costruire una macchina a somiglianza di una mente umana” è un comandamento ben noto.

Perché Casa Corrino è costretta a un’alleanza matrimoniale

Il pubblico viene introdotto all’Imperatore Corrino mentre media un’alleanza con la Casa Richese, che gli promette navi da guerra in cambio di un matrimonio tra il novenne Pruwet Richese e la Principessa Ynez. L’imperatore Corrino ha ereditato l’Imperium dopo una serie di imperatori in guerra e non è certo il leader più forte e aggressivo. Governa in un periodo di fragile pace, con il matrimonio con sua moglie, l’imperatrice Natalya, che ha unito l’Imperium in quello che è all’inizio della serie.

Il Duca Richese offre alla Casa Corrino una flotta di navi da guerra per aiutare la raccolta di spezie su Arrakis. Come nei film, Arrakis è il pianeta più importante dell’universo grazie alla sostanza ultrapotente che vi si può raccogliere. Inoltre, come nei film, l’Imperium ha problemi con la produzione di spezia a causa dell’interferenza dei Fremen. Questo porta l’Imperatore Javicco Corrino a stringere un accordo poco dignitoso con la Casa Richese in Dune: Prophecy, poiché ha un disperato bisogno del loro supporto militare.

Dune: Prophecy, Timeline – Quanto tempo prima del film è ambientata la serie

La prossima serie HBO/Max Dune: Prophecy sarà un prequel e uno spin-off del celebre Dune: Parte Uno e Dune: Parte Due (2024) di Denis Villeneuve. Dopo il successo di critica e di botteghino di Dune: Parte Due, che è ancora il secondo film di maggior incasso del 2024 al momento in cui scriviamo, HBO/Max farà debuttare la sua prima serie originale di Dune a novembre. La serie, composta da sei episodi, approfondirà le origini della Bene Gesserit, guidata da Valya Harkonnen di Emily Watson, Tula Harkonnen di Olivia Williams e dall’imperatore Javicco Corrino di Mark Strong.

La serie, originariamente intitolata “Dune: Sisterhood”, è basata sul romanzo di Brian Herbert e Kevin J. Anderson ‘Sisterhood of Dune’, pubblicato nel 2012. Sia Anderson che Brian Herbert, il figlio dell’autore originale di Dune Frank Herbert, sono stati nominati produttori esecutivi di Dune: Prophecy, il che indica che la storia seguirà da vicino la trama di “Sisterhood of Dune”, che cronologicamente è il quarto libro dell’intera serie di Dune. Il cast di Dune: Prophecy sarà caratterizzato da una serie di personaggi di Dune completamente nuovi, guidati da Emily Watson, Travis Fimmel, Camilla Beeput, Sarah Lam, Mark Strong, Olivia Williams, Jodhi May e altri ancora.

Dune: Prophecy è ambientato 10.000 anni prima dei film su Dune

Dune: Prophecy si svolge 10.000 anni prima della narrazione di Paul Atreides che inizia nel romanzo di Frank Herbert e nei due film di Dune di Villeneuve. Ciò significa che è quasi certo che l’iconico personaggio di Chalamet non sarà presente nella prossima serie di Max, né alcuno dei personaggi originali visti nei celebri film di Dune di Villeneuve. Essendo uno dei primi episodi cronologici del franchise di Dune, Dune: Prophecy si concentrerà in particolare sulla formazione della Bene Gesserit. Questo includerà probabilmente una panoramica di come il misticismo magico della Bene Gesserit sia nato.

Dune: Prophecy descriverà come la Bene Gesserit è stata inizialmente fondata, si è affermata e ha acquisito un’influenza di massa. Concentrarsi sulle origini dei Bene Gesserit aprirà uno degli aspetti più oscuri e misteriosi dell’universo di Dune e potrebbe far sì che alcune parti della profezia in Dune: Parte Uno e Dune: Parte Due più facili da comprendere. Si stabilirà un chiaro legame tra le Harkonnen e le Bene Gesserit, dal momento che due delle protagoniste della serie, Emily Watson e Olivia Williams, sono Harkonnen e le più potenti leader della sorellanzaDune: Prophecy racconterà come le Bene Gesserit hanno iniziato a muovere i fili intergalattici che alla fine hanno portato all’ascesa di Paul in Dune.

Cosa si sa del mondo di Dune: La Cronologia della Profezia

La Reverenda Madre Mohiam (Charlotte Rampling) è vista in stretta relazione con i Corrinos al potere in Dune: Parte seconda, quindi la serie dovrebbe esplorare le origini della loro alleanza.

Al momento in cui scriviamo, la HBO/Max sta mantenendo il riserbo su molti dettagli specifici della trama di Dune: Prophecy non sono stati resi noti. Basata sul romanzo Sisterhood of Dune, i protagonisti di Dune: Prophecy saranno Valya e Tula Harkonnen e l’imperatore Javicco Corrino, antenato dell’imperatore Shaddam Corrino IV (Christopher Walken) e della principessa Irulan Corrino (Florence Pugh) visti in Dune: Parte Due La Reverenda Madre Mohiam (Charlotte Rampling) si vede che ha un rapporto stretto e tranquillamente manipolativo con i Corrino al potere in Dune: Parte seconda, quindi la serie dovrebbe esplorare le origini della loro apparente alleanza.

Gli Atreides dovrebbero essere presenti anche in Dune: Prophecy con l’introduzione di Keiran Atreides, un antenato di Paul e Leto, che sarà interpretato da Chris Mason. Secondo la trama di “Sisterhood of Dune”, Dune: Prophecy si svolgerà dopo la Battaglia di Corrin e la Jihad Butleriana, un antico evento cataclismatico che porta alla distruzione di tutte le forme di computer e di tecnologie AI avanzate. È probabile che le sorelle Harkonnen, che iniziano la sorellanza in Dune: Prophecy, inizieranno il loro lungo programma di riproduzione che si svilupperà nelle puntate successive di Dune.

Come Dune: Prophecy si collega a Dune 1 e 2

Dune 2021 film
Timothée Chalamet e Rebecca Ferguson in una scena di Dune

Se ci sono collegamenti diretti da tracciare tra Dune: Prophecy e i due film di Dunenon si tratta di Paul ma della madre di Paul, Jessica. In origine, infatti, i Bene Gesserit le avevano imposto di partorire una figlia anziché un figlio, che divenne Paul. Dune: Prophecy potrebbe alludere alle origini dei sofisticati piani di riproduzione selettiva delle Bene Gesserit e mostrare come la sorellanza sia diventata così profondamente radicata nella mente e nelle tasche della famiglia Corrino. Dune: Prophecy probabilmente racconterà l’ascesa delle Bene Gesserit stesse e non avrà nulla a che fare con Paul, anche se tutte le principali case di Dune avranno una presenza antica.

L’amica geniale – Storia della bambina perduta: recensione episodi 3 e 4

0

Dopo un ritorno e un aggiustamento a causa del nuovo casting, siamo pronti a buttarci nuovamente, con familiarità e passione, nella vita di Lenù e Lila, con gli episodi 3 e 4 de L’amica geniale – Storia della bambina perduta, ultima stagione della serie che adatta la tetralogia di Elena Ferrante, famosa in tutto il mondo e già conclusa nella messa in onda per gli Usa su HBO.

L’amica geniale torna in un rione completamente cambiato

Le stagioni più felici della serie hanno visto il rione come luogo di violenza e ignoranza, ma anche posto sicuro, dove si aveva un’identità, una certezza, la possibilità di esistere in un microcosmo piccolo ma confortante. Il ritorno di Elena ai luoghi natii, nel capitolo 27, I Compromessi, la riporta in un luogo che ormai è sconosciuto. La donna ritrova la madre, la famiglia, soprattutto Lila e tutti vivono in un mondo notevolmente cambiato e reso pericoloso da una modernità, che in lì ha attecchito con il suo volto peggiore. Elena si trova catapultata, di nuovo, in un nuova vita, a fronteggiare delle circostanze impreviste, ma si ritrova anche nuovamente in compagnia (e all’ombra di) Lila. L’amica d’infanzia ha dato una svolta importante alla sua vita, diventando una donna d’affari e trovando, non capiamo ancora bene come, il modo di sovrastare il potere dei Solara, i boss di quartiere che hanno tormentato le ragazze sin da ragazzine.

Lila è ora una specie di padrona buona dei rione, una vera e propria “Madrina”, potente e ricca, spietata, ma anche buona, generosa e compassionevole, l’unica a cui rivolgersi per cercare aiuto. Una posizione che sembra sposarsi alla perfezione con le due anime della donna, che vive da sempre di contrasti, di nobiltà d’animo e cattiveria. E mentre Lila sale in considerazione agli occhi dello spettatore, Elena si confronta con la povertà delle sue scelte di vita, continua a vivere come l’amante ufficiale di Nino, lo accompagna anche alle visite domenicali in famiglia, nelle quali (orrore supremo!) Incontro di nuovo il laido Donato Sarratore, padre di Nino e, a tutti gli effetti, suo stupratore.

Il corpo come dispositivo narrativo

In queste circostanze ambivalenti, le due donne dovranno affrontare un felice imprevisto: entrambe restano incinta (di Nino e di Enzo, rispettivamente), e cominciano a condividere questo percorso trasformativo che le avvicina di nuovo, tanto che Lila diventa “la zia preferita” di Dede e Elsa.

La serie si sposta quindi di nuovo sull’importanza del corpo abitato non solo dalle donne, ma anche da quello che loro stesse generano e, di nuovo, le due amiche/nemiche non potrebbero essere più diverse nell’affrontare questo percorso (che entrambe conoscono bene, essendo già madri). Elena è contenta della sua rotondità, paziente, serena, stanca. Lila è irrequieta, senza questo nascituro come un corpo estraneo, da espellere, che “le tocca i nervi”, ovvero la infastidisce, arrivando a pensare che in lei ci sia qualcosa che non va…

Un terremoto che scopre le crepe di Lila e la solidità di Elena

La chiave di lettura di questo disagio, e dell’intera personalità di Lila, ce la offre in un momento di enorme generosità della sceneggiatura, l’episodio successivo, il capitolo 28, Terremoto. Se l’episodio precedente aveva citato la Strage di Bologna dell’estate del 1980, confermando, anche in maniera marginale, quanto L’Amica Geniale sia radicato nel suo tessuto sociale, questa seconda puntata settimanale ci porta avanti nel tempo, fino a novembre, quando ci fu il terribile Terremoto dell’Irpinia e tutta la provincia napoletane venne scossa, letteralmente, con grande violenza. Lenù e Lila sono da sole, è domenica, e le due amiche in stato avanzato di gravidanza decidono di passare un pomeriggio pigro in compagnia, a casa di Lila, al rione, fino a che la terra non comincia a tremare (un tocco di enfasi ha fatto coincidere l’inizio della prima scossa con la domanda di Elena a Lila: “Cosa sai di Nino?”).

La due donne si aiutano e si fanno forza, riescono a farsi strada fino alla strada e alla macchina, dove rimangono in cerca di riparo. E qui, Lila ha un’altra delle sue crisi, fa di nuovo esperienza di quella “smarginatura” a cui avevamo assistito nella prima stagione, quando ai suoi occhi la realtà si sfrangia, i confini delle cose si aprono e lasciano uscire la loro parte viscerare e irrazionale, e nulla ha più senso. Irene Maiorino abbraccia quindi la responsabilità di spiegare, finalmente, la natura di Lila al pubblico e anche a Elena, riportando a parole il celebre passo dei romanzi: L’unico problema è sempre stato l’agitazione della testa. Non la posso fermare, devo sempre fare, rifare, coprire, scoprire, rinforzare e poi all’improvviso disfare, spaccare.

Ma la sceneggiatura non si ferma a riportare la citazione dall’originale, va più a fondo e per molti versi spiega meglio (cosa che il libro non farà mai fino all’ultima pagina) quello che è il “mistero Lila”, in un impeto di purezza e onestà, la donna confessa all’amica: “In me il male score insieme al bene”, dimostrando così a se stessa a Elena e allo spettatore tutta la sua specialità, ma anche la sua debolezza. È un momento intimo e epifanico, in cui capiamo finalmente qual è il rapporto di forze tra le due e quanto siano indispensabili l’una all’altra per camminare dritte in un mondo continuamente spazzato dalle onde della tragedia, della violenza e della prepotenza maschile. Una prepotenza che nella sua violenza esteriore viene contrastata con fierezza da Lila, ma che nella sua violenza psicologica e subdola, rappresentata dalla stessa esistenza di Nino Sarratore (Fabrizio Gifuni), costringe ancora Lenù a soccombere.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta perde anche l’ispirazione

Il guizzo di generosità nello svelamento della personalità di Lila si perde però in un mare piatto. La serie sembra faticare a trovare quell’animo ruvido e dolente, ma anche romantico e favolistico, che l’aveva caratterizzata sin dall’inizio. Ormai siamo affezionati a Lila e Lenù e vogliamo sapere come va a finire la loro storia e cosa il futuro ha in serbo per loro. Siamo persino disposti a sopportare il miscasting di Alba Rohrwacher perché comunque la sua voce rappresenta un legame lungo e affettivo con lo show (lei non ne ha nessuna colpa, si capisce), ma la regia e le idee, in questa stagione, sembrano davvero distribuite a risparmio e ci sembra di avviarci verso la fine di questa storia con stanchezza e rassegnazione.

Dune: Prophecy, recensione delle prime quattro puntate della serie HBO

0

Con Dune: Prophecy, HBO ci riporta nel vasto e affascinante universo creato da Frank Herbert, e di recente esplorato al cinema da Denis Villeneuve con i suoi film (in fase di scrittura dovrebbe esserci anche il terzo capitolo). La serie, disponibile su Sky e NOW dal 18 novembre 2024 con il primo episodio, ci invita a un viaggio che precede di 10.000 anni la nascita di Paul Atreides, concentrandosi sulle origini della potente sorellanza delle Bene Gesserit. Basata sul romanzo Sisterhood of Dune di Brian Herbert e Kevin J. Anderson, la serie segue le vicende legate alle sorelle Valya e Tula Harkonnen, accomunate dal sangue e da un innegabile affetto, ma divise da ambizioni e strategie su come ottenere i propri risultati.

