Questa recensione di
Judy è di parte. Chi scrive ha un
rapporto particolare con l’eroina (è il caso di definirla così)
protagonista e questo rende il giudizio sempre fallibile, non
imparziale. Ma si farà del proprio meglio, soprattutto alla luce
del fatto che, il film, al cinema dal 30 gennaio, è uno dei
protagonisti della stagione dei premi, grazie all’interpretazione
di Renée
Zellweger.
Il film, diretto da Rupert
Goold e basato sul dramma teatrale End of the
Rainbow di Peter Quilter, è il racconto delle
ultime settimane di vita della Garland, il periodo dei concerti
londinesi, una serie di spettacoli nel corso di cinque settimane al
The Talk of the Town. La storia però non procede
come un normale biopic, ma si concentra, oltre che sul
presente, su due elementi importanti della vita di Judy
Garland: da una parte l’adolescenza a Hollywood;
dall’altra la sua esigenza di essere una donna normale, una madre
single lavoratrice che lotta per avere il tempo e i soldi per stare
con i figli.
Judy denuncia il lato oscuro dello
showbiz
L’intenzione polemica di Goold è
chiara, sia in difesa della protagonista che in accusa di un intero
sistema. La Hollywood degli anni d’oro, quella che sfornava stelle
e divinità dello showbusiness, era una trappola oscura in
cui molti, tra cui anche la piccola Garland, sono
caduti. Il personaggio viene dunque scritto con precisione: il
desiderio di accettazione, la paura di fallire e di essere
dimenticati, il bisogno di essere apprezzata ed amata, la voglia di
continuare ad esprimere la sua arte e l’immenso e innegabile
talento che ne ha costituito anche, purtroppo, la condanna. Judy
era tutto questo, ma desiderava anche essere una donna autentica,
una madre, una persona normale amata non solo dai fan ma anche
dagli affetti normali.
Questo desiderio costante l’ha
condotta ai 5 matrimoni, all’abuso di alcol e droghe (che l’hanno
consumata fisicamente), all’affannato bisogno di avere i figli con
sé, ma anche in ultimo all’estrema solitudine in cui ha vissuto da
sempre. Vista da subito come una miniera d’oro, alla ragazza venne
rubata l’adolescenza, e in definitiva la possibilità di avere una
vita normale.
Judy è un omaggio all’artista e alla
donna
Il film di Rupert
Goold vuole quindi essere non solo un biopic, ma
una denuncia ad una Hollywood che sembra per fortuna essere sempre
più diversa da quei modelli produttivi, e anche un omaggio,
accorato, delicato, intimo ad una delle figure del mondo dello
spettacolo che ancora oggi rappresentano la storia.
Negli Stati Uniti, Judy
Garland è un mito, un’icona (non solo per la comunità
LGBT), un esempio per chi vuole fare spettacolo e un vero e proprio
simbolo. Considerare questo aspetto, per il pubblico non
statunitense, potrebbe rendere più chiara la portata di questo film
in patria, e soprattutto l’importanza di una performance come
quella della Zellweger che davvero si trasforma in Judy, non solo
attraverso trucco, postura, voce (parlata e cantata), ma anche
perché riesce a metterne in scena i turbamenti profondi, le ferite,
i traumi, in una performance che effettivamente rende degno di nota
un film altrimenti assolutamente trascurabile.
Renée è davvero Judy
È chiaro l’impegno del regista di
dire la propria su un lato oscuro del mondo dello spettacolo e di
celebrare la donna, raccontando come gli anni dell’infanzia hanno
plasmato la sua età adulta e le sue carenze affettive, tuttavia è
innegabile che Judy sia completamente
sulle spalle della sua interprete, che riesce a reggere tutti gli
insistiti primi piani con cui viene raccontata la storia.
In Judy,Renée Zellweger si trasforma completamente in
un’eroina tragica alla fine della sua parabola di vita. Lasciata
completamente sola, quella che fu la piccola Dorothy ancora cerca
la strada per casa, un posto che in vita, forse, non ha mai
trovato, ma che in morte trova ancora oggi, tra quel pubblico che
la ama tanto da alzarsi in piedi e cantare per lei, quando anche la
sua voce la stava abbandonando.
Mentre il regista Matt
Reeves è impegnato a reclutare nuovi “gorilla” per il nuovo
Dawn Of The Planet Of The
Apes, sequel de L’Alba del Pianeta delle
Scimmie, è giunto proprio in questi ultimi giorni
l’annuncio secondo cui Judy Greer sarebbe entrata
ufficialmente nel cast per interpretare il ruolo dello scimpanzè
femmina Cornelia. Ricordiamo che il ruolo di Cornelia, già apparsa
brevemente nel primo episodio, era stato interpretato dal ballerino
Devyn Dal ton, ma era stato relegato come personaggio
marginale e privo di un approfondimento psicologico, tenendo conto
del fascino esercito sul re scimmia Cesare.
Ora però il suo ruolo verrà
rivalutato ed ampliato, e la Greer ha ricevuto rassicurazioni da
parte degli animatori e i tecnici di motion capture di poter
sfoggiare appieno il suo repertorio drammatico e comico da attrice.
E si preannunciano all’orizzonte delle inusuali nozze scimmiesche !
La Greer si unisce un cast che già include Jason Clarke,
Keri Russell, Kodi Smit-McPhee e Gary Oldman.
La rivedremo poi nel remake di Carrie e tornerà come
Kitty Sanchez per Ti presento i miei.
Dawn Of The Planet Of The Apes è in procinto di
arrivare al cinema il 23 maggio del prossimo anno.
Judy
Greer sarà nel cast di Halloween,
nel ruolo di Karen Strode, la figlia del
personaggio di Jamie Lee Curtis.
Jamie Lee Curtis
ritorna al film che ha fatto decollare la sua carriera e lei sarà
ancora l’iconica Laura Strode. Il personaggio di Curtis è stato
ucciso nell’episodio Halloween – La Resurrezione
(2002) ma in verità potrebbe apparire ignorando la continuità dei
sequel a favore della propria storia. Curtis è apparsa in quattro
film della saga, incluso il primo del 1978. Ha continuato in quello
del 1981, poi quello del 1998 (Halloween H20: 20 anni dopo) e
infine in quello del 2002.
Il film è diretto da David
Gordon Lee (Pineapple Express, Your Hightness) il quale
partecipa anche in veste di co-sceneggiatore con Danny
McBride e produttore esecutivo per la Rough House Picture.
Il film è prodotto anche da Carpenter,
Malek Akkad per Trancas, Jason
Blum per Blumhouse, Zanne Devine e
David Thwaites per Miramax, co-finanziatrice
insieme alla Blumhouse.
Judy Garland
– Il suo destino era scritto ancor prima che
nascesse. I suoi genitori avevano in comune l’aspirazione di
entrare nello show business. Frank Avent Gumm era un tenore che
lavorava al teatro di Superior, nel Wisconsin. Nello stesso teatro,
il pianista era una donna, Ethel Marian Minle, irlandese come lui.
Formarono un duo artistico, Jack e Virginia Lee lavoravano nel
vaudeville. In seguito divennero Mr. e Mrs. Frank Gumm e dalla loro
unione nacquero due bambine: Sue e Virginia. Questa nuova
condizione familiare costrinse Jack e Virginia, gli artisti, a
fermarsi, lasciando spazio ai genitori. Si stabilirono a Grand
Rapids, nel Michigan, dove Frank divenne direttore del teatro
locale.
Ethel addestrava le
piccole Gumm al canto e alla danza e le avviò presto ai primi
spettacoli. In questo breve periodo di stabilità emotiva e
geografica nacque il 10 giugno del 1922 una terza figlia. Frank
avrebbe preferito un maschio, e tutti pensavano che dopo due
bambine, sarebbe arrivato un erede maschio per i Gumm. Tutti erano
pronti a festeggiare la nascita di Francis, invece venne alla luce
un’altra bambina, Frances Ethel, l’unica della famiglia che sarebbe
riuscita a realizzare i sogni di fama e ricchezza dei genitori. La
futura Judy Garland.
Il debutto della piccola Frances
avvenne a soli due anni e mezzo, la sera di Natale del 1924. Questo
particolare aneddoto è diventato quasi leggenda, e come ogni
leggenda che si rispetti, l’occasione è stata più volte rivisitata
e romanzata, ma l’essenza del racconto è rimasta tale. Durante uno
spettacolo delle due sorelle maggiori, la futura Judy
Garland, saltò sul palco e cominciò a cantare l’unica
canzone che conosceva: Jingle Bells. In questa occasione, tutti i
presenti si resero conto che l’unica delle sorelle Gumm a possedere
del talento era proprio lei, la nuova arrivata Frances.
Judy Garland
biografia
Questa scoperta illuminò Ethel che
convinse il marito a trasferirsi a Los Angeles per tentare la
scalata ad Hollywood. I Gumm vendettero la loro casa e partirono da
Grand Rapids nell’estate del 1924. Tra la città del Minnesota e Los
Angeles, Le Sorelle Gumm parteciparono ad ogni spettacolo di
vaudeville che trovavano lungo la strada, e proprio in una di
queste occasioni la piccola Baby incontrò per la prima volta Joe
Jr. Yule, anche lui avviato da piccolo agli spettacoli di
vaudeville.
Judy Garland: film
Dal 1921, quando al cinema uscì
Il Monello (The Kid) di
Chaplin, ad Hollywood si era diffusa la moda degli
attori bambini, ed Ethel, il “capo”del clan Gumm, fu
particolarmente attenta a questa tendenza.
Molti anni dopo, un’affermata Judy Garland
ricorderà con un po’ di tristezza quei tre mesi trascorsi con tutta
la famiglia stipati nel loro furgone per raggiungere “la città
degli angeli”.
I Gumm vissero a Los
Angeles per sei mesi, e Frank divenne direttore di un teatro a
Lancaster, a circa ottanta miglia dal centro della città, Frances
ebbe così la possibilità di crescere guardando film nel
teatro diretto dal padre che veniva adibito anche a sala
cinematografica. Prima della partenza per Lancaster però, la
previdente Ethel iscrisse le sue tre figlie alla Meglin Kiddies,
un’agenzia per bambini attori. Ethel costringeva la piccola Frances
a fare spettacoli d’intrattenimento ovunque, in teatri ed in
ristoranti e nel 1932 decise che doveva provare l’assalto decisivo
ad Hollywood usando come ariete la figlia minore. Convinse il
marito a trasferirsi di nuovo, questa volta nel cuore di Los
Angeles ed iscrisse Frances alla Miss Lawlor’s School of
Professional Children. In questa scuola, uno dei compagni di classe
di Frances fu Mickey McGuire. A questo periodo risale il distacco
dal padre. La madre in persona fu la principale responsabile di
questa prematura separazione, poiché portando le figlie in tour,
lasciava il marito a casa. Le Gumm Sisters si esibirono per una
settimana a Denver e poi passarono a Chicago.
Proprio qui, all’Oriental Theater,
George Jessel, che aveva il compito di compilare i cartelloni degli
spettacoli, ed occupandosi di quello delle sorelle Gumm, sbagliò lo
spelling del nome e scrisse Glumm. L’errore venne subito notato, ma
lo stesso Jessel sostenendo che il nome Gumm fosse poco adatto per
un numero di vaudeville, e poiché in quel momento era in compagnia
del suo amico critico teatrale Roberto Garland, decise, in accordo
con Ethel, di cambiare il nome al trio. Fu così che per la piccola
Frances si profilò l‘inizio del suo nome d’arte. Judy
Garland venne in seguito, in omaggio ad una canzone di
Hoagy Carmichael, molto amata da sua madre.
Nel 1934, quasi per
caso, Judy Garland sostiene involontariamente
il suo primo provino importante. Durante l’estate di quell’anno, la
famiglia Gumm si trasferì al Cal-Nega Lodge a Lake Tahoe per
quattro settimane. Il proprietario del locale le chiese di cantare
per alcuni amici; questi “amici” erano: Lew Brown casting director
per la Columbia Pictures; Harry Akst, famoso compositore; e Al
Rosen, un agente di Hollywood. Alla fine della performance di Judy,
Rosen fece scivolare nella mano della bambina un foglietto con il
suo numero riferendo alla madre di contattarlo a Los Angeles.
Proprio Rosen divenne il suo primo agente, e le procurò un provino
alla M.G.M.
Quel giorno cominciò la grande
avventura di Judy Garland alla Metro:
cantò per Rosen; Rosen chiamò Ida Koverman, segretaria di Louis B.
Mayer; lei chiamò lo stesso Mayer che contattò gli avvocati e le
fece firmare sul posto, lo stesso giorno, un contratto. Si hanno
diverse testimonianze di quell’episodio tutte sommariamente
concordi sui punti importanti; tuttavia, se nei ricordi
di Judy Garland è il padre ad accompagnarla
al piano, nella versione di Roger Edens sarebbe stata invece Ethel,
la madre, ad accompagnare la performance della figlia. È probabile
che il desiderio della presenza paterna in un momento così
importante della sua nuova vita avesse spinto Judy
Garland a sostituirlo madre. Sappiamo infatti che Frank
morì di meningite spinale in pochi mesi, proprio nel momento in cui
la carriera della sua Baby stava assumendo una forma più
concreta.
Poco dopo Judy
Garland cominciò a prendere lezioni private giornaliere da
Edens. Alla Metro Judy ritrovò Mickey Rooney, insieme ad altre
future co-star: Deanna Durbin, Jackie Cooper, Freddie Bartholomew.
Tuttavia per circa un anno cantò solo alla radio oppure a feste e
cene organizzate negli Studios. Finalmente, nel 1936 le diedero una
parte in un film insieme a Deanna Durbin, si trattava di Every
Sunday. Le canzoni vennero affidate a Con Conrad e Herb Magidson.
In questo film, Judy Garland mostrò non solo
la sua grande capacità canora, che già era conosciuta, ma
soprattutto le sue doti di attrice. Vitale e frizzante la
Judy Garland quattordicenne mostra tutto il suo
brio in contrasto con una Durbin allo stesso modo brava ma molto
più composta e pacata.
