John Savage (Il cacciatore, La
sottile linea rossa), sarà in In Dubious
Battle, il film di James Franco
ispirato all’omonimo romanzo di John Steinbeck
(edito in Italia con il titolo de “La battaglia”). Dopo la recente
conferma di Nat Wolff (che tra l’altro vediamo in
Palo Alto di Gia
Coppola, film ispirato proprio ad una raccolta di racconti
di Franco) nel ruolo dell’attivista Jim
Nolan, al cast si aggiunge anche Savage.
L’attore interpreterà un bracciante agricolo che teme di perdere il
proprio lavoro. Accanto a lui, reciteranno Selena Gomez,
Vincent D’Onofrio, Robert Duvall, Ed Harris, Bryan Cranston, Sam
Shepard, Danny McBride e Franco
stesso.
La pellicola è ambientata in un
periodo cruciale per la storia americana, quello della formazione
dei primi sindacati dei lavoratori in difesa dei propri diritti e
dei propri salari. La storia, infatti, è quella di un gruppo di
raccoglitori di frutta che organizza uno sciopero aiutata da alcuni
attivisti e rappresentanti politici. La sceneggiatura di
In Dubious Battle è firmata da
Matt Rager, già collaboratore di
Franco per As I Lay
Dying (adattamento dall’omonimo romanzo di
William Faulkner), presentato alla 66ª edizione
del Festival
di Cannes nella sezione Un Certain Regard.
Le riprese iniziano ad Atlanta, questa settimana.
Festeggiato durante la breve
cerimonia da David Mamet che per l’occasione ha regalato all’attore
un “piede di porco” con tanto di dedica, insieme ad amici e
colleghi tra cui Andy Garcia e Denniz Franz.
Lo sceneggiatore di A Beautiful
Mind, Akiva Goldsman, sta preparando il suo
esordio alla regia con Winter’s Tale e sta
raccogliendo intorno a sè una folta schiera di nomi importanti.
Ultima della lista è Jennifer Connelly che
potrebbe interpretare la madre della protagonista, una ragazza
malata che si innamora di un ladro che fa irruzione in casa
sua.
Nel cast del film sono già
confermati Jessica Brown, Colin Farrell, William Hurt, Will Smith,
Matt Bomer.
Il film è prodotto dalla Warner
Bros ed è tratto dall’omonimo romanzo di Mark Helprin.
Bébel, 77 anni, sarà festeggiato il 17 maggio con la proiezione
del documentario che gli hanno consacrato Vincent Perrot e Jeff
Domenech, “Belmondo, itinéraire…”, seguita da una grande festa con
tutti i soliti noti del grande schermo transalpino.
Continuano a riempirsi le caselle
del cast del nuovo Robocop; dopo Jackie Earle Healey, entrato nel
cast nei giorni scorsi, sarebbe la volta di Jay Baruchel (Tropic
Thunder): sebbene manchi la conferma ufficiale, all’accordo
mancherebbe solo la firma. Baruchel dovrebbe interpretate il
direttore del marketing della Omnicorp, la compagnia che trasforma
il poliziottto Alex Murphy (Joel Kinnaman) nel cyborg protagonista
della storia.
Il cast ha visto già confermati
anche Hugh Laurie, Samuel L Jackson, Abbie Cornish e Gary Oldman.
Le riprese cominceranno in settembre sotto la direzione di Jose
Padilha; l’uscita è prevista per il 9 agosto 2013. Baruchel ha
recentemente partecipato a Cosmpopolis e terminato da poco il
lavoro sul set di The End Of The World: commedia apocalittica con
protagonista Seth Rogen.
Trailer del film Anche io
di Maria Schrader – vincitrice di un Emmy per la
serie Unorthodox – che porta sul grande schermo #metoo, il
movimento femminista che ha rotto il silenzio sugli abusi sessuali.
La sceneggiatura, scritta dal premio
Oscar Rebecca Lenkiewicz (Ida), racconta la
storia delle due reporter del New York Times, Megan Twohey e Jodi
Kantor, che hanno dato voce insieme ad una delle storie più
importanti di questa generazione, cambiando per sempre la cultura
americana.
A interpretarle, Carey Mulligan (candidata all’Oscar per Una
Donna Promettente ed An Education) e Zoe Kazan (serie Il Complotto contro
l’America, The Big Sick – Il matrimonio si può evitare… l’amore
no). Il film, prodotto dai premi Oscar Brad Pitt, Dede
Gardner e Jeremy Kleiner (12 anni Schiavo) per Plan B
Entertainment, è tratto dal bestseller del New York Times She Said:
Breaking the Sexual Harassment Story That Helped Ignite a Movement.
