Una tanto triste quanto purtroppo
attesa notizia ci giunge da Los Angeles: martedì
10 marzo è morto all’età di 63 anni il regista indipendente
Richard Glatzer, marito e coregista di
Wash Westmoreland che con il film
Still Alice ha permesso a
Julianne Moore di aggiudicarsi
l’Oscar come miglior attrice protagonista lo
scorso 23 febbraio.
Con il compagno di una vita
Richard Glatzer aveva diretto nel 2001
The Fluffer, nel 2006 Non è
peccato – La Quinceañera (premio del pubblico e
gran premio della giuria al Sundance), nel 2013
The Last of Robin Hood, sugli ultimi
giorni di vita di Errol Flynn interpretato da
Kevin Kline. Da solo aveva diretto nel 1993 la commedia
Grief.
Ormai da 4 anni era ammalato di SLA (sclerosi
laterale amiotrofica) e qui di seguito vi
riportiamo la commovente dichiarazione di
Westmoreland, suo compagno di vita dal 1995:
“Sono distrutto. Rich era la
mia anima gemella, il mio collaboratore, il mio miglior amico e la
mia vita. Vederlo combattere la SLA per 4 anni con tanta grazia e
coraggio ha ispirato me e tutti quelli che lo conoscevano. In
questo momento buio, mi consola un po’ il fatto che è riuscito a
vedere Still Alice avere successo nel mondo. Lui ha messo cuore e
anima in quel film e il fatto che abbia toccato così tanta gente
era per lui una costante fonte di gioia. Richard era un uomo unico:
deciso, divertente, generoso, affettuoso, estroverso e molto, molto
intelligente”.
Dopo il successo
riscontrato l’anno scorso, tornano
le Masterclass e
le Conversazioni con personalità del
cinema all’81.
Mostra Internazionale d’Arte
Cinematograficadella Biennale di
Venezia, con un programma più ricco e in una nuova e più
ampia (250 posti) location, la Match Point
Arena, struttura allestita al Tennis Club Venezia al Lido
(Lungomare Marconi angolo via Emo, di fronte all’Hotel Excelsior,
ingresso aperto
agli accreditati dell’81. Mostra).
Tre le Conversazioni organizzate
da Cartier– The Art and Craft
of Cinema, in collaborazione con la Biennale,
l’attore Richard Gere ha dialogato con la sua voce
italiana, l’attore Mario Cordova domenica 1
settembre alle 10.30. Ecco le foto dal red carpet del divo
americano.
Divenuto noto come sex symbol degli
anni ’80, Richard Gere ha negli anni preso parte
ad alcune tra le più popolari commedie romantiche di sempre.
Impossibile non pensare a film come
Ufficiale e gentiluomo o Pretty Woman senza immaginare anche il suo volto.
Apprezzato da critica e pubblico, Gere continua ancora oggi ad
affermarsi come interprete di livello, oltre che per le sue
attività benefiche.
Ecco 10 cose che non sai su
Richard Gere.
I film di Richard Gere
I film da giovane di Richard Gere
1. Ha recitato in celebri
film. La carriera dell’attore ha inizio con un piccolo
ruolo nel film Rapporto al capo della polizia (1975), per
poi proseguire con pellicole come Baby Blue Marine (1976),
I giorni del cielo (1978) e American Gigolo
(1980) e
Ufficiale e gentiluomo (1982), con cui consacra la propria
popolarità. Negli anni successivi prenderà così parte a noti film
come Cotton Club (1984) e Nessuna pietà (1986).
Durante gli anni successivi continuerà ad essere protagonista di
acclamati film come Affari sporchi (1990),
Mr. Jones (1993), Trappola d’amore
(1994), Il primo cavaliere (1995), Schegge di paura (1996) e
The Jackal(1997).
2. Ha recitato in una serie
TV. Gere ha sempre prediletto il grande schermo, apparendo
in televisione soltanto in rare occasioni come per i film Crack
file – Dossier antidroga (1975) e Guerra al virus
(1993). Nel 2019 è tuttavia tra i protagonisti della mini serie
MotherFatherSon, di genere thriller psicologico,
mentre nel 2024 è tornato sul piccolo schermo con la serie The Agency, dove recita accanto a Michael Fassbender e Jeffrey Wright.
3. È anche
produttore. Nel corso della sua carriera Gere non si è
limitato a svolgere il ruolo dell’interprete, ricoprendo anche in
diverse occasioni quello di produttore. Ha infatti svolto tale
attività per i film Analisi finale (1992),
Sommersby (1993), Mr. Jones (1993), Dreaming
Lhasa (2005), Hachiko – Il tuo migliore amico (2009)
e Gli invisibili (2014), film in cui figura anche come
attore. Torna poi a ricoprire il ruolo di produttore nel 2024 per
il film Era mio figlio e il documentario Wisdom of
Happines.
Richard Gere è Leonard Fife in Oh, Canada. Photo credit: Jeong
Park
Richard Gere e gli Oscar
4. Non è mai stato nominato
per l’ambito premio. Nonostante una carriera ricca di
successi e una popolarità iconica, Gere non sembra aver trovato il
ruolo che potesse permettergli di raggiungere la consacrazione dei
premi Oscar. L’attore rientra infatti in quel gruppo di personalità
particolarmente note, che a modo loro hanno contribuito a scrivere
la recente storia del cinema, senza tuttavia essere mai stati
nominati per l’ambito premio.
Richard Gere in Oh,
Canada, il suo ultimo film
5. Si è ispirato a suo padre
per il film. Per interpretare il personaggio di Leonard
Fife in Oh,
Canada (qui
la nostra recensione), il film che lo ha fatto tornare a
collaborare con Paul Schrader 44 anni dopo
American Gigolo, Gere ha raccontato di essersi in parte
ispirato a suo padre per interpretare quest’uomo malato al termine
della sua vita. Ha infatti iniziato a lavorare al film circa sei
mesi dopo che suo padre, di cui si era preso cura, è morto a 100
anni, un’esperienza che Gere dice aver influenzato la sua
interpretazione e averlo ispirato nella rappresentazione di una
vita che termina.
Richard Gere e Julia Roberts, da
Pretty Woman a Se scappi, ti sposo
6. Hanno recitato insieme
più volte. Tra le più celebri coppie cinematografiche,
Gere e l’attrice Julia Roberts hanno sfoggiato una
straordinaria chimica di coppia durante le riprese del film
Pretty Woman, tanto da convincere il regista
Gary
Marshall a richiamarli a recitare insieme per il film
Se scappi, ti sposo, che si rivelerà un enorme successo al
botteghino confermandosi come coppia d’oro del cinema.
7. Hanno improvvisato una
celebre scena. Tra i momenti più iconici della coppia vi è
la scena di Pretty
Woman in cui Edward mostra a Vivian la collana di
diamanti. Questa fu totalmente improvvisata da Gere, che finse di
chiudere improvvisamente il cofanetto come per schiacciare le dita
della Roberts, provocando così la sua genuina risata, sorpresa da
quanto compiuto dal collega.
Julia Roberts e Richard Gere in Pretty Woman
Richard Gere a Lampedusa
8. È un noto attivista
umanitario. Divenuto celebre anche per le sue campagne
umanitarie, l’attore si è recentemente fatto notare per la sua
presenza a Lampedusa, dove ha portato il proprio sostegno ai
migranti africani presenti sulle navi delle ONG, contribuendo con
viveri e altri beni per la salute. La cosa gli ha fatto attirare
diverse critiche, ma anche le lodi di chi invece sostiene sia
giusto che personalità del suo calibro si schierino su determinati
temi.
Richard Gere, le sue mogli e i figli
9. Si è sposato più
volte. Ad oggi Gere ha avuto un totale di tre mogli. La
prima è l’attrice CindyCrawford, sposata nel 1991 ma da
cui divorzia nel 1995. Successivamente nel 2002 sposa poi
Carey Lowell, anch’ella attrice. Prima del
matrimonio, la coppia aveva dato alla luce un figlio nel 2000. Nel
2013 tuttavia si separano citando come cause le rispettive
differenze nello stile di vita, arrivando poi al divorzio nel 2016.
Nel 2018 l’attore si è sposato per la terza volta, con
Alejandra Silva, di professione responsabile delle
relazioni esterne. La coppia ha poi avuto due figli, nati nel 2019
e nel 2020.
L’età e l’altezza di Richard
Gere
10. Richard Gere è nato a
Philadelphia,in Pennsylvania, Stati Uniti, il 31
agosto 1949. L’attore è alto complessivamente 1,78
metri.