Dopo Every
Sunday, Judy Garland viene “prestata” alla
20th Century-Fox per la realizzazione del non eccezionale Pigskin
Parade(1936). Nell’elenco del cast Judy
Garland appare nona, ma questa classificazione non è
giustificata dal film dove la maggior parte dei numeri musicali
ruotano intorno a lei. Questa fu la prima ed ultima volta che la
Metro permise a Judy Garland di partecipare a
produzioni esterne.
Il film successivo
di Judy Garland fu Follie di Broadway 1938
(Broadway Melody of 1938 di Roy Del Ruth, 1937). Ad un party per
celebrare il 36esimo compleanno di Clarke Gable, Judy
Garland cantò “You Made Me Love You” all’attore, e nel bel
mezzo della canzone improvvisò un’ardente dichiarazione d’amore nei
suoi confronti. Questa improvvisazione venne inserita nel film del
1937. In quel numero Judy fu capace di ricreare dal nulla, senza
nessuna previa preparazione, il carattere del fan malato d’amore
per il suo idolo. Quella dedica fu registrata per la Decca con il
titolo di “Dear Mr. Gable” ed ebbe un enorme riscontro sul pubblico
dando a Judy Garland il suo primo vero
successo personale e avvicinandola al regno delle star.
Il film successivo, Thoroughbreds
Don’t Cry (1937), è da notare solo perché segna la prima
collaborazione con Mickey Rooney. Invece Viva l’Allegria (Everybody
Sing di Edwin L. Marin) primo dei tre film che girerà nel 1938, la
vede protagonista. È un’occasione importante per Judy
Garland che però comincia a scoprire il prezzo della
celebrità. Il rapporto con la madre, che Judy ritiene responsabile
della sua prematura separazione dal padre, peggiora poiché è
convinta dell’esistenza di un accordo tra Ethel e Mr. Mayer, che la
costringe a lavorare a tutti i costi. Passa tutto il suo tempo
davanti alla macchina da presa, e quando non lavora, è in giro per
il Paese a promuovere i suoi film.
Listen, Darling, il suo secondo
film del ’38, si ricorda perché nella sua colonna sonora c’è il
primo grande successo di Judy Garland “Zing
Went the Strings of My Heart”. Ancora nel 1938 collabora per la
seconda volta con Mickey Rooney. Andy Hardy (Love Finds Andy Hardy
di George B. Seitz) fa parte di una serie di film incentrati sulla
figura di un giovane, Andy Hardy appunto, interpretato da Rooney.
Louis B. Mayer si interessò a questo personaggio poiché, a suo
parere, rispecchiava il sogno americano essendo le sue avventure
incentrate su una visione sentimentale della vita domestica. Il
personaggio di Judy era Betsy Booth, e lei si ritroverà ad
impersonarlo altre due volte sempre al fianco di Rooney.
Judy Garland Il Mago di OZ
Love Finds Andy Hardy fu
l’ultimo film che Judy Garland interpretò da
semplice attrice bambina; il 1939 fu l’anno de Il Mago di Oz, e
dopo quel film Judy Garland divenne una star.
Il 1938 fu un anno decisivo per Judy. Il Mago di Oz era una favola
ad episodi per bambini, che come filo conduttore aveva il
personaggio di Dorothy, una bambina sperduta nel fantastico Regno
di Oz, che cercava di ritornare a casa, in Kansas. La fama di
questo romanzo era paragonabile a quella di Peter Pan, altra storia
ambientata in un mondo parallelo, L’Isola che Non C’è, con
protagonista un’altra bambina (in questo caso Wendy). Entrambe le
storie portano lo stesso messaggio riguardo ai legami che si hanno
con la propria casa e i propri affetti, e forse proprio questo
messaggio piaceva a Louis B. Mayer, che, essendo un emigrato
dall’Europa dell’Est, non aveva mai avuto una casa. Ma questo
messaggio si avvicinava anche al desiderio di sicurezza che si
stava diffondendo in America e nel mondo all’alba di una nuova
Guerra. La produzione de Il Mago di Oz (The Wizard of Oz) voleva
Shirley Temple per la parte di Dorothy, ma Arthur Freed propose la
Garland. Fortunatamente per lei, esigenze di contratto che legavano
la Temple alla 20th Century Fox le impedirono di andare avanti col
progetto e così Judy Garland divenne (e per
certi versi rimase per tutta la vita) Dorothy. La sua
interpretazione di “Over the Rainbow” è diventata quasi leggenda e
la canzone accompagna la sua memoria come un leit-motiv. Molto
delle sue dichiarazioni successive facevano riferimento a
quell’arcobaleno che voleva rappresentare una felicità perfetta che
in vita non raggiunse mai, e quando nel 1969 morì, la canzone
divenne il suo epitaffio.
Per prepararla anche fisicamente al
suo personaggio, Jack Dawn, direttore del dipartimento trucco, la
acconciò con denti finti ed una parrucca bionda, look che venne
fortunatamente abbandonato dopo tre settimane di riprese, perché la
produzione si decise a mantenere l’aspetto di Judy
Garland il più naturale possibile. Oltre al make-up, un
altro problema riguardante il personaggio di Dorothy era l’età.
L’autore del romanzo, L. Frank Baum, non aveva specificato l’età di
Dorothy, ma era più plausibile che fosse una bambina di dieci anni
(l’età della Temple nel 1938) che una ragazza di sedici (l’età
della Garland), inoltre lo sviluppo fisico di Judy
Garland fu piuttosto precoce. Si usò quindi un corsetto
che le schiacciava leggermente il petto al di sotto del vestito
azzurro.
Il problema riguardante il trucco
dei tre compagni di viaggio di Dorothy risultò molto più complesso.
Ray Bolger, Jack Haley e Bert Lahr, che interpretavano
rispettivamente lo Spaventapasseri, l’Omino di Latta e il Leone
Codardo, dovevano trasformarsi in creature di fantasia, ma dovevano
tuttavia essere credibili nei loro travestimenti. Nel 1933 la
Paramount realizzò Alice nel Paese delle Meraviglie, e il film fu
un disastro sia finanziario che di critica. I personaggi di
fantasia indossavano maschere che li rendevano inespressivi e poco
credibili. Così la produzione de Il Mago di Oz
optò per un trucco applicato al volto dei personaggi insieme a
protesi sintetiche che potessero ricostruire le fattezze degli
esseri magici interpretati dagli attori, che dal canto loro
soffrirono ore ed ore di trucco prima di portare sul set un viso
sofferente per sotto i caldissimi riflettori di scena. Il make-up
ideale venne trovato anche per Margaret Hamilton, la Strega Cattiva
dell’Ovest; una particolare sfumatura di verde brillante con la
quale le dipinsero faccia e mani che le conferiva un aspetto tanto
surreale quanto crudele.
Legato al colore è uno degli
aspetti più interessanti del film; la decisione di usare una
fotografia seppia per le sequenze in Kansas, e di usare invece il
colore vivido del Tecnicolor per le sequenze nel mondo magico di Oz
fu funzionale, ma soprattutto efficace e di grande effetto sul
pubblico ed in particolare sui bambini. Come compagni di viaggio
Bolger, Haley e Lahr sono eccezionali, e anche loro, proprio grazie
all’enorme successo del film rimasero per lungo tempo legati al
loro personaggio.
È probabile che uno dei motivi
principali che determinarono il planetario successo del film sia
riconducibile proprio alla scelta di Judy
Garland per la parte di Dorothy. La sua sincerità di
interpretazione e la sua capacità di emozionare il pubblico non
servirono mai meglio un film come nel caso de Il Mago di Oz. Il suo
fronteggiare la strega con tale ardente coraggio, il suo accorato
saluto agli amici fantastici di Oz, tutto contribuisce ad una
interpretazione davvero eccellente per una ragazza così giovane ma
così dotata.
Si tratta quindi di un film molto
riuscito sia per i risultati al botteghino che per i commenti della
critica che però non si lasciò sfuggire la nota stonata costituita
dalle scimmie volanti della Strega Cattiva dell’Ovest,
eccessivamente grottesche. La 20th Century Fox,
sperando di eguagliare il successo della pellicola targata M.G.M.,
produsse un film fantasy a colori, tratto da una commedia di
Maurice Maeterlinck, The Blue Bird. Il film fu un disastro, e per
la sua protagonista femminile, Shirley Temple, si trattò del primo
grosso insuccesso dall’inizio della sua carriera nel 1933.
Per Judy Garland
invece si aprirono le porte della Mecca del Cinema. La sua
performance di Dorothy le valse una statuetta speciale agli Academy
Awards, un mini-Oscar, e le garantì un posto di prestigio tra le
star del musical della M.G.M. Judy non era mai stata così famosa, e
per lei incominciò un periodo di duro lavora, ma di grandissimo
successo.
Insieme alla statuetta speciale,
Judy Garland ebbe anche il privilegio di lasciare
le sue impronte nel cemento del marciapiede di fronte al
Grauman’s Chinese Theater. La cerimonia avvenne
nella notte della première del suo secondo film del 1939, Ragazzi
Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley), e sancì per la
diciassettenne Judy il suo nuovo status di star, inaugurando il
periodo più proficuo e impegnato di tutta la sua vita. Tra il 1940
e il 1950, Judy Garland divenne la vera
e propria regina del musical al cinema, recitò in circa 20 film e
prese parte a show televisivi e trasmissioni radiofoniche.
Judy Garland è
alla Metro quando lo star system è al suo apice e gli attori,
firmando un contratto con la casa di produzione, si consegnano
totalmente nelle mani dei produttori, in questo caso di Louis B.
Mayer e Arthur Freed. Questo tipo di contratti costringevano
infatti gli attori ad accettare qualunque ruolo venisse loro
assegnato; inoltre potevano essere “prestati” ad altre case di
produzione per una o più produzioni, ma senza ricevere alcun
compenso personale; tuttavia ricevevano lo stesso compenso se
lavoravano sei giorni a settimana oppure se rimanevano a casa
aspettando che venisse assegnato loro un ruolo. Judy
Garland visse il suo decennio più produttivo a queste
condizioni, come molte delle star degli anni ’30 e ’40.
Poiché Judy tendeva ad ingrassare, sin dai tredici anni fu
sottoposta a diete forzate per tenerne sotto controllo il peso, e
fu così che arrivarono le primissime prescrizioni di pillole che
potessero aiutarla a mantenere dimensioni costanti e “adatte” al
mondo dello spettacolo. A questi medicinali si aggiunsero gli
integratori per far si che i piccoli attori-bambini fossero in
grado di lavorare fino a sessantadue ore di continuo, ed i
sonniferi per permettere loro di dormire solo in determinate ore
durante i tour. Fu così, proprio all’inizio della sua sfavillante
carriera che cominciò il lento declino della salute di Miss Show
Business.
I problemi fisici e psicologici di
questa crescita viziata dall’assunzione ad alto dosaggio di
medicinali, si rispecchiarono nella sua caotica vita privata, che
Judy faticò sempre a tenere insieme. Ovviamente gli Studios
cercarono sempre di arginare questa sua instabilità; Judy cominciò
a seguire sedute psichiatriche già all’inizio degli anni ’40.
Tuttavia il controllo che la Metro esercitava sulla vita della sua
giovane miniera d’oro era così invadente che, quando Judy si sposò
per la prima volta nel 1941 con David Rose, l’unione fu vista da
Louis B. Mayer come una limitazione al suo potere su di lei. Si è
detto addirittura che, proprio durante il primo matrimonio, Judy
fosse rimasta incinta, e le pressioni dei produttori (Mayer
in primis) la costrinsero ad abortire, per non rovinare la sua
immagine di “ragazza della porta accanto” sulla quale era stato
costruito il personaggio “Judy Garland”. Questo
evento la lasciò traumatizzata per il resto della vita. Molto
diverso fu invece il comportamento di Mayer nel 1945, quando
Judy sposò in seconde nozze Vincente Minnelli. Il
regista, essendo anche lui “di proprietà” della Metro, ed essendo
uno dei più quotati dell’epoca, riuscì ad ottenere la benedizione
di Mr. Mayer.
Nonostante l’insorgere di queste
prime difficoltà nella vita di Judy Garland,
nel corso della decade d’oro durante la quale lavorò alla M.G.M., nessun segno di
questi problemi è riscontrabile nel risultato finale di un film.
Davanti all’obbiettivo niente riusciva a superare la sua
incredibile naturalezza e sensibilità di recitazione. Rimase sempre
e in qualunque condizione fisica, un’interprete intelligente e
versatile per quanto il suo volto potesse portare i segni della sua
sofferenza. Numerose sono le testimonianze della sua
professionalità dopo il ciak; per uno dei suoi numeri più famosi e
anche complessi, “Be a Clown”, lei e Gene Kelly diedero il meglio
in una sola ripresa, con una previa preparazione di sole quattro
ore. Chiunque abbia mai visto lo splendido numero che chiude The
Pirate di Minnelli, può capire quanto il palcoscenico fosse la vera
casa di Judy Garland.
Arthur Freed, che
ai tempi di The Wizard of Oz era produttore
associato e compositore, e che dall’inizio aveva appoggiato l’idea
che dovesse essere Judy ad interpretare Dorothy, divenne produttore
a tutti gli effetti. Era persuaso che la coppia Garland-Rooney
potesse essere un binomio vincente, e propose di realizzare un
musical con protagonisti i due attori. A questa idea si associò
l’incredibile successo dei film sulla famiglia Hardy, che portarono
Mickey Rooney al successo e al conferimento del soprannome di
money-maker. Dopo la prima collaborazione, i due attori, le cui
vite si erano intrecciate molto prima che i due diventassero delle
star, ritornarono così a lavorare insieme ad un film: Ragazzi
Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley; 1939). Arthur Freed si
occupò della colonna sonora: scrisse con il suo vecchio partner,
Nacio Herb Brown, “Good Morning” appositamente per il film, e
aggiunse “I Cried For You” scritta invece con Gus Arnheim; Harold
Arlen e E. Y. Harburg, che avevano già lavorato a The Wizard of Oz,
composero “God’s Country”. La sceneggiatura venne assegnata a Jack
McGowan e ad uno degli scrittori degli show di Andy, Kay Van
Riper.
