Sembra strano immaginare
che, dopo 60 anni, Frederick Wiseman sia tornato a
fare un film di fiction, lui che con il suo sguardo sul mondo, lo
ha raccontato per molti aspetti meglio di tutti, attraverso i suoi
documentari-fiume, eppure, Un Couple, in Concorso
a Venezia 79 si annuncia proprio come il grande
ritorno del regista a una storia di finzione.
Non è esatto, però, dal
momento che il film è in definitiva un soliloquio di Sofia Tolstoj
che legge le sue lettere e i suoi diari scritti al marito, nel
corso di un matrimonio turbolento, d’uranio 36 anni, con 13 figli
di cui solo 9 sopravvissuti, e numerosi litigi e riconciliazioni.
Immersa nel giardino La Boulaye, sull’isola di Belle Île, la donna
legge/recita le parole che i due si scrivevano pur stando nella
stessa casa. Un dialogo continuo, il resoconto di una storia
passionale che spesso portava i coniugi allo scontro ma che
altrettanto spesso li vedeva riconciliarsi e continuare quel
cammino condiviso.
Un Couple, il racconto di una storia d’amore turbolenta
Il lavoro di Wiseman in
Un Couple è certosino e monumentale. Lo
spirito è sempre quello documentaristico e, quasi, naturalistico,
data l’importanza che la natura e la sua vitalità occupa negli
appena 64 minuti di film, ma è il lavoro sul testo che lascia
sorpresi. L’incredibile mole della corrispondenza domestica dei
coniugi Tolstoj è stata ridotta a un monologo coeso e narrativo,
che sviluppa una storia d’amore con un inizio e una fine e una
serie di montagne russe nel mezzo. Tutto semplicemente attraverso
il racconto e la riduzione dei testi di partenza.
Questa formula offre un
risultato abbastanza monotono, eppure interessante, soprattutto se
mostrato nell’ambito di una Mostra del Cinema, che, mai come
quest’anno, sembra giocare sul sicuro con tutta la selezione e che
con questo film, invece torna a essere esposizione di linguaggi
differenti e non sempre omologati con ciò a cui è abituato lo
spettatore medio.
Anche di fronte alla
piatta frontali del quadro, Frederick Wiseman si
mostra in tutto il suo genio, mettendo in luce il suo talento di
narratore al di fuori degli schemi classici del linguaggio del
cinema narrativo.
Trai film più attesi del Concorso di
Venezia 79 c’è sicuramente The Banshees of Inisherin, che uscirà in
Italia con il titolo: Gli Spiriti dell’Isola. Scritto e diretto da
Martin McDonagh, che torna al Lido dopo cinque
anni, il film vede il regista e sceneggiatore lavorare di nuovo con
Brendan Gleeson e
Colin Farrell, che aveva già diretto nel 2008 in
In Bruges – La coscienza dell’assassino.
E McDonagh non ci gira molto
intorno, dichiarando che il principale motivo che lo ha spinto a
fare questo film è stato che “volevo di nuovo questi due
ragazzi insieme, visto quanto ci eravamo divertiti in In Bruges. Da
sempre volevamo fare di nuovo qualcosa insieme. Colin e Brendan
sono stati il seme dell’idea.” E sulla location, invece,
l’isola di Inisherin, McDonagh ha detto: “Lavorare in quel
posto è stato maestoso, da bimbo ci andavo sempre, è il posto dove
è cresciuto mio padre.”
Sembra davvero che il sentimento sia
condiviso, dal momento che sia Gleeson che Farrell hanno espresso
parole di stima e affetto reciproci. “Ho sempre sperato di
lavorare di nuovo con loro. Con quel film abbiamo avuto un periodo
così felice che speravamo di rifarlo insieme.” ha detto
Gleeson. Mentre Farrell, che ha collaborato con McDonagh più
spesso, ha dichiarato: “Non riesco a immaginare di riuscire a
essere capace di trasmettere qualcosa che scrive Martin perché è
uno scrittore così straordinario e sono sempre così profondamente
commosso emotivamente e psicologicamente dai mondi che crea e dai
personaggi che disegna”, e ha poi aggiunto sulla sua co-star:
“Mi mancava Brendan, erano 14 anni che non ci lavoravo e
tornare a viverlo sul set è stato bello, come se non ci fossimo mai
lasciati.”
Il film si distingue, oltre che per
l’ottimo script, da sempre garanzia di Martin
McDonagh, anche per una grande sinergia trai due attori
protagonisti, che mettono in scena un’amicizia maschile davvero
insolita. Gleeson, in particolare, commenta: “Sono felice
di vedere l’amicizia maschile come qualcosa di prezioso nel momento
in cui il riadattamento delle relazioni di tutti con tutti è in
fase di riconsiderazione. Il valore dell’amicizia maschile rispetto
a un bromance per me è molto profondo e pertinente in questo
momento.”
Ma anche la conversazione e la
comunicazione tra le persone è un punto cardine della storia di Gli
Spiriti dell’Isola, tanto che Colin Farrell spiega: “Conversazione,
condivisione di pensieri e sentimenti reciproci. È un mondo così
veloce che è facile affrettare i giudizi sull’altro, siamo così
veloci ora a giudicare che è facilissimo cancellare le relazioni,
anche con la cancel culture e tutte queste cose. Ma riuscire a
parlare davvero, conversare e scambiare idee in un modo che sia
tanto aperto al cambiamento della tua opinione quanto all’essere
condiviso è una cosa meravigliosa. Non credo che è un modo di fare
che morirà mai anche se è stato un po’ soppiantato dalla
tecnologia.”
Gli Spiriti dell’Isola
sarà distribuito da Disney nelle nostre sale a partire dal
2 febbraio 2023.
In Gli
Spiriti dell’Isola(The Banshees of
Inisherin) Ambientato su una remota isola al
largo della costa occidentale dell’Irlanda, The Banshees of
Inisherin segue le vicende di due amici di vecchia data, Padraic e
Colm, che si ritrovano in un’impasse quando Colm decide bruscamente
di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta
questo rifiuto e tenta di ricucire la relazione, aiutato dalla
sorella Siobhan e da Dominic, un giovane isolano tormentato. I
ripetuti sforzi di Padraic, tuttavia, non fanno che rafforzare la
determinazione dell’ex amico e, quando Colm lancia un disperato
ultimatum, gli eventi precipitano rapidamente, con conseguenze
scioccanti.
La regista Olivia Wilde ha presentato assieme al cast
composto da Harry Styles, Florence Pugh (assente dalla conferenza
stampa), Gemma Chan e Chris PineDon’t
Worry Darling, sua seconda incursione dietro la
macchina da presa dopo Booksmart – la rivincita delle sfigate e
presentato fuori concorso a
Venezia 79. Per la prima volta dopo le numerose
controversie sorte online e circondanti la produzione del film, il
team di Don’t Worry Darling ha affrontato la
stampa mondiale che, imperterrita, ha continuato a porre domande
sul ritiro di Shia LaBeouf dal progetto e
sull’assenza di Florence Pugh dalla conferenza
stampa di oggi.
Wilde ha parlato di Florence Pugh e della sua assenza dalla
conferenza stampa di Don’t Worry Darling senza
aggiungere niente di nuovo rispetto a quanto dichiarato nei giorni
scorsi: “Florence è una forza; siamo così grati che riuscirà a
venire stasera [alla prima] nonostante stia attualmente
girando Dune”.
L’attrice e regista si è poi rifiutata di rispondere a chi
suggeriva ci fossero ragioni più profonde che potessero
giustificare questa assenza. “Per quanto riguarda tutti gli
infiniti pettegolezzi e rumori dei tabloid, internet si alimenta da
solo. Non sento di dovervi contribuire. È sufficientemente ben
nutrito“.
Styles ha riconosciuto a sua volte le forze
oscure dei social media. “Ci sono molti lati negativi”, ha
detto, “sono piuttosto evidenti per chiunque. Ma è sempre
importante ricordare che ci sono anche cose positive che accadono
nel mondo grazie ad essi“.
Oltre a spendere parole preziose per
i suoi fan, che lo hanno sempre sostenuto negli ormai 10 anni di
carriera, Harry Styles ha dovuto rispondere a numerose
domande su questa sua propensione alla recitazione: “La musica
e la recitazione sono opposte per molti aspetti. Fare musica è una
cosa molto personale e ci sono aspetti della recitazione in cui si
attinge dall’esperienza, ma per la maggior parte si fa finta di
interpretare qualcun altro. È questo che trovo più divertente.
Quello che mi piace della recitazione è che mi sembra di non avere
idea di quello che sto facendo“.
Il cast ha elogiato soprattutto il
lavoro degli scenografi, come ha osservato Harry Styles: “Siamo stati fortunati ad
avere quel mondo costruito così bene intorno a noi, in modo da
poter giocare e divertirci in questa realtà, non c’era troppa
recitazione“.
Chris Pine ha concordato: “La cosa
sorprendente è che quel mondo non è poi così diverso da quella che
era la realtà qualche decennio fa; per quanto riguarda Harry, non ha dovuto sforzarsi per recitare.
Le persone che stavamo interpretando erano persone reali in un
mondo che è molto simile al nostro”, ma con uno stile esasperato
che “mostra tutte le cose belle che compongono il nostro
mondo” e che hanno anche un lato oscuro.
