Ambientato subito dopo le vicende
del classico Disney Rapunzel – L’Intreccio della Torre
e prima del corto di animazione Rapunzel – Le incredibili
Nozze, l’attesissimo Disney Channel Original Movie
Rapunzel Prima del Si sarà presentato in
anteprima al Giffoni Experience, il festival
dedicato ai ragazzi, domenica 16 luglio con sue
proiezioni speciali alle 15:30 e alle 19:00
dedicate ai giurati della sezione Elements +6.
Il film anticiperà l’arrivo a
ottobre su Disney Channel (canale 613 disponibile
solo su Sky) diRapunzel: La Serie e vedrà la
Principessa Perduta fare i conti con la nuova vita a Palazzo.
Rapunzel, infatti, scopre che far parte della famiglia reale può
essere soffocante e desiderosa di maggiore libertà, e nonostante
l’amore che prova per lui, decide di rifiutare la proposta di
matrimonio di Eugene. Il suo irrefrenabile spirito libero e la sua
naturale curiosità la porteranno, con l’aiuto dell’ancella
Cassandra, a lasciare il castello di nascosto nel cuore della notte
e giungere nel luogo in cui fu trovato il fiore che le donò i
magici capelli. Qui accadrà qualcosa di inaspettato: dal terreno
spunteranno delle spine i lunghi capelli biondi della principessa
riprenderanno a crescere. Mentre tutti nel regno si preparano
all’incoronazione di Rapunzel, una figura misteriosa raggiungerà il
luogo da cui proviene il magico fiore…
In queste nuove avventure, Il
pubblico ritroverà i personaggi più amati del classico
d’animazione, come Eugene/Flyn Rider, il tenero camaleonte Pascal,
fino al simpatico cavallo Maximus a capo delle guardie reali, e gli
strambi personaggi della Locanda del Brutto Anatroccolo, mentre
farà il suo debutto Cassandra, la sua leale ancella di corte.
Azione e tanto divertimento
attendono i giurati del 47° Giffoni Experience nell’attesa del
debutto in tv a ottobre delle incredibili avventure di
Rapunzel: Prima del Si e
Rapunzel: La Serie a ottobre solo
su Disney Channel (canale 613 disponibile solo su
Sky).
Rapunzel
diventerà un musical per la Disney Cruise Line. La
compagnia di navigazione statunitense di proprietà della The
Walt Disney Company aggiunge al suo carnet per gli ospiti che
scelgono un viaggio in mare a tema un nuovo spettaccolo, un
rifacimento per teatro in muscia del film basato sul racconto di
Raperonzolo. Nel musical ci saranno due brai inediti composti dal
premioo Oscar Alan Menken.
Nella storia ritroveremo tutti i
personaggi che hanno fatto la fortuna del film.
La recensione del film
d’animazioneRapunzel, la
pellicola diretta da Nathan Greno e Byron
Howard.
In un lontano regno delle fiabe
tutti i sudditi sono preoccupati per la sorte della regina, incinta
del sospirato erede ma malata e in fin di vita: grazie a un fiore
magico giunto sulla terra con una goccia di Sole, la regina riesce
a guarire e a far nascere la principessa
Rapunzel che eredita i magici poteri
curativi della pianta nei suoi biondi capelli; una vecchia
ossessionata dal desiderio di rimanere giovane che aveva già
scoperto i poteri del fiore magico rapisce la piccola e la
rinchiude in una torre dove lei resterà con i suoi lunghi capelli
magici crescendo con la speranza di poter un giorno uscire a vedere
il mondo. Un giorno l’affascinante ladro Flynn Rider si rifugia
nella torre per sfuggire ai suoi inseguitori…
Regia:Nathan Greno e Byron
Howard
Anno: 2010
Con le voci di:
Mandy Moore/Laura Chiatti: Rapunzel; Zachary Levi /Giampaolo
Morelli –Massimiliano Alto: Flynn Rider; Donna Murphy /Giò Giò
Rapattoni: Madre Gothel; Ron Perlman /Pino Insegno: Fratelli
Stabbington.
Per un lavoro che aveva l’ingrato
onere di rappresentare il cinquantesimo lungometraggio della
canonica tradizione, la fiaba di Raperonzolo viene epurata di tutti
i suoi elementi più inquietanti e incongruenti (raperonzoli
compresi) per inserirsi perfettamente in più familiari contesti:
dopo l’esperienza de La principessa e il ranocchio, affascinante
ritorno alle vecchie tecniche di disegno purtroppo carente di ritmo
ed emozione, il passaggio alla CGI era quasi inevitabile e molti
potrebbero giudicarlo come la sconfitta definitiva, ma quando il
risultato è così strabiliante e incantevole si può
solo gioire e festeggiare per un ritorno di grazia
tanto sperato e atteso: con la regia di Nathan
Greno e Byron Howard (Bolt, Mulan, Koda fratello orso) grazie
anche ai consigli e alle direttive di John Lasseter, storico nome
della Pixar, la Disney impara la
lezione senza però smarrire sé stessa: supportandosi di
una sceneggiatura classica che riacquista
fiducia nelle capacità di quelle principesse che da tanto
tempo erano state dimenticate, Rapunzel
condisce la ricetta con un po’ di sana ironia, prendendo in
giro i suoi stessi meccanismi senza però ridicolizzarli
(l’esperienza di Come D’Incanto, misto
animazione e live action assolutamente riuscito, ha certamente
insegnato a casa Disney a imparare
a ridere di sé stessa e delle sue divinità),
regalandoci protagonisti svecchiati dal ruolo impostogli dai
fratelli Grimm e nei quali diventa facile identificare sorrisi e
paure di ieri e di oggi, citando allo stesso tempo le pellicole più
indimenticabili del suo repertorio. Fra i tanti riferimenti velati
alcuni si fanno più evidenti: la scena assolutamente spassosa nella
locanda non può non ricordare quella de La Bella e La Bestia,
nel regno del Sole hanno certamente usato il castello di
Cenerentola per disegnare le proprie architetture, la curiosità di
Rapunzel durante la visita al villaggio e
la meravigliosa scena delle lanterne nel cielo che i
protagonisti ammirano in barca sul lago sono chiaramente
ispirate alla Sirenetta e il protagonista maschile Flynn Rider,
oltre a scherzare sulla galanteria e il fascino di Erroll
Flynn (storico interprete di Robin Hood), prende da Aladdin alcuni
atteggiamenti e sorrisi (oltre che per le parti cantate il
doppiaggio di Massimiliano Alto), la spettacolare sequenza della
diga pur non di Disneyana memoria non può non ricordare
Indiana Jones.
Rapunzel – l’intreccio
della Torre: recensione del film
In ogni caso, fra tutti i lavori
omaggiati forse il più eclatante per ovvie ragioni di plot è
Il Gobbo di Notre Dame, col quale sembra
quasi correre su un binario parallelo: con lui la dolce
Rapunzel condivide grande creatività e
passione per vita che si esprimono attraverso arti pittoriche e non
solo, cercando di sopravvivere alla prigionia in un gabbia
dorata e dimenticata, col desiderio di andare fuori a vedere il
mondo; non per realizzare chissà quali eroiche imprese ma
semplicemente per essere parte di un evento straordinario che hanno
osservato da lontano per tutta la vita e che nel loro cuore di
adolescenti è diventato più importante di qualsiasi altra cosa (la
festa dei folli per Quasimodo, la scia luminosa delle lanterne per
la nostra protagonista) per infrangersi contro le minacce di
una figura loro vicina che li terrorizza con racconti di
un’umanità malvagia e senza pietà. Distrutti da una cocente
delusione, sia Quasimodo che Rapunzel
ritornano di nuovo nel loro rifugio-prigione , riflettendo su
quanto fossero stati in torto (“avevi ragione su tutto” è una
battuta che viene ripetuta praticamente con le stesse parole da
entrambi al cattivo di turno), per poi rendersi conto della verità
e affrontare il male che tenterà di combatterli con un pugnale
prima che il lieto fine possa finalmente trionfare.
Nonostante gli ovvi punti di
contatto, la nuova pellicola della Disney prende comunque un’altra
direzione che è di per sé ancora più inquietante: se per Quasimodo
l’ostacolo da vincere non è soltanto la paura generata da Frollo ma
quella della repulsione che gli altri possano provare per la sua
diversità, nel caso di Rapunzel a
impedirle di uscire è soprattutto il terrore di disobbedire a
quella che lei crede essere sua madre. Madre Gothel, che ha
cresciuto la bambina come una figlia solo per potersi mantenere
eternamente giovane, è forse uno dei cattivi più perfidi mai
concepiti dalla Disney; priva di qualsiasi potere
magico, simile a Cher nella magnetica fisionomia e nella voluminosa
permanente dei suoi ricci neri, si serve di un sortilegio molto più
terribile di qualsiasi altro mai visto: una spudorata
ipocrisia.
Nonostante sia ovvio per lo
spettatore che sia lei il personaggio negativo della storia dato
che come tale viene introdotto nel prologo, ella si
presenta alla nostra eroina come una madre devota, fingendo il
suo amore con una naturalezza e una spontaneità davvero spaventose;
eppure, dietro dichiarazioni di affetto smisurato e baci e carezze
materne si nasconde sempre, lì dietro l’angolo, una frase o un
commento cattivo e denigratorio, una stoccata sottile come uno
stiletto per sottolineare l’inadeguatezza, l’inconsistenza e
l’inutilità della povera ragazza, mascherata da battuta scherzosa
di pessimo gusto ma pur sempre detta dall’unica madre che lei abbia
mai conosciuto. Ci può essere paura più grande che quella di non
essere amati dai propri genitori?
Ciononostante,
Rapunzel sembra nutrire per lei sincero
affetto e dedizione, che consentono di far emergere quegli aspetti
del suo carattere che la rendono un personaggio vivo e realistico
per ogni spettatore: vivace, allegra e spensierata e ben lontana
dall’essere la solita fanciulla in pericolo che attende un
salvatore, la giovane è totalmente terrorizzata al pensiero di
disubbidire, come ogni ragazzo che vorrebbe trovare il coraggio di
buttarsi dal nido ma è intrappolato (o intrecciato secondo il
titolo originale Tangled) da una famiglia iperprotettiva; la lotta
interiore fra il rimorso per la fuga e la felicità per la grande
avventura dà vita a uno dei momenti più divertenti dell’intera
pellicola proprio per la freschezza e la spontaneità di quella
continua volubilità di cui molte altre eroine, prese dai loro
doveri e dai loro obiettivi, erano completamente prive.
