Laura Linney andrà
ad arricchire il cast di Tartarughe Ninja
2 che si sta girando a New York. Nel sequel, diretto
da Dave Green, torneranno Megan
Fox (April),
Will Arnett (Vern
Fenwick), ma ci saranno anche delle novità, rappresentate da
Stephen Amell (Casey Jones) e
Tyler Perry (Baxter
Stockman).
Per
LauraLinney, tre volte
candidata all’Oscar e apprezzata come interprete drammatica e
protagonista di film maggiormente orientati a un pubblico
adulto, si apre una nuova fase della sua carriera che la farà
conoscere alle giovani generazioni e a una platea più trasversale.
Il suo ruolo in Tartarughe Ninja 2 resta
però top secret.
Tartarughe Ninja – Fuori dall’ombra, il
film
La Platinum Dunes di
Michael Bay, Brad Fuller e
Andrew Form tornerà a produrre il sequel Tartarughe Ninja – Fuori dall’ombra che
avrà uno script realizzato ancora dagli sceneggiatori Josh
Appelbaum e André Nemec.
Megan Foxriprende il suo ruolo
di April O’Neil insieme a William Fichtner come
Eric Sacks. Nel cast anche
Stephen Amell eLaura
Linney. Il film originale aveva tra i
protagonisti anche Will Arnett, Alan Ritchson, Jeremy
Howard, Pete Ploszek, Noel Fisher, Danny Woodburn, Johnny
Knoxville e Tony Shalhoub. Ha incassato
più di 477 milioni dollari al box office in tutto il mondo. Bebop e
Rocksteady faranno il loro debutto al cinema in questo nuovo
adattamento e con loro ci sarà anche di Krang nei panni
dell’antagonista.
Nel film Michelangelo, Donatello,
Leonardo, Raffaello tornano al cinema per combattere il più cattivo
dei cattivi, al fianco di April O’Neil, Vern Fenwick e di un nuovo
arrivato: il vigilante mascherato da gocatore di hockey Casey
Jones. Dopo la sua fuga il supercriminale Shredder unisce le
proprie forze allo scienziato pazzo Baxter Stockman e ai due
sciocchi scagnozzi, Bebop e Rocksteady, per scatenare un piano
diabolico alla conquista del mondo. Quando le tartarughe si
preparano ad affrontare Shredder e il suo nuovo team, si trovano di
fronte ad un male ancora più grande ma con simili intenzioni: il
famigerato Krang. Tartarughe Ninja – Fuori dall’ombraè
previsto in uscita il 7 luglio 2016.
Non vediamo l’ora di vedere due
attori come Bill Murray e Laura Linney insieme sul grande schermo.
Soprattutto perché è da tanto tempo che l’attrice, vincitrice di 3
Emmy Awards
Attrice di indubbio fascino e
talento, Laura Dern ha nell’arco delle sua
carriera partecipato ad alcuni tra i più importanti film degli
ultimi anni, mettendo d’accordo critica e pubblico sulle sue grandi
capacità attoriali. L’attrice è infatti considerata tra le più
brave e degne di nota della sua generazione, e a conferma di ciò vi
sono i numerosi premi che le sono stati riconosciuti durante gli
anni.
Ecco 10 cose che non sai di
Laura Dern.
Laura Dern carriera
1 I film. La
carriera cinematografica dell’attrice ha inizio nel 1908, quando
prende parte al lungometraggio A donne con gli amici. Tra
i titoli più celebri della sua carriera si annoverano poi
Dietro la maschera (1985), Velluto blu (1986),
Cuore selvaggio (1990), Rosa scompiglio e i suoi
amanti (1991), Jurassic Park (1993), Un
mondo perfetto (1993), Il dottor T e le donne (2000),
Inland Empire (2006), The Master
(2012), Wild (2014),
The Founder
(2016), Star Wars – Gli
ultimi Jedi (2017), Storia di un
matrimonio (2019) e Piccole donne (2019).
2 Le serie TV.
Particolarmente ricca è anche la carriera televisiva dell’attrice,
che negli anni ha preso parte a progetti come Recount
(2008), Enlightened (2011-2013), Drunk History
(2014), The Mindy Project (2015), The Last Man on
Earth (2017), Twin Peak (2017), e Big Little
Lies (2017-2019), dove interpreta il ruolo di Renata Klein
accanto alle attrici Reese Witherspoon, Nicole Kidman,
Shailene Woodley e Meryl Streep.
Laura Dern famiglia
3 È figlia d’arte.
L’attrice è la figlia dell’attore Bruce Dern,
celebre per i suoi ruoli in Il grande Gatsby (1975),
Tornando a casa (1979), Nebraska (2014) e The
Hateful Eight (2015), e dell’attrice Diane
Ladd, celebre invece per i suoi ruoli in Alice non
abita più qui (1974), Cuore selvaggio (1990) e
Rosa scompiglio e i suoi amanti (1991).
Laura Dern vita sentimentale
4È
stata sposata. Dopo cinque anni di fidanzamento, il 23
dicembre del 2005 l’attrice ha sposato il famoso musicista Ben
Harper, da cui ha poi divorziato nel 2013. I due anno avuto due
figli. Dal 2016 l’attrice ha invece annunciato la sua relazione con
il rapper Common. In precedenza l’attrice ha avuto importanti
relazioni sentimentali con gli attori Kyle
MacLachlan, Jeff Goldblum, e
Billy Bob Thornton.
Laura Dern premi e nomination
5 È stata nominata
all’Oscar. Per il suo ruolo nel film Rosa scompiglio e
i suoi amanti la Dern viene nominata come miglior attrice ai
Premi Oscar del 1992. Nel 2015 viene invece nominata come miglior
attrice non protagonista per il film Wild. L’attrice ha
poi vinto nel 2017 un Emmy Award come miglior attrice non
protagonista per la miniserie Big Little Lies.
Laura Dern attivismo
6 Sostiene numerose
cause. L’attrice è molto attiva nel campo della
beneficenza, e sostiene attivamente associazioni come Healthy Child
Healthy World e The Children’s Healt Environmental Coalition, che
mirano ad accrescere la consapevolezza sulle sostanze tossiche che
possono colpire la salute dei bambini.
Laura Dern Steven Spielberg
7 Spielberg le diede un
prezioso consiglio. Nel 1993 l’attrice lavorò con il
celebre regista al film Jurassic Park. Prima di girare un
primo piano del volto della Dern, Spielberg le diede un prezioso
consiglio: “Le persone ti diranno cosa dovresti fare al tuo
viso tra qualche anno. Non modificarlo mai. Il tuo volto è
perfetto, è femminile, è pieno di emozioni.” Ovviamente
l’attrice seguì il consiglio, e il suo particolare volto le ha
sempre portato fortuna.
Laura Dern Big Little Lies
8 Si è preparata a lungo per
la parte. Laura Dern è nota per la grande preparazione che
dedica ad ogni nuovo ruolo. Per interpretare Renata Klein in
Big Little Lies, l’attrice ha intervistato a lungo
numerose donne che lavorano nel settore della tecnologia, traendo
da loro suggerimenti su come ci si comporta una donna che lavora in
un settore prevalentemente maschile. Grazie al suo studio della
parte l’attrice ottenne poi numerosi riconoscimenti.
Laura Dern Diane Ladd
9 Hanno lavorato insieme più
volte. L’attrice ha condiviso la scena per ben cinque
volte con la sua reale madre, e sempre ricoprendo ruoli che avevano
un rapporto di parentela madre-figlia. I film in questione sono
Rosa scompiglio e i suoi amanti, Cuore selvaggio, La storia di
Ruth, Daddy and Them e McKlusky metà uomo e metà
odio.
Laura Dern età e altezza
10 Laura Dern è nata a Los
Angeles, negli Stati Uniti, il 10 febbraio 1967. L’altezza
complessiva dell’attrice è di 178 centimetri.
Laura Dern, Glen Powell, Anthony Mackie hanno firmato
per recitare in “Monsanto”, l’ultimo film dello
sceneggiatore e regista John Lee Hancock
(“The Blind Side”, “Saving Mr.
Banks”).
Il film segue la storia vera del
giovane e inesperto avvocato Brent Wisner (Powell), che nel 2019 ha
sposato una causa apparentemente insormontabile contro il colosso
chimico statunitense Monsanto per conto di Dewayne “Lee” Johnson
(Mackie) che ha utilizzato i migliori strumenti dell’azienda, il
noto prodotto Roundup, un pesticida di grande successo finanziario,
come parte del suo lavoro di giardiniere del liceo. Laura Dern interpreta la dottoressa Melinda
Rogers, la principale tossicologa della Monsanto Company, che
testimonia con certezza che Roundup è sicuro durante lo storico
studio sul cancro.
“Sono stato attratto da questa
vera storia contemporanea di Davide contro Golia perché l’ho
trovata drammatica, commovente, piuttosto divertente e di
fondamentale importanza nel mondo di oggi”, ha affermato
Hancock. “Le mie ambizioni sono realizzare un legal drama
intelligente, ponderato e commerciale che porti il pubblico in un
viaggio umano”.
La sceneggiatura del film è stata
sviluppata in collaborazione con la Zurich Avenue di Karl
Spoerri e scritta da Michael Wisner,
Alexandra Duparc,Ned Benson e
Hancock. Il progetto è prodotto da Moritz
Borman, Eric Kopeloff, Philip Schulz-Deyle e Jon
Levin insieme a Adam McKay e
Kevin Messick di HyperObject Industries.
“Al giorno d’oggi le storie di
“piccoli ragazzi” che affrontano enormi istituzioni sembrano poche
e rare. Sia nella vita reale che sul grande schermo. Quindi, quando
una storia avvincente e stimolante come questa arriva sulle nostre
scrivanie, ci entusiasmiamo. Perché? Perché le persone amano e
hanno bisogno di questi film. Lo hanno sempre fatto e lo faranno
sempre”, ha detto McKay, citando “Erin
Brockovich”, “Silkwood”, “La vita
è meravigliosa”, “Spotlight”, “12
Angry Men”, “Moneyball” e “Norma
Rae” come primi esempi. “Penso legittimamente di poter
elencare 200 film amati e di grande successo su persone reali che
si oppongono a difficoltà schiaccianti con solo l’equità e la
verità dalla loro parte. Quindi, facciamo il numero 201”.
Secondo The Hollywood Reporter,
Laura Dern (Wild, Jurassic
Park) è in trattative per entrare, assieme a
Michael Keaton
(Birdman), nel cast di The
Founder, film diretto da John Lee
Hancock (The Blindside).
The
Founder racconterà la storia di Ray Kroc, venditore
che si mise in società con i fratelli Richard e Maurice per
lanciare quella che sarebbe presto diventata la catena
internazionale di fast food più famosa del pianeta: la McDonald.
