L’inquadratura è ferma su un foglio di carta, le lettere
battute a macchina dicono “asma, febbre reumatica, sinusite,
pressione alta, palpitazioni, facile affaticamento, problemi
cardiaci…”. La scheda medica del candidato alle armi
Steve Rogers non è proprio quella dei supereroi,
ma è proprio questa la storia che i Marvel Studios volevano
raccontare: un ragazzo gracile, ma dall’animo nobile, sfida tutte
le calamità della sua esistenza difficile (i genitori sono morti, i
bulli si prendono gioco di lui e lo percuotono ripetutamente) per
servire un bene più grande, la giustizia, e arruolarsi come soldato
dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale. Un
conflitto che vede opposto al regime della vecchia Europa il
futurismo pacifista del nuovo continente. Steve vuole essere tra
quelli che cambieranno il mondo di domani, sconfiggere il nazismo e
credere in una realtà migliore.
All’alba dell’uscita nelle sale di
Captain America: Il Primo Vendicatore, lo
studio cinematografico di proprietà della Walt Disney Company ha
già prodotto quattro titoli, di cui uno viene distribuito nello
stesso anno, tuttavia l’ambientazione storica è “inedita” al
Marvel Cinematic Universe: un salto nel 1945
permette così al film di esplorare temi e questioni politiche
antecedenti alla modernità di Iron Man, che invece
era fortemente radicato nel presente delle guerre per il petrolio,
e distanti per questioni geografiche e sentimentali dal dramma
“familiare” di Thor; ne risulta un primo vero
tentativo di contaminare il cinecomic – che ancora non si è
costituito come tale – con il genere bellico e i classici
d’avventura hollywoodiani, introducendo al pubblico (ma non ai
lettori dei fumetti) il “primo supereroe della storia degli Stati
Uniti”, nato come strumento di propaganda e trasformatosi in icona
di diplomazia, etica, lealtà e rigore.
L’altezza dell’eroe
Nel
capitolo uno della saga sul supereroe di Jack
Kirby e Joe Simon, Steve Rogers diventa
la “cavia” di uno scienziato illuminato, Abraham
Erskine, che inietta nel corpo del ragazzo il siero del
super soldato. Viene scelto fra i suoi commilitoni proprio perché
debole, e come tale “conosce il valore della forza e il valore
del potere”. Più alto, forte, grosso e veloce, la pulce Steve
si trasforma solo esteriormente: non ha smarrito i suoi ideali né
la purezza nello sguardo, non vuole uccidere, ma fermare i bulli
(nell’immaginario collettivo dell’epoca sono
Hitler e i nazisti). E in questo caso, il casting
di Chris Evans si rivela perfetto per
ragioni curriculari: in cerca di una giusta dimensione, alla pari
del rachitico Steve che guarda il suo riflesso troppo piccolo su un
cartellone propagandistico, l’attore era reduce dal flop dei
Fantastici Quattro, dove ha interpretato
Johnny Storm, alias la Torcia
Umana, senza successo. La “riabilitazione” dell’eroe passa
nelle mani dei Marvel Studios che lo avrebbero reso, di lì a poco,
una figura insostituibile e molto amata dai fan.
Quello
che ritroviamo alla fine de
Il Primo Vendicatore e lungo il corso di
The Avengers è un uomo fuori dal tempo, strappato
da un mondo in cui l’attaccamento alla bandiera e i principi di
equilibrio morale non esistono quasi più: a bordo della “missione
Vendicatori” Steve conosce l’egocentrismo (Tony
Stark), il complotto (Vedova Nera),
l’avvento della tecnologia e il progresso (Bruce
Banner), fattori ingestibili che potrebbero compromettere
il lavoro di squadra. Spaccatura ancora più evidente nei successivi
film che lo vedono protagonista e che si allarga a macchia d’olio
oltre le dinamiche interpersonali con i suoi simili, nella società
americana in toto e nella discussione della politica attuale. Così,
sulla scia della “responsabilità” civile, Captain America: The Winter
Soldier mostra la difficile convivenza tra l’idealismo
del passato e il cinismo del presente, tra ingenuità e compromesso,
trasparenza e menzogna.