Chris Pine ha poi speso qualche parola in più
sul suo personaggio in Don’t
Worry Darling, Frank, il “dittatore sexy messianico”
di Instagram. “È come se fosse il mio profilo Instagram”,
ha risposto. “Tutti i leader usano l’immagine come arma. Non ho
basato Frank su nessuno, è essenzialmente un ologramma di
sensualità intessuto di un parole bellissime ma subdole“.
Secondo Olivia WildeDon’t
Worry Darling è “purtroppo molto attuale ma è
anche un film senza tempo. Non credo che ci sarà mai un momento in
cui l’idea di controllare il corpo di qualcuno non sia qualcosa di
rilevante contro cui lottare“.
Ha aggiunto: “Eravamo davvero
interessati alla natura problematica della nostalgia stessa.
Abbiamo iniziato il film nell’era delo slogan “Make America Great
Again”, mettendo in discussione il suo significato… Spero che
provochi conversazioni e faccia riflettere le persone, mettendo in
discussione i differenti sistemi a cui devono sottostare. Voglio
che sia divertente e intenzionalmente provocatorio“.
Don’t
Worry Darling segue Alice
(Pugh) e Jack (Styles)
una giovane e appartentemente felicissima coppia che vive nella
comunità idealizzata di Victory, una città aziendale sperimentale
che ospita gli uomini che lavorano per il progetto top-secret
chiamato appunto Victory e le loro famiglie.
L’ottimismo della società degli anni Cinquanta, propugnato
dall’amministratore delegato Frank
(Pine) – in egual misura visionario dell’azienda e
life coach motivazionale – sostiene ogni aspetto della vita
quotidiana nell’affiatata utopia del deserto.
Mentre i mariti trascorrono ogni
giorno all’interno del quartier generale del Victory
Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”,
le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di
Frank, Shelley
(Chan) – passano il tempo a godersi la bellezza,
il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta,
con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti dall’azienda. Tutto
ciò che chiedono in cambio è discrezione e impegno indiscusso per
la causa di Victory. La prima del film sarà questa sera, 5
settembre, alla
Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Recentemente tornato alla ribalta
per aver interpretato Henry Creel/Uno/Vecna nella quarta stagione
di Stranger
Things, l’attore Jamie Campbell
Bower ha inizialmente ottenuto popolarità
interpretando Gellert Grindelwald in Harry Potter e i Doni della
Morte – Parte 1 e Parte 2, e poi dando
vita al vampiro Caius nei film New Moon, Breaking Dawn – Parte 1 e
Parte 2, facenti parte
della saga di Twilight. Bower ha però di recente rivelato
che proprio in queste due saghe avrebbe dovuto avere dei ruoli
molto diversi da quelli poi effettivamente interpretati.
Intervistato durante il podcast
Happy, Sad, Confused, l’attore ha raccontato
dell’audizione sostenuta per il ruolo principale della saga
cinematografica basata sulle opere di JK Rowling, ovvero quello di
Harry Potter stesso. “Incontrai Chris Columbus a Londra per il
primo Potter e mi chiese di preparare una battuta. Avevo appena
sentito questa barzelletta sul motivo per cui la fata si siede in
cima all’albero di Natale. È una battuta davvero sporca, perché
parla di un albero di Natale che sta nel sedere di qualcuno. Feci
l’errore di raccontare la barzelletta durante l’audizione. Rimasero
tutti zitti e io pensai: ‘Beh, questa ce la siamo
giocata.”
Diversamente andò invece per
Twilight, dove lo si voleva inizialmente per la parte di
Edward, poi andata a Robert
Pattinson. “Quelli di Twilight invece
erano molto interessati a farmi leggere per la parte di Edward.
– ha raccontato l’attore – All’epoca non riuscii a farlo
perché le riprese ebbero luogo più o meno nello stesso periodo in
cui stavo facendo Sweeny Todd. Penso che la vita fosse così folle e
frenetica che era solo una di quelle cose che non si sono mai
realizzate. Poi è arrivato il momento di fare il sequel e mi hanno
chiamato dicendomi: ‘Ehi, vuoi venire a interpretare un
cattivo?'”. Interpretando Caius, Bower ha da quel momento
potuto costruirsi una carriera come un convincente attore di
villain.
Con Thor: Love and Thunder in
arrivo su Disney+ l’8 settembre,
una nuova scena eliminata è stata rivelata e protagonisti di questa
sono Thor (Chris
Hemsworth), Jane (Natalie
Portman) e, in modo ancor più decisivo, Zeus (Russel Crowe).
Questa scena presenta una versione alternativa di un momento molto
toccante tra Thor e Jane in ospedale. I due, tuttavia, vengono
interrotti quando si rendono conto che Zeus stesso è in piedi
dietro di loro a mangiare un gelato. In contrasto con lo Zeus che i
fan hanno visto nel montaggio definitivo del film, qui il
personaggio sembra essere commosso dalla vicenda tra Jane e Thor e
si offre di aiutare il Dio del tuo, dicendogli che ha qualcosa di
speciale per lui.
Dal momento che non è stato fornito
alcun contesto aggiuntivo sulla scena eliminata, rimane in dubbio
cosa avesse in serbo esattamente Zeus per Thor. Alcuni hanno
ipotizzato che il dio greco intendesse dare a Thor il suo
leggendario Fulmine, piuttosto che farselo rubare come avviene nel
film. La scena eliminata offre però anche un lato più umano e
comprensivo di Zeus, che nel film appare invece come arrogante e
amareggiato nei confronti degli altri protagonisti. Il dio greco
interpretato da Crowe si è affermato come uno dei personaggi più
apprezzati del film e le rivelazioni offerte da questa scena
tagliata portano a chiedersi se non ci sia altro di lui rimasto
fuori dal film.
Oltre a questa versione alternativa
del personaggio di Zeus, sappiamo però dell’esistenza di materiale
tagliato realitivo dio greco Dioniso interpretato da
Russell Beale, come anche di altri personaggi
significativi quali The Grandmaster di Jeff Goldblum e
l’introduzione di Lena Headey
(Il Trono di Spade) in un ruolo non
specificato. Tuttavia, ad oggi non è noto se in futuro verranno
rilasciate anche altre scene eliminate da Thor: Love and Thunder.
L’ultimo film ad ora uscito della
saga di James
Bond, No Time To
Die ha concluso l’avventura di Daniel Craig
nei panni dell’amato agente 007. Mentre si cerca di scoprire chi
raccoglierà questa pesante eredità, assumendo i panni del
personaggio ideato dallo scrittore Ian Fleming,
una nota attrice dell’ultimo film ha lasciato aperta la porta ad un
suo possibile ritorno anche nei prossimi lungometraggi della saga.
Si tratta della francese Lea Seydoux, che ha
recitato nei panni di Madeleine Swann nei film
Spectre e, appunto,
No Time To Die. Le dichiarazioni che seguono, rilasciate
dall’attrice, contengono uno spoiler
particolarmente importante sul finale dell’ultimo film. Se non si è
ancora visto questo, è bene evitare di continuare la lettura.
Nel corso di un’intervista con
Deadline, la Seydoux ha fatto notare come il finale di No Time
to Die lasci la porta aperta affinché possa riprendere il suo
personaggio nonostante il suo James Bond si sia ritirato dal
franchise. “Dopotutto, non sono morta”, ha spiegato
l’attrice. “E’ morto James, non Madeleine. Quindi, chissà?
Forse tornerò. È come una fake news, giusto? Ma se siamo seri per
un momento, Madeleine se ne va con sua figlia proprio alla fine
perché James li ha salvati. Ci sarà un nuovo Bond perché quello di
Daniel è morto, ma chi può dire che Madeleine non
tornerà?”.
Ad oggi non ci sono notizie di alcun
genere sul prossimo film della saga, se non ché, come affermato
dalla produttrice Barbara Broccoli, sarà una
completa reinvenzione del personaggio di Bond. Potrebbero dunque volerci anni
prima che qualcosa a riguardo venga confermato, a partire dal nuovo
interprete che assumerà i panni del personaggio. Ciò che sappiamo,
però, è che nel futuro della saga potrebbe ancora esserci posto per
Madeleine, un personaggio molto amato dai fan.
Quando si pensa ai compositori di
colonne sonore per il cinema, il primo nome che viene in mente è
senza ombra di dubbio quello di John Williams.
Autore delle musiche di film del calibro di Lo squalo, E.T. –
L’extraterrestre, Guerre Stellari, Indiana Jones,
Schindler’s List e innumerevoli altri, Williams è anche una
delle personalità più premiate di sempre, basti pensare ai suoi 5
Oscar su 52 candidature. Ancora oggi egli continua ad impreziosire
numerosi lungometraggi con le sue meravigliose musiche e il
prossimo film in cui si potranno ascoltare le sue nuove
composizioni è l’atteso Indiana Jones
5.
Ancora senza un titolo ufficiale, il
film sarà il quinto capitolo nella serie di Indiana Jones.
Harrison Ford
riprenderà nuovamente il ruolo dell’iconico avventuriero, mentre
accanto a lui ci saranno Mads Mikkelsen e
Phobe
Waller-Bridge, con dei ruoli ancora non rivelati.
Anche se atteso in sala per il 2023, il film inizia piano piano a
svelare sempre qualcosa di più su sé stesso. Un nuovo dettaglio a
riguardo l’ha rivelato proprio Williams, il quale nel corso di un
suo concerto al Hollywood Bowl ha eseguito il brano
Helena’s Theme, relativo dunque al
personaggio interpretato dalla Waller-Bridge.