Dune: Prophecy racconta un mondo tra potere e introspezione

Nonostante la serie si proponga l’importante ambizione di raccontare l’origine di uno degli aspetti più affascinanti dell’universo di Dune, la nascita delle Bene Gesserit, la serie non ha l’aria solenne che invece Villeneuve ha adottato per il suo sguardo al franchise. I primi quattro episodi visti in anteprima rivelano una storia ricca di intrighi politici e dinamiche personali, una dicotomia che rievoca più Il trono di Spade che l’estetica filosofeggiante dei romanzi di Herbert. HBO ha costruito su questo tipo di intrecci una delle serie di maggiore successo degli ultimi anni, e quindi non sorprende che l’approccio adottato sia tale. La spettacolarità visiva è messa da parte in favore di aspetti soapoperistici, alcune trovate ingenue ma un risultato dignitoso soprattutto per quello che riguarda il modo in cui vengono tratteggiate le protagonisti, a cavallo tra passato e presente.

La serie si focalizza sull’ambiziosa Valya Harkonnen (una magistrale Emily Watson), figura centrale nella nascita della Sorellanza, e su sua sorella Tula (Olivia Williams), con la quale ha un rapporto conflittuale eppure di grande lealtà e affetto. Le due interpreti chiamate a dare vita a questi due personaggi si distinguono per la grande capacità di mettere in scena forti contrasti ed emozioni con una recitazione composta e misurata, che si fonda molto sulla forza dello sguardo e dei micro gesti. Sullo sfondo, un’umanità segnata da ambizioni imperiali, patriarcato opprimente e l’immancabile influenza della spezia di Arrakis, il vero motore dell’universo di Dune, l’elemento che dà poteri sovrumani e permea di desiderio di potere tutti i cuori più deboli.

Intrighi di palazzo e produzione di alto livello

Quello che colpisce in negativo di Dune: Prophecy è senza dubbio la sceneggiatura che per necessità di impostare un nuovo livello di un universo conosciuto finisce per essere verbosa rallentando l’azione. Seppure solida, viene appesantita da dialoghi/spiegazioni che non rendono dinamico il racconto. Questo aspetto ostico e contrario all’azione offre però la possibilità di dare molta voce e struttura ai personaggi, mostrandone le complessità e le ragioni in maniera esaustiva e dettagliata. Da un punto di vista visivo invece la serie si impegna a offrire una continuità con quanto visto al cinema.

L’estetica è quindi essenziale ed elegante, e indugia sui costumi con particolare ricercatezza e ricchezza di dettagli che però risentono di quando realizzato da Villeneuve: il risultato è un mondo in cui l’unica cosa stravagante è il guardaroba di alcuni personaggi, ma in cui non c’è nessuna differenza di etnia e provenienza, nonostante le origini letterarie richiedano diversamente. Come visto in Dune di Villeneuve e in Dune di Lynch prima di lui, le Bene Gesserit sono caratterizzate da abiti monacali, lunghi e neri, che simboleggiano il loro stile di vita austero ma anche il loro modus operandi nella storia dell’umanità: operano nell’ombra dei loro segreti, manovrando gli imperi.

Uno sguardo alla contemporaneità

Il richiamo a Il Trono di Spade si fa sentire anche negli elementi più controversi: sesso, violenza e intrighi sono centrali nella narrazione, anche se sembra meno cruento della serie basata sui romanzi di Martin in ognuno di questi aspetti. Dune: Prophecy riesce a trovare una sua identità esplorando temi che parlano in maniera molto chiara alla contemporaneità, con riflessioni molto specifiche sull’oppressione patriarcale e l’ambigua moralità del potere. Questa scelta contribuisce a rendere la serie affascinante per chi cerca una narrazione complessa e ingaggiante, ma risulterà certamente una delusione per chi sperava in un approccio più epico e meno dialogico.

Uno sguardo al futuro

I primi quattro episodi di Dune: Prophecy lasciano intravedere il potenziale di una narrazione più ampia e profonda. Il personaggio di Valya Harkonnen emerge come il fulcro del racconto, incarnando il fascino e le contraddizioni della Sorellanza nascente. Tuttavia, sembra che per il momento la serie si sia concentrata sul posizionamento del pezzi su una complessa e accidentata scacchiera. Resta da vedere se le pedine, una volta disposta, riusciranno a dare vita a una partita avvincente.

Il generale Acacio di Pedro Pascal era un personaggio reale?

Il generale Acacio di Pedro Pascal era un personaggio reale?

Il generale Acacius è un personaggio fondamentale nel film Il gladiatore II, di Ridley Scott, e la performance di Pedro Pascal conferisce realismo a questa spettacolare pellicola. Data la sua importanza, molti spettatori sono naturalmente curiosi di sapere se sia realmente esistito. Sebbene il regista abbia spesso tratto ispirazione da eventi e personaggi storici reali, il generale Acacius è un personaggio di fantasia.

Oltre ad essere una copia oscura di Maximus in Il gladiatore, Acacio è un veicolo interessante per guidare la difficile situazione di Lucio e mettere in discussione le strutture di potere nella storia. Essendo un personaggio di fantasia, funge anche da sostituto del contesto storico in cui i generali erano effettivamente considerati delle celebrità nell’antica Roma. Gladiator II ha già battuto i record al botteghino di Ridley Scott, e l’equilibrio tra influenza storica e spettacolo cinematografico è parte di ciò che rende la sua narrazione così di successo.

Il generale Acacius di Il Gladiatore 2 non è basato su una persona reale

Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal

Il personaggio di Pascal è romanzato ma scritto con la stessa gravitas

Il generale Acacius, il suo matrimonio con Lucilla e la sua ribellione sono interamente frutto di fantasia. Non esiste alcun generale Acacius nella storia romana. Il suo scopo nel cast di Il Gladiatore 2 è quello di fornire a Lucio qualcuno su cui vendicare la morte della moglie, il che riecheggia la vendetta di Massimo in Il Gladiatore. Il suo ruolo di generale è anche un modo per rappresentare il desiderio di dominio fine a se stesso degli imperatori Geta e Caracalla. Il personaggio, interpretato da Pedro Pascal, è ben scritto ed è un ottimo esempio del perché non tutto in Il gladiatore deve essere storicamente accurato.

[Ridley Scott] fonde la storia con la grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei personaggi per creare storie commoventi…

Un altro motivo per cui il generale Acacius deve essere un personaggio di fantasia è che anche la storia di Lucio è romanzata. Lucio Vero II, figlio del co-imperatore Lucio Vero e di Lucilla, morì giovane insieme alla sorella Aurelia Lucilla. Nel film sopravvive e diventa un gladiatore come il padre immaginario, Massimo. I personaggi storici influenzano Ridley Scott, ma i suoi film non sono legati all’accuratezza storica. Piuttosto, fonde la storia con la grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei personaggi per creare storie commoventi. Per il primo film ha avuto dei consulenti storici, ma a quanto pare non per Il gladiatore II (The Guardian), dando invece la priorità allo spettacolo e alla continuità narrativa.

Il generale Acacio potrebbe essere ispirato ad altri generali romani

Gli antichi romani avevano una cultura delle celebrità che idolatrava le figure militari

La priorità nel sequel è la visione di Ridley Scott e come si è sviluppata dopo Il gladiatore. Tuttavia, alcuni generali erano effettivamente considerati delle celebrità nell’antica Roma. Ad esempio, Gaio Giulio Cesare era in origine un generale. L’ascesa al potere di Cesare fu notevolmente favorita dal suo status di celebrità, derivante principalmente dalle sue conquiste militari. La cultura delle celebrità nell’antica Roma era l’opposto della nostra. Coloro che avevano un rango militare o politico erano celebrati; coloro che oggi considereremmo celebrità, come attori, musicisti o qualsiasi altro artista, erano afflitti dall’“infamia” per scoraggiare l’adorazione di queste figure (secondo la Princeton University Press).

Ciò è particolarmente rilevante per la rappresentazione dello spettacolo pubblico di Scott. I gladiatori erano popolari tra il pubblico e l’élite reagiva di conseguenza per preservare la propria presunta superiorità morale. Usavano il concetto di “infamia” per scoraggiare i cittadini romani liberi dall’entrare nell’arena per il proprio tornaconto. L’infamia li privava dei loro diritti ed era una sorta di morte sociale. Il modo in cui l’élite dirige la moralizzazione del pubblico è evidente in Gladiator II, quando il generale Acacius viene messo nell’arena a combattere per la propria vita. In precedenza era adorato come una celebrità militare, poi ridotto a un semplice intrattenitore.

Silo: cast e guida ai personaggi della serie Apple Tv+

Silo: cast e guida ai personaggi della serie Apple Tv+

Da star del cinema a attori televisivi amati dai fan, il cast di Silo è pieno di grandi interpreti riconoscibili da altri progetti. Basata sui libri Silo di Hugh Howey, la serie Apple TV+ è ambientata in un lontano futuro distopico e ruota attorno a una comunità che vive nelle profondità del sottosuolo sotto l’imposizione di regole severe che, secondo quanto viene loro detto, sono state messe in atto per proteggerli. Man mano che la storia si svolge, un ingegnere e uno sceriffo cercano di scoprire la verità oscura sulla loro esistenza sotterranea. La serie è stata sviluppata per la televisione da Graham Yost, famoso per Justified.

Come promesso dal trailer di Silo, il cast stellare dello show include attori famosi di altre serie televisive e film di grande successo.

I membri del cast principale possono essere visti nei film Dune, The Social Network e The Shawshank Redemption, mentre i comprimenti recitano nelle serie Game of Thrones, Succession e The Walking Dead. Con una star di Parks and Recreation, un attore importante della serie Mission: Impossible e l’attore che ha interpretato Martin Luther King Jr. sul grande schermo, Silo è pieno di volti noti.

Rebecca Ferguson nel ruolo di Juliette

Rebecca Ferguson Silo

Data di nascita: 19 ottobre 1983

  • Attiva dal: 1999

Attrice: Rebecca Ferguson ha esordito nel ruolo di Anna Gripenhielm nella soap opera svedese Nya Tider. Ha poi ottenuto l’attenzione internazionale con la sua interpretazione di Elizabeth Woodville nella miniserie The White Queen, per la quale è stata nominata ai Golden Globe. Da allora Ferguson ha interpretato l’agente dell’MI6 Ilsa Faust nei film Mission: Impossible, Jenny Lind in The Greatest Showman, Rose the Hat in Doctor Sleep e Lady Jessica in entrambe le parti di Dune di Denis Villeneuve.

Personaggio: Rebecca Ferguson è la protagonista del cast di Silo nel ruolo di Juliette, un’ingegnere che si ribella all’autorità. Sebbene inizialmente viva nei livelli inferiori del silo, riesce a raggiungere i piani superiori dopo essere stata nominata nuovo sceriffo. Sfrutta la sua nuova posizione di autorità per scoprire la verità sull’omicidio del suo ex amante.

David Oyelowo nel ruolo di Holston

David Oyelowo

Data di nascita: 1 aprile 1976

  • Attivo dal: 1998

Attore: L’attore è noto soprattutto per aver interpretato Martin Luther King Jr. nel film biografico Selma, fedele alla storia. Ha anche interpretato Louis Gaines in The Butler, Seretse Khama in A United Kingdom e Steven Jacobs in L’alba del pianeta delle scimmie. Tra gli altri ruoli televisivi ricordiamo Javert nella miniserie della BBC tratta da Les Misérables e l’agente dell’MI5 Danny Hunter nella serie di spionaggio Spooks. Nella sua lunga carriera di attore, Oyelowo ha ricevuto un Critics Choice Award e due NAACP Image Awards.

Personaggio: Holston è uno sceriffo di Silo che lotta per mantenere l’ordine nella comunità sotterranea. Tuttavia, il suo scopo nel bunker sotterraneo cambia completamente quando sua moglie decide volontariamente di uscire nel mondo reale. Un anno dopo la partenza della moglie, Holston decide di seguire il suo esempio.

Common nel ruolo di Sims

Common in Silo (2023)
© Apple TV+

Data di nascita: 13 marzo 1972

  • Attivo dal: 1991

Attore: Common ha debuttato con l’album Can I Borrow a Dollar? e ha ottenuto ulteriore riconoscimento con il suo seguito, Resurrection. Ha fatto il suo debutto sul grande schermo nel ruolo del mafioso Sir Ivy in Smokin’ Aces. Common ha continuato a interpretare ruoli come quello del sottovalutato cattivo Cassian in John Wick: Chapter 2, Turner Lucas in American Gangster e il luogotenente di John Connor, Barnes, in Terminator Salvation. Ha anche interpretato Elam Ferguson nella serie western della AMC Hell on Wheels e ha interpretato James Bevel in Selma al fianco di David Oyelowo, vincendo un Oscar per aver co-scritto la canzone “Glory” per il film.Film e serie TV di rilievo:Film/Serie TVRuoloJohn Wick: Capitolo 2CassianSuicide SquadMonster TWantedThe GunsmithSmokin’ AcesSir Ivy

Personaggio: Sims è il braccio destro di Bernard in Silo, che supera persino molti limiti morali per garantire l’ordine nel bunker sotterraneo. Da quando Juliette sfida gli ordini di Bernard e cerca di scoprire la verità, Sims fa del suo meglio per catturarla prima che sia troppo tardi. Tuttavia, verso la fine della prima stagione di Silo, inizia a chiedersi se la sua lealtà verso Bernard valga davvero la pena.

Tim Robbins nel ruolo di Bernard

Tim Robbins in Silo (2023)
© Apple TV+

Data di nascita: 16 ottobre 1958

  • Attivo dal: 1982

Attore: Robbins è noto soprattutto per aver interpretato Andy Dufresne nel film drammatico Le ali della libertà. Ha vinto l’Oscar e il Golden Globe come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di Dave Boyle in Mystic River. Robbins ha anche interpretato Griffin Mill in The Player e Nuke LaLoosh in Bull Durham, oltre al tenente Samuel “Merlin” Wells in Top Gun. Sul piccolo schermo, ha precedentemente interpretato il segretario di Stato Walter Larson nella serie satirica politica di breve durata della HBO The Brink.

