Gli Oscar 2018 si
sono aperti con il consueto monologo, ma quest’anno, Jimmy
Kimmel, presentatore per il secondo anno consecutivo, ha
deciso di aprire con un omaggio a Time’s Up. Una parentesi seria,
inaugurata dalla descrizione della statuetta dorata: un uomo serio,
composto, senza mani e senza pene, “ciò di cui ha bisogno
Hollywood”. Lapidario e sicuro, Kimmel passa poi a fare nomi e
cognomi, tirando in ballo l’espulsione dall’Academy di Harvey
Weinstein.
Nel corso della serata sono state
moltissime le battute legate al movimento a tutela e a promozione
della parità: da Steven Spielberg che si presenta
dicendo: “Sono Steven e sono suo marito” allo spazio
dedicato alla storia degli ultimi mesi turbolenti per i poteri
forti di Hollywood. Ashley Judd, una delle voce
più forti nella promozione del movimento #MeToo,
ha presentato il video riassuntivo delle testimonianze più forti di
questi ultimi mesi, le testimoni e i testimoni di maggiore
spicco.
Elemento inedito, nell’ambito degli
Oscar 2018, è stato l’omaggio a quei film di
ambientazione militare che hanno elogiato il coraggio delle donne e
degli uomini che servono e hanno servito nell’esercito. L’omaggio è
stato presentato da Wes Studi ed è stato accolto
con un leggero scetticismo da parte della platea che ha applaudito,
perplesso.
Non è mancato il momento dedicato
alla memoria di coloro che si sono spenti negli ultimi 12 mesi e
hanno dato un contributo all’industria cinematografica di
Hollywood. Circostanza come sempre toccante e solenne, senza nessun
tocco di innovazione: almeno in questi casi la tradizione va
rispettata e non dà fastidio a nessuno.
La conduzione di Jimmy
Kimmel si è tenuta decisamente sul sicuro, con qualche
riferimento alla gaffe dello scorso anno relativa
all’”imbroglio della busta”, battutine simpatiche e
soltanto una incursione di novità. Se di novità si può parlare:
mentre che lo scorso anno l’anchorman aveva portato nel Dolby un
gruppo di turisti, quest’anno ha portato le star in un cinema
vicino al Dolby, invertendo la gag e diminuendone anche di più
l’effetto di intrattenimento, già in partenza scarso.
A fronte di una conduzione sicura,
ma forse non si poteva fare altrimenti dato il momento che
Hollywood sta attraversando, i premi hanno riservato piccole
sorprese e qualche anomalia nella struttura sempre ben codificata
dell’Academy. Emma Stone, che avrebbe dovuto
presentare il migliore attore in quanto migliore attrice in carica,
ha assegnato il premio alla regia, data l’assenza volontaria di
Casey Affleck. Così i premi agli attori sono stati
consegnati da due coppie di altissimo profilo: Jane
Fonda e Helen Mirren per il migliore attore e
Jennifer Lawrence e Jodie Foster
per la migliore attrice.
Un’altra anomalia, se così vogliamo
chiamarla, di quest’anno è il ritorno al premio congiunto: miglior
regia e miglior film sono andati alla stessa pellicola, The Shape of
Water e Guillermo del Toro (il film
ha vinto anche per le musiche e la scenografia). Mentre c’è stato
ovviamente il titolo “tecnico”, Dunkirk, con
tre premi Oscar (peccato per Christopher Nolan) e quelli “di
nicchia” che si sono fatti valere nelle categorie delle
sceneggiature, ovvero Chiamami col tuo
nome (il vincitore più vecchio di sempre,
James Ivory, 90 anni) e Scappa – Get
Out, forse l’unica vera sorpresa e, immaginiamo, gioia
immensa per Jordan Peele.
Un premio è andato a L’Ora più buia
per il migliore attore protagonista, Gary Oldman,
e un premio a I, Tonya per la
migliore non protagonista, la magnifica Allison
Janney. Due Oscar, sui quattro preventivati, a Tre Manifesti a Ebbing,
Missouri, a Sam Rockwell (non
protagonista) e a Frances McDormand
(protagonista). Restano a bocca asciutta Lady Bird e
The Post,
mentre il bellissimo Il filo nascosto porta a casa, ovviamente, i
migliori costumi. Nessuna sorpresa sul fronte dell’animazione, in
cui Coco porta a
casa miglior film e migliore canzone, Remember
me.
L’elemento di novità è stata invece
la grande commozione dei vincitori. Tutti, ma proprio tutti i
vincitori dei premi principali hanno tirato indietro le lacrime, a
partire dagli occhioni lucidi e occhialuti di Guillermo del
Toro, fino a quelli duri di Frances
McDormand, che si è anche aggiudicata il nostro
discrezionale premio per il migliore discorso: tutte le donne
nominate in piedi per favore, abbiamo storie da raccontare. Questo
il succo di un ringraziamento accorato, cominciato rivolgendosi al
marito e al figlio e terminato con un abbraccio virtuale alle sua
colleghe e compagne di nomination.
Nel complesso, a parte una
cerimonia anonima per lo spettacolo ma corposa per l’impegno,
l’Academy si è concentrata a distribuire il maggior numero di premi
possibili, riportando il genere, il fantasy (con un tocco di
horror) sul tetto di Hollywood, per la prima volta dal 2004, anno
in cui Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re
segnò la storia con 11 Oscar su 11 nomination, diventando il primo
fantasy a vincere il premio al miglior film.
L’assenza della superpotenza
Weinstein ha portato alla ribalta del Dolby molto più cinema
indipendente, il #MeToo ha riportato una regista
in cinquina e per la prima volta una direttrice della fotografia
nominata. Se questi ultimi mesi, i black carpet e il Time’s
Up non sono una nuvola passeggera, Hollywood è pronto per
un cambiamento sostanzioso che si è appena cominciato a mostrare:
non più spazio alle donne e alle minoranze etniche in sede di
premi, ma pari possibilità di accesso a strumenti per realizzare i
propri racconti e portare sul grande schermo i propri punti di
vista.