Sembrava certo che Sasha Baron
Cohen, visto recentemente nei panni del poliziotto cattivo in
Hugo Cabret, fosse stato ufficialmente
bandito dalla notte degli Oscar: la diffida da parte dell’Academy
era arrivata quando l’attore, conosciuto per le sue
performances comiche trasgressive in Borat e
Bruno, aveva annunciato di volersi presentare alla
cerimonia vestito come il Generale Aladeen, protagonista del suo
nuovo irriverente film the Dictator.
La prospettiva di dover “ospitare”
il personaggio, un dittatore dell’immaginaria repubblica islamica
di Wadiya che lotta per evitare che la democrazia arrivi nel
suo paese e lo rovini per sempre, sembrava davvero troppo per una
cerimonia fortemente tradizionale come quella della notte delle
stelle.
Alla fine, pare però che Cohen avrà
dopo tutto la possibilità di presentarsi alla Cerimonia alle sue
condizioni: così lasciano intendere le dichiarazioni di Brian
Grazer, che si è detto entusiasta e impaziente di vederlo sul red
carpet nei panni del suo personaggio. Polemica rientrata,
quindi.
Dal canto suo, il generale Aladeen
non aveva esitato a rispondere all’offesa arrecatagli con una
replica esemplare:
Esce venerdì 8 settembre The
Devil’s Candy, un nuovo film prodotto dalla
Midnight Factory. Questa piccola casa di
distribuzione, nata da una cellula della Koch Media
Italia, è relativamente nuova nel settore, ma vanta il
merito di avere come obiettivo primario quello di portare in Italia
film poco conosciuti, pellicole indipendenti e classici del passato
rimasterizzati… il tutto, rigorosamente di genere horror.
Grazie alla Midnight
Factory abbiamo potuto godere anche in Italia di ottime
opere come Babadook, ItFollows, The Invitation,
Somnia e molti altri. Questo autunno ci porta sui
grandi schermi The Devil’s Candy, nuovo film di
Sean Byrne, qui alla sua seconda opera dopo il
discreto The Loved Ones (2009).
La storia gira attorno ad una
famigliola americana piuttosto sui generis. Mamma, papà e
figlioletta sono infatti fan sfegatati della musica heavy metal,
genere di per sé poco rilassante. Sulle note vibranti di
Killing Inside dei Cavalera
Conspiracy si recano a comprare la loro nuova casa. Che
manco a dirlo risulta avere qualcosa che non va, e li farà
imbattere in strani avvenimenti provocati dall’inquietante ex
inquilino della magione (Pruitt Taylor Vince).
Il suono ha una parte
molto importante. La pellicola si apre con accordi sconnessi ma
assordanti di una Gibson Flying V (la chitarra più
amata dai musicisti “dannati”: da Jimi Hendrix ad Eddie Van Halen,
passando per Keith Richards), che per altro riveste un ruolo
simbolico piuttosto interessante. Lo strumento, nella sua variante
rosso fuoco, è spesso accostato al crocifisso capovolto, lungo
tutta la durata del film.
Sembra che la trama sia stata in
parte ispirata alla leggenda secondo cui il musicista Robert
Johnson avesse fatto un patto col diavolo per diventare il miglior
chitarrista vivente.
Contrariamente a quanto vuole a
tutti i costi dimostrare, The Davil’s Candy non è
un film particolarmente innovativo. Classico horror su una casa
stregata, risulta essere piuttosto un Amityville in salsa metal.
Non brilla per colpi di scena o per trovate narrative, ma nella sua
prosaicità è comunque un prodotto dignitoso.
È apprezzabile lo sforzo di questo
piccolo film indipendente, per esempio nell’uso di un linguaggio
visivo simbolico: un protagonista dannato con le fattezze del
Messia; l’uso frequente del colore rosso come riferimento alla
tentazione e al peccato; la pittura come mezzo attraverso cui parla
la nostra anima.
Ma la sensazione che l’uso di una
colonna sonora così particolare sia solo uno specchietto per le
allodole (per attirare quella particolare fetta di fan), è forte e
persistente.
Per chi ama questo genere di musica,
o per chi ama la musica e basta, si veda la commedia
Tenacius D e il Destino del Rock.
«Eravamo di fronte a uno
scontro tra il bene e il male… e quest’ultimo aveva scelto
il Connecticut». È con questa frase cupa e gelida che si apre
The Devil on Trial – Processo al diavolo,
il nuovo docufilm horror di Netflix,
disponibile dal 17 ottobre 2023, che riporta alla
luce uno dei casi più inquietanti e controversi di omicidio e
possessione demoniaca degli Stati Uniti.
Scritto e diretto dal quattro volte
candidato ai BAFTA Chris Holt, il documentario di
circa 85 minuti ripropone – tra ricostruzioni cinematografiche,
testimonianze dirette, registrazioni ed immagini d’archivio –
l’orribile ed agghiacciante fatto di cronaca che
solo pochi anni fa ha ispirato il terzo capitolo del celebre
franchise di
The Conjuring Universe.
La storia vera della famiglia Glatzel e Arne
Johnson
Il piccolo David Glatzel conduceva
una vita normale e tranquilla insieme ai suoi due fratelli, Carl e
Alan, sua sorella Debbie e ai suoi genitori. I Glatzel erano
una famiglia americana come tante altre… finchéqualcosa di spaventoso ed indicibile bussò alla loro
porta.
Il 2 luglio del
1980, Debbie trovò casa a Newton, dove si trasferì con
il suo fidanzato Arne Johnson. I tre fratelli e i
genitori si offrirono, dunque, di aiutare la giovane coppia con il
trasloco. Ed è proprio in questa casa che, dopo poche ore, il
piccolo David sentì per la prima volta una strana
presenza: iniziò così quel terrificante incubo che
travolse e consumò le vite della famiglia Glatzel. Da quel momento,
l’undicenne David non fu più lo stesso: grida,
visioni terrificanti, insulti, voci oscure e notti insonni. Esausti
e turbati, i Glatzel decisero dunque di affidarsi a degli
specialisti del paranormale, i celebri demonologi Ed e
Lorraine Warren.
Era il 2 settembre 1980
quando la Chiesa Cattolica autorizzò a praticare un
esorcismo sul piccolo David. Ma anche quest’ultimo
tentativo non si rivelò la soluzione ai mali che affliggevano
questa famiglia: durante il rito, infatti, Arne – straziato nel
vedere il bambino soggiogato dal demone – chiese a
quest’ultimo di lasciare il giovane e prendere sé al suo posto. Nei
giorni che seguirono l’esorcismo, i Glatzel parvero ritornare alla
vita spensierata di prima. Una pace che durò solo qualche mese,
fino a quando Arne – la tragica sera del 16 febbraio 1981 –
uccise a coltellate il suo padrone di casa, Alan
Bono.
Il caso “DEVIL MADE ME DO
IT”
Con ben quattro
coltellate, Arne Cheyenne Johnson uccise Alan Bono davanti
agli occhi increduli delle sorelle Johnson e di Debbie. Nonostante
questo, tutti affermarono che Arne era innocente e che
quella sera era stato posseduto dal maligno, unico
colpevole dell’omicidio. Il processo di Johnson divenne fin da
subito un fatto mediatico di grande eco e tutt’oggi è ricordato
come il caso “Devil made me do it” (cioè,
“il diavolo me l’ha fatto fare”), primo e unico caso di
omicidio volontario negli Stati Uniti in cui la difesa si avvalse
della possessione demoniaca come causa del reato, professando
l’innocenza dell’imputato. La giuria però non credette a questa
storia e il 24 novembre del 1981 il diciannovenne Arne
Johnson fu condannato a vent’anni di carcere.
THE DEVIL ON TRIAL: Possessione demoniaca o rabbia
omicida e cospirazione umana?
Con The Devil on Trial,Chris Holt costruisce un cupo e
inquietante castello di carte che verso l’epilogo è poi smontato, a
poco a poco, con scetticismo e spettacolarizzazione.
L’intento di Holt è chiaro: se nella prima parte cerca di far
empatizzare lo spettatore con i protagonisti al punto da proporre
la tesi di possessione demoniaca come unica verità plausibile;
nella seconda parte stende allusivamente un grande velo di
dubbi e perplessità. Davvero il piccolo David è stato
tormentato dal demonio? È sicuro che non ci siano moventi per la
rabbia omicida di Arne? E se dietro uno dei casi paranormali più
celebri degli ultimi anni ci fosse una crudele cospirazione
umana?
In questo ha un ruolo chiave
Carl, l’unico della famiglia Glatzel che decide di
indagare su una verità più personale e profonda,
che si dissocia totalmente dalla versione paranormale promossa
dagli adulti coinvolti a quel tempo. Carl si espone, quindi,
raccontando dei retroscena familiari con i quali poco hanno
a che fare demoni e possessioni: «Morti i miei
genitori, ho riordinato le loro cose con mia moglie. Mia madre si
appuntava tutto, era ossessivo-compulsiva. Usava pezzi di carta,
calendari… scriveva ovunque. Trovammo allora questa annotazione:
“Stasera tutti hanno preso la medicina ed è andato tutto
bene”». Ogni sera, in casa Glatzel, la madre –
rivela Carl con sguardo disilluso e deluso – metteva di nascosto un
forte antistaminico nel loro cibo.
«Sperava che il Sominex
la aiutasse a mantenere meglio il controllo su di noi e su
mio padre. Provare sonnolenza, sentirci stanchi ci avrebbe fatto
stare buoni e non le avremmo dato problemi. Ma il Sominex alla
lunga può avere effetti collaterali come sbalzi d’umore,
aumento di peso e… allucinazioni».
Nonostante le ricostruzioni
cinematografiche a tratti un po’ troppo forzate e drammatizzate,
The Devil on Trial si inserisce nel catalogo Netflix come
un documentario semplice e godibile che non
intende limitarsi a porre ancora una volta sotto i riflettori una
storia tanto assurda quanto inquietante, ma che chiede
indirettamente al pubblico di riflettere e interrogarsi su
temi come il fanatismo religioso e, soprattutto, su come la
mente umana sia, il più delle volte, la vera
origine del male.
Oltre quaranta anni dopo la
realizzazione del suo film più famoso, L’Esorcista
(1973), William Friedkin si interroga, usando il
linguaggio del documentario e del diario filmato, su quel tema che
aveva affrontato in maniera istintiva e senza la preparazione
culturale ed emotiva che a suo stesso avviso avrebbe richiesto: il
risultato è The Devil and Father Amorth.
Per indagare sceglie di seguire una
vera superstar della lotta al demonio, ovvero Padre
Gabriele Amorth, esorcista del Vaticano e della
Diocesi di Roma da trentacinque anni. Lo segue durante i rituali di
uno dei suoi ultimi casi, una ragazza arrivata al ragguardevole
traguardo del nono esorcismo.
L’Esorcista è un
vero e proprio capolavoro, sia per gli amanti dell’horror che per
un pubblico più evoluto, alla ricerca di contenuti, riflessioni e
sguardo d’autore. Ha aperto la strada a un genere del tutto
particolare, incentrato sulla possessione diabolica e sulla lotta
al maligno. A detta di Friedkin, lo stesso padre Amorth si
complimentò con lui, dicendogli che fosse il suo film preferito e
ringraziandolo per aver contribuito a far conoscere e permettere di
comprendere il suo delicato lavoro. Allo stesso tempo però lo
rimproverò per aver calcato un po’ troppo la mano con effetti
speciali esagerati e situazioni alquanto impressionanti.
Afferma il regista, che
prima di girare il film, non aveva mai assistito a un vero
esorcismo e non ne sapeva assolutamente nulla, come del resto
Bill Blatty che scrisse il romanzo e la
sceneggiatura. All’epoca non esisteva una documentazione adeguata,
non c’erano libri e quel poco che si poteva reperire era totalmente
irreale o inventato in maniera esagerata.
Dopo aver studiato e meditato per
tanti anni su quel tema Friedkin decise di voler continuare a
indagare con il mezzo cinematografico, ma tralasciando ogni forma
di narrazione costruita o di messinscena. Così contattò un amico
teologo chiedendogli se fosse stato possibile incontrare Padre
Amorth. Il sacerdote non solo acconsentì, ma lo autorizzò a
seguirlo e a filmare un suo esorcismo. La sola condizione fu che
non ci fosse troupe e luci, in modo da non interferire e non
disturbare durante il delicato rituale.