Produttori esecutivi, i candidati all’Oscar Megan
Ellison e Sue Naegle per Annapurna
Pictures.
Due reporter agguerrite, una alta e
di origine WASP, l’altra più bassa ed ebrea, in uno dei giornali
più potenti del Paese, lottano per chiedere conto a un uomo
estremamente potente e senza scrupoli, disposto a spendere enormi
quantità di denaro e di influenza per mantenere il muro di silenzio
che lo ha protetto per molti anni. Non sto parlando di Tutti
gli uomini del presidente, ma di Anche io
(She Said), la drammatizzazione di come le
reporter del New York Times Jodi Kantor (Zoe
Kazan) e Megan Twohey (Carey
Mulligan) hanno messo insieme la loro denuncia delle
molestie subite dal magnate del cinema Harvey Weinstein, che vanno
dal bullismo fino alle aggressioni sessuali.
Come nel caso di Woodward e
Bernstein, Kantor e Twohey si sono trovati di fronte alla
riluttanza delle persone ad andare in onda, e il film descrive la
loro combinazione di persistenza, persuasione e suppliche che alla
fine ha rotto la diga. Dato che le affermazioni sul comportamento
di
Weinstein raccontate in Anche io (She Said)She Said
sono già state vagliate dagli avvocati del New York Times e
presentate come prove giurate in un tribunale, è improbabile che si
tratti di fantasia. Ciò che forse è più interessante è ciò che il
film sceglie di tralasciare o di accennare solo di sfuggita.
Abbiamo letto l’omonimo libro di Kantor e Twohey, e consultato i
resoconti di Ronan Farrow e altri, per determinare quali parti del
film sono tratte direttamente dalla vita reale e quali sono licenze
artistiche.
Weinstein ha messo sotto
sorveglianza i giornalisti?
Nel film, Kantor ha la sensazione
che un furgone nero con i finestrini oscurati la stia seguendo
lungo una strada buia. Mentre guarda indietro, il furgone accelera
per superarla. Non viene mai più menzionato.
In realtà, Weinstein ha utilizzato
due società di sorveglianza segrete per tenere sotto controllo non
solo Kantor e Twohey, ma anche altri reporter che lavoravano a
storie su di lui, nonché le fonti che parlavano con i reporter, il
tutto allo scopo di fare pressione su di loro per farli tacere. Una
era la Kroll, un servizio di intelligence aziendale affermato.
L’altro era il Black Cube, un servizio di intelligence israeliano
con ex agenti del Mossad e di altri servizi segreti.
Sebbene il film non spieghi mai chi
fosse nel furgone nero o se stesse effettivamente seguendo Kantor,
in realtà Weinstein si era servito di Kroll per anni, per compilare
profili psicologici su molti individui che percepiva come
problematici. Secondo quanto
riportato da Ronan Farrow sul New Yorker, già a metà degli anni
Duemila Weinstein aveva ingaggiato la società per raccogliere
informazioni sul defunto David Carr, che stava scrivendo un
articolo su di lui per il New York Magazine.
Farrow ha anche riferito che
un’agente di Black Cube, che si faceva chiamare “Diana Filip”, si è
spacciata per un’attivista per i diritti delle donne e ha
incontrato Rose McGowan – una delle prime fonti dei giornalisti del
Times, che alla fine ha accusato Weinstein di stupro – registrando
di nascosto le loro quattro conversazioni. Sostenendo di essere una
direttrice di una società di gestione patrimoniale con sede a
Londra, ha chiesto alla McGowan di parlare a un gala di beneficenza
per un’iniziativa che combatte la discriminazione delle donne sul
posto di lavoro per un compenso di 60.000 dollari. Ha anche inviato
e-mail sia a Kantor che a Farrow, cercando di ingraziarsele.
Tuttavia, l’unico riferimento a lei nel film è una menzione di
sfuggita di un’e-mail di “Diana Filip”.
Weinstein ha anche usato i suoi
legami con i giornalisti dei tabloid per ottenere informazioni
sulle sue accusatrici. Dylan Howard, che era il responsabile dei
contenuti della società che pubblica il National Enquirer, ha
condiviso il materiale che la rivista aveva per aiutare Weinstein a
smentire le accuse di stupro della McGowan. Ha anche fatto chiamare
da uno dei suoi reporter Elizabeth Avellán, la produttrice ed ex
moglie del regista Robert Rodriguez, che Rodriguez aveva lasciato
mentre aveva una relazione con la McGowan, nella speranza di
convincerla a rivelare il suo segreto su McGowan, ma Avellán ha
rifiutato.