Hancock svilupperà una sceneggiatura realizzata da
Robert Siegel (Big Fan, The
Wrestler); il film sarà prodotto dalla FilmNation
assieme alla The Combine di Don Handfield e
Jeremy Renner.
Laura Dern
interpreterà la trascurata prima moglie di Ray, Ethel, dalla quale
l’uomo divorziò nel 1961. Prima di morire, nel 1984, Kroc si sposò
altre due volte.
L’attrice è al momento impegnata con le riprese di un film
drammatico (ancora senza titolo) per la regia di Kelly
Reichardt (Meek’s Cutoff, Wendy and
Lucy) con Kristin Stewart e
Michelle Williams. Presto sarà nelle sale
americane con 99 Homes, film presentato alla
scorsa edizione del Festival del cinema di Venezia, con
Andrew Garfield e Michael
Shannon.
L’uscita di The
Founder è prevista per il novembre 2016.
Laura Dern, Billy Crudup e
Riley Keough si uniranno a George Clooney
e Adam Sandler in
un nuovo film senza titolo di Netflix diretto da Noah
Baumbach. Baumbach ha anche scritto la sceneggiatura
insieme a Emily Mortimer e produrrà con Amy Pascal
e David Heyman.
Successivamente, sempre per Netflix, Baumbach ha realizzato White
Noise, adattato dal romanzo di Don DeLillo e
interpretato da Drive e Greta Gerwig. Ad oggi,
questo è dunque l’ultimo lungometraggio realizzato come regista da
Baumbach, che sempre però dunque pronto a tornare alla regia di un
nuovo lungometraggio di cui però, ad oggi, oltre ai due attori
protagonisti, non sono state fornite altre informazioni. Netflix non ha
infatti rilasciato commenti a riguardo per ora, ma Scott
Stuber, capo della società, aveva precedentemente
descritto il prossimo film di Baumbach come una “divertente ed
emozionante storia di adulti che arrivano all’età adulta“.
Laura Dern e Sam Neill sono stati i volti del film di
successo di Steven Spielberg del 1993
Jurassic Park rispettivamente nei panni della
paleobotanica Ellie Sattler e del paleontologo Alan Grant (insieme
allo Ian Malcolm di Jeff Goldblum).
I due personaggi si innamorano
durante il film nonostante la differenza di età di 20 anni che
esisteva tra Dern e Niell durante la realizzazione del film. Dern
aveva 23 anni quando sono iniziate le riprese e 26 quando il film è
uscito nel 1993. Niell, d’altra parte, aveva 43 anni durante le
riprese. Nessuno dei due attori era troppo preoccupato per la loro
differenza di età e la storia d’amore dei loro personaggi.
“Ho 20 anni più di Laura!”Sam Neill ha recentemente detto al Sunday
Times. “Che all’epoca era una differenza di età del tutto
appropriata per un uomo e una donna protagonisti. [Che il divario
di età fosse inappropriato] non mi è mai venuto in mente fino a
quando non ho aperto una rivista e c’era un articolo intitolato
“Old Geezers and Gals”. Persone come Harrison Ford e Sean Connery
recitavano con persone molto più giovani. Ed eccomi lì, sulla
lista. Ho pensato: ‘Andiamo. Non può essere vero.'”
“Beh, è stato del tutto
appropriato innamorarsi di Sam Neill”, ha aggiunto Dern
riguardo al divario di età. “Ed è stato solo ora, quando siamo
tornati in un momento di consapevolezza culturale sul patriarcato,
che ho pensato, ‘Wow! Non abbiamo la stessa età?’”
Durante la realizzazione di Jurassic
World – Il dominio,
Laura Dern era meno concentrata sulla sua età e
più concentrata nel garantire che il suo personaggio, Ellie
Sattler, portasse avanti la rappresentazione femminile sul grande
schermo. Dern cita Ellie nella stessa categoria di Ripley di
Sigourney Weaver del franchise
Alien come personaggi cinematografici che hanno
cambiato il punto di vista di Hollywood sulle eroine d’azione
femminili.
“È davvero commovente”, ha
detto Dern. “Molte donne nel campo della tecnologia e della
scienza indicano una somiglianza tra l’eroismo di Ellie e le donne
nel loro campo”.
Sia Dern che Neill riprenderanno i
loro personaggi nel prossimo episodio della Universal Jurassic
World – Il dominio, in uscita nelle sale italiane il 2
giugno.
Jurassic World – Il dominio, il film
In Jurassic
World – Il dominio vedrà sia Chris
Pratt che Bryce
Dallas Howard tornare nei loro ruoli. Insieme a
loro, ritroveremo anche Justice Smith, Daniella
Pineda, Jake Johnson e Omar
Sy. Laura
Dern e Sam
Neill riprenderanno rispettivamente i ruoli che
avevano in Jurassic
Park, rispettivamente la Dr. Ellie Sattler e il Dr. Alan
Grant. I personaggi sono stati visti per l’ultima volta
nel Jurassic Park 3 del 2001. Un altro eroe
originale, Ian Malcolm, interpretato da Jeff
Goldblum, ha firmato per tornare in Jurassic
World 3. Goldblum è stato visto l’ultima volta
in Jurassic World:
Il Regno Distrutto.
Il Dominio si svolge quattro anni dopo la distruzione di Isla
Nublar. I dinosauri ora vivono e cacciano insieme agli umani in
tutto il mondo. Questo equilibrio fragile rimodellerà il futuro e
determinerà, una volta per tutte, se gli esseri umani rimarranno i
predatori dominanti su un pianeta che ora condividono con le
creature più temibili della storia.
Chui Mui Tan, la
regista e protagonista di Barbarian Invasion, prima donna
protagonista del cinema malese, e Laura Citarella,
l’acclamata autrice e produttrice argentina, protagonista alla
Mostra del 2022 con Trenque Lauquen e che i Cahiers du
Cinéma segnalano come la più potente voce femminile del nuovo
cinema argentino, sono le registe 2024 del progetto “Miu
Miu Women’s Tales”. I loro film brevi saranno presentati
alle Giornate degli Autori sabato 31 agosto alla Sala
Perla del Palazzo del Casinò.
Il progetto Miu Miu
Women’s Tales nasce nel 2012 ed è un illuminato esempio di
collaborazione artistica tra due realtà diverse che condividono il
fine comune della valorizzazione del talento e della creatività al
femminile. Ogni anno Miu Miu, come Creative Partner delle Giornate
degli Autori, affida e sponsorizza a due registe la realizzazione
di un cortometraggio in cui raccontare il mondo delle donne; i
corti vengono proiettati durante la Mostra, alla presenza delle
registe e del cast.
Miu Miu Women’s Tales 2024
La proiezione è seguita
nei due giorni successivi da quattro conversazioni, ospitate
nello Spazio della Regione del Veneto all’Hotel Excelsior,
in cui ospiti internazionali del mondo dello spettacolo dialogano
con il pubblico sul proprio mestiere da un punto di vista
femminile. Tra le 90 protagoniste degli scorsi anni: Liliana
Cavani, Mira Nair, Alice Rohrwacher, Kate Mara, Sia, Hailee
Steinfeld, Agnes Varda, Dakota Fanning, Juno Temple, Kate Bosworth,
Zosia Mamet, Chloë Sevigny, Tessa Thompson, Brigitte Lacombe,
Vanessa Kirby, Nathalie Emmanuel, Carla Simón, Maggie
Gyllenhaal.
I due film di quest’anno,
parte di una collezione ormai diventata un simbolo di eccellenza
artistica, sono:
#27 I AM THE BEAUTY
OF YOUR BEAUTY, I AM THE FEAR OF YOUR FEAR di Chui Mui
Tan
Malesia, Italia, 2024,
21’
Con Jo Kukathas, Sdanny
Lee, Zhiny Ooi, Jean Seizure
Produzione: HiProduction,
Da Huang Pictures
Gita lascia il suo lavoro
in Cina e si trasferisce in Malesia. Voleva prendersi una pausa per
ripensare la sua vita. Grazie all’amicizia e ai combattimenti,
finalmente si lascia andare liberando la sua forza interiore.
#28 EL AFFAIRE MIU
MIU di Laura Citarella
Argentina, 2024,
anteprima mondiale
Con Elisa Carricajo,
Verónica Llinás, Juliana Muras, Laura Paredes, Ezequiel Pierri,
Cecilia Rainero, Rafael
Spregelburd, Guillermina
Villa Simon
Produzione: HiProduction,
El Pampero Cine
In El affaire Miu
Miu si raccontano una storia, una donna e un mistero. Una
fusione tra un personaggio, un abito e un luogo.
Laura Chiatti è una
di quelle attrici che ha contribuito a fare la storia del cinema
italiano recente grazie alle sue interpretazioni. Versatile e
brillante, l’attrice è anche un’ottima cantante e doppiatrice,
tanto da essere subito riconosciuta dal pubblico che la segue con
affetto da molti anni.
Ecco dieci cose da sapere su
Laura Chiatti.
Laura Chiatti: i suoi film
1. Ha recitato in celebri
film. La carriera cinematografica dell’attrice inizia nel
1998, quando debutta sul grande schermo in Laura non c’è,
per poi proseguire con Vacanze sulla neve (1999),
Pazzo d’amore (1999), Via del Corso (2000),
Passo a due (2005) e Mai + comeprima
(2005). In seguito, appare in L’amico di famiglia (2006),
A casa nostra (2006), Ho voglia di te (2007),
Il mattino ha l’oro in bocca (2008), Iago (2009),
Il caso dell’infedele Klara (2009), Gli amici del bar
Margherita (2009), Baarìa (2009), Io,
loro e Lara (2009), Somewhere (2010) e
Manuale d’amore 3
(2011). Tra i suoi ultimi film, vi sono Romanzo di una strage
(2012), Il peggior Natale della mia
vita (2012), Il volto di un’altra (2013),
Pane e burlesque (2014), Io che amo solo te
(2015), Il professor Cenerentolo (2015), La cena di Natale
(2016), Un’avventura
(2019), Gli infedeli (2020), Addio al
nubilato (2021) e Ero in guerra ma non lo
sapevo (2022).
2. È apparsa in molte serie
tv. Oltre che la sua carriera al cinema, l’attrice ha
recitato in molti progetti televisivi. Infatti, ha debuttato sul
piccolo schermo in Un posto al sole nel 2000, per poi
proseguire apparendo in Compagni di scuola (2001),
Carabinieri (2002), Incantesimo 7 (2004), Don
Matteo 4 (2004) e Diritto di difesa (2004). In
seguito, è apparsa in Braccialetti rossi
(2014-2015) e 1993 (2017). Inoltre, ha preso
parte anche ai film tv Angelo il custode (2001),
Padri (2002), Arrivano i Rossi (2003), Rino
Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu (2007) e Il sogno
del maratoneta (2012). Di recente ha invece recitato nella
miniserie Più forti del destino (2022).
