Home Blog Pagina 1507

Victoria and Abdul: recensione del film di Stephen Frears

Ci sono storie dimenticate, storie piene d’amore e grazia che meritano di essere raccontate ed è così che il grande Stephen Frears, a meno di un anno di distanza dalla sua stonata ma meravigliosa Florence Foster Jenkins, torna ad incantare il suo pubblico con un nuovo piccolo gioiello dal titolo Victoria and Abdul.

Ormai vecchia e affaticata, arrivata agli ultimi anni del suo governo, la Regina Vittoria riceve a corte un ospite inaspettato. Con la conquista dell’India da parte dell’Impero Britannico, ora la monarca inizia a sentire il peso delle troppe responsabilità governative, degli anni che passano, della solitudine e a non sopportare più la vita di palazzo. Ma il suo umore cambia drasticamente quando a corte arriva il misterioso ed esotico Abdul Karim.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Grazie a Frears, la straordinaria Judi Dench torna ad interpretare, dopo ben venti anni, la burbera e triste Regina Vittoria stavolta raccontata dal famoso regista di Le Relazioni Pericolose, sotto una luce diversa. Si parla infatti dei suoi ultimi anni di vita e della sua finora segreta storia d’amicizia e quasi d’amore con un comune ragazzo indiano capitato a corte quasi per sbaglio. Si tratta di una relazione di cui si era persa ogni testimonianza, una storia che Stephen Frears ha finalmente portato allo scoperto.

Victoria and Abdul, il film

E’ il 1887 quando la Regina Vittoria (Judi Dench) riceve a corte due ragazzi indiani provenienti dalla città di Adra arrivati in Inghilterra per rendere omaggio alla loro nuova sovrana. Il loro compito è molto semplice: dovranno comparire al cospetto della regina portando in dono un’antica moneta indiana come segno della loro devozione. Ma qualcosa durante la cerimonia va storto e uno sguardo fugace tra Vittoria e il giovane Abdul Karim (Ali Fazal), in barba al protocollo di corte, dà inizio a qualcosa di straordinario e quasi sconveniente. Rapita da quegli occhi magnetici, dall’avvenenza del ragazzo e attratta da quella che sembra una strana complicità, la regina apre le porte della sua corte ad Abdul che si ritrova catapultato in un mondo pieno di splendore e insidie.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Dopo la gloriosa Meryl Streep, interprete della cantante più dolce e stonata del mondo, Stephen Frears chiama a sé un’altra leggenda del cinema, la grande Judi Dench, per il suo nuovo film, Victoria and Abdul, presentato fuori concorso alla 74° Mostra del Cinema di Venezia. Negli anni molte persone hanno definito Frears un regista poco coraggioso, che non ama osare e fedele solo ad un certo tipo di cinema; ebbene, pur non snaturando il suo stile personale, stavolta Frears si spinge un po’ oltre la sua comfort zone e regala al pubblico qualcosa di un tantino differente.

Grazie alla superba sceneggiatura di Lee Hall – sceneggiatore anche del famoso film Billy Elliott -, che ha adattato per il cinema il libro Victoria & Abdul: The True Story of the Queen’s Closest Confidant di Shrabani Basu, il regista imbastisce quella che potremmo definire una commedia in costume che strizza l’occhio al genere del biopic, molto in voga negli ultimi anni. Victoria and Abdul racconta la storia dimenticata di questa strana e, per certi versi, ambigua amicizia tra la regina Vittoria e un umile ragazzo indiano diventato poi suo maestro e confidente. Essendo rimasta vedova molto presto, la sovrana si è trovata a dover gestire il suo regno senza l’appoggio di nessuno e a tenere a bada le sanguisughe di corte sprofondando così in una terribile depressione. Proprio quando si era ormai rassegnata all’idea di morire ed invecchiare da sola rinchiusa in quella gabbia dorata, la regina incontra Abdul, un giovane pieno di energia, entusiasta e sempre disposto a compiacere i suoi desideri: Vittoria è affamata di conoscenza e Abdul è un cantastorie perfetto.

Victoria and Abdul - Stephen Frears

Con estrema grazia e semplicità Stephen Frears racconta la nascita e l’evoluzione di questa bizzarra e dolcissima relazione d’amore, un sentimento puro che guarda al di là del protocollo di corte, degli obblighi politici, delle differenze sociali, razziali e religiose. Anche questo di Frears, come molti altri film già visti quindi a Venezia 74, affronta quindi la difficile tematica dell’intolleranza e lo fa raccontando con ironia la storia di questa improbabile coppia di amici. A conquistare sin dalla prima inquadratura sono la sempre mitica Judi Dench, nei panni di una perfetta regina brontolona, e lo sferzante humor inglese che rende la prima metà del film assolutamente irresistibile. Ma le risate ben presto lasciano il posto all’amarezza, alle lacrime e ad un odio così violento e gratuito da colpire lo spettatore quasi come un pugno nello stomaco; il cambio di registro è graduale ma non per questo meno traumatico e ci accompagna per mano verso un finale commuovente e quasi catartico.

leggi anche: Venezia 74: Suburbicon recensione del film di George Clooney

Avengers Infinity War: Thanos con il Guanto completo nella nuova promo art

0

Stando a quanto ci suggerisce la nuova promo art di Avengers Infinity War, Thanos riuscirà a completare la sua ricerca delle Gemme dell’Infinito nel film diretto dai fratelli Russo.

Nell’immagine, il Titano Pazzo compare infatti in piedi, con la mano guantata dal potente oggetto, completo di tutte le sue Gemme.

Avengers Infinity War: il primo teaser dal Comic Con [LEAK]

La sinossi: Mentre gli Avengers continuano a proteggere il mondo da minacce troppo grandi per un solo eroe, un nuovo pericolo emerge dalle ombre cosmiche: Thanos. Despota di intergalattica scelleratezza, il suo scopo è raccogliere le sei gemme dell’Infinito, artefatti di un potere sconfinato, e usarle per piegare la realtà a tutto il suo volere. Tutto quello per cui gli Avengers hanno combattuto ha condotto a questo punto – il destino della Terra e l’esistenza stessa non sono mai state tanto a rischio.

CORRELATI:

Avengers Infinity War: 15 villain che potrebbero venire dopo

Avengers Infinity War arriverà al cinema il 4 Maggio 2018. Christopher Markus e Stephen McFeely si occuperanno della sceneggiatura del film, mentre la regia è affidata a Anthony e Joe Russo.

Il cast del film al momento è composto da Cobie Smulders, Benedict Cumberbatch, Chris Pratt, Vin Diesel, Scarlett Johansson, Dave Bautista, Karen Gillan, Zoe Saldana, Brie Larson, Elizabeth Olsen, Robert Downey Jr., Sebastian Stan, Chris Hemsworth, Chris Evans, Tom Holland, Bradley Cooper, Samuel L. Jacksson, Jeremy Renner, Paul Rudd, Peter Dinklage, Mark Ruffalo, Josh Brolin, Paul Bettany, Benedict Wong, Pom Klementieff e Chadwick Boseman.

Fonte: SaviiMCU Exchange

La Villa: recensione del film di Robert Guédiguian #Venezia74

I tre figli di un anziano uomo colpito da un ictus sono accanto al padre, completamente immobilizzato. La villa in cui lo assistono è sul mare, a La calanque de Méjean, una splendida baia nei dintorni di Marsiglia. C’è Angèle, che vive a Parigi e fa l’attrice di teatro, Joseph perso d’ amore dietro una ragazza estremamente più giovane di lui e perennemente depresso e insoddisfatto e Armand, proprietario di un modesto ristorante a pochi passi dalla villa, l’unico della famiglia rimasto a vivere nella zona. C’è poi un pescatore sognatore e colto, invaghito fin da bambino di Angèle, un giovane medico e i suoi ostinati genitori e dei militari che pattugliano la costa alla ricerca di migranti.

L’occasione forzata che li costringe a riunirsi è chiaramente il naturale spunto per fare i bilanci di una vita,  riflettere su scelte, sbagli e tragedie che hanno segnato il loro passato. Poi, un giorno, arrivano dei profughi a bordo di un gommone, tre bambini.

La villa, il film di Robert Guérdiguian

Robert Guérdiguian, di madre armena e padre tedesco, ha già diretto numerosi film di successo, tra i quali Marius e Jeannette (1997), Marie-Jo e i suoi due amori (2002), Le passeggiate al Campo di Marte (2005) e Le nevi del Kilimangiaro (2011). Spesso ha messo la città di Marsiglia, dove è nato, e i suoi bellissimi dintorni al centro delle sue storie. Ha sempre pensato a La Calanque de Méjean come a un teatro naturale, dove il mare sembra il fondale di tela dipinta e, soprattutto in inverno, quando non c’è più nessuno, assume quel sapore di abbandono bellissimo e malinconico,  un set ideale.

Ama definire “bolla all’aria aperta” la situazione che abilmente crea intorno ai suoi personaggi, una bolla dove “alcuni fratelli e sorelle, padri e madri, amici e amanti si confrontano sugli amori del passato e sugli amori che verranno. Tutti questi uomini e tutte queste donne condividono gli stessi sentimenti: sono in una fase della vita in cui si ha profonda consapevolezza del tempo che passa e dei cambiamenti del mondo. Le strade che hanno a lungo spianato si stanno gradualmente ricoprendo e devono essere costantemente mantenute, altrimenti se ne dovranno creare di nuove

Nonostante lo sguardo sia concentrato sui tre fratelli protagonisti, il film affronta, in maniera per niente marginale, il problema dei profughi. Quando fa riferimento  a questo, Guérdiguian sostiene “Per quanto possa sembrare un’esagerazione, mi sento di affermare che oggi non potrei fare un film senza fare riferimento ai profughi: viviamo in un mondo in cui le persone annegano in mare quotidianamente. Ho scelto intenzionalmente la parola “profughi”. A prescindere che sia da imputare ai cambiamenti climatici, ad altre ragioni, o a una guerra, queste persone sono alla ricerca di un rifugio, di un focolare”.