Personaggio: In Silo stagione 1, Bernard, interpretato da Tim Robbins, è l’antagonista principale, inizialmente descritto come il capo dell’IT. Tuttavia, con il progredire della serie e l’ascesa di Bernard a nuovo sindaco del silo, diventa evidente che il reparto IT ha molto più potere di quanto sembri. Sebbene Bernard sembri inizialmente amichevole e si presenti come alleato di Juliette, mostra il suo vero volto nell’arco finale della serie.

Avi Nash nel ruolo di Lukas Kyle

Data di nascita: 16 ottobre 1958

  • Attivo dal: 2013

Attore: L’informatico Lukas Kyle è interpretato da Avi Nash. Nash è famoso soprattutto per il ruolo ricorrente di Siddiq in The Walking Dead. La sua carriera di attore è stata piuttosto breve e ha ottenuto la maggior parte del successo sul piccolo schermo. Prima di interpretare Siddiq in The Walking Dead, ha anche interpretato Wajeed in Silicon Valley e ha fatto un’apparizione in Black Mirror nel 2023 (“Joan is Awful”). Per quanto riguarda i film, è apparso in Amateur Night, The Braid e nel film biografico di Netflix del 2016 su Barack Obama, Barry.

Personaggio: Lukas Kyle lavorava per il reparto IT nel silo come analista di sistemi. Nella prima stagione di SIlo, Lukas stringe amicizia con Juliette e le rivela molti segreti sul silo mentre trascorrono insieme le serate nella caffetteria. Tuttavia, quando Juliette gli chiede aiuto, lui la respinge perché è l’unico che può prendersi cura di sua madre. Nella seconda stagione rimane nel silo principale, mentre Juliette è fuggita.

Chinaza Uche nel ruolo di Paul Billings

Data di nascita: 20 settembre 1987

  • Attivo dal: 2012

Attore: Chinaza Uche appare nel cast di Silo nel ruolo di Paul Billings, che lavora nel dipartimento giudiziario del silo. Nato a Edimburgo, in Scozia, Uche è noto soprattutto per aver interpretato Henry, il bracciante della famiglia, in Dickinson. Ha anche interpretato Derek in Fear the Walking Dead, Shawn in The Devil Below e Nathan nel film drammatico di Zach Braff A Good Person. È apparso anche in serie TV come Law & Order, The Blacklist, Deception e Blue Bloods.

Personaggio: Paul Billings era un ex vice che lavorava nei Mids prima di passare al dipartimento giudiziario. Paul voleva tornare al dipartimento dello sceriffo, ma è stato scavalcato da Juliette. È anche un personaggio tragico, poiché soffre della Sindrome, ma lo nasconde perché se qualcuno lo scoprisse non gli sarebbe più permesso ricoprire una carica ufficiale. Questo ha causato un dramma tra loro quando lei ha scoperto che era infetto e lo nascondeva.

Harriet Walter nel ruolo di Martha Walker

Data di nascita: 24 settembre 1950

  • Attiva dal: 1974

Attrice: Personaggio veterano ingegnere in Silo. Altri ruoli televisivi di Harriet Walter includono Lady Caroline Collingwood, la fredda madre di Kendall, Roman e Siobhan, un membro piuttosto estraniato della famiglia Roy in Succession. Ha anche interpretato Dasha in Killing Eve e Deborah in Ted Lasso. Tra i suoi ruoli cinematografici figurano Emily Tallis in Atonement, Nicole de Buchard in The Last Duel e la dottoressa Kalonia in Star Wars: The Force Awakens.

Personaggio: Martha Walker è un ingegnere elettrico nel Down Deep ed era lì per aiutare Juliette a imparare come funzionava il Silo quando lei si è unita a loro da bambina. È stata praticamente una madre per Juliette durante la sua crescita e si è isolata dal mondo per 25 anni dopo la fine del suo matrimonio con Carla (Claire Perkins). Alla fine della prima stagione, Martha è rimasta scioccata dalla decisione di Juliette di uscire all’aperto.

Rick Gomez nel ruolo di Patrick Kennedy

Data di nascita: 1 giugno 1972

  • Attivo dal: 1990

Attore: Il trafficante Patrick Kennedy è interpretato da Rick Gomez. L’attore ha precedentemente interpretato il tecnico radiofonico di quarto grado George Luz nel cast della serie HBO Band of Brothers e “Endless Mike” Hellstrom nella serie Nickelodeon The Adventures of Pete and Pete. Ha anche interpretato Tom Dowd in Ray e Klump in Sin City, e ha doppiato Loki nel film d’animazione Marvel Thor: Tales of Asgard, distribuito direttamente in home video.

Personaggio: Patrick Kennedy lavorava nella manutenzione e dipingeva muri. Era anche un criminale che trafficava in reliquie proibite. All’inizio di Silo, nutriva rancore nei confronti del vice sceriffo Sam Marnes, che riteneva responsabile della morte di sua moglie. L’agente giudiziario Douglas Trumbull ha cercato di incastrare Patrick per l’omicidio di Sam, ma il piano è fallito e Juliette ha finito per proteggere Patrick e smascherare le azioni di Trumbull.

Steve Zahn nel ruolo di Solo

Steve Zahn in Silo (2023)

Data di nascita: 13 novembre 1967

  • Attivo dal: 1990

Attore: Steve Zahn interpreta l’unico personaggio nuovo annunciato per la seconda stagione di Silo, Solo. Zahn recita dal 1990, quando ha esordito nel mondo del cinema indipendente insieme ai suoi amici di teatro Ethan Hawke e Robert Sean Leonard. Dopo essersi fatto notare in film come Reality Bites e Happy, Texas, Zahn si è costruito una reputazione interpretando personaggi fannulloni, che gli ha permesso di godere di una carriera di grande successo. Il suo ruolo in Silo sembra riprendere sia il suo personaggio prototipico, sia un lato più oscuro.

Personaggio: Si sapeva molto poco della seconda stagione di Silo prima della sua uscita nel novembre 2024, ma l’unico nuovo personaggio rivelato era Solo, interpretato da Steve Zahn. L’intera premiere della seconda stagione ha visto Juliette trovare un secondo silo. Le persone in questo silo si sono ribellate e sono uscite con la forza, dove sono morte tutte. Dopo aver superato i corpi ed essere entrata nel silo ormai abbandonato, incontra l’unico sopravvissuto, Solo, che non la vuole assolutamente lì.

Cast secondario e personaggi di Silo

Rashida Jones nel ruolo di Allison: Rashida Jones appare nel cast di Silo nel ruolo di Allison, la moglie di Holston. Jones ha recitato in precedenza in serie TV come Louisa Fenn in Boston Public, Karen Filippelli in The Office, Ann Perkins in Parks and Recreation e nel ruolo della protagonista in Angie Tribeca. Ha anche recitato in film come The Social Network nel ruolo di Marylin Delpy, I Love You, Man nel ruolo di Zooey Rice e Celeste and Jesse Forever nel ruolo di Celeste Martin, che ha anche co-sceneggiato con Will McCormack.

Iain Glen nel ruolo del dottor Pete Nichols – Ian Glen ha precedentemente interpretato Ser Jorah Mormont in Game of Thrones, Sir Richard Carlisle in Downton Abbey e Bruce Wayne nella serie di supereroi della HBO Max Titans. Sul grande schermo, Glen ha interpretato Manfred Powell in Lara Croft: Tomb Raider e il dottor Alexander Isaacs nella serie di film Resident Evil.

Ferdinand Kingsley nel ruolo di George Wilkins – Kingsley è riconoscibile per i suoi ruoli cinematografici di Hamza Bey in Dracula Untold e Irving Thalberg in Mank, nonché per i ruoli televisivi di Mr. Francatelli in Victoria e Hob Gadling in The Sandman.

Shane McRae nel ruolo di Knox – Un personaggio meccanico in Silo. McRae è meglio conosciuto per aver interpretato il ruolo principale di Taylor Bowman in Sneaky Pete, così come i ruoli ricorrenti di Robert in The Following e Patrick in Nashville. Al cinema, McRae ha interpretato Raleigh Leefolt in The Help, Charlie Howland-Jones in Still Alice e Adrian Troussant in The Adjustment Bureau.

Matt Gomez Hidaka nel ruolo di Cooper – Matt Gomez Hidaka appare nel cast di Silo nel ruolo di Cooper. Hidaka ha anche interpretato Miguel Reyes nella serie poliziesca Chicago P.D. e Mario Hernandez nella commedia familiare Carlos Through the Tall Grass.

Lee Drage nel ruolo di Franky Brown – Franky Brown è interpretato da Lee Drage, che ha recitato in precedenza nel ruolo di Freddie nella serie TV Missing Something e in quello di Jake nel cortometraggio 833.

Henry Garrett nel ruolo di Douglas Trumbull – Henry Garrett interpreta Douglas Trumbull nel cast di Silo. Garrett ha anche interpretato Hart in Red Tails, George Catlin in Testament of Youth e i ruoli ricorrenti di Pete McCullough in The Son e del capitano Malcolm McNeil in Poldark.

Will Merrick nel ruolo di Danny – Merrick è noto soprattutto per la sua interpretazione di Alo Creevey nella terza generazione della serie televisiva britannica Skins. Ha anche interpretato Jay nella commedia romantica sui viaggi nel tempo About Time e Mark nel film horror di Netflix A Classic Horror Story.

Paul Herzberg nel ruolo di Kilroy – Paul Herzberg appare nel cast di Silo nel ruolo di Kilroy. Herzberg ha anche interpretato Jacob Tanios nell’episodio “Dumb Witness” di Agatha Christie’s Poirot, Villem Craven nella miniserie della BBC tratta da Smiley’s People e il soldato Reynolds nel sequel per la TV di Dirty Dozen, The Dirty Dozen: Next Mission.

Il Gladiatore II: recensione del film di Ridley Scott con Paul Mescal

Più instancabile che mai, Ridley Scott – esattamente un anno dopo aver portato al cinema il colossal Napoleon – torna sul grande schermo con Il Gladiatore II, sequel di una delle opere per cui è maggiormente ricordato. Se nel 2000 Il Gladiatore aveva risvegliato l’interesse per i film epici e consacrato la carriera di Russell Crowe con il ruolo di Massimo Decimo eridio, questo inaspettato seguito (scritto da David Scarpa, già autore di Napoleon) si fa ora promotore non solo di quella stessa epica ma anche di un forte messaggio politico che richiama alla decadenza – politica e morale – degli attuali “imperi”.

Ed è proprio in questo sguardo fortemente politico che si ritrova il meglio del film, che usa sapientemente il passato per parlare dell’oggi, attraverso la decadenza del più importante impero di tutti i tempi. L’epica di Il Gladiatore II si ritrova allora qui, non tanto negli scontri all’interno del Colosseo quanto negli intrighi di palazzo, nelle vicende politiche che inquinano l’anima di Roma e la condannano ad una fine apparentemente inevitabile. Scott trova dunque occasione qui di unire le sue due anime: la spettacolarità esagerata ed esagitata e l’esplorazione delle oscurità dell’animo umano.

La trama di Il Gladiatore II

Il Gladiatore II – Paul Mescal

Anni dopo aver assistito alla tragica morte del venerato eroe nonché padre Massimo Decimo Meridio per mano del suo perfido zio, Lucio (Paul Mescal) si trova costretto a combattere nel Colosseo dopo che la sua patria viene conquistata da parte delle centurie di Marco Acacio (Pedro Pascal) per ordine dei due tirannici imperatoriGeta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), che ora governano Roma. Con il cuore ardente di rabbia e il destino dell’Impero appeso a un filo, Lucio deve affrontare pericoli e nemici, riscoprendo nel suo passato la forza e l’onore necessari per riportare la gloria di Roma al suo popolo.

Bentornati nell’arena

Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal

Ci si è chiesti a lungo se fosse o meno necessario un sequel di Il Gladiatore II e con grandi probabilità c’è chi – comprensibilmente – se lo chiede anche ora che questo seguito è realtà. Partiamo subito con il dire che questo nuovo film non si discosta poi molto da quanto mostrato e compiuto dal primo. Anzi, ne segue attentamente le orme con un fare celebrativo. Non a caso, sono innumerevoli i riferimenti al titolo del 2000, che come un’ombra si aggira su questo sequel quasi a guidarne ogni passo.

Ciò significa che questo sequel propone di nuovo tutta l’epica già evocata dal primo, seppur con tutte le prodezze tecnologiche e di effetti speciali che un quarto di secolo in più ha portato a disposizione. Questo non necessariamente comporta che questo sequel sia più spettacolare, ma certamente riesce ad essere al di sopra della media degli odierni blockbuster di questo tipo. Merito della capacità di Scott – ad 87 anni – di immaginare scenari e situazioni dotati di un senso della grandiosità e della meraviglia da far invidia.

Poco – anzi nulla – importa quindi se la verosimiglianza storica non è di casa neanche stavolta, perché per quanto la rappresentazione di battaglie navali e i combattimenti con babbuini o rinoceronti possa essere forzata, possiede quel certo fascino che soddisfa la voglia di un intrattenimento, certamente folle, ma capace di far parlare di sé. Gli stessi scontri tra gladiatori o le battaglie di più ampia portata sono sempre poste in scena con una brutalità che, tra sangue, sudore e muscoli che si flettono, trasmette proprio quell’eccitazione e quella tensione che gli spettatori sugli spalti del Colosseo devono aver provato.

Il Gladiatore II tra Shakespeare e monito sul presente

Il Gladiatore II – Denzel Washington

Di certo, come si diceva in apertura, l’aspetto più interessante del film è la vicenda politica che porta avanti. Leader assoluto in ciò è il Macrino di Denzel Washington, perfetto Riccardo III shakespeariano che machiavellicamente trama per ribaltare completamente il proprio status. Un personaggio magnifico il suo, con cui Washington dimostra di essere un fuoriclasse. Per quanto il cast sia composto di ottimi attori, è lui a fagocitare tutte le attenzioni, rubando facilmente la scena ai suoi colleghi.