“Stavo chiacchierando con il
nostro meraviglioso regista James Mangold. –
ha annunciato Williams nel corso del concerto – Mentre
registravamo la musica, Jim ha detto: ‘Perché non la suoni al Bowl
la prossima settimana?’ Ho detto: ‘Beh, Jim, il film non uscirà
prima del prossimo anno.’ “Non importa! Suonala al Bowl!” Quindi,
ecco a voi il tema di Phoebe”. Il video dell’esecuzione poi
diffuso online ha permesso anche a chi non era presente di poter
ascoltare il brano, il quale descrive in musica il personaggio di
Helena. Questo è stato anticipato come “un’avventuriera” e
“una femme fatale”, e Williams ha aggiunto che il suo tema
include “musica lirica come per una vecchia star del cinema, a
cui assomiglia”.
C’è grande attesa per il film
Halloween Ends, il capitolo conclusivo
della nuova trilogia dedicata al celebre assassino Michael Myers.
Dopo Halloween e Halloween Kills, questo
terzo film è ora atteso in sala il 20 ottobre. Nel
preparare i fan a tale lungometraggio horror, il regista
David Gordon Green ha svelato i tre film a cui si
è maggiormente ispirato per concludere questa sua trilogia. Come
noto, questa ha totalmente ignorato i precedenti sequel e remake
per dar vita invece a dei sequel diretti del primo
Halloween, diretto nel 1978 da John
Carpenter.
Riprendendo la trama 40 anni dopo,
si ritrova dunque Laurie Strode (interpretata come sempre da
Jamie Lee
Curtis) chiamata a confrontarsi nuovamente con il suo
acerrimo nemico, con in più l’obiettivo di proteggere sua figlia
Karen e la nipote Allyson. Per il gran finale, Green ha ora
dichiarato di essersi ispirato a due horror e, inaspettatamente, ad
una commedia per famiglie. I film in questione sono
Christine – La macchinainfernale, l’horror del 1983 diretto da
Carpenter e basato sull’omonimo romanzo di Stephen
King, Butcher, Baker, Nightmare Maker, lo
slasher del 1981 di William Asher e la commedia
del 1980 MyBodyguard,
di Tony Bill.
L’essenza della storia di
quest’ultimo riguarda lo scoprire la propria forza interiore e
imparare a resistere ai propri antagonisti. Non bisogna dunque
aspettarsi che Halloween Ends acquisisca toni comici, ma è
più probabile che il regista abbia preso spunto a livello tematico,
in particolare per quanto riguarda My Bodyguard, per
mostrarci una Laurie Strode che trova la forza e il modo di opporsi
al suo rivale di lunga data, magari tirando fuori aspetti di sé
ancora inesplorati. Per scoprire in che modo la storia si
concluderà, non resta dunque che attendere il 20 ottobre, magari
recuperando prima di quel momento i tre film citati dal
regista.
Atteso in sala per il 3
novembre 2023, il del Marvel Cinematic UniverseBladeha
finalmente una data precisa di inizio e fine riprese. Queste si
svolgeranno infatti dal 5 ottobre fino al
28 gennaio 2023. Tra le location ad ora annunciate
vi sono Atlanta, New Orleans, Cleveland, e il Marocco. Come noto,
il film introdurrà nel MCU il personaggio del vampiro Blade,
che sarà interpretato dal due volte premio Oscar Mahershala Ali.
Si tratta di uno dei progetti più attesi della Fase 5, sia per
il suo tono tendente all’horror sia per i notevoli cambiamenti
narrativi che il progetto potrebbe apportare all’interno universo
cinematografico della Marvel.
Diretto da Bassam
Tariq, del film si sa ancora molto poco se non che
esplorerà la natura del personaggio, un vampiro in grado di
camminare alla luce del sole che usa i suoi poteri per dare la
caccia ai suoi simili malvagi. Il personaggio era già stato
raccontato al cinema con i film Blade, Blade II e Blade: Trinity, dove ad
interpretare il personaggio vi era l’attore Wesley Snipes.
La scelta di Ali per assumere ora tale ruolo sembra aver messo d’accordo
tutti, con l’attore indicato perfettamente idoneo sia a livello
estetico che di carisma.
Il Blade di
Ali, come noto, ha già avuto un suo piccolo ingresso nell’MCU. Sua
è infatti la voce che si può ascoltare nella scena post titoli di
coda del film Eternals, quella in cui
compare anche l’attore Kit Harington e
la celebre Lama d’Ebano, che a sua volta sembra comparirà in
Blade.
Con il periodo di riprese annunciato, è solo questione di tempo
prima che inizio ad arrivare ulteriori notizie sul film, sia per
quanto riguarda il cast sia per quanto riguarda il look del
protagonista e dell’opera in sé.
Tra i film del Marvel Cinematic Universe
più attesi dai fan vi è Deadpool3, terzo capitolo della serie di film
dedicati al celebre mutante brillantemente interpretato da Ryan Reynolds.
Attualmente in fase di sviluppo, il film non ha però una data di
uscita certa e ancora non ha trovato un suo posto né nella Fase 5 né nella
Fase 6. Poco dunque si sa del film, a parte il
fatto che riunirà Ryan Reynolds con il regista Shawn
Levy e i loro frequenti collaboratori Rhett
Reese e Paul Wernick, il duo di
sceneggiatori che attualmente sta lavorando alla riscrittura della
sceneggiatura. Quando si tratta del ritorno di personaggi,
tutto è invece ancora aperto, incluso il potenziale ritorno della
Vanessa di Morena
Baccarin.
Il personaggio, che nei primi tre
film aveva il ruolo di compagna del mercenario Deadpool, è stato
tragicamente fatto morire nel secondo film. Ciò sembrava precludere
ogni possibilità di rivedere Vanessa anche nel terzo capitolo, ma
le cose potrebbero non andare esattamente così per lei.
Intervistata a riguardo la Baccarin ha inizialmente affermato che
“non ne ho idea. Stanno scrivendo la sceneggiatura proprio ora
e di solito sono l’ultima a scoprire qualcosa”. Nel corso
dell’intervista, però, l’attrice ha aggiunto che grazie ai viaggi
nel tempo visti in Deadpool 2 un ritorno
in scena di Vanessa non è da escludere.
“Quando abbiamo girato il
secondo film, sarei dovuta rimanere morta, ma poihanno
effettivamente cambiato alcune cose per includere questo elemento
del viaggio temporale, e penso sia stato il segno che i fan
vogliono rivedere Vanessa. Che accada o meno, però, non dipende da
me”. Sappiamo bene quanto Deadpool sia profondamente
innamorato di Vanessa, quindi non è da escludere che anche nel
terzo film egli tenterà di rivederla. Per poterne avere certezza,
però, bisognerà attendere ulteriori notizie relative a
Deadpool3 e al suo cast.
Ecco tutte le foto dell’ultimo red
carpet della giornata,
The Whale, l’atteso nuovo film di Darren
Aronofsky che vede protagonisti con
Brendan Fraser,
Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha.
Un solitario
insegnante inglese affetto da una grave forma di obesità cerca di
riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, con la quale ha
perso i contatti, per un’ultima possibilità di redenzione.
Il commenti del regista
Il cinema può metterci in contatto
con gli altri, indipendentemente da quanto possano apparirci
diversi in superficie. Le persone che lottano con l’obesità sono
spesso giudicate, respinte ed etichettate. Quando otto anni fa ho
visto lo spettacolo di Sam Hunter, mi sono meravigliato della
profondità dei suoi personaggi, soprattutto di Charlie, e mi è
venuta l’ispirazione di usare il grande schermo per mettere il
pubblico nei panni di Charlie, per immergermi nei suoi pensieri
più profondi, nei suoi rimpianti e nelle sue speranze. Ma dove
avrei trovato il mio Charlie? Avevo bisogno di un grande talento
che potesse risplendere attraverso il trucco, un attore con un
cuore immenso e un’anima pura. Non appena incontrai Brendan, capii
immediatamente che avevo trovato il mio protagonista. In lui vi è
qualcosa di ineffabile che dà vita al personaggio e ci trasporta –
mente e cuore – in ciò che avrebbe potuto essere
inconoscibile.
La trama di Gli
Spiriti dell’Isola(The Banshees of
Inisherin)
Ambientato su una remota isola al
largo della costa occidentale dell’Irlanda, The Banshees of
Inisherin segue le vicende di due amici di vecchia data, Padraic e
Colm, che si ritrovano in un’impasse quando Colm decide bruscamente
di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta
questo rifiuto e tenta di ricucire la relazione, aiutato dalla
sorella Siobhan e da Dominic, un giovane isolano tormentato. I
ripetuti sforzi di Padraic, tuttavia, non fanno che rafforzare la
determinazione dell’ex amico e, quando Colm lancia un disperato
ultimatum, gli eventi precipitano rapidamente, con conseguenze
scioccanti.
La trama di Don’t worry
darling
Alice e Jack vivono nella comunità
idealizzata di Victory, la città aziendale sperimentale che ospita
gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro
famiglie. L’ottimismo della società degli anni Cinquanta,
propugnato dall’amministratore delegato Frank – in egual misura
visionario aziendale e life coach motivazionale – caratterizza ogni
aspetto della vita quotidiana nell’affiatata utopia del deserto.
Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier
generale del Victory Project, lavorando allo “sviluppo di materiali
avanzati”, le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di Frank,
Shelley – possono trascorrere il loro tempo godendosi la bellezza,
il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è
perfetta, con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti
dall’azienda. Tutto ciò che chiedono in cambio è discrezione e
impegno indiscusso per la causa di Victory. Ma quando iniziano ad
apparire delle crepe nella loro vita idilliaca, mostrando sprazzi
di qualcosa di molto più sinistro che si nasconde sotto la
facciata attraente, Alice non può fare a meno di chiedersi
esattamente cosa stiano facendo a Victory, e perché. Quanto è
disposta a perdere Alice per svelare ciò che sta realmente
accadendo in questo paradiso?
Il commento di Olivia Wilde
Questo film è la mia lettera d’amore a quel
cinema che supera i confini della nostra immaginazione. È
ambizioso, ma penso che abbiamo realizzato qualcosa di molto
speciale. Immaginate una vita in cui avete tutto quello che
desiderate. Non soltanto le cose materiali o tangibili come una
bella casa, auto meravigliose, cibo delizioso e feste a non finire,
ma anche le cose veramente importanti: l’amore vero con il partner
perfetto, gli amici migliori e una vita con uno scopo
significativo. Che cosa vi farebbe rinunciare a tutto questo? Cosa
sacrifichereste per fare la cosa giusta? Sareste disposti a
smantellare il sistema che è stato progettato al vostro servizio?
Questo è il mondo, e la domanda, di Don’t Worry
Darling.
E’ stato presentato in concorso a
79. Mostra Internazionale d’Arte
CinematograficadiVenezia,
L’immensità,
il nuovo film del regista Emanuele Crialese che
sarà accompagnato con la sua protagonista, la bellissima
Penelope Cruz. Il film, prodotto da Wildside (Mario
Gianani, Lorenzo Gangarossa), Chapter 2 (Dimitri Rassam), Warner
Bros. Entertainment Italia, Pathé, (Ardavan Safaee), France 3
Cinema, vede nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato,
Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.
Roma, anni Settanta: un mondo
sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora
in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai
superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo
appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non
riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli, su cui
Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la
più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone
attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni
crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua
identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa
ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto
di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che
sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di
loro tutto cambia.
Il commento del regista
L’Immensità è il film che inseguo
da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta
lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai
abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che
aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza
diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un
film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro
relazione con una madre che poteva prendere vita solo
nell’incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua
sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con
tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima.
Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come
tali sempre intensamente e immensamente veri.
Presentato a
Orizzonti Extra nell’ambito di Venezia 79, Valeria is getting
married racconta la storia di una ragazza che accetta un
matrimonio combinato pur di avere una vita migliore, ma quando si
allontanerà da casa e comincerà a lavorare e a esse indipendente,
capirà che forse il matrimonio non è l’unica strada per una donna.
Abbiamo incontrato Michal Vinik, regista, che ci
ha parlato della la genesi del film e di quello che aveva
intenzione di raccontare.
Chi è
Valeria?“Una giovane donna ucraina che cerca per sé
una vita migliore. Vede la sorella cercare di far Leo stesso e
cerca di fare lo stesso”.
Da dove è venuta l’ispirazione per la storia?“Ho camminato a lungo con il personaggio di Cristina, la
sorella, ma poi sono incappata in questo fenomeno dei matrimoni
combinati, e mi sono interessata principalmente alle figure
maschili, agli uomini. Ho letto diverse chat di queste persone, ho
anche partecipato a diverse chat di uomini con i quali per me è
stato difficile connettermi. Credo siano persone che non trovano il
loro posto nel mondo e cercano di ottenere ciò che possono. A volte
pensano che prendere una moglie da un altro paese non sia una
cattiva idea. Così la storia ha preso forma.”
Il film si pone
in maniera molto equilibrata rispetto ai fatti che mostra, non
prende le parti di nessuno, giusto?“Ho cercato di non
giudicare nessuno, io scrivo e dirigo. Ho cercato di trovare un
equilibrio, perché nessuno pensa a se stesso come al cattivo della
storia. Per esempio, prendi le persone che mangiano carne, si
vedono come persone buone, ma se chiedi a un maiale magari la
risposta è diversa! Ho cercato di difenderli e mi sono sentita
anche colpevole in merito. Ma volevo dire qualcosa sulle relazione
tra uomo e donna in un mondo governato da uomini”.
Valeria is
getting married si avvale di una grande ricchezza linguistica, come
ha gestito questo aspetto?“Non dirigerò mai più un
film in una lingua che non capisco e parlo fluentemente. È stato
molto complicato per me, c’è l’ucraino, il russo, l’inglese e
l’ebraico. Sono stata molto aiutata dagli attori e dal personale
sul set. Alla fine ci siamo divertiti, perché l’inglese è
universale mentre l’ebraico è la nostra lingua madre, mentre russo
e ucraino sono la lingua delle nostre attrici. E credo che il
risultato sia stato molto autentico.”
Che tipo di
società è quella che si affida ai matrimoni combinati?“I matrimoni combinati si verificano intorno a noi,
continuamente. In tutto il mondo, non è una pratica che non è
illegale. Queste persone si incontrano in rete, su Skype magari,
poi magari il matrimonio fallisce nel 90 % dei casi. Ma non è una
pratica illegale, nessuno viene rapito!”
Nel film c’è un
riferimento ad Anna Karenina, come mai proprio quel
romanzo?“Abbiamo cercato di farlo apparire come un
vecchio film russo, abbiamo usato delle vecchie lenti per le
riprese e tutti i riferimenti culturali dei personaggi sono
riferiti alla cultura russa e ucraina. Tutte le foto nella casa del
film appartengono all’attrice, quando viveva in Ucraina.”
Prima che Dorothy
la percorresse nel 1939, una giovane del Kansas si è lasciata
catturare dalla luminescenza della strada di mattoni gialli di
Oz, e vi ha consegnato tutta la sua anima.
Ti West e Mia Goth hanno presentato fuori concorso a
Venezia 79Pearl, prequel di X – A Sexy Horror Story uscito nelle sale
italiane a marzo, e incentrato sulla figura della temibilissima
villain del film, che vi immergerà in uno spettacolo di technicolor
e disillusioni taglienti come un’accetta.
Come si diventa una villain terrificante?
Ambientato nel 1918, all’epoca
della pandemia di influenza spagnola e della Prima Guerra Mondiale,
il film esplora le origini di Pearl, il
personaggio malvagio di X. Sentendosi intrappolata nell’isolata
fattoria di famiglia, Pearl ha il compito di
occuparsi del padre malato e in coma, mentre è sottoposta al duro
controllo della crudele madre. La giovane sogna di poter prendere
parte alla vita glamour che ha visto rappresentata nei film di
Hollywood, ma le sue ambizioni e le dure repressioni imposte dalla
madre la renderanno tutt’altro che una candida perla.
La sceneggiatura di
Pearl è stata scritta a due mani da Ti
West e Mia Goth e, al di là del fulcro tematico che
sapevamo già essere la backstory della villain di X, capiamo immediatamente che questo film è
costruito su Mia Goth. Solo un’attrice così accattivante e
al contempo capace di scatenare una furia omicida a cui non possono
essere imposti freni sarebbe stata in grado di dare vita a un
personaggio vittima di un contesto sociale e famigliare ostile,
dalla psicologia completamente deviata, ma profondamente
divertente.
Pearl: la prima vera donna di Ti West
Pearl è il film
più femminile, camp e divertente di Ti West. Il
personaggio di Mia Goth potrebbe benissimo abitare
l’House of The Devil che il regista ha
accuratamente dipinto nel film del 2009, ma potrebbe stupirci anche
in uno spettacolo di cabaret e farci morire dalle risate. Non solo:
nella sua totale artificiosità, Pearl riesce a
trovare un appiglio con il presente, dando vita a uno dei pochi –
se non nulli – horror pandemici che hanno trovato distribuzione in
Italia e attingendo al contesto bellico solo per ciò che è
funzionale al racconto della backstory di una villain. Quello che
Pearl diventerà in X è il risultato di un’educazione rigidissima
ma, soprattutto, dell’isolamento imposto tanto da chi le sta
accanto e teme per lei quanto dalla costrizione di comportarsi come
“angelo del focolare” mentre gli uomini sono andati in guerra e vi
è un’epidemia terribile in corso.
Il personaggio di
Pearl terrorizzerà in X ma, paradossalmente, in questo prequel è
l’unica a non avere mai paura. Pearl guarda al
futuro con speranza, vuole partire per l’Europa, che le regalerà
cultura e spettacolo, lasciarsi alle spalle un’ambientazione
paesana che non offre futuro a chi manifesta curiosità e talento.
Solo rifugiandosi al cinematografo o nella vastità della campagna,
Pearl può librarsi in altissimo, dove rifulge
quella stella a cui ha affidato il sogno di “diventare la più
grande star del mondo”, per poter fuggire molto, molto lontano.
La regia di Ti
West segue i pensieri forsennati di
Pearl, che ne dettano differenti approcci alla
fisicità: passiamo da sequenze oniriche a soluzioni di montaggio
agilissime, ci perdiamo tra la vivacità di colori che segna la
visione del mondo di Pearl e la rigidità di una
responsabilità ingombrante che vieta di sognare. L’integerrima
madre tedesca di Pearl indossa abiti vittoriani, è
legata a un’idea di Europa completamente opposta a quella della
figlia, su cui riversa ogni frustrazione di un equilibrio
famigliare che si è ormai rotto da tempo e il modo in cui viene
“raccontata” la vita in casa è totalmente contrapposto alle
soluzioni visive ideate per esplorare la mente di
Pearl.