La villa è una continua riflessione sul tempo che scorre, sulla caducità della vita, sulla casa, sulla famiglia e sulla propria appartenenza. Ognuno dei personaggi cerca di fare i conti con questo. Gli attori sono tutti bravissimi, perfettamente calati nelle rispettive parti e assolutamente credibili come fratelli che hanno fatto scelte differenti che li hanno portati a vivere lontani l’uno dall’altro. L’attrice che interpreta con grande delicatezza e introspezione Angèla è la moglie del regista, Ariane Ascaride, già apparsa in altri suoi lavori. Molto struggente è un vecchio filmato in S8, inserito come flashback, dove si vedono i protagonisti giovani e spensierati, ancora spavaldi nei confronti della vita che verrà. La scrittura risulta assai efficace, estremamente naturale e mai forzata, abilmente punteggiata da momenti ironici che si contrappongono invece alla drammaticità degli eventi.  La regia è delicata, intima, umana, mai invadente.

Il finale di La villa è incantevole, affatto scontato. È il degno coronamento di un film come solamente i francesi sanno fare.

The Leisure Seeker: recensione del film #Venezia74

Due anziani coniugi, Ella (Helen Mirren) e John (Donald Sutherland) decidono di sfuggire dalle attenzioni apprensive-oppressive dei figli per compiere un lungo viaggio attraverso l’America a bordo di un camper con cui andavano in vacanza negli anni settanta. The Leisure Seeker è il nome che hanno affettuosamente dato al veicolo. Lui è malato di Alzheimer, la memoria lo abbandona di continuo, mettendolo nelle condizioni di dover essere sorvegliato continuamente, anche se il suo fisico è ancora forte. Insieme però riescono ad andare avanti, compensandosi e completandosi, come fossero una persona sola. Il viaggio sarà l’occasione per conoscersi ancora meglio e colmare quelle lacune e tutte quelle cose in sospeso, piccole e grandi, che ineluttabilmente si accumulano dopo una vita vissuta assieme. The Leisure Seeker è per Paolo Virzì il primo film interamente girato negli USA in lingua inglese, anche se in passato aveva già compiuto un’incursione sul suolo americano con My Name is Tanino (2002). È tratto dal romanzo omonimo di Michael Zadoorian.

Virzì dirige due autentici mostri sacri, due attori del calibro di Helen Mirren e Donald Sutherland. Lo fa con mano ferma e grande sensibilità, costruendo una coppia di navigati anziani coniugi in grado di passare disinvoltamente e con grande intelligenza da un registro recitativo all’altro, commuovendo, divertendo, facendo riflettere, creando apprensione e grande empatia. Il film è tutto sulle loro spalle, per quasi due ore, e lo sostengono con vigore, non lasciando mai trasparire fatica o forzature.

The Leisure Seeker

Paolo Virzì dice: “Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice”. E in questo è assolutamente riuscito, senza ombra di dubbio. Il film è perfetto, un vero ricettacolo di emozioni e sentimenti. Ma la sensazione finale è comunque strana, è come se il film lasciasse in una condizione di irrisolto, come se si volesse qualcosa di più, ma non si riuscisse bene a capire cosa. Semplicemente latita uno sguardo personale, una caratterizzazione maggiore, cosa che comunque potrebbe anche essere una scelta strategica, vista la sua prima prova con un sistema produttivo differente e così esigente. Nonostante la sua altissima professionalità, la sua regia ineccepibile, l’ orchestrazione perfetta di tutto il cast artistico e tecnico, manca quello sguardo personale con il quale l’autore livornese si è imposto fin dall’inizio, film dopo film. Certo, il cinema di Virzì e le sue relative caratterizzazioni  autoriali sono fortemente legate a un contesto italiano, ma dove sono quegli stilemi che aveva cominciato a disseminare a partire da La bella vita (1994) passando per  Ovosodo (1997) e Caterina va in città (2003), fino ad arrivare a Tutta la vita davanti (2008), La prima cosa bella (2010) La pazza gioia (2016)?

In The Leisure Seeker manca un po’ di Paolo Virzì in più.

Venezia 74: Suburra di Netflix infiamma il red carpet

Ieri a Venezia, si è tenuta la première di Suburra, la serie, la prima serie TV italiana originale Netflix presentata fuori concorso alla 74a edizione del Festival del Cinema di Venezia.

[nggallery id=3160]

Hanno partecipato alla première gli attori Alessandro Borghi, Filippo Nigro, Claudia Gerini, Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini e Francesco Acquaroli, i registi Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, i produttori Gina Gardini e Riccardo Tozzi e Erick Barmack, vice presidente degli International Originals Netflix.

Suburra, la serie sarà disponibile su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal 6 Ottobre 2017.

Sinossi:

Suburra, la serie, la prima serie originale Netflix italiana, debutterà il 6 Ottobre 2017 e raggiungerà 100 milioni di abbonati nei 190 Paesi in cui il servizio è attivo, rendendo la produzione originale Netflix disponibile per un pubblico globale.

Diretta da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, Suburra, la serie, è un crime thriller ambientato a Roma, che descrive come la Chiesa, lo Stato e la criminalità organizzata si scontrano, confondendo i limiti della legalità e dell’illecito nella loro feroce ricerca del potere.

Al centro della storia troviamo tre giovani uomini: Numero 8 (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini), diversi per origine, ambizioni e passioni, che saranno chiamati a fare alleanze per realizzare i loro più profondi desideri.

Gli altri personaggi includono Sara Monaschi (Claudia Gerini), Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), Samurai (Francesco Acquaroli) e Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi). Prodotta da Cattleya.

Venezia 74: oggi Sienna Miller con The private life of a modern woman

0

Sarà presentato fuori concorso a Venezia 74 The private Life of a modern woman, il film di James Toback con protagonista Sienna Miller.

The private life of a modern woman racconta di Vera Lockman, un’attrice di successo che vive da sola in un favoloso loft newyorkese, si agita nel suo letto durante un incubo nel quale lotta con Sal, il suo spacciatore ed ex ragazzo, prima di sparargli e ucciderlo. Svegliatasi di soprassalto, scrive nel suo diario che l’omicidio dell’incubo è effettivamente avvenuto il giorno prima e che Sal giace morto in un baule in soggiorno. Leon, amante di Vera, arriva e viene congedato, definitivamente.

Franklin, un amico cineasta, passa a farle visita, preoccupato. Mette Vera sotto torchio, lasciandola confusa e un po’ spaventata. Vera trasporta con l’auto il baule in una zona isolata e lo fa rotolare dentro a un lago. Torna nel suo loft, e trasalisce alla vista di un detective della narcotici, McCutcheon, venuto a farle delle domande su Sal. Vera pensa che Mc Cutcheon abbia creduto alla sua falsa storia. Vera serve la cena al suo amato e malandato nonno, Arthur, e a sua madre, Elaine. Successivamente, Carl Icahn, ex compagno di classe di Arthur, passa a trovarli. Vera e Carl sono emotivamente in sintonia. Il giorno dopo Vera, per la prima volta calma, scrive. Il suo umore è turbato da un crescendo di sirene della polizia. Si precipita alla finestra e vede McCutcheon. I loro sguardi si incrociano. Le manette la attendono.

James Toback ha così commentato “Ho concepito e scritto The Private Life of a Modern Woman per Sienna Miller. Il nucleo tematico del film è costituito dalle mie personali fissazioni: l’affermazione del sé, l’impulso a creare, la tensione irrisolta tra rabbia e amore, l’onnipresente consapevolezza della morte. Strutturalmente, ho tentato di aderire (con licenza poetica) alle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: la struttura della tragedia greca. Volendo fare un’analogia letteraria, il film è una novella, piuttosto che una storia breve o un romanzo. Come sempre, mi sono sentito in dovere di inserire nella pellicola opere d’arte che hanno arricchito la mia vita ovunque potessero valorizzare il film: il Requiem tedesco di Brahms, la Settima Sinfonia di Shostakovich, la Messa in Si minore di Bach, la versione dei Cleftones di Please Say You Want Me e il Giardino delle delizie di Bosch.”

Venezia 74: Victoria & Abdul con Judi Dench

0

Sarà presentato oggi fuori concorso Vittoria e Abdul, il nuovo film di Stephen Frears e che vede protagonista Judi Dench nei panni della Regina Victoria.

Victoria & Abdul racconta la vera, straordinaria storia dell’incredibile amicizia tra la regina Vittoria e il giovane segretario Abdul Karim, diventato suo precettore, consigliere spirituale e devoto amico. Nel 1887, Abdul parte dall’India per donare alla regina una medaglia in occasione dei festeggiamenti per il Giubileo d’oro, ma inaspettatamente entra nelle grazie dell’anziana sovrana. L’inaudito e incredibile legame scatena una rivolta all’interno della famiglia reale, ma la regina si oppone a corte e parenti. Victoria & Abdul esplora con ironia tematiche come razza, religione e potere, mettendo in scena le assurdità dell’impero alla luce di un’amicizia insolita e profondamente commovente.

Stephen Frears ha così commentato il film: Non conoscevo la storia della regina Vittoria e di Abdul, non sapevo dell’affetto che la sovrana provava per il servitore indiano. Lee Hall ha scritto una sceneggiatura brillante, divertente, attuale e romantica, su diversità e classi sociali, sulla donna più potente del mondo e su un servitore musulmano. Per me era più riconducibile a The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad) che ai film britannici sull’impero anglo-indiano; ho detto che l’avrei realizzato soltanto con Judi Dench, e con mia immensa fortuna, lei ha accettato

Venezia 74: il giorno di The Leisure Seeker di Paolo Virzì

0

Sarà presentato in concorso il nuovo film di Paolo Virzì The Leisure Seeker, con protagonisti Helen Mirren, Donald Sutherland e tratto dall’omonimo romanzo di Michael Zadoorian.