Questo è i primo di quattro musical
che Judy e Mickey faranno insieme nei successivi cinque anni, prima
del passaggio di lei a ruoli più maturi e dell’arruolamento di lui
nell’esercito. Baby in Arms si ricorda anche perché fu il primo
film alla Metro di Busky Berkeley, che fino a quel momento aveva
lavorato per la Warner. Nel film, Judy e Mickey sono dei talentuosi
ragazzi che vogliono raggiungere il successo nel teatro di
vaudeville andando contro le autorità del loro piccolo paese
impersonate da Miss Steele (ancora una Margaret Hamilton nelle
vesti di cattiva), che invece vuole che i ragazzi stiano lontani
dal mondo corrotto dello show-business. Ovviamente i ragazzi devono
riuscire a mettere in scena uno show non solo per realizzare il
loro sogno ma anche per salvare le loro famiglie
dall’indigenza.
In questo musical i due attori sono
esuberanti e grintosi. Gli occhi di Judy non perdono mai la loro
luce d’innocenza. Riusciva sempre a immedesimarsi nel suo ruolo e,
a mano a mano che matura come donna e come attrice, diventa più
rilassata e composta anche nell’interpretazione. In questo caso è
iperattiva, irresistibile. La sua naturale espressività e il suo
tono drammatico danno a “I Cried for You” una dolcezza di intensità
incredibile considerando la giovane età dell’interprete. Allo
stesso tempo, senza sminuire il mal d’amore del suo personaggio,
riesce a far ridere il pubblico mettendo in evidenza i cliché che
drammaturgicamente vengono utilizzati per inscenare proprio il
medesimo male.
Il numero finale è costituito da
una canzone “God’s Country” che solo una persona eccessivamente
patriottica può apprezzare, considerando che il messaggio finale è
un inno all’America come solo paese dove “ognuno è dittatore solo
di se stesso”.
Il film, costato appena 600.000 $,
guadagnò solo negli Stati Uniti 2.000.000 $. Mickey Rooney fu
candidato all’Oscar per la sua interpretazione, e anche se non
vinse ebbe comunque il piacere di premiare Judy nello stesso anno,
quando ricevette la sua statuetta in miniatura per Il Mago
di Oz.
La coppia Mickey-Judy, dopo lo
sfolgorante successo di Babes in Arms, era ormai diventata una
risorsa nazionale.
Dopo un’altra incursione nel mondo
di Andy Hardy, Musica indiavolata (Strike
up the Band di Busby Berkeley), del 1940, è il secondo musical
della coppia, e anche se i due attori dividono il cartellone, il
film è in realtà lo show di Mickey. Tuttavia Freed e Roger Edens
scrissero appositamente per Judy per questo film “Our Love Affair”
e “I Ain’t Got Nobody” che Judy canta in una silenziosa biblioteca
dopo l’orario di chiusura. Quando Judy, con la sua voce profonda ed
emozionante, comincia a cantare sembra meno bambina di quanto non
sia ancora. C’è un suo numero, in questo film, “La Conga”, in cui
Judy eccelle particolarmente. Consiste in una ripresa continua che
dura cinque minuti, e che viene interrotta solo quando irrompono in
scena gli altri ballerini. Allora l’inquadratura si spezza in
molteplici angolazioni ed anche il ritmo cambia rompendo la magia
creata dalla sua voce. Il finale del film, ancora una volta con
forti accenti patriottici, è una climax con un’ultima inquadratura
che vede Judy e Mickey sovraimpressi alle quarantotto stelle della
bandiera americana.
Arrivò però il momento di cambiare,
e così Freed diede a Judy una pausa dal suo ciclo di film con
Mickey e preparò il suo passaggio da ruoli giovanili a personaggi
più maturi. Andando contro il parere di George M. Cohan, Freed fece
pressione affinché a Judy venisse affidato il ruolo principale in
Little Nellie Kelly, e una volta ottenuti i diritti dell’opera
teatrale, eliminò alcune canzoni originali per scriverne delle
altre. L’aggiunta più vistosa fu quella della famosissima “Singin’
in the Rain” di Freed-Brown. Judy interpreta un doppio ruolo: una
madre che muore dando alla luce una bambina, e la bambina stessa,
una volta cresciuta. Questa è anche l’unica volta in cui la Garland
muore in un film, e quindi il suo doppio personaggio ha quasi il
valore di un rientro in scena.
Anche se Judy non domina
perfettamente il suo film successivo, Le fanciulle delle follie
(Ziegfield Girl di Robert Z. Leonard) del 1941, il suo nome, nel
cartellone del film, viene messo prima di quello delle due sue
co-star più famose: Hedy Lamarr e Lana Turner. Il film prende
il titolo da una serie di spettacoli teatrali dei primi decenni del
secolo. Basandosi su spettacoli teatrali molto elaborati difficili
da trasporre al cinema, la trama del film si concentra sul ”dietro
le quinte” degli spettacoli stessi dove un trio di show-girls delle
follie cerca di risolvere i problemi legati alle loro performance.
Il personaggio di Judy, una ragazza che vuole entrare a far parte
delle follie, ha il suo accento drammatico nel rapporto con il
padre, anche lui artista di vaudeville, e i suoi momenti migliori
nelle sequenze cantate.
Nel 1941 Judy ritorna ancora al
fortunato personaggio di Betsy Booth, nella serie della famiglia
Hardy. Il film è La Vita Comincia per Andy Hardy (Life Begins for
Andy Hardy di George Brackett Seitz) e lei avrà solo un piccolo
ruolo nel film. Registrerà anche quattro canzoni, nessuna delle
quali verrà inserita nel montaggio finale. Questa è la sua ultima
volta per Andy Hardy.
Il terzo musical di Mickey e Judy
fu realizzato sempre nel 1941. I ragazzi di Broadway (Babes on
Broadway di Busby Berkeley) trasse beneficio dal collaudato
rapporto tra i due attori, ma soprattutto dall’affiatata squadra di
curatori delle musiche: Busky Berkeley, Arthur Freed e Roger Edens.
Anche la struttura del film è scandita da momenti chiave molto
simili, se non identici, rispetto a quelli di Babes in Arms, con il
risolutivo trionfo finale dei due interpreti.
Il film risulta gradevole, un show
giullaresco messo in scena da Berkeley con un discreto spirito di
immaginazione, ma ai fini delle nostre intenzioni, è importante
esclusivamente perché segna l’inizio della relazione professionale
tra Judy Garland e Vincente Minnelli. Freed
infatti, lo aveva prelevato dai palcoscenici di Hollywood, sperando
di coltivare a favore della Metro il talento del giovane regista.
Uno dei primi compiti che venne affidato a Vincente fu quello di
supervisionare alcuni dei numeri musicali della Garland.
La politica delle Major durante la
Seconda Guerra Mondiale era quella di promuovere le ragioni di
Stato in merito alla situazione bellica. La M.G.M. non si sottrasse
a questa regola, e così anche Judy, essendo l’attrice di punta
della casa produttrice, divenne un simbolo patriottico, che
sbandierava i valori delle patria e portava con sé il messaggio che
there’s no place like home (non c’è nessun posto come casa),
messaggio che si portava dietro dai tempi di The Wizard of
Oz.
For Me and My Gal del 1942 si
adatta al periodo bellico, tanto che si parla persino di un vincolo
di guerra per Judy, e per tutte le star sotto contratto con la
M.G.M.. Il sacrificio di Judy alla causa della guerra, da parte
della Metro, la costrinse a pianificare con cura ogni sua singola
ripresa, tant’è che quell’anno le sue apparizioni furono limitate
ad un cortometraggio a carattere documentaristico intitolato We
Must Have Music. Il film spiega il modo di lavorare del
dipartimento musical ed è costituito da un parsimonioso uso di
sequenze tagliate da Ziegfeld Girl. Probabilmente per una
confusione di intenti, For Me and My Gal appare come un film
piuttosto discontinuo; rappresenta il debutto al cinema di Gene
Kelly dopo i fasti di Broadway. Kelly era diventato famoso
oltre che per le sue eccezionali doti di ballerino, anche per il
suo personaggio di Pal Joey, che rielaborò rendendolo più
complesso: non più l’avventuriero senza scrupoli con tutte le
caratteristiche del vaudevillian, ma anche un uomo che cerca di
redimersi agli occhi del pubblico attraverso un autentico e
sofferto rimorso.
Il tempo della diegesi è da
ricondursi all’inizio della Prima Guerra Mondiale; ce ne accorgiamo
quando Judy, attraversando un treno da un vagone all’altro,
incrocia Kelly che legge un quotidiano con in prima pagina la
notizia dell’affondamento del Lusitania. Judy interpreta una
cantante e ballerina che lavora in coppia con George
Murphy, mentre Kelly è un egocentrico artista che compare sullo
stesso cartellone del duo artistico Hayden-Metcalf (appunto
Garland-Murphy). L’ostilità iniziale dei personaggi di Judy e Gene
si trasformerà ovviamente in un profondo feeling artistico che
spingerà il precedente partner di Judy a farsi da parte. Le vite
dei tre personaggi finiranno per riunirsi a Parigi, dove Judy
canterà canzoni della Prima Guerra Mondiale per allietare i soldati
mentre Kelly e Murphy, entrambi arruolati dall’esercito americano,
si scontreranno in un corridoio.
Il film diretto da Berkeley,
risulta terribilmente limitato. Oltre ad essere la vetrina
cinematografica di Kelly, For Me and My Gal è anche un tributo ad
un ‘american love’: lo spettacolo di Vaudeville. Il duetto “Ballin’
Jack” e l’assolo “After You’re Gone” furono incisi per la Decca e
diventarono hits .
Il 1943 comincia per Judy con
Presenting Lily Mars. Il progetto era stato pensato all’inizio dal
produttore Joe Pasternak come un ruolo drammatico per Lana Turner,
che venne poi modificato in un musical per Judy
Garland. Il personaggio di Judy è una giovane donna di
provincia che vuole avere successo nello show business.
Nello stesso anno, la produzione
mise in cantiere un nuovo film, Girl Crazy, dove veniva riproposta
ad un pubblico accondiscendente la coppia Rooney-Garland. In questo
caso, però, per divergenze produttive, a Berkeley venne affidata
solo la direzione dei numeri musicali, mentre la regia del film fu
curata da Norman Taurog. Questa sarà l’ultimo volta insieme per
Judy e Mickey. Il film nasce da uno spettacolo di Broadway del
1930, nel quale Ethel Merman interpreta la sensazionale canzone “I
Got Rhythm”. Il terzo film di Judy nel 1943 è Thousands Cheer, un
altro musical patriottico degli anni della guerra, ancora con Kelly
che interpreta un ex circense che non lavora per lo Zio Sam.
Il suo film successivo,
Incontriamoci a San Louis (Meet Me in Saint Louis; 1944),
costituisce una fase importantissima per la sua carriera,
segnando il suo passaggio definitivo a ruoli più maturi. Non solo a
livello artistico, ma anche a livello economico, il film segna un
importante tappa nella storia della Metro, e Judy, essendo la
principale fautrice di questa successo, ne trarrà giovamento non
solo per la sua carriera di attrice, ma anche per un miglioramento
ulteriore del suo status di star. A questo film ho dedicato il
primo approfondimento nella seconda parte.
Dopo lo zuccheroso lieto fine di
Meet Me in Saint Louis, Judy si cimenta, ancora diretta da
Minnelli, nel suo unico film drammatico interpretato per la Metro,
Ora di New York (The Clock; 1945). Questo fu anche per Minnelli il
primo confronto con il dramma, e questa volta fu proprio Judy a
volerlo come regista, chiedendo che venisse chiamato per
rimpiazzare Fred Zinnemann. I protagonisti sono Judy e Robert
Walker.
Una segreteria e un soldato in
licenza per 48 ore si scontrano alla Pennsylvania Station, si
piacciono e si innamorano, passano una notte e un giorno insieme e
si lasciano. Minnelli cerca di fare di New York un terzo
personaggio dando una caratterizzazione all’ambiente. I due attori
protagonisti offrono delle belle performance e si nota con piacere
che le caratteristiche di grande attrice bambina di Judy, sono
cresciute con lei. Il suo controllo perfetto di tutto il suo corpo
le permette di essere straordinaria non solo sul palcoscenico,
cantando e ballando in modo divino, ma anche in questa isolata
parte drammatica. Nello specifico del film, la scena della sua
colazione silenziosa è di grande tenerezza. Grande è la sua abilità
di sostenere la scena con il silenzio.
La sensibilità di Judy ne ha fatto
una attrice davvero particolare e proprio questo aspetto della sua
recitazione le ha permesso di ottenere, nel suo film successivo, Le
ragazze di Harvey (The Harvey Girls; 1946), un risultato davvero
affascinante. Si tratta di un western ambientato nel XIX secolo,
nel quale una serie di sub plot si intrecciano al filo conduttore
del film che è la storia d’amore tra Judy e John Hodiak. Proprio
questo sembra essere il difetto del film, che appare troppo
“occupato”, affollato di temi e personaggi da sembrare quasi un
film ad episodi. Il film vinse un Oscar per la miglior canzone: “On
the Atchinson, Topoeka and the Santa Fe”.
Il film successivo la vede ancora
collaborare con Minnelli, che aveva sposato nel 1945. Si tratta di
Ziegfeld Follies (1946), un film ed episodi in cui Judy interpreta
il segmento intitolato A Great Lady Has ‘An Interview. Il film è
composto da una dozzina di sequenze, tra comiche e musicali,
interpretate da un artista diverso. La maggior parte delle sequenze
musicali è diretta da Minnelli, mentre le altre vedono la
collaborazione di altri registi come George Sidney, Roy Le Ruth e
Robert Lewis. Lo stesso Minnelli ha scritto riguardo alla
difficoltà di portare avanti progetti di questo genere; si trattava
infatti di seguire i vari attori che avrebbero dovuto prendere
parte al film, e chiedere loro un po’ di tempo libero per
realizzare la sequenza che a loro spettava. Un lavoro poco
organico, quindi, difficile da organizzare e da realizzare più per
problemi legati alla disponibilità del cast artistico che alle
effettive difficoltà di resa del film.