L’aspetto più perverso è che
Weinstein ha fatto chiamare da due ex dipendenti, Denise Chambers e
Pamela Lubell, i loro ex colleghi nel tentativo di individuare chi
potesse essere tentato di parlare con i giornalisti delle accuse.
Tuttavia, Lubell ha dichiarato di essersi recata nell’ufficio di
Weinstein nel 2017 per proporgli un’applicazione che stava
sviluppando, e lui si è limitato a suggerire a lei e alla Chambers
di scrivere un “libro divertente sui vecchi tempi, il periodo
d’oro, della Miramax”, e di fornirle un elenco di tutti i
dipendenti che conosceva e di mettersi in contatto con loro.
L’elenco, ovviamente, fu consegnato a Kroll.
Weinstein ha davvero detto di
trovare le donne asiatiche ed ebree poco attraenti?
Kantor e Twohey scoprono che la
chiave della storia non sono le attrici di alto profilo molestate
da Weinstein, ma tre ex assistenti del produttore nell’ufficio di
Londra: Zelda Perkins (Samantha Morton), Rowena Chiu (Angela Yeoh)
e Laura Madden (Jennifer Ehle). La Chiu vive attualmente in
California e quando nel 2015 Kantor si reca a casa sua e trova il
marito che sta innaffiando il prato, scopre che non sa che la
moglie ha mai lavorato nel mondo del cinema. È Zelda a dare la
prima svolta ai giornalisti quando consegna loro una copia
dell’accordo di non divulgazione che ha firmato con Miramax.
Racconta anche che quando, in qualità di assistente capo di
Weinstein, assunse per la prima volta Rowena, allora ventunenne e
neolaureata all’Università di Cambridge, Weinstein le assicurò che
si sarebbe comportato bene con la nuova ragazza perché “non gli
piacevano le donne ebree o asiatiche”.
In effetti, mentre Chiu ha ricordato
in
un articolo del New York Times del 2019 che “aveva assicurato a
Zelda che non mi avrebbe molestato perché, se non ricordo male, non
si occupava di ragazze cinesi o ebree”, Weinstein le disse in
seguito che “gli piacevano le ragazze cinesi. Gli piacevano perché
erano discrete”. Poco dopo, scrive la donna, tentò di
violentarla.
Come da istruzioni di Perkins, Chiu
aveva indossato due paia di collant per proteggersi quando era
stata convocata nella stanza d’albergo di Weinstein per un incontro
durante la Mostra del Cinema di Venezia. Tuttavia, anche se lei “ha
cercato di placarlo togliendone uno e lasciandomi massaggiare… non
ha funzionato. Lui si era tolto l’altro paio e io ero terrorizzata
che la mia biancheria intima fosse la prossima”. Harvey si
avvicinò: Per favore, mi disse, solo una spinta e sarà tutto
finito”.
Chiu riuscì a scappare e si rifugiò
immediatamente nella stanza di Perkins. Una volta tornate a Londra,
le due donne cercarono di denunciare Weinstein ai suoi superiori e
alla polizia, ma si sentirono dire che nessuno avrebbe creduto
loro. Al contrario, furono costrette a firmare un accordo di non
divulgazione che non permetteva loro di parlare con familiari,
amici o terapeuti e imponeva loro di identificare chiunque avesse
già parlato con loro. Non è stato nemmeno permesso loro di tenere
una copia dell’accordo.
Laura Madden si è dichiarata
subito prima dell’intervento chirurgico?
Jodi e Megan hanno bisogno di una
fonte che confermi la loro storia prima che vada in stampa, ma non
riescono a far parlare nessuno. Chiamano Madden poco prima
dell’ultima scadenza per l’articolo, che coincide anche con il
momento in cui Laura deve sottoporsi a un intervento di
ricostruzione dopo una mastectomia. In camice d’ospedale, la donna
concede loro il permesso di utilizzare la sua intervista per la
storia.
Sembra un accostamento creato a fini
drammatici, ma in realtà è vero. Come gli altri assistenti di
Weinstein, Madden era una donna giovane e inesperta quando, nel
1992, ottenne quello che pensava fosse il lavoro dei suoi sogni nel
mondo del cinema, un lavoro di coordinamento delle comparse per la
produzione Miramax Into the West, girata nella sua nativa
Irlanda. Questo la portò a essere convocata nella stanza d’albergo
di Weinstein a Dublino, dove lui le disse che poteva garantirle un
lavoro permanente nell’ufficio londinese della Miramax, ma poi si
tolse l’accappatoio e pretese che lei gli facesse un massaggio
prima di, secondo lei, aggredirla sessualmente. Come Chiu, anche
lei ha immediatamente raccontato a Perkins l’accaduto. Dopo che
Perkins ha affrontato il suo capo, questi si è scusato e Madden ha
continuato a lavorare per Miramax per sei anni. Tuttavia, come
racconta nel libro a Kantor e Twohey, “la sensazione più forte che
ricordo è stata la vergogna e la delusione per il fatto che
qualcosa di così promettente si fosse ridotto a questo. Ogni
speranza che mi venisse offerto un lavoro per merito mio era
svanita”.