Assolutamente spassosi i
personaggi che, armata di padella e lunghi capelli, incontra sul
suo cammino, con animali non parlanti come da tradizione ma che
nelle loro espressioni sono assolutamente irresistibili: il
camaleonte Pascal, con le sue smorfie e le sue occhiate di
ammonimento, Maximus, cavallo reale col fiuto di un segugio votato
a combattere il crimine anche meglio di tutti soldati del regno che
pendono dalle sue capacità investigative con un debole per le mele
buone e saporite (a patto che siano state comprate e pagate secondo
la legge), il brigante della taverna che invece di terrorizzare
voleva soltanto realizzare il proprio sogno di essere un grande
pianista, e i corpulenti Fratelli Stabbington che già nel nome
nascono tutta la loro determinazione e caparbietà nell’inseguire il
bottino perduto (richiama facile assonanza con l’inglese “stubborn”
che significa testardo). Senza dimenticate naturalmente il bel
Flynn Rider (all’anagrafe Eugene Fitzerbert) che con il suo omonimo
di cinematografica memoria condivide una certa propensione ai furti
anche se per donare unicamente a sé stesso, e che si innamora della
protagonista dopo averne approfondito la conoscenza e conosciuto lo
spirito; il “sorriso che conquista” che tanto era stato utile ai
suoi predecessori, tutti quei principi di rango in calzamaglia che
così avevano fatto scattare istantanei colpi di fulmine di pochi
secondi senza nemmeno scambiare una parola con la loro pulzella,
qui è sufficiente soltanto a fargli guadagnare una padellata sulla
testa: era tempo di provare altre strade.
Come in ogni Cartoon Disney che
voglia definirsi tale, i momenti musicali sono fondamentali e
chiamare al timone lo storico Alan Menken (detentore del record di
ben 8 premi Oscar) non poteva che rivelarsi una scommessa vinta:
certo non siamo ai briosi livelli raggiunti in passato (ma quelli
si erano già iniziati a smarrire nel 91′ dopo la morte dello
storico collaboratore e paroliere Howard Ashman), ma le canzoni
sono comunque orecchiabili e alcune sono davvero elettrizzanti
(provate a stare fermi sulla poltrona durante la scena della danza
del regno…); resta sempre l’ eterno problema della traduzione dei
testi in italiano, che continua a essere piuttosto discutibile ma
considerando che target di pubblico è costituito da bambini è
effettivamente eccessivo nonché impossibile chiedere qualcosa di
diverso a uno spettatore che non solo si stancherebbe subito di
leggere i sottotitoli ma probabilmente nemmeno sarebbe capace di
farlo data la sua giovanissima età. Unica solita pecca che
condivide ormai con buona parte delle uscite di questi ultimi due
anni è l’uso del 3D, che se non altro ha qui il merito di conferire
profondità , ma sacrificando come al solito la luminosità dei
colori che meritavano davvero di essere contemplati in tutta la
loro brillantezza.
Nulla da dire dunque sulla
qualità dell’animazione digitale se non per fare una lunga,
lunghissima standing ovation: sfumature pastello di rosa verde e
azzurro governano un mondo incantato dove ogni dettaglio, dal più
piccolo fiore al più sottile riflesso dei biondi capelli, è curato
alla perfezione, fino alla fantastica scena della diga dove vengono
gettati sullo spettatore ben 87 milioni di litri di acqua virtuale.
Il character design morbido e non troppo spigoloso facilmente
potrebbe essere adattato all’animazione vecchio stile; non
burattini freddi e inanimati in una realtà virtuale, ma personaggi
palpabili dotati di sentimenti e profondità che si leggono
facilmente nella luce dei loro occhi lucidi: ogni sguardo di
amore, odio e lacrime è assolutamente reale, quando proprio in una
lacrima si nasconde il vero cuore di
Rapunzel: quella che il re, dopo quasi 18
anni di separazione dalla figlia perduta, non riesce a trattenere
per la disperazione davanti alla fiduciosa regina prima di
accendere le lanterne della speranza: una sola, per consacrare
Tangled come il meraviglioso e trionfale ritorno della Walt
Disney Pictures.
Dopo la Palma d’oro alla
carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in
concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in
Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il
Festival
di Cannes per
presentare la sua ultima opera. E
Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta
nella sezione più importante con il Rapito che 01
Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia
vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni
magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di
Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi,
Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di
Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.
Rapito: la storia vera di tanti ebrei
italiani
Il piccolo Enea Sala e
Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese
Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua
famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa
Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i
tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio
Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale
inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente
che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si
sono liberamente ispirati il regista e
Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la
collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza
storica di Pina Totaro.
Tutto inizia nel
quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a
casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di
sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora
domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il
diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino
riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’
l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude
nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la
conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Il
racconto unico e potente di Marco Bellocchio
La componente tecnica è
importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo
Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a
rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo.
Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi,
narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e
riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur
rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente,
grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di
Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi
di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo
Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto
non secondario.
L’alternarsi delle
ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani
nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara,
una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento
musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo
ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo
rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere
continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo
inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di
sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere –
aiutare lui.
Qualcosa che lo accomuna
al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante
né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione
della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure
costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e
a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria
gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita
all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).
Nell’opera
Rapito di
Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il
sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà
complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema
tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne
sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo
di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto
dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più
disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore
nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi
di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della
cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte
della famiglia.
La scoperta delle reali
motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda
presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che
renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore
moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più
riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala
sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come
già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta
tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse
troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di
quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del
Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da
missionario.
Distribuito da 01
Distribution e in sala dal 25 maggio, il
nuovo film di Marco Bellocchio dal titolo
Rapito si fa ora ammirare grazie al suo
trailer ufficiale. Nel nuovo lungometraggio del regista, che sarà
presentato in concorso al Festival di
Cannes, si racconta del casoEdgardo Mortara. Siamo nel 1858, nel quartiere
ebraico di Bologna, dove i soldati del Papa irrompono nella casa
della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a
prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le
dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei
mesi, il bambino era stato segretamente battezzato.
La legge papale è inappellabile:
deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo,
sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta
dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la
battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il
Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce
nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al
tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.
Liberamente ispirato al libro di
Daniele ScaliseIl caso Mortara. La vera storia
del bambino ebreo rapito dal papa (1996), il film scritto da
Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli con la
collaborazione di Edoardo Albinati e
Daniela Ceselli e la consulenza storica di
Pina Totaro, rappresenta dunque un nuovo capitolo
nell’analisi della storia novecentesca d’Italia portata avanti da
Bellocchio con il suo cinema, dopo i recenti casi di Il traditore ed
Esterno notte. Nel film
recitano gli attori Paolo Pierobon, Fausto Russo
Alesi, Enea Sala, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Andrea
Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Paolo
Calabresi.
Netflix ha diffuso il trailer ufficiale del
film originale Netflix Rapiniamo
il Duce, il nuovo film del regista Renato Di
Maria che sarà presentato in anteprima alla
diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma
(Grand Public). Protagonisti del film
Pietro Castellitto,
Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Alberto
Astorri, Maccio Capatonda, Luigi Fedele, Coco Rebecca Edogamhe,
Maurizio Lombardi, Lorenzo de Moor, Luca Lo Destro,
Filippo Timi. Prodotto da Bibi Film, in arrivo
solo su Netflix dal 26 ottobre
Milano, aprile 1945. Siamo agli sgoccioli della Seconda Guerra
Mondiale. La città è in macerie. Nel caos della guerra Isola è
diventato il re del mercato nero, guidato da un’unica legge morale:
la sopravvivenza. Yvonne è la sua fidanzata clandestina, cantante
del Cabiria, l’unico locale notturno rimasto aperto in città. Ma
anche Borsalino, gerarca fascista, torturatore spietato, è
innamorato perdutamente di Yvonne e disposto a tutto pur di averla.
Isola e i suoi intercettano una comunicazione cifrata e scoprono
che Mussolini ha nascosto il suo immenso tesoro proprio a Milano –
nella “Zona Nera” – in attesa di fuggire per la Svizzera, scampando
alla cattura e alla forca. Isola non può lasciarsi sfuggire
l’occasione della vita – il colpo più ambizioso della Storia – e
decide perciò di mettere in atto un’impresa folle: rapinare il
Duce.
Regia: RENATO DE MARIA
Soggetto e sceneggiatura: RENATO DE MARIA,
FEDERICO GNESINI, VALENTINA STRADA
Casting: FRANCESCO VEDOVATI, ANNAMARIA
SAMBUCCO
Costumi: ANDREA CAVALLETTO
Scenografia: GIADA CALABRIA
Organizzatore generale: ANSELMO
PARRINELLO
Musiche: DAVID HOLMES
Montaggio: CLELIO BENEVENTO
Direttore della fotografia: GIAN FILIPPO
CORTICELLI
Prodotto da: MATILDE BARBAGALLO e ANGELO
BARBAGALLO
Cast: PIETRO CASTELLITTO, MATILDA DE ANGELIS,
TOMMASO RAGNO, ISABELLA FERRARI, ALBERTO ASTORRI e con la
partecipazione di MACCIO CAPATONDA, LUIGI FEDELE, COCO REBECCA
EDOGAMHE, MAURIZIO LOMBARDI, LORENZO DE MOOR, LUCA LO DESTRO e con
FILIPPO TIMI
È
una bomba a orologeria il cui ticchettio si fa sempre più
insistente, sempre più coinvolgente, sequenza dopo sequenza,
dialogo dopo dialogo, Rapiniamo il Duce. Un
ingranaggio pronto a esplodere; una detonazione improvvisa con la
quale smuovere un cinema italiano fin troppo ancorato ai consueti
stilemi, mescolando utopia e sogno, fantasia e una Storia (quella
con la S maiuscola) adesso riscritta con il potere della macchina
da presa.
Rapiniamo il
duce guarda al di là dell’oceano, verso quelle spiagge
caotiche che si stagliano lungo i confini di universi immaginifici
come quelli di
Quentin Tarantino e dei suoi Bastardi
senza gloria; è uno sguardo lontano quello di
Renato De Maria, lanciato non per copiare, ma per
lasciarsi influenzare, nella compilazione personale di un
heist-movie all’italiana, fratello e diretto discendente di
classici come I soliti Ignoti, ma insignito di un
gusto anarchico che lo lega per aspirazione e rivoluzione
iconoclasta un altro titolo recente come Freaks
Out di Gabriele Mainetti.
Proprio perché figlia di
un gusto eroico, tipicamente americano, dove anche gli ultimi
possono aspirare al ruolo di grandi eroi, l’opera di De Maria può
rivelarsi al mondo nelle vesti di patchwork citazionistico
composto da tanti, piccoli, deja-vu. Eppure, inserita nel contesto
italiano, Rapiniamo il Duce vive di una sagacia
innovativa e di
una spinta anarcoide attraverso le quali reinventare e rinnovare il
nostro cinema, anche a costo di cadere e farsi male, proprio come
Isola davanti alle forze fasciste. Ma è la corsa che conta ne Il
Rapiniamo il duce, non l’ascesa, o la caduta finale.