The Leisure Seeker è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John andavano in vacanza coi figli negli anni settanta. Per sfuggire a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti salendo a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima: insieme sembrano comporre a malapena una persona sola. Quel loro viaggio in un’America che non riconoscono più – tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore – è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, fino all’ultimo istante.

Commento del regista: Non avevo previsto che un giorno avrei diretto un film ambientato del tutto in un altro Paese. Finora mi ero sempre sottratto a progetti americani dei quali mi era stata offerta la regia. Mi hanno convinto a provare almeno a scrivere una sceneggiatura e ho promesso ai produttori: se Helen Mirren e Donald Sutherland interpretano Ella e John, faccio il film. Era solo un modo per spararla grossa e mettere le mani avanti. Il destino però mi ha spiazzato: imprevedibilmente Mirren e Sutherland hanno accettato. Poche settimane dopo facevo i bagagli per attraversare l’oceano: non potevo privarmi del godimento di condividere un’esperienza con due attori così geniali e leggendari. Ma senza alcun intento di diventare “un regista americano”. Mi sento figlio del cinema italiano, seppure ormai la condivisione globale di storie e visioni renda labili e obsoleti i confini territoriali. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura. Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice.

Venezia 74, red carpet: George Clooney, Matt Damon e Julianne Moore

Hanno sfilato sul red carpet di Venezia 74 George Clooney in compagnia dei suoi attori protagonisti, Matt Damon e Julianne Moore, volti dell’oscuro Suburbicon (leggi la recensione), pellicola in concorso alla Mostra. Ecco le foto della premiere: [nggallery id=3158]

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

Venezia 74: George Clooney presenta Suburbicon, il suo nuovo film da regista

E’ stato presentato oggi alla stampa Suburbicon, film che vede George Clooney indossare ancora una volta i panni del regista, interpretato da Matt Damon e Julianne Moore, in concorso qui alla 74° Mostra del Cinema di Venezia. Sceneggiato dai Fratelli Cohen e diretto da Clooney, il film ha conquistato la critica grazie al suo aspetto così poco convenzionale e alle tematiche trattate. Si parla infatti di razzismo, intolleranza e violenza in una piccola cittadina della periferia americana degli anni cinquanta, argomento incredibilmente attuale nonostante l’ambientazione del film.

Data la natura del film e le pesanti accuse rivolte alla società americana ancora così poco tollerante verso le minoranze etniche e religiose, George Clooney ha voluto dire la sua e fare una piccola riflessione politica sulla tesissima situazione sociale negli States. “Pensavamo tutti che, dopo anni di battaglie e violenza, il razzismo fosse ormai stato quasi del tutto debellato e invece ancora assistiamo ad episodi come quello di Charlottsville […] Ambientare il film in una piccola città della periferia era una provocazione; nel film sono tutti impegnati a scacciare l’unica famiglia di colore, accusandola di portare scompiglio nella comunità quando il pericolo risiede altrove ed è molto più spaventoso”. Anche Matt Damon sembra condividere il punto di vista di Clooney e aggiunge: “In posti del genere puoi anche correre per strada sporco di sangue ma gli altri incolperanno sempre quelli che non si sono integrati, i diversi: è la definizione di White Privileged”.

Parlando di Matt Damon, che abbiamo già visto nel ruolo di protagonista nel film di apertura di Venezia 74, Downsizing, la sua incredibile trasformazione da bravo ragazzo ad assassino psicopatico ha sorpreso e deliziato il pubblico. “La cosa più divertente del film è proprio Matt Damon – ha dichiarato Clooney –, non è mai stato così spaventoso!”. Lo stesso Damon ha però poi ammesso: “Non mi capita spesso di interpretare ruoli da cattivo come questo ma tutto risulta più facile quando hai dalla tua un regista così talentuoso come George […] Ricordo che una volta Alexander Payne [regista di Downsizing] mi disse che il mio più grande pregio era il mio aspetto così poco da star, mi disse che sembravo un uomo comune e che proprio questa era la mia caratteristica più interessante”.

Alla bravura di Matt Damon si contrappone quella della bellissima Julianne Moore che per Suburbicon si è sdoppiata interpretando due sorelle gemelle omozigote, due facce della stessa medaglia. “Ho proposto io a George l’idea di interpretare da sola entrambe le sorelle. Mi incuriosiva il fatto che, nonostante i legami d’affetto e di sangue, una delle due desiderasse così ardentemente la vita dell’altra da ucciderla per coronare il suo sogno e realizzare una sua fantasia”. Nel film le due donne, oltre ad essere caratterialmente differenti, si distinguono anche dal colore dei capelli, biondo per Rose, la sorella buona, e castano scuro per Margaret, la sorella cattiva. “È stata sua [si riferisce a Julianne Moore] anche l’idea di far tingere di biondo i capelli di Margaret dopo la morte della sorella – confessa divertito il regista -, una delle cose più inquietanti del suo personaggio [ride]“.

C’è stato chi, pur amando il film, ha definito Suburbicon un film pieno di rabbia il cui scopo era distruggere il concetto di famiglia tradizionale americana. “Creare e girare un film solitamente porta via un paio di anni quindi la rabbia a cui si fa riferimento, che poteva esserci all’inizio delle riprese, con il tempo tende a scomparire o a cambiare ed evolversi – ha dichiarato il regista Clooney – ma, si, il nostro principale proposito era proprio quello di distruggere lo stereotipo della perfetta famiglia […] Quello che affascina della periferia è la possibilità di avere, per pochi soldi, una piccola e graziosa casa con un giardino e magari una piscina […] per noi quindi trasformare questo piccolo angolo di paradiso in un luogo pieno di violenza e depravazione era una provocazione […] volevamo mostrare che non sempre il male proviene da chi è diverso da noi ma anche da coloro che ci sono molto vicini poiché tutte le persone sono in grado di nascondere la propria vera natura […] I veri mostri non sono persone di aspetto sgradevole sempre intente a lisciarsi i baffi ma persone normali che fanno scelte sbagliate e diventano mostri. Un po’ come i nostri protagonisti; sono persone normali che assoldano due killer perché non sono in grado di uccidere e che poi di fatto si tramutano anch’essi in mostri. Quanto alla rabbia, beh, le persone oggi hanno tutto il diritto di essere arrabbiati”.

Ma se la rabbia, l’odio, la violenza e una certa dose di sadismo sembrano governare su Suburbicon, la speranza sopravvive ancora negli occhi di Nicky. Dopo aver assistito a eventi terribili e traumatici c’è l’ultima scena del film, in cui il bambino gioca con il ragazzino di colore della casa accanto, che per il regista George Clooney e il compositore Alexandre Desplat ha un significato molto particolare. “Era sempre stata una nostra idea utilizzare questa scena a chiusura del film […] Non volevamo chiudere una storia così turbolenta con un finale classico come l’adozione del piccolo Nicky da parte di un’altra famiglia per questo motivo abbiamo scelto i due bambini. Il fatto che entrambi, dopo aver passato la notte peggiore delle loro vite, avessero ancora la forza di giocare insieme a baseball, era per noi il finale perfetto. Anche la musica per quella scena era di vitale importanza; fui proprio io a parlare ad Alexander quello di cui avevo bisogno e lui compose per il film una stupenda melodia, dolce, spensierata e carica di speranza”.

LEGGI ANCHE: Suburbicon recensione del film di George Clooney

Foxtrot: recensione del film di Samuel Maoz #Venezia74

Dopo il Leone d’Oro del 2009 di Lebanon, Samuel Maoz torna a raccontare la guerra, la vita e la morte alla Mostra del cinema di Venezia con Foxtrot, selezionato nel Concorso ufficiale di Venezia 74.

Toccante e brillante allo stesso tempo, il film racconta il dolore di un padre che scopre la morte del figlio arruolato nell’esercito. Il dolore, esplode in apertura film con una violenza insostenibile, quando viene comunicato ai genitori del soldato la perdita del figlio. La seconda parte del film si sposta invece alla vita del soldato, con i suoi commilitoni, nel mezzo del nulla, alle prese con un posto di blocco fantasma, inutile, mentre il conteiner dove i quattro giovani soldati dormono sprofonda nel fango. Nella parte conclusiva, il terzo atto, si cambia ancora tono, e si va ad indagare il dolore dei genitori, le dinamiche di coppia, il loro amore reciproco e per il figlio.

Toccante e brillante allo stesso tempo

FoxtrotMaoz cerca con formalizzazioni alla Sorrentino di dare un tocco magico, onirico, al suo racconto che si concentra comunque sulle brutture della guerra. La scelta precisa è quella di utilizzare un tono surreale per la sequenza centrale e spostarsi poi sull’iperrealismo nella prima e nella terza scena.

Il risultato è una danza che torna al punto di partenza, come il foxtrot appunto, e che si fa metafora di una parabola umana dolorosa e piena di segreti nascosti nel passato dei protagonisti. Questo grande dolore si esterna poi, in una scena liberatoria e malinconica, nel finale, in una chiacchierata schietta, romantica, realista, tra i due coniugi che hanno perso il loro primogenito.

La sequenza meglio realizzata è però la seconda, quella che descrive la vita dei soldati, dove si applica al meglio la tendenza onirico/surrealista che trova la sua massima espressione in una bella sequenza animata. Le quattro vite, i quattro volti, accomunati dalla divisa e dal fango ma tutti ben distinti tra loro, appresentano una gioventù e un futuro che non è dato per scontato, che non è detto arrivi per tutti. In una danza circolare e senza scopo, la poesia della sofferenza di Maoz in Foxtrot si svela riflessione sull’esistenza, ammantata di un gusto per il gioco e per il sorriso che sembre lenire il dolore delle ferite del cuore.