In realtà, è stato il tentativo di
Weinstein di intimidirla che l’ha motivata a parlare in via
ufficiale. Una settimana prima che Kantor la chiamasse nel luglio
2017, ricevette una telefonata da Lubell, con cui non parlava da
almeno due decenni. “Mi telefonava per chiedermi se stavo parlando
con qualche ‘giornalista scarafaggio’ e cercava di convincermi a
dire quanto fosse stato bello lavorare alla Miramax. E io ero
davvero scioccato. All’improvviso ho pensato: “È stata costretta a
chiamarmi”, c’è Weinstein dietro tutto questo. Questo mi ha spinto
ad aspettarmi una telefonata da non so chi, ma da un giornalista.
Quando Jodi mi chiamò, ero assolutamente pronta e preparata a
parlarle, all’inizio in via ufficiosa“, ha
ricordato Madden.
Ormai aveva abbandonato da tempo
l’industria cinematografica e viveva in Galles, crescendo le sue
figlie. Ancora più sorprendente è il fatto che quando Kantor la
chiamò e lei accettò di parlare, non solo si stava riprendendo dal
cancro al seno, ma aveva anche divorziato da poco e aveva appena
scoperto che l’ex marito aveva una nuova fidanzata.
Dopo aver intervistato Madden in
estate, la Kantor si è tenuta in contatto nei mesi successivi,
mentre Madden valutava se fosse disposta a rendere pubblica la
notizia. “Avevamo accumulato informazioni a New York, tra cui
un promemoria molto prezioso che non potevamo più tenere
nascosto”, ha
detto Kantor. “Laura e io… ci siamo rese conto, credo con
orrore di entrambe, che l’intervento chirurgico [per il cancro al
seno] di cui Laura mi aveva già parlato… sarebbe coinciso con la
pubblicazione della nostra storia. Megan e io ci siamo chieste:
“Come possiamo chiederle di parlare? È troppo da chiedere a
chiunque”. Allo stesso tempo, non potevano permettersi di
perdere Madden perché non aveva firmato un NDA ed era l’unica donna
disposta a parlare.
Prima di decidere di partecipare
alla storia, Madden ha raccontato l’aggressione alle sue figlie,
ora adolescenti. “Continuavano a dire: ”Sono così orgogliosa di te,
è così bello che tu faccia parte di questa storia. Le cose devono
cambiare”. Vedendo la loro reazione, è stato chiaro che avevo un
ruolo da svolgere”, ha detto Madden. “La sera seguente ho inviato
un’e-mail a Jodi e Megan. Penso che una volta inviata quell’e-mail
ho preso la decisione di andare fino in fondo e di non essere
esitante sul fatto di aver preso la decisione sbagliata”.
Lena Dunham ha davvero cercato
di aiutare?
In una breve scena del film, Kantor
e Twohey vengono a sapere che Lena Dunham e la sua produttrice
Jenni Konner vogliono aiutarli.
Nella vita reale, alla ricerca di
donne dello spettacolo che potessero essere potenziali testimoni, i
reporter sono stati messi in contatto con la Dunham. Come
descrivono i giornalisti nel loro libro, all’inizio erano
diffidenti perché Dunham non sembrava una persona che avrebbe
mantenuto la riservatezza. Vennero a sapere che Dunham e Konner,
come molti altri nel settore, avevano sentito parlare del
comportamento predatorio di Weinstein e volevano denunciarlo nella
loro Lenny Letter online, ma non avevano le risorse per gestire
un’indagine del genere. Tuttavia, i due creatori di Girls sono riusciti a inviare discretamente a Twohey e
Kantor i nomi e i numeri di attrici che avrebbero potuto essere
disposte a parlare. Alla fine hanno preso un pesce grosso, Gwyneth
Paltrow.
Weinstein ha davvero cercato di
parlare con Kantor “da ebreo a ebreo”?