La pellicola ebbe un enorme
successo, ostentava una ricchezza quasi eccessiva nelle sequenze
musicali, fortemente in contrasto con quelle comiche, che invece
apparivano come scarne e prive di scenografia, quasi si trattasse
di cattiva televisione. Per quel che riguarda Judy, questo piccolo
segmento, che potrebbe sembrare solo una stravagante
interpretazione di una grande artista, è in realtà molto di più.
Kay Thompson e Roger Edens scrissero del materiale appositamente
per lei, e mai come in questo caso, Judy si trovò ad interpretare
una parte che così palesemente poco le si addiceva. La sua Great
Lady parla ad una folla di giornalisti e fotografi dei suoi futuri
progetti, dice che deve essere sempre drammatica e mai apprezzata
per il suo corpo. Dietro la sua entrata fluttuante e il suo boa di
piume si nasconde un’aspra satira.
Ancora Minnelli la dirige in Nuvole
passeggere (Till the Clouds Roll By; 1946). La loro relazione
professionale fu davvero rara, una vera e propria collaborazione
che ha dato alla luce film davvero notevoli. In questo caso,
Minnelli si occupò esclusivamente dei due numeri musicali di Judy,
mentre il resto del film venne diretto da Richard Whorf. Il film è,
infatti, disomogeneo se si confrontano le sequenze dei numeri
curate da Minnelli rispetto al resto del film diretto da Whorf.
Essendo una biografia del compositore Kern, il film si basa
fondamentalmente su un medley di sue canzoni tenuto insieme da una
trama piuttosto esile. Jerome Kern morì poco prima che il film
entrasse in produzione, per questo si è pensato che fosse un
tributo alla sua memoria, ma non è questo il caso. Garland
interpreta Marilyn Miller, un’attrice di commedie musicali degli
anni ’20 e ’30.
Il pirata (The Pirate del 1948),
colorata e sfarzosa avventura esotica, sarà l’ultima collaborazione
di Judy e Vincente. Anche questo film è stato oggetto della mia
analisi, come conclusione del periodo durante il quale Judy ha
lavorato con Vincente Minnelli.
Ti amavo senza saperlo (Easter
Parade di Charles Walters 1948) ebbe un successo eccezionale.
Questo è l’unico film in cui due icone del cinema musicale come
Judy Garland e Fred Astaire recitano insieme. La
loro collaborazione fu il frutto di un caso; infatti i protagonisti
del film dovevano essere Gene Kelly e Cyd Charisse. Purtroppo
entrambi subirono degli infortuni durante la lavorazione e furono
sostituiti appunto da Judy e Fred. Il loro successo al box office
fu così folgorante che spinse Betty Comden e Adolph Green a
scrivere appositamente per loro The Barkley of Broadway.
I problemi di salute impedirono a
Judy di partecipare al film e al suo posto fu chiamata Ginger
Rogers. Il film si basa su una scommessa che il personaggio di
Astaire, Don Hewes, fa con Peter Lawford, poiché abbandonato dalla
sua partner Nadine, giura di riuscire a far diventare una semplice
corista di un nightclub una star. Ovviamente sceglierà a caso la
prima ragazza che vede esibirsi su un palcoscenico di questi
piccoli locali e ovviamente la prescelta è proprio Hannah Brown
(Garland). Nel suo tentativo di istruire Judy, Fred fa di tutto per
farle assomigliare alla sua precedente partner, e Judy, che invece
è molto diversa da Nadine, fa fatica ad adattarsi a vestiti ampi e
sfarzosi ed a movimenti pomposi caratteristici del personaggio di
Nadine (Ann Miller).
In una delle loro prime
partecipazioni ad uno spettacolo, lei vestita elegantemente in un
abito lungo e azzurro, risulta impacciata e va avanti a ballare con
una ridicola espressione attonita, portata avanti solo da un
eroico, quanto stoico Don. Molto divertente è anche la scena in cui
Don vuole testare il sex appeal di Hannah, quando le chiede di
camminare da sola e di fare in modo che gli uomini si voltino a
guardarla. La mdp posizionata dietro ad Astaire mostra i passanti
che si voltano a guardare Hannah/Judy. Quando poi l’inquadratura
mostra l’attrice in viso, si capisce che gli uomini si voltano, non
perché lei sia particolarmente affascinante, come succedeva con
Nadine all’inizio del film, ma perché Hannah fa delle smorfie
davvero ridicole che incuriosiscono (più che affascinare) i
passanti.
La scena per cui il film è rimasto
famoso è il numero “Couple of Swells”. La canzone e i costumi
furono poi introdotti da Judy in molti dei suoi spettacoli a
teatro.
Merita una nota anche
l’interpretazione di Ann Miller nel ruolo di Nadine, che proprio
grazie a Easter Parade ha collezionato il suo numero più richiesto
e famoso: “Shakin a Blues Away”.
Probabilmente come un cattivo
presagio, questo è il primo film nel quale si cominciano a vedere
improvvisi cambiamenti nel peso di Judy. Infatti mentre in tutto il
film appare in forma, nel numero “Alabam’” è visibilmente più in
carne.
Questo è il più piccolo di molti
altri problemi sui quali ormai Judy non riesce più ad esercitare il
suo controllo.
The Barkley of Broadway, che doveva
rappresentare la seconda collaborazione di Judy con Fred Astaire,
diviene invece l’ultimo film della coppia Astaire-Rogers, e il
primo di una lunga serie di film ai quali Judy deve rinunciare, o
per i suoi problemi di salute, o perché, pur avendo cominciato le
riprese, è incapace di portarle a termine.
Nel 1948 Judy prende parte a Words
and Music, per il quale gira una piccola scena da special guest,
dove interpreta se stessa. Tuttavia è comunque per lei una
soddisfazione, considerando il suo fallimento nella realizzazione
della precedente pellicola. Ma questo film è anche l’inizio della
fine per lei alla Metro, e una delle sue ultime interpretazioni per
la casa produttrice. Anche se il suo partner in Words and Music è
Rooney, il loro feeling non funziona più come ai tempi di Babies in
Arms. Judy è cresciuta, e la recitazione scanzonata di Rooney, che
tanto si addiceva alla sua fisicità minuta e che tanto piaceva alla
generazione di adolescenti americani, non è più credibile in un
attore di ventisei anni. I numeri di Judy sono due: un duetto con
Mickey e un assolo. Appare molto stanca in viso, ma i suoi modi
sono rilassati e la sua voce sempre splendida. Questo è l’ultimo
film in cui Mickey e Judy appaiono insieme.
Dopo una breve pausa, ritorna ad un
lavoro vero e proprio, Fidanzati sconosciuti (In the Good Old
Summertime di Robert Z. Leonard; 1949), un remake di un altro film
della Metro del ’40 The Shop Around the Corner. Dopo l’immenso
successo di Meet Me in Saint Louis, Judy torna in un film in
costume, ed anche la melodia iniziale del film ricorda vagamente le
note di Saint Louis. I cambiamenti sostanziali rispetto
all’originale del 1940 sono pochi; l’azione viene spostata da
Budapest alla Chicago di inizio secolo e il negozio del titolo
viene trasformato in un negozio di musica. Inoltre la trama viene
complicata introducendo personaggi secondari. Il film ha un
discreto successo, dovuto più alla presenza di Judy nel cast che a
particolari qualità specifiche. Lei interpreta una commessa di un
negozio di musica, insieme a Van Johnson. Le parti cantate stentano
ad avere un vero e proprio posto nel film, tanto che per quattro
volte all’interno della pellicola, Judy sembra cominciare a cantare
senza soluzione di continuità con il resto della storia. Questa sua
interpretazione testimonia il fatto che, nonostante la sua grande
sensibilità da attrice, Judy fosse fondamentalmente una grandissima
cantante.
Il film è certamente gradevole, ma
c’è poco del marchio distintivo dei precedenti musical
di Judy Garland. Da sottolineare nel film la
presenza di Buster Keaton in un ruolo minore.
Questo film fu realizzato mentre si
aspettava il via alla produzione di Annie Get Your Gun. Per questa
pellicola, Judy Garland aveva già registrato
le canzoni, e quando nell’aprile del 1949 cominciarono le riprese,
lei doveva solo registrare le scena recitate. Tuttavia, da
dichiarazioni solo di recente rese pubbliche, Judy
Garland sul set appariva affaticata, in alcune riprese
addirittura totalmente disorientata. È comprensibile quindi il
fatto che un giorno, dopo una pausa pranzo, Judy non fu in grado di
ritornare sul set, ottenendo un periodo di riposo dalla M.G.M..
Judy si ricoverò al Peter Bent Brigham Hospital presso il quale
rimase per undici settimane. Il film fu completato da Betty Hutton,
un’attrice della Paramount. Fortunatamente per la Metro, il film
divenne un incredibile successo, anche senza Judy.
Ancora a riposo, quando arrivò la
possibilità di recitare in L’allegra fattoria (Summer Stock di
Charles Walters 1950) per Joe Pasternak, Judy lasciò prematuramente
l’ospedale per prendere parte alla realizzazione della pellicola.
Durante la sua pausa, Judy era ingrassata visibilmente.
In Summer Stock, Judy
Garland torna ai tempi di Babies in Arms mettendo su uno
spettacolo in una fattoria. Il suo ultimo film alla Metro non è
eccezionale, ma è godibile. Malgrado i suoi collassi nervosi, Judy
è di nuovo lei, ancora eccezionale regina della scena.
Le riprese di Summer Stock andarono
avanti per sei mesi, Judy si presentava tardi sul set, o non si
presentava affatto. Alla fine delle riprese, Pasternak decise che
per la scena della festa nell’aia della fattoria era necessaria un
altro numero. Judy registrò più magra di quasi sette chili il
numero “Get Happy”, e il drastico cambiamento di peso in così poco
tempo diede adito a delle voci riguardo al fatto che quel numero
fosse già stato registrato per un precedente film e poi usato
successivamente. Era infatti shockante per gli spettatori vedere
per tutta la durata del film una Judy ingrassata e diversa da
quella che erano abituati a conoscere, e poi alla fine del film,
rivederla come all’inizio della sua carriera.
Ebbe un’altra opportunità di
lavorare ancora con Fred Astaire. Fu chiamata per sostituire June
Allyson in Royal Wedding, ma le sue assenze sul set spinsero la
M.G.M. a rimpiazzarla con Jane Powell.
Senza dubbio la sua salute, mentale
e fisica, si stava deteriorando e il suo matrimonio con Minnelli
era allo stadio finale. Judy tentò il suicidio cercando di
tagliarsi le vene dei polsi. Non riuscì a togliersi la vita a causa
delle ferite poco profonde, ma fu chiaro ormai a tutti che il
‘caso’ Judy Garland era diventato davvero grave. A
seguito del suo tentato suicidio, la Metro la svincolò dal
contratto, ufficialmente per il suo bene, e per la prima volta in
tutta la sua giovane vita, Judy si ritrovò senza un lavoro. Lasciò
la sua casa, nella quale viveva con Vincente, e si trasferì al
Beverly Hills Hotel con la figlia Liza. Madre e figlia partirono
per New York.
Nella Grande Mela scoprì che non
c’era lavoro per lei, la notizia del suo tentato suicidio e il suo
comportamento poco professionale sul set contribuirono a non farle
avere ingaggi. A lei vennero attribuiti i costi elevatissimi di
produzione dagli Studios che la ritraevano come una diva
capricciosa e poco affidabile.
Judy, per la prima volta, si trovò
a dipendere solo da se stessa e non aveva più nessuno che la
supervisionava dall’alto. Aveva recitato in ventinove film ed aveva
apposto la sua firma su dozzine di canzoni. Ora la sua carriera
cinematografica sembrava virtualmente finita. Il 10 giugno del
1950, esattamente una settimana prima della sua definitiva rottura
con la Metro Goldwyn Meyer, celebrò il suo ventottesimo
compleanno.
Durante il suo periodo di riposo,
Judy conosce Sid Luft, ex pilota, ex produttore e agente teatrale
ed ex marito di Lynn Bari. Diventò l’agente personale di Judy e,
nel 1952 il suo terzo marito. Fu proprio da questa unione, ancora
una volta per Judy professionale e sentimentale, che nacque l’idea
di un tour europeo che si protrasse per tre mesi e che cominciò al
London Palladium. Per il numero finale di questo primo spettacolo,
Judy indossò lo stesso costume che aveva indossato in Easter Parade
quando con Fred Astaire si esibì in “A Couple of Swells”, e seduta
al bordo del palcoscenico cantò “Over the Rainbow”, tra il delirio
degli spettatori.
Gli echi dei suoi successi europei
spinsero Sol Schwartz, presidente della RKO, a chiederle di
replicare i concerti al leggendario Palace Theatre di New York, che
aveva smesso di essere palcoscenico da vaudeville dal 1932. Per il
ritorno di Judy, l’edificio venne ristrutturato e riportato allo
splendore originario da Edward F. Albee.
Judy era rimasta a lungo in un
angolo, e il momento per il suo ritorno era psicologicamente quello
giusto.
Sid Luft curò nei minimi dettagli
tutta la produzione dello show. Tutto il personale della M.G.M. che
aveva lavorato in passato con lei venne richiamato per allestire lo
spettacolo al meglio. Charles Walter, regista di Summer Stock e
Easter Parade, la diresse sulla scena; Irene Sharaff disegnò i suoi
costumi, e Hugh Martin, compositore di “The Trolley Song”,
l’accompagnò al pianoforte. Molte delle canzoni in programma erano
parti delle colonne sonore dei molti film che aveva realizzato per
la Metro, inoltre, il pubblico, a conoscenza della sua tormentata
vita privata, le fu particolarmente d’aiuto.