4. Ha un profilo molto
seguito. L’attrice possiede un account personale su
Instagram che è seguito da 1,1 milioni di persone. Sul suo profilo
sono molti gli scatti e gli autoscatti che la ritraggono tra
momenti lavorativi e di svago, ma sono molte anche quelle dedicate
alla sua famiglia. Seguendola si può dunque rimanere aggiornati su
tutte le sue attività dentro e fuori dal set.
Laura Chiatti, il marito Marco
Bocci e i figli
5. È sposata da qualche
anno. L’attrice si è sposata per la prima volta il 5
luglio del 2014 con l’attore e collega Marco
Bocci. I due si erano conosciuti l’anno prima e hanno
ufficializzato il fidanzamento nel gennaio del 2014.
6. È madre di due
figli. Dall’unione con il marito Marco Bocci, l’attrice è
poi diventata madre di due figli: nel 2015 è nato il primo figlio,
Enea, mentre nel 2016 è nato il secondo figlio
della coppia, Pablo.
7. Ha avuto dei fidanzati
famosi. Prima di trovare la stabilità sentimentale con il
suo attuale marito, l’attrice ha frequentato alcuni uomini famosi.
Infatti, nel 2006 ha avuto una breve relazione con Silvio
Muccino, mentre poco dopo ha iniziato una storia con
Francesco Arca, lasciandosi nel 2009 e rimanendo
in ottimi rapporti. In seguito, ha frequentato il cestista
Davide Lamma dal 2010 al 2013.
Laura Chiatti in La cena di
Natale
8. Ha recitato di nuovo con
un suo collega. Grazie a questo film, l’attrice ha potuto
recitare nuovamente con il collega Riccardo
Scamarcio, con il quale aveva condiviso il set qualche
anno prima per il film Ho voglia di te e nel film
precedente a questo, Io che amo solo te.
Laura Chiatti in Ho voglia di
te
9. Ha contribuito alla moda
dei lucchetti. Grazie anche alla sua interpretazione in
questo film, insieme a Riccardo Scamarcio ha contribuito a lanciare
la moda di agganciare i lucchetti a Ponte Milvio, a Roma, come
gesto d’amore.
Laura Chiatti: età e altezza
10. Laura Chiatti è nata il
15 luglio del 1982 a Castiglione del Lago, a Perugia. La
sua altezza complessiva corrisponde a 166 centimetri.
Celebre attrice italiana degli anni
Settanta e Ottanta, Laura Antonelli raggiunse
grande notorietà grazie alla sua versatilità come interprete. Si
trovò infatti a percorrere generi diversi della cinematografia
nazionale, passando dalla commedia erotica al dramma e fino al film
d’autore. Con la sua femminilità, la Antonelli è diventata una vera
e propria icona, capace di far sognare intere generazioni di
spettatori. Ancora oggi, inoltre, viene ricordata come uno dei nomi
di maggior rilievo del genere che l’ha resa celebre.
Ecco 10 cose che non sai di
Laura Antonelli.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Laura Antonelli: i suoi film e la
televisione
10. Ha recitato in celebri
lungometraggi. L’attrice intraprende la propria carriera
cinematografica recitando nel film Il magnifico cornuto
(1964), e in seguito prende parte a titoli come Le
sedicenni (1965), La rivoluzione sessuale (1968),
Le malizie di Venere (1969), Il merlo maschio
(1971), e Trappola per un lupo (1972). Il film che la
consacra è però Malizia (1973), cult del cinema erotico di
quegli anni. Successivamente, prende parte ad altre note
pellicole come Sessomatto (1973), Mio Dio, come sono
caduta in basso! (1974), Divina
creatura (1975), conMichele
Placido, L’innocente (1976), Letti
selvaggi (1979), Passione d’amore (1981), di Ettore
Scola, Casta e pura (1981),
Viuuulentemente mia (1982), Sesso e volentieri
(1982), con Gloria
Guida, La gabbia (1985), Grandi
magazzini (1986), con LinoBanfi, Roba da ricchi (1987), con
Paolo
Villaggio, L’avaro (1990) e Malizia
2mila (1991).
9. Ha preso parte ad alcuni
prodotti per la TV. Nel 1988 la Antonelli compie il suo
debutto in un’opera televisiva, prendendo parte alla miniserie
Gli indifferenti, composta di due episodi e basata
sull’omonimo romanzo di Alberto Moravia, con la colonna sonora
curata dal premio Oscar Ennio Morricone. L’anno
seguente ricopre invece il ruolo di Carmen Milkovic nella miniserie
Disperatamente Giulia, composta da sei episodi e tratta
dall’omonimo romanzo di Sveva Casati Modignani. Grazie a tali
titoli, l’attrice consolida la propria popolarità anche sul piccolo
schermo, confermandosi un’attrice particolarmente amata.
8. Ha ottenuto importanti
riconoscimenti. La Antonelli non vantava soltanto un
favore di pubblico, ma anzi diversi furono i riconoscimenti che la
critica e l’industria le tributarono nel corso degli anni.
L’attrice arrivò infatti a vincere due Globo d’oro come miglior
attrice rivelazione per Malizia, nel 1974, e come miglior
attrice per Mio Dio, come sono caduta in basso!, nel 1975.
Sempre per il suo ruolo in Malizia le venne poi assegnato
anche il Nastro d’argento come miglior attrice. Nel 1981 ha invece
vinto il David di Donatello alla miglior attrice per il film
Passione d’amore.
Laura Antonelli: il marito e il
figlio
7. Si sposò molto
giovane. L’attrice è stata negli anni molto riservata
circa la propria vita privata, evitando di condividere con la
stampa dettagli a riguardo. Si sa però che si sposò molto giovane,
all’età di 24 anni con Enrico Piacentini, di professione
antiquario. Il loro matrimonio, tuttavia, fu di breve durata e
senza figli. Celebre è poi l’intensa storia d’amore che ha legato
la Antonelli al celebre attore francese Jean-Paul
Belmondo, conosciuto sul set del film Gli sposi
dell’anno secondo, e durata dal 1972 al 1980, ovvero negli
anni di maggior successo per l’attrice.
6. Ha adottato un
figlio. Se della vita sentimentale dell’attrice non si sa
molto, ancora meno sono le notizie riguardanti il figlio da lei
adottato. Questi sembra chiamarsi Germano, ma di lui non è dato
sapere molto altro. Sembra che negli ultimi anni abbia vissuto un
turbolento rapporto con la madre adottiva, tuttavia mai realmente
chiarito. Nonostante le diverse relazioni amorose, infine, la
Antonelli non ha mai avuto un figlio che fosse nato proprio da
lei.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Laura Antonelli: la sua
biografia
5. Fu esule durante la
Seconda Guerra Mondiale. Nata a Pola, città istriana
all’epoca italiana, l’attrice si ritrovò ad essere una profuga,
insieme alla sua famiglia, durante l’esodo istriano, conseguenza
della sconfitta italiana durante la Seconda Guerra Mondiale.
Insieme ai parenti, la Antonelli si trasferì così a Napoli, dove,
dopo aver frequentato le scuole superiori si diplomò presso
l’Istituto superiore di educazione fisica. Sarà proprio questa
materia che la futura attrice si ritroverà ad insegnare a Roma,
prima di dar vita alla propria carriera nel mondo dello
spettacolo.
4. Ottenne successo grazie
a Malizia. Dopo neanche un decennio di ruoli più
o meno di rilievo, l’attrice venne scelta dal regista
Salvatore Samperi per essere la protagonista
dell’erotico Malizia. Il film si rivelò un successo
straordinario, con un incasso di oltre 6 miliardi di lire, e
permise alla Antonelli di diventare una vera e propria icona. Il
suo cachet passò da 4 a 100 milioni di lire, facendo di lei una
delle celebrità più pagate dell’epoca. Lei, tuttavia, affermò di
non aver mai compreso del tutto il motivo per cui piacesse tanto,
ritrovando in sé tanti difetti.
3. Ebbe problemi con la
giustizia. Sfortunatamente, la carriera dell’interprete si
interruppe nel momento in cui, nel 1991, venne ingiustamente
accusata di spaccio di stupefacenti, essendone stati ritrovati
nella sua villa. Ci vollero 9 anni perché l’attrice venisse assolta
dalla Corte d’appello, che la riconobbe consumatrice ma non
rivenditrice. Una modifica nella legge a riguardo, infatti, non
prevedeva più il consumo come un reato. Ciò, tuttavia, finì con il
segnare irrimediabilmente la carriera dell’attrice.
Laura Antonelli e la sua
conversione
2. Si era riavvicinata alla
fede religiosa. Negli ultimi anni della sua vita l’attrice
visse profondi crisi personali, che la portarono ad allontanarsi
del tutto dal mondo dello spettacolo. Ad aiutarla
significativamente in tale periodo fu il suo riavvicinamento alla
fede e alla pratica religiosa. La frequentazione di luoghi sacri,
così, le permise di ritrovare un certo equilibrio, che le permise
di vivere in una discreta tranquillità gli ultimi anni della sua
vita.
Laura Antonelli: la morte e i
funerali
1. Laura Antonelli nacque a
Pola, il 28 novembre del 1941, ed è deceduta a Ladispoli, il
22 giugno del 2015. L’attrice morì per un infarto nella sua
abitazione, all’età di 73 anni. I funerali si tennero pochi giorni
dopo, nella chiesa di Santa Maria del Rosario, dalla Antonelli
molto frequentata. All’evento erano presenti centinaia di persone,
tra cui i numerosi amici e colleghi conosciuti nel corso della sua
carriera.
Disney+ ha diffuso il trailer
della seconda stagione di Launchpad, una
collezione di sei cortometraggi di registi provenienti da
background sotto rappresentati le cui voci uniche portano nuove
prospettive alla narrazione. Disney+ ha inoltre rilasciato
un’immagine di ciascuno di questi emozionanti cortometraggi.
La seconda stagione di
Launchpad, targata Disney, è una collezione di
cortometraggi live-action di una nuova generazione di registi.
Questa stagione vede la presenza di sei sceneggiatori, cinque
registi e una sceneggiatrice-regista provenienti da background
sottorappresentati, ai quali è stata data l’opportunità di
condividere le proprie prospettive e visioni creative. Portando
avanti l’obiettivo della prima stagione di Launchpad,
targata Disney, che era quello di diversificare i tipi di storie
che vengono raccontate dando accesso a coloro che storicamente non
l’hanno avuto, questa seconda stagione è orgogliosa di presentare
sei nuovi cortometraggi per Disney+ basati sul tema della
“connessione”.
Phillip Domfeh, Sr. Manager and
Producer of Disney Launchpad, ha dichiarato: “I
registi della seconda stagione di Disney Launchpad hanno
portato la loro narrazione a nuovi livelli, sviluppando sei storie
fantasiose e stimolanti per Disney+”. Mahin Ibrahim, Director,
RISE Creative Talent Pathways and Executive Producer, ha aggiunto:
“Non vediamo l’ora di dare a questi sceneggiatori, registi,
produttori, cast e troupe di incredibile talento l’opportunità di
mostrare la loro passione creativa e la loro eccellenza nel proprio
mestiere”.
