Dopo la prima stagione di
The young Pope , che era stata proiettata in
anteprima a Venezia nel 2016, Paolo Sorrentino
presenta un goloso assaggio della nuova serie. Il titolo cambia in
The new Pope per assecondare
l’andamento narrativo della storia. Sono stati presentati il
secondo e il settimo episodio, puntellati da un riassunto della
prima serie e di uno di collegamento tra le due puntate. Il cast è
ricchissimo, composto da nomi internazionali: Jude
Law,
John Malkovich,
Silvio Orlando, Cécile de France, Javier Cámara, Ludivine
Sagnier.
La storia riprende dopo l’infarto
del giovane Papa nel finale della prima stagione. Ora Pio
XIII è in coma e sembra destinato a non riprendersi. Passati
alcuni mesi viene proclamato un nuovo pontefice che però muore in
circostanze sospette. Il Cardinale Voiello si opera allora, con
tutto il suo potere politico, a far salire al soglio pontificio
Sir John Brannox, un aristocratico inglese, affascinante e
sofisticato, che prende il nome di Giovanni Paolo III. Il nuovo
papa sembra perfetto, ma cela debolezza e segreti. Pio
XIII sembra ormai destinato a essere solamente ricordato e
venerato, ma forse i miracoli sono sempre possibili.
The new Pope
conferma in pieno lo stile inconfondibile di Paolo
Sorrentino. Bastano pochi fotogrammi per riconoscere il
suo modo di raccontare, fatto di simmetrie geometriche innaturali,
di scene al rallentatore esasperate, di musica pop e tecno, di nudi
femminili e maschili, di colori acidi e luci al neon. E’ uno stile
che film dopo film si evolve, o meglio lievita, come un impasto
impazzito che potrebbe anche rischiare di esplodere, imbrattando
tutto. Gli stilemi si fanno reiterati e insieme a grande bellezza e
fascino visivo si ha la sensazione di patinatura, di estrema
impalcatura estetica che spesso vorrebbe soffocare i contenuti. E’
un male? Certamente no. Tanti autori, dai quali Sorrentino sembra
attingere a piene mani, hanno fatto lo stesso, costruendo la
propria poetica espressiva sull’eccesso e sulla costruzione barocca
e provocatoria.
Nel vedere The new
Pope come si fa a non pensare a Peter
Greenaway, a Derek Jarman, a
Federico Fellini, a Ken
Russell, solo per citarne alcuni. Forse è citazionismo, o
forse è uno studio accurato di riferimenti importanti per la
costruzione di uno stile personale, che si nutre di arti figurative
con golosità. Per Sorrentino il volgare si sposa
con l’eleganza, la trivialità si eleva a stile, il sacro abbraccia
il profano e la blasfemia è così ruffiana da apparire ammaliante.
Vedendo The new Pope si avvertono sensazioni
simili a quelle che si provano nell’ammirare una fotografia di
David La Chapelle, o una scultura di Jeff
Koons, o anche un opera di Damien Hirst.
Si può rimanere stupefatti, indignati, affascinati, o magari anche
schifati, o offesi. E questo è bello. Vuol dire che sta succedendo
qualcosa di positivo nella serialità televisiva, che stiamo
parlando di una serie che strappa i confini dello schermo,
cinematografico o televisivo che sia, e che pone l’opera in
territori di sperimentazione che sembravano persi a favore della
speculazione.
La capacità di narrazione di
Sorrentino è notevole e la descrizione dei tanti
personaggi risulta perfettamente calibrata, scritta in punta di
pennino da un abile affabulatore moderno, con calligrafia elegante
e mai ovvia. Gli interpreti sono tutti azzeccati, nella loro
caratterizzazione forzata che li rende pupazzi, burattini alla
mercé di un estroso burattinaio. Spiccano Jude Law
e John Malkovich, per aver dato spessore e
sfumature a due uomini misteriosi, apparentemente impenetrabili,
con dubbi e tormenti profondi, ma che rappresentano il più alto
punto di riferimento per gran parte dell’umanità.
The New Pope di
Paolo Sorrentino conferma l’originalità e la
fascinazione di The Young Pope e si conferma una
serie che rompe violentemente gli schemi e allarga lo sguardo verso
progetti di grande respiro espressivo, uscendo finalmente dalla
mera commercialità.