Dopo aver
sfilato ieri sera sul red carpet ecco le foto dal photocall pre
conferenza di Oh,
Canada di Paul Schrader alla 77a
edizione del Festival
di Cannes al Palais des Festivals. Figura della
Nuova Hollywood, a 77 anni Paul Schrader continua
il suo percorso di cineasta libero, in un’industria americana
sempre più restrittiva. Ne è una prova Oh, Canada,
opera scarna tratta dal romanzo di Russell Banks, per la
quale il regista americano ha scritturato Richard Gere. Ecco il regista accompagnato dai
suoi interpreti Richard Gere e la meravigliosa Uma Thurman.
Cinquant’anni dopo il suo esordio
al fianco di Martin Scorsese con Taxi
Driver (1975), di cui è coautore della sceneggiatura e dei
dialoghi, Paul Schrader, sceneggiatore diventato
regista, ha ancora la vitalità di un giovane esordiente. Ne è prova
il trittico composto da First Reformed (2017), The Card
Counter (2021) e Master Gardener (2023), i suoi tre
lungometraggi più recenti, che hanno visto il regista ricollegarsi
alle strutture narrative dei suoi primi film e che descrivono la
ricerca di salvezza di personaggi solitari divorati da abissi
interiori.
Oh,
Canada rappresenta un cambio di registro, poiché Paul
Schrader ha adattato l’ultimo romanzo dello scrittore americano
Russell Banks, morto nel gennaio 2023, pochi mesi prima dell’inizio
delle riprese. Nel 1997, Schrader aveva già adattato uno dei suoi
romanzi realizzando Afflictions, che aveva visto James Coburn
vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista.
Un barbone si aggira per le strade
di New York, e una donna gli si avvicina donandogli una busta
(marchiata I Love NY) piena di cibo. Niente di eccezionale, se non
fosse che il barbone in questione si chiama Richard
Gere, e non è un caso di omonimia. Guarda le foto:
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Cosa è
accaduto all’affascinante (ufficiale) gentiluomo più amato del
cinema? Niente di grave! L’attore è infatti impegnato a recitare
per Time Out of Mind, un suo nuovo
progetto in cui interpreta proprio un barbone. Nel film il suo
personaggio cerca di ricongiungersi con la figlia che per lui è
divenuta quasi un’estranea. Richard Gere, per la
parte, sta andando in giro per le strade di New York, vestito come
un barbone, a frugare nei cassonetti e a (far finta di) urinare per
strada. Girando in tondo, portandosi dietro buste piene di robaccia
e fermandosi alle panchine, Richard Gere è stato effettivamente
scambiato per un vero barbone, tanto che una signora caritatevole
gli ha regalato una busta con del cibo.
La presenza di telecamere in giro
non ha destato la curiosità di nessuno, essendo un evento usuale
per New York che il cinema scenda in strada, quello che però è meno
usuale è vedere un attore essere scambitato per un vero homeless!
Quello che possiamo concludere è che Gere abbia fatto, e stia
facendo, davvero un ottimo lavoro!
Secondo quanto appreso da Variety, Richard Gere si è unito alla prossima serie
thriller di spionaggio “The Agency” della Paramount+ con Showtime. Gere è l’ultimo grande
nome che si unisce alla serie, dopo che Variety aveva riportato in
esclusiva che Michael Fassbender avrebbe recitato nello show
e che anche Jeffrey Wright era stato confermato come
membro del cast a giugno.
“The Agency” si
basa sulla serie francese di successo “Le Bureau“.
Nella versione in lingua inglese, Fassbender interpreterà Martian,
descritto come “un agente segreto della CIA a cui viene
ordinato di abbandonare la sua vita sotto copertura e di tornare
alla stazione di Londra. Quando l’amore che si è lasciato alle
spalle riappare, il romanticismo si riaccende. La sua carriera, la
sua vera identità e la sua missione vengono contrapposte al suo
cuore, gettando entrambi in un gioco mortale di intrighi
internazionali e spionaggio“.
Richard Gere interpreterà invece Bosko, che
secondo la descrizione ufficiale del personaggio è “il capo
della stazione di Londra con un passato ricco di storia dopo aver
servito come agente sotto copertura per otto anni“.
“Richard Gere è un personaggio unico, adorato da generazioni di
fan in tutto il mondo per la sua eccezionale capacità di infondere
profondità e autenticità in ogni ruolo che interpreta“, ha
dichiarato Chris McCarthy, Co-CEO di Paramount
Global e Presidente/CEO di Showtime e MTV Entertainment
Studios.
Richard Gere è Leonard Fife in Oh, Canada. Photo credit: Jeong
Park
Richard Gere torna sul piccolo
schermo
Questo in “The
Agency” sarà uno degli unici ruoli televisivi regolari
della carriera di Gere. Ha ricevuto una nomination agli Emmy per il
suo lavoro nel film TV “And the Band Played On” nel 1993 e
ha recitato nella miniserie britannica “MotherFatherSon”
nel 2019 su BBC Two. È però noto soprattutto per i suoi ruoli da
protagonista in film come “Ufficiale
e gentiluomo“, “American Gigolò“, “Pretty
Woman” o “Chicago“, mentre di recente è stato
protagonista del film “Oh,
Canada“.
Arriverà il prossimo 15 giugno nei
cinema italiani Gli Invisibili
(Time out of mind), film di Oren
Moverman che vede protagonista Richard
Gere nei panni di un senzatetto a New York.
Ecco il trailer italiano del
film:
Leggi la recensione di Gli
Invisibili con Richard Gere
Di seguito la sinossi ufficiale del
film: La vita di George (Richard Gere) sembra non
avere più senso. Non avendo niente a cui aggrapparsi, vaga per le
strade di una New York indifferente. Senza nessuno che lo ospiti,
cerca rifugio al Bellevue Hospital, il maggior centro di
accoglienza per senzatetto di Manhattan. L’ambiente del centro è
duro e pieno di persone sole che vivono nella miseria. Ma quando
George fa amicizia con un veterano del centro (Ben
Vereen), comincerà a riacquistare la speranza di poter
ricostruire la propria vita…
Gli invisibili è un viaggio
emozionante nell’universo ricco di umanità degli homeless
newyorkesi.
Presente alla 50° edizione
del Karlovy Vary Film Festival, in Repubblica
Ceca, Richard Gere ha ricevuto il
premio Crystal Globe, per lo straordinario contributo al
cinema mondiale. Nel suo discorso però l’attore ha voluto rendere
omaggio al leader spirituale del Tiber, il Dalai
Lama, che quest’anno il 6 luglio farà 80 anni.
Gere si è congratulato con il
popolo ceco per avere avuto un ex presidente come il defunto Vaclav
Havel, che aveva accolto il Dalai Lama nel suo paese, a differenza
di molti altri leader politici che non lo hanno fatto per paura
della Cina, che controlla il Tibet.
“Una delle cose straordinarie –
in un mondo che è quasi totalmente controllato dal governo
comunista cinese in questo momento – è che Vaclav Havel ha invitato
Sua Santità a venire qui, farsi fotografare con lui, trascorrere
del tempo con lui, fu amato da lui, abbracciato, è stato uno dei
pochissimi, ed è stato sicuramente uno dei pochissimi paesi, che lo
ha fatto “, ha detto Gere.
”Così ho intenzione di
ringraziarlo, ma voglio ringraziare tutti voi per onorare e avere
un presidente così straordinario, che ha fatto continuamente cose
del genere. E spero che la Repubblica ceca, la grande Repubblica
ceca, continuerà a fare queste straordinarie, cose
meravigliose”, ha detto, accolto da applausi e acclamazioni da
parte del pubblico.
Nel suo discorso, Gere ha anche
onorato le migliaia di membri del cast e dell’equipaggio che hanno
lavorato sui suoi film, ”che meritano questo tanto quanto me,
perché se qualcuno di loro avesse sbagliato io non sarei qui
adesso. Mi piace il fatto che facciamo insieme tutto questo’‘,
ha detto. “E se stiamo raccontando le storie o guardando le
storie è lo stessa cosa. E si spera che questo sia un universo di
responsabilità, quello che dice che possiamo fare qualsiasi storia
che vogliamo. Dobbiamo lavorare, ma possiamo creare, e fare, e
vivere in ogni storia che vogliamo. Quindi cerchiamo di fare una
storia che è tranquilla, che è generosa, che è gioiosa, che è
amore, che è sexy, che è divertente, che tutti possiamo abitare
insieme”.