La notte del 16 ottobre del 1951,
per la prima di Judy al Palace venne srotolato il tappeto rosso. Un
grande cartellone vecchio stile riportava il programma della
serata: la seconda metà era tutta per Judy. Il suo arrivo sul palco
venne accolto da un’ovazione, e la sua performance fu intensa così
come se l’aspettavano i numerosi spettatori. Precedentemente
pensato per delle repliche di quattro settimane, lo spettacolo
venne messo in cartellone per il doppio del tempo.
Durante la domenica mattina della
quarta settimana di repliche, Judy non si presentò sul palco, e
Vivian Blaine e Jan Murray mandano avanti lo spettacolo. La
temporanea assenza dal palcoscenico del Palace causò una nuova
ovazione quando Judy ritornò in scena. A fine spettacolo, dopo il
bis, il pubblico si rifiutò di andar via poiché non era ancora
stanco di lei, della sua voce, delle sue interpretazioni
magnetiche. Judy lasciò il palco in lacrime di gioia.
Jack L. Warner dichiarò che fu lui
a proprorre il remake di E’ nata una stella (A star is born di
George Cukor; 1954) alla Garland. In realtà, molti produttori erano
interessati al progetto, già prima che Luft avesse contattato la
Warner per proporre una coproduzione. A Star is Born del 1937 era
un film già molto prestigioso che collezionò sei nomination
all’Oscar e che fruttò molti riconoscimenti al regista, William
Wellman, e agli attori protagonisti, Janet Gaynor e Fredric March.
Anche questa sceneggiatura era stata tratta da un piccolo film
precedente, What Price Hollywood? del 1932, diretto sempre da
George Cukor. Proprio per Judy venne riscritta la parte della
protagonista Esther Blodgett, che diviene una star del cinema sotto
il nome di Vicki Lester, solo per perdere suo marito, la vecchia
gloria del cinema Norman Maine che cade nel baratro
dell’alcoolismo, interpretato da James Mason. Il film
necessitò di un periodo di riprese pari a circa dieci mesi, e
questa volta i ritardi non furono attribuibili a Judy. Infatti la
produzione decise di girare in CinemaScope, e questo rese più
complessa la realizzazione del film.
Judy Garland fece il suo
ritorno al cinema in grande stile.
In questa riscrittura
dall’originale, la protagonista è una cantante con una piccola
band. Norman Maine invece è un attore di Hollywood alle prese con
problemi di alcolismo. Una giorno sente cantare Esther in un club e
riconosce in lei “quel qualcosa in più” che secondo la divina Ellen
Terry caratterizzava un vero artista. La porta all’attenzione di
Oliver Niles, interpretato da Charles Bickford, che la provina.
Così comincia la carriera di Vicki Lester, questo il nome d’arte
che lo studio decide per la stella nascente. La carriera di Vicki
assume un andamento inversamente proporzionale a quella di Norman
che cade nell’alcolismo e nella depressione e alla fine si toglie
la vita annegandosi.
Il ruolo di Vicki Lester non
aggiunge nulla che non si sapesse già delle doti interpretative di
Judy, tuttavia questa resta senza dubbio la sua migliore
interpretazione perché è la più completa e la più complessa.
Il film offre anche a Judy una
nuova splendida canzone: ”The Man That Got Away”. Ci troviamo in un
momento cruciale del film, è qui che Norman si accorge delle
qualità di Esther. Se il numero non avesse funzionato, tutto il
film sarebbe stato in un certo senso mutilato. Il numero è
perfetto. È probabilmente il numero musicale di maggior successo
dell’intera carriera di Judy. La canzone è particolare, così come
la sua interprete, e Judy la canta in maniera sublime,
sottolineando ogni nota emozionale, senza mai forzare nessuna
battuta. E quando la canzone finisce, il suo sospiro di
soddisfazione per una canzone ben eseguita aggiunge il giusto tocco
di realtà alla scena.
Il film risulta migliore nella
seconda parte, quando scopriamo le grandi qualità di Esther e la
seguiamo nella sua scalata ad Hollywood.
Come Esther e Norman, Judy e James
sono superbi, la vera forza del film sta nella loro interpretazione
di coppia. Dimostrano uno straordinario feeling, Judy non aveva mai
avuto un partner maschile così adatto a recitare al suo fianco.
Quando A Star is Born esce al
cinema, nel settembre del 1954, i critici si soffermano, incantati,
sulla performance di Judy, dandole il bentornato nel regno delle
stelle del cinema. Fu nominata all’Oscar come migliore attrice
protagonista (unica volta nella sua vita), ma il premio andò a
Grace Kelly per The Country Girl.
Purtroppo ci è impossibile vedere
la versione originale di questo film. Infatti dopo il montaggio
finale il film durava 182 minuti, troppi per la proiezione al
cinema. Così la casa di distribuzione, la Warner Bros, si curò di
far tagliare 26 minuti dalla versione originale, che andò
persa irrimediabilmente. Probabilmente furono tagliate alcune scene
della parte iniziale che mostrano l’evoluzione del rapporto tra
Esther e Norman.
La casa di produzione di Luft, che
aveva fondato insieme a Judy, non produsse più alcun film insieme
alla Warner dopo A Star is Born. Infatti la Garland sparì di nuovo
dal grande schermo, per poi ritornarci nel 1961, quando ebbe un
nuovo breve periodo di visibilità. Gli anni ’50 furono un periodo
di relativa quiete, debuttò in televisione nel 1955 con lo show
“The Ford Star Jubilee”. L’anno successivo debutta al Las Vegas’
New Frontier Hotel.
Nel 1956 Judy ritornò al Palace per
uno spettacolo con cinque settimane di repliche, ma una laringite
la costrinse a saltare parecchie date.
In questo stesso periodo però ebbe
anche problemi finanziari e coniugali, c’erano infatti frequenti
liti in casa Luft che sfoceranno nella separazione agli inizi degli
anni ’60.
Nel 1959 si esibì per una settimana
al Metropolitan Opera House di New York. In quel periodo il suo
aspetto era molto peggiorato, era sovrappeso e molto affaticata.
Non fu una sorpresa quando di li a poco, si sarebbe dovuta
ricoverare a causa di un’epatite per una degenza di cinque mesi.
Poi trascorse quattro mesi di riposo nella sua casa a Beverly
Hills, e successivamente, con i tre figli e Sid, partì per Londra,
dove visse l’anno più tranquillo della sua vita.
Alla fine del 1960 Judy si sentì
pronta per ritornare. Il 28 agosto di quell’anno si esibì ancora al
Palladium e cantò 30 canzoni ad una folla di più di duemila
persone. Questo concerto fu seguito da un tour per le provincie
inglesi e da due date a Parigi, al Palais de Chaillot Theatre.
Al suo ritorno a Londra, un altro
uomo si affacciò nella sua vita, Freddie Fields, che aveva fatto
parte della Music Corporation of America, ed ora lavorava in
proprio come agente musicale, circondandosi di una stretta e
selezionata cerchia di clienti. Judy Garland
divenne una di questi. Con Fields, la sua carriera ebbe una breve
rinascita. Fu lui infatti a procurarle un piccolo ruolo in un film
di Stanley Kramer, Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg; 1961),
il suo primo film dal 1954. Ma con ancora maggior successo Fields
le organizzò un tour per sedici città compresa New York, dove si
esibì alla Carnegie Hall. Proprio questo concerto newyorkese del 23
aprile 1961 divenne storico. Judy cantò ventisei canzoni ad una
platea entusiasta, e i due dischi registrati quella sera conservano
non solo l’intero concerto, ma anche l’incredibile atmosfera che
quella sera si respirava nell’aria. Judy era capace di instaurare
un rapporto speciale con gli spettatori, e quella sera si creò
un’alchimia tra pubblico ed interprete tale da innalzare la stessa
Judy allo stadio non più di Star, ma di leggenda. I dischi
registrati schizzarono in cima alle classifiche degli album più
venduti, e in qualunque città si recasse con la sua voce, replicava
quel successo.
Nel film di Kramer, che sigla il
suo ritorno al cinema, interpreta una tedesca testimone al famoso
processo di Norimberga. L’idea parte da una produzione televisiva
che Abby Mann adattò per il grande schermo, ed il film vanta un
cast straordinario: Spencer Tracy, Burt Lancaster, Richard Widmark,
Marlene Dietrich e Maximilian Schell. Oltre ovviamente a
Judy Garland e Montgomery Clift, ai quali vennero
affidati piccoli ma importanti ruoli. Come si evince anche dal
titolo originale, il film è incentrato sul processo del 1948 che
subirono i generali tedeschi a causa del loro supporto ad Hitler.
Judy è una tedesca imprigionata per aver avuto una relazione con un
uomo di origini ebraiche. Per la sua interpretazione l’Academy
decise di nominarla all’Oscar come migliore attrice non
protagonista.
Il suo lavoro successivo la vide
protagonista di un cartoon come doppiatrice di una gattina in Gay
Purr-re(1962). Judy si occupò sia delle canzoni che del doppiaggio
del personaggio.
Nel 1963 invece venne diretta da
John Cassavetes in Gli esclusi (A Child is Waiting). Il film,
prodotto da Stanley Kramer, era tratto ancora da un lavoro
televisivo di Abby Mann che si occupò ancora della sceneggiatura.
Partner di Judy fu di nuovo Burt Lancaster. Il suo personaggio è
una donna, Jean Hansen, che entra a far parte dello staff di una
scuola per bambini con ritardo mentale. Jean Hansen è convinta che
una sorta di rivincita, di successo, è possibile anche per quei
bambini. Judy interpreta bene un ruolo a dire il vero non molto
complesso. La sua Jean Hansen si prodigherà per uno dei suoi
allievi in particolare, un bambino più problematico degli altri che
non riceve mai alcuna visita dai genitori. Queste sue attenzioni
particolari verso il bambino le procureranno dei problemi con Dr.
Clark (Lancaster). Per tutto il film, il suo ruolo è quello di
osservatrice che non riesce a fare nulla di concreto per aiutare i
bambini. Anche il suo aspetto risulta peggiorato, appare sovrappeso
e il make-up non riesce a nascondere un volto rovinato dalla sua
cattiva salute.
Ombre sul palcoscenico (I Could Go
On Singing di Ronald Neame;1963) è il suo ultimo film. Ci sono
elementi autobiografici, poiché si tratta della tormentata storia
di una cantante di fama mondiale impegnata con un tour che
interessa sei nazioni europee, ed in più ha dei problemi con un
marito e con il suo unico figlio. La sua ultima canzone del film è
quella che da il titolo alla pellicola “I Could Go On Singing” ed
in sé racchiude quasi l’essenza di Judy, di una donna che solo
cantando riusciva ad amarsi e ad essere amata.
L’anno successivo, Judy
Garland viene ingaggiata dalla CBS per
una serie televisiva. Vennero registrati sequenze per
ventisei ore, materiale sufficiente per diverse puntate, e proprio
Judy insistette affinché nel primo episodio fosse presente anche
Mickey Rooney. Tuttavia lo show non ebbe successo,
anche a causa di un altro programma molto amato dagli spettatori,
una serie western intitolata Bonanza, che andava in onda negli
stessi orari.
Dopo il fallimento di quest’ultimo
progetto, Judy partì per un tour in Australia dove però non venne
apprezzata, e dopo 45 minuti di spettacolo fu costretta ad
abbandonare il palcoscenico. Nel 1965 invece, al Palladium di
Londra, sostenne un concerto con la figlia Liza, che segnò il tutto
esaurito, spingendo i fan a chiedere una replica che ugualmente
registrò la fine dei biglietti in vendita in pochissimo tempo.
Judy Garland: la morte
Negli ultimi anni della sua
vita, Judy Garland si sposò due volte con due
uomini molto più giovani di lei. Il primo fu Mark Herron, un
giovane attore. Poi fu la volta di Mickey Deans, che era con lei
quando morì. Quando Judy Garland invitò Liza
al suo quinto matrimonio, la ragazza rispose che non ci sarebbe
potuta essere, ma che sicuramente ci sarebbe stata per il
matrimonio successivo.
Judy Garland
trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Londra con Deans,
tenendo qualche sporadico concerto nel Continente. La sua ultima
apparizione in concerto fu a Copenhagen. Ma il suo aspetto era
davvero dei peggiori in quel periodo, troppo magra e molto fragile.
Il 22 giugno del 1969, Mickey Deans la trovò morta in bagno.
L’autopsia dichiarò che la causa della morte era stata una overdose
accidentale di sonniferi. Aveva 46 anni.
Judi Dench è
riconosciuta come una delle più significative interpreti del teatro
e del cinema inglese. Considerata una vera e propria leggenda
vivente, la Dench ha negli anni dato vita a interpretazioni di
rilievo in film di grande successo, ottenendo il plauso della
critica e del pubblico. Premiata in più occasioni per i suoi ruoli,
l’attrice continua ancora oggi ad essere particolarmente attiva al
cinema, dando prova di non aver mai perso il talento che la
contraddistingue.
Ecco 10 cose che non sai su
Judi Dench.
Judi Dench: i suoi film
1. Ha recitato in film di
successo. L’attrice ha debuttato al cinema nel 1964 con il
film Il terzo segreto (1964), per poi recitare in film
come Sherlock Holmes: notti di terrore (1965), Il
fantino deve morire (1974), Camera con vista (1985),
Il matrimonio di Lady Brenda (1988), ed Enrico V
(1989), per poi diventare popolare con il personaggio di M nel film
GoldenEye (1995), film della saga dedicata a James
Bond, e che riprenderà anche nei sequel. L’attrice recita poi
nei film La mia regina (1997), Il domani non muore
mai (1997), Shakespeare in Love (1998), Un tè con
Mussolini (1999), Il mondo non basta (1999),
Chocolat (2000), Iris – Un amore vero (2001),
La morte può attendere (2002), Orgoglio e
pregiudizio (2005), Casino Royale (2006),
Nine (2009), Marilyn
(2011), J. Edgar
(2011), Marigold
Hotel (2012), Skyfall (2012),
Philomena
(2013), Ritorno a Marigold
Hotel (2015), Miss Peregrine – La
casa dei ragazzi speciali (2016), Victoria e
Abdul (2017), Assassinio sull’Orient Express
(2017), Casa Shakespeare (2018) e Cats
(2019).