X – A Sexy Horror Story porterà una giovane
stella nascente del cinema porno alla vecchia casa di
Pearl. Pearl guarderà
Maxime con avidità, cercando di succhiarle via
tutto il talento che lei aveva ed è andato sprecato. Sembra
impossibile che la coloratissima Pearl possa
tramutarsi in una presenza spettrale in X – A Sexy Horror Story e l’averne già la
consapevolezza rende il viaggio di Pearl ancora
più mesto. Ma non temete: se la Pearl di
X vi spaventa, potete sempre tornare indietro e
guardare il mondo con gli occhi della Pearl
giovane, una piccola Dorothy a cui sono state
sottratte le scarpette rosse.
Ecco tutte le foto dal red carpet
del film italiano Ti mangio il cuore, presentato
alla 79esima
edizione della Mostra
d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti.
Oltre al regista presenti gli interpreti Francesco Patanè,
Francesco Di Leva, Lidia Vitale, Brenno Placido, Tommaso Ragno,
Michele Placido.
Puglia. Arso dal sole e dall’odio,
il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano
venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una
terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A
riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore
proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e
Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione
fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai
Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si
opporrà con forza di madre a un destino già scritto.
Il commenti del regista
È tutta racchiusa nel titolo del
film la doppia anima di questa storia, fatta di spietatezza e
passione. Da un lato una società arcaica e feroce, dominata dalla
violenza di leggi primitive che regolano antiche faide mafiose mai
davvero estinte, dall’altro la forza dell’amore che sconvolge e
sovverte, una scintilla che fa divampare una nuova guerra ma anche
il desiderio di una vita diversa. Quella di Ti mangio il cuore è
una storia archetipica che parla di amore, vendetta e morte, ma
anche di una terra di prepotente bellezza, il Gargano, straziata e
insanguinata da una mafia poco conosciuta e spietata. Un mondo in
cui la spirale della violenza sembra travolgere tutto e distruggere
anche l’amore, ma non Marilena, che non ha paura di vivere le
proprie passioni, i propri desideri e non intende piegarsi a un
destino già scritto. Perché un destino diverso è possibile.
Ecco la nostra intervista a
Niccolò Falsetti, Francesco
Turbanti e Zerocalcare, rispettivamente
regista/sceneggiatore, attore/sceneggiatore e special thanks di
Margini, l’unico film italiano selezionato nel
Concorso della 37° Settimana della Critica a Venezia 79.
Elodie, la
cantante al suo debutto al cinema come attrice incanta il red
carpet di Venezia
79. L’artista ha accompagnato il cast del film del quale è
protagonista: Ti
mangio il cuore. Il film scritto e diretto da
Pippo Mezzapesa vede protagonisti al fianco della
cantante Francesco Patanè, Francesco Di Leva, Lidia Vitale,
Brenno Placido, Tommaso Ragno,
Michele Placido.
Puglia. Arso dal sole e dall’odio,
il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano
venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una
terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A
riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore
proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e
Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione
fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai
Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si
opporrà con forza di madre a un destino già scritto.
Emanuele Linfatti e
Matteo Creatini, protagonisti di Margini, raccontano com’è stato lavorare
all’unico film italiano nella selezione ufficiale della 37°
Settimana della Critica a Venezia 79.
Presentato nel Concorso di Venezia
79, L’immensità è il nuovo film di
Emanuele Crialese, con protagonista
Penelope Cruz, e oggi protagonista al
Lido. L’immensità, spiega Crialese, “è
una storia che mi riguarda molto da vicino, è la mia storia in
chiave poetica, sarebbe riduttivo definirlo il mio ‘coming out’, il
pubblico penserebbe ad un film sulla transizione ma non è affatto
così”.
Il film, che arriverà in sala il 15
settembre, è ambientato in una Roma “metafisica” degli anni ’70, e
racconta la storia di una famiglia in cui la madre, infelice,
cresce tre figli, la maggiore delle quali rifiuta il suo nome e la
sua identità sensuale. In merito alla classificazione di genere,
Crialese dice: “I tempi sono cambiati, ai giovani di oggi le
classificazioni di genere non interessano più, in questo sono
maestri, portatori di una nuova sensibilità, maschio, femmina, sono
quel che sono, prima di tutto esseri umani”.
Il regista, che nel film non
racconta solo se stesso ma anche la sua famiglia e sua madre, dice:
“Sono figlio del mio tempo, ma i tempi oggi sono cambiati. Le
famiglie vanno sostenute quando ci sono da fare certi percorsi, mia
madre era da sola, non sapeva dove sbattere la testa. Ho cambiato
la ‘a’ con la ‘e’ e ho dovuto lasciare un pezzo del mio corpo, ma
io sono uomo e no, donna e no e voglio rimanere così e spero di non
minacciare nessuno per questo”.
Siamo di fronte al film più
personale nella carriera del regista: “L’Immensità –
spiega infatti Emanuele Crialese – è il film
che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma
ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi
sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla
memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una
consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima
di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla
loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo
nell’incontro, artistico e umano, con Penelope Cruz, con la sua
sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre
giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana,
Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali
sempre intensamente e immensamente veri”.
“I temi che mi appassionano sono sempre quelli: la donna, i
bambini, la migrazione, la transizione.
Poi invento storie per raccontare quelle situazioni. Ho dovuto
aspettare, per acquisire consapevolezza di me, del mio percorso,
del linguaggio cinematografico. Le cose bisogna raccontarle quando
si sa parlare, si è capace di esprimersi. Questa storia
per me ha rappresentato una rinascita”.
Era uno dei momenti più
attesi di Venezia 79, l’esordio di Elodie al
cinema con Ti Mangio il Cuore, di Pippo
Mezzapesa, nella selezione di Giornate degli
Autori. La cantante dà corpo e voce alla prima pentita
della mafia foggiana, un personaggio, quello di Marilena, di cui ha
detto di essere orgogliosa.
C’è il rischio
che l’attenzione sul suo esordio al cinema possa togliere luce e
spazio al film?
“Da tempo avevo
pensato che sarebbe stato bello fare un’esperienza da attrice
– risponde Elodie – ma attendevo la magia, una storia che
mi colpisse e che mi desse la possibilità di fare qualcosa di
diverso da quello che faccio quando canto.” E così è nata la
volontà di interpretare Marilena. “La sceneggiatura mi ha
mostrato un personaggio bello e autentico, molto sfaccettato.
Marilena è una donna vera, e ho pensato che fosse pretenzioso da
parte mia voler interpretarla ma era anche molto interessante. Ho
accettato di parlare con lei, anche perché mi consentiva di andare
molto più in profondità rispetto al solito, dal momento che faccio
musica di intrattenimento, principalmente. Lidia Vitale mi ha
aiutata tanto sul set e non era scontato che un’attrice tanto
navigata potesse avere la voglia di starmi accanto e di
aiutarmi.”
Di Marilena, personaggio
ispirato alla prima collaboratrice di giustizia appartenente alla
mafia foggiana, Elodie ha detto: “Sarei
orgogliosa di ciò che ha fatto una donna del genere, lei che ha
scelto la vita per il bene dei suoi figli, ha deciso di non stare a
certi schemi, di uscire da un loop. Sarei orgogliosa.”
E rispetto al lavoro di
attrice che ha inaugurato proprio con questo film, la popstar
italiana ha detto: “Con questo lavoro, ho scoperto delle cose
di me, anche grazie agli altri, ai miei colleghi e alle
collaborazioni. Lavorare insieme ti permette di scoprirti, mi sono
trovata più volte in difficoltà e ho trovato persone che mi hanno
sostenuta intorno a me. Mi piacerebbe replicare l’esperienza, ma
sempre scegliendo con attenzione i progetti e starci dentro,
immergermi. Potrebbe diventare un ottimo modo di lavorare su me
stessa e fare terapia.”
Darren Aronofsky,
Brendan Fraser e
Sadie Sink hanno presentato in anteprima a
Venezia 79 il nuovo film del regista, The Whale. Visibilmente emozionati per il
ritorno del regista al Festival dopo Madre! (2017), il cast ha raccontato il loro
lunghissimo viaggio – durato quasi 10 anni – per produrre il
film.
Aronofsky ha
raccontato come si è approcciato per la prima volta al testo
teatrale di The Whale. “Ho letto il copione e lo
volevo fare subito. Negli ultimi anni abbiamo perso così tanto e il
cinema è soprattutto una questione di possibilità: questo è un
grandissimo momento per me. Mi ricordo benissimo che lessi una
recensione dello spettacolo teatrale sul New York Times, sono
andato a vederlo subito, mi sono commosso. Ho voluto poi mettermi
in contatto con l’autore Samuel D. Hunter e abbiamo discusso
le possibilità di adattare questo film su schermo. Tutti i
personaggi sono così ricchi e umani, era un bellissimo copione per
poter lasciare fluire la mia immaginazione“.