Nel prendere atto del grande
anniversario, il presidente del festival Jiri Bartoska ha detto che
50 anni non sono molti per una vita umana, “ma 50 anni
sono un tempo lungo per un evento culturale“. La cerimonia di
apertura è stata caratterizzata da un ironico, in parte
documentario animato, best-of, raccontando le origini del festival
durante la Guerra Fredda e il braccio di ferro che ne seguì
tra i Sovietivi e gli artisti dei film.
Richard Gere, divo di
Hollywood è arrivato a Roma e stasera sfilerà sul red carpet del
cinema The Space Moderno, per presentare il suo nuovo film
“La frode“, thriller esordio alla regia di
Nicholas Jarecki, e per interpretare il ruolo del
protagonista, un uomo che ha definito “uno di quegli intoccabili
dei club esclusivi, quelli che arrivano ai più alti livelli e
possono evitare certe regole”, ha detto di aver pensato anche un po
a Madoff. Ecco tutte le foto dell’attore che questa mattina ha
presentato il film alla stampa. Tutte le foto di Aurora
Leone per Cinefilos.it
Richard Gere, star
del film Franny, presenta a Roma la sua ultima fatica,
diretta dall’esordiente Andrew Renzi al suo primo
lungometraggio.
Il film uscirà il prossimo 23
Dicembre in Italia in 150 copie.
Gere, disponibile e
affabile, sempre con il sorriso sulle labbra, risponde prontamente
ad ogni domanda, a partire dalla prima: perché negli ultimi periodi
della sua carriera predilige delle scelte così difficili a livello
interpretativo?
La sua replica è che, proprio quando
le scelte sono più difficili, più sono divertenti! A parte questo,
in realtà ha sempre dimostrato di prediligere le produzioni
indipendenti: ne è un esempio il suo prossimo film (Oppenheimer Strategies), un altro low
budget. Gere sceglie sempre storie complesse perché la vita è così,
e di conseguenza lo è ogni personaggio: niente è così come sembra,
lineare, magari solo in superficie, ma scavando emergono delle
difficoltà.
In entrambi i film (il suo
riferimento è all’ultimo Time Out Of Mind, pellicola sugli
homeless newyorkesi sul quale ha investito ben dodici anni per le
riprese) interpreta due uomini senza lavoro, molto simili tra
loro.
La domanda successiva è
completamente slegata dal film, e riguarda l’impegno sociale di
Gere per quanto riguarda gli affari della sua America: dopo il
massacro di San Bernardino, qual è la sua opinione riguardo alle
posizioni adottate dagli americani a caldo, subito dopo la
strage?
Dopo un massacro come quello
avvenuto – commenta Gere tornando improvvisamente serio- si è
riflettuto molto sul discorso della disponibilità delle armi negli
States: ma invece di porre un limite al fenomeno, c’è stato un
incremento delle vendite. In realtà – ribadisce l’attore – dovremo
scavare a fondo, scavare nelle cause e capire il perché di certi
comportamenti, e che in tal caso devono essere fermati: ma è
inutile incrementare lo spirito di vendetta, la presenza dei
vigilanti privati etc. per le strade; piuttosto bisognerebbe
insistere sulla saggezza, sull’atteggiamento giusto da adottare nei
confronti di queste situazioni.
Un’altra domanda invece riporta
l’intera sala alle atmosfere del filma: cos’ha modificato della
sceneggiatura di Andrew Renzi? E soprattutto,
quale dei tanti Franny (titolo del film, ma anche nome del
protagonista) è stato difficile da interpretare?
Sicuramente l’attore non ha mai
lavorato su un film dove la sceneggiatura è rimasta invariata dalla
fase di scrittura a quella della realizzazione effettiva: entrano
in gioco sensibilità diverse nel momento di girare. Si discute
sempre con i produttori su come girare, sui costi e sulle dinamiche
e tutto questo prima della fase di montaggio, dove ci sono
ulteriori modifiche. Anzi, spesso è il produttore stesso a mettere
uno “stop” ai cambiamenti, distribuendo il film in sala.
Questa pellicola poteva essere
girata in modo totalmente diverso: poteva prendere la piega dello
stalking, o riflettere sulla dipendenza dai farmaci di Franny: al
contrario, invece, si è scelto di dare un taglio diverso,
sfaccettato, arricchendolo con dell’umorismo, perché sostiene Gere
che nella vita l’umorismo è sempre presente, soprattutto quello
nero che subentra in tante situazioni nella vita, anche le più
improbabili, o le più dolorose. Un elemento che aiuta lui stesso,
in prima persona, nella sua esistenza.
Un altro elemento misterioso, che
arricchisce la storia, è la sessualità del protagonista: è gay? È
etero? Emergeva questo dopo le prime proiezioni di prova, ma si è
deciso consensulamente di non dare delle etichette al personaggio,
di non creare dei cliché banali.
Una domanda è strettamente legata al
clima sul set, e al rapporto che si è creato col regista della
pellicola, Andrew Renzi, che ha “immaginato” il
personaggio di Franny: un esordiente in fondo, che aveva all’attivo
già dei cortometraggi ma mai un lungometraggio così impegnativo ed
ambizioso; avevano creato un rapporto di fiducia tra loro, ammette
l’attore, e più parlavano più emergevano delle idee e il giovane
regista si avvaleva della competenza- e dell’esperienza- di tutti
coloro (come Gere, appunto) che, lì presenti sul set, avevano
all’attivo già anni di lavoro nell’industria del cinema.
La fiducia reciproca che si è creata
è aumentata quando l’attore ha capito che, dietro al progetto,
c’era una storia valida, toccante, personale che Renzi voleva
raccontare: gli è già capitato altre volte durante il suo lavoro
d’attore di incappare in una situazione simile, ma soprattutto qui,
hanno reso possibile che tutto (personaggio, casa, storia) fosse
reale oltre ogni limite immaginabile.
Una curiosità investe Gere:
Lavorerebbe mai in Italia, e con chi in caso di risposta
affermativa?
Col suo sorriso, Gere ammette di
essere aperto a lavorare in Italia; il “piacevole casino” che
provochiamo (e che, ogni volta, lo induce a tornare qui nel
Belpaese) lo attira profondamente: ci sono tanti elementi che si
devono combinare per far sì che un film si realizzi; questo
purtroppo non è ancora avvenuto, ma sarebbe bello- per esempio-
prendere parte al prossimo film di Bernardo Bertolucci, ma ci sono
tanti altri registi italiani con cui vorrebbe recitare.
Ma tornando a Franny, uno
dei temi dominanti è quello dei sensi di colpa: lui ne prova,
magari verso i colleghi che non sono stati così fortunati nel
lavoro? E come li curerebbe, in tal caso?
Dopo l’iniziale reazione
ironicamente stupita di Gere- e una delle sue risate sincere – la
replica è: “c’è qualcuno qui che non si è mai sentito colpevole?”
e, ridendo, continua dicendo che tutti i personaggi sono complessi,
per cui è interessante capire bene le cause e le conseguenze,
l’ambiguità di fondo che c’è in ogni situazione; se riuscissimo ad
avere assoluta consapevolezza dell’imprinting che abbiamo fin dalla
nascita – perché non nasciamo tabula rasa, secondo lui – capiremmo
tante cose in più, ma sarebbe fin troppo facile; i personaggi sono
sfaccettati e non esiste il bianco e il nero, marcati e manichei,
tutto è relativo.
Quanto è difficile per questo tipo
di pellicole, così simili alla vita, trovare una distribuzione
commerciale, visto che sono così distanti dal livello mainstream
delle ultime produzioni hollywoodiane?
La questione dei costi dei film è
completamente differente tra gli USA e l’Italia – 6,7 miliardi di
dollari, un low budget americano in media– e prevedono la
possibilità di girare in poco tempo, dai 21 giorni
(Franny) ai 31 giorni (Time Out of Mind); in
questi contesti creativi non si perde di vista la recitazione,
anzi, si mantiene una spontaneità recitativa unica perché si perde
meno tempo dietro a inquadrature e tecnicismi vari, mantenendo una
certa spontaneità e naturalezza; la sua disponibilità – come attore
e uomo – è totale nei confronti di opere prima come queste, che poi
possono avere il loro lancio sul mercato solo attraverso occasioni
del genere.
Quanto c’è, nel personaggio di
Franny, di Howard Hughes, chiedono curiosamente dalla
sala?