Con lui, Scarpa e Scott propongono un ritratto di quei subdoli uomini di potere che oggigiorno riescono, facendo leva sulla pancia del popolo, a raggiungere i propri loschi obiettivi, ponendo sempre più in crisi la democrazia. In questo il film diventa dunque un monito che si unisce all’intrattenimento offerto. Certo, il racconto di Lucio – l’effettivo protagonista – si muove su diverse soluzioni narrative piuttosto facili e poco convincenti ma, come valeva per Napoleon, anche con Il Gladiatore II si può chiudere un occhio quando nel complesso Scott si dimostra ancora una volta un tale maestro nello spettacolo cinematografico.

Outer Banks 4 – Parte 2: tutto quello che c’è da sapere sulla stagione 4, parte 2

Suonate il campanello d’allarme: Outer Banks è tornato per un’ultima visita nella quarta stagione. Dopo il viaggio sulle montagne russe della Parte 1, conclusosi con un enorme cliffhanger, la Parte 2 è pronta a partire con i Pogues sull’orlo della loro uscita più esplosiva. Uno degli spettacoli più visti su Netflix, la prima metà della Stagione 4 ha raggiunto la vetta delle classifiche dello streamer, guadagnando oltre 15 milioni di visualizzazioni e volando in cima alla lista. Con la seconda parte che dovrebbe fare lo stesso, è lecito pensare che l’attesa sia alta. Quindi, senza ulteriori indugi, ecco tutto quello che c’è da sapere su Outer Banks 4 – Parte 2.

Outer Banks 4 – Parte 2 è ufficialmente disponibile dal 7 novembre 2024. 

Dove si può vedere in streaming Outer Banks 4 – Parte 2

Come sempre, è possibile vedere in streaming Outer Banks 4 – Parte 2 su Netflix. Al momento, tutte le altre stagioni dello show di successo sono disponibili sullo streamer.

C’è un trailer per Outer Banks 4 – Parte 2

La posta in gioco è più alta che mai quando Outer Banks entra nella parte finale della sua quarta stagione, e potete vedere il trailer ufficiale qui sotto. Dopo che la prima parte si è conclusa con più domande che risposte, questo trailer promette già una risposta al desiderio del fandom. Aspettatevi una seconda parte esplosiva e ricca di azione, con la messa in discussione della leadership di John B., la crisi d’identità di JJ e la caccia alla vendetta di Cleo; come dice John B. nel trailer, “Tutti noi abbiamo creato una casa. Ora è tutto in gioco. La domanda è: cosa rischieremmo per proteggerla?”. Oltre al trailer, Netflix ha rilasciato anche i titoli di ogni episodio: l’episodio 6 si intitola “Il consiglio comunale”, l’episodio 7 “Madri e padri”, l’episodio 8 “Il giorno della decisione”, l’episodio 9 “La tempesta” e il finale “La corona blu”. Netflix ha anche rilasciato i primi 8 minuti della Outer Banks 4 – Parte 2, come perfetto assaggio del dramma che verrà.

Di cosa parla Outer Banks 4 – Parte 2?

La fine della quarta stagione di Outer Banks , parte 1, ha lasciato le mascelle a terra quando è stata rivelata la rivelazione bomba che JJ è nato come Kook. Da quando la prima parte, a ritmo lento, è entrata in azione nell’episodio finale, era chiaro che la seconda parte della stagione 4 sarebbe stata esplosiva. Nella recensione della Parte 1 per ColliderTherese Lacson ha subito elogiato la traiettoria che la Stagione 4 sta percorrendo, affermando che

“Anche se ci vuole un po’ di tempo per prendere slancio, quando la caccia inizia ad andare avanti, lo show torna a sparare a tutto spiano. Ci sono esperienze di pre-morte ,situazioni altamente improponibili, adulti che vengono sventati dalla Scooby Gang e altri misteri da svelare per i ragazzi. Sebbene abbia criticato i primi episodi per la mancanza di elementi che legassero la caccia ai Pogues, alla fine dell’episodio 5, “Albatross”, viene finalmente svelato un importante colpo di scena che bolle in pentola da un po’ di tempo e che coinvolge JJ. Se John B. è senza dubbio il cuore dei Pogues, JJ ne è l’impulsivo Id, e sarà interessante vedere come gestirà questa rivelazione che gli cambierà la vita. Inoltre, lo show introduce il tradimento dei personaggi e una morte scioccante che mi ha reso ansioso per la seconda parte della stagione. Proprio quando sembra che stia decollando, la prima parte si conclude. Con lo show che promette più drammi nei prossimi episodi, i Pogues e la quarta stagione di Outer Banks sono su una buona traiettoria. Ora vediamo se rimarrà così”.

Per coloro che sono alla ricerca di un riassunto di tutto ciò che ci si può aspettare dall’intera stagione, ecco un’occhiata alla sinossi della stagione 4 di Outer Banks:

“Dopo il flashforward di 18 mesi della scorsa stagione che mostrava la proposta di Wes Genrette ai Pogues di trovare il tesoro di Barbanera, la quarta stagione ci riporta indietro nel tempo fino a quel momento. Dopo aver trovato l’oro a El Dorado, i Pogues tornano a OBX e si impegnano ad avere una vita “normale”. Si sono costruiti un nuovo rifugio sicuro, ufficialmente soprannominato “Poguelandia 2.0”, dove vivono insieme e gestiscono un negozio di esche, attrezzature e tour charter di discreto successo. Ma dopo alcuni problemi finanziari, John B, Sarah, Kiara, JJ, Pope e Cleo accettano l’offerta di Wes e tornano nel gioco “G” per una nuova avventura. Ma prima che se ne accorgano, si ritrovano in una situazione di pericolo, con nuovi nemici alle calcagna che li spingono verso il tesoro. Nel frattempo, i loro problemi non fanno che aumentare e sono costretti a mettere in discussione il loro passato, presente e futuro: chi sono veramente, ne è valsa la pena e quanto sono disposti a rischiare?”.

Chi fa parte del cast di Outer Banks 4 – Parte 2?

Il cast della quarta stagione, parte 2, dovrebbe rimanere esattamente lo stesso, e includerà attori del calibro di Chase Stokes nel ruolo di John B, Madelyn Cline nel ruolo di Sarah Cameron, Madison Bailey nel ruolo di Kiara Carrera, Jonathan Daviss nel ruolo di Pope Heyward, Rudy Pankow nel ruolo di JJ Maybank, Austin North nel ruolo di Topper Thorton, Carlacia Grant nel ruolo di Cleo, Drew Starkey nel ruolo di Rafe CameronJ. Anthony Crane nel ruolo di Chandler Grotte . Anthony Crane nel ruolo di Chandler Groff, Brianna Brown nel ruolo di Hollis Robinson, Pollyanna McIntosh nel ruolo di Dalia, Mia Challis nel ruolo di Ruthie e Rigo Sanchez nel ruolo di Lightner.

Chi c’è dietro la quarta stagione di Outer Banks?

Ancora una volta, i creatori dello show Shannon Burke, Jonas Pate e Josh Pate saranno al timone. Ognuno degli episodi finali è stato scritto da loro e Jonas ha diretto il primo di essi. Il trio ha prodotto esecutivamente la stagione insieme ai produttori Sunny HodgeAaron Miller e Carole Peterman.

Outer Banks 4 – Parte 2 sarà l’ultima?

Rallegratevi! Netflix ha confermato ufficialmente che i Pogues torneranno per una quinta stagione, con il finale dell’imminente Parte 2 che sarà un lungometraggio, pronto a dare il via a un’accattivante quinta uscita. Tuttavia, hanno anche confermato che la quinta stagione sarà l’ultima, affermando in una dichiarazione ai fan:

“Ora, con un po’ di tristezza, ma anche di eccitazione, ci lasciamo alle spalle la quarta stagione e ci dedichiamo alla quinta, in cui speriamo di riportare a casa i nostri amati Pogues nel modo che abbiamo immaginato e pianificato anni fa. La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Speriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf break”.

Grotesquerie, la spiegazione del finale: come l’assassino prepara la seconda stagione

Sebbene il finale della serie Grotesquerie abbia offerto alcune risposte agli spettatori, la conclusione dello show ha lasciato ancora molti misteri irrisolti. A giudicare dall’episodio 9 di Grotesquerie, il finale della prima stagione di Grotesquerie non aveva alcuna possibilità di concludere la trama in modo soddisfacente. I raccapriccianti omicidi multipli alla fine dell’episodio hanno fatto sembrare che i sogni di Lois potessero essere premonizioni distorte. Il finale della prima stagione di Grotesquerie sembrava dare ragione a Lois, poiché i sogni inquietanti dell’eroina hanno iniziato a diventare realtà nel penultimo episodio. Questo sembrava rendere irrilevante l’enorme colpo di scena dell’episodio 7 di Grotesquerie, secondo cui l’intera serie era solo un sogno di Lois in coma.

Tuttavia, il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha né confermato né smentito questa ipotesi. Il medico di Lois non era colpevole degli omicidi di Grotesquerie, ma gli spettatori non hanno mai potuto conoscere la sua vera identità (al di fuori del sogno in coma), poiché è stato vittima dell’assassino. Questo finale piatto e privo di colpi di scena ha lasciato gli spettatori con più domande che risposte. Il creatore della serie, Ryan Murphy di American Horror Story, è noto per i finali che non riescono a dare seguito alle idee interessanti sviluppate in precedenza nella serie, e Grotesquerie ha indubbiamente ripetuto questa tendenza con un finale che ha sollevato molte nuove domande, ma non ha dato alcuna risposta.

Chi era l’assassino in Grotesquerie?

Il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha rivelato l’assassino

Dopo aver stuzzicato la curiosità degli spettatori per nove episodi, il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha mai spiegato chi fosse l’omonimo killer biblico. Nel sogno di Lois in coma, il colpevole si è rivelato essere padre Charlie e la sua complice era l’apparentemente innocente e eccentrica amica di Lois, suor Megan. Tuttavia, in realtà, padre Charlie era il medico di Lois e Megan era l’agente di polizia che aveva sostituito Lois come capo della polizia.

Nessuno dei due sembrava essere colpevole degli omicidi, dato che Megan stava indagando su di loro e il medico è diventato una delle ultime vittime di Grotesquerie nelle scene finali dell’episodio. Molte cose sono successe prima di questo colpo di scena sconcertante.

Perché Marshall ha cercato di togliersi la vita nel finale di Grotesquerie

Grotesquerie
Cortesia di © Disney+

Il marito di Lois è stato accusato di violenza sessuale da una studentessa

Marshall e Redd prepararono la cena per Lois, tentandola con un martini e l’offerta di vivere insieme come una strana coppia non omogenea. Lois rifiutò la proposta e Redd rivelò di sapere che Marshall la tradiva. Disse che aveva accettato il piano di Marshall solo per vedere Lois rifiutarlo.

Dopo che uno studente lo ha accusato di violenza sessuale, Marshall ha tentato il suicidio con un’overdose. Ha protestato la sua innocenza e ha affermato che la loro relazione era consensuale, ma ha rapidamente perso ogni speranza dopo essere stato arrestato e incriminato. L’overdose di Marshall non ha avuto successo e Redd ha ribadito che non voleva più avere nulla a che fare con Marshall quando si è svegliato.

Il Mexicali Men’s Club dal finale della serie Grotesquerie spiegato

Fast Eddie ha portato Marshall al Mexicali Men’s Club, che si è presto rivelato essere un’organizzazione politica clandestina. La difesa di Marshall della mascolinità tradizionale ha suscitato applausi, rivelando i valori reazionari del gruppo. Il gruppo era anche ampiamente contrario al fenomeno della cultura della cancellazione, ma sorprendentemente favorevole ad approcci progressisti nei confronti dei pronomi.

Apparentemente, il gruppo rappresentava un bizzarro mélange di ideologie che abbracciavano i valori tradizionali e l’individualismo gerarchico, sostenendo allo stesso tempo alcune cause liberali. Tutti i personaggi maschili principali della serie, dal medico di Lois allo specialista dei sogni di Santino Fontana, si sono rivelati membri di questo club oscuro.

Perché Lois ha tentato di togliersi la vita nel finale di Grotesquerie

Nel frattempo, Lois si chiedeva se si fosse mai svegliata dal coma. Questo la portò anche a tentare di togliersi la vita, con conseguente appuntamento con lo specialista di Fontana. Lo specialista di Lois le spiegò che soffriva della sindrome di Cotard, una condizione in cui i pazienti credono di essere morti.

Lois ha ammesso allo specialista di Fontana di aver accusato il medico che le ha salvato la vita di aver organizzato orge nella sua stanza d’ospedale mentre era in coma. Inorridito, il medico di Grotesquerie ha detto di essere d’accordo con Marshall sul fatto che Lois non avrebbe dovuto sopravvivere al coma quando lei ha insinuato che lui avesse messo incinta un’altra paziente.

La morte di Justin era reale?

La goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha reso l’eroina di Grotesquerie, Lois, incapace di distinguere la realtà, è stata la morte di Justin. Lois ha sparato e ucciso Justin, l’amante violento di Megan, alla fine dell’episodio 9, e il suo corpo sembrava essere scomparso. Lois ha visto Megan incontrare Glorious McCall e ha supposto che fosse stato il boss del crimine a sbarazzarsi del corpo. Megan non solo ha respinto questa teoria, ma ha anche affermato di non vedere Justin da settimane. Infuriata e confusa, Lois ha accusato lo specialista di Fontana di aver commesso diversi omicidi dall’episodio 9, mentre lui l’ha accusata di aver immaginato gli omicidi.

Lo specialista ha detto che Lois ha inventato gli omicidi per giustificare la sua visione di sé stessa come una figura santa che avrebbe salvato l’umanità dalla sua peggiore depravazione. Tuttavia, Megan ha fatto dimettere Lois da un istituto psichiatrico poco dopo che lei si era ricoverata. Megan, in lacrime, ha ammesso di aver insabbiato la morte di Justin e di aver assunto Glorious McCall per aiutarla a disfarsi del corpo.