È l’evoluzione di
un discorso filmico che tenta di osare, parlare linguaggi
conosciuti, e allo stesso tempo nuovi per un pubblico italiano
ormai assuefatto alla riproposizione diretta di mille copie di
universi cinematografici sempre uguali a se stessi. Un linguaggio
che canta canzoni anni Sessanta in un contesto bellico di metà anni
Quaranta; un linguaggio di fotografie ombrose e colori sgargianti;
un linguaggio fatto di graphic novel che prendono vita, di
heist-movie dal sapore hollywoodiano inseriti tra le strade
nostrane. Un linguaggio in evoluzione, vernacolare nel parlato, e
aulico nella resa visiva, che vede in Rapiniamo il duce, un nuovo,
ambizioso, cantore.
Rapiniamo il duce, la trama
Milano. La Seconda Guerra Mondiale è ormai agli sgoccioli. Tra le
vie bue del capoluogo lombardo si aggira Isola
(Pietro
Castellitto),
ladro spiantato e romantico, innamorato di Yvonne
(Matilda
De Angelis),
cantante da night e a sua volta amante di un gerarca fascista
(Filippo
Timi),
che è sposato con Nora (Isabella
Ferrari),
attrice del muto che non ama più. Per puro caso Isola e la sua
banda di anti-eroi improvvisati (Tommaso
Ragno
e
Luigi Fedele)
scopre che Mussolini e i suoi gerarchi fascisti stanno organizzando
una via di fuga, così da mettere in salvo anche il proprio tesoro,
fatto di gioielli e pezzi d’oro sottratti al popolo italiano.
Co-adiuvato dalla propria banda – a cui si aggiungono anche Molotov
e il pilota automobilistico Denis Fabbri (Maccio
Captonda)
Isola organizza un proprio contro-piano d’attacco per rapinare il
Duce e impadronirsi dell’oro.
In questo mondo di
ladri
È un Robin Hood che ruba
ai ricchi gerarchi per donare ai sopravvissuti dell’incubo
fascista, Isola. Capobanda di un gruppo musicale che agli strumenti
preferisce le bombe e l’artiglieria pesante, il personaggio di
Castellitto si fa guida privilegiata di una Milano abbagliata dalla
luce dei raid aerei, ricercando nella sottrazione dell’oro ai
generali fascisti, un senso di rivalsa sociale da parte di una
nazione in ginocchio. Memore della lezione impartita da Monicelli,
e riscritta in termini anglosassoni da registi come Tarantino e non
ultimo Edgar Wright (Baby
Driver), Renato De Maria costruisce il
proprio heist-movie tra azione e storicità, prendendo il testimone
da un progetto altrettanto simile, e altrettanto ambizioso, come
Freaks Out di Gabriele
Mainetti.
In questo mondo di ladri
improvvisati, dove ogni personaggio entra in campo con un ruolo
prestabilito, nulla è paradossalmente lasciato al caso. Isola,
Molotov, Amedeo, Yvonne, Denis e Marcello, si fanno portavoce di
vizi e virtù (im)perfettamente umani, restituiscono in termini
caratteriali quell’immagine che il loro nome di battaglia accende
nella mente dello spettatore. Componenti di un meccanismo a
orologeria, ogni personaggio viene tracciato in maniera individuale
e distintivo, insignito di una singolarità che i propri interpreti
non hanno paura di cogliere e tradurre in performance coinvolgenti
e introspettivi.
Se è L’isola di
Pietro Castellitto ad assumere il ruolo di leader,
nonostante il suo fare di casinista buono, ma impacciato, la
realizzazione totale della sua opera non avrebbe assunto la stessa
carica impattante se a sostenerlo non ci fosse una galleria umana
perfettamente incarnata da attori in piena parte. L’introspezione
di Matilda De Angelis si fa fascino tangibile nel
corpo e nello sguardo della femme fatale Yvonne; l’espressione
luciferina, accompagnata da un tono di voce rauco, irresistibile –
e per questo ancor più funesto – di Filippo Time è
il corrispettivo perfetto per la realizzazione del generale
Borsalino, mentre l’innocenza di Luigi Fedele si
fa tessera imprescindibile di un puzzle di fattura antropologica
composita, che va a riflettere i diversi aspetti di una società
italiana pronta a ribellarsi.
In questo vortice umano
dai caratteri eterogenei, chi riesce a strapparsi un ruolo di
prim’ordine tra eroi per caso, e cattivi sublimemente attraenti, è
però un Maccio Capatonda dalla presenza irresistibile e tempi
comici invidiabili; un ruolo, il suo, non cucitogli addosso, ma
creato direttamente sulla forza del genio del comico abruzzese.
Gemello omozigote di dieci e più personaggi generati dal grembo
comico di Maccio ed entrati di diritto nell’immaginario collettivo,
il pilota Denis Fabbri riesce nell’impresa di spingere una
sceneggiatura alquanto fiacca, e dalla comicità forzata, là dove
molti non riescono. Recidendo le fila che tengono i suoi colleghi
legati alla forza dell’inchiostro delle pagine di sceneggiatura,
Maccio si fa co-autore di un personaggio a se stante, che vive nel
gruppo ma si anima con un’energia indipendente, alimentata dal
fuoco della propria ironia e del proprio genio.
Predomini visivi
Soffocata da una potenza visiva preponderante, la sceneggiatura a
cura di Renato De Maria, Federico Gnesini e
Valentina Strada, non riesce a trovare un varco
abbastanza ampio per evolversi, e raggiungere lo stesso livello
della sua controparte registica. Semplice e prevedibile, la sua
forza risiede nella caratterizzazione dei personaggi, e nell’aver
stilato una base di partenza abbastanza solida per costruirvi un
impianto visivo ad alto tasso adrenalinico. Con Rapiniamo
il Duce sono
pertanto gli occhi a rivestirsi di bellezza e pura azione, mentre
la mente giace in pausa tra i meandri di un limbo narrativo che non
le richiede particolari sforzi di interpretazioni o
elucubrazioni.
Uno scarto netto, figlio
degli insegnamenti di un gusto classico hollywoodiano dal sapore
antico, dove a predominare è un mondo che deve far sognare,
prendere lo spettatore e portarlo altrove, al di là della propria
quotidianità, al di là di una storia ora ribaltata, modificata,
rubata e insignita di nuovi eventi e di nuovi eroi.
Non è
il film che sconvolgerà i cardini del cinema italiano,
Rapiniamo il Duce, eppure, tra gli inframezzi di
un montaggio dinamico e serratissimo, si intravede una voglia
irrefrenabile di rivoluzionare un processo stantio di fare cinema,
rapinando al di là dell’oceano per donare a nuovi sguardi
ammaliati, sorpresi – proprio come quelli di Isola che guarda in
camera – il piacere di sognare e vivere altre vite, sospesi tra le
vie di una nuova avventura, mentre fuori brucia la
città.
Arriva al cinema Rapina a
Stoccolma, scritto e diretto da Robert
Budreau. Il film, con protagonisti Ethan Hawke,
Noomi Rapace e Mark Strong, racconta
della storia di una rapina alla Sveriges Kredit Bank di
Stoccolma, nel 1973. Proprio da questo fatto di cronaca deriva
l’espressione “sindrome di Stoccolma” ovvero un particolare stato
di dipendenza psicologica e/o affettiva che spinge chi è
maltrattato da un aggressore a provare sentimenti positivi per
l’aggressore stesso.
In Rapina a
Stoccolma Ed è quello che accade nel film a Bianca
(Noomi
Rapace) che comincia a provare simpatia, o forse
qualcosa di più, nei confronti di Lars Nystrom (Ethan
Hawke), criminale appena evaso dal carcere e che prende in
ostaggio lei, una sua collega e un cliente nella Banca centrale di
Stoccolma. A loro si unirà anche Gunnar Sorensson (Mark
Strong), come parte dell’accordo che Lars fa con la
polizia locale. Sorensson è infatti il migliore amico e compagno di
disavventure di Lars e i due cercano così di ricongiungersi per
poter scappare in Francia.
Tratto dall’articolo del New Yorker
che racconta il fatto di cronaca, il film di Budreau è una commedia
amara, sopra le righe, gridata e sfacciata, dove a farla da padrone
è un Hawke in overacting per tutto il tempo, con un risultato
davvero poco gradevole, soprattutto trattandosi di un attore che ha
sempre scelto con attenzione e cura i suoi ruoli. Fanno una figura
migliore la Rapace e Strong, in ruoli che forse consentivano loro
di non esagerare troppo con toni e gesti, e mantengono una
recitazione più contenuta.
Per quanto riguarda i toni e la
scrittura, il film si mantiene sul filo della commedia, con diversi
momenti realmente comici, soprattutto legati allo svolgersi assurdo
della vicenda, scivolando, consapevolmente (e giustamente diremmo),
in parentesi drammatiche che sottolineano i momenti di svolta della
vicenda.
La volontà di raccontare nei toni
della farsa la storia vera risulta goffo in più di un punto e
nonostante l’idea a monte poteva essere interessante da sviluppare,
lo svolgimento del compito è svogliato, sia nella regia senza
nessun guizzo particolare, che soprattutto nella direzione degli
attori.
Rapina a
Stoccolma, in sala dal 20 giugno, è distribuito da M2
Pictures.
Nella sua carriera l’attore
Russell Crowe ha preso parte a film appartenenti a
generi sempre diversi. In particolare, però, egli si è in più
occasioni distinto grazie ad alcuni titoli thriller di grande
popolarità. Titoli come Insider – Dietro la verità, Nessun
verità o The Next Three Days
hanno dimostrato la sua grande predisposizione al genere.
Enigmatico e camaleontico, l’attore riesce a calarsi in ruoli
spesso imprevedibili, che sfiorano in più occasioni il confine tra
bene e male. All’inizio del nuovo millennio egli ha preso parte ad
un altro film di questo filone, intitolato Rapimento e
riscatto, dove interpreta un negoziatore
professionista incaricato di risolvere una complessa
situazione.
Il film è stato scritto da
Tony Gilroy, celebre per thriller come The Bourne Identity e
Michael Clayton, e diretto da Taylor
Hackford, autore di film come L’avvocato del
diavolo e Parker. Rapimento e
riscatto è dunque formato da una squadra che conosce bene il
genere e sa come renderlo avvincente e teso, elementi essenziali
per un thriller. Questo, inoltre, come riportato dai titoli di
coda, sembra essere stato vagamente ispirato dall’articolo
Adventures in the Ransom Trade, di William
Prochnau, e, in misura ancor maggiore, dal romanzo
Long March to Freedom, di Thomas
Hargrove. Questi, infatti, è stato un giornalista rapito
dal gruppo armato colombiano noto come FARC, ed ha poi raccontato
la propria storia nel libro qui citato.