Panavision ha nuovamente fornito le
telecamere e gli obiettivi per i sei cortometraggi originali,
mentre Light Iron, la divisione di post-produzione di Panavision,
ha fornito i servizi di produzione giornaliera, color correction e
rifinitura per tutta la seconda stagione. “Panavision e Light
Iron sono orgogliosi di sostenere gli incredibili registi di
talento della seconda stagione del programma Launchpad”, ha
affermato Kim Snyder, Panavision President and CEO. “Ci sta a
cuore dare potere agli storyteller delle comunità
sottorappresentate, fornendo loro l’accesso agli strumenti e alle
competenze che possono supportare le loro visioni creative durante
la produzione e la post-produzione”. La seconda stagione di
Launchpad, targata Disney, debutterà il 29 settembre in
esclusiva su Disney+.
Ecco una preview di Rush,
film diretto da Ron Howard sulla rivalità sportiva
nel mondo della Formula 1 tra Niki Lauda (Daniel Brühl) e James
Hunt (Chris Hemsworth). Come è successo per le prime foto dal
set e per tutte le successive, a diffondere il video è stato Howard
stesso tramite il suo account Twitter.
Ecco la trama del film: Il racconto
di una delle più celebri rivalità sportive della storia, quella tra
i piloti di Formula 1 James Hunt e Niki Lauda. Nato da un ambiente
privelgiato, carismatico e affascinante, Hunt non poteva essere più
diverso dal metodico e riservato Lauda: la loro rivalità nacque fin
dai tempi della Formual 3 e continuò per anni, fermata nemmeno dal
terribile incidente che vide protagonista Lauda nel 1976 al
Nürburgring. Il film nasce da un soggetto di Peter
Morgan, autore anche della sceneggiatura, ed è prodotto da
Ron Howard stesso con la sua Imagine Brian Grazer,
insieme a Brian Oliver della Cross Creek e
Tim Bevan e Eric Fellner della
Working Title.
A quattro anni di distanza da
Quando la notte, Cristina Comencini compie un ulteriore passo
avanti nella sua carriera e regala al pubblico italiano un film sì
sulle donne, ma anche su quell’irresistibile fascino che da sempre
appartiene al mondo del cinema. In Latin
Lover si racconta la storia delle quattro figlie,
avute da mogli diverse in altrettante parti del mondo, del grande
attore italiano Saverio Crispo (nato dalla mente della stessa
Comencini e di Giulia Calenda). In occasione del decennale della
morte di Crispo, le figlie, insieme anche alle due vedove, si
radunano nella grande casa del paesino pugliese dove l’attore è
nato. Tra conferenze stampa, proiezioni e rivelazioni notturne, le
donne del “grande divo” si affronteranno l’un l’altra in un
crescendo di emozioni e situazioni tragicomiche…
Cristina Comencini dipinge un
grande ritratto femminile a più voci, e racconta non solo “le
donne” di un grande attore di cinema (che nel film ha il volto di
Francesco Scianna), ma soprattutto l’influenza che
quel grande divo, così amato e così desiderato, ha avuto nella vita
di ognuna di quelle donne. Servendosi di un registro armonicamente
prima comico, dopo drammatico, e poi di nuovo comico, la regista
mescola consapevolmente due epoche diverse: quella più lontana,
relativa agli anni ’50 e ’60, grazie alla quale il film diventa una
vera e propria metafora sul cinema, sulle sue meraviglie ma anche
sui suoi segreti; e quella odierna, inerente alla ricerca di una
nuova identità femminile, così ben incarnata da queste figure
straordinarie che vogliono soltanto riscoprire la gioia di essere
se stesse e godere della libertà da una figura imponente che, prima
di essere un divo, era soprattutto un padre.
Il lavoro più incredibile viene
dunque fatto da un cast femminile grandissimo che include, oltre
all’intramontabile Virna Lisi (qui alla sua ultima fatica) e
alla musa di Almodóvar Marisa Paredes, nei
rispettivi ruoli delle ex mogli di Saverio, anche Angela
Finocchiaro,
Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla Viitala e
Nadeah Miranda. È a loro che Latin Lover
appartiene: alla loro spontaneità, alla loro isteria, alla loro
passione, alla loro bellezza, alle loro crisi esistenziali. Tutte
donne solo in apparenza diverse, unite nel profondo dal bisogno di
liberarsi di uno sguardo maschile che le sovrasta e le schiaccia,
per poter essere ancora felici al di là del dolore.
Tra momenti scrupolosamente
architettati e altri lasciati all’improvvisazione,
Latin Lover dimostra di conoscere la
strada e di essere capace di arrivare a destinazione. Anche se un
attimo prima è un nevrotico, acceso e divertente sguardo
sull’universo femminile, e un secondo dopo un tributo nostalgico ad
un mondo, quello del cinema, fatto di luci e di ombre, che
continuerà ad esercitare il suo fascino in eterno.
Dietro le quinte del film
Latin Lover di Cristina
Comencini, unacommedia corale che segna l’ultima
apparizione cinematografica di Virna Lisi al fianco di un cast
internazionale composto da: Marisa Paredes, Angela
Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla Viitala,
Nadeah Miranda, Cecilia Zingaro, Francesco Scianna, LLuis Homar,
Neri Marcorè, Claudio Gioè, Toni Bertorelli e Jordi
Molla.
Il film, prodotto da Lumière & CO. con Rai Cinema, arriverà in sala
il 19 marzo distribuito da 01 Distribution.
SINOSSI
Saverio Crispo, il grande attore del cinema italiano, un genio,
come lo definisce il critico Picci, è morto dieci anni fa. Le sue
quattro figlie, avute da mogli diverse in altrettante parti del
mondo, si radunano nella grande casa del paesino pugliese dove
l’attore è nato. La figlia italiana con il compagno di cui è
fidanzata clandestina. La figlia francese, con il più piccolo dei
tre figli avuti da tre padri diversi. La figlia spagnola, l’unica
sposata, con un marito impenitente traditore. E l’ultima figlia
svedese che il padre non l’ha quasi mai visto. Arrivano anche le
due vedove, la prima moglie italiana che se lo è ripreso e curato
in vecchiaia, e l’attrice spagnola che lo ha sposato ai tempi dei
western all’italiana. Nessuna delle figlie ha conosciuto veramente
il grande padre che ognuna ha mitizzato e amato nelle epoche
diverse della sua trionfale carriera. Nel mezzo dei festeggiamenti,
quando ancora è attesa la quinta figlia, l’americana riconosciuta
con la prova del Dna, irrompe invece Pedro del Rio, lo stunt che
pare conoscere l’attore meglio di chiunque altro. Tra conferenze
stampa, proiezioni, rivelazioni notturne di segreti, le donne del
grande divo rivaleggiano, si affrontano, in un crescendo di
emozioni e situazioni tragicomiche.
È stato presentato questa mattina
alla stampa italiana Latin Lover, la
nuova commedia di Cristina Comencini (Va’ dove
ti porta il cuore, La bestia nel cuore) con protagonisti
Virna Lisi, Marisa Paredes, Angela
Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Francesco Scianna e
Neri Marcorè.
Sull’idea alla base del film,
Cristina Comencini, tornata al cinema dopo ben
quattro anni dall’ultimo Quando la notte, ha raccontato:
“Per tutte noi la figura paterna è un vero e proprio mito. In
questo film si parla di un figura maschile che era sì un divo, ma
anche e soprattutto un padre. Siamo tutte innamorate di nostro
padre e lo percepiamo sempre come una figura sfuggente, che non si
conosce mai veramente. Soprattutto, è una figura che col tempo
mitizziamo. Nella vita cerchiamo sempre di liberarci dal peso che
questa figura ha nella nostra esistenza, è così accade in questo
film. In questo film le protagoniste ricercano la libertà
individuale. Vogliono liberarsi dalla figura del loro padre. Il
fatto che questa figura appartenesse al mondo del cinema ha reso
poi tutto ancora più divertente e allo stesso tempo folle. Perché
anche il cinema stesso è un po’ così”.
A proposito del cinema degli anni
’50 e ’60, la regista ha aggiunto: “Il cinema di quelli anni
era davvero mitico. E mitici erano gli attori, nel senso di veri e
propri divi. Era anche un cinema pieno di diversità. Un attore
poteva recitare in un western e subito dopo essere il protagonista
di un film più impegnato. Gli attori, in generale, non avevano
paura di rischiare. Al di là del “divismo” di un’epoca, quello che
ho voluto raccontare in questo film è l’importanza di essere se
stessi, di imparare ad esserlo, e l’importanza di riconnettersi con
la propria vita”.
Sull’importanza della femminilità
all’interno di Latin Lover, la Comencini ha dichiarato:
“Credo che al centro di questa storia vi sia la subalternità
femminile. Si tratta di una subalternità affettuosa e passionale
rispetto all’uomo. Queste donne sono sì libere, ma lo sono fino a
un certo punto, perché hanno questo legame così forte con
quest’attore che è anche però il loro ex marito o padre. E solo
quando scoprono che quest’uomo, al di là dell’attore, era una
persona fragile con tantissime problematiche, solo allora si
liberano veramente. Scoprono di essere capaci di poter vivere la
loro vita e di sentirsi libere al di là del dolore”.
Interviene Francesco
Scianna, che ha così parlato del personaggio da lui
interpretato nel film, Saverio Crispo: “Quello che Cristina mi
ha fatto è stato un regalo. È raro per un attore avere la
possibilità di interpretare vari ruoli all’interno di un solo film.
Capita in teatro, ma al cinema è più raro. Qui sono un attore che
interpreta un attore. È stato molto divertente, anche perché
Cristiana, durante le riprese, mi ha spinto molto al gioco. Ed è
forse questo che gli attori dell’epoca facevano: giocavano. Al di
là del divismo, però, quello che mi interessava cogliere di questo
personaggio era la sua umanità. È un latin lover, è vero, ma è
solo un modo di essere, uno status. Dietro tutto questo si
nascondeva soltanto un grandissimo bisogno di amore. E Saverio è un
uomo che ha sempre cercato di dare amore, nonostante tutto. Perché
credo che un grande attore, sia all’epoca ma anche oggi, sia sempre
fuori dai binari, e combatta ogni giorno per mettere d’accordo la
sua follia con tutto quello che lo circonda”.