C’è parecchio, come pure di
Hemingway: ad esempio c’è una citazione, una scena specifica (nella
vasca da bagno) all’interno del film dove si rifà esplicitamente
allo scrittore americano, che alla fine della propria vita si è
lasciato andare notevolmente; due personaggi che avevano delle
personalità ambigue e non troppo limpide.
Nella parte finale della conferenza
si torna a scavare nell’impegno di Gere e nel suo atteggiamento nei
confronti del buddismo, del Dalai Lama e di come vedrebbe un
incontro tra quest’ultimo e il Papa: un incontro su come aiutare il
pianeta, sicuramente, rendendo questo posto in cui viviamo il più
ospitale possibile, mettendo freno ad una follia dilagante che si
sta impadronendo del pianeta, cercando di trovare delle
soluzioni.
Ultimi momenti, ultima domanda:
quale storia sta cercando in questo momento l’uomo/ attore Gere,
quali sta letteralmente inseguendo e se magari si possono trovare
più in tv che al cinema, viste le nuove opportunità delle
piattaforme televisive statunitensi?
Commenta Gere che, fin dall’inizio
della sua carriera non ha mai pianificato nulla, non si è mai posto
degli obiettivi: ha scelto sempre per istinto senza mai avere un
piano. I film che interpreta li sceglie perché lo colpiscono
profondamente da vicino (e Time Out of Mind, al quale
tiene molto, ne è un esempio) e poi invece ce ne sono altri dei
quali si innamora alla lettera, così, perdutamente e in modo
folgorante; a quel punto non vede l’ora di far parte di quel mondo,
di condividere quell’universo e di passarci più tempo possibile.
Ogni film che interpreta deve avere un contenuto d’umanità e
rispettare le complessità della natura umana, anche se si tratta di
commedie sentimentali con personaggi goffi: l’importante è che non
diventino mai macchiette.
Per quanto riguarda il rapporto tra
cinema e tv, l’attore confessa di essere più legato all’esperienza
cinematografica della fruizione della pellicola, alla quale non
rinuncerebbe mai; ma la tv americana (Sowtime, Starz, HBO, Netflix etc) ha dei prodotti di gran lunga migliori,
con il rischio però che le storie complesse siano in futuro
relegate a poche- e piccole- sale oppure alla tv; “siamo in un
periodo di cambiamenti”, commenta seraficamente Richard
Gere alla fine dell’incontro, e bisogna adattarsi ma la
condivisione del piacere della proiezione di una pellicola sullo
schermo cinematografico non ha paragoni.
La Lucky Red ha pubblicato il
trailer italiano del nuovo film Franny,
con protagonista Richard Gere e Dakota
Fanning, presentato all’ultimo Tribeca Film Festival,
lo scorso aprile.
Diretto da Andrew
Renzi, Franny racconta la
storia di un ricco eccentrico (Richard Gere)
che si insinua nella vita della figlia (Dakota
Fanning) di un amico deceduto.
Il film uscirà nelle sale il prossimo 23 dicembre.
Richard Gere è
stato a Roma per presentare uno dei suoi ultimi film,
L’Incredibile Vita di Norman, ovvero “La
moderata ascesa e la tragica caduta di un faccendiere
newyorchese”. Il film uscirà il 28 settembre.
D: Come vede lei
dall’esterno Norman, il protagonista che interpreta?
R: La cosa che mi piace molto di
questo film è che chiunque lo abbia visto si chieda come mai Norman
sia così fastidioso. Sembra una personaggio molto comune in tutte
le culture quello del “disturbatore”, un qualcuno che pare aver
come obiettivo quello di infastidire certe persone per ottenere
qualcosa. Credo che oggi il mondo sia estremamente basato sulle
trattative e sui compromessi, nel senso che chiunque si può
chiedere « Cosa devo fare per ottenere quello che voglio? Se
rinuncio o offro qualcosa, che cosa ottengo in cambio? » Il
presidente degli USA oggi è uno che vive di compromessi, in quello
che fa non è spinto dal senso morale. Forse è anche positivo,
perché è speculare a noi. È come se ci guardassimo allo specchio, e
nei suoi difetti dovremmo cercare di rispecchiarci e quindi
migliorare noi stessi. Anziché comportarci senza responsabilità.
Norman è portato per il compromesso, ma non manipola le persone per
rovinarle. Lui davvero vorrebbe dare alle persone ciò che promette.
Norman ha un cuore grande e sincero. Quindi lui ha questi due
aspetti dicotomici: essere uno che scende a compromessi – noioso e
fastidioso – ma al contempo essere generoso e voler aiutare gli
altri.
D: Con questo film siamo
distanti dai suoi ruoli principali come American Gigolò, Chicago,
ecc, insomma una sterminata filmografia che l’ha vista sempre
fisicamente molto lontano dal personaggio di Norman. Qui lei ha
sempre il cappello che nasconde la sua chioma bianca, e le orecchie
a sventola in bella mostra. Come ha lavorato sul personaggio dal
punto di vista fisico?
R: in realtà è stato molto
facile. Perché Norman è chi sono io veramente. Il regista mi aveva
proposto di cambiare da un punto di vista fisico, soprattutto per
evitare associazioni ai miei film precedenti. Alla
fine abbiamo optato per la messa in evidenza , tramite delle
protesi, delle orecchie a sventola. Fisicamente poi Norman
assomiglia al tipico newyorchese ebreo dell’upper west side. Ho
vissuto a New York quando ero intorno ai ventanni e ne ho
incontrati tanti di Norman.
D: In questo film sembra
proprio che il mondo sia diviso a metà: “quelli che stanno sopra” e
“quelli che stanno sotto”, senza alcuna possibilità di
comunicazione. E quelli che stanno sotto devono per
forza soccombere. Le è mai capitato di essere vittima di un
Norman? O è stato lei stesso un Norman?
R: Abbiamo dei Norman in ogni
cultura – soprattutto nel mondo del giornalismo,
dell’intrattenimento, della politica, dell’economia – ovvero gente
che vuole controllare e vuole entrare nella cerchia di quelli che
contano. Non importa che cultura abbiano o che lavoro
facciano, quello del Norman è un personaggio universale. Così come
lo sono i gruppi di persone che “contano”, coloro che hanno il
Potere. A loro si accostano questi “Norman” nella speranza di
entrarvi a fare parte, di trovare un varco, una porta che non sia
chiusa a chiave per avere accesso al loro mondo. Ma la cosa
che contraddistingue QUESTO personaggio è che è di buon cuore,
anche se è un bugiardo. È un imbroglione, certo. Ma non sa nemmeno
bene perché. Lui ci crede davvero. Davvero vorrebbe dare qualcosa
per rendere felice gli altri. Ha una natura buona.
D: Gli Academy le
interessano ancora, o ci ha messo una pietra sopra?
R: In realtà sarebbe molto
comodo vincerne uno perché mi renderebbe più facile realizzare più
film indipendenti, per cui perché no?!
D: Lei ha avuto un percorso
piuttosto anomalo per quanto riguarda la sua carriera. All’interno
di Hollywood, per Sua stessa ammissione, le è stato difficile
lavorare, date anche le scelte politiche che ha fatto. Ha deciso
appositamente di puntare su giovani registi o comunque grandi
promesse? Come costruisce il suo percorso come attore?
R: A dire la verità io vedo la
mia carriera come un unicuum. Mi sembra di fare sempre le medesime
scelte, a partire dal mio primo film che fu I Giorni del Cielo. Di
fondo i film che ho fatto son sempre un po’ difficili, drammatici,
con registi interessanti. La differenza rispetto ad oggi è che gli
Studios questo tipo di film non li producono più. È un genere che
oggi viene prodotto come film indipendente. Poi è ovvio che oggi ho
68 anni e interpreto – per forza di cose – ruoli diversi, ma
il tipo, il genere di film è rimasto lo stesso.
Attore dalla lunga carriera,
Richard E. Grant ha lavorato tanto al cinema
quanto in televisione, ottenendo più volte numerosi riconoscimenti
da parte di critica e pubblico. Estremamente versatile, l’attore si
è distinto nel corso degli anni attraverso generi e ruoli sempre
diversi, sino ad ottenere in tarda età la consacrazione con il
ruolo nel film Copia originale, che gli ha fatto
guadagnare la sua prima nomination agli Oscar.
Ecco 10 cose che non sai di
Richard E. Grant.
Richard E. Grant: i suoi film
1. Ha recitato in numerosi
lungometraggi. La carriera cinematografica dell’attore ha
inizio nel 1987, con il film Shakespeare a colazione.