Suburricon: l’attacco dei Clooney

La Mostra è sempre bellissima, ma non ci vivrei anche per un altro paio di motivi, su cui stavo giustappunto riflettendo. Il primo: uno pensa sempre (sempre, anche se ormai dovrebbe saperlo) che quando arrivi in proiezione presto e ti fanno sedere hai il miracolo di un quarto d’ora pè cazzi tua, in cui stare tranquillo, controllare le e-mail, scrivere post cazzoni come questo, messaggiare la fidanzata, magari schiacciare un pisolino estemporaneo in attesta che inizi il film. Invece no. Tocca fare i conti con gli scassacazzi che ti chiedono di alzarti ogni due secondi per prendere posto (che le file sono strettine, e tocca incastrarsi che manco al Tetris) e se, come me, hai esigenza di sederti laterale per andare al cesso in qualsiasi momento di emergenza è dura.

Anche perché, per la quinta legge di Murphy dopo servire la salute pubblica, proteggere gli innocenti, difendere la legge e non uccidere alcun membro dell’OCP, questi chiedono di entrare sempre dal mio lato della fila anche se poi si devono sedere al posto sull’estremo opposto. Non fraintendete, non sono un ipocrita: siamo tutti lo scassacazzi di qualcun altro, è solo che quest’anno questa cosa la sento particolarmente.

Il secondo: le maledettissime cuffiette per la traduzione simultanea della sala conferenze: non funzionano MAI. Il jack fa sempre contatto e per riuscire a captare qualcosa lo devi tenere fermo in posizioni assurde, che se ci aggiungi il fatto di essere costantemente stracarico di arnesi per il lavoro, dal computer all’iPad passando per il tradizionale blocco di appunti, e di vari giornali, giornaletti e cartelle stampa che ti ammollano spietatamente a ogni angolo della manifestazione, rende necessario un duro allenamento annuale con un maestro esperto di yoga. E spendeteceli du’ spicci. Voglio dire, li avete spesi per il documentario di Friedkin. Comprà un duecento audioguide usate dagli Uffizi no?

Altra sonora delusione, e oggi la possiamo dire perché la Carducci è tornata e non si parlotta degli assenti, è la sua disillusa promessa di portare con sé un drone personale per le riprese e soprattutto selfie aerei con gli animali famosi. Già immaginavamo epiche scene di autoperculamento iper-tecnologico, e che il drone cominciasse a prendere coscienza come HAL-9000, si innamorasse di lei e facesse un massacro per gelosia di tutti i suoi ammiratori, con ampi schizzi di sangue e materia cerebrale che avrebbero reso il red carpet ancora più vivace. E invece no, non lo ha portato.

C’è da dire, a parziale scusante, che in tempi di terrorismo far passare un drone potenzialmente carico di esplosivo per i serrati controlli di sicurezza organizzati per la Mostra (ieri un agente me guarda in faccia, con tutto che ho una barba da Imam e almeno quattro borse diverse appresso, e mi dice “ma no tranquillo, passa. Ho fiducia”) sarebbe stato quantomeno complicato. Però che diamine, una promessa è una promessa.

Carducci, te volemo bene lo stesso, ma non si fa. Avevamo pure preparato una roboante locandina, ve la mostriamo, perché le cazzate sono come il maiale, non si butta via niente. Anche se – altro colpo basso – i petali del red carpet che avevo inserito con estrema cura grafica (perché a ste cazzate ci tengo) come già vi avevo anticipato, non ci sono più. E per questo facciamo le rimostranze a Raucone, che qui su Terra 2 è il presidente della Biennale. Lui pure lo perdoniamo perché quest’anno la selezione dei film è particolarmente buona – anche se questo ci complica il lavoro: i film belli sono difficilmente perculabili).

Oggi per esempio è il giorno di Suburbicon, cinica e spietata visione di George Clooney su un’America degli anni cinquanta ma che ricorda da vicino quella di Trump, con gente che mette su muri per sfuggire alla visione dei negri, omicidi in famiglia, cose così. A me piace il film ma piace soprattutto Julianne Moore, per cui cerco di farmi una foto con lei decidendo di investire mezz’ora e non di più, seguendo anche l’onda di improbabili soffiate secondo cui a una certa precisa ora si dovrebbe trovare a un certo preciso posto. Date retta. So’ cazzate. In compenso è arrivata Milena Vukotic. Buttala via. Io la stimo tantissimo, come direbbe il compianto Paolo Villaggio.

Quindi la foto me la faccio con lei e alla Julienne me ce faccio le carote. Clooney si presenta sempre come un regista raffinato e un uomo di grande fascino e intelletto. Peccato il fiuto per la politica. Un anno e mezzo fa lo incontrai a Cannes per Money Monster e mi disse ‘tranquillo, Trump non vincerà mai‘ (true story). Complimentoni proprio. Come se non bastasse Vì è stata sequestrata da Alessandro Borghi col toupet per provare insieme una scena di Suburra – sì, oggi passano solo film che iniziano col prefisso ‘Subur’ – la serie, e anche se l’Isis ancora non si è fatta sentire le bombe arrivano. Ma sono d’acqua. Ieri non mi sono fracicato per miracolo, oggi vedremo. E come direbbe George – e forse pure Paolo Villaggio – ‘What else?’

Ang

Suburbicon: recensione del film di George Clooney

L’apparenza inganna e a volte i pregiudizi possono trasformare le nostre vite rendendoci schiavi dell’odio e dell’intolleranza, alterando la nostra percezione della realtà. C’è questo e molto di più nel nuovo film da regista di George Clooney dal titolo Suburbicon. Dopo aver archiviato il poco convincente Monuments Men di qualche annetto fa, il bel George ci riprova e regala al pubblico della Laguna un film pieno di humor nero.

Suburbicon è una piccola cittadina di periferia degli anni cinquanta con case modeste e di buongusto, abitata esclusivamente da persone bianche. Tutto scorre serenamente fino a quando una famiglia di colore decide di ‘turbare’ la tranquillità dei cittadini bigotti di Suburbicon comprando una casa e di stabilirsi in città. Ma mentre tutti gli abitanti si mobilitano per scacciare queste persone indesiderate, c’è qualcun altro invece che progetta qualcosa di nefasto.

Suburbicon - George-Clooney

leggi anche:Venezia 74: Lean On Pete recensione del film di Andrew Haigh

Nato da un vecchio soggetto datato 1999 dei fratelli Ethan e Joel Cohen – che hanno curato ovviamente la sceneggiatura del film -, Suburbicon utilizza l’apparente tranquillità della classica periferia americana degli anni cinquanta per sferrare non poche frecciatine all’attuale politica degli Stati Uniti che sembra voler ancora proteggere e giustificare atti di violenza, intolleranza ed odio raziale. Una casetta in periferia con una bella staccionata e un piccolo giardino dove fare giocare i bambini è da sempre considerata come uno dei simboli del sogno americano per ogni straniero che decida di vivere negli States. Attraverso le vicende del piccolo Nicholas e della sua famiglia, George Clooney invita gli spettatori a riflettere su quanto la paura verso ciò che è diverso e sconosciuto continui a condizionare le nostre azioni e ci renda ciechi dinnanzi alle ingiustizie della vita.

Suburbicon, il film

Una famiglia di origini afroamericane si è appena trasferita a Suburbicon proprio nella casa accanto a quella del piccolo Nicky (Noah Jupe) che vive con suo padre Gardner Lodge (Matt Damon), sua madre Rose (Julianne Moore) e la zia, gemella omozigote di Rose, Margaret (sempre Julianne Moore). L’arrivo dei Meyers, che crea malcontento tra i cittadini, distrae l’attenzione di tutti dalla vera bomba ad orologeria nascosta nel quartiere. Ma quando una banda di criminali entra in casa dei Lodge e uccide con una dose letale di cloroformio Rose, nella tranquilla Suburbicon niente sembra più come prima.

Suburbicon - George-Clooney

leggi anche: Venezia 74: First Reformed recensione del film con Ethan Hawke

Dopo il grandioso successo ottenuto con il suo Good Night, Good Luck, film che stregò pubblico e critica a Venezia nel lontano 2005, l’affascinante mister Clooney torna alla Mostra del Cinema con un film che sorprende per il suo stile vintage e sfrontato e le sue tematiche così incredibilmente attuali. Suburbicon è un po’ thriller e un po’ noir ed è caratterizzato da un irresistibile humor nero, merito anche e soprattutto della sceneggiatura dei fratelli Cohen. La storia si svolge durante i problematici anni cinquanta, un periodo emblematico della storia americana fatto di eccessi e contrasti; da una parte il rock da ballare, le gonne a ruota e i colori pastello e dall’altra l’incolmabile divario tra bianchi e neri e le continue manifestazione d’odio razzista che infiammano le città. La decisione di George Clooney di usare il piccolo paradiso terrestre da depliant di Suburbicon come teatro di crimini orribili e inaspettati non è affatto casuale; si tratta di una provocazione, di mostrare cioè come un uomo, accecato dall’odio e dai pregiudizi, riesca a farsi ingannare dalle apparenze e che il male non conosce distinzione di razza.

Suburbicon - George Clooney3

leggi anche: Venezia 74: Downsizing recensione del film con Matt Damon

Il geniale sadismo dei Cohen trova sfogo quindi nell’impeccabile regia di Clooney ma anche in un cast di attori davvero eccezionali; dopo averlo visto per anni interpretare il ‘bravo ragazzo’, finalmente Matt Damon ci mostra il suo lato oscuro imbastendo un personaggio freddo, cinico e spietato che trova in Julianne Moore una complice tanto inquietante quanto affascinante. Ma a meritare una standing ovation è Oscar Isaac che, pur avendo un ruolo secondario, riesce a rubare la scena anche alla meravigliosa Julianne regalandoci una delle scene più belle dell’intero film, carica di tensione e tagliente umorismo.