Rapimento e riscatto
presenta dunque una serie di eventi romanzati, ma ispirati a fatti
reali che continuano ancora oggi ad essere realtà. Si tratta di
zone del mondo particolarmente pericolose, che hanno richiesto la
massima attenzione per poterle raccontare al cinema. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori ed alle sue
location. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Rapimento e riscatto: la
trama del film
La vicenda del film si apre sulle
attività di Peter Bowman, ingegnere americano
impegnato da anni in progetti umanitari nei Paesi del terzo mondo.
Il suo nuovo incarico lo porta ora nello stato di
Tecala, situato in Sud America, dove dovrà
assistere i lavori di costruzione di una diga. L’uomo si reca
dunque lì accompagnato dalla moglie Alice, la
quale lo segue ovunque adattandosi alle complesse situazioni dei
paesi visitati. Il loro matrimonio, però, sta ultimamente
attraverso un delicato periodo, causato da un piccolo trauma
personale. Il silenzioso conflitto tra i due coniugi dovrà però
essere messo da parte nel momento in cui Peter viene rapito
dall’Esercito di Liberazione di Tecala.
Questo è un gruppo di guerriglieri
paramilitari, specializzato in rapimenti ed estorsioni al fine di
garantirsi un sostegno che lo Stato sembra non fornire. Rapendo
Peter, il gruppo intende richiedere un ricco riscatto. Ciò che non
hanno previsto, però, è l’intervento di uno dei massimi esperti in
negoziazione. Si tratta di Terry Thorne, veterano
dello Special Air Service britannico, ora impegnato nel risolvere
delicate situazioni come quelle. Collaborando a stretto contatto
con Alice, questi inizia a provare qualcosa per la donna, che
sembra ricambiarlo. Nel frattempo, la situazione di Peter si fa
sempre più difficile, rischiando che ogni giorno sia per lui
l’ultimo.
Rapimento e riscatto: il cast del film
Ad interpretare il negoziatore Terry
Thorne vi è, come anticipato, l’attore Russell Crowe.
Originariamente, in realtà, per il ruolo era stato considerato
l’attore Harrison Ford,
il quale però preferì rifiutare. La parte venne allora assegnata a
Crowe, all’epoca uno degli attori più popolari di Hollywood. Per
calarsi nel ruolo, questi studiò approfonditamente l’attività del
suo personaggio, cercando di comprendere le migliori tecniche da
attuare durante una negoziazione. Durante la lavorazione del film,
inoltre, Crowe ebbe modo di dare alcuni consigli di recitazione ad
un aspirante attore lì presente come comparsa. Quel giovane era
Henry Cavill,
che nel 2013 arrivò ad ottenere il ruolo di Superman in L’uomo d’acciaio, film
in cui Crowe recita nei panni di suo padre.
Accanto a Crowe, nei panni di Alice,
vi è l’attrice Meg Ryan.
Celebre per film come Harry, ti presento
Sally… e Insonnia d’amore,
questa ottenne un compenso di ben 15 milioni di dollari per
partecipare al film. La Ryan era in quegli anni una delle attrici
più popolari di Hollywood, estremamente richiesta e ben pagata. Nei
panni di suo marito Peter Bowman vi è invece l’attore David
Morse, noto per film come The Hurt Locker e per
la serie Dr. House – Medical Division. Gottfried
John è Eric Kessler, ex membro della Legione straniera e
anche lui prigioniero del gruppo armato. Questi, insieme a Peter,
progetterà una disperata fuga. Infine, Pamela Reed
interpreta Janis Goodman, mentre David Caruso è il
negoziatore Dino.
Rapimento e riscatto: le
location, il trailer e dove vedere il film in streaming e in
TV
L’intenzione originale dei
produttori era quello di dar luogo alle riprese in Colombia, lì
dove veri rapimenti di questo tipo avvengono. A causa dei pericoli
dati dai gruppi armati in azione nel paese, tuttavia, le riprese si
tennero in diverse zone dell’Ecuador. Il Paese rappresentato nel
film, Tecala, è infatti soltanto uno stato
fittizio, ma presentato con caratteristiche simili a quelle di
alcuni paesi delle Ande, come Colombia, Venezuela, Perù e lo stesso
Ecuador. In particolare, questo viene descritto come profondamente
in crisi per via degli scontri tra lo Stato e un gruppo
paramilitare noto come Esercito di Liberazione di Tecala, il quale
di natura marxista è stato più volte sostenuto dall’Unione
Sovietica.
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Rapimento e
riscatto è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Infinity, Apple
iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo
di sabato5 novembre alle
ore 21:00 sul canale 20
Mediaset.
Whitney
Avalon ha realizzato una rap battle da manuale.
Ricordate la ‘polemica’ che vedeva contrapposte da una parte le
principesse Disney classiche e dall’altra la nuova generazione di
principesse? Quelle indipendenti e alla ricerca dell’avventura e
dell’affermazione professionale?
Ebbene la Avalon ha realizzato una
battaglia a ritmo di rap tra i due gruppi di principesse; da una
parte Biancaneve, Cenerentola e Giselle, e dall’altra Elsa, Tiana e
Merida. Portavoci degli schieramenti sono ovviamente la prima
principessa Disney della storia, Biancaneve, e l’ultima in ordine
di tempo, Elsa, anzi una “motherfucking Queen”.
Con una lunga carriera alle spalle,
Raoul Bova è uno dei più noti attori italiani.
Attivo tanto in televisione quanto al cinema, Bova ha negli anni
dato vita ad una gran varietà di ruoli, affermandosi in particolare
per il genere poliziesco. Ha inoltre avuto anche l’occasione di
lavorare con importanti registi, che gli hanno permesso di maturare
come interprete e affermarsi sia presso il grande pubblico che con
la critica. Ecco 10 cose che non sai di Raol
Bova.
9. Ha preso parte a note
produzioni televisive. Negli anni Bova costruisce la
propria popolarità grazie anche ad alcune celebri serie, che gli
permettono di raggiungere un pubblico più ampio. Tra queste si
annoverano La piovra 7 (1995), A proposito di
Brian (2006), Intelligence – Servizi & Segreti
(2009), Come un delfino – La serie (2013), Fuoco
amico (2016) e I Medici (2018), dove recita accanto
ad attori come Guido Caprino,
Alessandro Preziosi,
Sarah Felberbaum,
Miriam Leone,
Alessandra
Mastronardi e Neri
Marcorè. Nel 2019 è stato invece tra i protagonisti di
La Reina del Sur.
8. È anche produttore,
sceneggiatore e regista. Bova ha compiuto il passaggio
dietro la macchina da presa per la serie Come un delfino,
di cui ha scritto, diretto e prodotto tutti e quattro gli episodi,
oltre ad averli anche interpretati. Ha inoltre partecipato alla
produzione dei film Milano Palermo – Il ritorno e
Sbirri.
7. Ha ricevuto importanti
riconoscimenti. Nel corso della sua carriera l’attore ha
ricevuto nomination ad importanti premi cinematografici. Tra questi
si annoverano i David di Donatello, dove è stato nominato come
miglior attore non protagonista nel 1996 per Palermo Milano
solo andata, e nel 2011 per La nostra vita. Ha poi
ricevuto due nomination ai Nastri d’argento come miglior attore
protagonista nel 2011 per Nessuno mi può giudicare, e nel
2013 per Buongiorno papà.
Raoul Bova è su Instagram
6. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram, dove possiede un totale di 645 mila follower. Qui è
solito condividere fotografie scattate in momenti di svago
quotidiano o curiosità varie. Non mancano poi anche immagini legate
al suo lavoro, attraverso cui promuove i propri progetti da
interprete, sia cinematografici che televisivi.
Parte delle cose che non sai
sull’attore
Raoul Bova: chi è sua moglie
5. È stato sposato.
Nel 2000 l’attore ha sposato Chiara Giordano, con cui aveva
intrapreso una relazione tempo addietro. La coppia mantiene negli
anni privata la propria vita privata, evitando di dar materiale di
cui parlare alle riviste di gossip. Tra i pochi annunci pubblici
rilasciati vi sono quelli riguardanti la nascita dei loro due
figli, rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Nel 2013, tuttavia, la
coppia annuncia la separazione.
Raoul Bova e Rocío Muñoz
Morales
4. Ha una nuova
compagna. Nel 2013 Bova intraprende una relazione con
l’attrice e modella spagnola Rocío Muñoz Morales, conosciuta sul
set del film Immaturi – Il viaggio. La coppia annuncia
negli la nascita di due figlie, la prima nel 2015 e la seconda nel
2018.
Raoul Bova: il suo fisico
3. È noto per la sua
prestanza fisica. Prima di diventare l’attore apprezzato
che è oggi, Bova aveva intrapreso una carriera da nuotatore,
arrivando anche a vincere all’età di 15 un campionato italiano
giovanile. Tale sport ha permesso all’attore di maturare un ottimo
fisico, mantenuto poi per poter ricoprire al meglio i suoi ruoli in
film o serie d’azione.
2. Ha portato in televisione
la propria passione. Bova non ha mai nascosto la sua
passione per il nuoto, decidendo di portarla anche in televisione.
Ha infatti personalmente ideato la serie Come un delfino,
ispirata alla storia di Domenico Fioravanti, ex nuotatore affetto
da ipertrofia cardiaca. Bova, nel ruolo del protagonista, ha
personalmente eseguito le scene di nuoto previste, sfoggiando
ancora un’ottima forma e un’ottima tecnica.
Raoul Bova: età e altezza
1. Raoul Bova è nato a
Roma, in Italia, il 14 agosto 1971. L’attore è alto
complessivamente 183 centimetri.
La serie drammatica western di
NetflixRansom Canyon tornerà ufficialmente con la
seconda stagione. Dopo la pubblicazione della prima stagione di 10
episodi a metà aprile 2025, Ransom Canyon è diventata una
delle nuove serie originali più viste su Netflix.
Ransom Canyon è ambientato in una piccola città del Texas
occidentale e racconta le vite intrecciate di un gruppo di
personaggi locali leggendari. Ransom Canyon è stato
sviluppato da April Blair sulla base di una serie di libri omonima
scritta da Jodi Thomas. Josh Duhamel è il protagonista del cast di
Ransom Canyon insieme a Minka Kelly, Eoin Macken,
Lizzy Greene, Garrett Wareing, Andrew Liner, Marianly Tejada e Jack
Schumacher.