Successivamente recita in film di rilievo come Henry e
June (1990), I protagonisti (1992), Dracula di
Bram Stoker (1992), L’età dell’innocenza (1993),
Ritratto di signora (1996), Spice Girls – Il film
(1997) Gosford Park (2001), Sacro e profano
(2008), Lo schiaccianoci in 3D (2009), The Iron
Lady (2011), Jackie
(2016), Logan – The
Wolverine (2017), Come ti ammazzo il
bodyguard (2017), Lo schiaccianoci e i
quattro regni (2018), Copia
originale (2018) e Star Wars: L’ascesa di
Skywalker (2019).
2. Ha recitato anche in
televisione. Nel corso della sua carriera l’attore è
apparso anche in numerosi episodi di diverse serie TV, e tra le più
celebri si annoverano Miss Marple (2007), Doctor Who (2012-2013), Downton
Abbey (2014), Il Trono di
Spade (2016) e Una serie di sfortunati
eventi (2019).
Richard E. Grant è su
Instagram
3. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un proprio profilo, seguito da 77,2 mila persone.
All’interno di questo l’attore è solito condividere fotografie
scattate in momenti di svago, con colleghi o amici, ma sono
particolarmente presenti anche immagini promozionali dei suoi
progetti da interprete.
Richard E. Grant in Downton
Abbey
4. Ha recitato nella celebre
serie britannica. L’attore è comparso nella quinta
stagione della serie Downton Abbey nell ruolo di Simon
Bricker, storico dell’arte che si reca ad Abbey per osservare un
dipinto appartenente alla famiglia Grantham.
Richard E. Grant in Il Trono di
Spade
5. Ha ricoperto un ruolo
nella sesta stagione. Nel corso della sua carriera
l’attore è anche entrato a far parte del cast di Il Trono di
Spade, ricoprendo il ruolo di Izembaro nella sesta stagione
della serie. Il personaggio è l’attore principale di una compagnia
teatrale, protagonista dell’opera The Gate, da lui anche
scritta.
Richard E. Gran in Doctor Who
6. Ha doppiato il
protagonista nella versione animata. Nel 2003 l’attore
presta la sua voce al personaggio del Dottore nella serie animata
Doctor Who: Scream of the Shalka. Nel 2012 Grant sarebbe
poi apparso nello speciale natalizio della serie live-action.
Richard E. Grant in Una serie di
sfortunati eventi
7. Ha recitato nella serie
Netflix. L’attore ha preso parte alla terza
e ultima stagione della serie Una serie di sfortunati
eventi, nel ruolo nominato come “Uomo con la barba ma senza
capelli”, recitando in tre episodi accanto all’attore protagonista
Neil Patrick Harris.
Richard E. Grant in Copia
originale
8. Per il suo ruolo nel film
ha ricevuto la sua prima nomination agli Oscar. Nel 2018
l’attore riceve il plauso universale della critica per la sua
interpretazione di Jack Hock nel film biografico Copia
originale, nel quale affianca l’attrice Melissa
McCarthy. Per il ruolo l’attore viene nominato a numerosi
premi, tra cui figura la nomination come miglior attore non
protagonista ai premi Oscar, la prima nella carriera
dell’attore.
Richard E. Grant in Star Wars
9. Interpreterà uno dei
villain del film. L’attore si è rifiutato di rivelare
dettagli circa il suo ruolo nel film Star Wars: L’ascesa di
Skywalker. Grant ricoprirà ad ogni modo il personaggio del
Generale Pryde, facente parte del gruppo di villain principali del
film.
Richard E. Grant età e altezza
10. Richard E. Grant è nato
a Mbabane, nell’allora Swaziland britannico, il 5 maggio
1957. L’attore è alto complessivamente 188 centimetri.
L’attore ha poi detto che non
“pensa che ci sia una minoranza o una maggioranza nel paese che
debba essere soddisfatta in questo modo“. “Mi è stato
detto che non avrò mai la possibilità di interpretare un uomo di
colore? Qualcun altro sta dicendo che se non si è ebrei
non si dovrebbe interpretare il Mercante di Venezia? Siamo pazzi?
Non sappiamo che l’arte è arte?Non dovrebbe esserci una
differenza tra gruppi etnici perché è condiscendente“, ha
concluso poi Dreyfuss, “ci diceche siamo così fragili
che non possiamo ferire i nostri sentimenti. Dobbiamo anticipare il
fatto che i nostri sentimenti vengano feriti o i sentimenti dei
nostri figli. Non sappiamo come alzarci in piedi e colpire il bullo
in faccia”.
Dichiarazioni che hanno naturalmente
suscitato ampie polemiche ma che dimostrano come Hollywood e
l’Academy Awards sia ancora profondamente scissa su tale argomento.
Le regole stabilite dall’Academy of Motion Picture Arts and
Sciences, in ogni caso, entreranno in vigore nel 2024 e saranno
dunque valide per la 96esima edizione del premio. Un
edizione che già da ora si preannuncia particolarmente controversa
e che nei prossimi mesi continuerà ad essere oggetto di analisi,
critiche e riflessioni, come quella proposta da Dreyfuss.
Hollywood è chiaramente scossa dalla
notizia, e piano piano cominciano ad arrivare tutti i messaggi in
ricordo del regista e produttore che ha indubbiamente contribuito,
attraverso i suoi film, a ridefinire il concetto di blockbuster. A
Deadline, Mel Gibson, uno degli attori feticcio di
Donner (oltre alla saga di
Arma letale, lo aveva diretto anche in
Maverick e in
Ipotesi di complotto), ha dichiarato: “Donner! Il
mio amico, il mio mentore. Le cose che ho imparato da lui… Sminuiva
sempre il suo talento e la sua grandezza con enorme umiltà,
definendosi semplicemente ‘un vigile del traffico’. Metteva sempre
il suo ego da parte e voleva che anche gli altri facessero così.
Era magnanimo d’animo e di cuore, che ha donato generosamente a
tutti coloro che lo conoscevano. Se accumulassimo tutte le buone
azioni che ha fatto, la lista si estenderebbe in qualche luogo
inesplorato nel firmamento. Mi mancherà moltissimo, soprattutto il
suo umorismo malizioso e la sua saggezza.”
Anche Danny Glover, partner di Gibson nella saga di
Arma letale, ha ricordato Donner attraverso le pagine di
Deadline: “Il mio cuore si è spezzato. Lavorare con
Dick Donner, Mel Gibson e tutta la squadra di Arma letale è stato
uno dei momenti della mia carriera di cui vado più fiero. Gli sarò
per sempre grato per essersi preso sinceramente cura di me, della
mia vita e della mia famiglia. Eravamo amici e ci volevamo bene al
di là della collaborazione sul grande schermo e del successo che il
franchise di Arma letale ci ha portato. Mi mancherà
tantissimo.”
Deadline ha contattato anche Steven Spielberg, autore del soggetto e
produttore de I Goonies, il piccolo grande cult diretto da Donner
nel 1985: “Dick aveva una padronanza davvero incredibile dei
suoi film ed era a suo agio con qualsiasi tipo di genere. Essere
nella sua cerchia era come uscire con il tuo allenatore preferito,
il professore più intelligente, il motivatore più feroce, l’amico
più tenero, l’alleato più fedele e, ovviamente, il più grande
Goonie di tutti. Era un bambino in fondo. Lo è sempre stato. Non
posso credere che se ne sia andato. La sua risata roca e cordiale
rimarrà sempre con me.”
Sean Astin, interprete di Mikey Walsh ne
I Goonies, ha invece scritto su
Twitter: “Richard Donner aveva la voce più forte e
rimbombante che si potesse immaginare. Era in grado di attirare
l’attenzione e rideva come nessun uomo ha mai riso prima. Dick era
davvero divertente. Quello che ho percepito in lui, da ragazzino di
12 anni, è che gli importava davvero. Adoro quanto gli importasse.
– I Goonies non dicono mai la parola morte.”
Kevin Feige e Zack Snyder ricordano
Richard Donner
Anche il presidente dei Marvel Studios, Kevin Feige, ha ricordato Richard
Donner attraverso i canali ufficiali della Marvel
(“Richard Donner non solo mi ha fatto credere che un uomo possa
volare, mi ha fatto credere che i personaggi dei fumetti potessero
essere portati in vita sul grande schermo con cuore, umorismo,
umanità e verosimiglianza”), così come Zack Snyder, regista de
L’uomo d’acciaio, che su
Twitter ha scritto: “Grazie, Richard Donner. Mi hai fatto
credere.”