The Devil and Father
Amorth, il film
The Devil and Father
Amorth è la testimonianza di quell’esorcismo, celebrato in
occasione del novantunesimo compleanno di Padre Amorth, poi venuto
a mancare nei mesi successivi. Le riprese effettuate in quella
giornata sono poi state sapientemente integrate con interviste a
medici, psichiatri e religiosi, in modo da avere diversi commenti e
punti di vista su quanto accaduto. Friedkin sostiene di aver
vissuto e documentato un’ esperienza sconvolgente, che il film da
lui realizzato è un viaggio esplorativo e la chiusura di un cerchio
iniziato più di quarantacinque anni fa.
Tuttavia si avverte troppa enfasi
nella narrazione di Friedkin, sempre condotta in prima persona,
ponendosi davanti alla macchina da presa, anche quando per
necessità si cala nel ruolo di videomaker. In molti casi racconta
la sua esperienza su quegli stessi luoghi reali dove girò
L’Esorcista. Quando si affida solamente alle
parole per descrivere accadimenti a suo dire terribili, per cause
fortuite viene a mancare il materiale video, cosa che purtroppo
lascia intendere che la sua possa essere suggestione.
La cittadina di Alatri,
dove vive Sabrina, la posseduta che viene sottoposta ai ripetuti
esorcismi, viene descritta come una sorta di borgo sperduto chissà
dove, una sorta di roccaforte del male rimasta isolata nel tempo,
dove per raggiungere la chiesa è necessario inerpicarsi per un’ora
e mezza. Nonostante si tratti di un documentario si avverte
purtroppo una costruzione tipica di determinati meccanismi di
genere, quando non si cade in veri e propri luoghi comuni.
Certo, Friedkin è comunque un
narratore navigato e il film cattura, incuriosisce, ma non mostra o
racconta nulla di così convincente da divenire un documento
importante, né dal punto di vista antropologico o psichiatrico, né
tantomeno da quello religioso. Con questo non si vuole
assolutamente mettere in dubbio l’autenticità di fatti o persone,
ma non si avverte dalle riprese quella forza sovrumana che il
posseduto dicono abbia, non si sente una voce o un suono che le
corde vocali del soggetto non sia in grado di emettere, non si
ascoltano lingue incomprensibili. Si percepisce però una grande
fede, si avverte la lotta eterna tra bene e male, la volontà di non
alimentare e combattere senza indugio ciò che viene avvertito come
malefico.
Forse l’aspetto più interessante e
toccante è il dibattere tra scienza e fede, mettendo a confronto le
due posizioni opposte, ma inaspettatamente aperte l’una nei
confronti dell’altra. Spiazzante è la testimonianza del Vescovo di
L.A., che con grande umanità confessa che non potrebbe mai
celebrare un esorcismo, per la troppa paura; dice che per fare una
cosa simile c’è bisogno di una fede fortissima, di una forza
di spirito non comune, che lui non sente di avere.
Il film drammatico di Netflix, The
Devil All the Time, è il nuovo film del regista
Antonio Campos (Simon Killer,
Christine) e si basa sull’omonimo romanzo dallo
stesso titolo che racconta una saga familiare edito nel 2011, del
romanziere Donald Ray Pollock. “È una narrazione con diverse
trame ambientata tra la fine della seconda guerra mondiale e
l’inizio del coinvolgimento americano in Vietnam in cui le vite di
un gruppo eterogeneo di personaggi si intrecciano”, afferma il
regista.
The Devil All the Time sarà presentato in
anteprima su Netflix il 16 settembre. Ecco le immagini del film
diffuse in anteprima da
Entertainment Weekly:
Considerato uno dei più importanti
film di Martin
Scorsese dal 2000 ad oggi, The Departed – Il
bene e il male si è affermato come ennesima rilettura del
genere gangster movie, incentrato stavolta sulla malavita nella
città di Boston. Un genere a cui, come ben sapranno i suoi fan,
Scorsese si è dedicato nel corso di tutta la sua carriera con film
come Mean Street,
Quei bravi ragazzi,
Casinò e fino al più recente The
Irishman. In questo caso, però, Scorsese si è concentrato
in particolare sulla dicotomia tra bene e male – riportata non a
caso nel sottotitolo italiano – e sui suoi labili confini.
“Remake” americano del film di Hong
Kong Infernal Affairs – che Scorsese si è però rifiutato di
vedere per non esserne influenzato – il film ha ottenuto un enorme
successo di critica e pubblico, divenendo non solo uno dei maggiori
incassi nella carriera del regista, ma anche il titolo con cui il
celebre autore ha ottenuto il suo agognato primo (e ad oggi unico)
Oscar alla regia. Vincitore anche del premio al Miglior film, alla
Miglior sceneggiatura non originale e al miglior Montaggio,
The Departed – Il bene e il male continua ancora
oggi ad essere tra i più citati film di Scorsese.
Ciò anche grazie alla presenza di un
cast straordinario, composto da alcuni dei migliori attori in
circolazione e che si confrontano qui in un duello di bravura
continuo. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle
principali curiosità relative a The Departed – Il bene e il
male. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama,
al cast di attori e alla spiegazione del
finale. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La trama e il cast di The
Departed – Il bene e il male
La storia del film si svolge a
Boston, dove il dipartimento di polizia è intenzionato a porre fine
all’impero del boss irlandese Frank Costello. Per
riuscirvi, si decide di reclutare il giovane Billy
Costigan affinché si infiltri segretamente nella banda del
criminale. Allo stesso tempo, però, il figlioccio di Costello,
Colin Sullivan, si è fatto strada nella polizia
conquistandosi un posto all’interno dell’unità speciale
anticrimine. Da qui, Sullivan ha modo di passare al boss le
informazioni segrete relative ai piani contro di lui. Nel momento
in cui i due infiltrati scopriranno della rispettiva esistenza, la
loro diventa una corsa allo smascheramento reciproco.
Uno dei motivi di maggior popolarità
del film, come anticipato, è il suo cast allstar. Protagonisti sono infatti alcuni tra i più celebri
attori del momento, a partire da Leonardo
DiCaprio. Questi, nel ruolo di Costigan, ha descritto
l’esperienza di recitare accanto a Jack
Nicholson uno dei momenti più memorabili della sua
carriera. Nicholson è infatti il volto di Costello. L’attore aveva
inizialmente rifiutato la parte, ma si convinse infine per la
possibilità di interpretare un nuovo cattivo dopo diverse commedie
realizzate.
Nel ruolo di Sullivan vi è invece
l’attore Matt
Damon, il quale per prepararsi al ruolo decise di
lavorare per un periodo di tempo con la polizia di Boston,
seguendoli nelle pattuglie di routine e nelle retate anti droga.
Nel film è presente inoltre l’attore Mark
Wahlberg nei panni del poliziotto Dignam.
L’interpretazione di tale personaggio fece guadagnare all’attore la
sua prima ed unica nomination al premio Oscar come attore non
protagonista. Fanno poi parte del cast anche gli attori
Alec Baldwin,
Vera Farmiga
e Martin Sheen.
Il finale di The Departed –
Il bene e il male è di quelli che lasciano a bocca aperta.
Nel momento in cui Costigan e Sullivan cercano di scoprire le
reciproche identità, Sullivan scopre che Costello è un informatore
dell’FBI.
Sullivan teme dunque che Costello possa rivelare i suoi loschi
traffici, così organizza un’incursione con l’aiuto di Costigan per
eliminare definitivamente Costello. Il piano va a buon fine e dopo
una sparatoria, Sullivan trova Costello ferito e gli spara
ripetutamente. Si tratta sia di un atto di protezione più che di
una vendetta per il tradimento di Costello che si è rivolto
all’FBI.
Dopo la morte di Costello, Costigan
riceve però un nastro misterioso. Su di esso ci sono registrazioni
di Costello e Sullivan, che provano che quest’ultimo è la talpa
all’interno della polizia di Boston. Crea allora delle copie delle
registrazioni e ne invia alcune a Sullivan stesso in una busta, per
fargli sapere che il suo segreto non è più al sicuro. Tuttavia, una
complicazione importante nelle vite di Costigan e Sullivan è la
loro relazione con la terapista Madolyn.
All’inizio la donna ha una storia
d’amore con Sullivan, che però inizia a crollare man mano che lui
diventa sempre più coinvolto nella sua doppiezza in polizia. Quando
inizia a innamorarsi di uno dei suoi pazienti, l’infiltrato
Costigan, le cose si complicano ulteriormente: entrambi gli uomini
sono acerrimi nemici ma non hanno idea delle loro rispettive
identità. Quando Madolyn, che vive con Sullivan, vede la busta che
Costigan ha lasciato per lui, la apre. Ascolta le registrazioni e
capisce che Sullivan è un informatore della mafia.
Sullivan la sorprende mentre ascolta
le registrazioni e cerca di rassicurarla senza successo. A quel
punto, Costigan lo chiama e lo informa di avere altre copie delle
registrazioni e che rivelerà alla polizia la doppiezza di Sullivan
a meno che quest’ultimo non lo aiuti a recuperare la sua identità
civile. In sostanza, egli rivela di essere ancora bloccato sotto
copertura a causa della morte di Costello e del coinvolgimento di
Sullivan. I due, dunque, si incontrano per scambiare le
registrazioni e i documenti per garantire il ritorno di Costigan a
una vita normale, ma le cose vanno a rotoli.
Subiscono un’imboscata da un altro
agente, Barrigan, che uccide Costigan e rivela a Sullivan che anche
lui era una talpa che lavorava per Costello. Sullivan, però, uccide
Barrigan e inventa una storia assurda su come Barrigan sia sempre
stato la talpa e che Costigan lo abbia scoperto. Nomina Costigan
per un premio postumo e sembra pensare che la cosa sia finita lì.
Tuttavia, la sequenza finale di The Departed – Il bene e il
male mostra Sullivan che torna a casa dal negozio di
alimentari, solo per subire un’imboscata dal suo superiore di
polizia, Dignam.
Questi, che era stato il supervisore
di Costigan durante la sua operazione sotto copertura, spara a
Sullivan uccidendolo e se ne va. La spiegazione più probabile è che
Madolyn gli abbia dato i nastri rivelatori dopo la morte di
Costigan. Dignam dunque sa che non solo Sullivan è la spia, ma è
anche responsabile della morte di Costigan. La sua diventa dunque
una vendetta pura e semplice, che porta a termine senza troppi
complimenti.
L’altra possibile spiegazione è che
Dignam lavori con l’FBI e sapesse del tradimento di Sullivan molto
prima che le cose degenerassero. In questo caso, le motivazioni che
lo spingono a uccidere Sullivan non sono tanto la vendetta quanto
la copertura della conoscenza da parte dell’FBI della corruzione
all’interno della polizia di South Boston. La faccenda è dunque
conclusa, ma c’è un ultima inquadratura su cui tante parole si sono
spese.
Il significato del ratto alla fine del film
Dopo che Sullivan muore e Dignam si
allontana, la telecamera si sofferma infatti su un ratto che
striscia sulla ringhiera del patio. Un “ratto” è un termine gergale
che indica una persona che tradisce la fiducia e l’amicizia di
un’organizzazione a cui ha prestato giuramento. In The
Departed – Il bene e il male, Costigan era una spia per la
mafia perché informava la polizia. Sullivan era un ratto per la
polizia di South Boston e forniva informazioni vitali a Costello,
che era anche un ratto per la mafia attraverso i suoi rapporti
all’FBI.
Sullo sfondo dell’immagine, però,
notiamo una cupola dorata. Il contrasto presente in tale immagine
racchiude così il senso ultimo del film. Il marcio, incarnato dal
topo, è ovunque, anche in quei luoghi che sembrano apparentemente
essere immacolati, come in questo caso l’edificio dorato. Il finale
del film ripropone così un’ultima volta il binomio bello/brutto,
bene/male, centrali nel corso dell’intero film e perfettamente
rappresentati dai due infiltrati protagonisti.
Il trailer e dove vedere il film in
streaming
The Departed è
disponibile su Rakuten TV, Apple TV, Infinity, Tim
Vision e Prime Video. Per vederlo, in base alla
piattaforma prescelta, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale, avendo così poi modo di
riprodurlo in modo pratico e al meglio della qualità video. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 16
settembre alle 21:00 sul canale
Iris.
Con un titolo di apertura che
afferma che la storia è “ispirata a fatti realmente
accaduti”, The Deliverance – La redenzione
racconta la situazione della famiglia Jackson di Pittsburgh alle
prese con una possessione demoniaca che minaccia di distruggerla
dall’interno. Diretto da Lee Daniels (Precious,
The Butler) da una sceneggiatura scritta insieme a
Elijah Bynum (Magazine Dreams) e
David Coggeshall (Orphan:
First Kill) è il nuovo horror a sfondo religioso arrivato
su Netflix il 30 agosto.
Si tratta di una drammatizzazione
della presunta possessione della famiglia Ammons avvenuta nel 2011.