Ha manipolato Lois al riguardo, ma ha ammesso la verità alla sua ex collega quando ha avuto bisogno del suo aiuto. Megan ha poi condotto Lois all’ultima macabra creazione di Grotesquerie nei minuti finali del finale della prima stagione.

Tutte le morti nel finale della prima stagione di Grotesquerie spiegate

Grotesquerie ha ucciso l’accusatrice di Marshall e il medico di Lois nel finale della prima stagione di Grotesquerie, disponendoli in un tableau che ricordava l’Ultima Cena. Una ricostruzione dell’Ultima Cena con cadaveri umani al centro e i discepoli è apparsa nell’episodio 2 come parte dell’elaborato sogno di Lois in coma, il che significa che questa scena sembrava dimostrare che i suoi sogni erano davvero solo premonizioni. Tuttavia, Lois aveva chiaramente sbagliato l’identità del cattivo. Il medico che lei era convinta fosse Grotesquerie doveva essere innocente, a giudicare dalla sua morte brutale.

Cosa significa davvero il finale della prima stagione di Grotesquerie

Fino all’episodio 6 di Grotesquerie, la serie sembrava un giallo abbastanza lineare, anche se campy e melodrammatico. Tuttavia, il finale della stagione 1 ha dimostrato che si trattava più di una storia satirica e sovversiva. Il vero assassino non è mai stato rivelato, il rapporto tra i sogni di Lois e la realtà non è mai stato svelato e i collegamenti della setta con gli omicidi (se ce ne sono) non sono mai stati spiegati. Tutti questi filoni narrativi potrebbero essere risolti in un secondo momento, ma la prima stagione non ha offerto alcuna soluzione definitiva.

Come il finale della prima stagione di Grotesquerie prepara la seconda

Il finale della prima stagione di Grotesquerieprepara la seconda lasciando misteriosa l’identità dell’assassino, il che significa che gli spettatori dovranno sintonizzarsi sulla prossima stagione per scoprire la verità sull’identità di Grotesquerie. L’assassino potrebbe essere lo specialista di Lois, chiunque altro abbia accesso ai registri dei suoi sogni in coma, o forse Lois stessa. Potrebbe essere Megan, che ha scoperto entrambe le scene del crimine, ma non può più essere il medico tanto denigrato di Lois. Il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha avvicinato la sua eroina alla scoperta della verità, ma ha lasciato molti misteri aperti da esplorare nella seconda stagione.

Come è stato accolto il finale di Grotesquerie

Mentre molti critici hanno elogiato i primi episodi di Grotesquerie, gli spettatori della serie indicano il settimo episodio come il punto in cui la serie ha iniziato a peggiorare. La decisione di rendere gli eventi della serie un sogno da coma non è stata ben accolta da molti spettatori.

“Era tutto un sogno” è un tropo molto usato in televisione, e non sempre ha successo. I fan sono diventati sempre più cinici nei confronti di questa particolare scelta sceneggiata perché li fa sentire come se avessero investito senza motivo nei personaggi e nella trama. Un utente di Reddit ha sottolineato che il primo episodio era molto promettente per una serie horror che si sarebbe mantenuta al limite del disagio, ma gli episodi finali della stagione hanno abbandonato questa linea:

Il primo episodio in particolare era girato molto bene e aveva un tema “disgustoso” mentre preparava una trama fantastica… se avessero mantenuto quel tema per tutta la serie e non avessero rovinato tutto nell’episodio 7, rivelando che era tutto frutto dell’immaginazione dei personaggi principali, avrebbe potuto avere successo e bastare una sola stagione. Ma la seconda metà era come un dramma, che non spingeva oltre i limiti del disagio, ma comunque non riusciva a distogliere lo sguardo dallo schermo.

I fan volevano davvero vedere la serie fare qualcosa di nuovo nel campo dell’horror, ma alla fine non è stato così. Molti fan hanno attribuito il fatto di non aver apprezzato il finale della stagione semplicemente al fatto di aver guardato una serie diretta da Ryan Murphy. Molti utenti di Reddit hanno concordato che “Solo Ryan Murphy può rovinare qualcosa che avrebbe potuto essere oro colato”.

Questo sentimento lascia dubbi sul fatto che i fan seguiranno la seconda stagione di Grotesquerie e sulla risoluzione del finale sospeso.

Outer Banks – Stagione 5: cast, trama e tutto quello che sappiamo sul finale di stagione

Outer Banks, serie drammatica adolescenziale di Netflix, ha avuto un successo costante nel corso delle sue quattro stagioni ed è stata rinnovata per Outer Banks 5,  la quinta stagione. Creata per la TV da Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke nel 2020, la serie è incentrata su un gruppo di amici (che si fanno chiamare Pogues), che cercano un tesoro perduto e si scontrano con il gruppo di adolescenti rivale, The Kooks, nella regione di Outer Banks, in North Carolina. Mescolando tutti gli elementi della classica storia d’amore adolescenziale con l’avventura di una spada, Outer Banks offre un’esperienza di visione unica che ha contribuito a renderla uno degli originali più popolari di Netflix.

La quarta stagione si apre con un bagaglio emotivo non indifferente: i Pogues devono affrontare non solo la loro complicata vita familiare, ma anche la nuova avventura che si sta delineando davanti a loro. Le relazioni in Outer Banks diventano sempre più complicate a ogni stagione, così come l’intrigo. Forse l’aspetto più sottovalutato della narrazione dello show, Outer Banks è una storia di crescita che diventa sempre più ricca man mano che il pubblico impara insieme ai Pogues. Tutto ciò rende la quinta stagione una necessità, e Netflix ha prontamente rinnovato il contratto per la quinta e ultima stagione.

Netflix ordina Outer Banks 5, la quinta e ultima stagione

Prima ancora che arrivasse la seconda metà della quarta stagione, le ultime notizie hanno confermato che Netflix ha rinnovato Outer Banks per la quinta stagione. L’eccitante notizia è arrivata anche con una certa tristezza, poiché è stato anche rivelato che l’imminente quinta stagione sarà l’ultima dello show. A riprova dell’intelligente decisione di Netflix di rinnovare, è stato rivelato che la prima parte della quarta stagione ha debuttato al primo posto nella classifica mondiale dello streaming in lingua inglese, un’impresa non facile nell’affollato campo dello streaming.

Sebbene non sia stata fornita alcuna ragione esplicita per la cancellazione, i creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke hanno rivelato che il piano è sempre stato quello di raccontare una storia di cinque stagioni. Il trio ha rilasciato una dichiarazione congiunta insieme al rinnovo della quinta stagione, in cui si legge: “La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Speriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf”. Con una trama già pianificata, è chiaro che Outer Banks avrà una conclusione adeguata.

Leggete la dichiarazione congiunta dei Pates e di Shannon Burke qui sotto:

Sette anni fa, nell’estate del 2017, ci siamo imbattuti in una foto di adolescenti su una spiaggia al crepuscolo durante un’interruzione di corrente. Da quella foto è scaturita l’idea di una storia di quattro migliori amici che vogliono solo divertirsi sempre. Da questo inizio, abbiamo immaginato un mistero che avrebbe portato a un viaggio di cinque stagioni all’insegna dell’avventura, della caccia al tesoro e dell’amicizia.

All’epoca, sette anni fa, sembrava impossibile che saremmo riusciti a raccontare l’intera storia di cinque stagioni, ma eccoci qui, alla fine della quarta stagione, ancora in fase di lavorazione.

La quarta stagione è stata la più lunga e la più difficile, ma la più gratificante, da produrre. La stagione si conclude con un episodio di lunghezza notevole, che riteniamo essere il nostro episodio migliore e più potente. Ci auguriamo che la pensiate allo stesso modo.

Ora, con un po’ di tristezza, ma anche di eccitazione, ci lasciamo alle spalle la quarta stagione e ci dedichiamo alla quinta, in cui speriamo di riportare a casa i nostri amati Pogues nel modo che avevamo immaginato e pianificato anni fa. La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Ci auguriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf. P4L,Josh, Jonas e Shannon

La quinta stagione di Outer Banks è confermata

Secondo i co-creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, l’arco di cinque stagioni era sempre stato previsto.

Non ci è voluto molto perché Netflix decidesse il destino di Poguelandia, e lo streamer ha rinnovato preventivamente Outer Banks per una quinta stagione pochi giorni prima della première della quarta parte della seconda stagione. La decisione è stata chiaramente intelligente, e la quarta stagione ha trascorso un periodo significativo in cima alle classifiche di streaming in lingua inglese. Sebbene l’annuncio del rinnovo sia una notizia entusiasmante, è anche un po’ agrodolce perché la quinta stagione sarà l’ultima uscita dei Pogues. Secondo i co-creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, un arco di cinque stagioni era sempre stato previsto.

I dettagli sul cast di Outer Banks5

Ritorneranno i Pogues e i Kooks

Sebbene sia sempre possibile un colpo di scena scioccante nel corso delle due metà della quarta stagione, non è difficile fare ipotesi sul cast della quinta stagione di Outer Banks . Il nucleo centrale di adolescenti ha sostenuto lo show fin dall’inizio, e non c’è motivo di pensare che tutta Poguelandia tornerà per le stagioni successive. Allo stesso modo, anche gli antagonisti Kooks dovrebbero essere presenti, dato che la netta divisione di classe tra i due è uno dei temi più forti della serie.

Detto questo, il cast sarà probabilmente guidato da attori del calibro di Chase Stokes nei panni di John B. insieme a regular come Madison Bailey nei panni di Kiara, Johnathan Daviss nei panni di Pope, Rudy Pankow nei panni di JJ, Carlacia Grant nei panni di Cleo, Austin North nei panni di Topper e Drew Starkey nei panni di Rafe. La quarta stagione ha anche aggiunto una serie di nuovi personaggi, ma al momento non è chiaro se torneranno nelle stagioni successive.

Dettagli sulla trama della stagione 5 di Outer Banks

Poiché la quarta stagione di Outer Banks non è ancora finita, non è possibile prevedere con esattezza cosa accadrà nei prossimi episodi. Tuttavia, alcuni eventi importanti hanno già cambiato la fisionomia delle vite dei personaggi e questo getta le basi per la quinta stagione.JJ che scopre il segreto della sua vera discendenza non è solo un bel colpo di scena, ma introduce anche un elemento di pericolo perché la sua identità è stata probabilmente nascosta per un motivo. Cambiamenti più grandi potrebbero verificarsi nella quarta parte della seconda stagione, ma gli spettatori dovranno aspettare e vedere cosa succederà nella quinta stagione di Outer Banks.

Outer Banks 4, la spiegazione della storia vera di Edward Teach e la leggenda del tesoro di Barbanera

Outer Banks 4 vede i Pogues – John B, Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo – alla ricerca del tesoro di Edward Teach, alias il famigerato pirata Barbanera. La serie teen drama d’azione e avventura di Netflix, creata da Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, segue un gruppo di Pogue nelle Outer Banks, ovvero appartenenti alla classe operaia (i genitori di Kiara sono Kooks (residenti benestanti) ma lei si identifica come Pogue, e Cleo è una Pogue onoraria dopo la terza stagione di Outer Banks). I personaggi si ritrovano a fare delle cacce al tesoro e la loro avventura nella quarta stagione coinvolge Barbanera.

Il finale della terza stagione di Outer Banks fa un salto in avanti di 18 mesi dopo che i Pogue hanno trovato El Dorado, e un uomo di nome Wes Genrette si avvicina a John B., Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo durante la cerimonia in onore della loro scoperta. Ha una proposta per loro: collaborare con lui per trovare il tesoro di Barbanera. Genrette ha il diario di bordo del capitano di Barbanera del 1718 e, come si è visto nella quarta stagione, i Pogue accettano di aiutarlo. Di conseguenza, la quarta stagione è incentrata sui personaggi delle Outer Banks alla ricerca del tesoro del pirata. Più precisamente, sono alla ricerca dell’amuleto mancante della moglie di Barbanera, Elizabeth.

La vera storia di Edward Teach nei panni del pirata Barbanera spiegata

Secondo il Royal Museums Greenwich, Edward Teach, meglio conosciuto come Barbanera, è nato nel 1680, presumibilmente in Gran Bretagna. L’eredità di Barbanera è quella di uno dei pirati più temibili della storia, che lo rende una delle ispirazioni più popolari per i pirati immaginari in libri, film e programmi televisivi. Tuttavia, Barbanera è stato anche ritratto da attori sullo schermo: Taika Waititi ha interpretato il pirata in Our Flag Means Death e Ray Stevenson in Black Sails sono alcune delle rappresentazioni più recenti.

Sfortunatamente, non si sa molto della vita di Barbanera prima che diventasse un pirata, il che permette alla serie TV di Netflix di avere una certa libertà creativa durante la creazione della storia della quarta stagione di Outer Banks. Durante la Guerra di Successione Spagnola, all’inizio del 1700, Teach era un corsaro, ovvero saccheggiava le navi spagnole per conto degli inglesi nelle Indie Occidentali. Dopo la fine della guerra, Teach non era pronto ad abbandonare la vita da pirata, così lavorò per il capitano Benjamin Hornigold fino a raggiungere il grado di capitano.

Intorno al 1717, Teach catturò una nave e la chiamò Queen Anne’s Revenge. Con il suo nuovo vascello, il capitano salpò per i Caraibi, dove continuò a saccheggiare, a terrorizzare i cittadini e ad abbracciare la vita del pirata con il suo equipaggio di 300 uomini. Teach divenne una figura rinomata nella comunità dei pirati e si guadagnò presto il soprannome di Barbanera per la sua inconfondibile barba nera e il suo aspetto minaccioso. Si dice anche che accendesse delle micce nei capelli per rendere il suo aspetto ancora più spaventoso. Tuttavia, le avventure di Barbanera sui mari non erano destinate a durare per sempre.

Come morì Barbanera e cosa si dice ci sia nel suo tesoro nascosto

Barbanera spostò le sue operazioni sulle coste della Carolina del Nord e del Sud, dove catturò l’attenzione del governatore della Virginia, Alexander Spotswood. Il governatore si impegnò a catturare il pirata e, con la sua squadra di cacciatori, Spotswood riuscì a trovare Barbanera e i suoi uomini vicino all’isola di Ocracoke, nella Carolina del Nord. Barbanera si oppose, ma quando lui e la sua ciurma salirono a bordo della nave del tenente Robert Maynard, caddero in un’imboscata delle truppe di Maynard. Il famigerato pirata fu ucciso durante lo scontro il 22 novembre 1718 e Maynard avrebbe appeso la testa di Barbanera all’albero della sua nave.