Alla fine del film, Kantor racconta
a Twohey che un membro del team di Weinstein l’aveva avvicinata nel
tentativo di dissuaderla dal continuare la storia, chiedendole di
parlarle “da ebreo a ebreo”. In una scena precedente, Kantor cerca
di conquistare uno dei rappresentanti di Weinstein legando con le
loro origini comuni.
Parlando con il Forward, la Kantor
ha detto che la scena in cui viene rappresentata mentre lega con il
contabile di Weinstein, Irwin Reiter, per il fatto che entrambi
sono discendenti di sopravvissuti all’Olocausto e che entrambi
hanno trascorso le vacanze di famiglia in un bungalow di Borscht
Belt è accurata. “Era un modo per dire: ‘Io e te siamo un po’
uguali’. C’è una parte di noi che proviene da un mondo che gli
altri non capiscono. E non si tratta solo di essere ebrei. È un
sottoinsieme di un sottoinsieme di un sottoinsieme di un
sottoinsieme dell’essere ebreo“, ha detto Kantor, paragonando
questa ‘autentica connessione ebraica” ai tentativi più
manipolatori di Weinstein di stabilire un rapporto simile.
“Weinstein ha ripetutamente cercato
di relazionarsi con me da ebreo a ebreo”, ha ricordato. “Non ho mai
reagito visibilmente, perché si cerca sempre di rimanere molto
professionali, soprattutto con una persona come lui. Ma non è stato
efficace. E nel profondo, anche se non l’avrei mai mostrato, l’ho
trovato offensivo”. … L’ipotesi di Weinstein che il tribalismo
potesse in qualche modo prevalere sulla mia etica di giornalista –
che io fossi in qualche modo distratto da questa storia, sai, da un
comune legame ebraico – alla fine è stato un tale errore di
calcolo”.
Prima di Anche
io, il cinema americano ci ha abituato da decenni alla
visione di film che mettono in scena le meccaniche del giornalismo
investigativo. Gli esempi maggiormente valevoli di questo
sottogenere sono titoli blasonati quali Tutti gli uomini del presidente di
Alan J. Pakula, Zodiac di David Fincher e
Il caso Spotlight di Tom
McCarthy, vincitore dell’Oscar come miglior film nel
2015.
Anche io, tutto comincia con Harvey
Weinstein
Incentrato sull’inchiesta
che le giornaliste del New York TimesJodi
Kantor e Megan Twohey portarono avanti
riguardo gli abusi sessuali perpetrati da Harvey
Weinstein, She Said appartiene senza
dubbio a questa categoria, ma in maniera altrettanto evidente
l’accostamento ai titoli prima citati finisce qui. Diretto da Maria
Schrader, il film non possiede infatti gli elementi che hanno reso
memorabili tali lungometraggi del passato, primo tra tutti
l’equilibrio tra necessità di intrattenimento e ricerca di una
veridicità nell’esposizione del racconto.
Anche io
infatti cerca con molti, forse troppi accorgimenti, di catturare
l’empatia dello spettatore, scivolando suo malgrado nel melodramma
quando una messa in scena più ‘asciutta” avrebbe probabilmente
funzionato meglio allo scopo. I primi dieci, quindici minuti del
film sono sfortunatamente la parte più debole dell’operazione,
quella che a conti fatti setta il tono della stessa: in particolar
modo un uso invasivo della musica intesa a sottolineare la tensione
a cui vanno incontro le due protagoniste risulta fortemente
controproducente, arrivando a creare un senso di confusione sia nel
tono scelto per la vicenda che nel genere, in quanto lo scorse
sembra forse più consono al thriller.
Cosa che Anche
io proprio non è, né vuole essere. Una volta superato
un inizio non equilibrato il film oggettivamente migliora,
assestandosi su una sceneggiatura discretamente strutturata seppur
non esente da una certa approssimazione nella delineazione dei
personaggi. Per rendere infatti la Kantor e la Twohey maggiormente
bidimensionali vengono aggiunti alla storia piccoli quadri
familiari che però non riescono realmente nell’intento, aggiungendo
alla vicenda principale sottotrame che appesantiscono una
narrazione la quale avrebbe dovuto durare meno delle quasi due ore
e un quarto finali.
Allo stesso modo le due
figure principali in più di una scena non riescono a sfuggire dalla
trappola dello stereotipo: se infatti il personaggio interpretato
da Zoe Kazan rimane sempre la giornalista gentile
e alle prime armi, quello di Carey Mulligan possiede invece lo charme e la
durezza del reporter con esperienza. Almeno in un paio di casi le
due figure diventano caratterizzazione invece che personalità
delineata con acutezza, e questo nuoce alla loro credibilità:
perché ad esempio la Twohey deve costantemente scoppiare in lacrime
ogni volta che riceve una buona notizia?