Il movimento nello spazio gioca un
ruolo fondamentale in The Whale: la storia si svolge all’interno di
un’ambientazione claustrofobica, che tiene quasi come prigioniero
questo uomo gigante. Cosa ha spinto Aronofsky ad
interessarsi a un dramma molto più emotivo e contenuto rispetto al
suo stile? “Ho iniziato con 20mila dollari per fare il primo
film, quelli che sembrano limiti in realtà stimolano soltanto di
più quello che fai. Ero interessato non solo all’ambientazione in
uno spazio chiuso ma anche a un uomo che non poteva muoversi
facilmente. Impari sempre di più da questi personaggi, pian piano
metti insieme i pezzi, è una sceneggiatura che ti accende il
cervello, sapevo che questo copione avrebbe interessato il
pubblico“.
“La mobilità fisica di
Charlie è limitata al suo spazio vitale, che è
sostanzialmente il divano. La sua storia è raccontata a porte
chiuse, ma c’è una luce nell’oscurità. Lui manifesta il suo trauma
tramite il fisico. Ho dovuto imparare a muovermi in modo nuovo,
sentivo le vertigini alla fine di ogni giorno di prova, questo mi
ha fatto apprezzare ancora di più il mio corpo. Devi essere una
persona molto forte mentalmente per poter abitare un corpo come
questo“, ha aggiunto Fraser. “Penso che Charlie sia il
personaggio più eroico che io abbia mai interpretato. Questo è il
suo viaggio. Tra tutti gli eroi che ho interpretato, lui è
L’EROE“.
Uno dei temi fondamentali di
The Whale è il potere salvifico della letteratura,
come ha spiegato l’autore del testo teatrale Samuel D.
Hunter: Charlie cerca la verità in questa storia, ci sono delle
verità brutali del suo passato che non può affrontare, ma deve
farlo per salvare le persone vicino a lui. Volevo scrivere la
storia di un insegnante di inglese che deve riconnettersi con la
figlia e lo vuole fare anche tramite la letteratura”. “C’è
tanto di me in questa sceneggiatura. Ho avuto un problema col cibo,
ero un ragazzo gay in una scuola cattolica, volevo passare questa
mia storia a qualcuno che ne avrebbe capito il senso di speranza e
la fede nelle persone perchè è ciò che mi ha salvato“.
Per quanto riguarda il processo di
casting per The Whale, Aronofsky
ha raccontato che gli ci sono voluti quasi 10 anni per trovare
l’interprete perfetto per Charlie. “Ho
considerato ogni singola star sulla faccia della terra, ma nessuna
mi ha convinto veramente. Poi ho trovato il trailer di un film
brasiliano low budget in cui c’era Brendan. E ho capito tutto. Ci
siamo incontrati ed è andato tutto benissimo. Sadie, invece, è la
mia nuova giovane attrice preferita, ho avuto i brividi dal primo
momento in cui si sono incontrati questi due e hanno letto il
copione“.
“Le persone non sono in grado
di non preoccuparsi per gli altri. Questa è la prospettiva di vita
di Charlie e credo che sia il miglior messaggio da lasciare al
mondo in questo momento. Stiamo tutti andando verso la disillusione
ma non dobbiamo farlo, dobbiamo prenderci cura l’uno
dell’altro“, questo il messaggio finale che, secondo
Darren Aronofsky, The Whale
dovrebbe trasmettere.
La regista Rebecca
Zlotowski porta in concorso a
Venezia 79I figli degli altri, film
basato su un’esperienza autobiografica e che mira a raccontare il
tema della maternità da una prospettiva differente.
La trama de I figli degli
altri ruota attorno a Rachel è una donna
di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del
liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra.
Quando si innamora di Ali, stringe un legame profondo anche con
Leila, la figlia di quattro anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte
prima di dormire, se ne prende cura, le vuole bene come se fosse
sua. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.
Proprio partendo dal nucleo della
sceneggiatura, la regista ha parlato del suo approccio a una storia
tanto personale ma che riflette preoccupazioni e sentimenti
universali. “Quando si parla di maternità, spesso si creano due
fazioni: c’è chi ha fatto questa esperienza e dice che non si può
vivere senza. Ma io volevo trasmettere il messaggio che puoi
comunque voler sempre dire qualcosa come donna, puoi tracciare il
tuo cammino anche senza avere figli. Ho cercato di trovare un
equilibrio in termini di storytelling tra le diverse ideologie, che
oggigiorno sono anche politiche. Il mio film ha comunque
un’ideologia, e sta nel fatto che una donna può esistere anche
senza dei figli, c’è una presa di posizione rispetto al fatto che
una donna può realizzarsi anche senza figli. La scrittura è sempre
un lavoro che cerca di mescolare elementi della quotidianità ed
emozioni che potremmo provare: io ho voluto raccontare come sarebbe
potuta essere la mia vita, se non fossi stata una
regista“.
Abbiamo poi potuto sentire il parere
degli attori protagonisti su una questione tanto dedicata,
confrontando il punto di vista femminile a quello maschile. La
protagonista Virginie Efira ha dichiarato:
“Quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca ho colto
immediatamente la descrizione che voleva fare del momento di una
vita della donna che non ho mai visto rappresentato al cinema e che
corrisponde a una riflessione che ho fatto a livello personale.
Stiamo parlando di qualcosa che appartiene a tutte le donne, fa
parte di una sorte di desideri da parte di una donna che spesso si
scontrano con l’impotenza e che si può anche esprimere senza avere
figli, ma tramite un personaggio che è matrigna della figlia di un
compagno. Ci sono tante domande nella sceneggiatura e non abbiamo
bisogno di risposte: a me bastava riconoscermi in quelle
domande“.
Ha poi proseguito Roschdy
Zem: “Voglio condividere con voi l’emozione di
sentirmi privilegiato di portare sullo schermo una storia così
tipica del 21esimo secolo. Il fatto che una regista abbia avuto
l’idea di questo progetto apre la porta a una nuova era della
tradizione cinematografica. Ci sono una serie di soggetti e
tematiche nuove nel cinema, mai state affrontate prima d’ora nel
linguaggio cinematografico. Per me il futuro del cinema è
femminile: o sarà donna o non sarà“.
Un aspetto interessante de I
figli degli altri è l’indagine interiore anche di
Leila, la bambina cui la nostra protagonista
stringe un legame inedito. “É sicuramente difficile riuscire a
tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza
all’interno di una storia. Da un lato sono una benedizione,
dall’altro possono anche essere un peso nella vita, anche se sono
degli esseri nei confronti dei quali noi proviamo un bene immenso.
Alla base del fare un figlio c’è questo conflitto e io volevo
mostrarlo. Può anche accadere che non piacciano i figli del
compagno che ci scegliamo. Nel cinema siamo cresciuti vedendo
rapporti idilliaci tra famiglie e figli. All’inizio del film io ho
semplicemente tratteggiato l’innamoramento, volevo più che altro
dare una caratterizzazione ai singoli personaggi, non soffermarmi
sulla storia d’amore. Virginie è un’insegnante, ha un rapporto
molto intimo con la figura infantile. Alla base, è una storia
semplice ma arriviamo a coglierne tutte le sfumature“.
Nel film, incontriamo anche il
regista FrederickWiseman in un
cameo inedito e Rebecca Zlotowski ha parlato del
rapporto che si è instaurato nel corso degli anni tra i due:
“Ci siamo incontrati su un ascensore a Venezia, io ero giudice
di Orizzonti. Io avevo scarpe brillantinate, lui giganti e
sportive. ‘Scarpe da regista’, mi dice lui, ‘Scarpe da regista’,
ribatto io riferendomi alle mie. Ci siamo poi incontrati più volte,
lui vive a Parigi. Mi è venuto in mente che lui ama recitare ed è
una persona scherzosa, con un grande senso dell’umorismo. Gli è
piaciuto moltissimo fare questo cameo assolutamente comico. Prima
di fare la regista, sono stata insegnante di cinema, in particolare
di documentari e mi piace pensare che questa figura possa essere
definita come un ricercatore nel museo dell’uomo, mi piaceva l’idea
che Wiseman rispecchiasse questo interpretando un
ginecologo“.
Rebecca Zlotowski
ha poi concluso con una riflessione molto profonda sul ruolo delle
donne nella società odierna. “La posizione delle donne è
cambiata lentamente ma negli ultimi sessant’anni abbiamo visto che
ha assunto anche un importantissimo ruolo sociale, oltre che
privato. Riusciamo a definirci in modo differente rispetto al ruolo
materno che ci è stato tradizionalmente assegnato. Sicuramente, è
ancora fin troppo diffusa l’idea dell’orologio biologico che
scadrà, ma dobbiamo chiederci come vogliamo definirci rispetto alla
vita che vogliamo fare. É il momento in cui dobbiamo dire che
possiamo non volere figli, che l’aborto deve essere un diritto,
anche se c’è tanto dolore in tutto ciò. Forse mi sento legittimata
a dire questo perchè sono una donna francese e abbiamo solidi
diritti. Ma voglio fare sentire la mia voce, questo film è una vera
e propria lettera d’amore per tutte le persone che erano come me
qualche anno fa“.
Presentato fuori concorso a
Venezia 79, Master Gardener è
il terzo e probabilmente ultimo capitolo di quella che potremmo
definire una trilogia sulla dicotomia tra punizione e redenzione di
Paul Schrader, iniziata con First Reformed e proseguita con il più recente
The Card Counter. In particolare,
Master Gardener si pone come riflessione ultima
dell’autore sul potere redentivo dell’amore contro l’oscurità
annichilente. Un nuovo esercizio di quel cinema trascendentale di
cui Schrader si è confermato pioniere e concetto
sviluppato nella sua famosa tesi di dottorato, “The
Transcendental Style in Film“.