Dopo la morte di Barbanera, iniziarono a diffondersi voci sul suo presunto tesoro nascosto. I resoconti sostenevano che il tesoro comprendeva un’ingente fortuna sotto forma di oro. Naturalmente molti cercarono di trovarlo, ma a tutt’oggi nessuno ha scoperto il tesoro di Barbanera. Ma se c’è qualcuno che può trovarlo (almeno nel mondo fittizio della TV), sono John B., Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo nella quarta stagione di Outer Banks.

Barbanera potrebbe aver seppellito il suo tesoro sull’isola di Ocracoke, nelle Outer Banks

Molti credono che Barbanera abbia sepolto il suo tesoro sull’isola di Ocracoke, nella Carolina del Nord, vicino agli Outer Banks. Secondo lo Smithsonian Magazine, nel giugno del 1718 Barbanera fece scontrare la Queen Anne’s Revenge con un banco di sabbia al largo della costa di Beaufort, nella Carolina del Nord, costringendoli ad abbandonarla mentre affondava in fondo al mare. Il pirata e il suo equipaggio si ritirarono a Ocracoke Island a bordo dell’Adventure, dove il tenente Robert Maynard e le sue truppe trovarono e uccisero Barbanera. Di conseguenza, alcuni ritengono che Barbanera abbia seppellito il suo tesoro a Ocracoke durante il suo soggiorno. Tuttavia, nessuno ha mai dimostrato la veridicità di questa teoria.

Quello che si ritiene essere il relitto della Queen Anne’s Revenge è stato scoperto vicino alla costa di Atlantic Beach, nella Carolina del Nord, nel novembre 1996. Naturalmente, negli anni successivi il relitto è stato parzialmente scavato e perlustrato, ma non è stato trovato alcun tesoro a bordo (anche se l’uscita della stagione 4, parte 1, di Outer Banks suggerisce il contrario). Sono stati rinvenuti manufatti, tra cui un cannone da segnalazione, vetri di finestre, una spada e cannoni, molti dei quali hanno portato gli archeologi a credere che il relitto sia effettivamente quello della Queen Anne’s Revenge (anche se nulla può essere completamente confermato).

La storia di Edward Teach nelle Outer Banks spiegata

Tenendo conto della storia di Barbanera e del tempo trascorso vicino alle Outer Banks dopo l’affondamento della Queen Anne’s Revenge, non sorprende che gli sceneggiatori di Outer Banks stiano preparando la quarta stagione intorno al famigerato pirata e al suo presunto tesoro sepolto. Ogni stagione della serie teen drama di Netflix si è concentrata su misteri diversi. È logico che i Pogues vadano a caccia di tesori nella loro città natale in Outer Banks 4. La ricerca del tesoro di Barbanera permette inoltre agli sceneggiatori di stabilire ulteriori collegamenti tra i personaggi e le figure storiche.

Barbanera ha trascorso diversi mesi al largo della costa della Carolina del Nord, il che significa che le possibilità relative alle sue imprese (e a quelle dei suoi uomini) durante quel periodo sono infinite per la storia di Outer Banks. Anche il coinvolgimento di Barbanera nel blocco di Charles Town (alias Charleston, South Carolina) viene menzionato e utilizzato per approfondire il mistero. Nel complesso, la prima parte di Outer Banks 4 di Netflix sfrutta gli spostamenti dei pirati nella Carolina del Nord e del Sud per sviluppare la storia della caccia al tesoro. Tuttavia, la rappresentazione della storia di Barbanera è basata più sulla finzione che sulla realtà.

Quello che Outer Banks 4 sbaglia sulla vera storia di Barbanera

Forse, quando si parla della storia di Barbanera, non si dovrebbe fare riferimento a Outer Banks 4. Purtroppo, gli sceneggiatori hanno inventato gran parte della storia del pirata per portare avanti la narrazione, compreso il suo stato civile. Secondo quanto riportato, Barbanera non era sposato con una donna di nome Elizabeth al momento della sua morte e non fu giustiziato insieme a lui. La sua ultima moglie sarebbe stata Mary Ormond, ma non è chiaro che fine abbia fatto. Di conseguenza, l‘amuleto di Elizabeth che Wes Genrette chiede ai Pogues di recuperare nella stagione 4, episodio 2, di Outer Banks è fittizio.

Anche la Corona Blu che Lightner e Dalia stanno cercando è falsa. Dal momento che il tesoro di Barbanera è per lo più oggetto di dicerie, gli sceneggiatori del teen drama d’azione e avventura di Netflix hanno dovuto inventarsi gli oggetti di grande valore che il pirata nascondeva nella Carolina del Nord e nei dintorni. Quindi, l’amuleto della moglie di Barbanera e la Corona Blu in Outer Banks 4 non sono reali. Inoltre, anche la storia della morte di Barbanera a Outer Banks è falsa.

Chi ha veramente ucciso Barbanera e dove è naufragata la sua nave vicino alle Outer Banks

Wes Genrette spiega ai Pogues in Outer Banks 4 di essere un discendente diretto di Francis Genrette, l’ufficiale britannico che catturò e uccise Barbanera. Tuttavia, nella vita reale, questo non è vero. Francis è un personaggio fittizio creato per lo show. Tuttavia, Francis è apparentemente basato sul reale esecutore di Barbanera, il tenente della Royal Navy Robert Maynard. Wes rivela anche che, dopo aver decapitato Barbanera (il che è in qualche modo vero, perché Maynard tagliò la testa del pirata), Francis uccise anche la moglie di Barbanera, Elizabeth. Come già detto, Elizabeth non è una persona reale, quindi anche questa parte della storia è falsa.

Per quanto riguarda il luogo in cui Barbanera fece naufragare l’Adventure, non è chiaro cosa sia successo alla nave fino ad oggi. La Guardia Costiera ha localizzato e scavato la Queen Anne’s Revenge vicino ad Atlantic Beach, nella Carolina del Nord, a circa 94 miglia dalle Outer Banks. Tuttavia, la posizione dell’Adventure, la nave affondata che JJ e Kiara cercano per trovare l’amuleto di Elizabeth nella quarta stagione di Outer Banks, è apparentemente sconosciuta.

Barbanera non è l’unica storia vera usata da Outer Banks

All’inizio della serie, Outer Banks non era necessariamente basato su una storia vera. Tuttavia, per quanto riguarda l’atmosfera, lo slang e il rapporto tra chi ha e chi non ha, si è basato sull’esperienza dei creatori Josh e Jonas Pate, cresciuti a OBX. “Èsicuramente uno show di evasione”, ha dichiarato Cline (via WWD). “Rappresenta quello che tutti vorrebbero fare in questo momento, ovvero stare sull’acqua, su una barca, senza dover stare in casa. Vivere in stile Pogue, insomma”.

Tuttavia, ci sono anche delle differenze. Non c’è nessuna faida tra Kooks e Pogues nel vero OTX, poiché è stato creato appositamente per la serie in streaming. Tuttavia, sebbene questi gruppi non esistano in queste forme, sull’isola esiste un forte senso di separazione di classe. Detto questo, non ci sono lotte tra le classi sociali.

Denmark Terry non è una persona reale, ma è basato su Denmark Vesey.

Il personaggio di Denmark Tanny di Outer Banks è invece più in linea con l’utilizzo di Barbanera nella storia. La serie si è concentrata molto sul suo omonimo e sulla sua eredità riguardo ai tesori nascosti. Denmark Terry non è una persona reale, ma è basato su Denmark Vesey. Vinse una lotteria nel 1799, acquistò la libertà e avviò un’attività di successo. Tentò di guidare una rivoluzione contro i proprietari di schiavi, ma fu catturato e giustiziato.

Un’altra ispirazione reale per Outer Banks è il Mercante Reale. Nella prima stagione, i Pogues cercano il Royal Merchant, che si credeva fosse andato perduto al largo degli Outer Banks nel 1829, con Denmark Tanny come unico superstite. Una vera Royal Merchant è stata persa in mare mentre salpava dalla Spagna nel 1641. Alcuni ritengono che il Royal Merchant fosse pieno di oro e tesori e che nessuno abbia mai ritrovato la nave. Il vero capitano di quella nave era John Limbrey, e Carla Limbrey di Outer Banks è la sua discendente nello show.

Outer Banks 4 – Parte 2, la spiegazione del finale: quel personaggio importante è davvero morto?

Outer Banks 4 – Parte 2 conclude la penultima puntata dello show, portando i Pogues in Marocco alla ricerca della Corona Blu, incontrando diversi nemici e facendo i conti con perdite scioccanti. Il finale della stagione 4, parte 1 di Outer Banks ha lanciato la notizia bomba della vera identità di JJ, rivelando che è il figlio di Chandler Groff e Larissa Genrette. Questa rivelazione ha portato a molti momenti importanti nella quarta stagione di Outer Banks 4 – parte 2, con JJ e Groff che hanno scoperto la loro tumultuosa relazione mentre il resto del cast di Outer Banks cerca di salvare la loro casa dai Kooks.

Mentre JJ si deteriora in un comportamento antisociale, la sua relazione con Groff porta Outer Banks alla sua ultima stagione, mentre Pope fa i conti con il suo futuro prima di impegnarsi nella vita dei Pogue. Mentre John B. e Sarah ricevono una grande notizia, i Pogue si riuniscono in una missione in Marocco per recuperare la Corona Blu, un artefatto che potrebbe salvare la loro casa e scagionare i loro presunti crimini nel caso in cui il perfido Groff venisse catturato. Quest’avventura comprende diversi momenti importanti, che definiscono la storia della quinta stagione di Outer Banks attraverso un tesoro perduto, mercenari letali e la morte di un personaggio importante che porta alla promessa di vendetta.

JJ è davvero morto in Outer Banks 4 – Parte 2?

Nella scena finale della quarta stagione di Outer Banks 4 – Parte 2 Chandler Groff ritorna dopo essere stato intrappolato in un pozzo da Rafe Cameron. Groff prende in ostaggio Kiara, puntandole un coltello al collo. Nel tentativo di salvare la sua ragazza, JJ convince Groff a liberarla. Tuttavia, Groff accoltella JJ allo stomaco per vendicarsi del fatto che quest’ultimo e i suoi amici lo hanno lasciato nel pozzo. Alla fine di Outer Banks 4 – Parte 2, JJ muore e i Pogues organizzano un funerale in onore del loro amico.

Sebbene Outer Banks abbia avuto la tendenza a riportare in vita personaggi precedentemente creduti morti, sembra che questa sia la fine per JJ. Diversi momenti del finale della stagione 4, parte 2, di Outer Banks fanno pensare a questo, dalla triste rappresentazione dei Pogues che piangono JJ al funerale che è stato organizzato per lui. Per un po’ di tempo sono circolate voci che l’attore Rudy Pankow si stesse preparando a lasciare la serie, e la morte di JJ significa sicuramente che non seguirà le orme di Ward Cameron e Big John Routledge tornando dalla morte nella quinta stagione di Outer Banks.

Caccia al tesoro della stagione 4 di Outer Banks: Chi riceverà la corona blu e l’assetto della stagione 5: ecco come si spiega

L’obiettivo principale della quarta stagione di Outer Banks è stata la caccia alla Corona Blu, un manufatto presumibilmente magico legato alla storia del pirata Barbanera e dei suoi numerosi amici e nemici. Outer Banks 4 – Parte 2 porta l’equipaggio lontano dall’OBX, in Nord Africa. Lì, i Pogues sperano di trovare la Corona Blu, di venderla al giusto acquirente e di utilizzare il denaro per salvare la loro nuova casa, soprannominata Poguelandia 2.0. Per farlo, però, dovranno fare i conti con il gruppo di mercenari chiamato Lupine Corsairs e con Chandler Groff.

Dopo una serie di ostacoli, John B. e Sarah scoprono che la Corona Blu deve trovarsi all’interno di una statua situata in cima a una collina attorno alla quale è costruita la fittizia città marocchina di Agapenta. Prendendo l’iniziativa, JJ si arrampica fino alla cima della statua, recuperando la Corona Blu e preparando apparentemente i Pogues a una vita di lusso e pace. Purtroppo, la ricomparsa di Groff porta JJ alla difficile decisione di salvare la vita di Kiara. Per farlo, JJ consegna a Groff la Corona Blu, poco prima che quest’ultimo accoltelli il primo.

Groff dice a Rafe che il suo acquirente della Corona Blu si trova a Lisbona, in Portogallo.

Nel finale di Outer Banks 4 – Parte 2 Groff ha la Corona Blu e JJ è morto. Ciò dà il via alla storia della quinta stagione diOuter Banks: i Pogues seguiranno Groff a Lisbona, sia per recuperare – e successivamente vendere – la Corona Blu, sia per ottenere giustizia per la morte di JJ. Con la quinta stagione di Outer Banks destinata a essere l’ultima dello show, il confronto con Groff e il destino della Corona Blu saranno senza dubbio l’epilogo della serie di successo di Netflix.

Il cambiamento del personaggio di Rafe e le sue conseguenze per la quinta stagione di Outer Banks

In Outer Banks 4 – Parte 2 i Pogues trovano aiuto da una fonte improbabile: Rafe. La storia di Rafe fino a questo momento lo ha visto opporsi regolarmente ai Pogue, maOuter Banks 4 – Parte 2, vede i loro interessi allinearsi. L’accordo che Rafe ha stretto con Hollis Robinson nella quarta stagione di Outer Banks, parte 1, fa parte del piano di Groff per assicurarsi Goat Island. Rafe lo scopre presto e giura di rintracciare Groff per recuperare il suo denaro. Questo avviene mentre i Pogues vengono mostrati in fuga dai poliziotti di OBX.