Secondo Netflix
Tudum, la seconda stagione di Ransom Canyon è stata
rinnovata da Netflix dopo che la prima stagione è diventata un
successo in streaming, generando 2,6 miliardi di
visualizzazioni nell’episodio finale, nonostante le recensioni
contrastanti. Ransom Canyon ha ottenuto solo il 45% di
recensioni positive su Rotten
Tomatoes, ma ha ottenuto un punteggio molto più positivo da
parte del pubblico, pari al 73%. Inizialmente commercializzato come
la risposta di Netflix a Yellowstone, Ransom Canyon
vira verso il romanticismo e la soap opera, anche se si concentra
su un gruppo di famiglie di allevatori che competono per la terra,
lo status e la prosperità nella loro idilliaca cittadina. Ransom
Canyon ha una colonna sonora fantastica e un cast corale molto
forte.
Cosa significa per Netflix il
rapido rinnovo della seconda stagione di Ransom Canyon
Il rinnovo di Ransom Canyon
per una seconda stagione da parte di Netflix dimostra una grande
fiducia nella sua nascente serie western. Da quando la prima stagione di Ransom Canyon si è conclusa con un
finale mozzafiato, gli spettatori si aspettavano già l’annuncio di
una seconda stagione. La parte interessante dell’espansione
televisiva di Ransom Canyon sarà scoprire quale strada
prenderanno Blair e gli sceneggiatori con il cast originale, dato
che i libri sono più antologici. Alcuni personaggi chiave, come
Staten Kirkland di Duhamel, Yancy Grey di Schumacher e Dan Brigman
di Philip Winchester, compaiono nei libri successivi, ma non esiste
un formato seriale consolidato.
Il rapido rinnovo della seconda
stagione di Ransom Canyon da parte di Netflix suggerisce che
l’espansione della serie fosse già prevista. Inoltre, rende palese
che per Netflix gli ascolti sono fondamentali e l’accoglienza
della critica non gioca un ruolo determinante nella scelta
delle serie in cui investire e di quelle da cancellare dopo una
sola stagione.
Il rinnovo di Ransom Canyon
ha senso, ma presenta una sfida simile a quella dell’inaspettata
espansione della seconda e terza stagione della serie drammatica
storica Shōgun di FX/Hulu.
Il rinnovo di Ransom Canyon ha
senso, ma presenta una sfida simile all’inaspettata espansione
della seconda e terza stagione della serie drammatica storica
FX/Hulu Shōgun. Simile a Shōgun, che ha vinto 18 Emmy lo scorso
anno, Ransom Canyon dovrà probabilmente affidarsi maggiormente al
suo staff di sceneggiatori per la seconda stagione, al fine di
ideare trame originali e sviluppi dei personaggi.
Il finale dell’episodio 10 di
Ransom Canyon di Netflix,
“Maybe It’s Time Yancy Grey Dies Too” (Forse è ora che anche Yancy
Grey muoia), lascia alcuni personaggi con un lieto fine e altri
avvolti nel mistero. Dopo la morte del nonno di Yancy, Cap Fuller,
alla fine dell’episodio 9, l’episodio 10 si apre con un montaggio
di diversi personaggi del cast di Ransom Canyon che si
trovano ad affrontare un bivio difficile. Mentre Ellie piange la
morte di Cap e Lauren fatica ad accettare una ferita che le
cambierà la vita, Yancy seppellisce Cap nel suo ranch e Lucas
scopre che Kit ha firmato i documenti per la sua emancipazione.
Quinn e Staten finalmente si mettono insieme dopo che lei ha
ufficialmente lasciato Davis, solo per vedere la loro storia
d’amore tanto attesa andare in pezzi nei momenti finali del finale
della Ransom Canyon – stagione 1.
Lucas fa un grande gesto romantico
nella sala da ballo, riconquistando il cuore di Lauren, mentre
Ellie lascia Yancy all’altare dopo che una donna che sostiene di
essere la moglie di Yancy appare dal nulla. La cosa più scioccante
di tutte è che lo sceriffo Brigman è costretto ad arrestare sua
moglie Margaret con l’accusa di omicidio colposo per la morte del
figlio di Staten, Randall Kirkland.
I ruoli di Margaret e Kit nella
morte di Randall
Dopo che Kit è stato arrestato per
il suo coinvolgimento nella morte di Randall, lo sceriffo Brigman
ha dovuto fare l’impensabile e arrestare sua moglie, poiché era
lei, e non Kit, a guidare il camion Ford che ha causato l’incidente
di Randall. Margaret non ha un ruolo importante nella serie,
essendo la madre alcolizzata di Lauren. Si scopre che aveva una
relazione con Kit, che era con lei nel camion la notte in cui
Randall è morto.
Kit chiamò Reid per fargli prendere
il furgone, cancellare il numero di telaio e scaricarlo in un lago
vicino, dove Lucas scoprì il furgone sommerso mentre nuotava con
Lauren. Reid doveva un favore a Kit, ed è così che lui e Nick sono
stati coinvolti. Alla fine, Margaret probabilmente guidava
ubriaca e ha sbandato, costringendo Randall a schiantarsi con
l’auto che suo zio Davis gli aveva regalato.
Yancy Grey ha davvero una
moglie?
Yancy taglia i ponti con Davis e
decide di onorare Cap non vendendo la sua terra alla Austin Water &
Power, cosa che aveva inizialmente accettato di fare per convincere
Davis ad aiutarlo a uscire di prigione. La morte di Cap ispira
Yancy a ricominciare da zero. Chiede a Ellie di sposarlo per
capriccio e lei alla fine accetta, ma lo lascia all’altare dopo che
una donna che sostiene di essere sua moglie entra nella sala da
ballo.
Ovviamente, questa è una grande
sorpresa, dato che Yancy non l’aveva mai menzionata prima. Potrebbe
essere un’impostora, ma in ogni caso Yancy dovrà dare delle
spiegazioni all’inizio della seconda stagione di Ransom
Canyon.
Perché Staten ha lasciato il
braccialetto di Quinn al bar
Proprio quando pensi che Staten
abbia finalmente ritrovato il buon senso e deciso di perseguire una
relazione con Quinn, lui se ne va. Ha lasciato al bar il
braccialetto di tweed che Quinn gli aveva legato al polso quando
era seduto lì, come segno che non voleva trattenerla. Staten è
convinto di fare la cosa migliore per Quinn andandosene,
soprattutto dopo aver tradito la sua fiducia e aver rivelato
pubblicamente i debiti di Davis, che Quinn aveva chiesto di tenere
segreti. Staten dimostra che Quinn aveva ragione quando diceva che
lui “voleva solo il suo dolore”, perché si allontana da
quella che sembra essere l’amore della sua vita.
La vera identità di Yancy Grey e
la storia della famiglia Fuller spiegata
Uno dei vari misteri su Yancy Grey è
chi sia e da dove venga. Inizialmente, Yancy voleva vendicarsi
di Cap, suo nonno biologico, per aver allontanato sua madre, la
figlia di Cap, quando aveva bisogno di aiuto dopo la morte di
Lincoln, suo marito. Yancy scopre solo dopo la sua morte che Cap ha
passato anni a cercarli, tormentato da ciò che aveva fatto. In
quanto nipote di Cap, è un Fuller e il parente più prossimo. Non è
chiaro se il suo vero nome sia Yancy e cosa abbia fatto per finire
in prigione.
Perché Lauren ha cercato di
rompere con Lucas
Lauren e Lucas sembravano avere la
relazione più stabile di Ransom Canyon fino a quando Lauren
non è caduta durante un’esibizione di cheerleading, rompendosi una
spalla. Il suo sogno di andare alla UT Austin per fare cheerleading
è ora ufficialmente finito, lasciandola devastata. Prima della
caduta, lei vede Lucas tra la folla e capisce immediatamente che
è turbato per qualcosa, che alla fine si rivela essere la
volontà di Kit di firmare i documenti di emancipazione.
È stata questa distrazione a causare
la caduta di Lauren, anche se in realtà non è stata colpa di Lucas.
Lei non incolpa Lucas, quanto piuttosto si sente imbarazzata e
sconfitta per aver rovinato la sua seconda possibilità di
frequentare la scuola dei suoi sogni, mentre Lucas ha ricevuto
diverse offerte da alcuni dei migliori college del paese.
La storia della relazione tra
Kai ed Ellie
Per gran parte di Ransom
Canyon, sembrava che Kai avesse una cotta per Ellie, ma fosse
bloccato nella zona amici. Come si scopre nel finale della prima
stagione di Ransom Canyon, la preoccupazione di Kai per il
matrimonio di Ellie con Yancy non era solo frutto di un
desiderio speranzoso di poterla ancora conquistare, ma era
invece basata su una relazione passata.
Kai potrebbe avere ragione su
Yancy, dopotutto, dato che sembra sempre nascondere uno o due
segreti.
A quanto pare, Kai corrispondeva
al profilo del “cattivo ragazzo” che piaceva a Ellie quando si sono
incontrati anni fa. Kai si è rimesso in riga ed è diventato un
poliziotto, mentre Yancy sembra seguire un percorso simile per
redimersi. Kai, tuttavia, potrebbe avere ragione su Yancy, dato che
sembra sempre nascondere qualche segreto.
Perché Davis ha ingannato Staten
per farglielo colpire
Davis cerca incessantemente di
sottrarre a Staten il suo ranch in modo che lui e la sua ex moglie
Paula Jo, che fa parte del consiglio di amministrazione della
Austin Water & Power, possano trarne vantaggio. Vogliono
costruire un acquedotto che attraversi la terra di Staten,
ma lui si rifiuta. Hanno prima cercato di far fallire l’ispezione
dei suoi pozzi, anche se sarebbero stati a posto se Paula Jo non
avesse corrotto e ricattato il personale dell’AW&P per far
fallire falsamente i pozzi di Staten.
Staten avrebbe dovuto sborsare
milioni per riparare i pozzi se Reid non avesse rivelato una
registrazione in cui Paula Jo ammetteva il piano. Con il padre di
Staten che cerca di usurpare il suo ruolo di amministratore del
ranch per vendetta nei confronti del padre che lo ha ignorato,
Davis provoca Staten affinché lo colpisca, fornendo così al padre
di Staten la prova che Staten non è adatto a ricoprire il ruolo di
amministratore.
Quinn lascerà Ransom Canyon per
New York?
Dopo che Staten ha lasciato Quinn in
asso ancora una volta, lei considera l’idea di tornare a New York
per suonare il pianoforte nella famosa orchestra filarmonica. Senza
Staten a trattenerla a Ransom e con la sala da ballo che rischia di
chiudere, Quinn potrebbe benissimo accettare l’offerta e andarsene
da Dodge. Sebbene il cuore di Quinn sia a Ransom Canyon, sa anche
che il suo talento di musicista può portarla lontano. Dato che
Staten continua a sprecare tempo con la loro relazione, Quinn
potrebbe partire verso cose più grandi e migliori, anche se non è
chiaro se sia davvero quello che vuole.