2. Ha recitato anche in
televisione. Nell’arco della sua carriera l’attrice ha
recitato anche in alcune serie TV, tra cui si annoverano Hilda
Lessways (1959), The Terrible
Choice (1960), Theatre
625 (1964-1966), Jackanory (1968-1978), Love
in a Cold Climate (1980), A Fine
Romance (1981-1984), The
Torch (1992), The Great War and the Shaping of
the 20th Century (1996), As Time Goes
By (1992-2005), Angelina Ballerina(2001-2006)
e Cranford (2007-2009).
Judi Dench ha una figlia
3. Ha avuto una
figlia. Nel 1971 la Dench sposò l’attore Michael
Williams, di cui è rimasta vedova nel 2001. Con lui ebbe
una figlia, chiamata Finty, nata nel 1972, e anch’ella attrice.
Judi Dench in 007
4. Ha interpretato un ruolo
fondamentale nella saga. Nel 1995 l’attrice assume il
ruolo di M, nome in codice del direttore del Secret Intelligence
Service, all’interno dei film dedicati al personaggio di James
Bond. La Dench è stata la prima donna a ricoprire tale ruolo, dal
1995 al 2012.
5. Ha sorpreso tutti con la
sua interpretazione del personaggio. Quando fu diffusa la
notizia che la Dench sarebbe stata la prima donna a ricoprire il
ruolo di M, numerosi fan si dimostrarono scettici all’idea di
vedere James Bond prendere ordini da una donna. Quando i fan videro
l’interpretazione dell’attrice, tuttavia, dovettero ricredersi,
avendola apprezzata particolarmente.
Judi Dench ha vinto un Oscar
6. Ha vinto un Oscar per una
performance attoriale molto breve. Nel 1999 l’attrice
vince il premio Oscar come miglior attrice non protagonista per il
film Shakespeare in Love. Nel film la Dench interpreta la
regina Elisabetta I, ed è stata premiata nonostante nel film abbia
un minutaggio complessivo di sei minuti, apparendo solamente in
quattro scene.
7. Ha ricevuto altre
nomination. Nel corso della sua carriera, l’attrice ha
ricevuto numerose altre nomination ai premi Oscar per i suoi ruoli
di rilievo in importanti film. La prima nomination arriva nel 1998
per il film La mia regina. Successivamente viene nominata
per i film Chocolat, Iris – Un amore vero, Lady Henderson
presenta, Diario di uno scandalo e Philomena.
Judi Denchi in Cats
8. Avrebbe dovuto recitare
nel musical a teatro. Nel 1981 l’attrice era stata scelta
per interpretare il ruolo di Grizabella nel musical Cats.
Tuttavia per via di un infortunio è stata costretta a rinunciare
alla parte. Nel 2019 la Dench ha la possibilità di recitare nella
celebre opera nella sua trasposizione al cinema, ricoprendo
tuttavia il ruolo di Old Deuteronomy.
Judi Dench: il suo 2019
9. Ha numerosi progetti per
il futuro. Nel mese di dicembre l’attrice sarà tra i
protagonisti della trasposizione cinematografica del musical
Cats. La Dench ha poi preso parte alle riprese dei film
Six Minutes to Midnight, Blithe Spirit e Artemis
Fowl, previsti al cinema nel 2020.
Judi Dench età e altezza
10. Judi Dench è nata a
York, in Inghilterra, il 9 dicembre 1934. L’altezza
complessiva dell’attrice è di 155 centimetri.
Dopo The Marigold
Hotel, My weekend with Marylin,
J.Edgar e la partecipazione al prossimo
007 Skyfall, Judi Dench ha
annunciato che interpreterà la parte di Philomena Lee
nell’omonimo film di Stephen Fears.
L’attrice vestirà i panni di una
donna che dedica 50 anni della sua vita alla ricerca del figlio che
fu costretta ad abbandonare appena nato. Le riprese inizieranno a
Novembre in Irlanda, Inghilterra e Stati Uniti. Il film è tratto
dal libro del 2009 The Lost Child of Philomena Lee: A Mother,
Her Son and a 50 Year Search, scritto dal corrispondente della BBC
Martin Sixsmith che aiutò la Lee nella sua ricerca e che avrà il
volto di Steve Coogan. Judi Dench ha già lavorato con Stephen Fears
nella commedia del 2005 Mrs Henderson presenta.
Clint Eastwood a annunciato che
Judi Dench è entrata a far parte del cast del suo nuovo film J.
Edgar dedicato alla controversa figura del primo direttore del FBI
Hoover. Oltre alla Dench sembrerebbe anche vicinissima
all’ufficialità anche la Theron.
Rispondendo a una domanda sulla
possibile presenza di Charlize Theron nel suo film, Eastwood ha
risposto sorridendo “Pensiamo che sarà dei nostri. La presenza nel
cast di Judi Dench è invece sicura”. Per ora nulla si sa sul ruolo
che avrà nel film la Dench storica compagna d’avventure di James
Bond. Oltre all’attrice inglese nel cast cin sono
confermatissimi: nel ruolo del protagonista principale J.Edgar
Hoover Leonardo DiCaprio, mentre quello del suo
assistente e amante segreto Clyde Tolson il giovane Armie
Hammer (The Social Network fratelli gemelli Winklevoss).
L’australiano Damon Herriman sarà invece Bruno Hauptmann, l’uomo
accusato del rapimento del figlio dell’aviatore Charles Lindbergh
nel 1932. Charlize Theron, dovrebbe vestire invece i panni di Helen
Gandy, impiegata del Ministero della Giustizia diventata poi
segretaria personale di Hoover. L’inizio delle riprese del film è
previsto per il prossimo mese di febbraio.
Jude Law è uno di
quegli attori che ha fatto la storia del cinema recente grazie alle
sue interpretazioni, alla sua grazia e anche ad una certa dose di
fascino innato. L’attore ha iniziato a lavorare da ragazzo e non si
è mai più fermato. Ha lavorato con i più grandi, ha sperimentato
varie professioni del cinema e continua ad ammaliare milioni di
persone in tutto il mondo. Ecco dieci cose da sapere su
Jude Law.
2. È anche doppiatore,
produttore e regista. Nel corso della sua lunga carriera,
Law non ha svolto solo la professione di attore, ma ha anche
vestito i panni, per esempio, del doppiatore, prestando la propria
voce per i film Lemony Snicket – Una serie di sfortunati
eventi (2004), Le 5 leggende (2012) e la serie Neo Yokio
(2017). Inoltre, è stato produttore dei film Sky Captain and
the World of Tomorrow (2004), Sleuth – Gli
insospettabili (2007) e Vox Lux, oltre che della
serie The Young Pope. In quanto regista, invece, ha
diretto il segmento Bird in the Hand, A del film Tube
Tales (1999) e un episodio della serie Do Not Disturb
(2019).
Jude Law è Watson in Sherlock
Holmes
3. Non è stata la prima
scelta. Per il personaggio di Watson, in origine erano
stati contattati gli attori Colin Farrell e Sam Worthington. In seguito, però, si è deciso
di optare per Jude Law, che ha così ottenuto il
ruolo e si è dimostrato la perfetta spalla di Robert DowneyJr.. Law si è
poi dedicato anima e corpo al personaggio, decidendo di cimentarsi
personalmente in molti degli stunt previsti per il Watson.
Jude Law in Anna Karenina
4. Ha interpretato un ruolo
chiave. Nel 2012 Law ha ricoperto il ruolo di Alexei
Alexandrovich Karenin, statista di alto livello e marito di Anna,
nel film Anna Karenina. L’assumere questo ruolo ha per lui
comportato una trasformazione fisica che ha richiesto l’uso di
protesi, rendendo Law quasi irriconoscibile. “Abbiamo pensato
che, per un uomo che viveva nella sua testa, avremmo voluto
attirare l’attenzione sulla sua testa, quindi abbiamo avuto l’idea
di arretrare l’attaccatura dei capelli e di concentrarci sul
viso”, ha detto l’attore.
Jude Law in Closer
5. Non ha giudicato la
natura del suo personaggio. Nel film Closer, Law
ha interpretato Daniel “Dan” Woolf, protagonista insieme agli altri
tre personaggi principali di un feroce racconto sulle relazioni
sentimentali. Parlando di loro, Law ha affermato: “Non credo
che siano spietati. Quello che si sottovaluta è ciò che non si
vede. È una versione condensata di quattro anni di vita di queste
persone. Tra questi momenti di innamoramento e separazione, c’è un
sacco di felicità e gioia, come tutti noi sperimentiamo, e non si
può sottovalutare. È un’amalgama dei momenti più alti, dei drammi
della vita“.
Jude Law è Albus Silente in Animali fantastici
6. Si è fatto avanti
personalmente. L’attore sapeva che la produzione del film
stava cercando l’attore giusto per il ruolo di Silente in
Animali fantastici – I crimini di Grindelwalde si è
così proposto per la parte, riuscendo poi effettivamente ad
ottenerla. Per aiutarlo a prepararsi per il ruolo di
Silente, J. K. Rowling, l’autrice della saga
di Harry Potter, ha dato all’attore dei dettagli
estremamente segreti sul suo personaggio durante un incontro di due
ore e mezzo tra i due, durante il quale gli fu permesso di porre
tutte le domande che voleva.
Jude Law non è Instagram
7. Non possiede un profilo
sul social network. L’attrice ha in più occasioni
dichiarato di non essere una grande fan dei social network, dove
troppo spesso la vita privata si mescola con quella pubblica.
Proprio per perseguire il desiderio di non condividere troppo di
sé, ha deciso di non possedere alcun account ufficiale sul social
Instagram né su altri social. Si possono tuttavia ritrovare alcune
fan page grazie alle quali sarà possibile rimanere aggiornati sui
suoi progetti.
Jude Law: la moglie Philipa
Coan e i figli
8. È attualmente sposato, ma
ha un matrimonio alle spalle. L’attore si è sposato per la
prima volta nel 1997 con l’attrice Sadie Frost,
conosciuta sul set del film Shopping nel 1994. Tuttavia,
dopo cinque anni di matrimonio, la coppia si è separata nel 2003.
Il secondo matrimonio è, invece, avvenuto di recente, nell’aprile
2019: l’attore ha sposato la psicologa Philipa
Coan, più giovane di quattordici anni, con cui si
frequentava dal 2016.
9. È padre di sei
figli. Dal matrimonio con Sadie Frost, l’attore è
diventato padre di tre figli, Rafferty (nato nel
1996), Iris (nata nel 2000) e
Rudy (nato nel 2002). Nel 2009, l’attore è
diventato padre per la quarta volta di Sophia, una
bambina nata dalla relazione avuta con la modella Samantha
Burke nel 2008. In seguito, è diventato padre per la
quinta ed ultima volta nel 2015 con la nascita di
Ada, figlia avuta dall’unione con la cantante
Catherine Harding. È poi diventato padre per la
sesta volta, con la moglie Philipa Coan.
Jude Law: età e altezza
10. Jude Law è nato il 29
dicembre del 1972a Lewisham, Londra, e
la sua altezza complessiva corrisponde a 178 centimetri.
Nel 2002, J.J.
Abrams aveva scritto la sceneggiatura di un nuovo film
dedicato a Superman, che avrebbe
dovuto vedere Brett Ratner dietro la macchina da
presa. Il film non è stato mai realizzato, ma la prima scelta di
Ratner per il ruolo di Superman/Clark Kent fu, all’epoca,
Jude
Law. Adesso, a diversi anni di distanza, l’attore ha
rivelato, in un’intervista con MTV, perché riufiutò la parte:
“All’epoca non volevo. Non
volevo passare per il resto della mia vita come quello che aveva
interpretato Superman”.
L’attore ha anche dichiarato di
essersi sottoposto ad alcune prove costume, ma soltanto perché era
un fan del fumetto. Dopo averlo indossato, si è guardato allo
specchio e ha pensato: “No, il mondo non mi vedrà mai
così”.
Molti dei suoi passati
collaboratori, fra cui Diane Keaton e Alec
Baldwin, si sono schierati dalla parte del newyorkese,
altri gli hanno metaforicamente voltato le spalle (vedi
Timothee Chalamet, Rebecca Hall e
Greta Gerwig), e a questi si è aggiunta anche la
voce di Jude
Law, uno dei protagonisti della pellicola che il
pubblico rischia di non vedere mai.
L’attore ha così commentato lo
stato delle cose intorno al futuro di Allen in un’intervista con il
New York Times: “Non distribuire A Rainy Day in New York
sarebbe una vergogna terribile e un peccato. Per le persone che ci
hanno lavorato e investito molto, ovviamente Allen incluso […] A
dire il vero non volevo essere coinvolto in questa polemica,
come non credo sia mio compito commentare, perché si tratta di
una situazione troppo delicata. Penso sia stato detto e
scritto abbastanza e rimane una questione privata. Non so se
lavorerei con lui ancora, dovrei valutare con
attenzione“.
A quanto pare la cancellazione del
film sembra ufficiale, con Amazon che ha infatti confermato
che l’opera non verrà distribuita né in sala né in streaming,
sebbene sia pronta dallo scorso autunno. Il film, con un cast
clamoroso che va da Elle
Fanning a Jude Law,
da Timothée
Chalamet a Selena Gomez, è
stato ritenuto troppo rischioso visti gli argomenti trattati. La
trama, infatti, ruota attorno alla relazione sessuale di un uomo di
44 anni con una ragazza di 15. Troppo facile ricondurre la vicenda
al movimento #metoo fondato da Ronan
Farrow e di cui Allen è stato il diretto protagonista
viste le accuse di violenza sulla figliastra Dylan di circa 25 anni
fa.
Solo
pochi mesi fa fa c’erano stati dei rumors che volevano un blocco
immediato di tutte le pre-produzioni dei numerosi progetti
di Woody Allen, ma pochi pensavano che questo
stop avrebbe coinvolto anche un film già pronto all’uscita. Alcuni
ora ipotizzano che Amazon abbia intercettato un flop finanziario
nel distribuire il film, considerando anche che le ultime opere di
Allen non hanno riscosso molto favore al botteghino. Il fatto certo
è che A Rainy Day in New York è un film
oggi concluso quindi c’è ancora la speranza che un distributore si
faccia avanti e corra il rischio di portalo in sala (o in rete),
magari tra qualche mese quando le polemiche si saranno
sgonfiate.