Rafe e i Pogues collaborano per convincere lo sceriffo Shoupe a lasciarli andare in Marocco a condizione che riportino Groff, scagionando i Pogues, salvando il lavoro di Shoupe e permettendo a Rafe di riavere i suoi soldi. Per questo motivo, Rafe si unisce con riluttanza ai Pogues, riconciliandosi infine con Sarah. Questo trasforma Rafe in un antieroe nel finale della quarta stagione di Outer Banks, parte 2, quando aiuta i Pogue a combattere i Corsari di Lupine nella ricerca della Corona Blu.

Dato che Groff fugge con la Corona Blu nella quarta stagione di Outer Banks, sembra che il cambiamento di Rafe continuerà nella quinta stagione. È Rafe il primo a proporre l’idea che i Pogues diano la caccia a Groff per vendicarsi. Sebbene ciò sia probabilmente radicato nel desiderio di Rafe di riavere i suoi soldi da Groff, egli è stato certamente utile a John B. e alla sua banda nel finale della stagione 4, parte 2, diOuter Banks, preparandolo a un altro ruolo eroico nella stagione finale dello show.

Il grande colpo di scena di John B. e Sarah in Outer Banks 4 – Parte 2

Una delle più grandi rivelazioni di Outer Banks 4 – Parte 2 è che Sarah è incinta. Questo porta Sarah a essere protetta un po’ di più dai Pogues durante il loro viaggio in Marocco, il che significa un grande cambiamento per la quinta stagione. La quinta stagione di Outer Banks chiarirà che la sicurezza di Sarah è della massima importanza ora che è incinta, e darà anche a John B. un motivo in più per riprendersi la Blue Crown da Groff nel tentativo di dare alla sua famiglia in crescita la casa che merita.

Cosa è successo a Dalia, Lightner e ai Lupine Corsair in Outer Banks 4 – Parte 2?

Gli antagonisti secondari di Outer Banks 4 – Parte 2 erano i Corsari di Lupine, i mercenari incaricati di trovare la Corona Blu. Nel finale della quarta stagione di Outer Banks, parte 2, il loro destino non è ancora chiaro. Lightner, il principale soldato del gruppo, sembra essere stato ucciso da Pope e Cleo per vendicare la morte di Terrence. Per quanto riguarda Dalia e gli altri uomini, invece, non sono stati visti dopo la morte di JJ, il che probabilmente significa che torneranno nella quinta stagione di Outer Banks, quando la caccia alla Corona Blu si intensificherà.

Il vero significato del finale di Outer Banks 4 – Parte 2

Il monologo finale di Outer Banks 4 – Parte 2 riassume il vero significato del suo finale. Mentre JJ muore, si sente John B. che gli fa l’elogio funebre, affermando che il suo amico ha racchiuso così tanto in soli 20 anni di vita. John B. afferma che JJ è il miglior amico che i Pogues potessero avere, e da questo si può dedurre il vero significato del finale di Outer Banks 4 – Parte 2. In generale, lo show parla di amicizia ma, soprattutto, di vivere la vita al massimo, come John B. ricorda JJ.

Inoltre, un altro elemento che il finale di Outer Banks 4 – Parte 2 esplora riguarda il divario di classe che è stato prevalente in tutto lo show. I Pogues vengono mostrati letteralmente costretti a morire per mantenere una cosa semplice come la loro casa, mentre i Kooks dell’OBX mostrano scarsa considerazione per chiunque sia considerato al di sotto di loro. La loro ricchezza e il potere che ne deriva garantiscono loro qualsiasi cosa, mentre i Pogues sono costretti a mettersi in pericolo per vivere liberamente. Questo aspetto sarà ulteriormente approfondito nella quinta stagione di Outer Banks, quando inizierà la ricerca finale della Corona Blu.

The Day Of The Jackal dall’8 novembre su SKY e NOW

0
The Day Of The Jackal dall’8 novembre su SKY e NOW

Un uomo dai mille volti, un assassino insospettabile e altamente qualificato infallibile nel suo lavoro: è lo Sciacallo, spietato cacciatore che diventa preda quando, portato a termine l’ennesimo incarico di alto profilo, si ritrova nel mirino dei servizi segreti inglesi. Il racconto della sua leggendaria fuga e della caccia all’uomo in giro per l’Europa che ne seguirà è al centro della nuova serie Sky Original The Day Of The Jackal, dall’8 novembre in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.

Rivisitazione contemporanea in 10 episodi dell’influente romanzo di Frederick Forsyth “Il giorno dello sciacallo” e del successivo pluripremiato film del 1973 della Universal Pictures, la serie vede protagonisti il vincitore del premio Oscar®, del Tony e del BAFTA Award Eddie Redmayne (The Good Nurse, La Teoria del Tutto), la vincitrice del BAFTA Rising Star Award Lashana Lynch (Bob Marley: One Love, The Woman King, No Time To Die) e la star internazionale Úrsula Corbero (La Casa di Carta).

Assassino solitario, sfuggente e implacabile, lo Sciacallo (Eddie Redmayne) si guadagna da vivere uccidendo su commissione. Ma mentre è al lavoro per il suo prossimo incarico, si trova ad affrontare un avversario inaspettato, Bianca (Lashana Lynch), una tenace agente dell’MI6, l’intelligence britannica, che si impegnerà in una implacabile caccia all’uomo in giro per l’Europa per riuscire a catturarlo.

Nel cast anche Charles Dance (Il Trono di Spade, The King’s Man) nel ruolo di Timothy Winthrop,Richard Dormer (Blue Lights, Fortitude, Il Trono di Spade) in quello di Norman, Chukwudi Iwuji (Guardiani della Galassia Vol.3, The Split) nei panni di Osita Halcrow, Lia Williams (The Capture, The Crown) in quelli di Isabel Kirby, Khalid Abdalla (The Crown, Il Cacciatore di Aquiloni) che nella serie è Ulle Dag Charles, Eleanor Matsuura (The Walking Dead, I Used To Be Famous) nel ruolo di Zina Jansone, Jonjo O’Neill (Andor, Bad Sisters) in quello di Edward Carver, Nick Blood (Slow Horses) che interpreta Vince e Sule Rimi (Classified, Andor) e  Florisa Kamara (Eastenders) nei ruoli di, rispettivamente, Paul e Jasmin Pullman.

Prodotta da Carnival Films, parte di Universal International Studios, una divisione di Universal Studio Group, The Day Of The Jackal è stata commissionata da Sky Studios e Peacock. La serie è scritta e adattata dallo showrunner Ronan Bennett, creatore e sceneggiatore dell’acclamata Top Boy. Lead director della serie è Brian Kirk, regista pluripremiato a livello internazionale (Il Trono di Spade, Luther, Boardwalk Empire).

Gareth Neame e Nigel Marchant sono produttori esecutivi per Carnival Films. Redmayne e Lynch sono anche, rispettivamente, produttore esecutivo e co-produttrice esecutiva. Sam Hoyle è produttrice esecutiva per Sky Studios. Sue Naegle è produttrice esecutiva e Marianne Buckland è co-produttrice esecutiva. Christopher Hall è produttore, Emily Shapland è co-produttrice. Frederick Forsyth è consulting producer.

La serie arriverà su Sky e NOW nel Regno Unito, in Irlanda, in Italia, in Germania, in Svizzera e in Austria e su Peacock negli Stati Uniti. NBCUniversal Global TV Distribution si occupa delle vendite internazionali.

Lavennder, il film: parlano i produttori e l’autore Giacomo Bevilacqua

0

Nei giorni di Lucca Comics & Games, durante il primo panel ufficiale di Bonelli Entertainment – la divisione multimediale della Sergio Bonelli Editore – è stato annunciato l’adattamento cinematografico di Lavennder, graphic novel dalle tinte mistery realizzata da Giacomo Bevilacqua nel 2017 e prima collaborazione dell’autore di A Panda Piace con la storica casa editrice milanese.

Abbiamo incontrato Michele Masiero e Vincenzo Sarno, rispettivamente Direttore Editoriale e Responsabile Multimedia dell’azienda, per farci raccontare qual è lo stato dei lavori di Bonelli Entertainment, a partire dal lancio del nuovo lungometraggio.

Dragonero: i Paladini, Legs Weaver e I misteri di Mystère

Legs Weaver serie animata

Nel corso dei mesi passati era già stata resa nota l’entrata in produzione della seconda stagione di Dragonero: i Paladini, che, a giudicare dal materiale proiettato nel corso del panel, appare già in uno stato decisamente  avanzato delle lavorazioni. C’è poi la serie animata di Legs Weaver, di cui è stato svelato il tesser poster dall’ironico titolo “Legs Weaver odia i cartoni animati”, e il podcast I misteri di Mystère in collaborazione con OnePodcast e per il quale è già disponibile il primo episodio.

Ma la fucina di Via Buonarroti appare in piena attività e Michele Masiero ci tiene specificare: “Tra i vari progetti che stiamo realizzando, questi sono quelli che possiamo rivelare, ma abbiamo diversi titoli in lavorazione.”

Il cinema continua però a dimostrarsi il gioiello della corona dell’industria dell’intrattenimento e il nuovo film Bonelli Entertainment è il progetto che ha destato maggiore interesse da parte del pubblico partecipante. Come mai è stato deciso di adattare proprio Lavennder?

Vincenzo Sarno“Come Casa Editrice siamo specializzati in racconti di generi ben distinti dalle storie sorprendenti ma iscritte all’interno di cornici ben definite. E Lavennder, l’isola che dà il titolo all’opera di Bevilacqua ci ha offerto l’arena perfetta per i personaggi che vogliamo mettere in scena, soprattutto per la protagonista, che non esito a definire la Final Girl definitiva.  Ma soprattutto eravamo affascinati dalla narrazione di Giacomo che in ogni suo tratto, ogni sua inquadratura, ha già un notevole sapore cinematografico. E poi, lasciami dire che il grande twist che accompagna il finale della storia, dando un senso straordinario a tutto, per noi è stato fin dal primo momento un high concept irresistibile.”

Giacomo Bevilacqua, autore di Lavennder, partecipa alla writers room

Qual è il coinvolgimento attuale di Giacomo al momento?

Michele Masiero“Bonelli Entertainment nasce per portare i fumetti Bonelli nella multimedialità, che sia la serialità televisiva, l’animazione, i film, i videogiochi. Tutto nasce dalla creatività del fumetto e poi diventa altro. Ci siamo posti come obbiettivo fondativo di essere co-produttori di ognuna di queste operazioni, affinché il lavoro dei nostri autori e del nostro linguaggio venga rispettato, ovviamente con le modifiche che l’adattamento richiede.

Partiamo da opere di autori con cui abbiamo a che fare ogni giorno, come Giacomo e Lavennder appunto, sarebbe assurdo esautorarli da questa collaborazione. Partiamo da un confronto interno per capire quali possono essere produttivamente e creativamente le cose da salvare, da cambiare, da tagliare, da adattare e lo facciamo con un dialogo costante con gli autori.”

“Certo, non è detto che l’autore del fumetto venga per forza coinvolto anche in tutte le fasi di scrittura del film – continua Masiero – Nel caso di Dampyr, però, Mauro Boselli, co-creatore del personaggio di Harlan Draka insieme a Maurizio Colombo, ha realizzato il soggetto dell’opera cinematografica e ha collaborato con gli sceneggiatori del film, che pure sono autori Bonelli. Per Lavennder, Giacomo Bevilacqua fin dal primo momento ha partecipato alla writers room in cui, insieme al regista, abbiamo posto le basi del progetto.”

L’arco di vita di Dampyr – il film

Dampyr scena finaleAvete nominato Dampyr. Nel 2018 il film è stato annunciato al Lucca Comics, nel 2022 è stato proiettato, pronto per la sala. Ne parliamo ora come di un film che ha compiuto un arco vitale completo, passando dal mondo delle idee e dei propositi, alla sala cinematografica, fino ad arrivare sulle piattaforme di tutto il mondo e ottenendo un notevole successo internazionale decisamente sorprendente dopo i primi tiepidi risultati al botteghino. Qual è il vostro percepito del film alla luce di questo percorso?

Masiero“Non ci nascondiamo dietro a un dito, ci aspettavamo un percorso diverso soprattutto nel lancio in Italia. Il film è nato in era pre-COVID e ha dovuto fare i conti con un mondo completamente diverso, con la crisi delle sale cinematografiche, con l’avvento massiccio delle piattaforme. Era stato pensato per il cinema e noi siamo super orgogliosi di averlo presentato lì perché era quella la sua dimensione. Ha avuto una falsa partenza, ma poi ci è esploso tra le mani in una maniera per noi molto incoraggiante e inaspettata. Abbiamo una fan base in giro per il mondo molto al di là delle nostre aspettative.

A questo punto, non so se possiamo definire il percorso di Dampyr finito, spero di no – continua – Nasceva come un film che avrebbe dovuto dire anche altre cose, lo stesso finale dimostra che dovrebbe essere così e stiamo cercando di dargli una vita ulteriore… non tanto al film quanto al progetto Dampyr, tenendo presente, per l’appunto, come dicevo prima, che che rispetto a come eravamo partiti nelle intenzioni creative, produttive e distributive del 2019, adesso il mondo è completamente cambiato e siamo ripatiti con condizioni diverse.”

Sembra quindi che sentiremo ancora parlare di Dampyr, se non al cinema quindi, magari in altre forme, forse più vicine alla serialità delle piattaforme? Su Netflix USA, d’altronde, il film ha spopolato, raggiungendo il podio della Top 10 nella settimana del Ringraziamento, negli Stati Uniti.

Le nuove regole post-COVID

Nessuno dei due si sbottona, in merito, ma Vincenzo Sarno precisa: “Il COVID ha segnato un prima e un dopo nella storia recente, e per quanto ci sembri distante adesso, ha cambiato per sempre regole che credevamo inscalfibili. Su quelle regole avevamo costruito il ciclo di vita di Dampyr, ma ora ne abbiamo altre e le stiamo percorrendo. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che ogni film vive un suo proprio personale percorso proprio su quelle piattaforme che all’inizio venivano tacciate di ‘bruciare’ i contenuti, ma che oggi si rivelano vere e proprie teche che custodiscono cataloghi preziosissimi. In quel mare di offerta, Dampyr ha imparato a nuotare da solo e ora come un figlio che è andato via di casa e in ogni posto dove viene accolto sta costruendo il suo essere ‘cult’”.