Il vero significato del finale
di Ransom Canyon
Il finale della prima stagione di
Ransom Canyon si conclude con diversi colpi di scena che
terranno gli spettatori con il fiato sospeso fino a una potenziale
seconda stagione, che non è ancora stata annunciata da Netflix. Mentre era abbastanza prevedibile che Staten
avrebbe rovinato di nuovo tutto con Quinn, il passato di Yancy
continua a riservare sviluppi sorprendenti, facendo chiedere
agli spettatori se sia un uomo incompreso o semplicemente un
truffatore dal cuore di ghiaccio.
Lauren ha avuto la caduta più dura
di tutti i personaggi di Ransom Canyon e ora teme di rimanere
bloccata nella sua città natale ancora più a lungo dopo l’arresto
di sua madre. Almeno ha Lucas, che è perdutamente innamorato di
lei.
L’alleanza tra il padre di
Staten e Davis non è certo una buona cosa per lui, che dovrà
difendersi brillantemente per mantenere il suo ranch.
Anche se Margaret viene arrestata
per la morte di Randall, non abbiamo ancora visto come ha reagito
Staten, a parte andare sulla scogliera, un luogo panoramico che
amava frequentare con suo figlio. L’alleanza tra il padre di Staten
e Davis non è certo una buona notizia per lui, che dovrà difendersi
con tutte le sue forze per mantenere il ranch. La domanda più
importante senza risposta, tuttavia, è chi sia la misteriosa moglie
di Yancy, che gli spettatori moriranno dalla voglia di sapere fino
all’uscita della seconda stagione di Ransom
Canyon.
Nel corso della sua carriera il
premio Oscar Ron Howard si è cimentato nella regia di film
di genere continuamente diverso. Dalla commedia fantasy Splash – Una sirena a Manhattan al dramma spaziale
Apollo 13, dal biografico A Beautiful Mind al
thriller Il codice Da Vinci. E proprio a proposito di
thriller, un altro titolo da lui diretto, meno noto ricordato
rispetto ai titoli qui citati, è Ransom – Il
riscatto, del 1996. Si tratta di un cupo thriller
dove non ci si fa scrupoli nel porre in pericolo anche i più
indifesi. Un dettaglio che rese il film controverso sin dalla sua
uscita in sala.
La sceneggiatura, scritta da
Richard Price e Alexander Ignon,
si ispira all’episodio Fearful Decision, della serie
antologica degli anni Cinquanta The United States Steel
Hour. A distanza di anni, è ancora un film capace di offrire
grande tensione anche per i moderni standard del genere,
dimostrandosi una visione quantomai valida. Prima di intraprendere
una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire
alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui
nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
La trama di Ransom – Il riscatto
Protagonista del film è Tom
Mullen, un ricco imprenditore a capo di una compagnia
aerea privata. L’uomo vive a New York con la sua bella moglie
Kate e Sean, il figlio di nove
anni. Un giorno, quest’ultimo viene rapito da un gruppo di
delinquenti. Poco dopo, i due genitori ricevono un filmato nel
quale viene richiesto un riscatto di due milioni di dollari, con
l’avvertimento di non contattare la polizia per nessun motivo
altrimenti il bambino sarebbe morto. Dopo un iniziale
tentennamento, Tom e Kate decideranno di rivolgersi all’FBI, che
invia una squadra capitanata dall’agente Lonnie
Hawkins, il quale allestisce a casa loro un centro
operativo per monitorare la situazione.
Hanno così inizio le operazioni per
cercare di capire chi siano i rapitori e come poter salvare il
bambino prima che sia troppo tardi. Le cose si complicano quando le
prime trattative vanno male e per Sean la situazione si fa sempre
più disperata. Con la stampa ormai a conoscenza del rapimento e le
notizie cominciano a circolare su tutti i telegiornali, Tom capirà
di dover agire senza l’aiuto dei federali: facendo un appello in
diretta televisiva durante un telegiornale, trasforma il riscatto
in una taglia sui rapitori. Da quel momento, gli equilibri si
ribaltano e la situazione diventerà sempre più critica.
Il cast di Ransom – Il riscatto
Per il ruolo di Tom Mullen sono
stati considerati attori del calibro di Kurt Russell,
Harrison Ford, Kevin Costner e Dennis Quaid,
ma ad ottenere il ruolo è poi stato Mel Gibson. Lui e
Howard si erano già incontrati all’edizione dei premi Oscar del
1996, dove concorrevano con i film Apollo 13 Howard e
Braveheart – Cuore impavido
Gibson. Fu quest’ultimo infine a vincere il premio per il Miglior
film. Nei panni della moglie Kate vi è invece l’attrice
Rene Russo. Riguardo a lei Howard ha raccontato di
aver frequentato la sua stessa scuola e di aver avuto una cotta per
l’attrice, ma era stato troppo timido per chiederle di uscire.
Russo, in seguito, ha ammesso a sua volta di aver avuto una cotta
per Howard, senza mai rivelarlo.
Ad interpretare il figlio Sean vi è
l’attore Brawley Nolte, figlio del noto attore
Nick Nolte, mentre per il ruolo di Jimmy Shaker
Howard aveva inizialmente pensato all’attore Alec Baldwin, il quale ha rifiutato a causa
della natura sinistra del personaggio, nonché del tema del film
dove si in pericolo un bambino. Per lo stesso motivo anche
l’attore Ray Liotta ha
rifiutato il ruolo. A interpretare il personaggio è infine stato
Gary Sinise. Recitano poi nel film anche
Delroy Lindo nei panni di Lonnie Hawkins,
Lily Taylor in quelli di Maris Conner e
Liev Schreiber e Donnie Wahlberg
in quelli dei gemelli Clark e Cubby Barnes.
Il trailer di Ransom – Il riscatto e dove vedere il
film in streaming e in TV
Sfortunatamente, al momento
Ransom – Il riscatto non è presente su
nessuna delle piattaforme streaming disponibili in Italia. Per
poterlo vedere, è dunque possibile affidarsi unicamente al suo
passaggio in televisione. Attualmente, il film è presente nel
palinsesto televisivo di sabato 6 maggio alle ore
21:00 sul canale Iris.
Johnny Depp dismessi i panni del camaleontico
Jack Sparrow
(già pronto a tornare per il quarto episodio) ha trovato il suo
nuovo alter ego nell’altrettanto istrionico
Rango, il camaleonte, a cui presta la
voce nella versione originale. Rango è il
protagonista dell’omonimo film d’animazione diretto proprio da
Gore Verbinski, il regista dei primi tre film
della saga dei Pirati dei Caraibi.
Uscirà in Italia l’11 Marzo ed è
uno tra i più riusciti film d’animazione degli ultimi tempi.
Destinato anche ad un pubblico adulto che ha oramai grande
confidenza con l’ironia di questi cartoons sul modello Shrek.
Rango è un giovane camaleonte costretto a
vivere nello spazio ristretto del suo terrario dove combatte la
solitudine a cui è destinato con generici sogni di celebrità.
Finirà sbalzato, dalla macchina che lo trasporta, nel mezzo del
deserto. Goffo e ingenuo ,ma anche pieno di fantasia e capacità
d’improvvisare, Rango saprà di volta in volta vincere tutte le
sfide dell’ostile mondo con cui dovrà confrontarsi. Diventerà la
sceriffo della cittadina Polvere afflitta dalla mancanza d’acqua.
Saprà essere sempre più furbo e coraggioso, in un mondo in cui è
più difficile di quel che sembra trovare i veri cattivi.
La trama, per chi se lo ricorda, ha
molte similitudine con Fievel conquista il west, divertente film
d’animazione prodotto nel 1991 da Steven Spielberg, ma al di là di
questo ha anche uno stile molto personale: grande ritmo e
avvincenti scene d’azioni unite a gag spesso originali e in alcuni
casi indirizzate proprio ai più grandi, soprattutto a quei cinefili
che non potranno non sorridere delle moltissime citazioni che
spaziano dai più classici western (da Il buono il brutto e cattivo
a I magnifici sette) ad una serie di cult, incluso l’autoironico
omaggio al Johnny Depp di Paura e Delirio a Las
Vegas. Al di là di alcune scelte più classiche, ma comunque ben
integrate nel contesto, Rango è un film divertente, ironico e
maturo, in grado anche di momenti di tensione e paura (soprattutto
per i più piccoli): sceglie di presentare una serie di personaggi
caratterizzate da forti deformazioni grottesche: rospi scontrosi,
conigli con orecchie mozze, ratti dallo sguardo torvo. Ma le
situazioni in Rango sono giocate sui veloci ribaltamenti che
trovano la risata del pubblico (senza distinzioni d’età) nel
capovolgere proprio i momenti di tensione.
Ottima la qualità delle animazioni
e la definizione dei particolari (personaggi curati fin nei
dettagli). Bellissimi i paesaggi e gli effetti di luce che li
immergono nel sole o in esotiche notti. La regia sa sfruttare
l’ottimo lavoro degli studi d’animazione ILM di George Lucas,
soprattutto in alcune sequenze molto pregevoli. Le scelte di regia
di Gore Verbinski, forti delle grandi prove
offerte con la saga dei Pirati dei Caraibi, riescono a seguire le
frenetiche vicende in cui Rango è coinvolto: spettacolari e
spassosi inseguimenti da action movies accompagnati
dall’altrettanto ironica e citazionistica colonna sonora di
Hans Zimmer (che già ha saputo dare brio alle
rocambolesche azioni di Jack Sparrow). Bellissimo l’ inseguimento
tra una flotta di talpe che pilotano pipistrelli e la contraerea
della carovana guidata da Rango e i suoi amici, con tanto di
Cavalcata delle valchirie ad accompagnare le epiche sequenze. In
una parola divertente!
Che il genere western sia da sempre
uno dei più apprezzati e memorabili della storia del cinema è cosa
ormai nota. Con i suoi paesaggi e personaggi caratteristici, questo
influenza ancora oggi numerose opere più o meno esplicitamente ad
esso appartenenti. Tra i maggiori casi a riguardo vi è il film
d’animazione Rango, diretto
nel 2011 da Gore Verbinski. Divenuto un vero e
proprio caso cinematografico, questo ha permesso alle atmosfere del
vecchio west di prendere nuovamente vita sul grande schermo con
un’animazione che ne esalta tutte le principali caratteristiche,
dalla polvere alla natura macabra di certi particolari.
Per il regista, reduce dalla
complessa esperienza dei primi tre film dei Pirati dei
Caraibi, Rango era l’occasione di dar vita ad un
progetto più piccolo. Egli tuttavia sottovalutò la complessità
della realizzazione grafica richiesta, per il quale fu necessario
molto più lavoro del previsto. Il risultato è però particolarmente
sorprendente, e ancora oggi il film vanta un caratteristiche
estetiche che gli permettono di distinguersi tra i tanti film
d’animazione ogni giorno sempre più curati al minimo dettaglio. Il
successo fu tale che Rango arrivò ad ottenere alcuni dei
maggiori riconoscimenti cinematografici dell’anno.