Captain America,
il viaggio dell’eroe da Il Primo
Vendicatore a Civil War
un uomo fuori dal tempo
Tre
questioni chiave hanno definito gli ultimi dieci anni di storia
degli Stati Uniti, dall’insediamento alla casa bianca di
George W. Bush fino alla successione con
Barack Obama, e questi tre argomenti trovano ampio
spazio di riflessione nel quadro supereroistico e commerciale del
film, ovvero l’etica dell’uso della forza preventiva, la necessità
di avere più trasparenza da parte dell’Intelligence (CIA, FBI, etc)
e il pericolo scaturito dalla confusione e usato come strumento di
vantaggio per le organizzazioni politiche.
Durante
un intenso scambio di battute con Nick Fury,
Steve Rogers afferma che “Tenere un’arma
puntata contro la Terra non può definirsi protezione” e che
questo clima di dichiarata “libertà” è invece un modo perverso di
distillare paura nella gente. Come dargli torto. Osservando
l’imponente statura dei mezzi navali che lo
S.H.I.E.L.D. sta lanciando nell’atmosfera e che
l’HYDRA manovra sotto copertura, ci viene da
chiederci se non stiamo forse vivendo nell’epoca più buia del
controllo delle istituzioni, soprattutto quando si parla di
strategie di difesa contro attacchi terroristici, colpi di stato e
guerre di ogni natura.
La
stessa “oscurità”, suggerita anche dal tono mai spiritoso e dal
cromatismo grigio-blu della fotografia di The Winter
Soldier, rimanda alla cronaca recente di
Edward Snowden, l’informatico che nel 2013 ha
scoperto i programmi segreti di sorveglianza di massa del governo
statunitense e britannico, il che ribadisce quanto sia importante –
anche nella misura dell’intrattenimento di massa – continuare la
stimolazione di certi temi.
Tuttavia l’aspetto più interessante, dal primo
Avengers ad Age of Ultron (2015),
è il fatto che registi e sceneggiatori abbiano voluto costruire
intorno a Steve Rogers storie, universi e
situazioni che non lo rappresentano affatto, ma un mondo così
contrario ai suoi ideali da spingerlo a reagire. Ma che fine fanno
i valori americani di Captain America se applicati
agli scenari post-11 settembre, alla corruzione odierna, al
carattere ben più complesso dei suoi “colleghi” Vendicatori? Una
risposta per niente banale ci viene fornita dall’episodio tre,
Civil War, che
è l’anticamera di Infinity War e
una giusta conclusione del suo ciclo.

Guerre ideologiche e
compromessi
Più che
guerra civile, il cinecomic scritto da Christopher
Markus e Stephen McFeely mette in pratica
le fasi di una guerra di mentalità fra due figure chiave del Marvel
Cinematic Universe: Steve e Tony Stark sono un
ossimoro vivente, due sponde di un fiume tra le quali scorre acqua
non sempre placida.
Sul
vocabolario, vicino alla parola “ideologia” troverete scritto
“insieme di credenze e valori che orientano un gruppo
sociale”, e se parliamo di ideologia Rogers, quella
corrisponderà alla lotta per un mondo giusto, ad ogni costo, senza
pregiudicare la propria lealtà; se andiamo dalla parte opposta,
troveremo conservazione, sottomissione e controllo dall’alto.
Durante il funerale di Peggy Carter, il grande
amore di Steve, sua nipote Sharon ricorda ai presenti che la zia
non era solita scendere a compromessi, almeno finché non fosse
davvero necessario, e questo discorso sedimenta nella testa del
soldato la volontà di agire analogamente. Per recuperare l’ultimo
brandello che lo lega al passato (l’amico Bucky),
proteggere i nuovi “freak” che come lui sono rigettati
dalla società (Wanda Maximoff) e sperare in un
domani migliore.
Idealista oltre qualsiasi frontiera, Captain
America è il supereroe che tutti vorremmo essere e che non
saremo mai. Altri, di fronte alle sfide che ha dovuto affrontare
nel corso del MCU, avrebbero certamente fatto un passo indietro.
Non lui, che si oppone alla forza del pugno di Thanos stringendo i denti, che risparmia la
morte al nemico, che mette sempre se stesso davanti alle vittime.
La sua arma, di fatto, è uno scudo, e questo basta per comprenderne
la nobiltà, oltre che la grandezza.
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