Da allora, la casa in cui hanno vissuto e si sarebbero verificati
tali eventi è conosciuta come la Casa del Demone dell’Indiana. È
solo uno dei tanti casi di case infestate apparentemente esistenti
negli Stati Uniti, come la saga di The Conjuring ha
dimostrato nel corso degli anni con i suoi film. Da La
casa a L’evocazione
– The Conjuring, da Crimson
Peak ad Annabelle
e fino a La casa delle bambole – Ghostland, sono tanti i titoli
in cui si può ritrovare tale elemento.
In questo nuovo film, a tale
elemento orrorifico si uniscono però anche tematiche come l’affido
dei minori e la salute mentale, fattori che contribuiscono a
generare la situazione horror vissuta dalla protagonista. In questo
articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità
relative a The Deliverance – La redenzione.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama, al
cast di attori e alla storia vera a cui si
ispira. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La trama e il cast di The
Deliverance – La redenzione
Protagonista del film è
Ebony Jackson, una madre single in difficoltà alle
prese con i propri demoni interiori. Per ricominciare da capo,
decide di trasferirsi con la famiglia in una nuova casa.
Inizialmente, tutto sembra procedere per il meglio, ma questa
apparentemente tranquillità verrà brutalmente infranta quando
strani fenomeni inizieranno a verificarsi nell’abitazione. Fenomeni
che desteranno i sospetti dei servizi sociali e minacceranno di
distruggere la famiglia di Ebony. La donna si ritrova dunque
coinvolta in una lotta per salvare sé stessa e le anime dei suoi
figli da quello che sembra essere un potere superiore.
Ad interpretare Ebony Jackson vi è
l’attrice Andra Day, nominata all’Oscar per il
film Gli Stati Uniti contro Billie Holiday. Ad interpretare
i figli Andre, Shante e Nate vi sono invece Anthony B.
Jenkins, Demi Singleton e Caleb
McLaughlin, quest’ultimo noto per il ruolo di Lucas
Sinclair nella serie Stranger
Things. La pluricandidata all’Oscar
Glenn Close interpreta invece Alberta Jackson, la
religiosa madre di Ebony. Completano il cast Aunjanue
Ellis nel ruolo del reverendo Bernice James,
Mo’Nique in quello di Cynthia Henry, operatrice
del dipartimento dei servizi per l’infanzia e Omar
Epps in quello di Melvin.
La storia vera dietro il film
Un’inchiesta sulla presunta
infestazione della famiglia Ammons, pubblicata nel 2014
dall’Indianapolis Star, descriveva come la Ammons fosse arrivata a
credere che lei e i suoi figli, all’epoca di 7, 9 e 12 anni,
fossero stati posseduti da demoni che risiedevano nella loro casa
appena affittata in Carolina Street a Gary. Pur avendo parlato con
lo Star a condizione che i suoi figli non venissero intervistati o
nominati, la Ammons ha firmato delle liberatorie che hanno permesso
al giornale di esaminare documenti medici, psicologici e ufficiali
non aperti al pubblico e descritti come “non sempre
lusinghieri”.
Ammons ha dichiarato che gli strani
avvenimenti nella casa di Carolina Street sono iniziati nel
dicembre 2011, quando la famiglia ha notato che, nonostante le
temperature invernali, sciami di mosche nere si infiltravano nel
portico schermato. “Non è normale”, ha dichiarato la madre
di Ammons, Rosa Campbell, allo Star. “Le abbiamo uccise, uccise
e uccise, ma continuavano a tornare”. La situazione si è
aggravata nei mesi successivi: Ammons ha descritto episodi sempre
più bizzarri e pericolosi, durante i quali i bambini sarebbero
levitati, sarebbero stati lanciati da una parte all’altra della
stanza e avrebbero parlato con voci profonde e innaturali.
Il Dipartimento di Polizia di Gary,
il Dipartimento dei Servizi per l’Infanzia dell’Indiana (DCS) e
l’ospedale locale sono stati coinvolti nel caso, con agenti,
personale medico e assistenti sociali che hanno riferito di aver
assistito a episodi della natura che Ammons stava perpetrando.
Altri erano scettici sul fatto che l’origine del problema fosse
paranormale. Nell’aprile 2012, un denunciante senza nome ha
presentato un rapporto ufficiale al DCS chiedendo all’agenzia di
indagare su Ammons per possibili abusi o negligenze sui
bambini.
La fonte ha riferito di ritenere che
Ammons soffrisse di problemi di salute mentale e che i bambini si
esibissero per la madre e lei incoraggiasse questo comportamento.
Poco dopo, il DCS ha preso in custodia d’emergenza i bambini senza
un ordine del tribunale. L’agenzia ha poi ottenuto la custodia
temporanea dei figli di Ammons. A seguito di una valutazione del
figlio minore di Ammons, uno psicologo clinico ha concluso che i
racconti del bambino sulla possessione erano “bizzarri, frammentari
e illogici” e cambiavano ogni volta che li raccontava. “Questo
sembra essere un caso sfortunato e triste di un bambino che è stato
indotto in un sistema delirante perpetuato dalla madre”, ha
scritto. Un’altra psicologa ha riportato risultati simili sui due
figli maggiori.
Alla fine, nel giugno 2012, il
reverendo Michael Maginot, sacerdote della
parrocchia di Santo Stefano Martire a Merrillville, ha eseguito tre
esorcismi principali sulla Ammons nella sua chiesa e ha benedetto
la sua nuova casa a Indianapolis. Dopo essersi trasferita nella
nuova casa e aver lavorato per raggiungere gli obiettivi del piano
del DCS per la sua famiglia, Ammons ha riottenuto la custodia dei
suoi figli nel novembre 2012. La casa è diventata in seguito il
soggetto del documentario Demon House di Zak
Bagans del 2018 ed è stata demolita nel 2016 come parte
della produzione del film.
Il trailer di The
Deliverance – La redenzione e come vederlo su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di The Deliverance – La redenzione unicamente
grazie alla sua presenza nel catologo di Netflix,
dove attualmente è al 1° posto della Top 10 dei film più
visti sulla piattaforma in Italia. Per vederlo, basterà
dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma
scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo di guardare
il titolo in totale comodità e al meglio della qualità video,
avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti nel
catalogo.
Non capita spesso di vedere un film
horror soprannaturale con un cast quasi interamente nero,
soprattutto se si tratta di possessione demoniaca, ma l’ultimo film
di Lee Daniels, The Deliverance
– La redenzione, mira a cambiare le cose. Entrato
nella Top 10 dei film più visti di Netflix
dopo la sua uscita il 30 agosto, The Deliverance è
un’interpretazione diversa dei demoni standard che vediamo
nella maggior parte dei film horror, anche se riesce comunque a
soddisfare tutte le esigenze a cui siamo abituati. Dopo che la
madre single Ebony Jackson (Andra Day)
trasferisce la sua famiglia in una nuova casa, i suoi figli vengono
presto colpiti dall’antico male che vi abita. Come in tutti i film
horror infestati da demoni, come L’esorcista, Il presagio o L’evocazione – The Conjuring,
l’unico modo per affrontare veramente il problema del demonio è
rivolgersi a Dio stesso. Come finisce The Deliverance?
Beh, il titolo stesso è un indizio inequivocabile…
Non passa molto tempo da quando
lafamiglia Jackson e la madre di Ebony,
Alberta (Glenn
Close), si trasferiscono nella loro nuova casa di
Pittsburg prima che le cose diventino inquietanti. All’insaputa
della madre, il figlio minore di Ebony, Andre (Anthony B.
Jenkins), inizia a parlare con una presenza in casa che
chiama Trey, e questa forza spirituale è tutt’altro che un amico.
Ben presto, Trey si rivela più maligno di quanto non
lasciasse intendere all’inizio e Andre, suo fratello
maggiore, Nate ( Caleb McLaughlin di Stranger
Things), e la loro sorella, Shante
(Demi Singleton), iniziano a mostrare segni di
abuso fisico. Questo complica le cose per Ebony che, a
causa dei suoi precedenti penali e della
sua storia di alcolismo, è già tenuta sotto stretta
osservazione dall’agente dei servizi sociali Cynthia
(Mo’Nique), la quale crede che la madre stia
abusando fisicamente dei suoi figli, salvo poi assistere lei stessa
alla possessione di Andre.
Mentre il demone inizia a
manifestarsi in ognuno dei tre figli di Ebony, trasformandoli nei
loro terrori a casa e a scuola, tutto arriva al culmine
quando uccide Alberta. Sebbene Ebony avesse un
rapporto complicato con la madre, questa perdita è la goccia che fa
traboccare il vaso e, oltre a perdere la custodia dei figli, si
rivolge alla Chiesa per chiedere aiuto. Sebbene Alberta non sia
riuscita a convincere il suo ministro a fare qualcosa per
l’infestazione demoniaca, Ebony si confronta con una donna di nome
Bernice James (Aunjanue Ellis-Taylor),
un’autoproclamata apostola che ha già avuto a che fare con questa
specifica casa e questo particolare demone. I Jackson non
sono i primi a essere perseguitati da questo spirito
maligno, ma sono i primi a sopravvivere. Bernice racconta
a Ebony la storia dei precedenti proprietari della casa e di come
l’intera famiglia sia stata uccisa dal demone al suo interno, che
sperava di reclamare l’anima del giovane Trey, che per primo aveva
iniziato un’amicizia con lo spirito maligno. Ora, fingendosi Trey,
il demone ha continuato la sua missione con
Andre.
Non è chiaro da quanto tempo il
demone viva nella nuova casa dei Jackson, né da quanto tempo sia
presente il buco nel seminterrato (probabilmente un portale per
l’inferno), ma sono chiare le sue intenzioni. Non vuole solo far
impazzire la famiglia, vuole che si uccidano a
vicenda, come è chiaro quando il demone usa Nate per far
quasi annegare Andre nella vasca da bagno. Allo stesso modo,
l’uccisione di Alberta, l’unica cristiana nata (anche se in
difficoltà nel vivere la sua fede) della casa, l’ha tenuta al
riparo da altri potenziali pericoli.
I demoni non sono esattamente i più
facili da eliminare, soprattutto quando hanno fatto di una
particolare abitazione la loro casa, ed Ebony Jackson lo impara a
sue spese. Con l’aiuto di Bernice James, anch’essa ministro
ordinato, Ebony porta Andre a casa loro per eseguire una
“liberazione”. A differenza dell’esorcismo
cattolico (che a volte prende questo nome), in questo caso la
liberazione invoca direttamente il potere di Gesù
Cristo, anziché passare attraverso un sacerdote, un santo o
l’autorità della Chiesa cattolica romana. Questo tipo di
liberazione deriva da ambienti più carismatici del cristianesimo
che credono nell’uso moderno dei doni dello Spirito Santo di cui si
parla in 1 Corinzi 12, come il parlare in lingue e la
guarigione fisica. Così, Bernice ed Ebony affrontano il demone da
sole, e l’operazione va bene per la metà di quanto avrebbero
sperato.
Durante il conflitto, il demone
passa dalla forma di Andre a quella di un’Alberta dall’aspetto
demoniaco, con Glenn Close che offre un’interpretazione
straordinaria, spaventosa sia per noi sul divano che per Ebony, che
vede la madre defunta di nuovo viva in una forma corrotta. Ma le
cose vanno in tilt quando il demone fugge e uccide Bernice,
non lasciando a Ebony altra scelta che portare a termine la
liberazione da sola. Nell’affrontare il demone nel
seminterrato, vicino allo stesso buco da cui è strisciato fuori,
Ebony – che è prima contorta e tormentata dall’angelo caduto
– invoca il nome di Gesù per essere liberata, e le sue preghiere
vengono presto esaudite. Lo spirito maligno, che a questo punto ha
preso le sembianze di Ebony, perde il suo potere ed è
costretto a tornare da dove è venuto.
Prima di morire, Bernice si premura
di dire a Ebony di non avere paura. La Bibbia ci dice di “non avere
paura” in 365 occasioni, una per ogni giorno dell’anno, e Bernice
sottolinea questo fatto con il suo ultimo respiro. Anche se ha
fallito nella sua missione, lasciando che la paura si insinuasse
nel suo cuore, esorta Ebony a mettere da parte la paura di
perdere i suoi figli per l’influenza del demonio, e
persino la morte, e ad avere invece fede che Dio la libererà. Come
dice Giacomo 4:7, solo quando ci si sottomette a Dio si può
resistere efficacemente al diavolo. Alla fine, Ebony fa esattamente
così e la sua famiglia viene salvata.