A fronte di un considerevole budget
di circa 135 milioni di dollari, questo riuscì ad incassarne
complessivamente 245 in tutto il mondo. In seguito, il titolo
arrivò a vincere il premio Oscar come miglior film d’animazione.
Questo fu il primo film non prodotto dalla Disney o dalla Pixar a
vincere il premio dal 2006 a quel momento, e mantenne tale primato
sino al 2018. Numerose altre sono però le curiosità legate al film,
molte delle quali legate agli attori che prestarono la propria voce
per i personaggi principali del film. Proseguendo nella lettura
sarà qui possibile scoprire tutto ciò che c’è da sapere su
Rango.
Rango: la trama del film
Protagonista del film è il
camaleonte di nome Rango, il quale improvvisamente si ritrova
strappato dal suo tranquillo terrario in seguito ad una brusca
manovra dell’auto su cui stava viaggiando. Egli si ritrova così nel
bel mezzo della strada che attraversa il Deserto del Mojave.
Totalmente inadatto alla vita selvaggia, egli si trova sin da
subito a doversi scontrare con una serie di pericoli mortali, che
lo porteranno a comprendere la gravità della sua nuova situazione.
Ad aiutarlo, per sua fortuna, troverà Borlotta, una giovane iguana
con un involontario meccanismo di difesa che la porta a
paralizzarsi ogni volta che si arrabbia. Questa, attratta dai modi
di fare del camaleonte, decide di portarlo con sé nella cittadina
di Polvere, la quale è attraversata da una grave siccità.
Qui per Rango ha inizio una nuova
vita, e riuscito involontariamente ad uccidere il falco che
terrorizzava il paese si ritrova nominato sceriffo. Colto da un
eccesso di orgoglio, egli inizia così ad attribuirsi una serie di
gesta eroiche mai realmente compiute. C’è però una minaccia di cui
Rango non è a conoscenza, e che rischierà di far saltare i suoi
sogni di gloria. L’aver ucciso il falco, infatti, ha aperto la
strada ad un predatore ben più temibile e pericoloso, il quale è
pronto ad abbattersi su Polvere. Allo stesso tempo, in qualità di
sceriffo, Rango è chiamato a risolvere il problema della siccità,
per il quale scoprirà esserci un motivo particolarmente
inaspettato.
Rango: i personaggi e il cast di
attori
Per dare vita alle voci dei
personaggi protagonisti del film, il regista Verbinski decise di
riunire tutti gli attori in un unico ambiente, permettendo loro di
interagire concretamente nella loro attività di doppiaggio. Questo,
come anche il dotare gli interpreti di veri costumi western,
contribuì non solo ad una maggiore immedesimazione, ma anche a dar
vita ai brillanti scambi di battute presenti nel film. Per la voce
di Rango, il camaleonte protagonista, Verbinski
scelse l’attore Johnny
Depp, con cui aveva già collaborato per Pirati
deiCaraibi. L’attore, noto per il non riguardare i
propri film, ammise che Rango è la sua unica eccezione a
riguardo. Accanto a lui, nel ruolo dell’iguana
Borlotta, si ritrova invece l’attrice Isla
Fisher, mentre il celebre Ned Beatty
dà voce al sindacoJohn, una
tartaruga del deserto.
Alfred Molina è
invece la voce di Carcassa, un armadillo che fornirà a Rango una
serie di lezioni utili sotto forma di metafore. L’attore Bill
Nighy, già villain in Pirati dei Caraibi, dà
qui voce al temibile Jake Sonagli, un serpente che
al posto del caratteristico sonaglio al termine della coda vanta un
fucile mitragliatore a canne girevoli. Egli sarà il principale
problema di Rango all’interno del film. Sono poi presenti Abigail
Breslin nei panni del roditore
Priscilla, Harry Dean Stanton in
quelli della talpa Balthazar, e Ray
Winstone per il mostro di gila Bill.
Vincent Kartheiser, noto per la serie Mad
Men, è qui Ezechiele, figlio di Balthazar.
L’attore Timothy
Olyphant, infine, da voce al personaggio chiamato
Spirito del West, il quale viene raffigurato con
le sembianze di Clint
Eastwood all’epoca dei suoi primi film western.
Rango: il sequel, il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
Dato il grande successo del film,
Rango divenne da subito un prodotto particolarmente
gettonato, ampliandosi anche al mercato dei giocattoli e dei
videogiochi. Era inoltre lecito aspettarsi la conferma di un
sequel, che avrebbe così ampliato l’universo narrativo da molti
apprezzato. Per anni, tuttavia, nessuna informazione concreta è
stata rilasciata a riguardo, e le speranze di rivedere sul grande
schermo il simpatico camaleonte sono così infine state messe a
tacere. Nel 2017, tuttavia, in occasione della presentazione del
suo nuovo film, La cura del
benessere, Verbinski ha dichiarato di non aver mai
pianificato un sequel, ma di essere aperto alla possibilità di
realizzarlo qualora la giusta idea si presentasse sul tavolo.
In attesa di ulteriori notizie, per
gli appassionati del film è possibile fruire di Rango
grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Il film è infatti
disponibile nel catalogo di Rakuten TV,Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Netflix e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno martedì 1
dicembre alle ore 21:10 sul canale
Paramount Channel.
Quanti intoppi produttivi per The Lone
Ranger, nuovo e atteso lavoro di Gore Verbinsky (regista di The
Ring, Rango e del franchise Pirati dei Caraibi) con Arnie Hammer
(il ranger del titolo) e Johnny
Randall Wallace si è spesso trovato
su teatri di guerra cinematografici nel corso della sua carriera,
sia quelli più antichi – ha scritto Braveheart – che quelli
moderni: dalla sua penna è uscito Pearl Harbor e ha diretto We were
soldiers. Il regista torna ora sul luogo del delitto, ancora una
volta la Seconda Guerra Mondiale, per un lavoro intitolato
L’obbiettore di coscienza.
La storia è statta da una vicenda
realmente accaduta, raccondata dal Premio Pulitzer Robert
Schenkkan, incentrata su Desmond Doss, un fedele degli
Avventisti del Settimo Giorno arruolato nel 1942, ma trasferito nel
settore medico perchè rifiutatosi di usare armi. Grazie ai suoi
servigi, Doss è stato il primo obbiettore di coscienza a ottenere
la Medaglia d’Oro del Congresso Americano. L’inizio delle riprese
non è ancora stato fissato, anche perché Wallace sta attualmente
stendendo le bozze per le sceneggiature di Outlander, Killing Rommell e del nuovo 20.000 Leghe
sotto i mari della Disney.
Randall Wallace, regista conosciuto
per lavori come Secretariat, We Were Soldiers e The Man in The Iron
Mask si cimenterà in un film a sfondo religioso con Heaven Is for
Real: A Little Boy’s Astounding Story of His Trip to Heaven and
Back, adattamento dell’omonimo libro, definito un dramma famigliare
basato sulla fede. Alla produzione, Joe Roth, che con Snow
White and the Huntsman, Alice in Wonderland e il prossimo Oz The
Great And Powerful è diventato uno dei personaggi più in vista
del cinema hollywoodiano.
La sceneggiatura sarebbe in corso
di scrittura da parte di Christopher Parker, che sta lavorando sul
romanzo originale, firmato da Todd Burpo e Lynn Vincent, basato
sulla vera storia del figlio dello stesso Burpo, che afferma di
aver vissuto un’esperienza pre-morte, affermando di aver visitato
il paradiso. Amici e famigliari sono portati inizialmente a
non credergli, ma poi il protagonista comincia a raccontare loro
particolari riguardanti persone già defunte in passato, dei quali
lui non poteva essere a conoscenza. Randall Wallace è stato
recentemente afficancato ad un altro film dai risvolti religiosi,
The Conscientious Objector, ambientato nel corso della Seconda
Guerra Mondiale, e parteciperà in vesti di produttore a
Gunslingers, film d’azione con protagonista Vince Vaughn.
Rance Howard, padre
di Ron, è scomparso a 89 anni. Lascia una grande
impronta nella recitazione.
Nato in Oklahoma nel 1928, Harold
Race Beckenholdt, ha frequentato l’università per poi trasferirsi a
New York per iniziare la sua carriera d’attore. Ha iniziato nel
teatro, lavorando con una compagnia itinerante: in questo periodo
ha recitato anche con Henry Fonda nello spettacolo
Mister Roberts.
Dopo ha iniziato a lavorare nel
cinema e nella TV. Con il figlio Ron ha debuttato nel film
Frontier Woman.
Mentre il figlio maggiore Clint è
più conosciuto per i suoi lavori in TV (The X-Files, ER and
Babylon 5, Quantum, Leap e The Walton) Rance ha preso parte in
numerosi film diretti dal figlio Ron inclusi Cocoon,
Angeli e demoni e A Beatiful Mind lavorando dal 1962 a
oggi. Ha reso parte anche a due film che sono ancora in
lavorazione.
Clint & I have been blessed to be Rance
Howard’s sons. Today he passed at 89. He stood especially tall 4
his ability to balance ambition w/great personal integrity. A
depression-era farm boy, his passion for acting changed the course
of our family history. We love & miss U Dad.
Il 6 agosto arriva su
StarzPlay la seconda stagione di
Ramy, la serie Hulu che ha già conquistato un
Golden Globe per la migliore performance maschile in una serie
comedy ed è
candidata a tre Emmy Awards, scritta, interpretata e diretta
dallo stand-up comedian Ramy Youssef.
Youssef fa parte di quella schiera
di comici americani che, partendo da uno spunto autobiografico,
hanno realizzato una serie tv che racconta le idiosincrasie di
un’esistenza “di mezzo”. Lui è infatti un americano del New Jersey
di origini egiziane e per tanto vive tutti i giorni le
contraddizioni che affronta chi si trova a cavallo tra due culture
e vorrebbe che queste coesistessero pacificamente nella propria
vita.
Ramy, dove
eravamo rimasti
Nella prima stagione di
Ramy, lo stand-up comedian ha raccontato proprio
questa difficoltà, adottando il tono della commedia ma senza
evitare gli argomenti spinosi, spiattellandoli davanti agli occhi
dello spettatore in maniera totalmente disarmante. La seconda
prende il via poco dopo il finale della prima, Ramy Hassan
(Youssef) ritorna dal suo viaggio in Egitto
gravemente depresso. Aveva sperato di connettersi con la sua
spiritualità e la sua famiglia e invece ha finito per andare a
letto con sua cugina. Ora è tornato a casa nel New Jersey e tutto
quello che riesce a fare è masturbarsi mentre mangia caramelle
gommose.