E’ proprio grazie al suo personaggio infatti che la situazione precipita e la storia prende una piega decisamente inaspettata. Così come il piccolo Nicky, che guarda il mondo che lo circonda con l’ingenuità caratteristica dei bambini, anche lo spettatore si lascia rapire dalla surreale bellezza di Suburbicon per poi avere purtroppo un brusco risveglio. Tutto sembra oscuro, corrotto e perduto per sempre ma, mentre gli adulti continuano la loro incessante lotta per la supremazia, che sfocia nella violenza e nel sangue, è l’immagine di due bambini, uno bianco e uno di colore, che giocano a football insieme, a mandare un messaggio di speranza.

A Nobili Bugie il Premio Kinéo alla Miglior Opera Prima

0

Dopo il passaggio all’ultimo Marchè del Festival di Cannes, al Biografilm Festival di Bologna e a numerose rassegne cinematografiche, la black comedy in costume Nobili Bugie, opera prima del regista Antonio Pisu prossimamente nei cinema italiani distribuita da Genoma Films, è stata insignita di due importanti premi durante la 74° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

L’iconica Claudia Cardinale, tra i protagonisti della pellicola Nobili Bugie, verrà premiata con il prestigioso Premio Kinéo – Diamanti al Cinema, riconoscimento dovuto a un’interprete femminile simbolo del cinema italiano.

L’Associazione culturale Kinéo assegnerà inoltre un ulteriore riconoscimento al film Nobili Bugie, premiando Antonio Pisu e il cast del film con il Premio Kinéo alla Miglior Opera Prima.

La black comedy in costume Nobili Bugie, opera prima del regista Antonio Pisu, vede tra i suoi protagonisti l’iconica Claudia Cardinale assieme a Raffaele Pisu e tra gli altri Tiziana Foschi, Federico Tolardo, Gaia Bottazzi, Silvia Traversi, Carlotta Miti, Eraldo Turra, Luciano Manzalini, Leo Mantovani, Romano Treré, Tita Ruggeri e Franco Colomba, sarà distribuita prossimamente in Italia da Genoma Films.

Sinossi: 1944. Italia. Sui colli Bolognesi, una famiglia di nobili decaduti sopravvive al proprio declino economico nell’unico luogo che ancora possiede: la tenuta di Villa La Quiete. Il Duca Pier Donato Martellini e la Duchessa Romola Valli, stanchi e avviliti, se ne fregano della guerra e risiedono nel loro podere con la servitù ormai ridotta ai minimi termini. Come se non bastasse devono prendersi cura del figlio Jean-Jacques, immaturo cinquantenne che passa le sue giornate a comporre poesie dedicate al Bologna FC. La soluzione a tutti i problemi si presenta alla villa in un pomeriggio qualsiasi; un uomo e due donne in fuga, chiedono loro rifugio; sono ebrei, disposti a pagare con un lingotto d’oro ogni mese di permanenza. La Duchessa, dopo aver accettato, fa di tutto per sedare sul nascere ogni tentativo della servitù e del marito di rubare il tesoro agli ospiti ed ordina di aspettare che la famiglia di “rifugiati” mantenga la promessa e doni più lingotti possibili al fine di dar la possibilità di riacquistare i loro averi impegnati. I lingotti aumentano e proprio nel momento in cui il Duca e la Duchessa intravedono finalmente una rinascita nobiliare, la guerra finisce. Terrorizzati dalla possibilità di perdere l’unica fonte di guadagno organizzano rocamboleschi escamotage, pantomime e sotterfugi per fingere che il conflitto non sia ancora finito sino a quando un uomo che i rifugiati conoscono bene si presenta nella Tenuta e cambierà le carte in tavola.

Venezia 74: George Clooney sotto gli occhi dei fotografi

È il grande giorno di George Clooney a Venezia 74, dove l’attore e regista ha portato in concorso il suo ultimo film, Suburbicon, la realizzazione di una sceneggiatura dei Fratelli Coen. Nel cast del film Matt Damon e Julianne Moore.

Ecco le foto del photocall: [nggallery id=3158]

Foto di Aurora Leone.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

Brawl in Cell Block 99: recensione del film – Venezia 74

Brawl in Cell Block 99 è il secondo lungometraggio di  di S. Craig Zahler in veste di sceneggiatore, regista e compositore. Il regista racconta che tutte riprese, soprattutto quelle di azione e combattimento, che sono veramente tantissime, sono state inserite nel film con pochissimi tagli di montaggio e nessuna manipolazione digitale successiva, in modo che queste sequenze apparissero reali e non costruite minuziosamente in fase di editing, come sempre più spesso avviene. Questo è stato altamente impegnativo per la troupe, ma soprattutto per Vince Vaughn, che dopo un lungo allenamento intenso e stressante, ha dovuto compiere azioni molto difficili e rischiose in continuità, senza avere la possibilità di farsi sostituire da uno stuntman.

In Brawl in Cell Block 99 Bradley (Vince Vaughn) viene licenziato e nello stesso giorno scopre che sua moglie (Jennifer Carpenter) lo tradisce. Per provare a costruirsi una vita migliore e riallacciare i rapporti con lei è costretto a lavorare come corriere per un narcotrafficante, con il quale aveva già avuto a che fare in passato. La sua situazione sembra finalmente migliorare, i soldi non gli mancano, può permettersi una bella casa e un buon tenore di vita, inoltre sta per diventare padre. Ma un giorno, durante una consegna, si trova coinvolto in una sparatoria tra la polizia e due partner che gli sono stati imposti contro la sua volontà da un nuovo socio del suo capo. Bradley viene arrestato e condannato a sette anni di carcere.  Sarà per lui l’inizio di un turbine di soprusi e violenza, oltre ogni immaginazione.

Brawl in Cell Block 99Il personaggio di Bradley è descritto progressivamente nella storia attraverso tragedie, successi, arresto, condanna, ricatto, mistero e violenza, in un crescendo di tensione che tiene per buona parte del film molto alta l’attenzione dello spettatore. Ci sono diversi snodi narrativi vincenti, caratterizzati da numerosi colpi di scena, soprattutto nella prima parte e dopo la metà. Poi purtroppo, inaspettatamente, tutto precipita e quello che era stato costruito sapientemente, come un perfetto meccanismo di genere, deraglia miseramente, o meglio impazzisce letteralmente, trascinando la pellicola in territori assurdi fino al trash. Tutto quello che fino a quel momento risultava credibile, pur nella fisiologica esagerazione di un action movie, diventa grottesco, per non dire ridicolo. Anche gli effetti speciali non aiutano, nella parte finale sono talmente beceri e riconoscibili da sembrare realizzati per un film a basso budget e da persone veramente poco pratiche, cosa che contribuisce ad affondare definitivamente il film.

Peccato che dei bravi attori, dei personaggi ben costruiti e una perfetta regia, siano stati compromessi da una scelta finale totalmente inadatta, che però potrebbe essere assai apprezzata dagli amanti del cinema spazzatura… e sono tanti.

Human Flow: recensione del film di Ai Weiwei #Venezia74

Più di sessantacinque milioni di persone nel mondo sono state costrette a fuggire da carestie, cambiamenti climatici e guerre, provocando il più grande esodo umano dalla seconda guerra mondiale. Ai Weiwei ha raccolto immagini nel corso di un anno, in varie parti del pianeta, per documentare in un epico viaggio cinematografico questa sconvolgente migrazione di massa. È nato così Human Flow.

Ai Weiwei è un autore cinese, famoso per aver sfidato e denunciato pubblicamente il governo di Pechino e per essere stato invitato alla Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia varie volte. È un artista che sconfina tra varie forme d’espressione e che spesso ha scelto il mezzo del documentario per portare avanti le sue istanze espressive e ideologiche. Tra i suoi lavori più famosi ci sono A Beautiful Life, Stay Home e Remember.

Human Flow mostra la catastrofica portata della crisi dei rifugiati, lontana da ogni forma d’immaginazione. Il pregio maggiore del film è infatti il fornire continuamente i numeri delle persone coinvolte nelle varie migrazioni, andando a creare delle struggenti annotazioni alle potentissime, quanto sconvolgenti immagini. A queste notizie vengono alternate frasi di poeti e scrittori, che tendono però a rendere il meccanismo didascalico e troppo reiterato.

Senza uno schema apparente e soluzione di continuità il film rimbalza di paese in paese documentando ciò che avviene in paesi come Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia. Peccato che Ai Weiwei si faccia riprendere in continuazione, mentre filma, mentre osserva, mentre aiuta, mentre arrostisce spiedini, per poi inserirsi disinvoltamente nel contesto della narrazione filmica, andando a tradire in pieno quel concetto di cinema verità che si dibatte e si mette in discussione dagli albori della storia del cinema. Ma in fondo lui è un artista, un provocatore, e gli artisti si sa, amano apparire.

Deadpool 2, foto dal set: ecco Cable con Slash

0

Continuano le riprese di Deadpool 2 e dopo i video dal set, oggi l’attore Josh Brolin che interpreta Cable ha postato una nuova foto che lo ritrae insieme all’attore che interpreta Slash. La foto nella nostra gallery di seguito.

LEGGI ANCHE: Deadpool 2: sospesa la produzione dopo morte sul set

[nggallery id=3144]

Deadpool 2 – grave incidente sul set, un morto

CORRELATI:

Deadpool ha incassato 363 070 709 dollari in Nord America e 417 408 522 dollari nel resto del mondo, per un totale mondiale di 780 479 231 dollari. Deadpool è stato accolto generalmente bene dalla critica, soprattutto grazie alla recitazione di Ryan Reynolds e alla comicità pungente e ironica della sceneggiatura.

Diretto da David LeitchDeadpool 2 vedrà Ryan Reynolds tornare nei pani del Mercenario Chiacchierone della MarvelZazie Beetz sarà Domino, Josh Brolin sarà invece Cable.

Justice League: dalla Mattel un grosso spoiler su Superman?