I fiori di un giardino psicologico
Master
Gardenerracconta la storia
di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore
di GracewoodGardens.
Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e
storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la
ricca signora Norma Haverhill. Quando la
signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la
sua bisnipote Maya, ribelle e problematica,
il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di
Narvel. Nel cast, Joel
Edgerton (Narvel Roth),Sigourney
Weaver(Mrs.
Haverhill), Quintessa
Swindell (Maya), Eduardo
Losan (Xavier).
Con Master
Gardener siamo di fronte a un corpus filmico che non
funziona sulla base della prosecuzione di una storia, ma attraverso
la ripetizione e la declinazione differente di archetipi narrativi
e filmici già ben consolidati da Schrader. Una
messa in scena ordinata e austera, personaggi che scovano la loro
tridimensionalità attraverso un cammino sofferto che passa per il
potere della catarsi cinematografica e del minimalismo tecnico.
Master Gardener: l’ultimo saluto di Schrader
Laddove First Reformed e The Card Counter univano viaggi personali a
temi scottanti – la crisi climatica nel primo caso, le ferite
inflitte alla psiche yankee dalla lotta amorale contro il
terrorismo globale – in Master Gardener questa
cornice contemporanea non scompare, ma si fluidifica nello spettro
visibilissimo della storia di un uomo profondamente tormentato dal
passato.
Il razzismo radicato nella società
america e l’esistenza di una parte dell’America che, dimenticata
dal sistema, cerca rifugio nell’estremismo sono tematiche
funzionali al delinearsi di un arco caratteriale estremamente
controverso, che deve ricalcare le tracce del passato violento
aggrappandosi a un’esistenza spartana, in cui la cura dell’Altro e
l’insegnamento sono parte fondamentale di un cammino che conduce al
messaggio forse più romantico che Schrader abbia
mai posto su schermo.
È l’onnipresente voce fuori campo
del protagonista a condurci poeticamente dentro di sè,
raccontandoci come la resilienza fondante la vegetazione debba
farci contemplare anche sulla nostra esistenza e, soprattutto,
sopravvivenza. La storia di Narvel esiste
nei confini della soggettività del suo personaggio ma si apre
quanto mai alla speranza tramite l’incontro di psicologie inedite
in Schrader, che si sofferma in maniera arguta su
due diverse declinazioni del femminile, rappresentate da una rosa
matura (Sigourney Weaver) e da un bocciolo di cui
è necessario prendersi cura, nonostante le resistenze iniziali
(Quintessa Swindell). Attraverso il
ricongiungimento con la fisicità delle cose, la terra, la
manualità, si curano non solo giardini ma anche anime. E proprio
l’anima di Schrader sembra cavalcare con
grandissimo affetto una sorta di seconda giovinezza, incapsulata
dalla luminosità di
Maya (Swindell).
Con First Reformed ci siamo chiesti se Dio,
in ultima istanza, ci perdonerà; con The Card Counter siamo a
passati a una riflessione ancora più intimista, se siamo in grado
di perdonare noi stessi. In Master Gardener, la
risposta a queste domande trova soluzione nei legami e nella
speranza più pura. “Non avrei mai voluto andarmene senza fare
un film che dicesse al mondo ti voglio bene“, ha dichiarato
Scharader. Nel silenzio contemplativo con cui
Narvel si dedica alla scrittura privata, ci
apriamo alla condivisione del saluto di un immenso Maestro, che
consegna a una nuova generazione di attori le chiavi per aprire i
giardini della sua eredità.
Amazon ha
annunciato che
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha
conquistato più di 25 milioni di spettatori nel mondo nel suo primo
giorno, battendo tutti i record precedenti e divenendo il più
grande debutto nella storia di Prime Video. La serie è stata lanciata in
esclusiva su Prime
Video in oltre 240 Paesi e territori in tutto il
mondo.
Jennifer Salke,
head of Amazon Studios, ha dichiarato: “È in qualche modo
appropriato che le storie di Tolkien – tra le più popolari di tutti
i tempi e che molti considerano la vera origine del genere fantasy
– ci abbiano condotto sino a questo momento d’orgoglio. Sono molto
grata al Tolkien Estate – e ai nostri showrunner J.D. Payne e
Patrick McKay, al produttore esecutivo Lindsey Weber, al cast e
alla crew – per il loro instancabile impegno collettivo e la
loro sconfinata energia creativa. E sono le decine di milioni di
fan che hanno visto la serie – chiaramente appassionati quanto noi
della Terra di Mezzo – la reale misura del nostro successo”.
Gli episodi de Il Signore degli
Anelli: Gli Anelli del Potere saranno disponibili ogni
settimana sino al finale di stagione del 14 ottobre su Prime
Video.
La serie tv Il Signore degli
Anelli: Gli Anelli del Potere
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere di
Prime
Video porterà per la prima volta sugli schermi le
eroiche leggende della mitica Seconda Era della storia della Terra
di Mezzo. Questo dramma epico si svolge migliaia di anni prima
degli eventi narrati in Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli di
J.R.R. Tolkien, e porterà gli spettatori in un’era lontana in cui
furono forgiati grandi poteri, regni ascesero alla gloria e caddero
in rovina, improbabili eroi furono messi alla prova, la speranza
appesa al più esile dei fili, e uno dei più grandi cattivi usciti
dalla penna di Tolkien minacciò di far sprofondare tutto il mondo
nell’oscurità. Partendo da un momento di relativa pace, la serie
segue un gruppo di personaggi, alcuni già noti, altri nuovi, mentre
si apprestano a fronteggiare il temuto ritorno del male nella Terra
di Mezzo. Dalle più oscure profondità delle Montagne Nebbiose, alle
maestose foreste della capitale elfica di Lindon, all’isola
mozzafiato del regno di Númenor, fino ai luoghi più estremi sulla
mappa, questi regni e personaggi costruiranno un’eredità che
sopravvivrà ben oltre il loro tempo.
La serie è guidata dagli showrunner
ed executive producer J.D. Payne e Patrick McKay. A loro si
uniscono gli executive producer Lindsey Weber, Callum Greene, J.A.
Bayona, Belén Atienza, Justin Doble, Jason Cahill, Gennifer
Hutchison, Bruce Richmond e Sharon Tal Yguado, e i produttori Ron
Ames e Christopher Newman. Wayne Che Yip è co-executive producer e
regista con J.A. Bayona e Charlotte Brändström.
Opera letteraria di fama mondiale premiata con l’International
Fantasy Award e il Prometheus Hall of Fame Award, nel 1999 Il
Signore degli Anelli è stato eletto dai clienti Amazon come il
libro preferito del millennio e nel 2003 come il romanzo più amato
di tutti i tempi nel Regno Unito nello show di BBC The Big Read. I
libri de Il Signore degli Anelli sono stati tradotti in oltre 38
lingue e hanno venduto più di 150 milioni di copie.
Oggi è il grande giorno di un altro
regista italiano, al lido arriva in concorso alla
79. Mostra Internazionale d’Arte
CinematograficadiVenezia,
L’immensità,
il nuovo film del regista Emanuele Crialese che
sarà accompagnato con la sua protagonista, la bellissima
Penelope Cruz. Il film, prodotto da Wildside (Mario
Gianani, Lorenzo Gangarossa), Chapter 2 (Dimitri Rassam), Warner
Bros. Entertainment Italia, Pathé, (Ardavan Safaee), France 3
Cinema, vede nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato,
Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.
La trama del film L’Immensità
Roma, anni Settanta: un mondo
sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora
in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai
superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo
appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non
riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli, su cui
Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la
più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone
attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni
crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua
identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa
ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto
di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che
sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di
loro tutto cambia.
Il commento del regista
L’Immensità è il film che inseguo
da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta
lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai
abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che
aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza
diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un
film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro
relazione con una madre che poteva prendere vita solo
nell’incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua
sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con
tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima.
Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come
tali sempre intensamente e immensamente veri.
Paul Schrader e
Joel Edgerton hanno presentato quest’oggi in anteprima
fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 Master
Gardener, “ultimo capitolo” della trilogia di film del
regista, composta da First Reformed e The
Card Counter.
È proprio con il chiaro
parallelismao tra Master Gardener e i precedenti
lavori di Schrader che Joel
Edgerton ha introdotto il suo personaggio, dichiarando di
percepirlo come un continuum dei protagonisti di First Reformed e The Card Counter: “Li unisce la stessa
energia. Sono sicuramente stato ispirato dai suoi precedenti due
film nella costruzione del mio personaggio. E’ stato un percorso
totalmente diverso da ciò a cui sono abituato, ma mi sono voluto
mettere nelle mani di Paul per poter esplorare me stesso da un
punto di vista mentale più che fisico“.
L’attore ha anche raccontato come
pensa si sia evoluta la riflessione sulla religione elaborata da
Schrader nei tre film: “Master
Gardener è un film che si basa meno sul concetto di
religione e più su quello di etica: cosa la nostra memoria
incapsula del passato e come ci rapportiamo a ciò che siamo stati.