D’improvviso, stimolato anche dagli
amici, decide di dedicarsi a diventare un musulmano migliore.
Questa è la premessa della seconda stagione di Ramy, che non
mancherà di offrire spunti di riflessione ma anche di presentarsi
come un lavoro più maturo di Youssef, rispetto al primo ciclo che
comunque era caratterizzato da una certa leggerezza.
Guest star della stagione è il due
volte premio Oscar Mahershala Ali, che interpreta il leader
spirituale di Ramy con un’eleganza rara e con una gravitas
che smorza quasi completamente quella che sembra un’inettitudine
patologica del protagonista. Ramy si rivela un discepolo
estremamente distratto, desideroso di fare la cosa giusta ma
carente di motivazione concreta. E come accade nel primo ciclo, le
vicissitudini del protagonista sono solo l’inizio di un racconto
che, pur seguendo dei binari orizzontali lungo tutta la stagione,
trova spazio in una struttura verticale che approfondisce anche con
cattiveria i temi più disparati, dalla condizione della donna,
all’antisemitismo, fino al problema dei veterani di guerra e del
loro ricollocamento nella società.
La seconda stagione di
Ramy è orientata verso una nuova considerazione
della religione, rispetto al primo ciclo di episodi. Se lì si aveva
la sensazione che il senso di colpa e vergogna fossero i principali
compagni di Ramy, in questa sede, attraverso la figura di Ali, il
personaggio comincia ad intraprendere un percorso personale che
intende la religione come una strada che porta alla comprensione,
verso un altro modo di intendere gli essere umani e i rapporti tra
di essi.
Ramy 2 incupisce
i toni e innalza i temi
Ramy — “frank in the future” – Episode 208 — Ramy (Ramy Youssef)
and Zainab (MaameYaa Boafo). (Photo by: Craig
Blankenhorn/Hulu)
Il principale pregio della serie è
che porta i suoi personaggi ad avere esperienze universali,
disancorate dal contesto etnico e religioso, ma allo stesso tempo
affronta con schiettezza e un certo grado di cinismo problematiche
quali l’islamofobia o l’ostilità verso gli immigrati. Lo show è
pieno di personaggi sgradevoli ma anche pieno di un’umanità
appassionata e proprio questa moltitudine di gradazioni dell’essere
umano rende la serie rappresentativa, inclusiva, vicina a chiunque,
anche oltre i confini degli Stati Uniti.
Ramy è un
personaggio irrisolto, la sua religione non gli offre risposte,
anzi gli pone domande che restano aperte sempre con un tono
scomodo, divertente, continuamente alla ricerca di quello stupore
verso l’uomo e la vita che il protagonista porta stampato sul suo
volto.
Lunedì 2 novembre
alle ore 20.45 al cinema Odeon di Bologna e Martedì 3
novembre alle ore 21.00 al cinema Colosseo di Milano, Sala
Bio presenta l’anteprima di RAMS – Storia di due
fratelli e otto pecore del regista islandese
Grímur Hákonarson. Il film, presentato in
anteprima mondiale allo scorso Festival di Cannes, ha vinto in
quell’occasione il premio della sezione Un Certain
Regard.
In una remota valle agricola
islandese, due fratelli che non si parlano da quarant’anni devono
unire le forze per salvare la cosa a cui tengono di più: il loro
gregge.
RAMS sarà distribuito nelle
sale italiane a partire dal 12 novembre 2015 da BIM Distribuzione.
Sarà presentato in anteprima anche a Sala Bio Milano martedì 3
novembre presso il cinema Colosseo.
RAMS – Storia di due
fratelli e otto pecore
(Islanda/2015/93’) di Grímur
Hákonarson
In una valle islandese isolata,
Gummi e Kiddiley vivono fianco a fianco, badando al gregge di
famiglia, considerato uno dei migliori del paese. I due fratelli
vengono spesso premiati per le loro preziose pecore appartenenti a
un ceppo antichissimo. Benché dividano la terra e conducano la
stessa vita, Gummi e Kiddi non si parlano da quarant’anni. Quando
una malattia letale colpisce il gregge di Kiddi, minacciando
l’intera vallata, le autorità decidono di abbattere tutti gli
animali della zona per contenere l’epidemia. E’ una condanna a
morte per gli allevatori, per cui le pecore costituiscono la
principale fonte di reddito, e molti abbandonano la loro terra. Ma
Gummi e Kiddi non si arrendono tanto facilmente, e ognuno dei due
cerca di evitare il peggio a modo suo: Kiddi usando il fucile e
Gummi usando il cervello. Incalzati dalle autorità, i due fratelli
dovranno unire le forze per salvare la loro speciale razza ovina, e
se stessi, dall’estinzione.
Sono cominciate da una settimana le
riprese di Rampage, il nuovo film che vede
protagonista l’inarrestabile Dwayne Johnson,
basato sull’omonimo gioco arcade. Fa parte del cast del film anche
Joe Manganiello, che ha condiviso una foto del suo
costume. Eccola di seguito:
Il film, che sarà distribuito dalla
New Line Cinema e prodotto da Beau
Flynn, è la reunion del team dietro San
Andreas: la pellicola, infatti, sarà diretta da
Brad Peyton e sceneggiata da Carlton
Cuse (affiancato da Ryan Condal).
Nel cast del film ci sono
Dwayne Johnson, Naomie Harris, Joe Manganiello, Jeffrey
Dean Morgan e Marley Shelton.
Dopo il sanguinoso finale di
stagione di The Walking Dead,
Jeffrey Dean Morgan, che nello show interpreta il
pericoloso Negan, cambia prospettive, almeno per un po’, e si
unisce al cast di Rampage.
I dettagli della trama e dei
personaggi sono ancora scarsi, ma sappiamo che Morgan si unisce a
un cast che conta già una buona dose di testosterone, tra
Dwayne
Johnson, protagonista, e
Joe Manganiello, che si è già unito al cast.
Dopo il prima immagini e il poster
diffusi ieri, ecco il trailer di Rampage, il nuovo
film d’azione e avventura con Dwayne
Johnson, basato sull’omonimo videogame Arcade.
“Il primatologo Davis Okoye
(Jhonson), un uomo che tiene la gente a distanza, condivide un
profondo legame con George, un gorilla straordinariamente
intelligente che è stato alle sue cure sin dalla nascita. Un
rischioso esperimento genetico va male e trasforma la gentile
creatura in un mostro rabbioso. A peggiorare la situazione, si
scopre che ci sono altre creature con questo difetto. Mentre queste
creature si spargono per l’America, distruggendo tutto sul loro
cammino, Okoye fa squadra con un ingegnere genetico screditato per
realizzare un antidoto, combattendo a suo modo attraverso un
difficile campo di battaglia, non solo per prevenire una catastrofe
ma anche per salvare quello che una volta era suo amico.”
Ecco un nuovo coinvolgente trailer
di Rampage, in cui Dwayne Johnson
viene messo di fronte a un suo vecchio amico che, a sorpresa, sta
assumendo dimensioni inaspettate!
“Il primatologo Davis Okoye
(Jhonson), un uomo che tiene la gente a distanza, condivide un
profondo legame con George, un gorilla straordinariamente
intelligente che è stato alle sue cure sin dalla nascita. Un
rischioso esperimento genetico va male e trasforma la gentile
creatura in un mostro rabbioso. A peggiorare la situazione, si
scopre che ci sono altre creature con questo difetto. Mentre queste
creature si spargono per l’America, distruggendo tutto sul loro
cammino, Okoye fa squadra con un ingegnere genetico screditato per
realizzare un antidoto, combattendo a suo modo attraverso un
difficile campo di battaglia, non solo per prevenire una catastrofe
ma anche per salvare quello che una volta era suo amico.”
Durante la promozione del suo ultimo
film, Incarnate,
Brad Peyton ha ragguagliato la stampa in merito
all’adattamento per il cinema del gioco Rampage,
progetto in cui è coinvolto l’ormai onnipresente Dwayne
Johnson.
Rampage, tra omaggio e novità
Stando alle dichiarazioni di
Peyton, Rampage sarà un omaggio
all’originale, ma allo stesso tempo una vera sorpresa per i fan:
“Con Rampage stiamo usando il nostro amore per il gioco
originale come fonte principale di ispirazione. Poi stiamo
costruendo un film che, come San Adreas, sorprenderà davvero le
persone che lo vedranno. Sarà emozionante, spaventoso e realistico,
molto più di quanto ci aspettiamo. Quindi la storia centrale del
gioco sarà soltanto l’inizio. Se mi chiamassero a dirigere un film
su Call of Duty, non dovrei giocare a nessun videogioco, perché il
film deve avere la sua autonomia, qualcosa di nuovo. Proprio in
questo aspetto alcuni film finiscono male. Sono davvero eccitato
riguardo a Rampage. Sarà un film di mostri, per cui l’esercizio che
ho fatto con Incarnate nel territorio dell’horror mi sarà utile.
Ovviamente Rampage sarà un film molto più grande per un pubblico
più vasto, ci saranno elementi horror e sarà comunque un film di
mostri. Sono felice di lavorare di nuovo con Dwayne, non vedo
l’ora.”
Il film, che sarà distribuito dalla
New Line Cinema e prodotto da Beau
Flynn, è la reunion del team dietro San
Andreas: la pellicola, infatti, sarà diretta da
Brad Peyton e sceneggiata da Carlton
Cuse (affiancato da Ryan Condal).
Mentre impazza sul grande schermo
con Baywatch, Dwayne Johnson è al
lavoro su un nuovo set, quello di Rampage, e ha
condiviso la prima immagine ufficiale di due dei personaggi che
vedremo nel film, interpretati da Jeffrey Dean
Morgan e Naomie Harris.
“Il primatologo Davis Okoye
(Jhonson), un uomo che tiene la gente a distanza, condivide un
profondo legame con George, un gorilla straordinariamente
intelligente che è stato alle sue cure sin dalla nascita. Un
rischioso esperimento genetico va male e trasforma la gentile
creatura in un mostro rabbioso. A peggiorare la situazione, si
scopre che ci sono altre creature con questo difetto. Mentre queste
creature si spargono per l’America, distruggendo tutto sul loro
cammino, Okoye fa squadra con un ingegnere genetico screditato per
realizzare un antidoto, combattendo a suo modo attraverso un
difficile campo di battaglia, non solo per prevenire una catastrofe
ma anche per salvare quello che una volta era suo amico.”
Il film, che sarà distribuito dalla
New Line Cinema e prodotto da Beau
Flynn, è la reunion del team dietro San
Andreas: la pellicola, infatti, sarà diretta da
Brad Peyton e sceneggiata da Carlton
Cuse (affiancato da Ryan Condal).
Nel cast del film ci sono
Dwayne Johnson, Naomie Harris, Joe Manganiello, Jeffrey
Dean Morgan e Marley Shelton.