0

Mentre cresce l’attesa di vedere sul grande schermo finalmente la Justice League riunita oggi arriva dalla Mattel quello che potrebbe essere una conferma a tutte le speculazioni fatte riguardo il look di Superman

Infatti come possiamo vedere dall’immagine di seguito che riporta la serie di giocattoli basata sull’atteso film di Zack Snyder, sembra che Superman possa adottare con ogni davvero la versione nera e dark del costume. 

LEGGI ANCHE: Justice League: ecco il volto di Steppenwolf

Justice League MattelLEGGI ANCHE: Gal Gadot sul lavoro con Joss Whedon e Zack Snyder per Justice League

Ci teniamo a precisare che al momento non c’è nessuna conferma ufficiale. La foto potrebbe riguardare solo la serie di giocattoli e non quella del film. Dunque non resta che aspettare ulteriori conferme.

[nggallery id=2813]

GUARDA ANCHE: Justice League: un trailer in versione retrò

CORRELATI:

Ecco il primo trailer di Justice League dal Comic Con

Justice League sarà diretto da Joss Whedon, che ha sostituito alla fine della produzione Zack Snyder, ed è previsto per il 10 novembre 2017. Nel film vedremo protagonista Henry Cavill come Superman, Ben Affleck come Batman, Gal Gadot come Wonder Woman, Ezra Miller come Flash, Jason Momoa come Aquaman, e Ray Fisher come Cyborg. Nel cast confermati anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy Irons. I produttori esecutivi del film sono Wesley CollerGoeff Johns e Ben Affleck stesso.

Han solo: Paul Bettany nel cast del film

0

Arriva dal regista Ron Howard la notizia che l’attore Paul Bettany è entrato a far parte del cast dello spin-off su Han solo attualmente in lavorazione.

Il regista infatti ha pubblicato l’ennesima foto dal set nel quale compare proprio l’attore visto recentemente al fianco degli Avengers nel ruolo di Vision.

GUARDA ANCHE, Han Solo: primo sguardo al look di Lando Calrissian

Al momento non sappiamo il ruolo dell’attore, ed un alone di mistero ruota attorno alla notizia, dunque è probabile che si tratti di un ruolo importante. Non resta che aspettare ulteriori notizie in merito.

LEGGI ANCHE, Han Solo: svelato il nome del personaggio di Emilia Clarke?

Han Solo spin-offla verità dietro il licenziamento di Lord e Miller

CORRELATI:

Ricordiamo che lo spin-off sarà ambientato dieci anni prima degli avvenimenti di Una Nuova Speranza. Nel film ci sarà anche ChewbaccaAlden Ehrenreich interpreterà il giovane personaggio che fu di Harrison Ford. Nel cast anche Emilia Clarke, Donald Glover e Woody Harrelson.

Lo spin-off sul personaggio è previsto per il 25 maggio 2018 e dopo il licenziamento dei registi Phil Lord e Christopher Miller, registi di 21 Jump Street e The LEGO Movie, è stato incaricato Ron Howard di completare l’opera. La sceneggiatura porterà la firma di Lawrence Kasdan e di suo figlio Jon Kasdan.

Joker, standalone: Leonardo DiCaprio possibile protagonista?

0

Qualche settimana fa vi avevamo rivelato che alla Warner Bros è in sviluppo un film sulle origino di Joker sconnesso al DC Extended Universe, nel quale figurava trai produttori nientemeno che il regista premio Oscar Martin Scorsese. 

Ebbene oggi in merito a quel progetto arrivano nuovi aggiornamenti dal The Hollywood Reporter che rivela che il coinvolgimento dell’acclamato regista altro non è che un tentativo di far entrare nel mondo dei supereroi un attore del calibro di Leonardo DiCaprio

Il noto sito americano chiarisce però che al momento nessuna offerta è stata fatta all’attore, mentre Martin Scorsese è ancora nelle prime discussioni con lo studios, ma è chiaro che alla Warner Bros c’è l’intenzione di cercare di fare un film non solo per i fan, ma un film che riesca ad ottenere uno status anche nel mondo della critica, al pari della trilogia di The Dark Knight di Christopher Nolan

Sempre secondo il noto sito americano, una persona infelice dei piani dello studios è Jared Leto. L’attore infatti ha interpretato il Joker nel film Suicide Squad, stroncato dalla critica ma vero successo al box office. 

Qualunque cosa succeda, la speranza dello studio è di trovare un attore che possa interpretare un boss del crimine in una Gotham City che rispecchierà la visione di Martin Scorsese.

 

Star Wars Gli Ultimi Jedi: primo sguardo al mega Star Destroyer di Snoke

0

Dopo avervi parlato del senso di colpa di Luke, oggi arriva il primo sguardo al Mega Star Destroyer del Leader Supremo Snoke che vedremo in Star Wars Gli Ultimi Jedi.

The SupremacyThe Supremacy“, così dovrebbe chiamarsi, è una nave di enorme dimensione e abbastanza formidabile e dove lui e la maggior parte delle forze del Primo Ordine opereranno nel film.

Star Wars Gli Ultimi Jedi – il trailer

CORRELATI:

FIRST LOOK – Carrie Fisher in Star Wars Gli Ultimi Jedi

Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del Toro, Laura Dern e Kelly Marie Tran.

Venezia 74: SUBURRA – LA SERIE

0

Sarà presentata nella sezione Cinema nel giardino SUBURRA – LA SERIE con i primi due episodi che vedranno protagonisti Alessandro Borghi, Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini, Francesco Acquaroli, Filippo Nigro, Claudia Gerini, Adamo Dionisi, Barbara Chichiarelli, Federico Tocci, Gerasimos Skiaderesis. 

A presentarla oltre al cast anche i registi MICHELE PLACIDO, ANDREA MOLAIOLI, GIUSEPPE CAPOTONDI.

La trama: Stato, Chiesa, Famiglia. Non c’è più niente di sacro. Suburra: La Serie è un crime thriller ambientato a Roma, che descrive come la Chiesa, lo Stato e la criminalità organizzata si scontrino, confondendo i limiti della legalità e dell’illecito nella loro feroce ricerca del potere. Al centro della storia troviamo tre giovani uomini: Numero 8, Spadino e Lele, diversi per origine, ambizioni e passioni, che saranno chiamati a stringere alleanze per realizzare i loro più profondi desideri. Tratto dall’omonimo romanzo ma ambientato molti anni prima, Suburra: La Serie è una serie tv densa di azione, dramma e crimine, che racconta venti giorni di disordini in dieci incredibili episodi.

Venezia 74: fuori concorso BRAWL IN CELL BLOCK 99

0

Oggi sarà presentato fuori concorso BRAWL IN CELL BLOCK 99, il film che vede protagonista un inedito e violento Vince Vaughn. Nel cast anche Jennifer Carpenter, Don Johnson, Marc Blucas, Udo Kier, Fred Melamed, Mustafa Shakir, Dion Mucciacito, Thomas Guiry, Geno Segers, Devon Windsor, Clark Johnson.

Nel film l’attore interpreta Bradley, un ex pugile, perde il lavoro come meccanico di auto, e anche il suo tormentato matrimonio è in pericolo. In questo momento difficile, non vede davanti a sé altre scelte se non quella di lavorare come corriere per un trafficante, sua vecchia conoscenza. La situazione migliora fino al giorno tremendo in cui si trova coinvolto in una sparatoria tra un gruppo di poliziotti e i suoi spietati alleati. Bradley è gravemente ferito e finisce in prigione, dove i suoi nemici lo costringono ad atti di violenza che trasformeranno quel posto in un brutale campo di battaglia.

BRAWL IN CELL BLOCK 99

Il regista del film S. Craig Zahler, ha così commentato: Sono molto fiero di Brawl in Cell Block 99, il mio secondo lungometraggio come sceneggiatore, regista e compositore. Come in Bone Tomahawk, in questo film hanno lavorato i produttori Jack Heller e Dallas Sonnier, il direttore della fotografia Benji Bakshi, lo scenografo Freddy Waff, il montatore Greg D’Auria e Jeff Herriott, il compositore con il quale ho scritto la colonna sonora. Mi ritengo molto fortunato ad aver collaborato con Vince Vaughn, le cui qualità come attore e come essere umano hanno superato le mie già alte aspettative. Sono rimasto molto colpito da come abbia affrontato le riprese dei combattimenti, che sono state molto impegnative dal punto di vista fisico, e anche abbastanza pericolose, e che sono state elaborate dal bravissimo Drew Leary.

Vaughn ha eseguito tutte queste riprese con pochissimi tagli di montaggio e nessuna manipolazione. Volevo che queste sequenze apparissero diverse da quello che si vede nei film di oggi, e ci siamo riusciti. Il film segue Bradley attraverso tragedie, successi, incarcerazione, mistero e violenza, ma il cuore pulsante della storia è nel rapporto con sua moglie Lauren.

La interpreta Jennifer Carpenter, che dimostra ancora una volta di avere pochi colleghi alla sua altezza grazie al toccante lavoro che ha svolto in questo film, a vari livelli. Sono stato fortunato anche perché ho lavorato con Don Johnson, Udo Kier e Marc Blucas. Il mio vecchio sogno di scrivere musica soul con Jeff Herriott si è finalmente avverato con la colonna sonora originale di questo film. Leggende del soul come The O’Jay’s e Butch Tavares, insieme a una nuova leva come Adi Armour hanno cantato i pezzi, che danno energia e colore all’ambiente. Sono tutti questi elementi a costruire il mondo strano e brutale di Brawl in Cell Block 99. Preparatevi.

Venezia 74: il grande giorno di George Clooney

0

Arriverà al lido oggi per presentare Suburbicon, il suo ultimo film da regista la star  George Clooney, accompagnato da Matt Damon e Julianne Moore, interpreti del film.