Richard Donner, il regista di
Superman del 1978 con Christopher Reeve, ha risposto ai
commenti di Martin Scorsese in merito ai film di
supereroi. Donner si unisce all’accesso dibattito offrendo una
prospettiva davvero unica. All’epoca in cui è stato realizzato, il
suo adattamento di Superman era tutt’altro che un successo
garantito. Il film più costoso realizzato fino a quel momento, con
un budget di 55 milioni di dollari, era davvero considerato un
rischio.
La controversia legata ai film di
supereroi è iniziata quando Scorsese era impegnato con la
promozione di The
Irishman, alla fine del 2019. Pur riconoscendo che i
singoli film del franchise Marvel sono ben realizzati, con
attori che hanno sempre cercato di fare un ottimo lavoro, Scorsese
li ha paragonati ai parchi a tema, ammettendo di non poter mai
investire su di loro. Da allora, Scorsese ha avuto la possibilità
di tornare sull’argomento diverse volte, spesso aggiustando anche
il tiro rispetto a quanto dichiarato in precedenza, al fine di
evitare di essere frainteso. Ciò ha portato ad una serie di
contro-risposte da parte di numerosi registi impegnati nel mondo
dei cineomics, da Joss Whedon a James
Gunn. Adesso, con un po’ di ritardo rispetto all’effettiva
esplosione della disputa, anche Donner ha voluto dire la sua.
Intervistato da
The Telegraph, Donner ha risposto alle passate osservazioni di
Scorsese. Offrendo un commento relativamente breve, il regista di
classici come I Goonies e Arma Letale ha dimostrato di aver compreso le
argomentazioni generali di entrambe le parti. Se da un lato ha
ammesso di comprendere perché Scorsese e altri registi sono inclini
a ignorare le storie di supereroi, dall’altro Donner si è scagliato
naturalmente in difesa del genere. “Il problema è che, molte
volte, nel nostro settore vediamo che quando l’obiettivo tecnico
diventa immediatamente disponibile, viene totalmente utilizzato in
modo improprio. Ma allo stesso tempo, ogni tanto intravedi davvero
una storia meravigliosa in uno di questi film.”
Nonostante le polemiche, Scorsese
non ha mai avuto intenzione di dare un’attenta ed
approfondita valutazione del genere supereroistico. Il regista
voleva soltanto dire che i cinecomics non sono il suo genere di film.
Ovviamente, a causa del suo status, l’argomento è letteralmente
esploso, con Scorsese che alla fine ha offerto una visione più
riflessiva sulla questione
in una lunga lettera pubblicata sul New York Times. La
controversia, tuttavia, è stata utile per sottolineare ancora una
volta gli aspetti positivi e negativi di una tipologia di film che,
almeno in epoche passate, erano ancora considerate degli enormi
rischi. Oggi, invece, si tratta del genere per eccellenza che
domina Hollywood. I tempi cambiano…
Il celebre regista Richard
Donner è scomparso oggi nella giornata di oggi, 5 luglio
2021 all’età di 91 anni. Nato il 24 aprile del 1930 nel Bronx di
New York, egli, dove essersi avvicinato al mondo dello spettacolo
tramite la televisione, si è consacrato negli anni Settanta con uno
dei primi e più grandi film dedicati ai celebri supereroi dei
fumetti. Si tratta di Superman, che con
protagonisti Christopher Reeve, Gene Hackman e
Marlon Brando divenne
da subito un successo senza precedenti.
Quello fu solo il primo di una serie
di grandi titoli cinematografici che sempre più hanno consolidato
la fama di Donner come regista eclettico e capace di esaltare la
forza del racconto attraverso generi diversi. Dopo il film dedicato
al supereroe, seguirono infatti veri e propri cult come Lady Hawke e IGoonies, per arrivare poi nel 1987 a dar vita ad una delle
più celebri saghe action, con elementi di commedia: Arma Letale.
Interpretato da Mel Gibson,
questo fu il primo di quattro film, tutti diretti con successo da
Donner. Grazie a questi egli consolido anche il suo sodalizio
artistico con Gibson, da lui diretto anche in Maverick e Ipotesi di
complotto.
Il suo ultimo film, Solo 2
ore, risale al 2006. Dall’inizio del nuovo Millennio Richard
Donner si è poi distinto principalmente come produttore di grandi
blockbuster come X-Men e X-Men le origini –
Wolverine. Con la sua scomparsa si perde dunque uno dei più
affascinanti registi dell’action e del fantastico, le cui opere e
immagini hanno accompagnato e sorpreso intere generazioni di
spettatori. Sono proprio queste che permetteranno però al regista
di rimanere immortale, motivo per cui è valido anche in questa
occasione ricordare che, citando uno dei film di Donner,
“Goonies never say die“.
Il popolare magazine britannico
Empire, in occasione del 25° anniversario del primo film della
serie di Arma Letale, ha riunito il regista Ricahrd Donner e i
protagonisti Mel Gibson e Danni Glover. Nel corso dell’incontro si
è parlato anche del fantomatico quinto film del ciclo, un progetto
rimasto purtroppo sulla carta, che Donner ha dichiarato avrebbe
amato portare sullo schemo.
Un abbozzo di sceneggiatura era
stato già steso da Shane Black, ma Donner ha ammesso di non averlo
mai letto, cosa che invece sembra aver fatto Gibson: la vicenda si
sarebbe aperta coi protagonisti orami dediti a una vita più
tranquilla, ma i due non ci avrebbero messo molto a mettersi
nuovamente nei guai (nella sequenza di apertura, Riggs e Murtaugh a
bordo di un camper per le vacanze, ne avrebbero perso il controllo,
finendo per radere quasi al suolo un villaggio); della partita
sarebbero tornate a far parte anche Rene Russo e Darlene Love.
La maggior parte degli spettatori lo
ricordano con le fattezze di Thorin Scudodiquercia, ma l’attore
Richard Armitage vanta numerose altre celebri
partecipazioni in noti titoli, tanto per il cinema quanto per la
televisione, dove oggi Armitage è principalmente attivo. Apprezzato
da critica e pubblico, l’attore ha saputo provare la propria
versatilità, affermandosi come interprete di tutto rispetto.
9. È noto per i suoi ruoli
televisivi. Tra i primi ruoli di rilievo ricoperti
dall’attore in televisione vi sono quelli per le
miniserie Between the Sheets (2003) e Nord e
Sud (2004). Successivamente, si afferma con il personaggio di
Guy of Gisborne in Robin Hood (2006-2009), che gli dà
grande notorietà. Recita poi in titoli come Spooks
(2008-2010), Strike Back (2010-2011) e Hannibal
(2015), con Mads
Mikkelsen, Berlin Station (2016), con
Rhys
Ifans, e The Stranger (2020).
8. È il doppiatore
principale di una nota serie. Dal 2017 Armitage si diletta
anche con il doppiaggio, dando voce al personaggio Trevor Belmont,
protagonista della serie animata Castelvania, basata
sull’omonimo videogioco. Il personaggio doppiato da Armitage è un
cacciatore di vampiri caduto in disgrazia, il cui compito è però
ancora quello di difendere la Valacchia da Dracula e le sue maligne
creature. Per l’attore si tratta del primo, e per ora unico, ruolo
da doppiatore.
Richard Armitage non ha una
moglie
7. Ha avuto una relazione
con un’attrice. Nel prendere parte allo spettacolo
teatrale The Crucible (2014), Armitage conosce l’attrice
Samantha Colley, nota anche per i suoi ruoli in
Solo: A Star Wars Story (2018) e
Genius (2017-2018). I due intraprendono una relazione,
annunciando poi nel 2016 di essere ufficialmente fidanzati e pronti
al matrimonio. Questo, tuttavia, non avrà mai luogo, poiché i due
interpreti interromperanno il loro rapporto senza fornire
particolari motivazioni. Ad oggi Armitage sembra dunque essere
single.
Richard Armitage in Star Wars
6. Ebbe un cameo nel primo
film della trilogia prequel. Mentre terminava i propri
studi alla London Academy of Music and Dramatic Art, l’attore
iniziò a recitare in alcuni piccoli ruoli per il cinema o la
televisione. Uno di questi fu come pilota in Star Wars:
Episodio 1 – La minaccia fantasma. Armitage ha raccontato di
essere rimasto particolarmente colpito dalla grandezza del set,
come anche la sua difficoltà nell’individuare sé stesso all’interno
del film, per via della breve apparizione concessagli.
