La libera trasposizione cinematografica del romanzo cavalleresco del XIV Secolo rappresenta per David Lowery un passaggio fondamentale, ovvero quello da cineasta con una poetica ancora in fieri ad autore a tutto tondo. Dopo un paio di film con degli spunti estetici interessanti quali Ain’t Them Bodies Saints e A Ghost Story, e altri due “su commissione” come Il Drago Invisibile e The Old Man and the Gun, il cineasta trova infatti con Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) un connubio che pochi colleghi sono riusciti a ottenere in questi ultimi tempi: quello tra visione precisa e libertà creativa per tradurla in immagini.
Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) rappresenta la visione del suo regista
Fin dalla prima scena si può capire quanto il suo ultimo lungometraggio possieda dinamiche e regole interne che richiedono allo spettatore una partecipazione attiva: nell’uso dei tempi di racconto, nello sviluppo di situazioni e atmosfere, nell’esposizione della psicologia dei personaggi principali Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) risponde con accuratezza alla visione di Lowery, il quale intende costruire un universo in cui realismo e dimensione fantastica si scontrano al fine di provocare uno stridore estetico affascinante. Il pubblico deve necessariamente abbracciare la scelta del regista, accettarne la densità di racconto e messa in scena.
Si tratta di un universo filmico in cui vale assolutamente la pena calarsi, poiché appena fatto Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) si dipana subito come un fantasy che avvolge, se non addirittura ipnotizza. Il viaggio a tappe del protagonista Sir Gawain (Dev Patel) si carica progressivamente di simbolismi sviluppati con pienezza da una messa in scena vibrante: l’occhio di Lowery per la composizione di inquadrature e movimenti di macchina sfrutta al meglio il lavoro del direttore della fotografia Andrew Droz Palermo e del production designer Jade Healy. Anche a livello narrativo le modifiche apportate da Lowery sono coerenti con il tentativo di rendere la figura principale maggiormente accessibile: Gawain è un giovane che deve ancora trovare il suo posto nel mondo e accetta la sfida del mostruoso Cavaliere Verde perché alla ricerca di falsi valori.
Un viaggio di formazione
Il percorso verso il compimento del suo destino rappresenta invece il momento della vera crescita, il confronto con la maturazione che deve passare anche attraverso dolore, perdita, sacrificio. Quando Gawain incontrerà nuovamente l’essere soprannaturale dovrà necessariamente essere una persona diversa. David Lowery mette in scena questo viaggio creando momenti di cinema visivamente difficili da dimenticare, soprattutto perché carichi di una potenza espressiva che raramente abbiamo visto sul grande schermo in tempi recenti. Le immagini autunnali ed eleganti si fanno spesso portatrici di un significato simbolico pulsante, il quale non deve essere compreso a tutti i costi quanto piuttosto esperito. Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) in più di un momento è infatti un lungometraggio volutamente criptico ma non per questo meno potente.
Comprimari di lusso nel cast del film

Alla fine del viaggio di Gawain è impossibile non sentire di averlo accompagnato in un’avventura ai confini dell’animo e della mente: questo è quanto Lowery garantisce con il suo film a chi decide di accettare tale sfida cinematografica. Un Dev Patel molto efficace nel disegnare con pochi tratti e uno stile di recitazione trattenuta l’arco narrativo di Gawain è un protagonista vibrante. Accanto a lui nelle varie tappe del suo itinerario incontriamo comprimari di lusso quali Joel Edgerton, Alicia Vikander, Barry Keoghan, Sarita Choudhury e una inquietante ma poderosa coppia di reggenti formata da Sean Harris e Kate Dickie.
Ognuno di questi attori riesce ad assecondare con la propria performance sempre in bilico tra naturalismo e stilizzazione la visione di Lowery: è anche grazie a loro se Sir Gawain e il Cavaliere Verde (The Green Knight) è un film che trova un equilibrio ammirevole tra forma e contenuto, diventando un sogno/incubo capace di sprigionare enorme energia cinematografica.




Le origini di Venom, per certi aspetti, risalgono all’evento crossover “Secret Wars” del 1985, anche se la vera introduzione del personaggio è avvenuta in “The Amazing Spider-Man #298-300”. Questo arco narrativo è fondamentale, in quanto stabilisce Venom come l’imponente cattivo e la grave minaccia per Spider-Man che tutti conosciamo.
I fan dei fumetti ricorderanno probabilmente Anne Weying come uno degli ospiti più celebri del simbionte Venom. L’archivio narrativo “The Bride of Venom” tratto da “The Amazing Spider-Man #374-375” è fantastico perché mette Eddie Brock al centro di una storia molto più complessa, in riferimento soprattutto all’introduzione della sua ex moglie Anne.
Il mondo è stato quasi invaso in un altro grande arco narrativo di Venom, “Il pianeta dei simbionti”. Questa storia a fumetti, risalente alla metà degli anni ’90, ha visto la Terra invasa da altri simbionti, dopo che Eddie Brock ha cercato di allontanare Venom per dare una svolta alla sua vita.
Il simbionte Venom ha cambiato ospite diverse volte nei fumetti. Uno dei migliori archi narrativi mostra il legame con Flash Thompson, dal quale emerge Agent Venom. I primi numeri della serie su Agent Venom mostrano come Flash Thompson, ferito in combattimento, si leghi al simbionte Venom per riguadagnare l’uso delle gambe.
“Protettore Letale” è la prima miniserie di Venom e per molti versi l’inizio della transizione da cattivo a antieroe. Questa serie della metà degli anni ’90, scritta da David Michelinie e disegnata da Mark Bagley, segue Eddie Brock mentre si trasferisce a San Francisco e cerca di ricominciare con la sua vita.
Il recente arco narrativo “Re in Nero” mostra Venom forse nel suo aspetto più potente ed eroico. La complessa mitologia dei simbionti culmina nell’invasione della Terra da parte di Knull, il dio simbionte, e delle sue apparentemente infinite orde aliene.



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