La pellicola scritta da Joel & Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov racconta di una pacifica e idilliaca comunità periferica caratterizzata da case a buon mercato e giardini ben curati… il luogo perfetto dove crescere una famiglia. Èesattamente quello che stanno facendo i Lodge nell’estate del 1959. Tuttavia, l’apparente tranquillità cela una verità inquietante, quando il marito e padre Gardner Lodge è costretto a farsi strada nel lato oscuro della città fatto di tradimento, inganno e violenza. Questa è la storia di persone imperfette e delle loro scelte sbagliate. Questa è Suburbicon.

suburbicon

Il commento di George Clooney – I fratelli Coen firmarono la sceneggiatura originale di Suburbicon negli anni ottanta. Per una serie di motivi il film non fu mai realizzato e venne accantonato. L’anno scorso io e il mio socio Grant Heslov stavamo lavorando a una storia accaduta a Levittown, Pennsylvania, nel 1957, ispirata al breve documentario Crisis in Levittown. Chiamai i fratelli Coen per chiedere loro se potevamo provare a dare un’occhiata al copione e farne un film storico ambientandolo in una città come Levittown. Loro si dimostrarono entusiasti, e noi ci mettemmo subito al lavoro.

È un film che volevo fare perché mi piacevano i temi. Mi sembrava un momento appropriato per parlare di muri e minoranze che fanno da capro espiatorio, anche se all’interno di un thriller insolito. Ho sempre amato l’idea di un omicidio consumato in una città perfetta con tutta la gente che guarda nella direzione sbagliata. È la storia di un’epoca e di un luogo dai quali, purtroppo, non ci siamo mai veramente allontanati.

Le nostre anime di notte: recensione del film

A 47 anni da A piedi nudi nel parco, Jane Fonda e Robert Redford si ritrovano al cinema, a raccontare un’altra storia d’amore, prodotta da Netflix e presentata a Venezia 74: Le nostre anime di notte.

Diretto da Ritesh Batra (Lunchbox), Le nostre anime di notte racconta di due vicini di casa, entrambi alla fine della rispettiva vita, che pur conoscendosi da molti anni non hanno mai intrecciato un vero rapporto. La solitudine di entrambi li spingerà ad avvicinarsi, per avere qualcuno con cui parlare di notte, a letto. Batra si concentra prevalentemente sui personaggi, sulle emozioni, sulle delicatezza di due solitudini che si incontrano e si fanno compagnia, senza però mai confondersi. L’amore da anziani è un tema che il cinema affronta di rado e Le nostre anime di notte offre al pubblico la possibilità di affacciarsi su una storia a strati. I due protagonisti cominciano a raccontarsi portando entrambi nella relazione storie di vita, alcune dolorose, che hanno caratterizzato i momenti di svolta del loro passato. E così la storia d’amore assume delle caratteristiche malinconiche, laddove un amore giovane guarda al futuro costruendo, l’amore maturo, in questo caso, guarda al passato, ricordando.

Le nostre anime di notte, il film

le nostre anime di notte

Nonostante questa caratteristica, il racconto non si abbatte mai, sviluppandosi in un sereno resoconto che non risparmia ai due protagonisti decisioni difficili che costringono entrambi a mettere da parte la propria individualità per un bene diverso. Le nostre anime di notte sembra confermare che, nonostante una vita lunga e più o meno soddisfacente, non si arriva mai al punto in cui si smette di fare progetti, reinventandosi e dandosi sempre una seconda occasione per fare bene o meglio qualcosa che in passato si è tralasciato.

Nel complesso il film fa leva prevalentemente sull’appeal dei due protagonisti, alla soglia degli 80 anni lei, oltre gli 80 lui, Robert Redford e Jane Fonda sono l’immagine di una Hollywood dorata che non esiste più, bellissimi e carismatici ci raccontano Louis e Addie con autentica emozione, tarando il film per un pubblico casalingo avvezzo alle lacrime. Nella sua confezione perfetta, Le nostre anime di notte trova il suo limite. Nessun guizzo particolare, nessuna invenzione narrativa, nessun deragliamento dalla sicurezza di una storia rivolta al grande pubblico. E dopotutto non sono questi i film che devono rispondere a queste esigenze.

LEGO Ninjago – il film: il trailer ufficiale italiano

0

Ecco il trailer ufficiale italiano di LEGO Ninjago – il film, il nuovo capitolo d’animazione del franchise basato sui mattoncini colorati.

LEGO Ninjago Il Film avrà le voci nella versione originale di Dave Franco, Justin Theroux, Fred Armisen, Abbi Jacobson, Olivia Munn, Kumail Nanjiani, Michael Peña, Zach Woods e del leggendario Jackie Chan.

Una nuova avventura d’animazione del franchise LEGO della Warner Bros. Pictures, LEGO NINJAGO IL FILM con le voci nella versione originale di Dave Franco, Justin Theroux, Fred Armisen, Abbi Jacobson, Olivia Munn, Kumail Nanjiani, Michael Peña, Zach Woods e del leggendario Jackie Chan.

LEGO Ninjago Il Film – i character poster

In questa avventura Ninjago per il grande schermo, la battaglia per la difesa di Ninjago City chiama all’azione il giovane Lloyd, alias il Ninja Verde, insieme ai suoi amici, che in segreto sono tutti guerrieri e LEGO Master Builder. Guidati dal Maestro di kung fu Wu, tanto spiritoso quanto saggio, devono sconfiggere il perfido signore della guerra Garmadon, la persona più cattiva che esista, che oltretutto è il padre di Lloyd. Mech contro mech e padre contro figlio, nell’epica resa dei conti questa squadra grintosa ma indisciplinata di ninja si mette alla prova: ma ognuno deve imparare a controllare il proprio ego e lavorare insieme per scatenare la propria vera potenza.

Jackie Chan (“Kung Fu Panda”, The Karate Kid”) interpreta il Maestro Wu; Justin Theroux (“Magamind 2″, la serie “The Leftovers – Svaniti nel Nulla”) è Garmadon; Dave Franco (“Cattivi Vicini 2″) interpreta Lloyd e Olivia Munn (“X-Men: Apocalisse”) è la madre di Lloyd, Koko. Completano la squadra segreta di ninja: Fred Armisen (“The Jim Gaffigan Show”; “SNL”) che dà voce a Cole; Abbi Jacobson (“Cattivi Vicini 2″) interpreta Nya; Kumail Nanjiani (“Mike e Dave: Un Matrimonio da Sballo”) è Jay; Michael Peña (“Ant-Man”, “Sopravvissuto – The Martian”) è Kai; mentre Zach Woods ( la serie TV “Silicon Valley”) presta la propria voce a Zane.

LEGO NINJAGO IL FILM segna l’esordio alla regia di un lungometraggio di Charlie Bean (la serie “Tron: Uprising”). Il film è prodotto da Dan Lin, Phil Lord, Christopher Miller e Roy Lee, che ha già collaborato sul grande successo ai botteghini di tutto il mondo “The LEGO Movie”, insieme a Maryann Garger (“Giù per il tubo”). Chris McKay, Seth Grahame-Smith, Jill Wilfert e Keith Malone sono i produttori esecutivi. La sceneggiatura è di Hilary Winston, Bob Logan & Paul Fisher, da una storia di Kevin Hageman & Dan Hageman e Hilary Winston & Bob Logan & Paul Fisher, basata sui mattoncini giocattolo della LEGO.

L’uscita italiana del film è prevista a partire dal 12 ottobre 2017.

Warner Bros. Pictures e Warner Animation Group, in collaborazione con LEGO System A/S, presentano una produzione Lin Pictures / Lord Miller / Vertigo Entertainment: “The LEGO Ninjago Movie”, che verrà distribuito in tutto il mondo dalla Warner Bros. Pictures, una divisione della Warner Bros. Entertainment Company.

Kit Harington e Emilia Clarke protagonisti per Matteo Garrone e Dolce & Gabbana

0

Ecco i nuovi spot tv per The One, il nuovo profumo Dolce & Gabbana che si è avvalsa di testimonial d’eccezione davanti e dietro la macchina da presa.

Kit Harington e Emilia Clarke sono i protagonisti degli spot, diretti da Matteo Garrone

https://www.youtube.com/watch?v=1uAUub9fYBE

https://www.youtube.com/watch?v=Ebpjydeo3D4

Kit Harington e Emilia Clarke sono stati i protagonisti assoluti della stagione televisiva estiva del 2017. I loro ruoli in Game of Thrones li hanno resi non solo i protagonisti assoluti dell’ultima stagione dello show HBO, ma dell’intera serie, per la gioia di tutti i fan.

Lean On Pete: recensione del film di Andrew Haigh #Venezia74

La vicinanza della famiglia e delle persone care è quello che ci permette di andare avanti e sopportare tutte le ingiustizie e le difficoltà della vita. Ma poter contare sull’appoggio degli altri è un lusso che alcuni non possono permettersi, ragazzi come Charlie, il piccolo grande protagonista di Lean On Pete, ultima fatica cinematografica di Andrew Haigh.

Tratto dal romanzo di Willy Vlautin dal titolo La ballata di Charley Thompson, il film racconta la storia di Charlie, un ragazzino di appena quindici anni che, dopo essere stato abbandonato dalla madre, ora vive con il padre, Ray, un don giovanni e fannullone seppur molto affettuoso nei confronti del figlio. Con entrambe le figure genitoriali quasi totalmente assenti, Charlie impara presto a cavarsela da solo e a sopravvivere lavorando per i poche decine di dollari. Ma tutto nella sua vita grazie all’incontro con un allenatore di cavalli da corsa senza scrupoli e il suo primo e unico amico, un puledro zoppo di nome Lean On Pete.

Lean On Pete - Andrew Haigh

Dopo aver stregato nel 2011 il pubblico del Festival di Roma con il suo delicatissimo Weekend e più di recente quello del Sundance con 45 Years, il regista britannico porta nuovamente sul grande schermo un dramma familiare. Attraverso la straordinaria amicizia tra un cavallo e un ragazzino, il film ci accompagna per mano in un viaggio di crescita e formazione che pochi saranno in grado di dimenticare.