Cristina Comencini ha poi parlato
della realizzazione del film: “All’inizio volevo ambientarlo
nella campagna romana. Poi la Puglia mi sembrava più adatta. È una
regione che ha dato tantissimo al nostro cinema. Volevo un paese
che fosse realmente tale, che trasmettesse il senso profondo di
“Italia”. Paola Comencini (la scenografia del film, ndr.) ha fatto
un lavoro straordinario. Quando abbiamo poi girato a Cinecittà, con
i tecnici che avevano realizzato i film dell’epoca e che non
vedevano l’ora di ritornare a girarli per questo nuovo film, è
stato incredibile. Credo che questo sia uno degli aspetti più
interessanti del film: mettere in scena la magia del cinema e al
tempo stesso guarda alla piccolezza dell’essere umano. La verità,
però, è che non ho mai pensato ad un dramma. Amo la commedia e
nonostante in fase iniziale di scrittura i toni erano più quelli di
una tragedia, alla fine io e Giulia Calenda (la co-sceneggiatrice
del film, ndr.) abbiamo optato per la commedia. Il film, però, ha
due anime: sfiora soltanto la tragedia, ma è molto divertente e al
tempo stesso commuove. E la cosa che più di tutte mi interessa
quando realizzo un film è mantenere lo stesso registro dall’inizio
alla fine”.
In ricordo di Virna
Lisi, scomparsa il 18 dicembre 2014, di cui Latin
Lover rappresenta l’ultima fatica, la Comencini ha detto:
“Virna manca tanto. Era un’amica. Abbiamo lavorato diverse
volte insieme. Nessuno si era accorto che stava male. Neanche lei
lo sapeva. Ci ha lasciato all’improvviso. Abbiamo lavorato
benissimo insieme anche questa volta. Una delle scene più belle
secondo me è quando la vediamo ubriaca, perché lì viene fuori tutto
il retaggio di una donna che il cinema l’ha vissuto ma lo ha anche
fatto. È così che voglio ricordarla: con le sue risate”.
Latin
Lover uscirà al cinema il 19 marzo
distribuito in oltre 300 copie da
01Distribution.
Guarda una clip del
film Latin Lover di
Cristina Comencini, una commedia
corale che segna l’ultima apparizione cinematografica di Virna Lisial fianco di un cast
internazionale composto da:Marisa Paredes,
Angela Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Pihla
Viitala, Nadeah Miranda, Cecilia Zingaro, Francesco Scianna, LLuis
Homar, Neri Marcorè, Claudio Gioè, Toni Bertorelli e Jordi
Molla.
Il film, prodotto da
Lumière & CO. con Rai Cinema, arriverà in sala il 19 marzo
distribuito da 01 Distribution.
Pronto a tagliare il traguardo
della sua VIII edizione, Laterale Film
Festival si conferma come uno degli appuntamenti più
interessanti del panorama festivaliero italiano e non solo. Un
evento culturale, promosso dall’Associazione Culturale
Laterale, che ha riscritto la storia cinematografica
calabrese e che ogni anno offre al pubblico l’opportunità di
scoprire una produzione audiovisiva vivace e coraggiosa, spesso
trascurata.
In programma nei giorni 29,
30 e 31 agosto negli spazi del Cinema San
Nicola di Cosenza, la rassegna prosegue
con passione la sua attività di diffusione di cortometraggi
d’autore. Tre giorni dedicati a proiezioni, incontri e
approfondimenti, durante i quali le dinamiche del mercato e della
competizione lasciano spazio a un confronto sincero e alla
condivisione di idee.
“Perché non serve a niente,
davvero, che tu ti tieni gli occhi spalancati” è lo
slogan, ispirato a un testo di Edoardo Sanguineti,
che identifica l’edizione 2024: un invito a socchiudere le palpebre
per immaginare nuove possibilità, inedite configurazioni del mondo.
Un’esortazione a ricercare le visioni che si celano dall’altra
parte degli occhi.
Sono 19 le opere che compongono la
Selezione Laterale 2024, 19 sguardi originali
provenienti da Austria, Brasile, Canada, Corea, Francia, Germania,
Grecia, Italia, Polonia, Portogallo, Singapore, Stati Uniti.
Impreziosiscono il cartellone i film brevi Trailer of the film
that will never exist: “Phony Wars” di Jean-Luc
Godard (presentato al festival di
Cannes del 2023), This is how a child becomes a poet
di Céline Sciamma,The Tomb of Kafka di
Jean-Claude Rousseau e Shrine di
Robert Todd.
I curatori della manifestazione
svolgono il loro compito nella convinzione che il cinema d’artista
sia ancora in grado di sviluppare sensibilità e pensiero
critico. Le forme della sperimentazione sono la linfa
vitale del panorama creativo contemporaneo e il cinema deve
essere l’invenzione di un nuovo linguaggio, non solo la ripetizione
di vecchi schemi. I film laterali sono espressione di un
processo umano, non condizionato dalla produzione industriale, e
stimolano attivamente gli spettatori coinvolgendoli in modo
autentico.
Il Laterale Film
Festival si rivela, dunque, un’occasione imperdibile per
chiunque desideri interrogarsi sulla natura e il significato delle
immagini in movimento.
L’uso dell’intelligenza artificiale
nel cinema e nella televisione è diventato un argomento scottante
negli ultimi tempi e tutti i registi o gli studios che decidono di
utilizzare questa tecnologia rischiano di subire un forte
contraccolpo da parte di coloro che ritengono che non abbia posto
nel settore e che stia rubando il lavoro agli artisti veri e
propri. Recentemente è emerso che il nuovo film horror Late
Night With the Devil include arte generata
dall’intelligenza artificiale e i registi Cameron e Colin
Cairnes hanno risposto rilasciando una dichiarazione (via
Variety).
“In collaborazione con il
nostro straordinario team di grafica e design di produzione, che ha
lavorato instancabilmente per dare a questo film l’estetica anni
’70 che avevamo sempre immaginato, abbiamo sperimentato l’IA per
tre immagini fisse che abbiamo modificato ulteriormente e che alla
fine sono apparse come brevissimi intermezzi nel film. Ci sentiamo
incredibilmente fortunati ad aver avuto un cast, una troupe e un
team di produzione così talentuosi e appassionati che hanno fatto
di tutto per dare vita a questo film. Non vediamo l’ora che tutti
lo vedano di persona questo fine settimana“.
Mentre molti sono rimasti
favorevoli al film indipendente Late Night With the
Devil, altri invitano a boicottare Late Night With
the Devil e ritengono che il fatto di dare il via libera
anche a casi apparentemente minori di utilizzo dell’intelligenza
artificiale sia un terreno scivoloso.
La star David Dastmalchian è stata interpellata sulla
controversia dell’IA durante una recente intervista e, pur
rimanendo al fianco dei registi, riconosce che la conversazione
sull’IA è “importante da fare“.
Late Night With the
Devil ha ottenuto recensioni entusiastiche da parte della
critica e attualmente si trova al 97% su Rotten Tomatoes. Questo
sicuramente attirerà il pubblico in sala, ma sarà interessante
vedere se la controversia sull’IA avrà un impatto sulla vendita dei
biglietti.
L’attore di Suicide Squad interpreta Jack Delroy,
conduttore di un fittizio varietà e talk show notturno degli anni
’70 intitolato Night Owls with Jack Delroy.
“Il film sostiene di essere
derivato da un nastro master riscoperto di un episodio della sesta
stagione dello show, trasmesso ad Halloween del 1977. Durante
questa trasmissione televisiva in diretta, si scatena il caos
quando Delroy intervista una parapsicologa (Laura Gordon) e il
soggetto del suo recente libro, una giovane adolescente (Ingrid
Torelli) che è stata l’unica sopravvissuta al suicidio di massa di
una chiesa satanica“.
Dopo una serie di horror
a bassissimo budget che hanno permesso loro di attirare
l’attenzione degli spettatori maggiormente affezionati al genere, i
fratelli Cameron e Colin Cairnes approdano a una
produzione di dimensioni leggermente superiori grazie a
Late Night with The Devil, lungometraggio che vede
protagonista assoluto quel David Dastmalchian che sta diventando un volto
sempre più iconico
del cinema dell’orrore contemporaneo.
Late Night with The Devil,
la trama
Interamente ambientato
nel 1977 durante la produzione di una puntata di noto un talk show
televisivo, Late Night With the Devil è incentrato
sull’anchorman in crisi Jack Delroy (Dastmalchian),
il quale per risollevare la sua carriera in declino e scongiurare
l’ipotesi di una chiusura dello show organizza una puntata speciale
a Halloween, dedicata all’occulto e i suoi pericoli. Tra gli ospiti
figura anche una giovane in cura da una psichiatra perché
potenzialmente posseduta da un’entità sconosciuta. Una serata già
carica di tensioni e drammi personali inizia a diventare ancor più
sinistra quando strani fenomeni cominciano a minare la riuscita del
programma…
Conoscere le regole di un
genere, prima di tutto quelle che riguardano il ritmo della
narrazione, può fare davvero la differenza tra un prodotto riuscito
e uno sbagliato. Soprattutto quando non si punta magari
sull’originalità quanto invece sull’efficacia di uno spettacolo che
punta proprio su un pubblico che conosce, accetta e apprezza quelle
regole stesse. I fratelli Cairnes riescono a rendere
Late Night With the Devil uno degli horror più
riusciti e stuzzicanti degli ultimi mesi proprio lavorando sulle
basi, a cominciare da quelle di una sceneggiatura – da loro stessi
scritta – che per almeno tre quarti di film sa costruire una
tensione crescente palpabile e potente, lavorando sulla
presentazione dei piccoli dettagli “sbagliati”, distorti, che
mettono lo spettatore in una crescente e costante condizione di
disagio.
Una estetica da tubo catodico
L’idea di mettere in
scena la vicenda attraverso un mix di found-footage e di
estetica prettamente da tubo catodico vecchio stile si rivela poi
la cornice perfetta per ovviare alle limitazioni di un budget
contenuto. Ecco allora che i possibili punti deboli del film a
livello di trucchi ed effetti speciali diventano al contrario
elementi coerenti dell’ambientazione e del periodo storico, a
cominciare dal make-up della ragazza indemoniata: una scena di
svelamento che se magari estrapolata dal contesto può apparire
dozzinale, mentre risulta seriamente terrificante quando inserita
all’interno di un live-show del 1977.
Late Night with the
Devil sembra conoscere perfettamente le proprie dimensioni
– soprattutto produttive, e non poteva essere altrimenti – ma
guarda ad esse come possibilità di “esplorare” cosa può essere
raccontato, magri anche soltanto accennato dietro la superficie
dell’immagine. Ecco allora che il lungometraggio, in particolar
modo negli ultimi venti minuti convulsi ed ipnotici, diventa quasi
una riflessione impazzita sulla comunicazione di massa,
sull’ambiguità del mezzo mediatico, sulla necessità di testare la
veridicità non soltanto dei fatti ma anche di chi lavora con e su
quei fatti. In alcuni brevi momenti è tornato alla memoria il
discorso metaforico sui media portato avanti da David
Cronenberg e il suo Videodrome, tanto per
cercare un referente ‘alto’ a cui avvicinare questo
horror. Il finale
di Late Night with the Devil potrebbe essere
percepito addirittura come troppo “coraggioso” ed oscuro, e magari
lo è. Di sicuro dissipa tutta la notevole tensione costruita in
precedenza, ma non rovina di certo l’efficacia di un prodotto a
tratti davvero esemplare quanto a lucidità di esposizione dentro i
canoni del genere di appartenenza.