La liberazione della famiglia
Jackson è più di quanto si possa immaginare
Sei mesi dopo, con l’aiuto di
Cynthia, Ebony ottiene di nuovo la custodia dei suoi
figli. Ma soprattutto, si dimostra una donna cambiata dopo
la sua esperienza soprannaturale. Quando si è incontrata con
Bernice prima della liberazione, Ebony si è confrontata con la dura
realtà di dover ricevere Gesù Cristo come suo Signore e Salvatore
per combattere questa battaglia spirituale. Sebbene non fosse
sicura di potersi impegnare con Dio, ritenendo di essere troppo
avanti con gli anni, Bernice le spiegò che non si trattava di un
impegno transazionale. Consegnare la sua vita a Cristo non
significava solo liberarsi del demone, ma doveva essere un vero
e proprio cambiamento del cuore che avrebbe cambiato radicalmente
la sua prospettiva sul mondo. Quando è costretta a eseguire la
liberazione da sola, vediamo che Ebony inizia
miracolosamente a parlare in lingue sconosciute, che in
alcuni ambienti cristiani è considerato un segno esteriore che una
persona è stata battezzata dallo Spirito Santo. Solo dopo aver
ricevuto questo dono, il demone viene effettivamente scacciato e la
famiglia Jackson viene liberata da questo male.
Essendosi veramente impegnata nella
fede, la Ebony che vediamo alla fine del film è ben lontana dalla
donna troppo aggressiva ed enfaticamente insicura che vediamo
all’inizio. Non incolpa più gli altri per i suoi problemi, non
picchia più i suoi figli e non impreca come un marinaio, ma ha
messo da parte le sue tendenze alla rabbia e alla dipendenza in
cambio dell’appagamento e del perdono che ha trovato in Cristo. Per
molti versi, La liberazionenon
riguarda solo l’esorcismo di un demone dai figli dei Jackson, ma
anche la liberazione di Ebony dalla paura alla fede e il
modo in cui trasformare e migliorare se stessa è l’unico modo in
cui la sua famiglia può rimanere veramente unita. Questi temi di
guerra spirituale dimostrano che il soprannaturale non è l’unica
battaglia (né gli angeli caduti sono gli unici demoni) che i
cristiani devono affrontare. Spesso è il nemico interiore che è
più difficile da sconfiggere, ed è solo battendo se stessa – da qui
il motivo per cui il demone prende le sembianze di Ebony – che la
nostra eroina riesce alla fine a vincere.
Quando la famiglia Jackson torna a
Philadelphia, riunita dopo mesi di lontananza, Ebony è una donna
cambiata. È sobria di mente e di corpo, sta migliorando le
circostanze della sua vita e sta cercando di riconciliarsi con il
marito che l’ha abbandonata. Sebbene a volte il film fatichi a
decollare, è il finale pieno di speranza del film – che
dimostra che la liberazione del titolo non riguardava solo
Andre, ma anche l’anima mortale di Ebony – a far sì che il
film sia all’altezza. Non sappiamo cosa succederà alla famiglia
Jackson, ma sappiamo che affronteranno le sfide insieme, con una
madre che ora vuole essere la donna che è chiamata a essere.
L’enorme progetto Netflix annunciato nel 2014 ha finalmente trovato il
suo compimento in The Defenders, disponibile dal
18 agosto. La serie tv co-prodotta dalla piattaforma insieme alla
Marvel ha messo insieme i quattro
eroi che ci sono stati presentati nel corso degli ultimi anni:
Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron
Fist.
Il progetto
Alla base del progetto c’è,
ovviamente, il modello cinematografico del MCU in cui dopo aver presentato
tutti i vendicatori nell’arco di un paio di anni con svariati film,
arriva il film/serie collettiva che fa incontrare i personaggi e
forma il super team destinato a salvare New York. In pieno stile
Netflix però la serie non ha paura di
sporcarsi le mani, mettendo in scena violenza e sangue, un pizzico
di tensione sessuale, e dinamiche interpersonali molto più
realistiche e colorite rispetto a quelle viste al cinema in tanti
anni di Universo Condiviso.
Le ragioni sono semplici: il cinema
con un esborso di molto superiore si prefigge di raccogliere un
pubblico ampio, costituito prevalentemente di giovani e
giovanissimi spettatori. Per una questione di target invece, lo
show può permettersi queste incursioni di temi Rating R che
consentono anche al prodotto di avere più sostanza.
Pur avendo le carte in regola e il
potenziale per mettere in piedi uno show convincente, The
Defenders cade sui punti dolenti delle serie che lo hanno
preceduto. Non è infatti un caso se le trame legate a
Daredevil sono le migliori, mentre, in ordine
decrescente di carisma, l’appeal dello show scema da
Jessica Jones, passando per Luke
Cage fino a Iron Fist.
La genesi
Nei fumetti Marvel, i Difensori
(The Defenders) sono formati da Doctor
Strange e sono composti dallo Stregone Supremo stesso,
con Hulk e Namor il Sub-Mariner.
Le necessità di avere alcuni dei protagonisti della squadra
originale nel reparto cinema, ha spinto la Marvel a realizzare il progetto,
ancora una volta vincente dal punto di vista produttivo, di quattro
serie parallele (da cui è poi nata l’esigenza, per acclamazione
popolare, di una serie spin off su The Punisher),
che convergono adesso in questo quinto prodotto: un ibrido che
tenta di mettere insieme i toni e le storie dei quattro
protagonisti, che con il proprio trascorso arrivano quasi tutti
preparati a questo appuntamento.
Il team
A differenza degli Avengers, la loro squadra si forma per caso.
Sono quasi dei teppistelli di strada che per una fortuità casualità
conoscono tutti la stessa infermiera (Rosario
Dawson), che sempre per caso li mette insieme. Non c’è
Nick Fury, quindi, a strutturare la squadra, e
quindi non c’è nemmeno il nome ufficiale. Non sentiamo mai la
parola Difensori o Defenders, ma più di una volta viene detto da
Matt Murdock o da Danny Rand che è importante “difendere la città”.
La battaglia per Hell’s Kitchen o per Harlem diventa quindi
allargata all’intera città, da sempre, sia nei fumetti che nel
cinema, location prediletta per i cattivi di tutti i tempi, punto
di partenza per piani distruttivi.
I
villain
Il nemico contro cui si scontrano i
nostri è, ovviamente, La Mano, affrontata già da Iron
Fist e da Daredevil (con le funeste
conseguenze per Elektra), che torna nel
dispiegamento di tutte le sue “dita”. Se ogni singolo personaggio
ha la sua aria di influenza e la sua Nemesi, Alexandra Reid,
interpretata da Sigourney Weaver, è la leader del gruppo,
colei che guida le operazioni e che confida nell’arma finale della
Mano stessa: Black Sky. Nei fumetti Marvel il personaggio è un
misterioso assassino, nello show è Elektra rediviva, risuscitata
dalla Mano e da Alexandra in persona, per compiere la missione
finale: conquistare il pugno di Iron Fist.
Il cast
E proprio nelle fondamenta della
trama che The Defenders trova il suo punto più
debole. Nonostante il vistoso impegno, a differenza di
Charlie Cox,
Kyrsten Ritter e Mike Colter, il
ricciuto Finn Jones non ha il carisma per mettere
in scena un combattente credibile e il suo ruolo centrale nel
racconto ne mina la credibilità. È lo stesso tallone d’Achille che
aveva anche il suo show standalone! Discorso diverso vale per gli
altri attori: la Ritter riesce sempre a conquistare la scena con i
suoi occhi grandi, le sue gambe lunghe e i tagliente sarcasmo,
mentre Colter, forte dell’innegabile presenza scenica, si mostra
efficace più come spalla o componente di un gruppo che in
solitaria.
Cox è invece il veterano, il
responsabile per il personaggio più strutturato, colui che ha il
maggiore coinvolgimento emotivo nella storia e quello che, grazie
anche a due stagioni da solista, ha il posto più largo nel cuore
dei fan. A lui viene affidato il ruolo di riluttante guida, è lui
l’unico a conservare una identità segreta, almeno per gli abitanti
di New York, lui è colui che abbraccia il suo fato e che davvero
coltiva dentro di sé una doppia personalità, così come è stata
doppia la vita che ha condotto fino alla fine della sua seconda
stagione. Il Diavolo di Hell’s Kitchen viene constretto a
rimettersi in gioco, nonostante le paure, i timori e le promesse,
ma scopre che il suo ritorno nei vicoli bui del quartiere di New
York è accolto con gioia e selvaggio piacere da lui stesso.
L’unione fa la forza
La serie parte con molta calma,
ricostruisce i suoi percorsi e fotografa i quattro protagonisti
nella loro condizione del momento, per poi portarli pian piano
insieme, tanto che soltanto alla fine del terzo episodio si trovano
tutti insieme a combattere per la stessa causa, spalla a spalla. A
metà serie quindi arriva la svolta, si forma il team, ritorna anche
il personaggio si Stick, fondamentale per Daredevil e in questo
caso per la missione intera, ma si pongono anche le basi per i
grandi misteri che, considerati tali, si risolvono sempre in una
nuvola di fumo. La Mano, i suoi scopi, le Dita, l’immortalità, la
distruzione di NY: sono tutti elementi ricorrenti, fondativi
potremmo dire, che però sono posti su basi molto fragili e confuse.
E probabilmente in questo risiede il poco appeal dello show in
generale.
Trai pregi di The
Defenders c’è da considerare soprattutto la presenza della
Weaver che conferma una presenza scenica inossidabile, solidità
nella recitazione anche di fronte a script fallaci, una gravitas da
diva in carriera che sembra far impallidire il resto del cast. A
lei vanno aggiunti i volti noti delle quattro serie tv precedenti
che però, con l’eccezione dell’infermiera Claire, la Nick Fury di
turno potremmo dire, e di Colleen Wing, fungono principalmente da
accessori. Sono loro i “cari” che ogni personaggio rischia di
perdere se si mette contro la Mano, la componente di “debolezza”
che ogni eroe buono ha agli occhi del cattivo, nel più canonico e
rassicurante dei racconti.
Lo stile delle otto diverse puntate
è il risultato di otto diversi punti di vista, dal momento che ogni
episodio ha la sua mano di regia. Questa scelta non inficia però
l’unità linguistica dello show che si rivela prevalentemente coesa,
soprattutto nella rappresentazione confusa, concitata, violenta
degli scontri a mani nude. Le nocche sanguinati, i calci, i pugni,
il dolore (anche quelli di Luke Cage), dimostrano la fallibilità
bellissima di questi eroi da piccolo schermo, la vicinanza alla
fragilità umana, smascherano così il loro comune denominatore,
l’elemento che li lega agli spettatori che fanno il tifo per loro,
sempre incerti sull’esito degli scontri.
The Defenders, l’eroismo
in streaming
Con un inizio tiepido e una seconda
parte incalzante, The Defenders non risparmia
momenti di puro eroismo e di grandi emozioni, rivelandosi
leggermente inferiore alle sortite in solitaria di
Daredevil, ma rispecchiando lo spirito del
progetto e regalando momenti di godibile televisione, in streaming
ovviamente.
In The Deep Blue
Sea Hester è sposata con un giudice della corte suprema e
vive tutti i privilegi che la sua vita fortunata le offre nella
Londra degli anni ’50. Il suo equilibrio borghese viene a spezzarsi
quando incontra Freddie, ex pilota della RAF, affascinante ma
profondamente segnato dalla guerra. Hester lascia il marito per
farsi travolgere dalla passione che prova per Freddie, ma non tutti
amano allo stesso modo e con intenti comuni, e l’effimera, nuova
felicità di Hester si scontrerà presto con la dura realtà e con i
turbamneti di Freddie.
L’amore è un sentimento universale,
profondo e talvolta distruttivo, soprattutto quando a
sovrastare il sentimento è la passione folle e cieca verso qualcuno
che sappiamo non potrà mai renderci felici. Hester è un’eroina
romantica, abbandona tutto per il suo folle amore, e rifiuta la
salvezza quando le viene offerta dal legittimo marito, uomo degno
di fiducia e rispetto ma, a quanto pare, rappresentante di quelle
relazioni borghesi e ipocrite dalle quali Hester fugge.
Terence Davis ci porta con quante delicatezza in
questo mondo così sospeso, fatto di musica e attese, di canti
popolari che rievocano la guerra non troppo lontane e di colori
cupi e caldi, a sottolineare i caratteri oscuri e passionali dei
protagonisti. I lunghi silenzi, i delicati movimenti di macchina e
le interpretazioni misurate e delicate fanno di The Deep
Blue Sea un film ricercato, elegante, forse troppo sospeso
per permettere allo spettatore più svogliato di farsi seguire con
attenzione.