Lean On Pete – la recensione

Trasferitosi nei sobborghi di Portland con il padre, Charlie (Charlie Plummer) inizia a muovere i primi passi nella sua nuova vita. Dopo aver lasciato i suoi vecchi amici, la sua scuola e la squadra di football, il quindicenne è in attesa di riempire quel vuoto che sente correndo per le strade di quella città ancora sconosciuta. Con il padre troppo impegnato a sedurre le donne che a prendersi cura di lui, Charlie trova rifugio in un nuovo e sconosciuto lavoro; l’incontro casuale con Del Montgomery (Steve Buscemi) lo trascina nel mondo sporco e corrotto delle corse equine. E’ così che Charlie incontra il giovane e non troppo promettente Lean On Pete, un cavallo con un difetto ad una zampa che, in breve tempo, diventerà il suo migliore amico.

Lean On Pete - Andrew Haigh

Ancora una volta Andrew Haigh dà sfoggio della sua incredibile sensibilità servendoci un road trip, quasi un film di formazione, dallo stile molto pulito ed essenziale ma che colpisce lo spettatore come un fiume in piena. Grazie infatti all’interpretazione di Charlie Plummer, un ragazzino dotato di un talento quasi imbarazzante per la recitazione, e alla storia così intima e coinvolgente, non c’è bisogno di nessun inutile abbellimento. Così come nel romanzo anche la versione cinematografica di Charlie, stanco di subire le angherie del destino, si rifiuta di lasciar andare il suo prezioso amico a quattro zampe e si mette in marcia da solo, come un moderno Huckleberry Finn alla volta di quello che spera possa essere un futuro migliore. Durante questo suo viaggio attraverso l’America più selvaggia e inospitale, il dolce Pete diventa il confidente del nostro protagonista che, pur essendo un ragazzino dall’aspetto stoico e incapace di lasciarsi andare a inutili sentimentalismi, riesce a liberarsi di alcuni dei suoi demoni grazie all’affetto silenzioso del suo gigante quadrupede.

Lean On Pete - Andrew Haigh

Ma se a incantare è la bravura di Haigh nel trattare i sentimenti e le relazioni umane, il suo Lean On Pete presenta non pochi difetti soprattutto al livello narrativo. Dopo una lunga introduzione che termina con la partenza di Charlie, la storia, fino a quel momento molto scorrevole, subisce una repentina trasformazione. Il ritmo sostenuto della prima parte del film rallenta e anche gli intrecci narrativi sembrano gestiti dal regista in maniera assai superficiale; il protagonista durante il suo folle viaggio si trova a dover affrontare molte situazioni differenti e potenzialmente problematiche che si risolvono sempre in modo fortuito e approssimativo con Charlie che scappa e passa alla prossima avventura. Nonostante quindi non si possa definire uno dei migliori lavori del regista inglese, grazie alla sua incredibile delicatezza, Lean On Pete riuscirà a conquistare anche il più duro degli spettatori che finirà per sciogliersi in una valle di lacrime.

leggi anche: Venezia 74: First Reformed recensione del film con Ethan Hawke

A piedi nudi nel porco: di caricabatterie perduti, impermeabili gialli e Alessandro Borghi

Problema: il piccolo Ang parte per Venezia con un caricabatterie per iPhone. Un caricabatterie per iPhone costa circa 13 euro. Bestemmiare non costa niente, ma nel 50 % delle possibilità che Dio esista ti abbassa di almeno una ventina di punti la possibilità di varcare le porte del Paradiso. Possiamo stimare approssimativamente in 149,99 euro il valore economico di questa perdita di credito spirituale. Se il piccolo Ang dovesse eventualmente perdere il caricabatterie per iPhone durante una normale giornata lavorativa, il danno sarebbe minimo e non varrebbe la pena di bestemmiare, considerato anche il tempo di circa 2/5 secondi che si perde per le imprecazioni più elaborate e che ha un costo valore di circa 3 euro a bestemmia, quattro nelle giornate più intense. Conviene piuttosto andare al primo negozio disponibile e sostituirlo, perdendo quei dieci/venti minuti di tempo che corrispondono all’incirca a 4.500 euro. Ora, se la perdita del suddetto caricabatterie dovesse invece avvenire, diciamo per esempio, durante la Mostra del Cinema, quando non c’è nè il tempo nè il negozio, quanti milioni di miliardi di euro perderebbe in bestemmie il piccolo Ang? La risposta nel prossimo film di Christopher Nolan.

 

Oggi la giornata viene aperta dal nuovo film di Andrew Haigh Lean on Pete, che racconta una storia la cui originalità mi ha lasciato di stucco: l’amicizia tra un bambino e un cavallo. È comunque meno sfrangicoglioni di War Horse di Steven Spielberg – e non fate i candidi, con i vostri ‘ma dai. Che cazzo hai ritirato fuori! War Horse, e chi se lo ricordava’. Quando è uscito lo avete esaltato. Ho gli screen – e dura meno, quindi lo accettiamo. Sono ancora provato dalla mia ora e mezza passata sotto al sole per farmi il selfie con Guillermo del Toro, che qui a Venezia, per questioni logistiche con cui ora non vi tedio, è molto più difficile che a Cannes stalkerare gli animali famosi, e si può fare senza pagarne le conseguenze solo se, in sostanza, non c’hai un cazzo da fare. E giuro su Nicolas Cage, non è il caso mio. Piove lammerda – e qualcuno deve metterci un ombrello, e chi chiamerai? – quindi la giornata non parte sotto il migliore degli auspici, ma in compenso gli omini delle pulizie indossano delle vistose mantelline gialle, quindi è un attimo cooptarne uno con l’atroce stratagemma del ‘è una foto per un servizio’ e poi convertire il tutto in un post cazzone su It, fingendo che io sia l’assassino e lui il mio povero Georgie.

Giusto per confondere le acque visto che ieri la Carducci si è assentata un attimo giusto per andare a Madrid – lei lo fa come noi andiamo un attimo dal tabaccaio – a fare qualcosa di molto segreto che però riguarda ovviamente (e lo dico solo perché ho visto delle sue foto inquietanti su facebook) l’atteso horror tratto dal capolavoro di Stephen King, ma tranquilli che Pennywise non l’ha trattenuta e si hanno notizie che stia per tornare nel mondo dei vivi.

Questa zingarata dell’uomo in mantellina gialla mi svolta sostanzialmente la giornata, da un punto di vista psicologico. Dopodiché c’è un film Netflix con Robert Redford e Jane Fonda, bellissimi, bravissimi, simpaticissimi, intelligentissimi, premiati stasera con il Leone alla Carriera, a cinquant’anni da A piedi nudi nel parco. Per la durata di tutto l’incontro stampa non fanno altro che amoreggiare suggerendo al pubblico quanto volentieri avrebbero scopato e quanto gli dispiace che ogni volta fossero impegnati in altre relazioni. Il che è bellissimo, ma non se ti trovi nella condizione di chi non ha fatto nemmeno in tempo a pisciare (e non voglio fare la vittima sottolineando per l’ennesima volta quanto pisciare, nella mia condizione di calcolato renale, risulti di vitale importanza). Quaranta minuti di cicci cicci dopo, riesco finalmente a liberare la vescica e vi assicuro che il film che ho visto in quel momento, ricco di musiche celestiali e colori sgargianti, merita il Leone d’oro molto più di qualsiasi altra corbelleria ci si possa propinare nei prossimi giorni. Il film, Our Souls at Night, è un acclamatissimo prodotto originale Netflix, un’altra originalissima (e due) storia di vecchi che si innamorano, ma la colpa è mia, che certe cose importanti della vita mi sfuggono: avrei dovuto capirlo a ‘prodotto originale Netflix’, che era na cazzata.

Ang

Anche io ero al film con la nostra amichetta Fonda, perché ‘cavallo zoppo + bambino’ se lo scrivi sul motore di ricerca della mia capoccia viene fuori ‘colcazzo’. Piove in maniera esagerata, ormai abbiamo le branchie, infatti volevo sentire Guillermo se per caso vo fa i casting già da ora per il sequel di The Shape of Water. L’umidità è del 99%, si dice ‘Lido’ ma sembra un varco temporale tra Bangkok e Modena, che voi non lo sapete ma so città gemellate grazie alla condivisione di un microclima delicato dove crescono rigogliosi licheni e giovani mutanti. Oggi è stata anche la giornata di Suburra la serie, e io – naturalizzata modenese cor còre sempre romano – a sentì tutti quei ‘daje’ ho respirato aria de casa, anche perché qua grazie all’umidità non si respira. Comunque fondamentalmente i primi due episodi parlano di fatti scabrosi e un pop-porno che succedono in una Roma magnacciona e che coinvolgono palazzinari, preti, periferie e Alessandro Borghi.

Come dite? Vi ricorda qualcosa? Non capisco perché. Concludo con una buona notizia: gli immigrati regolarizzati che fanno i camerieri qui al Lido so più ospitali e hanno più rudimenti di marketing rispetto ai proprietari per i quali lavorano. Forse dovrei dirlo a Segre per il film che presenterà a Venezia l’anno prossimo, ovviamente con Battiston.

Alessandro Borghi suburra la serie

SCENA POST CREDITS (di Chiara Guida)

Oggi mi approprio indebitamente dello spazio di Ang & Vì per condividere con voi un avvenimento che ha dello straordinario e che si addice particolarmente ai toni elevati di questo blog.

Mentre ero in sala stampa, immersa nei miei pensieri (che sono quasi sempre al Festival legati a cibo, acqua e turnazione nel bagno della casa affollata), un signore si avvicina e, tendendomi la mano, dice: “Io domani vado a sciare” e contento si allontana. Non faccio in tempo a sentirmi disorientata che lo vedo ripetere la stessa scena con TUTTI i colleghi in sala stampa.

E niente, è già abbastanza assurdo così, senza che aggiunga altro.