Ultimo, doveroso tributo
va poi dato alla prova di David Dastmalchian, il quale costruisce scena
dopo scena un protagonista umano, umanissimo in principio che pian
piano si lascia sedurre dall’idea di un ritrovato successo,
perdendo di vista quello che sta realmente succedendo nel suo show.
Da figura in chiaroscuro, quasi dolorosa, il suo Jack Delroy
diventa il vero carnefice/vittima di Late Night with the
Devil, grazie principalmente alla verosimiglianza con cui
l’attore lo sviluppa. Finalmente un ruolo da protagonista che
questo caratterista raffinato sfrutta al meglio. Da applausi
convinti, come quelli che tutto sommato merita il film intero.
Avrebbe dovuto
partecipare al Festival di Cannes del 2020, quando l’edizione fu
annullata a causa della pandemia Covid, tra i vari film inseriti in
una selezione ufficiale virtuale e non competitiva, ma da allora il
Last Words di Jonathan Nossiter
(Sunday, Mondovino) ha continuato a
viaggiare nel circuito: da Deauville a Sitges, a partire da Il
Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca di Bologna, che dal 15
giugno lo distribuisce nei nostri cinema. Dando finalmente la
possibilità al pubblico italiano di vedere una favola profetica dal
cast importante, visto che intorno al sorprendente Kalipha Touray –
diciannovenne esordiente scoperto dal regista nel campo dei
rifugiati di Palermo – vediamo ruotare Nick Nolte,
Charlotte Rampling, Stellan
Skarsgaard e Alba Rohrwacher.
Il
cinema e la fine dell’Umanità
Solo alcuni tra gli
abitanti del Pianeta ricordati dal protagonista – e ultimo
sopravvissuto – nel suo racconto. Che dal 2086 ci riporta indietro
a due anni prima, su una Terra abbandonata nella quale non ci sono
più elettricità o macchinari e i pochi sopravvissuti al disastroso
declino dell’Umanità e alle grandi alluvioni si aggirano guidati da
una misteriosa “Chiamata“. Che da Londra a Parigi, dove
viveva con la sorella in una stanza tappezzata di film, spinge Kal
(Touray) verso Bologna, in cerca della Cineteca. Qui trova
Shakespeare, un vecchio dallo sguardo selvaggio che vive nei
sotterranei del palazzo ormai abbandonato e che lo introduce a un
mondo fatto di immagini e ricordi. Quelli stessi che i due
inizieranno a ricreare una volta arrivati in Grecia in quella che
sembra essere una comunità di uomini e donne destinata
all’estinzione.
La
profezia di Jonathan Nossiter
Come nel libro Mis
últimas palabras di Santiago H. Amigorena, la
causa dell’apocalisse sembra esser stata un virus, della tosse,
come ci dice Nossiter, che ci racconta di un mondo bagnato da un
mare rosso nel quale agli sono concessi solo cibo in polvere e un
litro d’acqua a settimana. Una favola ecologica con la quale il
regista di Washington cerca di trasmettere amore e solidarietà
anche nella catastrofe, ambientale prima di tutto, tema a lui molto
caro, vista l’esperienza accumulata nel suo orto-laboratorio in
Italia, dove coltiva centinaia di varietà di vegetali frutto della
ricerca di semi ancestrali, tramandati da generazioni.
Dove lo ha bloccato la
pandemia, a Bolsena, alla fine della lavorazione, dopo che durante
le riprese la stessa Rampling aveva convinto Nolte a non tornare
oltreoceano nonostante l’incendio della sua villa di Malibu. Una
conferma della forte comunione di intenti che ha unito tutto il
cast e dell’amore per il nostro Paese, dove è stato girato il film
– tra il Parco Archeologico di Paestum e Bologna – e che vediamo
citato a più riprese (come nel murales dedicato a Lucio
Dalla o gli spezzoni di Risate di gioia
con Totò e Anna Magnani).
Tra
memorie del passato, in fuga dal futuro
Cinema, libri, musica e
pittura sono le armi con le quali il regista sceglie di combattere,
e alle quali si affidano i momenti più edificanti in questa lunga
apologia dell’ingegno umano e della capacità creativa, anche della
Natura. Una cronaca di una morte annunciata, stando a quanto ci
viene spiegato nel prologo, che mentre non consente speranza allo
spettatore, lo lascia con un monito, e un suggerimento. Che il
regista esplicita: “il pianeta è lì, a mezzo millimetro dal
crollo totale, che può succedere dal un giorno all’altro. Ho voluto
mettere il pubblico davanti a un futuro possibile, per spingerlo a
pensare a tutte le ragioni per lottare e non ritrovarsi a quel
punto”.
Un messaggio che sarebbe
bello credere qualcuno potesse cogliere, o almeno estrapolare ed
evidenziare in una narrazione troppo prolissa e involuta, che
alterna momenti di regressione belluina e di violenza, ma che poi
insiste sulla capacità espressiva della triade di vecchie glorie
Nolte, Rampling & Skarsgaard affidandosi ai loro virtuosismi più
che privilegiare equilibrio e coerenza. Anche perché nemmeno la
rappresentazione idilliaca di una comune tanto elevata etica e
spiritualmente riesce a spazzare via la disperazione, anzi la
acuisce.
Analogamente, il
coinvolgimento intellettuale resta piuttosto fine a se stesso in
questa distopia d’autore nella quale il cinema è insieme mezzo e
fine, nella quale la vita resta sullo schermo, bidimensionale.
Almeno fino alla definitiva consapevolezza dell’inutilità di una
tanto magra consolazione e della solo apparente centralità del
racconto per la sopravvivenza della specie. Tutti elementi che
fanno di questo Last Words un film utopico fuori
tempo massimo, al quale abbandonarsi, nel quale fuggire, ma lontano
dal mondo al quale vorrebbe parlare, forse non solo
stilisticamente.
I film citati in Last Words di
Jonathan Nossiter
Tarzan l’uomo scimmia di W.S Van Dyke
(1932)
Bestia di Aleksander Hertz (1917)
Andrej Rublëv di Andrej Tarkovskij (1966)
La palla nº 13 (Sherlock Jr.) di Buster Keaton
(1924)
Metropolis di Fritz Lang (1927)
I dimenticati (Sullivan’s Travels) di Preston
Sturges (1941)
Tampopo di Jûzô Itami (1985)
Risate di gioia di Mario Monicelli (1960)
An Interview with Dennis Potter di Melvyn Bragg
(Channel 4, 1994)
L’innaffiatore innaffiato di Louis Lumière
(1895)
Un chien andalou – Un cane andaluso di Luis Buñuel
(1929)
Candy Says di Beth Gibbons (2003)
L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov
(1929)
Monty Python – Il senso della vita di Terry Jones,
Terry Gilliam (1983)
Le Squelette Joyeux di Auguste and Louis Lumière
(1898)
Ecco nuove clip da
The Last Witch Hunter– L’ultimo cacciatore di streghe, film con
protagonista Vin Diesel. Nelle clip possiamo vedere anche Rose Leslie (Downton Abbey, Il
Trono di Spade).
A seguire invece due nuovi tv
spot:
[nggallery id=1071]
The Last Witch
Hunter è diretto da Breck Eisner e
vede nel cast principale Vin Diesel, Rose Leslie,
Elijah Wood e Michael Caine. Il
film parla di un cacciatore di streghe immortale che combatte con
una potente strega per fermare una potente congrega di New York che
sta per orchestrare una piaga contro l’umanità.
Last Vegas è un
film diretto da Jon Turteltaub che uscirà nelle
sale italiane a partire dal prossimo 23 di gennaio. Un cast “reale”
che affianca sul medesimo set sei statuette e nove nomination agli
Oscar, quattro fuoriclasse che per la prima volta lavorano uno al
fianco dell’altro: Micheal Douglas,
Morgan Freeman, Kevin Kline e
Robert De Niro. Il regista e la produzione di questa
commedia dolce-amara hanno indubbiamente puntato sulla risonanza di
un cast unico per attirare spettatori al botteghino e, c’è da
scommetterci, la mossa sarà probabilmente vincente. Last
Vegas L’ultimo week-end racconta la storia di
un’amicizia, una lunga amicizia che sopravvive all’inesorabile
scorrere del tempo e soprattutto alle varie vicissitudini di una
vita. La forza dell’amicizia, più forte dell’amore per una donna o
della rabbia per antiche delusioni, è il tema centrale e che
sorregge l’intera sceneggiatura.
I quattro pezzi da 90 sembrano
parecchio divertiti ad improvvisare una sorta di competizione
reciproca e nel ritrovarsi gli uni accanto agli altri dopo intere
carriere vissute parallelamente.
Azzardando un audace parere, ci
sentiamo di indicare nel vecchio e bravissimo Freeman il più in
forma ed ispirato dei quattro: nei panni di Archie, un anziano
vedovo con problemi di cuore marcato a vista da un figlio
iper-protettivo, Freeman alterna impennate di classe cristallina a
sequenze deliziose come la scena del ballo nella festa finale, una
vera chicca. Simpatico e istrionico come sempre Kevin Kline, nella
parte di Sam, spinto dalla moglie stessa al tradimento per
ritrovare il sorriso perduto, meno coinvolto ed entusiasmante Bob
De Niro, cui personaggio richiede un contegno maggiore. Una giuria
sensibile premierebbe probabilmente il quasi settantenne Micheal
Douglas, ottimo come sempre ma dal volto ancora scavato dalla
recente malattia, fortunatamente vinta; un film che celebra il suo
graditissimo ritorno alle scene e che riconsegna al cinema uno dei
suoi interpreti più amati.
Last Vegas L’ultimo
week-end, al di là del cast stellare, non si può
propriamente considerare una versione senior di Una
notte da leoni, anche se alcune assonanze sono
innegabili. Il film di Turteltaub cerca di proporre qualcosa di
più, qualcosa di livello superiore dove ironia e sequenze al limite
del grottesco e del comico si alternano sullo sfondo di una storia
più profonda e complessa in cui si intreccia la paura di una
vecchiaia solitaria o monotona, ad un mai sopito desiderio di
godersi ancora la vita…nonostante i capelli grigi.