Il volto di Hester è quello
bellissimo, anche nella sofferenza, di Rachel Weisz, donna incredibilmente intensa e
capace di far passare con una recitazione sempre contenuta grandi
cariche emotive. Insieme a lei Simon Russell Beale e il bravissimo
Tom Hiddelston. Lui è Freddie, l’amante che
dimentica il compleanno, che ama molto la sua compagna ma che
riesce a vivere anche saenza di lei. E proprio questa sarà la
ragione del definitivo crollo di Hester, la diversa ‘quantità’ di
amore che i due investono nella storia sarà alla fine determinante
per il destino di entrambi.
The Deep Blue Sea
è una silenziosa riflessione sulla coppia, sulla passione,
sulla diversità dell’amore che ci coglie improvvisamente e
che per qualcuno è fatale.
Empire ha pubblicato la prima foto
di The Deep Blue Sea, film tratto dall’omonima opera teatrale e
diretto da Terence Davies, in cui Rachel Weisz e Tom Hiddleston
interpretano due amanti nell’Inghilterra degli anni ’50… …nella
foto vediamo proprio i due protagonisti in un momento di
intimità.
Netflix invita cordialmente gli spettatori
alla festa più irriverente del XIV secolo, tra
giovani nobildonne dagli abiti preziosi e copricapi discutibili,
affascinanti gentiluomini lussuriosi, serve ribelli e pericolosi
mercenari. Diretta da Mike
Uppendahl (American Horror Story),
The Decameron catapulta il pubblico nel lontano
1348, quando la campagna italiana è tormentata dalla peste nera e
pericolosi furfanti. In questo orribile scenario, alcuni nobili e i
loro servitori sono invitati a rifugiarsi nella lussuosa e
incantevole villa fiorentina del ricco e misterioso Leonardo.
Nel tentativo di sfuggire alla
morte, dieci persone si ritrovano così, tra inganni e menzogne, a
convivere sotto lo stesso tetto nella speranza di
sopravvivere alla pestilenza e alle brutalità del mondo
esterno. Tra loro ci sono la viziata e caparbia Filomena
(Jessica Plummer) con la sua audace ancella
Licisca (Tanya Reynolds, nota per Sex
Education), la pudica e religiosa Neifile (Lou
Gala) con il suo intelligente marito Panfilo
(Karan Gill), il debole e fastidioso Tindaro
(Douggie McMeekin) e il suo arrogante medico
Dioneo (Amar Chadha-Patel). A questi si aggiungono
l’egoista e manipolatrice Pampinea (Zozia Mamet) e
la sua fedelissima serva Misia (Saoirse-Monica
Jackson), la saggia cuoca Stratilia (Leila
Farzad) e, infine, Sirisco (Tony Hale),
l’attento custode della villa e fedele amministratore di Leonardo,
che organizza in segreto questa curiosa vacanza.
Creata da Kathleen Jordan (autrice di
Teenage Bounty Hunters) e Jenji Kohan (Orange is the New
Black) e liberamente ispirata alle novelle trecentesche
del Decameron di Giovanni Boccaccio, la serie è
composta da otto episodi di circa un’ora ciascuno
ed è disponibile dal 25 luglio su Netflix.
Alzi la mano chi, dopo aver visto il
trailer, ha nutrito scetticismo e titubanza riguardo all’arrivo di
questa commedia dark ispirata a uno dei
grandi capolavori della letteratura italiana. Sebbene sia distante
anni luce dal controverso Decameron di Pier Paolo Pasolini
e dal Maraviglioso Boccaccio
dei Fratelli Taviani, la nuova serie Netflix riesce a
catturare lo spirito dell’opera originale,
reinterpretandola in una chiave moderna e con un
messaggio attuale.
The Decameron, con
il suo stile attraente e melodrammatico tipico delle soap
opera, si ispira ai racconti di Boccaccio per ricreare
metaforicamente l’atmosfera incerta, caotica e
folle che ha caratterizzato i primi due anni della
pandemia di Covid. L’ambientazione nel XIV secolo, con i suoi
giovani e frivoli nobili, serve tanto fedeli quanto ribelli e
mercenari dal colpo di spada facile, funge da specchio
delle paure e delle speranze che solo fino a pochi mesi fa
soggiogavano le nostre vite. Raccontando di bevute nelle campagne
toscane, sesso sfrenato, religione, trasgressione, inganno e
avidità, la serie riflette dunque le tensioni sociali e personali
emerse durante la pandemia, evidenziando soprattutto nei giovani
quel profondo desiderio di evasione dalla realtà e di carpe
diem.
Eros e lotta di classe
Ma nelle campagne fiorentine dipinte
da Kathleen Jordan, follia e terrore non sono le uniche emozioni
che riecheggiano nell’aria. Il dramedy
boccacciano, infatti, dedica ampio spazio al tema
dell’eros, analizzato ed espresso nei suoi molteplici
volti: l’amore coniugale ed extraconiugale, quello omosessuale e
platonico, così come quello fraterno e materno. Attraverso
storie d’amore sfortunate e strappalacrime,
The Decameron tenta non solo di offrire un ampio
catalogo sentimentale che, sullo sfondo della peste nera, mette in
luce l’eros nella sua diversità e vulnerabilità, ma anche di
esplorare la complessità delle relazioni umane, dimostrando come
l’amore possa essere una forza motrice fondamentale in tempi di
crisi.
Tra tutte le storie, quella di
Neifile e Panfilo si distingue come l’amore più sincero e
romantico, pur essendo privo della stessa passione,
perdizione e sensualità che caratterizza la maggior parte degli
altri. Un legame, così profondo e sincero, da ricordare le
tragedie shakesperiane, con un finale che evoca la stessa
intensità emotiva e drammatica. Oltre al tema amoroso
(caratteristico dell’opera originale), la serie affronta anche
la questione della lotta di classe sociale. Ciò
che nel primo episodio appare come un festino scatenato e mal
organizzato evolve, nel corso della serie, in una lotta per
la sopravvivenza intrecciata a una bramata rivendicazione
sociale.
È così che sono messe in luce le
differenze di potere, evidenti non solo tra nobili e popolani, ma
anche tra uomini e donne, mostrando le tensioni e le ingiustizie
che caratterizzano una società frammentata e arcaica (ma non
troppo). In un contesto di emergenza come quello della peste, in
cui nessuno è risparmiato per la propria dote o ricchezza, i
personaggi – nobili e servitori – si ritrovano rinchiusi insieme e
costretti a confrontarsi con una realtà dura e implacabile,
arrivando persino a rinegoziare i propri ruoli e
relazioni. Esplorando temi di potere, privilegio e
resistenza, The Decameron arricchisce il dramma
romantico con un potente e attuale affresco
sociale, affiancato da una sottile e pungente critica.
Con una miscela di black
humor, dramma in costume e un pizzico di grezzo
romanticismo, The Decameron si presenta su Netflix
come un prodotto camp, goliardico e leggero,
capace di bilanciare con originalità l’eredità del passato
con il dinamismo del presente. Sebbene alcuni dialoghi
possano risultare ripetitivi e banali, la serie di Kathleen Jordan
riesce a catturare l’attenzione del pubblico, conquistato
soprattutto dalla trama familiare e dal cast variegato e
talentuoso, reso iconico dai meravigliosi costumi firmati dalla
premiata Gabriella Pescucci.
The Decameron
affronta, infine, il rischio di reinterpretare una grande
opera classica, un’impresa che potrebbe suscitare dissensi
tra letterati e tradizionalisti. Tuttavia, riesce a superare questa
sfida con successo, sfruttando con abilità il contrasto tra
l’eleganza storica e l’energia contemporanea, e offrendo
un’esperienza visivamente accattivante e narrativamente
coinvolgente. Tutte queste qualità rendono dunque The
Decameron un’aggiunta affascinante e interessante al
panorama televisivo contemporaneo.
Netflix ha
rivelato la data di uscita di The Decameron per la
sua prossima serie drammatica storica. The
Decameron è un dramedy storico in stile soap che cerca di
esaminare i temi della divisione in classi, della lotta per il
potere e della sopravvivenza in tempo di pandemia, con personaggi
allo stesso tempo ridicoli e sfortunati.
Il dramma d’epoca è interpretato da
Zosia Mamet, Saoirse-Monica Jackson, Tanya Reynolds, Amar
Chadha-Patel, Leila Farzad, Lou Gala, Karan Gill, Tony Hale,
Douggie McMeekin e Jessica Plummer. Oltre alla data di
uscita, Netflix ha rilasciato anche una manciata di
foto della serie in arrivo, con l’anteprima di alcuni dei
protagonisti.
Siamo nella Firenze del 1348
tormentata dalla peste nera quando alcuni nobili con servitù al
seguito accettano un invito a rifugiarsi nel lusso di una maestosa
villa nella campagna toscana e attendere la fine della pestilenza.
Ma mentre le convenzioni sociali si sgretolano, quello che è
iniziato come un gioco scatenato di sesso e alcol si trasforma in
una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
The Decameron vede
Jenji Kohan nel ruolo di produttrice esecutiva con
la sua Tilted Productions, insieme a Blake McCormick e Tara
Herrmann sempre per Tilted Productions. Kathleen Jordan è
ideatrice, showrunner e produttrice esecutiva. Michael Uppendahl è
regista di quattro degli otto episodi e produttore esecutivo.
Quando uscirà The Decameron?
La data di uscita di The
Decameron è stata fissata per luglio 2024, quando arriverà
la serie creata da Kathleen Jordan (Teenage Bounty Hunters).
Di seguito le nuove foto di
Decameron: The Decameron è un dramedy storico in stile soap che
cerca di esaminare i temi della divisione in classi, della lotta
per il potere e della sopravvivenza in tempo di pandemia, con
personaggi allo stesso tempo ridicoli e sfortunati. Siamo nella
Firenze del 1348 tormentata dalla peste nera quando alcuni nobili
con servitù al seguito accettano un invito a rifugiarsi nel lusso
di una maestosa villa nella campagna toscana e attendere la fine
della pestilenza. Ma mentre le convenzioni sociali si sgretolano,
quello che è iniziato come un gioco scatenato di sesso e alcol si
trasforma in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Kathleen Jordan è creatrice,
showrunner e produttrice esecutiva della serie. Jenji Kohan (Orange
is the New Black), Blake McCormick e Tara Herrman sono anche
produttori esecutivi tramite Tilted Productions. Tra i registi
della serie c’è Michael Uppendahl (Fargo, American Crime
Story).
The Decameron vede Jenji Kohan nel
ruolo di produttrice esecutiva con la sua Tilted Productions,
insieme a Blake McCormick e Tara Herrmann sempre per Tilted
Productions. Kathleen Jordan è ideatrice, showrunner e produttrice
esecutiva. Michael Uppendahl è regista di quattro degli otto
episodi e produttore esecutivo.
The
Decameron (la
nostra recensione) di Kathleen Jordan si
ispira all’omonima
raccolta di racconti italiani del XIV secolo di
Giovanni Boccaccio. Proprio come i tempi che
cattura, The Decameron di Netflix
racchiude nelle sue pieghe molto caos e incertezza nella
sua stagione di otto episodi. Incentrata sulla regione italiana di
Firenze, colpita dall’ira della peste nera, la dark comedy
medievale si concentra su un gruppo di nobili e i loro
servitori invitati nella campagna di Villa Santa, di
proprietà del visconte Leonardo (Davy Eduard
King), per salvarsi dalla pestilenza mortale che sta
colpendo le aree più popolate. Quando gli stimati ospiti
raggiungono il rifugio di campagna, si rendono conto che il loro
ospite è scomparso.
Al posto di Leonardo, il suo
attendente Sirisco (Tony Hale) deve gestire
il palazzo e gli ospiti, che sono arrivati tutti con i loro piani
egoistici. Con la morte intorno, una serie di eventi caotici si
susseguono in questa commedia dark di Netflix, sollevando un interrogativo sulla
sopravvivenza di tutte le persone coinvolte.
Di cosa parla The Decameron di
Netflix?
Nella Firenze del 1348, la peste
bubbonica continua a consumare tutti coloro che la raggiungono.
Fortunatamente, alcuni nobili e i loro servitori si salvano quando
ricevono un invito dal generoso Visconte Leonardo, che ha invitato
i suoi amici più stretti e la sua famiglia nel suo rifugio di
campagna, chiamato Villa Santa.
L’elenco degli ospiti del
TheDecameron comprende la fidanzata
di Leonardo, Pampinea (Zosia Mamet) e la sua
fedele ancella Misia (Saoirse-Monica Jackson), la
coppia di nobili Panfilo (Karan Gill) e Neifile
(Lou Gala), il ricco nobile Tindaro
(Douggie McMeekin) e il suo medico Dioneo
(Amar Chadha-Patel), sospettosamente sexy, e la
cugina di Leonardo, Filomena (Jessica Plummer) e
la sua serva Licisca (Tanya Reynolds).
