David Keith Lynch è uno di
quelli che se gli chiedi che lavoro fa, poi ti devi mettere comodo
perché la risposta va per le lunghe: regista, sceneggiatore,
produttore, pittore, fotografo, musicista, scrittore, etc. Chi
s’imbatte nel suo cinema (e nella sua arte in generale)
probabilmente aggiungerebbe che è ‘surreale’, ‘onirico’,
‘visionario’, o anche ‘cupo’, ‘inquietante’, ‘ansiogeno’. Insomma
‘uno strano’, fissato col fuoco, le strade notturne, i nani, i
motel, i fast food, e le donne complicate.
E pensare che da piccolo era un
boyscout… anche se ha sempre saputo di voler diventare un artista
e, archiviata l’idea di fare lo psichiatra, avrà pensato fosse più
divertente mandare ai matti la gente. Ce l’ha davvero messa tutta
per riuscirci, film dopo film. Le prime esperienze con la macchina
da presa risalgono alla metà degli anni Sessanta, quando David
realizza il corto d’esordio, seguito da altri esperimenti fra
cinema e video-arte. Poi decide di fare sul serio e nel ‘71 si
trasferisce a L.A.: entra all’AFI e lì racimola i soldi per
produrre il primo lungometraggio, Eraserhead – La mente che
cancella. Il budget finisce troppo presto, così Lynch
chiede aiuto ad amici e parenti, e si mette pure a vendere giornali
per far quadrare i conti, finché nel’77, dopo mille vicissitudini,
completa l’opera. Tutta questa fatica per poi sentirsi dire che il
film è impossibile da distribuire? Sì, certo, parla di un giovane
la cui fidanzata partorisce un bimbo mutante, ma che sarà mai? In
qualche modo la pellicola si ritaglia uno spazio nel circuito delle
proiezioni notturne, ottenendo un inaspettato successo di
critica.
Visto che a questo giro l’ha
sfangata, David ci riprova, portando sullo schermo la storia di
Joseph Merrick, uomo affetto da terribili deformità: The
Elephant Man. Fioccano nomination agli Oscar (ben 8) e
grandi consensi di pubblico e critica (+ l’offerta di dirigere
Il ritorno dello Jedi da Mr Lucas in persona).
Siamo nel 1980 e Lynch è ormai un regista più-che-promettente.
Peccato che il successivo adattamento del romanzo sci-fi
Dune sia un vero fiasco e, per ritrovare la
retta via, David si butti sulla pittura e la fotografia. Torna al
cinema nell’86 con Velluto blu: uno studente indaga
su un orecchio mozzato trovato in un campo. Scabroso ma efficace.
Il film gli fa conquistare il cuore di Isabella Rossellini
(sua compagna per i 5 anni a venire), il favore della critica (di
nuovo fiduciosa) e una candidatura all’Oscar per la regia; e da qui
parte anche il sodalizio col compositore Angelo Badalamenti,
il suo alter-ego musicale.
Con un curriculum così, è difficile
pensare che al maestro interessi la TV, eppure nel 1990 eccolo che
ci trascina nei misteri di Twin Peaks, la cittadina
dove tutti si chiedono, “Chi ha ucciso Laura Palmer?”. È proprio
l’omicidio della giovane studentessa a innescare le vicende di
questa serie cult, vero e proprio fenomeno culturale con citazioni
che vanno dai soliti Simpson alla new hit dei
Bastille. Pur osteggiando la seconda stagione, Lynch
realizza un prequel cinematografico, Fuoco cammina con
me, che però si rivela un flop: menomale che ha da poco
vinto la Palma d’Oro a Cannes per il road movie Cuore
selvaggio. La filmografia prosegue quindi con Strade
perdute (1997), Una storia vera (1999),
Mulholland Drive (ovvero il lato oscuro di Hollywood,
premio alla regia a Cannes 2001 e trampolino di lancio di Naomi
Watts), fino all’ultimo lungometraggio, Inland
Empire, del 2005. Con tutti gli hobby che ha, in questi
anni David non si sarà di certo annoiato. È vero, è sparito dagli
schermi (e per sicurezza gli hanno già dato il Leone d’Oro alla
carriera), ma mica vuol dire che non lo rivedremo più. Magari è
impegnato coi 4 figli avuti dalle 4 mogli… Oppure è lì che spolvera
casa: 12 stanze non sono poche. Poi c’è la meditazione
trascendentale, 20 minuti a botta, almeno 2 volte al giorno.
Tra una sessione e l’altra, noi
proviamo a fargli spegnere le candeline: sono 68, ma i fidati
Kyle MacLachlan e Laura
Dern gli daranno sicuramente una mano. HAPPY BIRTHDAY MR
LYNCH!
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