Johnnie Walker,
marchio leader nel produrre Scotch Whisky ha annunciato oggi che
l’attore Jude
Law sarà testimonial e protagonista nel
cortometraggio intitolato Wager del
Gentleman. Diretto da Jake
Scott e interpretato anche da attore italiano
Giancarlo Giannini, il film racconta la storia di
una scommessa tra due uomini per personale interesse e alla ricerca
di una rara e reale esperienza.
Il corto sarà rilasciato a livello
mondiale il 30 Luglio 2014 ed è stato girato nelle Isole Vergini
nei Caraibi e a Londra.
L’attore ha commentato la cosa
dicendo: “Il film parla di miglioramento e progresso e questo è
qualcosa che cerco di fare nel mio lavoro e nella mia vita. Ho
dovuto imparare nuove cose per girare questo film, e combinato ai
posto che abbiamo visitato per girare e al lavoro con Jake e un
attore come Giancarlo a reso il tutto un’esperienza
rarissima.”
Molti attori si sono avvicinati al
ruolo di Superman nel corso degli anni e
l’attore britannico Jude Law è stato uno di questi. Law era
infatti stato contattato per interpretare il supereroe in
Superman: Flyby, il film scritto da J. J. Abrams che si proponeva di offrire una
nuova versione della storia delle origini dell’Uomo d’Acciaio.
Krypton avrebbe avuto un ruolo importante, con Lex Luthor agente
governativo ossessionato dagli UFO e Lois Lane intenzionata a
smascherarlo.
Secondo quanto trapelato, in quel
film Superman avrebbe dovuto scontrarsi con un gruppo di
kryptoniani malvagi, per poi morire ed essere inviato nel paradiso
kryptoniano per incontrare suo padre, Jor-El, prima di essere
resuscitato. Come ci si aspetterebbe, Kal-El sarebbe tornato per
salvare la situazione, solo per un finale a rischio che lo vedeva
tornare sul suo pianeta natale. In una nuova intervista con
The Playlist, Jude Law – poi unitosi ai franchise di
CaptainMarvel e Animali fantastici – ha rivelato i motivi per cui il
suo coinvolgimento non è andato in porto.
“C’è stato un processo di flirt
con l’iconico personaggio della DC Comics“, ricorda Law.
“E io ho sempre resistito perché mi sentivo come fuori luogo. E
so che si può dire: “Beh, ma tu hai interpretato Yonn-Rogg e
Silente!”. Ma quello mi sembrava un passo troppo lungo“.
“Ed è stato quando Brett Ratner stava per dirigere, credo. E
non avevano una sceneggiatura, se ricordo bene. Avevano una
sceneggiatura? Non ricordo di averne letta una. È passato molto
tempo. Mi portarono il vestito. Pensavano: ‘Questo potrebbe farti
cambiare idea’“.
Jude Law ha dunque confermato di essere
addirittura arrivato a provare il costume, che sembra fosse solo un
prototipo. “Non era come il costume di Reeve. Era una specie di
costume più metallico. Comunque, l’ho provato e mi sono guardato
allo specchio e una parte di me all’inizio pensava: ‘Wow, sarebbe
una bella cosa’, e poi ho pensato: ‘No, non puoi… non puoi farlo’.
Non puoi”. E non mi sono venduto a me stesso“, ammette Law.
“Mi sono allontanato e il film non è mai stato realizzato.
Quindi forse non sarebbe servito a nulla se avessi
accettato“.
Superman tornerà
al cinema con la regia di James Gunn
Superman,
scritto e diretto da James Gunn, non
sarà un’altra storia sulle origini, ma il Clark Kent che
incontriamo per la prima volta qui sarà un “giovane reporter” a
Metropolis. Si prevede che abbia già incontrato Lois Lane e,
potenzialmente, i suoi compagni eroi (Gunn ha detto che
esistono già in questo mondo e che l’Uomo di domani non è il primo
metaumano del DCU). Il casting ha
portato alla scelta degli attori David Corenswet
e Rachel
Brosnahan come Clark Kent/Superman e Lois Lane.
Nel cast anche Isabela Merced, Edi Gathegi,
Anthony Carrigan,
Nicholas Hoult e Nathan Fillion. Sean Gunn, María
Gabriela de Faría, Terence Rosemore, Wendell Pierce, Sara Sampaio,
Anthony Carrigan, Pruitt Taylor Vince completano il
cast.
Il film è stato anche descritto come
una “storia
delle origini sul posto di lavoro“, suggerendo che una
buona parte del film si concentrerà sull’identità civile di
Superman, Clark Kent, che è un giornalista del Daily Planet.
Secondo quanto riferito, Gunn ha consegnato la prima bozza della
sua sceneggiatura prima dello sciopero degli sceneggiatori, ma ciò
non significa che la produzione non subirà alcun impatto in
futuro.
“Superman è il vero fondamento
della nostra visione creativa per l’Universo DC. Non solo Superman
è una parte iconica della tradizione DC, ma è anche uno dei
personaggi preferiti dai lettori di fumetti, dagli spettatori dei
film precedenti e dai fan di tutto il mondo”, ha detto Gunn
durante l’annuncio della lista DCU. “Non vedo
l’ora di presentare la nostra versione di Superman, che il pubblico
potrà seguire e conoscere attraverso film, animazione e
giochi”.
L’iconico personaggio di
Albus Silente è stato ripreso, nella sua versione
più “giovane”, da Jude
Law in Animali Fantastici: I Crimini Di
Grindelwald, seconda avventura del nuovo franchise creato
da J.K.Rowling. E proprio questo salto nel passato
ha permesso alla scrittrice di approfondire aspetti della storia
del mago appena accennati nei romanzi di Harry Potter, come il suo
orientamento sessuale e il rapporto che lo legava a Gellert
Grindelwald.
Sull’argomento è tornato anche
l’attore, spiegando in un’intervista con il New York Times che
“Il mondo è pronto per un’icona gay per bambini come Silente, e
se non lo è ancora, beh dovrebbe esserlo“.
“Mettiamola così: questo film
non parla della sua omosessualità, né definisce la sua
sessualità” continua Law, “ma sappiamo che la relazione
con Grindelwald è sicuramente un elemento determinante del film e
dice molto della storia. Inoltre, non penso che Silente sia
qualcuno che ha donato il suo cuore o la sua anima a molte
persone…Così le conseguenze del loro rapporto lo hanno fatto
vacillare e l’hanno spinto a congelare i suoi sentimenti. Nessuno
finora è riuscito a riscaldarlo completamente…“
Alla fine del primo film, il potente
Mago Oscuro Gellert Grindelwald, viene catturato dal MACUSA (Il
Magico Congresso degli Stati Uniti d’America), con l’aiuto di Newt
Scamander. Tuttavia, come aveva minacciato di fare, Grindelwald
riesce a fuggire dalla detenzione e inizia a radunare i suoi
seguaci, la maggior parte dei quali ignari delle sue vere
intenzioni: riunire dei maghi purosangue per governare su tutti gli
esseri non-magici.
Nel tentativo di contrastare i piani
di Grindelwald, Albus Silente recluta il suo ex studente Newt
Scamander, che accetterà di aiutarlo, inconsapevole dei pericoli
che si troveranno ad affrontare. Si creeranno divisioni, l’amore e
la lealtà verranno messi a dura prova anche tra gli amici più
stretti e in famiglia, in un mondo magico sempre più minaccioso e
diviso.
Il film presenta un cast corale
guidato da Eddie
Redmayne, Katherine
Waterston, Dan
Fogler, Alison
Sudol, Ezra Miller,
con Jude Law e Johnny Depp. Fanno parte del cast anche
Zoë Kravitz, Callum Turner, Claudia Kim, William Nadylam, Kevin
Guthrie, Carmen Ejogo e Poppy Corby-Tuech.
Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwaldè
diretto da David Yates, tratto da una
sceneggiatura di J.K. Rowling, e prodotto da
David Heyman, J.K. Rowling, Steve Kloves e Lionel Wigram.
Il film è arrivato nelle nostre sale
lo scorso 15 novembre 2018, distribuito in 2D e 3D nei cinema
selezionati e IMAX dalla Warner Bros. Pictures, una società della
Warner Bros. Entertainment Company.
Continua il casting
dell’atteso nuovo epico adattamento di King
Arthur che questa volta vedrà in cabina di regia
Guy Richtie, l’acclamato regista di
Sherlock Holmes con Robert Downey
Jr. Ebbene oggi Variety rivela che Jude
Law interpreterà il ruolo del cattivo senza nome nel
nuovo adattamento sul noto personaggio Ré Artù. Inoltre il noto
sito rivela che l’attore Idris Alba non è più coinvolgo in quel che
è stato definito un franchise diviso in ben sei capitoli.
Jude Law dunque
ritorna a lavorare con Guy Ritchie per cui ha
interpretato Watson nel franchise sopra citato. L’attore si unisce
ai già confermati Charlie Hunnam (Re Artù)
e Astrid Berges-Frisbey (Ginevrà).
Scritto da Joby
Harold (Awake, Edge of
Tomorrow) il film si basa su una raccolta del 15esimo
secolo intitolata Le Morte d’Arthur e sarà diretto
da Guy Ritchie. Le riprese cominceranno a
febbraio 2015, mentre l’uscita del film è prevista per il 22 luglio
2016, prodotto da per la Warner Bros.
Pictures e Village Roadshow.
Arriva da
Variety la notizia che Jude Law è in trattative con i Walt Disney
Studios per interpretare il ruolo di Capitan Uncino nell’annunciato
live action di Peter Pan, il cui titolo
ufficiale sarà Peter Pan and Wendy. Se le
trattative dovessero andare a buon fine, Law raccoglierà l’eredità
di attori quali
Dustin Hoffman, Jason Isaacs e
Hugh Jackman, che prima di lui avevano interpretato il
celebre antagonista al cinema.
Secondo un rumor emerso diversi
mesi fa, inizialmente la Disney aveva offerto la parte a
Joaquin Phoenix: ad oggi non sappiamo se l’attore
premio Oscar per Joker abbia
davvero mai discusso con la Casa di Topolino del progetto. Come
riportato da Justin Kroll su
Twitter, prima che il ruolo venisse ufficialmente offerto a
Law, pare che la multinazionale avesse considerato un altro attore
per la parte, ossia Will Smith, che aveva già interpretato il
Genio nel live action di Aladdin.
Peter Pan and
Wendy sarà diretto da David
Lowery, già regista del live action deIl
Drago Invisibile.
L’esordiente Alexander Molony avrà il
ruolo di Peter, mentre l’esordiente Ever
Anderson sarà Wendy. La Anderson è la figlia
di Milla Jovovich e del
regista Paul W.S. Anderson, ed è apparsa
brevemente in Resident
Evil: The Final Chapter nei panni di una giovanissima
Alice.
Peter Pan and
Wendy dovrebbe arrivare al cinema: al contrario di quanto
accaduto con Lilli e il
Vagabondo, dunque, non sarà destinato a
Disney+. Il film d’animazione originale, prodotto da Walt
Disney e basato sull’opera teatrale “Peter e
Wendy” di J. M. Barrie, è il 14°
Classico Disney e venne distribuito nei cinema americani il 5
febbraio 1953.
Sarà Jude
Law il protagonista di The Young
Pope, la serie tv targata Sky, HBO e Canal
+ diretta da Paolo
Sarrentino. L’attore interpreterà un pontefice
immaginario, duro e conservatore nella prima incursione nella
televisione del regista premio Oscar per La Grande
Bellezza.
Lo show sarà composto da otto
episodi della durata di 50 minuti ciascuno, mentre le riprese
partiranno quest’estate.
Dopo aver abbandonato il set di
Jane Got A Gun, Jude
Law è pronto a mettersi nuovamente in gioco con
Black Sea, thriller diretto da Kevin
McDonald e scritto da Dennis
Kelly.
Il film vedrà Law nei panni del
capitano di un sottomarino, assunto da una banda di loschi
individui per recuperare il prezioso carico di un sommergibile
affondato e costretto fare i conti con un pericoloso
equipaggio.
L’impegno potrebbe significare però
abbandonare un altro set: l’attore potrebbe infatti lasciare il
cast del film di Werner Herzgog Queen of The Desert ed essere
sostituito da James Franco.
Arrivano le prime dichiarazioni su
Sherlock
Holmes 3, e provengono direttamente per bocca di
Jude
Law che intervistato da Collider ha risposto ad
una domanda sull’eventuale terzo capitolo. Ecco quanto detto:
Non so
ancora quando cominceranno le riprese. Se ne sta parlando e so che
c’è già uno script in lavorazione, ma Robert è un ragazzo piuttosto
impegnato e anche io ho il mio bel da fare. Ma vogliamo farne un
altro. Come team ce la spassiamo davvero un sacco, siamo felici e
crediamo che ci sia ancora parecchia energia nelle gambe del
duo.
Non ci resta che aspettare ulteriori notizie o conferme per
cominciare ad attendere Sherlock
Holmes 3 il terzo capitolo di Sherlock Holmes!
Il tour di presentazione di Side
Effects di Steven Soderbergh ha
offerto a Jude
Law l’opportunità di parlare anche dei suoi prossimi
progetti: al momento il biopic dedicato a a Gertrude
Bell firmato da Werner Herzog sembra
essere per il momento stato accantonato e incerto è anche il
destino del terzo Sherlock Holmes; in
rampa di lancio è invece Grand Budapest
Hotel di Wes Anderson, riguardo al
quale Law ha rivelato qualche particolare.
Il titolo del film lascerebbe
immaginare una serie di storie che si incrociano all’interno
dell’albergo citato: pur non essendo ancora stati diffusi
particolari sulla trama, Law sembrerebbe aver in parte confermato
l’ipotesi, parlando di un film in cui vi saranno storie raccontate
all’interno di altre storie.