Mentre l’intendente Sirisco e la cuoca di Leonardo (Leila
Farzad) iniziano subito a far sentire gli ospiti a casa,
cercano di nascondere un segreto ai loro ospiti. Quando gli ospiti
arrivano a Villa Santa, Leonardo è già stato consumato
dalla peste. Tuttavia, Sirisco e Stratilia non riescono a
mantenere il segreto a lungo e, non appena la notizia della morte
di Leonardo si diffonde, si scatena una lotta per il controllo
della villa tra gli ospiti, con Pampinea, promessa sposa di
Leonardo, tra i principali contendenti.
Chi è il legittimo erede di
Villa Santa?
Dopo aver costretto Misia a
uccidere il cugino di Leonardo, Ruggiero (Fares
Fares), Pampinea scopre un altro erede della proprietà
di Leonardo, il figlio illegittimo di Leonardo con Stratilia:
Jacopo (Aston Wray). Alla fine, i tentativi di
Pampinea di incastrare Stratilia come strega e di darle fuoco
falliscono quando Sirisco e i suoi nuovi amici (i contadini del
villaggio) tornano a prendere il controllo della villa.
Nel trambusto che ne deriva,
Pampinea riesce a nascondersi in cucina. Nel frattempo, l’annuncio
di Panfilo della morte di Neifile cade nel vuoto. La decisione di
Neifile di rimanere nella villa con il bel cugino di Leonardo,
Ruggiero (Fares Fares), e i suoi amici costa la
vita alla devota donna, che viene contagiata dalla pestilenza.
Prima dell’episodio finale del Decameron si verificano
alcuni importanti sviluppi. Misia e Filomena realizzano ed
esprimono il loro amore reciproco, mentre Stratilia
rifiuta la proposta di Tindaro di corteggiarla. Jacopo convince la
madre Stratilia a non partire e a reclamare Villa Santa per lui
come legittimo erede.
L’evento culminante del
Decameron si verifica quando Panfilo scopre che un
gruppo di mercenari, incontrato in precedenza da
Filomena e Licisca sulla strada, si sta dirigendo verso la
villa per saccheggiare la residenza di Leonardo. Nel
tentativo di scoraggiare i mercenari, il gruppo di ospiti decide di
consegnare la dote di Pampinea per cercare la loro sicurezza.
Tuttavia, il piano fallisce quando Misia consegna furtivamente la
dote a Pampinea poco prima di essere cacciata dalla villa dagli
altri. Subito dopo, Licisca si rifiuta di perdonare Filomena per
averle nascosto di essere in realtà la sorella di Filomena. La
rabbia di Licisca si aggrava ulteriormente quando scopre, grazie a
Filomena, che suo padre Eduardo (John Hannah) non
era morto di pestilenza e che Filomena aveva mentito sulla sua
morte per costringere Licisca a venire con lei a Villa Santa. Alla
fine, Licisca conclude che perseguirà il suo percorso di libertà e
decide di lasciare la villa. Ma prima che Licisca possa lasciare la
tenuta, scopre che i mercenari sono arrivati al cancello.
Chi vive e chi muore nel finale
del Decameron?
Trovando l’opportunità di fare un
accordo con i mercenari, Pampinea offre al loro comandante, Eric
(Matt Patresi), la sua dote in cambio della
consegna della villa. Tuttavia, Eric tradisce Pampinea e ordina ai
suoi soldati di uccidere tutti. I tentativi degli ospiti di
difendere la villa sono vani e Tindaro viene pugnalato da Eric.
Fortunatamente, Panfilo uccide Eric in una dimostrazione di
coraggioso eroismo. Ma la morte di Eric non fa desistere i
mercenari, ora guidati dal loro monaco (Daniele
Natali), dal devastare la villa. Nel frattempo, Filomena
affronta Misia per aver aiutato Pampinea con la dote e aver tradito
gli altri, nonostante il trattamento scortese di Pampinea nei
confronti di Misia. Inizialmente, sembra che Misia sia vittima del
suo amore malsano per Pampinea. Ma in un colpo di scena finale,
Misia intrappola Pampinea in un barile con la promessa di
sicurezza e dà fuoco al barile. Con Pampinea destinata a
ridursi in cenere insieme al barile, Misia se ne va con un senso di
ritrovata libertà e di autonomia. Sembra che Misia si sia
finalmente liberata dalle catene della sua servitù psicologica nei
confronti di Pampinea.
Nei momenti finali del
Decameron, i mercenari devastano la bella Villa Santa
mentre gli ospiti fuggono per salvarsi dalla brutalità degli
assalitori. Dando prova di grande coraggio e audacia, Panfilo e
Tindaro si sacrificano per aiutare gli altri a fuggire dalla villa.
Panfilo, con un po’ di sollievo, giace accanto all’amata Neifile
nei suoi ultimi istanti di vita. Alla fine del Decameron,sopravvivono solo Sirisco, Filomena, Licisca, Misia,
Stratilia e Jacopo, insieme a quattro abitanti del
villaggio, i quali decidono di separarsi da Sirisco, con suo grande
disappunto, dopo la disgrazia che ha portato nelle loro vite
altrimenti felici.
Il finale del
The Decameron segna una trasformazione
nella vita dei sopravvissuti, che hanno tutti vissuto una vita da
servi, tranne Filomena, che sa cosa si prova a essere una serva
dopo essersi scambiata per un breve periodo con Licisca. Tutti i
nobili hanno ceduto alle nozioni errate di avidità, onore e
gerarchia sociale. Nonostante le continue sofferenze per ottenere
il controllo della villa in vari momenti, solo quando i personaggi
si liberano dal loro desiderio si rendono conto del vero
significato e della felicità che deriva dalla vita. Per tutti i
personaggi, il viaggio è stato un viaggio di autorealizzazione e di
scoperta di sé e non solo di sopravvivenza. Il finale di
The Decameron commenta anche la
fragilità della nobiltà, che raramente sopravvivrebbe senza coloro
che guarda con orgoglio dall’alto in basso. Così, nei suoi ultimi
minuti, The Decameron cattura
i personaggi sopravvissuti che abbracciano il dolore, la
sfortuna, la compagnia e l’amore che li circonda mentre
scambiano storie e risate tra loro.
Tenetevi stretti i vostri cuori e
le vostre sacre reliquie, gente, perché la storia sta per diventare
molto più calda. Dopo il successo di successi estivi come
Bridgerton
–
Stagione 3 e My Lady Jane di Prime Video, Netflix
offre al pubblico la sua ultima dose di drammi d’epoca con l’uscita
questa settimana di The Decameron(la
nostra recensione). Creata da Kathleen
Jordan e prodotta dalla creatrice di Orange is
the New Black JenjiKohan,
l’ultima serie dello streamer promette tutta la lussuria
peccaminosa e l’umorismo anticonformista che hanno contribuito a
rendere popolare il genere, con un cast di personaggi dissoluti
guidati da Tony Hale e Tanya
Reynolds di Sex
Education.
Tuttavia, anche se l’estetica
medievale e le stranezze d’altri tempi potrebbero far pensare il
contrario, parte di ciò che rende la serie di Jordan così unica è
il fatto che The
Decameronnon
è, in realtà, basato su una storia vera. La serie
trae molta ispirazione dal Decameron di Boccaccio che
raffigura l’intera società del tempo, integrando l’ideale di vita
aristocratico, basato sull’amor cortese, la magnanimità e la
liberalità coi valori della mercatura: l’intelligenza,
l’intraprendenza, l’astuzia.
Ambientato nella campagna italiana
del 1348, The
Decameronsegue
un gruppo di eccentrici nobili italianiche si
ritirano in una villa di campagna per sfuggire alla peste
bubbonica che colpisce la città di Firenze. Accompagnati dalla loro
sontuosa servitù e dai loro beni, questi aristocratici si
rallegrano presto della loro opulenta escursione, ingozzandosi di
banchetti e pettegolezzi per evitare un periodo di pestilenza
dilagante. Come mostra il trailer della serie, tuttavia, il piacere
del cast aristocratico di The Decameron contrasta
con la condizione dei soggetti comuni, richiamando l’attenzione
sulla disuguaglianza al centro del periodo feudale della serie.
Sebbene Jordan non basi la sua storia su un rigoroso resoconto
storico, la serie trae ispirazione da un materiale di
partenza ancora più accattivante.
The
Decameron di Netflix è liberamente basato su un
classico omonimo
Prendendo il nome dallo stesso
classico letterario che ne ispira la premessa, la nuova serie di
Netflix è basata approssimativamente sul Decamerone di
Giovanni Boccaccio, una raccolta di
racconti pubblicata dall’abile autore fiorentino a metà del XIV
secolo. Come la serie di Jordan, il libro ruota attorno a
sette donne aristocratiche e tre uomini che si rifugiano in
campagna per sfuggire alle strade infestate dalle malattie di
Firenze; alla fine il gruppo decide di raccontarsi storie per
passare il tempo e incorniciare la raccolta di Boccaccio. Nel corso
di dieci giorni – lasso di tempo che dà il titolo al
Decameron di Boccaccio – i nobili in fuga affrontano
una varietà di temi ed evocano storie tanto romantiche quanto
scandalose, con il gruppo che alla fine impara a vivere le
incertezze del loro periodo orribile attraverso la narrazione.
Nel corso del tempo, la raccolta di
Boccaccio è diventata un punto fermo della storia letteraria,
grazie soprattutto alle circostanze uniche e alla varietà dei suoi
racconti. Nel Decameron, il gruppo di nobili
sceglie ogni sera un re o una regina per determinare il tema della
serata, a cui solo il membro più sensazionale del gruppo, Dioneo,
spesso si sottrae; in seguito, ogni membro della festa può
dare il proprio tocco ai festeggiamenti narrativi della
notte. Il risultato è un intreccio selvaggio di 100
cronache che spaziano da racconti cavallereschi a storie
deliziosamente sconce, come la risposta piena di insinuazioni di
Dioneo al tema della fortuna perduta e recuperata del personaggio
Neifile. In una raccolta piena di monache corrotte, ingannatori
diabolici, amori condannati e altri punti fermi della narrazione
medievale, l’equilibrio tra rettitudine morale e depravazione
conferisce al Decameron un tono rinfrescante, onesto ed
esilarante.
The
Decameron è stato originariamente ispirato da
problemi del mondo reale
Al di là di come si sentono le
storie nel loro complesso, tuttavia, l’onestà del contenuto
narrativo di Boccaccio agisce come un intrattenimento più che
ludico per i personaggi principali del Decameron. Incapaci
di ignorare la dura realtà di vivere in un periodo di peste, i
personaggi di Boccaccio nel Decameron introducono
elementi più realistici nei loro racconti man mano che la raccolta
progredisce, allontanandosi dalle alte favole di cavalieri
e dal lussurioso simbolismo religioso a favore di ritratti crudi
dell’ambiente sociale del gruppo. Non solo la peste nera
viene citata in più storie, ma anche le storie successive sono
ambientate a Firenze e in tutta la Toscana, a volte anche prendendo
in giro i corrotti della legge, come un giudice locale. Poiché
Boccaccio stesso fu indubbiamente esposto alle terribili
conseguenze della peste sui suoi concittadini, il
Decameron permette allo scrittore di catturare l’inquietudine
e il terrore del suo periodo, creando al contempo una premessa
simpatica per la società moderna.
Essendo una raccolta fondata su un
gruppo di persone che lottano per coesistere all’ombra di
un’epidemia incombente,Il
Decamerondi Boccacciopossiede diversi parallelismi perspicacicon il mondo di oggi. Essere costretti a trovare
il modo di passare il tempo in una quarantena ristretta è
un’esperienza purtroppo assimilabile per quasi tutti coloro che
hanno vissuto le chiusure dei primi anni 2020, mentre la costante
minaccia di un virus potenzialmente fatale è fin troppo familiare
per coloro che sono ancora vulnerabili ai peggiori sintomi della
COVID-19. Inoltre, la gerarchia sociale introdotta nel libro è
un’altra cosa: il gruppo di persone che lottano per coesistere
all’ombra di un’epidemia incombente.
Inoltre, la gerarchia sociale
introdotta e interrogata in tutto il Decameron richiama
l’attenzione su come la disuguaglianza fiorisca in tempi di crisi.
Analogamente a come il racconto di Edgar Allan
Poe “La maschera della morte rossa” illustra come la
ricchezza possa mettere al riparo gli aristocratici dagli aspetti
più brutali di una crisi comunitaria, il Decameron ritrae
i nobili che si allontanano dalla condizione dei popolani,
mostrando una disuguaglianza feudale che sembra aver avvicinato
Kathleen Jordan al racconto di Boccaccio.