Una sottolineatura non
necessaria che continua a trascinare inutilmente il tono verso il
melodrammatico. Figure che non aiutano di certo la
Kazan e la
Mulligan ad esprimere il meglio delle loro qualità di attrici,
Ma se la seconda risulta comunque efficace in virtù della sua
presenza scenica sempre carismatica, la Kazan non riesce a dotare
il suo ruolo di spessore, apprendo in più di un’occasione un
pulcino fuor d’acqua. In ruoli di contorno anche attori consumati
come Patricia Clarkson e André
Braugher non brillano.
Anche io meritava più lucidità
Pensando al tema trattato
e alla sua importanza Anche io avrebbe dovuto
essere un film costruito e realizzato con assai maggiore lucidità,
attraverso scelte soprattutto di regia ben definite. E questo
riporta necessariamente al lavoro della Schrader, cineasta che
tende sempre in maniera ostentata verso la ricerca di empatia
attraverso musiche, flashback e momenti ad effetto non
particolarmente richiesti. E almeno una sequenza, quella in cui
Harvey Weinstein si presenta nella sede del New York Times con il
suo entourage per difendersi dalle accuse, sarebbe dovuta essere
eliminata visto che poi al fine della progressione narrativa non
fornisce alcun reale contributo.
Anche io
fallisce nel compito di fornire allo spettatore uno sguardo preciso
e lucido su una delle inchieste giornalistiche – da non confondere
con quella di Ronan Farrow – che portò alla fine
degli abusi criminali di Weinstein. L’importanza di raccontare i
fatti rimane inalterata e vitale. Quanto al modo in cui la vicenda
è stata portata sul grande schermo, i dubbi su un prodotto così
fragile sembrano più che legittimi.
Arriva oggi al cinema Anche io, il film basato sull’inchiesta del
New York Times che ha innescato il #metoo negli Stati Uniti e poi
nel mondo. La due volte candidata all’Oscar® Carey
Mulligan (Una Donna Promettente, An
Education) e Zoe Kazan (la serie
Il Complotto contro l’America, The Big Sick – Il matrimonio
si può evitare… l’amore no) interpretano le reporter del
New York Times Megan Twohey e Jodi Kantor, che insieme hanno
raccontato una delle storie più importanti di una generazione. Una
storia che ha infranto decenni di silenzio sul tema degli abusi
sessuali avvenuti a Hollywood e che ha cambiato per sempre la
cultura americana.
Dai produttori vincitori degli
Academy Award® di 12 anni schiavo, Moonlight,
Minari,Selma – La strada per la libertà
e La grande scommessa e dal produttore candidato
all’Oscar® di Zero Dark Thirty e American
Hustle – L’Apparenza inganna, il film è tratto
dall’inchiesta del New York Times di Jodi Kantor, Megan Twohey e
Rebecca Corbett e dal bestseller del New York Times “She Said:
Breaking the Sexual Harassment Story That Helped Ignite a
Movement” di Jodi Kantor e Megan
Twohey.
Testimonianza del potere del
giornalismo investigativo, Anche Io racconta il viaggio di reporter
e redattori impegnati nell’incessante ricerca della verità e mette
in luce il coraggio di coloro che sono sopravvissute e di chi ha
scelto di farsi avanti per fermare un predatore seriale. Insieme,
il loro impegno e la loro forza d’animo hanno dato vita a una
conversazione nazionale, hanno contribuito a riportare alla luce il
movimento #MeToo e alimentato una riflessione sul sistema che lo
aveva reso possibile.
Il film vede nel cast anche la
candidata all’Oscar® Patricia Clarkson (Shutter
Island, Schegge di April), dal vincitore dell’Emmy Andre
Braugher (Homicide, Thief – Il professionista), dalla
vincitrice del Tony Award JenniferEhle (Zero Dark Thirty, Orgoglio e Pregiudizio) e
dalla candidata all’Oscar® Samantha Morton
(Minority Report, In America – Il sogno che non c’era). Anche io è diretto dalla vincitrice
dell’Emmy Maria Schrader (la serie Unorthodox) ed è scritto da
Rebecca Lenkiewicz, sceneggiatrice del film
vincitore del premio Oscar® Ida.
Il film è prodotto dai vincitori
dell’Academy Award® Dede Gardner e Jeremy
Kleiner per Plan B Entertainment, ed è
prodotto esecutivamente dal premio Oscar® Brad
Pitt e Lila Yacoub e dalla candidata
all’Oscar® Megan Ellison e Sue Naegle per Annapurna Pictures.