Law ha rivelato che il suo ruolo
sarà quello di uno scrittore e che nel film ci sarà qualcuno che
interpreterà lo stesso personaggio in età più avanzata. Il lavoro
si articolerà in varie sezioni: al centro vi sarà la stessa storia,
raccontata da diversi punti di vista, in quello si annuncia un film
che parlerà della narrazione, del raccontare storie.
L’attore ha inoltre ha dichiarato
che il film si svolgerà in gran parte negli anni ’30, anche se la
sua parte sarà invece ambientata nei ’60; la sua è comunque una
piccola parte (ha richiesto solo cinque giorni di lavoro), inserita
in un contesto molto più ampio.
Le rivelazioni di Jude Law, a
dire il vero abbastanza sibilline, si aggiungono agli scarni
dettagli forniti dallo stesso Anderson, che ha parlato di un film
‘europeo’, ispiratogli dal suo periodo di permanenza in francia, il
cui protagonista è lievemente pazzo, e ha un lettore della mente
personale accompagno da un assistente adolescente.
Oltre a Law del cast fanno parte
Bill Murray, Owen Wilson,
Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Adrien
Brody, Jeff Goldblum, Ralph
Fiennes, Saoirse Ronan, Harvey
Keitel, F. Murray Abraham,
Mathieu Amalric, Willem Dafoe ed
Angela Lansbury.
Jude
Law (Anna Karenina, Gran
Budapest Hotel, King Arthur e il potere della
spada) sarà nel cast del nuovo spy-thriller The
Rhythm, accanto a Blake Lively.
Il regista Reed
Morano sta lavorando al film che sarà un adattamento del
primo libro della saga scritta da Mark Burnell. Lively interpreta
Stephanie Patrick. I suoi genitori muoiono in un incidente aereo.
In seguito Stephanie scopre che l’incidente non è stato casuale e
decide di scoprire la verità.
Non sappiamo ancora il ruolo di
Law, ma potremmo vederlo nel ruolo di colui che
minaccia la protagonista. Morano inizierà le riprese in Gran
Bretagna, Usa, Irlanda, Spagna e Svizzera.
Law ha appena finito di girare il
sequel di Animali Fantastici, dove interpreta
Albus Silente da giovane. Il film, che uscirà il
prossimo anno, sarà diretto da David Yates e vedrà
il premio Oscar Eddie Redmayne tornare nei panni
del protagonista della nuova saga magica, il magizoologo
Newt Scamander.
Arriva da Variety la notizia che
Jude
Law affiancherà Rooney Mara in Vox
Lux, film drammatico su una popstar diretto da
Brady Corbet,
alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa dopo
The Childhood of a Leader.
Il film presenterà una soundtrack
formata da tutte canzoni originali, composte e scritte da
Sia, l’artista vincitrice di diversi dischi di
platino e nominata ai Grammy. Inoltre il film sarà girato in 65mm e
proiettato in 70 mm.
Il film racconterà la vita di
Celeste (interpretata dalla Mara), dalla polvere alla ribalta.
L’odissea di 15 anni sarà ambientata tra il 1999 e i giorni nostri
e traccerà un’importante evoluzione per la cultura contemporanea.
Jude Law vestirà i panni del manager della protagonista.
Prossimamente vedremo Jude
Law in The Youg
Pope, la serie di Paolo
Sorrentino presentata in anteprima all’ultima edizione del
Festival del Cinema di Venezia. A novembre, inoltre, l’attore
tornerà nelle nostre sale con Genius
al fianco di Colin Firth e Nicole
Kidman.
Paul Feig e Melissa
McCarthy preferiscono gli inglesi. Infatti, mentre è già
da tempo confermata la presenza di Jason Statham
nel loro film Susan Cooper, arriva oggi
la notizia che anche Jude
Law farà parte del cast del film.
I dettagli della trama sono per il
momento sconosciuti, ma pare vedranno la McCarthy alle prese con
una spia sfortunata. L’attrice, nominata ad un premio Oscar e con
una lunga carriera televisiva alle spalle, si riunirà con il
regista di Le Amiche della Sposa e di
Corpi da Reato.
Quali saranno i ruoli che
ricopriranno rispettivamente Law e Statham? E’ probabile che il
primo sarà un uomo affascinante e misterioso, mentre il secondo
potrebbe interpretare il villain, data la sua celebre fama da duro
del grande schermo. Al momento non ci è dato saperlo! Ma lo
scopriremo presto.
Visto di recente nel circuito dei
festival in Dom Hemingway e sui
palcoscenici di Londra con l’Enrico V, Jude Law
sarà presto di nuovo al cinema nel film di Wes
Anderson, The Grand Budapest
Hotel, che in USA esce in queste ore. L’attore ha
appena terminato le riprese del thriller sottomarino
Black Sea.
Jude
Law è ufficialmente nel cast di Queen of the Desert (La
regian del deserto) il prossimo film scritto e diretto da Werner Herzog. L’attore si va ad aggiungere ai già
confermati Naomi Watts e Robert Pattinson.
Il regista David Slade, che ha
dimostrato di avere molto familiarità con i vampiri date le sue
ultime realizzazioni (30 giorni di buio, The Twilight Saga:
Eclipse), potrebbe avere ancora a che fare con gli eredi del
non-morto per eccellenza, il Conte Dracula.
Jude Law ha dichiarato che il suo nuovo
thriller poliziesco, The
Order, sulle indagini dell’FBI su un gruppo
terroristico neonazista negli anni ’80, “doveva essere
realizzato ora”. Alla conferenza stampa della Mostra
del Cinema di Venezia, Law ha parlato dell’importanza
del film in un momento in cui le ideologie di estrema destra stanno
tornando a crescere. “Purtroppo la rilevanza parla da
sola”, ha continuato. “Mi sembrava un’opera che doveva
essere realizzata ora. È sempre interessante trovare un’opera del
passato che abbia una qualche relazione con il presente”.
Basato su fatti realmente accaduti,
il film è ambientato nell’Idaho nel 1983 e vede un agente solitario
dell’FBI (Law) seguire una serie di rapine in banca e furti d’auto
sempre più violenti, arrivando a capire che sono opera di un gruppo
di pericolosi terroristi neonazisti nazionali, ispirati dal leader
radicale Robert Jay Mathews (Nicholas
Hoult), che stanno tramando una guerra contro il
governo degli Stati Uniti. Basato sul libro del 1989 “The
Silent Brotherhood” di Kevin Flynn e Gary
Gerhardt, il film è interpretato anche da Tye
Sheridan, Jurnee Smollett, Alison Oliver e Odessa
Young.
Il regista Justin
Kurzel ha aggiunto che i parallelismi del film con il
mondo di oggi sono ciò che lo rende così interessante da
realizzare. “È sempre una cosa straordinaria quando si trova
uno scritto o un evento del passato che ha una sorta di prospettiva
che può avere una conversazione con la politica di oggi”, ha
detto. “È una gemma rara. Quindi abbiamo pensato che ci fosse
molto da dire sull’oggi”.
Per creare l’intensità tra i
personaggi di Law e Hoult, i due attori sono stati tenuti separati
fino alla prima volta che hanno girato una scena insieme. “Non
ci siamo nemmeno parlati per le prime quattro o cinque settimane di
riprese”, ha rivelato Hoult. “Alla troupe piaceva molto
l’idea di tenerci come forze diverse. La prima volta che abbiamo
parlato è stata nella prima scena in cui interagiamo”.
Law è stato anche incaricato di
seguire Hoult per un giorno, come avrebbe fatto il suo agente
dell’FBI. Ma a Hoult non era stato detto nulla prima di arrivare a
Venezia. “L’ho appena scoperto sulla barca!”, ha
esclamato.
“The
Order” vede il giovane poliziotto di Sheridan unirsi
all’agente dell’FBI di Law nella caccia al gruppo suprematista, e
l’attore ha detto di avere una certa esperienza dei temi del film
dalla sua infanzia. “È una grande opera che esplora come le
persone di una piccola comunità possano essere manipolate da
un’ideologia estrema”, ha detto Sheridan. “Sono cresciuto
in una piccola città di 1.200 abitanti, quindi ho sicuramente visto
certe cose crescendo in cui la gente probabilmente diventa
violenta, soprattutto in queste sottoculture. Negli Stati Uniti c’è
un’ideologia specifica che discende da generazioni che vivono in
una piccola comunità e non hanno alcuna esposizione, quindi questa
è stata una cosa che mi ha davvero attratto del progetto”.
Si chiude con un colpo di scena da
brividi l’ultimo Sherlock Holmes di
Guy Ritchie e molti fan della serie si sono
chiesti quando potremmo gustarci Sherlock
Holmes 3, il nuovo capitolo del franchise che
vede Robert Downey Jr nei panni del leggendario
Sherlock Holmes. Purtroppo è da molto tempo che non si
parla del film ma oggi arrivano le dichiarazioni Jude
Law che nel franchise interpreta John Watson.
L’attore ha rassicurato un po’ tutti sull’intenzione della
Warner Bros di volere fortemente un terzo
capitolo, ecco le sue parole:
«Sherlock
Holmes 3 potrebbe partire presto, credo che Warner lo voglia, così
come lo vogliamo noi del cast. Vogliamo che sia migliore dei due
capitoli precedenti: più brillante e più intelligente, mantenendone
però intatta l’anima. Non amo vantarmi dei progetti a cui ho
partecipato ma devo ammettere di essere particolarmente orgoglioso
dei film su Sherlock Holmes».
Al momento però su Sherlock
Holmes 3 non c’è stato un annuncio ufficiale da parte
della Major. Nel frattempo, come molti di voi sapranno, il regista
del franchise Guy Ritchie si trova attualmente sul set del suo
prossimo film The Man From UNCLE(Leggi qui).
Mentre invece il progetto più vicino a concretizzarsi su Sherlock
Holmes sembra essere quello che coinvolge l’attore Ian
McKellen che interpretarà il leggendario investigatore in
pensione (Leggi Qui).
In una recente apparizione al
The Tonight
Show con Jimmy Fallon, Judd Apatow ha parlato
della sua amicizia con Paul Rudd.
Il regista ha discusso delle fasi di pianificazione di This
is 50 e di come entrambi i suoi protagonisti “non
invecchino”, rendendo difficile vederli interpretare la coppia di
This is 40 ma un decennio dopo. Apatow si unisce
al coro di tutti i fan e i conoscenti di Rudd, affermando che
l’attore di Ant-Man semplicemente non invecchia.
Ecco cosa ha dichiarato il regista:
“Ho un grosso problema, è che
Paul Rudd e Leslie (Mann, sua moglie e attrice in This is 40, ndt)
non invecchiano. Quindi, sono passati 10 anni e sembrano
esattamente uguali. E penso che darebbe fastidio alle persone,
giusto?
La parte peggiore dell’essere
amico di Paul Rudd, che è il ragazzo che non invecchia, è [che] io
invece invecchio. Quindi in ogni foto con lui, ho foto con lui
negli ultimi 20 anni, e lui semplicemente non cambia e io sto
lentamente cadendo a pezzi. Sembra esattamente lo stesso in questo
momento e io assomiglio a suo padre”.
Il tormentone legato a questa
caratteristica di Paul
Rudd è virale da tanto tempo, e sembra che non sia
solo un effetto delle luci sul volto dell’attore, quando si fa
fotografare, ma è un dato di fatto, riscontrato anche da chi gli
sta vicino e dai suoi collaboratori più stretti.
Rivedremo Paul
Rudd nei panni di
Scott Lang nel MCU, e lo vedremo anche in This is 50, il sequel
in lavorazione di Apatow.
Apprendiamo grazie al Boston Globe
(via
Empire Magazine) che Judd Apatow, regista e
sceneggiatore americano noto per 40 anni vergine,
Questi sono i 40 e Un disastro di ragazza, è al
lavoro su un documentario dedicato a George
Carlin, il celebre comico, attore e sceneggiatore
statunitense, scomparso nel 2008.
“Sto per iniziare a lavorare con
il mio partner Michael Bonfiglio ad un documentario dedicato a
George Carlin”, ha rivelato Apatow al Boston Globe. “Non
vedo l’ora di guardare un sacco di interviste rilasciate da Carlin
e di speciali a lui dedicati. Penso che questo lavoro si
trasformerà per me in qualcosa di davvero profetico.”
George Carlin era
celebre per il suo atteggiamento irriverente e le sue osservazioni
sul linguaggio, la psicologia e la religione. Nel corso della sua
carriera è divenuto celebre anche per aver affrontato nei suoi show
diversi argomenti considerati tabù negli Stati Uniti: la sua
scenetta “Seven Dirty Words” (“Sette parole volgari”) degli anni
’70, fu al centro di una sentenza della Corte Suprema americana a
seguito della quale il governo venne autorizzato a regolamentare il
contenuto delle trasmissioni pubbliche per evitare l’uso di
linguaggio considerato volgare sia alla radio che alla tv. Dopo
Richard Pryor, Carlin è universalmente
riconosciuto come il più grande comico statunitense di tutti i
tempi.
Il documentario sul comico George
Carlin ad opera di Judd Apatow potrebbe arrivare su HBO
Al momento non sappiamo ancora a
quale network o piattaforma di streaming sarà destinato il
documentario, ma considerata la lunga storia di Carlin con la HBO
(il comico realizzò ben 14 speciali per il network), è molto
probabile che sarà proprio l’emittente statunitense ad accaparrarsi
il progetto. Inoltre, già in passato un altro documentario di
Apatow, The Zen Diaries of Garry Shandling del 2018, venne
prodotto proprio dalla HBO.
L’ultimo film diretto da
Judd Apatow è Il re di Staten
Island, film che narra la vita romanzata dell’attore e
comico statunitense Pete Davidson, anche co-atore della
sceneggiatura semi-autobiografica. Il film uscirà direttamente on
demand il prossimo 12 giugno.
Molto
Incinta è stato un incredibile successo al
botteghino. Il suo spin-off, Questi sono i 40, che
da noi è inedito, ha avuto un pari successo al botteghino, e
così