Netflix non è la prima – e nemmeno
la più nota – entità a trarre ispirazione dal Decameron.
Nei secoli trascorsi da quando la popolarità del libro si diffuse a
partire da Firenze, i luridi racconti di Boccaccio hanno
influenzato opere letterarie iconiche come i Racconti
di Canterbury di Geoffrey
Chaucere un’opera
teatrale di William
Shakespeare,Tutto è bene quel che finisce
bene. Il Decameron ha anche ispirato alcuni
poeti romantici inglesi, come John Keats, e
Netflix non è nemmeno la prima volta che Boccaccio appare a
Hollywood. Il regista Jeff Baena ha adattato
alcune delle storie del primo giorno del gruppo nella villa del
Decamerone per la sua commedia del 2017, The
Little Hours, ma l’adattamento di Jordan a queste
storie classiche è destinato a diventare il più ampio e
moderno dell’opera di Boccaccio.
Mescolando elementi della
narrazione preesistente con una maggiore attenzione ai temi sociali
del Decamerone , la nuova serie di
Netflixè destinata a onorare il materiale di
partenza e ad ampliare la rilevanza delDecamerone. Jordan ha
già abbracciato il tono eccentrico del libro dando ai personaggi
della serie il nome delle loro controparti, tra cui Dioneo e
Neifile e innumerevoli altri personaggi del capolavoro di
Boccaccio. Inoltre, mettendo in evidenza i personaggi della servitù
della storia nel trailer dello show ed esaminando il loro ruolo nel
Decameron attraverso una lente più moderna, Jordan intende
usare il suo formato lungo a suo vantaggio, approfondendo le
complessità della disuguaglianza del 1300 con più tempo di schermo
di quello che Baena aveva a disposizione. Anche l’adattamento
di Mike Flanagan de La caduta della casa degli
Usher ha già dimostrato come il formato di
Netflix possa essere efficacemente utilizzato per la narrazione
antologica all’interno di una cornice narrativa, ponendo le basi
per la creazione da parte di Jordan di una propria interpretazione
unica del classico di Boccaccio.
Senza basarsi troppo sui fatti
storici o sulla vivida narrativa di Boccaccio, The
Decamerondi Netflix è quindi il raro pezzo
di media che fonde il meglio di entrambi. Ispirata
all’innovativa visione di Giovanni Boccaccio sulla vita
privilegiata in un’epoca di peste, la serie di Jordan si basa su
un’eredità di narrazione sfaccettata e stratificata che racchiude
più generi e commenta direttamente le circostanze sociali di quella
che è ormai un’epoca storica. Le tragedie e la quarantena dei
personaggi di Boccaccio si riferiscono direttamente agli spettatori
dei giorni nostri e, in qualità di creativa al timone dell’ultimo
adattamento de Il Decamerone , Jordan si propone di dare
un tocco personale a questo classico italiano, combinando le
intuizioni sociali della letteratura con le buffonate di
Bridgerton. Con una premessa
comica e un cast esilarante, il Decameron sembra pronto a
regalare al mondo una storia davvero divertente e attuale.
Dei tanti film d’azione di serie B
prodotti ogni anno – come ad esempio White Elephant o
Castle Falls – ce ne sono alcuni che, riusciti ad ottenere
un certo seguito e successo, hanno poi ottenuto anche il via libera
ad un sequel. È il caso di The Debt
Collector, film del 2018 di cui è poi stato realizzato il
seguito The Debt Collector – Il ritorno nel
2020. L’ex stuntman Jesse V. Johnson,
autore di film cult di questo genere come Triple
Threat, Missione Vendetta e Savage Dog,
torna dunque alla regia anche di questo sequel, riportando in scena
i personaggi già comparsi nel precedente film.
Naturalmente prende qui vita
un’avventura tutta nuova che spinge sull’acceleratore dell’azione e
del divertimento, offrendo sequenze d’azione magnificamente
coreografate e colpi di scena capacit di tenere viva l’attenzione.
Con questo sequel, si rinnova inoltre la lunga collaborazione tra
Johnson e l’attore ScottAdkins,
giunti qui al loro ottavo film insieme. Un film che non manca di
soddisfare ogni appassionato di questo genere, realizzato da
maestri di questa tipologia di opere capaci di restituire molto con
poco.
Grazie al suo passaggio televisivo,
è ora dunque possibile recuperare questo film, sfortunatamente
passato in sordina per via della pandemia da Covid-19. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori, ma anche in ciò che accadeva nel
precedente lungometraggio. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Cosa accade in The Debt Collector
Nel film del 2018 facciamo la
conoscenza di French, un artista marziale che per
sbarcare il lunario accetta un lavoro come esattore della mafia. Fa
di tutto per dare la caccia alle persone che devono soldi a
Tommy, finché non incontra un barista che lo
spinge a chiedersi se sia il caso di fare la cosa giusta. French,
che ha bisogno di soldi per pagare i suoi debiti e chiede l’aiuto
del suo socio, scoprirà sulla sua pelle che in questo mondo non può
fidarsi di nessuno. Ben presto, si troverà dunque a dover lottare
per rimanere vivo.
La trama di The Debt Collector – Il
ritorno
In questo sequel ritroviamo
French, l’istruttore di arti marziali, alle prese
con l’ex pugile Sue. I due utilizzano la loro
irruenza e la conoscenza delle arti marziali per portare a termine
missioni ad alto rischio. L’obiettivo, questa volta, è un casinò di
Las Vegas, la cui losca proprietaria ha un debito di diversi
milioni di dollari. A complicare la situazione vi è però un boss
della droga che vuole fare la pelle a French e quando i due soci si
ritrovano inseguiti dai suoi scagnozzi, capiranno di dover tirare
fuori tutte le loro competenze per lottare contro i nemici e
salvarsi la vita.
Il cast del film
Ad interpretare l’artista marziale
French vi è nuovamente l’attore ScottAdkins, noto principalmente per aver interpretato
il lottatore russo Yuri Boyka nella serie Undisputed ma
visto anche in X-Men le origini: Wolverine nel ruolo dell’Arma XI e
in John Wick
4 nel ruolo di Killa Harkan. Adkins è un artista marziale
nella realtà e pratica discipline come il judo, taekwondo e
kickboxing sin da ragazzo. Ha dunque eseguito personalmente tutte
le scene di combattimento presenti nel film e in cui il suo
personaggio è coinvolto, senza ricorrere dunque all’uso di
controfigure.
Accanto a lui si ritrova
Louis Mandylor, nuovamente nel ruolo di Sue.
L’attore è noto per aver recitato anche in Rambo:
Last Bloode Memory.
Vladimir Kulich, noto invece per il film
The Equalizer – Il vendicatore, riprende qui il ruolo del
boss della criminalità Tommy. Marina Sirtis è Mal
Reese, mentre Ski Carr interpreta Molly X.
Completano poi il cast Josef Cannon nel ruolo di
Evo, Jermaine Jacox nel ruolo di Darius e
Vernon Wells nel ruolo di Cyrus Skinner.
Il trailer di The Debt
Collector – Il ritorno e dove vedere il film in streaming
e in TV
Sfortunatamente il film non è
presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive
in Italia. È però presente presente nel palinsesto televisivo di
venerdì 30 agosto alle ore 21:20
sul canale Rai 4. Di conseguenza, per un limitato
periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai
Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il
momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma,
completamente gratuita, per trovare il film e far partire la
visione.
Arrivano online i primi 10 minuti
del documentario sul film mai realizzato dedicato a
Superman, che avrebbe visto nei panni del
protagonista Nicolas Cage. Si tratta di
The Death of
‘Superman Lives’: What Happened? che racconta
i retroscena del film del 1997 mai realizzato da Tim
Burton.
The Death of Superman
Lives: What Happened?è l’atteso documentario
che ripercorre la storia di uno dei più ambiziosi progetti
cinematografici dedicati al celebre supereroe DC. Ecco il trailer
del film:
Superman
Lives arrivava dopo l’insuccesso dei primi quattro
film interpretati da Christopher Reeve. Il
progetto era uno dei tanti che perveniva alla Warner
Bros per continuare o cominciare da capo la saga dedicata
a Superman. La sceneggiatura di Poirier aveva
impressionato non poco la Warner Bros e fu poi corretta da
Kevin Smith per attenersi ancor di più al
fumetto. L’antagonista del film avrebbe dovuto essere un
ragno gigante, mentre nella storia erano presenti alcune novità,
come la figura di Brainiac, che combatteva contro un orso polare ed
era accompagnato da un robot di nome L-Ron, definito con entusiasmo
dal produttore “una specie di R2-D2 gay”, mentre Lex Luthor era in
possesso di un cane spaziale.
Per la regia, dopo la rinuncia di
Robert Rodriguez, fu assunto niente meno che
Tim Burton, che era già stato al
lavoro per l’altro celebre eroe dei fumetti DC, Batman. Nicolas Cage avrebbe invece dovuto
interpretare Superman e già erano stati approcciati anche altri
grandi attori per i ruoli più importanti, come Kevin
Spacey nei panni di Lex Luthor. Nel giugno 1997 il film
entrò in preproduzione e le riprese furono fissate per l’inizio del
1998.
La Warner, in seguito, ritenne lo
script troppo costoso e assunse Dan Gilroy per
riscrivere la sceneggiatura. Il budget passò, dunque, da 190 a 100
milioni di dollari. Nonostante l’abbassamento dei costi il progetto
fu bloccato, e Tim Burton abbandonò
definitivamente il film per dedicarsi a Sleepy
Hollow. Altri registi furono considerati per la
sostituzione, ma nel 2000 anche Nicolas Cage abbandonò il progetto,
per cui furono spesi inutilmente 30 milioni di dollari e che non
sarebbe più riuscito a decollare.
Nonostante le prime recensioni non
abbiano riportato i pareri sperati, il nuovo film di Xavier
Dolan, The Death and Life of John F.
Donovan, il primo in lingua inglese del regista canadese,
è stato presentato al Toronto International Film
Festival.
Di seguito, ecco il video in cui
Dolan presenta il suo film, definendolo una ispirazione alla sua
vita e a quando, ad appena 8 anni, scrisse una lettera da fan al
suo idolo di allora, Leonardo DiCaprio.
Di seguito la trascrizione della
lettera, pubblicata da @TIFF_NET.
Ancora, di seguito, grazie a
Zimbio, le foto della presentazione e
dell’incontro con il pubblico e la stampa di Dolan e di parte del
suo cast: Emily Hampshire, Thandie Newton, Kit
Harington e Sarah Gadon.
Pochi mesi fa Xavier
Dolan aveva annunciato di aver composto un cast del tutto
eccezionale per il suo debutto in lingua inglese dal titolo
The Death and Life of John F.
Donovan. Protagonisti della pellicola,
infatti, saranno Jessica Chastain, Natalie
Portman, Nicholas Hoult, Kit
Harington, Susan Sarandon, Kathy
Bates, Thandie Newton e ultima
Bella Thorne.
Proprio quest’ultima, in una
recente intervista, ha rivelato di aver accettato la parte senza
nemmeno leggere la sceneggiatura, perchè affascinata di
interpretare la sorella di Jessica Chastain. Ecco
le parole di Bella Thorne.“Attualmente girerò
un film chiamato John F. Donovan e giuro su Dio che non ho mai
letto la sceneggiatura, non l’ho neppure mai vista. Il regista è
Xavier Dolan, uno dei registi più talentuosi, ed io interpreto la
sorella di Jessica Chastain.”
Il film sarà una parabola sulla
fama, il successo e Hollywood vista attraverso gli occhi di un
attore trentenne che intraprende una corrispondenza con un
ragazzino di undici anni.
In esclusiva su Vanity Fair sono stati diffusi
altri due character poster di TheDeath and Life of John F. Donovan, il debutto in
lingua inglese di Xavier Dolan, che vede
protagonisti Natalie Portman e Jacob
Tremblay.
Alla rivista, Xavier
Dolan ha raccontato che Tremblay sarà un giovane fan
ossessionato da John Donovan (Kit Harington),
mentre Natalie Portman interpreterà la madre del
ragazzino.
Guarda le prime foto da set
di The Death and Life of John F. Donovan
Nel cast del film compaiono Kit
Harington, Jessica
Chastain, Natalie
Portman, Susan
Sarandon, Kathy Bates, Ben
Schnetzer, Michael Gambon, Bella
Thorne, Thandie Newton, Chris
Zylka, Jacob Tremblay e
Emily Hampshire. Una serie di nomi davvero
impressionanti per il giovane prodigio nordamericano.