A poche ore dalla notizia
dell’ingresso di Michael Douglas nella commedia Last Vegas, arriva
la piacevole voce del reclutamento quasi ufficiale di Robert De
Niro per il nuovo prodotto della CBS. Last Vegas racconterà
E’ Mary Steenburgen la prima
attrice a entrate nel cast di Last Vegas: la commedia diretta da
Jon Turtletaub, vedrà protagonisti quattro autentici pezzi da 90:
Robert De Niro, Micheal Douglas, Morgan Freeman e Kevin Kline, nel
ruolo di quattro attempati amici che si riuniscono nella ‘capitale
del vizio’ per l’addio al celibato di uno di loro.
Steenburgen interpreterà Diana, la
cantante di un night club che nel corso del film sviluppa una
particolare sintonia col personaggio del prossimo sposo,
interpretato da Douglas, suscitandoanche l’attenzione di De Niro.
L’attrice originaria dell’Arkansas ha vinto un Oscar come non
protagonista nel 1980, per Melvin ed Howard (uscito in Italia come
Una volta ho incontrato un miliardario), vanta partecipazioni a
film come Ritorno al Futuro III e, molto più recentemente, The
Help, oltre ad aver avuto una parte nella più recente stagione
della serie 30 Rock.
Guarda il Trailer
italiano di Last Vegas, la nuova commedia che
mette insieme i 4 premi Oscar Robert De Niro, Michael
Douglas, Morgan Freeman e Kevin Kline per
un addio al celibato esilarante.
Ecco una serie di clip
e video dal set tratti da Last Vegas,
film diretto da Jon Turteltaub e che ha per
protagonisti quello che potremmo definire senza problemi un “poker
d’assi”: Robert De Niro, Michael Douglas, Morgan
Freeman e Kevin Kline.
I quattro amici
Billy (il premio Oscar® Michael Douglas), Paddy (il premio Oscar®
Robert De Niro), Archie (il premio Oscar® Morgan Freeman) e Sam (il
premio Oscar® Kevin Kline) si conoscono da sempre. In
occasione dell’addio al celibato di Billy, lo scapolo incallito del
gruppo, decidono di partire per Las Vegas con il proposito di
rivivere i loro giorni di gloria dimenticandosi della loro vera
età. Billy finalmente si è deciso a sposare la sua compagna
(ovviamente molto più giovane di lui). Ben presto però i quattro si
renderanno conto che la Città del Peccato è molto cambiata da come
la ricordavano.. e la loro amicizia sarà messa a dura
prova.
Last Shift è il
film del 2014 diretto da Anthony DiBlasi con
Juliana Harkavy, Joshua Mikel, J. LaRose.
La trama di Last
Shift
Jessica Loren è un giovane agente
di polizia alla quale viene assegnato, come primo incarico, di
vigilare per un’intera nottata in una stazione di polizia in
procinto di essere chiusa l’indomani mattina, la stessa stazione
nella quale alcuni anni prima suo padre era stato brutalmente
massacrato assieme ad altri colleghi durante la rivolta di un
gruppo di detenuti affiliati ad un’oscura setta satanica. La ronda
notturna inizia senza particolari problemi ma ben presto cominciano
ad accadere alcuni strani avvenimenti, tra cui un misterioso
vagabondo che si presenta alla porta della centrale e inquietanti
apparizioni che fanno capire alla giovane Jessica di non essere del
tutto sola, come se qualcuno o qualcosa la stesse aspettando per
dare il via ad un terribile e irreale gioco al massacro.
L’analisi di Last Shift
A una prima confusa e distratta
visione Last Shift potrebbe sembrare
niente di più di un grottesco remake in chiave
ortorifico-soprannaturale del capolavoro di John Carpenter
Distretto 13 – Le brigate della morte, poiché le
suggestioni narrative paiono coincidere più che evidentemente: un
protagonista isolato nel mezzo nel nulla il quale può contare solo
sulla propria forza di volontà; una minaccia incombente (qui di
matrice dichiaratamente fantasmatica) che vuole scardinare un
precario equilibrio; un’atmosfera da trincea in assedio degna di
uno dei migliori war movies di sempre.
Ebbene, espletate le più che
necessarie chiarificazione riguardo l’indubbio debito
metacinematografico della pellicola di Anthony
DiBlasi dal masterpiece carpenteriano va
oltremodo appuntato che, da qui in avanti, il racconto procede
sulle proprie solide e ben piantate quattro zampe, delineando una
narrazione tesa e ben congeniata nella quale si mescolano numerose
suggestioni provenienti da ben altri pozzi di genere, tra le quali
vanno segnalate le reminiscenze esoterico-sataniche di Sinister(2013) (tra
cui spicca la ripresa del dispositivo filmico come portale di
accesso del mondo demoniaco) così come le più nobili strizzate
d’occhio alle inquietanti apparizioni di Il sesto
senso (1999).
La grande venerazione di DiBlasi
per l’universo mostruoso e cabalistico di Clive
Baker, ottimamente dimostrato in quel piccolo gioiellino
di Dread(2012) e con
esiti molto meno felici nel pessimo Cassadaga
(2011), si fonde qui con l’imprinting di un ghost
movie che unisce alle canoniche apparizioni ectoplasmatiche in
salsa psicopatica (il tòpos dell’impossibilità di
distinguere fra sogno e realtà in stile
Gotika) la formula basica dello
slasher che prevede la concentrazione degli eventi in un
unico luogo claustrofobico dove avviene la mattanza, in una forma
perversa e postmoderna del celebre kammerspiel tedesco
infarcito di gore all’ennesima potenza.
Qui in realtà molti di questi
dettami classici vengono disattesi, iniziando dall’ambientazione in
interni della stazione di polizia, perennemente abbagliata da una
fredda e asettica luce al neon che fa risaltare il bianco perlato
delle pareti, così come la presenza di una un’unica protagonista
che si trova a dover gestire da sola l’intera schiera di oscure
presenze scaturite da un passato tutt’altro che remoto e pronte a
ghermirla nei suoi incubi più che nella vita reale (come a dire,
meno Jason e più Freddy Kruger).
Ma è proprio questo uso
anticonvenzionale dei canoni figurativi del cinema di tensione che
accresce ulteriormente la natura inquietante della narrazione, in
particolare se si tiene a mente la nutrita schiera di riferimenti
nonsense e piccoli dettagli, spesso insignificanti ma
indubbiamente disturbanti, che vengono disseminati progressivamente
nel coso della vicenda e che delineano per tutti gli ottantasette
minuti del girato un’atmosfera malsana che cresce come nebbia e si
deposita su ogni inquadratura, ritardando sapientemente
l’escalation di terrore finale e preferendo puntare su una lenta e
inesorabile discesa nell’incubo.
Un lercio senzatetto dall’aspetto
tutt’altro che rassicurante si presenta alla porta della centrale
senza dire una parola, urinando sul pavimento per poi esplodere in
un’improvvisa ondata di aggressività subito sedata dalla
sconcertata Jessica. Una serie di telefonate di richiesta di
soccorso giungono alla centrale malgrado la linea sia già stata
deviata e tutte riportano la voce allarmata di una ragazza che
afferma di essere stata rapita.
Strane e criptiche scritte appaiono
sui muri accompagnate da televisori (un classico ormai!) che
mandano in onda stralci di interrogatori ai sadici membri di una
setta di adorazione del demonio. Voci e sussurri riempiono ogni
angolo non toccato dall’abbacinante bagliore delle lampade
artificiali, rendendo il tutto più strano di quanto non sia. Tutti
ingredienti miscelati con sapiente perizia e pazienza, sorretti da
una serie di suggestioni che rinunciano alla presenza massiccia di
computer graphic (almeno per i primi tre quarti di film)
per lasciare al potere del silenzio il valore evocativo.
Interessante risulta il modo con
cui la discreta sceneggiatura di Scott Poiley
decide di trattare la componente demoniaca ed esoterica della
vicenda, partendo dall’idea di evocare l’orami triste tradizione,
per lo più tutta americana, delle sette di adorazione del maligno
che affondano le loro radici negli anni ’60 all’interno di celebri
confraternite “di sangue” sul modello dell’iconica Manson
Family, in questo caso infarcite con un patrimonio figurativo
che si estende dal demone Pazuzu de L’Esorcista (1973) fino alla già citata
influenza ancestrale di Sinister, reggendo bene la prova
della credibilità almeno fino a quando non viene il delicato
momento di mostrare ciò che fino ad ora era stato solo
suggerito.
Se da una parte risultano molto
riuscite e felici alcune trovate visive che possono essere
rintracciate in The Gallows (2015), dall’altra la messa in
scena delle apparizioni demoniche e della lotta fra Bene e Male
finisce forse per cadere troppo nel ridicolo, eccezion fatta per
l’ottimo finale che non si risparmia una dose di inventiva e di
sorpresa davvero lodevole.
Juliana Harkavy,
reduce dalle ottime comparsate televisive in
Graceland e The Walking Dead, potendo inoltre
contare su una discreta carriera cinematografica alle spalle, regge
praticamente da sola l’intero coso della pellicola, dimostrandosi
più che dignitosa e capace nel dare corpo ai turbamenti e alle
terribili vicissitudini affrontate da una coraggiosa poliziotta che
si trova a vivere un inaspettato battesimo del fuoco in puro stile
luciferino, dovendo affrontare tutta da sola le leggi di un mondo
sovrannaturale che non accettano né prigionieri né sconti di pena.
Le è la start e la final girl, lei è la
scream queen su cui o spettatore riversa le sue ansie e
speranze. Lei è l’unica con cui potersi identificare in qualche
modo. In alternativa ci sono pur sempre demoni e fantasmi!
Last Shift appare
a conti fatti come un dignitoso e interessante prodotto di genere,
sicuramente molto più serio, intelligente e curato di numerose
produzioni ad alto budget di questi ultimi tempi, un prodotto che,
seppur dovendosi confrontare con problemi fisiologici non
indifferenti, finisce tutto sommato per risultare più che discreto
e gradevole anche ai palati più raffinati e cultori
dell’horror puro. Una pellicola che sa bene i propri
limiti e ne fa una virtù soprattutto nel momento in cui si è
chiamati a delineare l’orrore e l’angoscia attraverso il
suggerito piuttosto che il detto, così come
l’hitchockiana memoria ci ha insegnato a suo tempo.
A causa della pandemia di Covid-19,
anche il nuovo film di Edgar
Wright, Last Night
in Soho, è stato posticipato. L’ultima fatica del
regista della “Trilogia del Cornetto” e di Baby Driver sarebbe dovuta arrivare nelle sale
americane il prossimo 8 ottobre, ma adesso il film, come rivelato
dallo stesso Wright via
Twitter, è stato posticipato al 23 aprile 2021.
Ispirato a
Repulsion di Roman Polanski e a A Venezia…
un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, Last Night in
Soho racconterà la storia di una giovane donna che verrà
misteriosamente trasportata negli anni ’60, avendo così la
possibilità di conoscere il suo idolo. Al momento questi sono gli
unici dettagli sulla trama disponibili.