Universal Pictures presenta una produzione Annapurna e Plan B.
Ecco anche Hermione invecchiata. Sono disponibili altre foto dal
set londinese di Harry Potter e i Doni della Morte: parte I e Harry
Potter e i Doni della Morte: parte II. Gli attori appaiono
invecchiati con il trucco, ma il risultato finale si avvarrà anche
di un uso sapiente della tecnologia CGI.
Ecco anche Hermione invecchiata.
Sono disponibili altre foto dal set londinese di Harry Potter e i
Doni della Morte: parte I e Harry Potter e i Doni della Morte:
parte II. Gli attori appaiono invecchiati con il trucco, ma il
risultato finale si avvarrà anche di un uso sapiente della
tecnologia CGI.
Gore Verbinski e Johnny Depp
sono di nuovo insieme per l’adattamento cinematografico della serie
tv del Ranger Solitario. Adesso sembra che altri attori si uniscano
al duo.
Siamo di fronte a una pura
indiscrezione, trattandosi peraltro di un film che deve ancora
essere scritto, e sulla cui effettiva realizzazione non visono
ancora conferme. Tuttavia la dichiarazione, rilasciata da Scott
all’Indipendent, resta: nel sequel di Blade Runner potrebbe esserci
posto anche per Harrison Ford.
Questo naturalmente non significa
che il film proporrà nuove avventure per Rick Deckard, anche perché
il personaggio non è proprio trai favoriti di Ford, e quindi
l’eventuale seguito non sarà incentrato su di lui: Ridley Scott ha
comunque affermato che gli piacerebbe avere anche Ford sul set.
Avevamo già dato notizia ieri che
il musical di grande successo Rock of Age si starebbe trasformando
in un film musical per il grande schermo, e che a partecipare al
casting ci siano già i grandi nomi di Tom Cruise e Alec
Baldwin.
Oggi si è aggiunto un altro nome a
questo cast di alla stars, si tratta della bionda Gwyneth Paltrow.
Il film sarà diretto da Adam Shankman, già alle prese con il
musical in Hairspray, grande successo di critica e pubblico con un
inedito John Travolta.
La sceneggiatura è opera di Chris
D’Arienzo, ideatore del musical di Broadway, mentre i produttori
saranno Carl Levin, Matt Weaver, Scott Prisand, Tobey Maguire e
Jennifer Gibgot.
A quanto pare Nolan ama lavorare
con gli stessi attori da un film all’altro, e così come è accaduto
per Christian Bale e Michael Caine, anche Tom Hardy ha seguito il
gruppo nel cast del terzo Batman del regista britanico.
A quanto pare adesso, dopo le voci
di qualche tempo fa, pare che anche Joseph
Gordon-Levitt sia coinvolto nel casting di questo terzo
episodio dell’uomo pipistrello.
Non si sa ancora se l’attore veràà
scelto o meno, ma al momento sicuramente non sta con le mani in
mano. Dopo il successo di Inception Gordon-Levitt è tornato a
lavorare col regista di Rian Johnson per Looper, e ha finito le
riprese del prossimo film di David Koepp, Premium Rush.
A quanto pare Nolan ama lavorare
con gli stessi attori da un film all’altro, e così come è accaduto
per Christian Bale e Michael Caine, anche Tom Hardy ha seguito il
gruppo nel cast del terzo Batman del regista britanico.
A quanto pare adesso, dopo le voci
di qualche tempo fa, pare che anche Joseph
Gordon-Levitt sia coinvolto nel casting di questo terzo
episodio dell’uomo pipistrello.
Non si sa ancora se l’attore veràà
scelto o meno, ma al momento sicuramente non sta con le mani in
mano. Dopo il successo di Inception Gordon-Levitt è tornato a
lavorare col regista di Rian Johnson per Looper, e ha finito le
riprese del prossimo film di David Koepp, Premium Rush.
Con il loro lavoro, gli attori sono in grado di
veicolare un’infinità di emozioni. E talvolta ci fanno anche
piangere. Ma è interessante scoprire quali sono i momenti che hanno
emozionato gli attori stessi al cinema, fino a versare lacrime.
Continua ad arricchirsi il cast di
Birdman,
nuovo film del regista Alejandro Gonzalez
Inaritu, l’attore Edward Norton si
aggiunge ai già confermati Zach Galifianakis, Michael
Keaton, Emma Stone e Naomi Watts.