Quando si stringe un legame importante con un’altra persona – in
questo caso una donna – si deve essere capaci di poter rivelare
ogni parte di se. Dobbiamo sempre fare i conti con una parte del
nostro passato, non possiamo lasciarci tutto alle spalle“.
Paul Schrader, che
ha ricevuto quest’oggi 3 settembre 2022 il Leone d’Oro alla carriera, ha ricordato con
emozione il momento in cui ha capito che avrebbe voluto dedicare la
sua vita al cinema: “Devo tutto a Pickpocket
(1959) di Robert Bresson: la mattina del marzo
1979 in cui lo vidi mi ha cambiato la vita. Non avevo interesse nel
diventare un regista, ero un teologo ritirato, che si era lasciato
alle spalle la chiesa. Dopo cinque minuti di visione, ho però
realizzato così tante cose. Ho realizzato che si può raccontare
tutto al cinema, anche i fatti più triviali. E’ lo stile che li
unifica“.
Schrader ha deciso
di rendere il personaggio di Edgerton un giardiniere, un uomo con un
passato pesante alle spalle, perché riteneva che la professione
fosse una “ricca metafora del bene e del male. “Da un lato, un
suprematista bianco può dire: ‘Noi siamo i giardinieri, togliamo le
erbacce’. Dall’altro lato, un umanista può ribattere: ‘Siamo
giardinieri, noi piantiamo i semi e lasciamo germogliare le cose’.
Entrambi gli esempi si servono della metafora del giardinaggio: una
in senso positivo, l’altra in senso negativo”.
“Non avrei mai voluto
concludere la mia carriera senza un film con cui dire ‘ti voglio
bene’. Questa è una storia particolare, che farà probabilmente
inc****re una porzione di afroamericani, che non accettano il
ritratto di dinamiche del genere neanche del mondo dell’analogia e
dell’immaginazione. Questo film è tutto un grandissimo “e se”. I
personaggi non fanno per forza scelte plausibili. Un padre e una
figlia si ritrovano, ma vanno anche a letto insieme. Il
protagonista è conteso tra due idee di femminile completamente
diverse tra di loro. Il corpo di Joel mi è servito
come metafora in questo film. Siamo così abituati a vedere così
utilizzato come metafora il corpo femminile, ma preferisce il corpo
maschile. Joel ha il fisico da uomo degli anni‘80“.
Master
Gardener racconta la storia di Narvel
Roth, il meticoloso orticoltore di
GracewoodGardens. Si dedica
tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta,
quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora
Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli
chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote
Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua
con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast,
Joel Edgerton (Narvel Roth),
Sigourney Weaver (Mrs.
Haverhill), Quintessa Swindell
(Maya), Eduardo Losan
(Xavier).
Si è tenuta questa sera l’anteprima
fuori concorso a Venezia
79 di Master Gardener, il nuovo film di Paul
Schrader. Al grande regista newyorkese è stato attribuito
a Paul Schrader, regista (Il collezionista di
carte, First Reformed, Il bacio della
pantera, American Gigolo) e sceneggiatore
(Toro scatenato, Taxi
Driver, Complesso di
colpa, Yakuza) statunitense,
il Leone d’Oro alla
carriera della 79.
Mostra Internazionale d’Arte
CinematograficadiVenezia.
La decisione è stata presa dal Cda
della Biennale di Venezia, che ha fatto
propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto
Barbera. Paul Schrader sul red carpet è stato accompagnato
dai suoi protagonisti, Joel
Edgerton eSigourney
Weaver. Di seguito tutte le foto:
Sin dal loro esordio, avvenuto nel
1984 con Blood Simple, i fratelli Joel ed
Ethan Coen si sono affermati con una serie di
opere cinematografiche che coniugano genere e autorialità,
presentando spesso e volentieri situazioni e personaggi grotteschi,
a cui ogni etichetta o possibile definizione sembra stare stretta.
Dopo aver realizzato negli anni Novanta celebri titoli come
Barton Fink, Fargo e Il grande Lebowski,
sono entrati nel nuovo millennio con Fratello, dove
sei?, dove come al solito si mescolano elementi
diversi, dalla commedia al drammatico, dall’avventura all’epica.
Uscito in sala nel 2000, è ancora oggi uno dei loro film più
amati.
L’idea per Fratello, dove
sei? era tra le mani dei Coen già verso la metà degli anni
Novanta. Entrambi sapevano di voler realizzare una satira moderna
liberamente basata sul poema omerico l’Odissea, pur non
avendolo mai letto. I due registi si ispirarono infatti solo agli
eventi divenuti più noti attraverso la cultura popolare per dar
vita ad un racconto satirico nei confronti della politica e delle
campagne elettorali negli Stati Uniti. Lo stesso titolo del film è
un riferimento alla pellicola del 1941 I dimenticati, in
cui un regista aspira a girare un film intitolato Fratello,
dove sei? in cui dar vita ad un commento storico sulla
condizione moderna dell’essere umano.
Il film venne inizialmente
considerato un’opera minore dei Coen, ma negli anni ha poi
acquistato il valore che gli spetta, forte anche di diversi
riconoscimenti tra cui una nomination agli Oscar come miglior
sceneggiatura non originale. Per gli appassionati dei Coen, è un
film imprescindibile. Prima di intraprendere una visione del film,
però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e alla
colonna sonora. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Fratello, dove sei?: la trama del film
La storia si svolge nel Mississippi
all’inizio degli anni Trenta, nel pieno della Grande depressione.
Ulysses Everett McGill, Delmar
O’Donnell e Pete Hogwallop sono tre
galeotti riusciti miracolosamente ad evadere dai lavori forzati.
Sotto la guida di Ulyssess, l’unico dei tre con un po’ di buon
senso e capacità oratorie, i fuggiaschi si mettono alla ricerca del
tesoro da un milione di dollari nascosto prima di essere arrestati.
Tale somma è stata sepolta nei pressi di un fiume dove ora sta per
essere costruita una diga e ciò spinge i tre ex galeotti a doversi
sbrigare per arrivare lì prima che il denaro sia irrecuperabile. Da
quel momento, prima di arrivare a ciò che cercano, i tre vivranno
una sequenza di imprevedibili incontri e rocambolesce avventure,
fino a trovare molto più di quel che cercavano.
Fratello, dove sei?: il cast del film
Per il ruolo di Ulysses Everett i
due registi avevano da subito pensato all’attore George Clooney,
con il quale desideravano lavorare da tempo. Lo stesso Clooney non
vedeva l’ora di recitare in un loro film, accettando la parte senza
neanche voler prima leggere la sceneggiatura. L’attore decise poi
di far leggere quessta ad un suo zio del Kentucky, sperando di
comprendere meglio il personaggio attraverso la lettura di un uomo
di campagna. Poiché lo zio è un devoto Battista, egli omise tutte
le parolacce. Arrivato sul set, Clooney si trovò così a scoprire un
lato inaspettato del personaggio. Egli si esercitò poi anche nel
canto per settimane, ma alla fine si decise di farlo doppiare per
le scene dove il suo personaggio canta.
Nel ruolo del lestofante Pete
Hogwallop vi è invece l’attore John Turturro,
qui al suo quarto film insieme ai Coen dopo Crocevia della
morte, Barton Fink e Il grande Lebowski. Tim
Blake Nelson, da qui in poi divenuto anch’egli un attore
ricorrente nel cinema dei Coen, era il vicino di casa di Joel e
quando ricevette la sceneggiatura pensò che il regista volesse solo
qualche parare. Ritrovatosi invece ad interpretare il ruolo di
Delmar O’Donnell, egli praticò un accento del sud recandovisi in
vacanza e parlando con gente del posto. Nel film compaiono poi
anche John Goodman
nel ruolo di Daniel Teague, ladro con un occhio solo, e
Holly Hunter nei panni di Penny Wharvey-McGill,
moglie di Ulysses.
Fratello, dove sei?: la colonna sonora del film
La colonna sonora del film è
diventata negli anni estremamente popolare, superando persino il
successo del film. All’inizio del 2001, questa aveva venduto cinque
milioni di copie, ha generato un film documentario, tre album
successivi (“O Sister” e “O Sister 2“), due
tournée e ha vinto i Country Music Awards per Album of the Year e
Singolo dell’anno (per “Man of Constant Sorrow“). Ha anche
vinto cinque Grammy, tra cui Album of the Year, e ha raggiunto il
primo posto nelle classifiche degli album di Billboard la settimana
del 15 marzo 2002, 63 settimane dopo la sua uscita e oltre un anno
dopo l’uscita del film.
Questa è composta da brani
tradizionali statunitensi, ma include anche musica folk, religiosa
e gospel. Tutte le canzoni scelte, infatti, riflettono gli stili
musicali più popolari dell’epoca in cui è ambientato il film.
All’interno di questo, inoltre, i protagonisti formano un fittizio
gruppo musicale chiamato Soggy Bottom Boys. Le canzoni da loro
eseguite sono però cantate in playback dagli attori, tranne per il
caso di In the Jailhouse Now, che venne realmente eseguita
da Tim Blake Nelson con la sua voce. Oltre a questi titoli, nella
colonna sonora del film si ritrovano anche popolari brani come
You Are My Sunshine, Down the River to Pray e Keep On
the Sunny Side.
Fratello, dove sei?: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Fratello, dove
sei? è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV, Google Play, Apple iTunes e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È
bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite
temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente
nel palinsesto televisivo di sabato 3settembre alle ore 21:10 sul
canale TwentySeven.