Parte delle cose che non sai
sull’attore
Richard Armitage in Lo Hobbit
5. Il suo personaggio
avrebbe dovuto portare una lunga barba. Originariamente,
il nano Thorin, interpretato da Armitage, era stato concepito con
un look diverso da quello poi apparso nel film. Questi avrebbe
dovuto infatti portare una lunga barba, proprio come descritto
anche nel romanzo. Tuttavia, la produzione pensò che questa avrebbe
potuto limitare la recitazione di Armitage, e optò dunque per una
barba corta, simbolo del lutto per la perdita di Erebor.
4. Ha odiato uno dei suoi
costumi. Durante le riprese di Lo Hobbit – La desolazione di
Smaug, all’attore fu fornito un soprabito da lui poco
apprezzato tanto per il materiale quanto per la sua non praticità.
Armitage richiese dunque al regista Peter Jackson
di trovare il modo affinché potesse non doverlo più utilizzare.
Jackson fu così costretto a riscrivere una delle scene, prevedendo
uno scontro con il drago Smaug dove il soprabito prendeva fuoco,
dando così all’attore la possibilità di poterlo abbandonare.
3. Ha tenuto per sé
un’oggetto di scena. È norma piuttosto diffusa ad
Hollywood che al termine delle riprese di un film gli attori
coinvolti possano prendere per sé alcuni cimeli dal set. Con la
conclusione del terzo capitolo della trilogia di Lo
Hobbit, anche Armitage ebbe tale possibilità. L’attore scelse
di tenere per sé la spada ammazza orchi, da lui sfoggiata durante
l’intera trilogia.
Richard Armitage in Hannibal
2. Ha interpretato un noto
personaggio. Nel 2015 l’attore prende parte agli ultimi
sei episodi della terza stagione di Hannibal, recitando
nel ruolo del celebre serial killer Francis Dolarhyde. Il
personaggio è l’antagonista principale del romanzo Il delitto
della terza luna, e da subito si pone come uno dei principali
avversari di Hannibal Lecter. Anche nella serie, i due ingaggeranno
uno scontro fino all’ultimo sangue.
Richard Armitage: età e
altezza
1. Richard Armitage è nato a
Leicester, in Inghilterra, il 22 agosto 1971. L’attore è
alto complessivamente 189 centimetri.
Richard Armitage è il protagonista della cover
di dicembre/gennaio della rivista Da Man. L’attore inglese arriverà
presto al cinema con LoHobbit la
Battaglia delle Cinque Armate, in cui interpreterà
Thorin Scudodiquercia.
Su Lo Hobbit la
Battaglia delle Cinque Armate: “Si tratta
dell’ultimo pezzo dell’esplorazione di Peter Jackson nel mondo di
Tolkien della Terra di Mezzo, quindi aspettatevi un grande finale
prima che il sipario cali. C’è un grande indizio nel titolo, ma
resta chiaro che ci sarà una battaglia abbastanza straordinaria. E
per il mio personaggio, Thorin, è in una spirale verso il basso ma
come ogni buon eroe tragico della letteratura risorgerà.”
Richard Armitage , affascinante attore
che abbiamo visto nei panni di Thorin Scudodiquercia ne Lo Hobbit Un Viaggio
Inaspettato, e che tornerà nello stesso
personaggio ne La Desolazione di
Smaug e in Andata e Ritorno, ha
raccontato qualcosa in più in merito al suo personaggio e a come
Thorin s evolverà nella seconda e nella terza parte della
trilogia:
Thorin è un guerriero e dobbiam
vederlo così dall’inizio perchè deve essere potenzialmente capace
di insorgere contro il drago per reclamare indietro il suo tesoro e
il suo regno Sotto la Montagna – Tristemente non ci sarà
molto spazio per siparietti comici nel resto della trilogia,
diventerà tutto più oscuro…Abbiamo provato a trovare momenti di
leggerezza nel suo personaggio ma è abbastanza difficile, ha un
carattere piuttosto serio. Soprattutto mentre ci avviciniamo
progressivamente all’oro e al Drago. La sua famiglia ha un rapporto
particolare con quella oscurità.
Lo Hobbit : La
Desolazione di Smaug arriverà al cinema il prossimo
12 dicembre, seguito, l’anno successivo , da Lo Hobbit
: Andata e Ritorno.
Empire ci mostra in esclusiva le
prime immagini di Richard Armitage (Lo Hobbit) tratte
da Pilgrimage, il nuovo film
d’ambientazione medievale di Brendan Muldowney
(Savage, Love Eternal). Potete vedere tutte le
foto nella nostra gallery:
[nggallery id=1730]
Nel cast del film anche Tom
Holland (The Impossible) e Jon
Bernthal (The Walking Dead, Fury). La storia del
film è incentrata su un gruppo di monaci che iniziano un
pellegrinaggio per trasportare la più santa delle reliquie in loro
possesso a Roma. La pellicola sarà presentata in anteprima al
Toronto Film Festival.
Richard Armitage e Carrie
Anne-Moss interpreteranno i genitori di Chloe
Grace Moretz nel drammatico Brain On
Fire di Gerard Barrett, che
sarà prodotto anche da Charlize Theron.
Attualmente in produzione in
Canada, con l’obiettivo di uscire nel
2016, Brain On Fire si basa sulle
memorie e quindi sull’esperienza di vita di Susannah Cahalan,
nel film incarnata da Chloe Grace Moretz, una
giornalista del New York Post in ascesa che si trova ad
affrontare una misteriosa malattia mentale, che la porterà alla
violenza così come allo stato catatonico, costringendola
a trascorrere un lungo periodo di tempo in ospedale senza
comprendere la natura del suo disturbo.
La dura battaglia per ritornare
alla vita sarà raccontata nel film diretto da Gerard
Barrett, dove Richard
Armitage e Carrie Anne-Moss
interpreteranno appunto i genitori di Susasnnah, Tom Cahalan
e Rhona Nack.
Ecco un Richard
Armitage canterino quello che durante un’intervista per
promuovere Lo Hobbit: Un Viaggio
Inaspettato ha improvvisato l’inizio di Misty
Mountain
Rich Moore, regista
premio Oscar di film d’animazione quali
Zootropolis, si unisce alla Sony Pictures
Animation, per sviluppare, produrre e dirigere
lungometraggi animati.
“Rich è un narratore di livello
mondiale e porta con sé una ricchezza di esperienza e una
sensibilità unica per la storia, la commedia e il cuore”, ha
dichiarato Kristine Belson, Presidente di Sony Pictures Animation.
“Siamo così entusiasti che lui si unisca al nostro team di
registi alla Sony Pictures Animation, mentre continuiamo a
sviluppare una serie di progetti animati che sono grandi, audaci e
sorprenderanno il pubblico.”
“Sony Animation si sta facendo
strada come uno dei principali tra gli studi di animazione –
ha dichiarato Moore – La loro visione di dare a registi e
artisti la libertà di correre rischi, e di spingersi oltre quando
si tratta di stile visivo e ampiezza della narrazione è
impressionante, e non vedo l’ora di essere parte del futuro dello
studio”.
Rich Moore ha
diretto il film vincitore del premio Oscar nel 2016 come miglior
film d’animazione, prodotto dalla Walt Disney Animation
Studios, Zootropolis, lavoro
firmato con il collega Byron Howard.
Il suo debutto alla regia con Disney
Animation è stato il film candidato all’Oscar nel 2012 Ralph
Spaccatutto, e più recentemente ha diretto il seguito
del film, pure quello candidato agli Oscar 2018, Ralph Spacca
Internet, con il collega Phil
Johnston.
Oggi, giovedì 2 luglio,
alle ore 18.00, nell’ambito della quinta edizione di Ciné –
Giornate Estive di Cinema – appuntamento promosso e sostenuto da
ANICA in collaborazione con ANEC e ANEM, prodotto ed organizzato da
Cineventi – Andrea Occhipinti presenterà al pubblico del
palacongressi di Riccione i titoli della prossima stagione
cinematografica firmata Lucky Red.
Sul palco, al suo fianco, i talent
di due dei film più attesi del prossimo autunno: Maria Sole
Tognazzi, regista di Io e Lei, la commedia sentimentale con
Margherita Buy e Sabrina Ferilli, in uscita il prossimo 1° ottobre
e i quattro protagonisti di Game Therapy, FaviJ, Federico
Clapis, Leonardo Decarli e Zoda che presenteranno in anteprima a
Riccione il teaser trailer del film, in sala dal 22 ottobre.