La storia verte intorno alla
carriera della star televisiva John F. Donovan
(Harington) che in un momento di crisi allaccerà una relazione
epistolare con Rupert Turner, un aspirate attore
che vive in Inghilterra con sua madre. Questa corrispondenza però
lede la carriera di John dopo che è stata resa pubblica. Dopo dieci
anni, Rupert avrà la possibilità di incontrare il suo idolo.
Continuano le riprese dal set
di The Death and Life of John F. Donovan, il
primo film in lingua
inglese di Xavier Dolan, che vede schierato per
lui un cast di stelle di prim’ordine.
Le prime foto dal set di
The Death and Life of John F. Donovan
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Nel cast del film compaiono Kit
Harington, Jessica
Chastain, Natalie
Portman, Susan
Sarandon, Kathy Bates, Ben
Schnetzer, Michael Gambon, Bella
Thorne, Thandie Newton, Chris
Zylka, Jacob Tremblay e
Emily Hampshire. Una serie di nomi davvero
impressionanti per il giovane prodigio nordamericano.
La storia verte intorno alla
carriera della star televisiva John F. Donovan
(Harington) che in un momento di crisi allaccerà una relazione
epistolare con Rupert Turner, un aspirate attore
che vive in Inghilterra con sua madre. Questa corrispondenza però
lede la carriera di John dopo che è stata resa pubblica. Dopo dieci
anni, Rupert avrà la possibilità di incontrare il suo idolo.
Via Instagram,
Xavier Dolan ha diffuso il primo poster
di TheDeath and Life of John F.
Donovan, il suo debutto in lingua inglese, che vede al
centro della scena Jessica Chastain.
Guarda le prime foto da set
di The Death and Life of John F. Donovan
Nel cast del film compaiono
Kit
Harington, Jessica
Chastain, Natalie
Portman, Susan
Sarandon, Kathy Bates, Ben
Schnetzer, Michael Gambon, Bella
Thorne, Thandie Newton, Chris
Zylka, Jacob Tremblay e
Emily Hampshire. Una serie di nomi davvero
impressionanti per il giovane prodigio nordamericano.
La storia verte intorno alla
carriera della star televisiva John F. Donovan
(Harington) che in un momento di crisi allaccerà una relazione
epistolare con Rupert Turner, un aspirate attore
che vive in Inghilterra con sua madre. Questa corrispondenza però
lede la carriera di John dopo che è stata resa pubblica. Dopo dieci
anni, Rupert avrà la possibilità di incontrare il suo idolo.
UPDATE
La Lucky Red ha appena
condiviso la versione italiana del poster del film, che da noi si
intitolerà La mia vita con John F. Donovan. Eccolo
di seguito:
È stato finalmente diffuso il primo
trailer di The Death and Life of John F. Donovan,
il nuovo film di Xavier Dolan, il primo in lingua
inglese del regista canadese.
Nel cast del film compaiono Kit
Harington, Natalie
Portman, Susan
Sarandon, Kathy Bates, Ben
Schnetzer, Michael Gambon, Bella
Thorne, Thandie Newton, Chris
Zylka, Jacob Tremblay e
Emily Hampshire. Una serie di nomi davvero
impressionanti per il giovane prodigio nordamericano.
La storia verte intorno alla
carriera della star televisiva John F. Donovan
(Harington) che in un momento di crisi allaccerà una relazione
epistolare con Rupert Turner, un aspirate attore
che vive in Inghilterra con sua madre. Questa corrispondenza però
lede la carriera di John dopo che è stata resa pubblica. Dopo dieci
anni, Rupert avrà la possibilità di incontrare il suo idolo.
Ha scelto Instagram, Xavier
Dolan, per annunciare che il tanto
chiacchierato The Death and Life of John F.
Donovan, suo primo film in lingua inglese, sarà presentato
in anteprima al Toronto International Film Festival
2018, il prossimo settembre.
Il film, che si sapeva non sarebbe
stato a Cannes ma che si aspettava a Venezia, sarà quindi
presentato in Canada, alla presenza del regista e del cast al
completo (presumibilmente).
Nel cast del film compaiono Kit
Harington, Natalie
Portman, Susan
Sarandon, Kathy Bates, Ben
Schnetzer, Michael Gambon, Bella
Thorne, Thandie Newton, Chris
Zylka, Jacob Tremblay e
Emily Hampshire. Una serie di nomi davvero
impressionanti per il giovane prodigio nordamericano.
La storia verte intorno alla
carriera della star televisiva John F. Donovan
(Harington) che in un momento di crisi allaccerà una relazione
epistolare con Rupert Turner, un aspirate attore
che vive in Inghilterra con sua madre. Questa corrispondenza però
lede la carriera di John dopo che è stata resa pubblica. Dopo dieci
anni, Rupert avrà la possibilità di incontrare il suo idolo.
Presentato alla Festa del
Cinema di Roma 2024 nella sezione Grand Public,
The Dead Don’t Hurt (I morti non soffrono) è la
seconda opera da regista di Viggo Mortensen, in
cui l’attore e regista rende omaggio ai codici del western, a quel
romanticismo che sopravvive e trova compimento anche negli ambienti
più ostili. Senza mai allontanarsi dalle proprie inquietudini,
esplora i legami tra l’archetipo dell’antieroe nomade e la donna
indipendente e fedele a se stessa, consegnando agli spettatori un
film nello stile dei classici e al tempo stesso profondamente
personale.
The Dead Don’t Die: raccontare
l’assenza
Tutto inizia alla fine, o
quasi: assistiamo alla morte di Vivienne LeCoudy
(Vicky Krieps, già splendida ne Il filo nascosto e
Il corsetto dell’imperatrice) e, da lì, torniamo
indietro, tra flashback e sequenze oniriche che raccontano
l’incontro della donna con l’uomo che chiama affettuosamente per
cognome, il danese Holger Olsen (Viggo
Mortensen). I due si innamorano e vanno a vivere nella
nella fattoria isolata di quest’ultimo, che è un falegname.
Si tratta anche di una storia molto
personale per il regista stesso, in quanto dedicata alla madre:
Grace Gamble Atkinson, con la quale la
protagonista ha dei parallelismi: Vivienne Le
Coudy sfida la società dell’epoca rompendo con le
abitudini prevalenti. Rifiuta di sposarsi, vuole guadagnarsi i
propri soldi per non dipendere da nessuno e sceglie come compagno
un uomo che si distingue dagli altri. Si tratta, come dicevamo, di
Holger Olsen, un immigrato danese che incontra a
San Francisco. Non volendo rinunciare alla sua indipendenza,
Vivienne accetta di viaggiare con lui per stabilirsi vicino alla
tranquilla cittadina di Elk Flats, che comincia a prosperare, e
dove iniziano una vita insieme.
Quando arrivano in questo luogo di
frontiera senza nome, oltre al loro tranquillo amore per le case di
legno e gli odori della natura, troveranno un subdolo sindaco
(Danny Huston), un potente rancher (Garret
Dillahunt) e il suo violento figlio (Solly
McLeod). Quando il tranquillo Holger
parte per combattere nella Guerra Civile, Vivienne
rimane sola di fronte al pericolo: proprio l’intrattabile Weston
che ha messo gli occhi su di lei. Quella che segue è una storia
tanto ortodossa nei modi quanto senza tempo (e quindi moderna)
nelle forme e nelle trame, che risuona nella brutalità del
presente
Il western come il luogo “impreciso” dell’avventura
In quella che è la sua seconda opera
da regista dopo il melodramma familiare
Falling, l’attore, opta per una storia
costruita dalla memoria dei suoi protagonisti e, in un certo senso,
dai ricordi di ciascuno degli spettatori: in fin dei conti, il
West, più che coincidere con punto cardinale o un genere
cinematografico specifico, indica il luogo impreciso
dell’avventura, del nuovo, di ciò che è ancora da scoprire. Non
occupa un posto sulla mappa perché appare congiuntamente alla
frontiera, al limite esatto dell’ignoto. Denomina ciò che ancora
non ha nome: per questo è uno spazio selvaggio, e per questo
appartiene a tutti.
Vicky Krieps in The Dead Don’t Hurt – Courtesy of Marcel
Zyskind
Il punto di vista di chi
rimane
È interessante che Viggo
Mortensen faccia un passo indietro per lasciare che il suo
western si affidi al personaggio femminile, un omaggio a coloro che
hanno aspettato il ritorno dell’eroe. Nel vecchio West americano,
aspettare significava muoversi in modo diverso: rendere fertile una
terra arida, creare legami con la comunità, crescere un figlio in
solitudine e, soprattutto, non nutrire false illusioni. Forse la
decisione di sceneggiatura più discutibile di The Dead
Don’t Hurt – l’improvvisa partenza di
Holger per combattere con gli Yankees nella Guerra
Civile – è anche la più saggia: con un pudore in linea con la
serenità del film, il laconico eroe si riserva un lungo momento
fuori campo che offusca il suo peso drammatico per sublimare la
luce femminile in un western che non si accontenta di essere
neoclassico.
È infatti Vivienne
a controllare la propria storia, a prendere decisioni rischiose, a
cercare di gestirsi autonomamente in un mondo in cui non è del
tutto comprensibile che una donna faccia certe cose. E mentre il
film va avanti e indietro tra i due protagonisti, il peso emotivo
della storia è su di lei: si può sapere fin dall’inizio qual è il
suo destino, ma il viaggio consiste nel capire le scelte che farà
prima di arrivarci.
In apertura di Cannes
2019, presentato in Concorso, The Dead don’t
Die è il nuovo film di Jim Jarmusch,
che sulla carta si presentava come un instant cult. Uno zombie
movie hipster, apparentemente stralunato, che piuttosto che seguire
la lezione vincente di Shaun of the Dead o dei
classici di Romero, traccia una propria strada,
perfettamente in linea con lo stile del suo autore.
Siamo a Centerville, “un posto
davvero carino”, come recita l’insegna all’ingresso della
cittadina, un luogo comune di ogni piccolo centro ddella provincia
americana, con una tavola calda, un motel, una stazione di benzina,
una centrale di polizia, un carcere, tutti i “luoghi comuni” nel
senso stretto della parola, che caratterizzano questi centri
abitati. I protagonisti sono una coppia di poliziotti, Cliff e
Ronnie (Bill
Murray e Adam Driver); i due, di pattuglia, si
accorgono che gli strumenti elettronici sono in tilt. La causa è il
fracking polare che ha spostato l’asse di rotazione della Terra,
una motivazione scientifica che però dà inizio all’apocalisse
zombie, evento che sembra non sorprendere troppo il razionale
Ronnie.
Gli zombie di The Dead
don’t Die sono esattamente come la storia del cinema ce li
ha raccontati prima, solo che non fanno eccessivamente paura, sono
piuttosto degli stereotipi delle abitudini e dei vizi della società
contemporanea, non solo dell’America Trumpiana, una società pigra,
spinta dall’inerzia. E questo sembra essere il ritmo del film
stesso, che procede lentamente come i nostri amici zombie, per i
quali non si può non provare simpatia, soprattutto se sono
interpretati da Iggy Pop. Il nodo, se così
possiamo chiamarlo, del film di Jarmusch arriva proprio nella
contrapposizione tra la volontà di raccontare la contemporaneità,
senza farlo con la dovuta cattiveria, e la tranquillità con cui il
regista traccia un ritratto con toni apparentemente svogliati ma
che risultano fedeli al suo modo di comunicare con pubblico, attori
e generi.
Il risultato è la dichiarazione,
inequivocabile, che per Jarmusch quella che stiamo vivendo noi
adesso sia già un’Apocalisse e che gli zombie siamo affettivamente
noi. La metafora, inevitabile per un film sui non morti, è
lapalissiana, forse meno incisiva di quanto il genere ci ha
mostrato all’inizio della sua storia cinematografica con Romero.
Forse c’è dell’autocompiacimento nei riferimenti meta-testuali,
nelle gag che strizzano l’occhio alla cultura pop, nello giocare a
carte scoperte con una scrittura che infrange non solo la
comunicazione tra personaggi e pubblico, ma anche quella tra
personaggio e attore che lo interpreta. Tuttavia si può comunque
godere di un sorriso compiaciuto per buona parte del film.
Certo, la sostanza sembra latitare
e il film si riduce proprio a questo, a un sorriso soddisfatto per
aver colto l’ennesima citazione, condizione che in assoluto non
rappresenta un male, ma che senza dubbio lascia una sensazione di
insoddisfazione rispetto a ciò che ci si aspetta dal regista.
Resta, del film, la bellezza di un cast che sebbene non è sfruttato
al 100% delle possibilità, regala personaggi incredibili, tra cui
spiccano quelli interpretati da Tilda Swinton e da Adam Driver.