Birdman
è co-scritta da Inaritu con Armando
Bo, Alessandro Dinelaris e
Nicolas Giacobone,
Birdman segue le vicende di un attore,
famoso per aver interpretato un supereroe popolare per un periodo
di tre giorni durante il quale egli fa un tentativo di costruire
una commedia a Broadway. Inaritu produrrà
insieme a Robert Graf e John
Lesher con l’inizio delle riprese previste per fine
mese.
In questo periodo Hollywood pare
stia rispolverando da diversi punti di vista il classico Mago di
Oz. Trai tanti progetti c’è per esempio quello di Sam Mendes con
Robert Downey Jr.
Anche Darren
Aronofsky secondo Il Los Angeles Times è nella lista
per aggiudicarsi la regia del nuovo Superman
prodotto da Christopher Nolan. La shortlist
diventa sempre più ricca…ed è in continua evoluzione e che dietro
le quinte Nolan e i produttori del film stanno lavorando sodo per
trovare un regista a cui affidare il film in tempo per iniziare le
riprese nel 2011.
Steven Zeitchik sul blog del Los
Angeles Times 24 Frames rivela che Darren Aronofsky, ancora legato
al nuovo film di Robocop (ma dubbioso sul fatto che venga mai
realizzato), sarebbe in lizza per dirigere il reboot delle
avventure dell’Uomo d’Acciaio.
“Aronofsky” spiega
Zeitchik, “ha discusso del film con Nolan, rivelano le mie
fonti. Nolan sta intensificando la sua ricerca di un regista per il
film (…) e Aronofsky ovviamente è solo uno dei tanti nomi. Nolan e
la partner produttiva Emma Thomas stanno contattando una rete di
registi più ampia di Krypton, tra cui figurano Zack Snyder, Matt
Reeves e un numero di registi più navigati”.
Questo non significa che Aronofsky
sia tra i favoriti, anche perché è ben nota la sua resistenza a
lavorare a pellicole sotto il controllo delle major hollywoodiane
(anche se avere Nolan come produttore dovrebbe garantirgli una
certa libertà creativa).
Per lui è ancora presto per essere
presente alla grande serata come protagonista, ma sembra che
quest’anno Daniel Radcliffe parteciperà alla
serata degli Oscar in qualitàdi ospite. Non si sa bene ancora cosa
ci riserverà l’attore, però sappiamo dalla produzione che la
cerimonia seguirà il filo conduttore della musica da film, come
testimoniano anche le illustri presenze canore fino ad ora
annunciate.
La cerimonia si terrà domenica 24
febbraio al Dolby Theatre di Los Angeles. Intanto Daniel si da da
fare, dopo la partecipazione a A Young Doctor’s Notebook e
al contenstato Kill Your Darlings,
l’attore ha appena terminato le riprese di The F
Word e Horns.
Il cast del nuovo film
di X-men continua a crescere. Oggi
arriva la notizia che Bryan Singer sembra anche ansioso di
riuscire ad inserire nel film anche altri due personaggi dei
precedenti film, Ciclope e Jean
Grey.
Anche Christian
Bale potrebbe entrare a far parte del cast
di Transcendence di WallyPfister, il
debutto alla regia del Direttore della Fotografia Premio Oscar per
Inception
Bryan Cranston,
assieme a Mads Mikkelsen e Rebel
Wilson entra nel cast vocale di Kung Fu Panda
3, unendosi ai veterani della serie Jack
Black, Angelina Jolie e Seth
Rogen.
Il film, diretto Jennifer
Yuh Nelson, già regista del secondo capitolo della serie,
vedrà il protagonista Po proseguire il proprio viaggio a base di
arti marziali e lotte contro il male, accompagnate dalle consuete
scorpacciate. L’uscita del film è stata fissata per il 23 dicembre
2015.
Cranston ha già lavorato come
doppiatore per la Dreamworks, offrendo la propria voce alla tigre
Vitaly in Madagascar 3; l’attore sta
attualmente lavorando sul reboot di Godzilla. Rebel Wilson, recentemente
nel cast di Pitch Perfect apparirà in un
piccolo ruolo in Pain & Gain, mentre
Mikkelsen sarà sugli schermi in The Necessary Death Of
Charlie Countryman.
Dopo aver ammirato l’elegante
Michael Fassbendersul set di The Counselor, è ora il turno di
Brad Pitt. Ecco infatti l’attore americano sul set
del film di Ridley Scott:
La scorsa settimana
Blake Lively era la capofila del gruppo di attrici
che sarebbero state prese in considerazione per interpretare Ofelia
in Savages di Oliver Stone, anche se per la pianificazione
l’attrice di Gossip Girl ha dovuto scegliere tra questo progetto e
Oz:great and powerfull.