Insomma, una palestra per quello che sarà il lavoro su Lavennder… Come navigate in queste regole? Com’è lavorare nel mondo produttivo italiano?

Sarno“Viviamo un momento di ricerca verso nuove strade, nella misura in cui le disposizioni di legge in materia di sostegno ai Produttori e la pluralità del mercato dello streaming, offrono vie ed opportunità che prima non esistevano. Fino a poco tempo fa le serie televisive erano prodotte da Rai, poi si è unita Mediaset, adesso i player in campo sono tantissimi. Le leggi sul Tax Credit danno la possibilità al Produttore di scegliere quali storie seguire. Prima era necessario andare a fare grandi pitch a grandi studios, ora siamo noi lo studio, e per questo dobbiamo ringraziare l’infrastruttura culturale in cui viviamo. Così ci viene dato lo strumento per coccolare i nostri personaggi.”

dragonero i paladini serie tvBonelli è l’unica media company in Italia che produce a 360 gradi per il mondo dell’intrattenimento: film, serie, fumetti, videogiochi, podcast e tanto altro. Com’è far parte di questa realtà così grande e multiforme? Sentite una responsabilità verso il vostro pubblico?

Masiero“Non so se responsabilità sia al parola giusta. Ci sentiamo responsabili nel dare a ogni progetto la vita migliore, secondo noi. Potremmo anche peccare di presunzione, ma lavoriamo di concerto con gli autori e siamo prima di tutto innamorati della creatività che loro ci propongono. Da appassionati cerchiamo di dare una vita ulteriore alla loro creatività. Siamo responsabili perché siamo consapevoli di quello che vogliamo realizzare. I fumetti possono essere fatti anche da tre persone chiuse in una stanza, in questo mondo invece per costruire qualcosa si devono mettere insieme realtà che sono estranee a noi, ma con le quali vogliamo lavorare. Certo, ci piacerebbe che la velocità editoriale, alla quale siamo abituati, si rispecchiasse anche in queste produzioni. Ma qui le regole sono altre.”

Oltre al film di Lavennder, a Lucca 2024 è stato annunciato anche il podcast I misteri di Mystère, un ulteriore mezzo di intrattenimento, un altro modo per raccontare i vostri personaggi. C’è un linguaggio che non avete ancora affrontato e vi piacerebbe sfruttare come autori e produttori?

“Tutti quelli ancora da inventare!” Risponde sorridendo Masiero.
“Un reality… Oppure qualcosa di un po’ più antico, che si fa da tanti anni…” allude Sarno. “Beh sì, non esistono solo gli schermi, ma anche le esperienze dal vivo – fa eco Masiero – Magari stiamo già pensando a qualcosa e l’annuncio ufficiale non è poi così lontano”.

L’impressione è che il film di Lavennder sia davvero solo uno dei tanti progetti in ballo, che ci sia già qualcosa di molto caldo in pentola, volendo azzardare un’ipotesi, l’”esperienza da vivo” e “qualcosa di un po’ più antico, che si fa da tanti anni” sono due indizi che puntano dritti dritti alla nobile arte del teatro, ma se questa supposizione sia giusta e quale sarà la property coinvolta in questo nuovo progetto non possiamo ancora saperlo.

Speriamo solo che l’annuncio non si faccia troppo aspettare.

Intervista a Giacomo Bevilacqua, autore di Lavennder

Citadel: Honey Bunny, recensione della serie Prime Video

0
Citadel: Honey Bunny, recensione della serie Prime Video

Diretta dall’acclamato duo Raj e DK, Citadel: Honey Bunny segna l’inizio di una nuova fase per il franchise di Citadel, estendendone la narrazione in un contesto indiano. L’attesissimo spin-off della creazione dei Fratelli Russo, disponibile su Prime Video il 7 novembre, portando sullo schermo Varun Dhawan e Samantha Ruth Prabhu nei panni dei protagonisti. I due divi sono gli eredi di Matilda De Angelis e Lorenzo Cervasio che in Citadel: Diana ci hanno intrattenuti e divertiti, ma anche lasciati con il fiato sospeso. E le premesse di Honey Bunny non lasciano dubbi: anche questa nuova incarnazione del franchise promette scintille.

Citadel: Honey Bunny è un’intrigante storia di spionaggio con un tocco unico

Raj e DK si sono conquistati un ampio seguito con serie di successo come The Family Man e Farzi, grazie alla loro capacità di fondere umorismo, tensione e azione in storie complesse e realistiche. Con Citadel: Honey Bunny, i registi continuano a dimostrare la loro maestria, intrecciando la trama principale in un universo di spionaggio che unisce mistero, tradimenti e legami familiari. La storia segue i personaggi di Bunny, uno stuntman dalla personalità tormentata interpretato da Varun Dhawan, e Honey, una ex attrice dal passato complicato, con il volto di Samantha Ruth Prabhu. I due, dopo anni di separazione, si ritrovano per proteggere la loro figlia Nadia, una missione che risveglia antiche rivalità e mette in pericolo chiunque sia loro vicino.

Il segreto in una chimica palpabile

La serie si avvale di un cast talentuoso, con Dhawan e Ruth Prabhu che danno vita a personaggi complessi e profondamente emotivi. Varun Dhawan, noto per la sua versatilità e l’abilità di passare da ruoli drammatici a quelli comici, esplora qui una dimensione più oscura del suo repertorio, risultando credibile e intenso. Samantha Ruth Prabhu, già apprezzata per la sua performance in The Family Man, si conferma una delle attrici più talentuose della sua generazione, donando al personaggio di Honey una fragilità intensa e uno spirito indomabile, oltre alla prorompente presenza scenica. Il loro legame, costruito sulla resilienza che alberga nelle loro vite difficili, aggiunge profondità alla narrazione, coinvolgendo gli spettatori che non avranno problemi a confrontarsi con un occhio e un punto di vista distanti dal modus Occidentale.

Una regia avvincente e scene d’azione mozzafiato

Grazie alla loro abilità nel bilanciare scene d’azione intense con momenti di introspezione, Raj e DK riescono a rendere Citadel: Honey Bunny un’esperienza avvincente, senza mai rinunciare al loro linguaggio regionale che si sposa alla perfezione con l’ambizione internazionale del progetto Citadel, proprio come era stato per Diana. La serie si distingue per l’uso intelligente delle inquadrature e per una fotografia espressionista, che accentua l’atmosfera tesa e ricca di suspense. Le sequenze d’azione risultano tanto spettacolari quanto realistiche, nella migliore tradizione indiana contemporanea, abbracciando gli eccessi e le forzature e rendendoli canone irrinunciabile.

Una sfida di scrittura e una visione globale

Dietro le quinte, la scrittura di Sita Menon e Sumit Arora aggiunge un tocco di freschezza e profondità alla trama, con dialoghi incisivi e momenti che danno rilievo ai conflitti interiori dei protagonisti. E se le specificità linguistiche sono fondamentali per il progetto dei Fratelli Russo, la serie conferma la grande attenzione ai temi globali intercettati anche negli altri progetti paralleli: il controllo, il potere e la lealtà, riflettendo il tema universale del franchise di Citadel. Tuttavia, Honey Bunny riesce a proiettare queste tematiche nel posto, vicine al pubblico indiano, offrendo una prospettiva unica che arricchisce il contesto della narrazione principale.

Un’aggiunta di valore al franchise di Citadel

Citadel: Honey Bunny rappresenta una novità elettrizzante e potente nel panorama delle serie d’azione, mantenendo il livello qualitativo che i fan si aspettano dai lavori di Raj e DK. La serie non solo esplora un lato più oscuro e drammatico dell’universo di Citadel, intimo quasi, ma lo fa attraverso una narrazione viscerale e coinvolgente. La chimica tra Varun Dhawan e Samantha Ruth Prabhu, unita alla regia innovativa e a una scrittura densa, garantiscono una storia capace di coinvolgere anche un pubblico più occidentalizzato.

DanDaDan: recensione dell’irriverente anime di Netflix

DanDaDan: recensione dell’irriverente anime di Netflix

Storie di alieni strambi, fantasmi invadenti, medium affascinanti e adolescenti pasticcioni abbondano ormai nel catalogo di Netflix. Tuttavia, sono decisamente più rare le narrazioni che uniscono elementi soprannaturali e fantascientifici con tematiche sociali più cupe e complesse, come il bullismo, l’abbandono e la vulnerabilità dei più giovani. È proprio questo mix inusuale di giovani piantagrane e creature ultraterrene, a volte in veste di inquietanti predatori sessuali, a caratterizzare l’irriverente e disturbante anime DanDaDan.

Prodotta dallo studio Science SARU, DanDaDan è una serie paranormale e soprannaturale basata sul celebre manga omonimo scritto e illustrato da Yukinobu Tatsu, pubblicato anche in Italia dall’etichetta J-Pop. La serie, che ha debuttato ufficialmente su Netflix e Crunchyroll lo scorso 3 ottobre, è diventata rapidamente uno dei battle shonen più discussi degli ultimi anni. Probabilmente composta da una prima stagione di 12 episodi, l’anime è attualmente in corso con la pubblicazione di un episodio a settimana, conquistando il pubblico grazie alla sua capacità di mescolare azione, humor irriverente e tematiche adulte che vanno oltre i confini del genere shonen tradizionale.

Cosa racconta Dandadan?

DanDaDan è una tenera e adrenalinica storia d’amore tra due adolescenti agli antipodi: la bella, forte e intraprendente Momo Ayase e l’insicuro nerd Ken Takakura, che lei ribattezza affettuosamente “Okarun”. Dopo essersi conosciuti per caso, e spinti dalla curiosità e da un pizzico di sfida, i due giovani decidono di mettere alla prova le proprie opposte convinzioni sull’esistenza di alieni e spiriti maligni: Momo, scettica verso l’idea di creature extraterrestri, crede fermamente nei fantasmi, mentre Okarun è affascinato dagli alieni ma dubita dell’esistenza del sovrannaturale.

Quella che inizia come una scommessa innocente li trascina presto in un mondo oscuro e pericoloso, in cui alieni e fantasmi non solo esistono, ma sono minacce sinistre, spietate e viscide: da un lato, la razza aliena di Serpo, con intenti brutali, rapiscono giovani donne per sottoporle a crudeli esperimenti di riproduzione, tentando di perpetuare la propria specie. Dall’altro lato, spettri spaventosi (come l’insistente vecchia “turbo-nonna”) cacciano giovani uomini per rubare loro ciò che più rappresenta l’essenza della virilità… ovvero i cosiddetti “gioielli di famiglia”.

È così che questo bizzarro e improbabile duo si ritrova coinvolto in un’avventura soprannaturale che, tra un combattimento e l’altro, li avvicinerà sempre di più, portandoli a scoprire cosa significhi davvero amare qualcuno e acquisendo una nuova consapevolezza di se stessi e dei propri sentimenti.

Oltre il soprannaturale: tra horror e critica sociale

Fin dai primi minuti di visione, DanDaDan si presenta al pubblico come un anime provocatorio e iperbolico, capace di fondere umorismo, romanticismo e critica sociale con una buona dose di horror angosciante. L’opera sfrutta appieno la fantasia, costruendo una trama assurda e paradossale che non ha paura di esagerare, alternando con abilità momenti leggeri e spiritosi ad altri più intensi e drammatici. Questa alternanza di toni contribuisce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore, rendendo l’esperienza visiva imprevedibile, coinvolgente e mai noiosa.

Nel corso della narrazione, DanDaDan esplora anche temi ben più complessi e delicati, come la violenza di genere e lo stupro, trattato con un approccio non superficiale e decisamente controverso. Mentre i protagonisti, Momo e Okarun, affrontano le sfide che il destino e le misteriose forze sovrannaturali pongono sul loro cammino, l’anime non si limita semplicemente a raccontare le loro avventure, ma scava in profondità, trattando con grande sensibilità e, talvolta, un tocco di crudezza, il tema della violenza sessuale e delle dinamiche di potere che la accompagnano. Un esempio di questo approccio si vede fin dall’inizio della serie, quando Momo affronta la volgare sfacciataggine del ragazzo di cui era infatuata, o poco dopo, quando la vediamo combattere contro alieni predatori sessuali (che non sono scelti a caso con le sembianze di grossi e inquietanti uomini) per difendere la propria verginità.

Un altro momento particolarmente toccante si svolge intorno alla figura della “turbo-nonna”, che si rivela essere uno spirito maligno nato dalle anime tormentate di ragazze violentate, uccise e abbandonate in quello stesso tunnel in cui Okarun ha il suo primo incontro paranormale. Questa inaspettata rivelazione aggiunge un ulteriore strato di complessità alla serie, mostrando come DanDaDan non solo esplori tematiche particolarmente dolorose e attuali, ma lo faccia con un’intensità emotiva che rende la storia ancora più profonda e significativa di quanto appare.

Un anime che merita una possibilità

Nonostante sia attualmente disponibile solo la prima metà della stagione, DanDaDan è già riuscito a conquistare sia gli appassionati di anime sia il pubblico meno avvezzo al genere, grazie a un perfetto mix di azione, elementi fantastici e crudo realismo. La produzione ha investito notevoli sforzi per rendere omaggio al manga di Yukinobu Tatsu, cercando di rimanere il più fedele possibile all’opera originale, con animazioni dinamiche e curate nei minimi dettagli che danno vita a un’esperienza visiva assolutamente degna dell’attenzione del pubblico di Netflix.

Particolarmente interessanti sono anche i dettagli grotteschi ed esagerati con cui sono stati realizzati i mostri di DanDaDan, che ricordano le assurde e iconiche creature horror di Junji Ito, maestro del genere per il suo stile unico. Questi tocchi rendono la serie inconfondibile, offrendo una visione originale e provocatoria dell’horror.

In definitiva, DanDaDan è un anime bizzarro e fantasioso che, con un’estetica distintiva e una scrittura schietta e ironica, racconta una toccante storia di crescita, amore e forze oscure… molto più tangibili e reali di alieni e fantasmi.