Annunciata la nuova data di uscita
di Last Night in Soho, il nuovo film di Edgar Wright
A proposito di Last Night
in Soho, Edgar
Wright aveva dichiarato: “Mi sono reso conto che
non avevo mai raccontato una storia nel centro di Londra, in
particolare a Soho, un quartiere dove ho trascorso tantissimo tempo
negli ultimi venticinque anni. Con Hot Fuzz e Shaun
Of The Dead ho parlato di luoghi in cui siete vissuti, mentre
questo parlerà della Londra in cui sono esistito.”
Last Night
in Soho non è l’unico progetto cinematografico che
Edgar
Wright ha in cantiere: come confermato lo scorso anno,
il regista sarà impegnato anche con la realizzazione di un
documentario sulla rock band Sparks, di cui ha già
raccolto del materiale e filmato il concerto al O2 Forum Kentish
Town di Londra nel 2018.
Si arricchisce ancora il cast di
Last Night In Soho, il nuovo film di Edgar
Wright che segue il grande successo di Baby
Driver, l’ultimo film visto al cinema del regista della
Trilogia del Cornetto.
L’ex Doctor Who Matt
Smith si unisce al cast del film, insieme alla giovane
Thomasin McKenzie. I due si uniscono ad
Anya Taylor-Joy che sarà la protagonista di quello
che il regista britannico ha definito un thriller che si ispira
alle atmosfere di A Venezia… un dicembre rosso
shocking (Don’t Look Now) di
Nicolas Roeg
e Repulsione di Roman
Polanski.
Sul progetto Wright ha
dichiarato:
“Mi sono reso conto che non
avevo mai raccontato una storia nel centro di Londra, in
particolare a Soho, un quartiere dove ho trascorso tantissimo tempo
negli ultimi venticinque anni. Con Hot Fuzz e Shaun
Of The Dead ho parlato di luoghi in cui siete vissuti, mentre
questo parlerà della Londra in cui sono esistito.”
Last Night In Soho
non sarà l’unico obiettivo professionale del regista per il
2019: come confermato nelle ultime settimane, tonerà presto in sala
di montaggio per dare forma al documentario sulla rock
band Sparks, di cui ha già raccolto del
materiale e filmato il concerto al O2 Forum Kentish Town di Londra
lo scorso Maggio.
Noi esseri umani non
possiamo vederci. Vediamo gli altri, li giudichiamo, ma per sapere
come siamo, come stiamo con un certo colore di abiti, quanto siamo
alti, che faccia abbiamo dopo una serata per locali, abbiamo
bisogno di una superficie riflettente. Ma dietro quella stessa
superficie – porta diretta sul nostro essere esteriore – si possono
nascondere anche portali magici di universi interiori. Attraverso
gli specchi ci guardiamo in tutte le nostre sfaccettature, ma sulla
scia della potenza suggestiva del nostro inconscio, attraverso un
oggetto così banale e ordinario, possiamo scrutare anche altro:
mondi perduti, interiorizzati, e rispediti su superfici riverbanti,
ponti diretti con universi scomparsi.
Lo sa bene Edgar
Wright, sognatore e spettatore bulimico nutritosi per anni
di sostanza filmica attraverso la quale crescere e formarsi sia
professionalmente che affettivamente. Un apprendimento assimilato e
restituito per mezzo di uno stile dinamico e riconoscibile, che una
volta riflettuto su nuovi specchi, esplode per rinascere come una
fenice araba.
È uno scontro continuo
tra sguardi e superfici riflettenti, Last
Night in Soho. Specchi e schermi, reduplicazioni di
spazi interiori e universi sognati, si uniscono in una miccia
primordiale, reminiscenza espressionista (che genera con una forza
iconoclasta una nuova fase dell’opera di Edgar Wright. Una
nuova fase tutta da scoprire, con la stessa curiosità di chi si
approccia con fare indagatorio dinnanzi allo specchio.
Eloise “Ellie”
Turner (Thomasin McKenzie) si trasferisce a
Londra con il sogno di diventare una fashion designer.
L’impatto con la grande città non è
semplice per una ragazza che viene dalla Cornovaglia.
Lo studentato in cui vive si rivela inoltre un ambiente non
adatto alla propria indole, già ampiamente colpita da un lutto che
continua a tormentarla. Decide quindi di affittare una stanza a
casa di un’anziana signora. Una notte,
comincia a sognare la Londra degli anni
Sessanta e una giovane bella e piena di talento, Sandie
(Anya
Taylor-Joy), che cerca di sfondare nello spettacolo.
Il sogno si reitera con meraviglia, fino a quando il passato non
diventa un incubo che rischia di invadere il presente.
Il passato riflesso nel
futuro
Per ricostruire e non
rottamare bisogna avere una relazione passionale con il passato.
Edgar Wright lo sa bene, ha basato tutta la sua filmografia su tale
assunto. Nel corso della sua carriera ha saputo prendere tutto ciò
che ha visto per ribaltarlo, interiorizzarlo e farlo proprio,
creando patchwork cinematografici intessuti di omaggio con
il proprio passato da spettatore cinematografico. Ma adesso il
regista compie un ulteriore passo avanti nella sua carriera
registica. Partendo da questa stessa dichiarazioni d’intenti, ne
applica i principi alla sua filmografia per creare qualcosa di
nuovo. Stilisticamente Last
Night in Soho è un figlio ribelle che stacca
completamente i legami con i propri fratelli maggiori. Tracce del
regista che fu (e rimane) si ritrovano nella sua Ellie, figlia
degli anni Duemila con una mente forgiata dall’onda nostalgica di
una Swinging London che l’ha segnata, influenzandone il proprio
estro artistico.
Se già Baby
Driver si presentava come un ibrido, spartiacque tra un
discorso autoriale ben definito e riconoscibile, con Last
Night in Soho Wright si discosta completamente dalla
sua visione precedente per creare qualcosa di nuovo. Deostruisce il
proprio mondo, uscendo dalla sua comfort zone per rinascere di
nuovo. Spogliandosi di quell’aspetto
parodico con cui omaggiare, ribaltandoli, i film che lo hanno
segnato, cresciuto, modellato, e che tanto caratterizza la propria
visione dell’opera, Wright ricerca adesso la pura citazione e su
quella costruire un discorso maturo, serio, di angoscia e attesa.
Un gioco all’omaggio che in Last Night in Soho non preclude
l’apprezzamento completo del film anche per coloro che non riescono
a cogliere ogni riferimento cinefilo, permettendo loro di entrare
nei meandri di una mente rotta, a pezzi, come uno specchio
frantumato.
Mind the Gap in
Soho
Per un’opera incentrata
sui gap mentali, passaggi tra passato e presente, allucinazioni,
ghost story che incontrano l’horror più puro, non c’è spazio per un
umorismo dilagante, inquadrature strette, zoom, o movimenti di
macchina improvvisi. Tutto è disteso, allungato, come un braccio
pronto a sferrare una coltellata mortale, così da insinuare nello
spettatore quel giusto senso di angoscia e suspense tale da
scaraventarlo in una ragnatela di misteri, dubbi,
paure.
Sfruttando la potenza
riflettente di specchi, lame e vetrine, Wright si infila tra le
crepe di una giovane mente alimentata da sogni di un passato mai
incontrato, se non su poster, fotografie e vinile, enfatizzando
ogni distorsione e setacciando ogni metro fino a scavare le
propaggini incancrenite di incontri soprannaturali, macchiati di
vendetta e rivendicazione personale. La Londra degli anni Sessanta
è una coperta di Linus entro la quale avvolgersi per distanziarsi
dal mondo che la circonda. Toccare con le dita la superficie di uno
specchio è un campanello per entrare nell’universo agognato, desiderato. Eloise si traveste da
Alice attraverso lo specchio, per nascondersi nel mondo della
propria fantasia per scappare dalla propria realtà.
L’essenza duale e
dicotomica di spettri del passato che collimano in sogni del
presente si riscontra visivamente nella scelta della fotografia
ombrosa e in una resa cromatica accesa fatta di colori sgargianti,
luminosi, accesi come gli abiti che riveste il corpo di una Ana
Taylor-Joy evanescente e luciferina. Le inquadrature sembrano
invece accarezzare un incanto feroce di una stilista di abiti che
finisce per ricucire le violenze del passato tra i meandri onirici
del presente. Come il rosso che insegue il blu nel neon rotto
che illumina la stanza di Eloise a Soho (interessante che a essere
illuminata sia proprio la sillaba “BI”, associazione linguistica a
un concetto di doppio, lo stesso alla base del film), così quello
che nasce come un sogno, un passaggio segreto tra le vie di una
Londra anni Sessanta così tanto agognata, passerà il testimone alle
sfumature dell’incubo. Dormire, sognare, colpire, e rinascere, un
Uroboros onirico tinto di thriller che Wright costruisce con
attenzione, tra immagini sovrimpresse e moltiplicate, immergendo e
coinvolgere in maniera immersiva il proprio spettatore, rendendolo
partecipe in prima persona delle cadute all’inferno della sua
Ellie. Elettrizzanti le scene dei balli, momenti privilegiati di
uno scarto incosciente tra desiderio di sicurezza e reale
inquietante che sfugge ed eccede i confini dell’inquadratura e del
montaggio, reduplicandosi e moltiplicandosi in visioni
caleidoscopiche allucinanti e allucinogene.
Last night in Soho, un
gioco di doppi
Sfruttando appieno il
contrasto generante tra una colonna visiva giocata su violenza e
allucinazione, e quella musicale composta dA brani eleganti e
romantici da pop anni ’60, Edgar Wright si immerge nelle ossessioni
scavando sotto la profondità epidermica della normalità. La sua
Ellie è una ragazza giovane, piena di sogni, apparentemente
normale, che vive rinchiusa nella sua ammirazione per gli anni
Sessanta ritrovandosene poi prigioniera. E siccome tutti nutriamo
una passione viscerale, ecco che il regista insinua nello
spettatore il timore che dietro anche la nostra situazione di
persone ordinarie si possa nascondere qualcosa di terribile e
orrorifico. Si viene a creare dunque un ulteriore contrasto,
reiterato in quello estetico di uno sguardo angelico che nasconde
un’indole mefistofelica incarnato dal viso di Anya Taylor-Joy, il quale si oppone a sua
volte all’innocenza di una Thomasin Mackenzie
capace di reggere benissimo il peso del ruolo della protagonista,
giocando tra innocenza, fragilità e coraggio.
È un gioco di
duplicazioni Last Night in Soho, di sguardi riverberati
su specchi, lame taglienti, che fanno da ponti tra desideri
indicibili, e incubi spettrali. Come Lo studente di Praga, lo
specchio fa da perfetta congiunzione tra le due anime
imprigionandole in tempi e spazi a se stanti, mentre tutto attorno
è una danza del terrore da ballare sulle note di brani anni
Sessanta tra i locali di Soho.