Anche per il 2015/2016 Lucky Red
conferma la volontà di rivolgersi a pubblici diversi. Un’offerta
per tutti i gusti, ricca di film d’autore e mainstream, aspetterà
al cinema adulti e bambini già a partire dal 19 agosto!
Di seguito il listino fino al 1°
Gennaio 2016
19 ago. Breaking Dance
Regia: John Swetman
Cast: Sophia Aguiar, Jordan Rodrigues, Marissa
Heart
Genere: Dance
24-25-26 ago. Evento Studio Ghibli – Quando
c’era Marnie
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Genere: Animation
3 sett. Masterminds – I geni della truffa
Regia: Jared Hess
Cast: Owen Wilson, Zack Galifianakis, Kristen
Wiig, Jason Sudeikis
Genere: Comedy
1 ott. Io e lei
Regia: Maria Sole Tognazzi
Cast: Sabrina Ferilli, Margherita Buy
Genere: Comedy
22 ott. Game Therapy
Regia: Ryan Travis
Cast: FaviJ, Federico Clapis, Leonardo Decarli,
Zoda
Genere: Action- Fantasy
29 ott. The Sea of Trees
Regia: Gus Van Sant
Cast: Matthew McConaughey, Naomi Watts, Ken
Watanabe
Genere: Drama
12 nov. The last Witch Hunter – L’ultimo
cacciatore di Streghe
Regia: Breck Eisner
Cast: Vin Diesel, Elijah Wood, Rose Leslie,
Michael Caine
Genere: Fantasy
19 nov. Mustang
Regia: Deniz Gamze Ergüven
Cast: Gunes Sensoy, Doga Zeynep Doguslu, Erol
Afsin, Ilayda Akdogan
Genere: Drama
24-25 nov. Wacken (3D)
Regia: Norbert Heitker
Cast: Alice Cooper, Deep Purple, Rammstein
Genere: Music
3 dic. Il piccolo principe
Regia: Mark Osborne
Genere: Animation
A Natale Franny
Regia: Andrew Renzi
Cast: Richard Gere, Theo James, Dakota
Fanning
Genere: Drama
1 gen. Doraemon il film: Nobita e gli eroi
dello spazio
Regia: Yoshihiro Osugi
Genere: Animation
1 gen. Carol
Regia: Todd Haynes
Cast: Cate Blanchett, Rooney Mara
Genere: Drama
Primo ciak ieri in
Puglia per Ricchi di fantasia, la commedia di Francesco
Miccichè che avrà come protagonisti Sergio Castellitto e
Sabrina Ferilli. Prodotto da Fulvio e Federica
Lucisano, il film è una produzione Italian International
Film, società controllata da Lucisano Media
Group, con Rai Cinema e sarà
distribuito nelle sale italiane nel 2018 da 01
Distribution.
La
commedia Ricchi di fantasia racconta le vicende di
una coppia di amanti, il carpentiere Sergio (Sergio
Castellitto) e l’ex cantante Sabrina (Sabrina
Ferilli), innamorati ma impossibilitati a lasciare i
rispettivi compagni per le loro ristrettezze economiche. Tutto
sembra cambiare quando i colleghi di Sergio si vendicano dei suoi
scherzi facendogli credere di avere vinto alla lotteria 3 milioni
di euro.
Ricchi di fantasia
Convinto di essere
diventato ricco, Sergio decide di abbandonare la sua vecchia vita
portando con sé non solo Sabrina, ma anche i loro cari. Quando
Sergio e Sabrina scoprono che la vincita non esiste, non gli
resterà che tenere in piedi la recita trascinando le proprie
famiglie in un viaggio on the road dalla periferia romana alla
Puglia. Ma le bugie, si sa, hanno le gambe corte e le tensioni tra
caratteri tanto diversi sono destinate a esplodere.
Le riprese
di Ricchi di fantasia sono iniziate oggi in Puglia
e si svolgeranno tra Polignano, Monopoli e Bari per concludersi a
Roma. Oltre a Sergio Castellitto e Sabrina
Ferilli, nel cast figurano anche Valeria Fabrizi,
Matilde Gioli, Antonio Catania, Antonella Attili, Gianfranco Gallo
e Paolo Calabresi. Il film verrà realizzato anche con il
contributo di Regione Puglia, Unione Europea e
Fondazione Apulia Film Commission.
A partire dal 12 giugno è
disponibile in streaming su NetflixRicchi a tutti i costi, una commedia
irriverente, come la piattaforma l’ha definita, prodotta nel 2024 e
sceneggiata e diretta da Giovanni Bognetti, qui al
suo quarto lungometraggio. La stessa firma di Natale a tutti i costi, il film campione di incassi del
2022, remake italiano della pellicola francese Mes très chers
enfants diretta da Alexandra Leclère nel 2021: un film
che parla di sé attraverso le cifre, dal momento che dalla sua
uscita ha totalizzato circa 22 milioni di spettatori. Ricchi a
tutti i costi riprende tutti i personaggi di questo film per
trasportali in un sequel ‘estivo’ della storia. Ritroviamo infatti
la famiglia Delle Fave al completo: il padre Carlo, interpretato da
Christian De Sica, la madre Anna, a cui presta il volto
Angela Finocchiaro, e i due figli, Emilio e Alessandra,
interpretati da Claudio Colica e Dharma Mangia
Woods.
Ricchi a tutti i costi: caldo
estivo e toni noir
La commedia assume stavolta toni
noir, ribaltando il copione del precedente film di Bognetti: dalle
atmosfere del Natale si passa infatti al caldo di una delle più
belle e vacanziere isole del Meditarraneo e da un plot improntato
alla separazione scopriamo in Ricchi a tutti i costi una famiglia
più unita che mai. Fin troppo, verrebbe da dire, dal momento che la
copiosa dose di cinismo che caratterizza i Delle Fave stavolta
potrebbe portare addirittura a un omicidio.
La famiglia si riunisce
intorno a uno dei meccanismi più classici (e più belli) utilizzati
dal cinema per innescare ua storia e l’arco di cambiamento dei
personaggi, ovvero il viaggio. Ma andiamo per ordine: i sei milioni
di euro ereditati dalla nonna Giuliana (Fioretta Mari) nel
primo film non sono più al sicuro. L’anziana ereditiera, infatti, è
stata circuita da Nunzio, un latin lover tanto rampante quanto
sospetto interpretato da Nini Bruschetta, una vecchia fiamma
di Anna con un passato fumoso e due mogli decedute alle spalle. La
coppia ha annunciato alla famiglia di voler convolare a nozze
nell’isola di Minorca per poi trasferirsi in Brasile.
Quale che sia la natura della
preoccupazione dei familiari, la vita della nonna o i sei zeri del
suo conto in banca, la miccia ha preso fuoco e con essa la
girandola di gag più o meno riuscite. A compattarle e dare loro una
consistenza che rappresenta poi il vero punto forte della trama, è
il doppio binario che innesta la follia di un piano omicida, ovvero
eliminare Nunzio per proteggere la nonna (e i sei zeri del conto in
banca) da un matrimonio fatale, sulle relazioni veritiere di una
famiglia che non smette mai di essere vera, quotidiana.
Lo sfondo di insanìa, infatti,
rimane sempre in equilibrio con le dinamiche padri-figli, il
divario generazionale, le difficoltà legate alla ricerca del lavoro
e l’insoddisfazione che spesso caratterizza i giovani adulti di
oggi. E su tutto, la mamma chioccia italiana, che come nel primo
film percorre contro tutto e tutti ogni possibilità di unione
anche, come in questo caso, la più malsana: “Era dalla vacanza in
Grecia che non facevamo qualcosa tutti e quattro insieme”, esclama
felice. Il desco familiare è riunito sotto l’egida del crimine,
alla ricerca di un modo ‘pulito’ per far fuori Nunzio.
Ricchi a tutti i costi Ph.Loris T. Zambelli
Il genere commedia: le gag e il
politically correct
Ricchi a tutti i costi si sviluppa
intorno agli stessi argomenti che avevano decretato il successo del
primo film, ovvero quel rapporto di odio-amore che anima tutte le
famiglie e che coinvolge gli spettatori in una carambola di liti
quotidiane e situazioni paradossali, alla ricerca di una comicità
tuttavia standardizzata: si lavora di sponda per affilare battute e
dialoghi nell’ambito di un tipo di scrittura che il politically
correct ha reso oggi, se possibile, ancora più complesso rispetto
alla trasparente audacia degli autori degli anni Cinquanta e
Sessanta, la cui libertà ha fatto della commedia all’italiana un
vero e proprio genere.